StampaQuotidiana ,
Firenze
,
30
marzo
.
Di
notte
,
all
'
Osservatorio
,
d
'
Arcetri
,
sopra
Firenze
.
Chi
ha
mai
cantato
in
questo
secolo
ansioso
e
sapiente
le
lodi
dell
'
ignoranza
,
e
quanto
essa
giovi
alla
felicità
?
E
quanto
alla
poesia
,
cioè
alla
maraviglia
?
Non
dico
dell
'
ignoranza
che
ignora
anche
sé
stessa
;
ma
di
quella
che
dobbiamo
dentro
noi
curare
e
custodire
come
una
riserva
di
giovinezza
,
anzi
d
'
infanzia
,
per
sovvenire
l
'
età
matura
.
Amore
,
fede
,
coraggio
,
speranza
,
le
più
belle
qualità
dell
'
uomo
,
hanno
bisogno
d
'
un
tanto
d
'
ignoranza
come
l
'
oro
si
fa
più
resistente
al
conio
con
un
poco
di
lega
.
Sto
seduto
in
una
stanza
di
legno
rotonda
,
accanto
a
una
lampada
velata
;
e
poiché
niente
capisco
di
quello
che
mi
circonda
,
mi
conforto
con
questi
pensieri
.
A
un
passo
da
me
un
vecchino
canuto
muove
una
lucida
ruota
che
ha
il
mozzo
confitto
nella
parete
,
e
una
cupola
scorre
giro
giro
sopra
i
muri
della
stanza
con
tutte
le
sue
persiane
,
scalette
e
ballatoi
,
così
dolcemente
volubile
che
il
moto
dei
suoi
congegni
dà
appena
il
suono
d
'
un
sospiro
.
Un
giovane
astronomo
,
biondo
,
ilare
e
magro
,
il
professore
Giorgio
Abetti
,
curvo
sopra
una
tavola
,
guardando
un
libro
brulicante
di
cifre
e
con
la
matita
segnando
su
una
scheda
altri
numeri
,
dà
brevi
comandi
all
'
uomo
della
ruota
come
il
capitano
d
'
una
nave
al
suo
timoniere
.
Navigano
nel
firmamento
.
In
mezzo
alla
stanza
il
telescopio
ha
l
'
aria
sorniona
d
'
un
«
grosso
calibro
»
infrascato
sulla
sua
piazzola
.
Nella
penombra
lo
seguo
con
l
'
occhio
fino
alla
bocca
e
m
'
accorgo
che
la
cupola
,
quant
'
è
larga
,
è
tagliata
da
un
'
apertura
nera
palpitante
di
stelle
;
sembra
la
bocca
d
'
un
cetaceo
schiusa
ad
afferrare
tra
le
due
mandibole
quel
che
le
càpiti
nel
mar
delle
tenebre
.
Subito
parteggio
per
le
stelle
contro
il
mostro
:
pel
mistero
,
contro
la
scienza
accoccolata
qui
a
spiare
l
'
infinito
da
questa
fessura
.
Se
l
'
astronomo
adesso
m
'
annunciasse
:
Il
cielo
s
'
è
rannuvolato
,
stanotte
non
si
vede
niente
,
confesso
che
sorriderei
come
a
uno
dei
tanti
scherzi
che
il
cielo
fa
all
'
uomo
e
ai
suoi
saldi
propositi
.
Ma
,
fermata
la
cupola
,
Giorgio
Abetti
ha
ormai
con
una
manovella
puntato
il
suo
cannocchiale
,
ha
spento
un
'
altra
lampada
,
è
salito
su
per
una
ripida
scaletta
,
ha
messo
l
'
occhio
all
'
oculare
,
e
dall
'
alto
mi
chiama
.
Quando
gli
sono
vicino
e
m
'
appoggio
a
lui
,
scorgo
nella
sua
pupilla
un
punto
bianco
tanto
splendente
che
mi
pare
debba
forargliela
e
abbacinarlo
.
Guardi
Orione
,
mi
dice
,
e
mi
lascia
solo
su
quella
cima
.
Lancio
un
ultimo
sguardo
all
'
arco
di
firmamento
che
s
'
incurva
sulla
mia
testa
,
alle
tante
stelle
che
rabbrividiscono
in
quel
fosco
gorgo
,
e
metto
l
'
occhio
alla
lente
.
La
prima
impressione
è
che
il
cielo
sia
vuoto
.
Su
quel
fondo
di
velluto
nero
i
diamanti
delle
stelle
sono
più
grandi
,
è
vero
,
e
d
'
una
luce
più
pura
ed
immobile
,
ma
sono
più
radi
.
Ne
vedo
quattro
come
agli
angoli
d
'
un
trapezio
,
e
altri
tre
a
sinistra
.
Più
fisso
quel
vuoto
,
più
esso
mi
si
fa
lontano
profondo
e
pauroso
.
Il
suo
mistero
che
già
m
'
era
divino
,
m
'
appare
nullo
,
gelido
e
disperato
.
E
quel
tanto
d
'
umanità
con
cui
religioni
,
superstizioni
e
astrologie
hanno
da
decine
e
decine
di
secoli
cercato
di
legare
il
cielo
alla
terra
chiamando
a
nome
gli
astri
come
se
potessero
udirci
,
legando
il
destino
di
noi
lunatici
,
marziali
o
gioviali
ai
presunti
comandi
di
quelli
,
ecco
,
mi
si
disperde
in
un
infinito
indifferente
e
vacuo
,
in
una
notte
stupida
e
senza
fondo
,
così
che
penso
d
'
afferrarmi
a
queste
leve
e
manubri
per
non
precipitarvi
a
capofitto
dal
trampolino
della
mia
scaletta
.
Intanto
m
'
afferro
alle
immagini
e
ai
paragoni
.
E
poiché
fissando
così
la
costellazione
d
'
Orione
comincio
a
vederle
attorno
un
chiarore
confuso
,
una
nubecola
triangolare
che
ha
la
forma
d
'
un
'
Affrica
messa
lassù
per
traverso
,
mi
sembra
che
quelle
stelle
s
'
affatichino
a
districarsi
come
da
una
rete
per
venirmi
incontro
.
Giochi
.
Davanti
a
quei
grossi
lontani
irraggiungibili
diamanti
posati
a
caso
su
quel
fiocco
d
'
ovatta
,
il
vecchio
trucco
di
prestar
l
'
anima
nostra
a
tutto
quello
che
ci
circonda
,
perfino
a
stelle
e
a
pianeti
,
diventa
vano
e
puerile
come
lanciar
sassi
al
sole
.
Che
vede
?
Vedo
dietro
sette
stelle
una
nuvola
.
La
nebulosa
d
'
Orione
.
La
distinguerà
meglio
sulle
fotografie
.
Le
stelle
le
vede
chiare
?
Chiare
.
Sono
stelle
giovani
e
caldissime
.
Provo
ancóra
su
questi
due
umani
aggettivi
a
ricontemplarle
e
a
godermele
.
Niente
.
Discendo
.
Adesso
metterò
l
'
apparecchio
sulla
luna
.
La
cupola
ricomincia
a
girare
,
il
telescopio
continua
a
seguirne
la
fenditura
mediana
.
Io
metto
le
mie
speranze
nell
'
amica
luna
,
tanto
vicina
,
docile
e
nostra
.
Quando
l
'
apparecchio
è
al
punto
,
torno
lassù
.
Prima
la
guardo
con
un
cannocchiale
più
piccolo
:
è
al
primo
quarto
,
una
calottina
d
'
argento
mal
fuso
,
con
le
bave
ancóra
e
le
bolle
e
le
schiume
.
Metto
l
'
occhio
al
cannocchiale
più
potente
:
vedo
solo
un
gran
disco
di
gesso
illuminato
come
da
una
lampada
elettrica
troppo
forte
.
La
luce
radente
sottolinea
con
ombre
nette
i
cigli
dei
cento
crateri
,
e
un
ricordo
di
guerra
mi
vien
su
dal
cuore
:
da
un
osservatorio
d
'
inverno
,
sul
Pasubio
un
pianoro
nevoso
tutto
sforacchiato
dai
proiettili
nemici
.
Rivedo
le
pareti
di
larice
dell
'
osservatorio
,
la
tavola
rozza
,
i
binoccoli
,
il
telefono
,
i
bicchierini
di
Strega
,
il
fondello
che
fa
da
portacenere
,
il
cane
barbone
che
ha
imparato
ad
alzarsi
in
piedi
quando
arriva
il
colonnello
;
rivedo
i
compagni
che
mi
narrano
il
bombardamento
notturno
e
m
'
indicano
laggiù
gli
ultimi
reticolati
ridotti
dalla
neve
gelata
a
un
candido
muretto
uguale
uguale
che
ha
l
'
ombra
segnata
col
tiralinee
;
i
compagni
che
mi
descrivono
l
'
uscita
d
'
una
pattuglia
vestita
di
bianco
,
sotto
la
luce
della
luna
,
per
raccogliere
un
ferito
austriaco
e
lo
avevano
invece
trovato
morto
assiderato
,
dentro
una
mano
rattrappita
la
fotografia
d
'
una
donna
(
Ma
che
fotografia
!
Una
cartolina
illustrata
col
ritratto
di
una
canzonettista
scollata
fin
qui
....
)
e
l
'
avevano
sepolto
così
in
una
cassa
tant
'
alta
perché
non
avevano
più
potuto
distenderne
le
membra
rattratte
;
e
fanno
a
gara
,
i
compagni
,
a
magnificarmi
le
fattezze
di
lei
,
certo
viva
di
là
,
e
nessuno
pensa
più
alle
fattezze
di
lui
povero
morto
....
La
luna
e
la
guerra
.
Ora
che
le
sono
così
vicino
,
mi
riassale
come
un
odio
per
lei
che
riconduceva
a
data
fissa
sugli
accampamenti
,
sui
villaggi
,
sulle
città
,
aeroplani
,
dirigibili
,
bombe
,
urli
,
rovine
;
e
riodo
i
tre
urli
della
sirena
e
il
tiro
degli
antiaerei
e
quello
delle
mitragliatrici
e
il
rombo
dei
motori
e
lo
scroscio
delle
bombe
sulla
città
pallida
e
vuota
che
pareva
morta
,
che
faceva
il
possibile
per
assomigliare
a
lei
,
voglio
dire
a
questa
luna
maledetta
,
perché
lei
ne
avesse
pietà
.
Vede
bene
?
Benissimo
.
Quelle
tre
conche
si
chiamano
Teofilo
,
Cirillo
e
Caterina
.
Quella
distesa
è
il
Mare
Tranquillitatis
.
Quella
più
in
alto
....
giri
il
manubrio
a
destra
....
è
il
Mare
Serenitatis
.
E
poi
il
Mare
Nectaris
....
Lassù
,
quei
nomi
da
manifesto
per
stagione
balneare
;
e
noi
quaggiù
dovevamo
correre
,
acquattarci
,
sparare
,
dopo
secoli
e
secoli
che
l
'
umana
imbecillità
aveva
adorato
e
invocato
in
tutte
le
lingue
e
in
tutte
le
metriche
il
suo
tranquillo
astro
d
'
argento
.
Adesso
,
a
guardare
quei
crateri
spenti
e
sgonfiati
,
con
quel
cocuzzolo
o
con
quella
buca
nel
centro
,
m
'
immagino
che
siano
tante
mammelle
smunte
dai
mille
e
mille
poeti
dei
secoli
che
furono
.
E
sono
contento
di
vederla
così
,
senza
una
stilla
d
'
acqua
o
un
respiro
di
vapore
,
arida
,
calcinata
e
finita
.
Scusi
,
professore
;
a
memoria
d
'
astronomo
,
si
è
mai
notato
alcun
mutamento
in
questo
rudere
d
'
un
mondo
?
Mai
.
Da
Galileo
ad
oggi
,
sempre
la
stessa
.
Sono
soddisfatto
e
rallegrato
.
Giorgio
Abetti
è
paziente
con
me
.
Mi
mostra
Saturno
che
è
una
perlina
col
suo
anelluccio
di
smalto
bianco
molto
grazioso
,
poco
costoso
,
come
ve
n
'
è
cento
nelle
botteghe
di
Ponte
Vecchio
.
Mi
mostra
Giove
che
s
'
alza
adesso
,
circonfuso
ancóra
dal
fiato
d
'
uno
sbadiglio
,
tinto
di
bianco
rosso
e
verde
,
secondo
è
,
per
fortuna
,
la
moda
.
Andiamo
via
,
ché
è
quasi
mezzanotte
.
Dal
panico
del
vuoto
infinito
,
ecco
sono
ridisceso
a
ridere
,
che
è
la
povera
vecchia
difesa
donataci
dalla
Provvidenza
contro
i
pensieri
troppo
grandi
.
La
mia
guida
mi
conduce
a
vedere
le
sale
terrene
dell
'
Osservatorio
,
la
biblioteca
,
l
'
archivio
,
le
fotografie
.
Astronomo
figlio
d
'
astronomo
,
giovane
com
'
è
,
ha
viaggiato
mezza
terra
per
veder
le
sue
stelle
.
Dall
'
osservatorio
di
Mount
Wilson
in
California
,
da
quello
Yerkes
presso
Chicago
all
'
osservatorio
di
Greenwich
accanto
a
Londra
e
a
quello
di
Potsdam
accanto
a
Berlino
,
egli
ha
veduto
,
studiato
,
confrontato
tutto
;
e
quando
mi
nomina
questo
o
quell
'
astronomo
celebre
,
mi
sembra
che
pel
mondo
egli
sia
andato
cercando
tutti
gli
uomini
che
tengono
la
faccia
volta
all
'
insù
.
Ma
l
'
idea
è
sbagliata
perché
adesso
gli
astronomi
coi
loro
grandi
specchi
prendono
le
stelle
e
se
le
portano
tremanti
sul
loro
tavolino
,
senza
nemmeno
soffrir
l
'
incomodo
che
abbiamo
noi
di
torcere
il
collo
per
interrogarle
.
L
'
astronomo
insomma
della
vecchia
leggenda
che
per
guardar
le
stelle
cadeva
nel
pozzo
,
è
d
'
una
razza
perduta
da
molti
anni
.
Ora
all
'
Osservatorio
d
'
Arcetri
verrà
non
so
che
gran
lente
dalla
Germania
«
in
conto
riparazioni
»
;
e
la
Fondazione
William
Hale
nordamericana
aiuta
coi
suoi
dollari
l
'
Abetti
a
costruirsi
una
Torre
solare
per
sorvegliare
,
d
'
accordo
con
Mount
Wilson
,
il
sole
anche
di
qui
.
L
'
America
,
l
'
America
torna
ogni
minuto
nella
conversazione
,
qui
sulla
collina
di
Galileo
,
come
nelle
conferenze
politiche
di
Londra
,
Parigi
o
Losanna
.
Le
grandi
fotografie
del
cielo
,
venute
anch
'
essi
d
'
oltreoceano
,
mi
riafferrano
con
lo
stesso
fascino
dello
spettacolo
al
telescopio
.
A
guardare
quella
su
cui
la
nebulosa
d
'
Orione
appare
sconvolta
e
stracciata
da
gorghi
e
vortici
di
luce
e
d
'
ombra
sembra
d
'
udire
l
'
urlo
d
'
un
gran
vento
che
in
quelli
eccelsi
faccia
stormire
le
stelle
.
Da
un
lato
,
contro
il
nero
stellato
,
la
nebulosa
si
delinea
con
un
netto
profilo
da
cui
avanza
una
testa
di
mostro
simile
a
una
garguglia
sul
fianco
d
'
una
cattedrale
gotica
;
e
tutto
quel
profilo
è
segnalo
da
un
ciglio
candido
,
luce
d
'
altri
astri
,
d
'
altri
mondi
,
d
'
altri
soli
,
d
'
altri
iddii
,
che
l
'
uomo
non
vedrà
mai
se
non
nell
'
estasi
d
'
un
'
adorazione
.
E
molte
altre
fotografie
vedo
del
sole
,
con
folti
intrichi
di
riccioli
come
d
'
un
vello
leonino
,
tagliati
qua
e
là
dai
labbri
sinuosi
di
ferite
profonde
.
La
terra
in
proporzione
quant
'
è
grande
?
L
'
astronomo
ha
in
mano
una
matita
.
La
mette
perpendicolare
sulla
fotografia
così
da
segnare
un
punto
largo
quanto
la
punta
della
matita
:
Questa
sarebbe
la
terra
.
Basta
.
Sento
che
l
'
impensabile
torna
a
stordirmi
ed
esco
all
'
aperto
.
Ecco
Firenze
,
Firenze
segnata
anch
'
essa
soltanto
dai
suoi
lumi
,
ma
tutta
nostra
,
tutta
nota
,
tutta
bella
,
tutta
umana
.
Il
ciglio
alberato
del
colle
sta
davanti
alla
città
,
come
una
gran
ribalta
.
Lassù
a
destra
,
tra
due
cipressi
,
si
gonfia
la
collina
di
Settignano
,
con
la
piramide
dei
suoi
lumi
che
l
'
assomiglia
a
un
altare
coi
ceri
accesi
.
A
sinistra
laggiù
,
da
una
massa
bruna
alta
e
nuda
pendono
due
o
tre
lunghe
collane
d
'
oro
,
quasi
da
un
vascello
le
catene
che
lo
tengono
all
'
àncora
in
questo
golfo
di
tenebre
.
E
la
chiesa
di
Santa
Maria
Novella
,
sono
i
fanali
lungo
i
binarii
della
stazione
.
Di
fronte
a
noi
,
su
dall
'
alone
di
due
sciami
di
luci
,
là
un
fuso
bianco
,
qua
un
fuso
nero
s
'
alzano
e
si
perdono
nel
cielo
,
come
due
pigre
fumate
,
il
campanile
di
Giotto
,
la
torre
d
'
Arnolfo
.
Pian
piano
ritroviamo
la
città
,
le
sue
strade
,
i
suoi
monumenti
,
il
luogo
delle
nostre
case
:
amabili
come
mai
.
Addio
,
povere
stelle
.