StampaQuotidiana ,
31
marzo
.
FIRENZE
.
È
passato
già
un
mese
da
quando
l
'
ho
veduto
nella
corte
del
Vittoriale
,
disteso
sotto
un
arco
,
all
'
aria
aperta
,
vestito
da
generale
,
il
volto
cereo
senza
labbra
,
le
mani
riunite
sul
grembo
,
le
gambe
coperte
dal
tricolore
;
e
prima
d
'
inginocchiarmi
l
'
ho
baciato
sulla
fronte
,
più
fredda
del
marmo
.
Una
miseria
dei
molti
anni
è
che
davanti
a
un
amico
morto
si
cade
senza
volerlo
a
pensare
a
noi
stessi
,
a
confrontare
l
'
età
sua
con
la
nostra
,
i
malanni
che
l
'
hanno
spento
coi
malanni
che
presto
o
tardi
spegneranno
noi
.
Davanti
a
lui
,
per
fortuna
,
no
.
Sempre
,
chi
gli
ha
voluto
bene
,
l
'
ha
sentito
d
'
un
'
altra
razza
e
d
'
un
'
altra
specie
,
intento
in
ogni
gesto
e
parola
a
foggiare
di
sé
stesso
l
'
immagine
e
la
persona
che
dovevano
sopravvivere
.
Ecco
infatti
la
triste
e
cascante
maschera
che
la
vecchiaia
gli
aveva
imposta
,
in
meno
d
'
un
mese
scomparsa
dalla
mia
memoria
.
Penso
a
lui
,
rileggo
lui
,
sillabo
Gabriele
,
allungando
la
prima
e
com
'
egli
stesso
faceva
quasi
per
assaporare
il
miele
del
suo
nome
;
e
Gabriele
mi
riappare
giovane
fresco
snello
scattante
agghindato
profumato
,
una
mano
sul
fianco
stringendolo
tra
pollice
e
indice
,
la
gamba
destra
un
poco
piegata
,
col
piccolo
piede
ritto
sopra
la
punta
,
come
d
'
un
corridore
sulla
mossa
.
Aveva
allora
il
gesto
rapido
a
seguire
il
pensiero
,
la
risata
squillante
a
braccia
levate
,
la
voce
di
testa
,
nitida
e
acuta
che
accompagnava
la
parola
fino
all
'
ultima
vocale
,
tagliava
la
tua
frase
con
una
forbiciata
,
e
poneva
sùbito
la
conversazione
un
tono
più
su
dell
'
ordinario
.
Una
punta
di
barbino
biondo
gli
aguzzava
il
mento
e
metteva
anche
più
distanza
tra
mento
e
orecchio
,
tra
mento
e
zigomo
:
una
distanza
che
a
guardarlo
di
fronte
non
s
'
immaginava
,
ma
che
dava
al
profilo
di
lui
uno
slancio
aggressivo
,
un
che
del
falchetto
pronto
a
osare
e
a
beccare
.
La
bocca
schiusa
,
le
labbra
scoperte
,
gli
occhi
lunghi
d
'
un
color
marrone
chiaro
che
mutava
in
grigio
,
il
naso
forte
,
un
po
'
carnoso
come
erano
le
mani
,
e
tra
i
due
sopraccigli
una
piega
verticale
così
fonda
che
,
quando
era
stanco
,
sembrava
una
cicatrice
.
Siamo
in
molti
ancora
a
ricordarcelo
così
ma
,
fossi
io
solo
,
mi
sembra
che
tra
cent
'
anni
,
se
non
si
trovasse
più
un
ritratto
di
lui
,
da
ciò
ch
'
egli
ha
scritto
e
ha
fatto
e
dalle
leggende
in
cui
s
'
è
avvolto
,
un
lettore
attento
se
lo
figurerebbe
proprio
quale
adesso
io
lo
rivedo
.
Come
in
questa
troppo
lunga
Italia
era
già
capitato
pel
trasporto
di
Carducci
,
quella
mattina
dietro
a
D
'
Annunzio
s
'
era
in
tanto
pochi
scrittori
che
il
poeta
,
tra
ministri
in
divisa
militare
,
marescialli
,
generali
,
ufficiali
,
legionari
,
soldati
,
portato
su
un
affusto
di
cannone
,
pareva
dimenticato
:
un
condottiero
,
non
un
poeta
.
Eppure
la
guerra
predicata
,
difesa
e
combattuta
,
e
l
'
occupazione
di
Fiume
erano
state
il
coronamento
della
sua
poesia
,
il
frutto
di
quel
fiore
.
La
notte
avanti
,
a
vederne
la
salma
esposta
all
'
aria
aperta
come
non
avevo
mai
veduto
altre
salme
,
e
a
sentire
l
'
aura
fresca
e
lieve
che
saliva
dal
lago
,
passava
tra
gli
archi
e
gli
alberi
,
s
'
impregnava
del
profumo
delle
violette
nelle
ghirlande
e
sfiorava
lui
in
un
sospiro
,
m
'
era
tornata
in
mente
una
terzina
sul
principio
dell
'
Alcyone
:
Deterso
d
'
ogni
umano
lezzo
in
fonti
gelidi
,
ei
chiederà
per
la
sua
festa
sol
l
'
anello
degli
ultimi
orizzonti
.
Era
con
noi
fedelmente
dietro
la
salma
Ruggero
Ruggeri
,
in
borghese
,
lui
,
come
il
Gabriele
d
'
una
volta
.
Me
ne
avvidi
sulla
gradinata
della
chiesa
di
Cargnacco
.
D
'
Annunzio
in
chiesa
,
benedetto
con
l
'
aspersorio
e
l
'
incensiere
,
davanti
alla
croce
di
Gesù
:
ecco
l
'
altra
novità
inaspettata
,
e
questa
,
sì
,
ci
annunciava
l
'
estrema
pace
.
Se
Ruggeri
,
che
con
la
sua
pronuncia
lenta
e
precisa
sembra
leggendo
una
poesia
confidare
il
segreto
d
'
un
miracolo
,
ci
avesse
detto
sottovoce
dieci
versi
di
lui
,
in
quanti
tra
quella
calca
li
avremmo
riconosciuti
?
Di
quel
trasporto
due
immagini
mi
stanno
ancora
negli
occhi
:
Mussolini
e
donna
Maria
,
l
'
avvenire
e
il
passato
.
Il
volto
di
Mussolini
era
chiuso
ma
dolce
;
le
spalle
quadrate
,
incrollabili
;
il
passo
su
per
la
salita
sicuro
uguale
pesante
:
«
Sta
certo
,
sta
certo
,
sta
certo
:
con
questo
passo
l
'
Italia
arriverà
sulla
vetta
che
io
so
,
sulla
vetta
che
tu
poeta
hai
sognata
»
.
Donna
Maria
d
'
Annunzio
procedeva
alla
destra
di
lui
,
dentro
un
lungo
fitto
velo
nero
,
alta
e
sottile
come
quando
si
sposò
e
come
Sartorio
la
ritrasse
nel
dittico
delle
Vergini
savie
e
delle
Vergini
folli
.
Le
avevo
parlato
poco
prima
;
anche
lo
sguardo
era
quello
,
anche
la
voce
era
rimasta
quella
,
piana
e
soave
tanto
che
nel
pieno
d
'
una
calca
riusciva
sempre
a
formare
una
zona
di
tranquilla
intimità
,
quasi
che
la
pace
emanasse
dalla
sua
grazia
.
A
ogni
svolta
distinguevo
sotto
il
velo
il
suo
profilo
affilato
e
le
gote
smunte
.
Vicini
andavano
i
due
figli
,
Mario
e
Gabrielino
.
Il
cranio
nudo
di
Mario
pareva
il
cranio
del
padre
.
Fin
nell
'
occipite
,
dove
la
sutura
sagittale
si
biforca
,
le
due
fossette
erano
calcate
su
quello
.
V
'
era
sole
,
ma
velato
.
Una
luce
bianca
e
diffusa
rischiarava
tutto
,
il
lago
,
la
strada
,
gli
ulivi
,
le
case
,
senza
un
filo
d
'
ombra
:
una
luce
di
limbo
.
I
ricordi
andavano
e
venivano
,
ora
fugaci
e
sbiaditi
perché
non
avevo
la
forza
di
trattenerli
e
definirli
;
ora
così
netti
che
non
vedevo
più
chi
mi
camminava
allato
.
I
tanti
amici
cui
egli
e
io
siamo
stati
legati
e
che
lo
hanno
preceduto
di
là
,
De
Bosis
,
Michetti
,
Conti
,
Scarfoglio
,
Matilde
Serao
,
Morello
,
Sartorio
,
Jarro
,
Tenneroni
,
Trentacoste
,
Praga
,
Treves
,
Origo
,
passavano
in
quei
ricordi
.
Erano
molti
,
e
quasi
mi
rimordeva
di
dimenticarne
uno
solo
,
in
quel
salire
verso
la
tomba
.
Lo
scalpiccio
del
corteo
dietro
a
me
,
senza
una
parola
,
senza
una
voce
,
per
un
attimo
l
'
ho
creduto
di
loro
.
Adolfo
,
Edoardo
,
Marco
...
Un
richiamo
m
'
ha
scosso
.
Ero
accanto
al
generale
Moizo
,
tale
e
quale
il
Moizo
aviatore
del
1915
e
del
1916;
soltanto
,
canuto
.
Mi
diceva
sommesso
:
Vi
ricordate
?
Gabriele
,
ancora
con
la
divisa
di
Novara
cavalleria
e
il
collo
di
panno
bianco
,
non
parlava
ormai
che
d
'
aviazione
.
Una
sera
a
Gradisca
,
appena
sceso
dal
Carso
,
alla
mensa
della
brigata
Toscana
tra
tutti
fanti
non
sognava
che
ali
:
Domandatelo
a
Ugo
che
mi
conosce
da
anni
.
Io
le
ali
le
ho
avute
sempre
.
Soltanto
allora
non
mi
si
vedevano
.
Quando
la
salma
è
giunta
presso
la
cima
del
colle
,
è
cominciata
la
salva
del
cannone
.
Donna
Maria
ha
alzato
il
volto
come
se
quei
colpi
a
rosario
venissero
dal
cielo
;
e
un
ricordo
m
'
è
venuto
al
pensiero
,
da
lontano
lontano
.
Una
sera
di
maggio
a
Roma
pranzavamo
sulla
terrazza
di
Maria
d
'
Annunzio
che
allora
abitava
a
Trinità
dei
Monti
,
con
le
finestre
sulla
scalinata
verso
piazza
di
Spagna
.
Anche
Gabriele
era
invitato
,
ma
arrivò
tardi
scusandosi
con
aria
di
mistero
.
Appena
venne
buio
,
condusse
De
Bosis
e
me
nell
'
anticamera
,
ci
affidò
due
pacchi
ed
egli
ne
prese
un
terzo
,
più
grande
.
Quando
rientrò
davanti
ai
convitati
,
avverti
serio
serio
:
Non
toccate
,
sono
pacchi
di
esplosivi
.
Erano
fochetti
artificiali
,
razzi
,
stelle
,
bengali
,
petardi
,
candele
romane
,
e
li
cominciò
a
legare
prestamente
ai
ferri
della
ringhiera
,
rimproverandoci
di
non
essere
così
rapidi
e
capaci
com
'
era
lui
abruzzese
.
La
testa
,
bada
,
verso
piazza
di
Spagna
.
Se
no
,
ti
scoppia
in
bocca
.
A
Francavilla
qualunque
ragazzo
ne
sa
più
di
te
.
In
pochi
minuti
la
batteria
era
in
ordine
,
ed
egli
con
un
cerino
cominciò
ad
accendere
.
Nella
conca
della
scalinata
ogni
scoppio
rimbombava
assordante
.
Finestre
e
logge
si
gremirono
di
spettatori
.
Dagli
altri
piani
qualcuno
cominciò
a
protestare
,
e
Gabriele
alla
luce
dei
bengali
spiegava
felice
,
ridendo
e
saltando
:
Non
abbiate
paura
,
non
sono
che
tipitappi
,
non
sono
che
tipitappi
.
Quando
dei
fochetti
non
restò
che
il
fumo
,
gli
chiedemmo
:
Che
sono
i
tipitappi
?
Non
sapete
che
cosa
sono
i
tipitappi
?
Ignoranti
.
Sono
quello
che
i
napoletani
chiamano
tricchitracchi
,
e
non
volle
dire
altro
.
Queste
parole
sono
troppe
,
perché
quel
ricordo
fu
un
lampo
.
Il
corteo
s
'
era
disperso
.
Il
Duce
era
ripartito
.
Ma
l
'
Abruzzo
quella
mattina
non
doveva
per
fortuna
lasciarmi
più
,
ché
la
chiave
di
D
'
Annunzio
è
nascosta
lì
davanti
al
mare
,
tra
gli
aguglioli
della
pineta
alla
foce
del
Pescara
.
Incontro
Giacomo
Acerbo
,
a
capo
d
'
un
manipolo
d
'
abruzzesi
:
il
priore
della
nuova
chiesa
di
Pescara
,
il
preside
della
Provincia
,
una
donna
in
capelli
che
reca
in
un
'
olla
la
terra
presa
sulla
tomba
di
donna
Luisa
,
della
madre
del
poeta
,
e
v
'
ha
piantato
su
qualche
fiore
reciso
per
mettere
un
poco
di
luce
su
quel
terriccio
di
morti
.
È
un
conforto
ascoltarli
,
udire
in
quella
parlata
grave
ed
antica
le
notizie
di
D
'
Annunzio
e
della
sua
casa
e
della
sua
chiesa
,
come
s
'
egli
da
laggiù
fosse
partito
ieri
.
Vecchio
infatti
non
l
'
hanno
veduto
;
da
vecchio
egli
laggiù
non
s
'
è
lasciato
vedere
.
Ieri
notte
ero
tornato
per
la
terza
volta
al
Vittoriale
.
M
'
ero
chiuso
col
dottor
Duse
e
con
Antonio
Bruers
a
parlare
degli
ultimi
momenti
di
lui
.
Bruers
piangeva
:
L
'
avesse
veduto
nel
suo
pigiama
marrone
,
quando
l
'
hanno
portato
dalla
poltrona
sul
letto
.
Il
capo
cadeva
indietro
,
le
braccia
pendevano
.
Il
comandante
,
capisce
,
il
comandante
,
ridotto
come
un
fantoccio
.
Atroce
:
come
un
fantoccio
.
Ed
era
ancora
caldo
,
così
caldo
che
io
lo
credevo
svenuto
,
e
affettuoso
metteva
la
fronte
sulla
mia
spalla
e
piangeva
.
Interrogavo
Duse
.
Era
proprio
vero
,
Gabriele
si
voleva
sempre
curare
da
sé
:
per
tre
giorni
non
prendeva
cibo
,
poi
d
'
un
colpo
tre
o
quattro
uova
.
Noi
in
Abruzzo
ci
curiamo
così
,
e
si
campa
cent
'
anni
.
Un
pastore
della
Majella
ne
sa
più
di
te
.
Fuori
,
davanti
alla
salma
,
era
ancora
un
poco
di
gente
.
La
campana
della
parrocchia
continuava
a
rintoccare
nell
'
aria
nera
,
col
ritmo
inesorabile
d
'
un
palpito
,
come
per
misurare
il
nostro
tempo
mortale
nel
confronto
con
l
'
immobile
eternità
dove
egli
era
scomparso
.
Parlavano
dell
'
età
di
lui
,
della
morte
improvvisa
.
E
uno
,
invisibile
,
ha
detto
:
Ha
lavorato
tanto
,
e
una
voce
di
donna
ha
soggiunto
con
un
sospiro
materno
:
Poveromo
.
Il
pastore
della
Majella
,
Aligi
,
che
ieri
ha
cominciato
a
dormire
per
non
svegliarsi
più
.
Così
m
'
è
venuto
alla
mente
un
ritratto
donatomi
da
lui
la
prima
volta
che
sono
andato
a
Francavilla
.
Adesso
l
'
ho
qui
davanti
agli
occhi
.
Gabriele
porta
una
mantella
pesante
e
un
berretto
a
punta
,
di
maglia
di
lana
,
col
fiocco
in
cima
.
Con
la
mantella
ricopre
anche
la
sua
figliola
Renata
,
incappucciata
come
lui
,
e
un
folto
di
riccioli
le
sfugge
dal
cappuccio
.
Renata
,
o
Cicciuzza
come
allora
la
chiamava
,
avrà
in
questa
fotografia
quattro
o
cinque
anni
.
È
l
'
infermiera
del
Notturno
.
Ho
riaperto
il
libro
.
Anche
il
padre
lì
la
rievoca
a
cinque
anni
,
in
quella
casa
bianca
sul
mare
,
dove
fu
fatto
il
ritratto
che
io
guardo
e
dove
ella
gli
«
appariva
senza
rumore
,
come
uno
di
quelli
uccelli
che
si
posano
sopra
un
ramo
leggiero
e
aspettano
che
esso
cessi
d
'
oscillare
per
intraprendere
il
loro
canto
»
.
Quel
giorno
invece
nel
Notturno
ella
tornava
presso
il
letto
del
padre
infermo
dopo
la
visita
dei
Sepolcri
.
«
Su
la
sua
veste
bruna
,
mi
sembra
di
fiutare
un
odore
di
ceri
,
un
odore
d
'
erbe
scolorate
e
di
violacciocche
.
Il
viso
è
più
stretto
,
il
mento
è
più
affilato
.
È
piccola
,
stasera
.
È
una
povera
piccola
stanca
,
affaticata
dalle
tenebre
e
dal
profumo
funebre
,
bisognosa
di
riposarsi
.
»
Proprio
così
era
stamane
,
dietro
al
feretro
,
pallida
,
stanca
,
vestita
di
lutto
,
sola
coi
suoi
ricordi
.
StampaQuotidiana ,
12
aprile
.
ROMA
.
Da
quasi
un
anno
per
l
'
esposizione
mondiale
del
1942
hanno
cominciato
a
spianare
di
là
dalla
basilica
di
San
Paolo
le
collinette
verso
il
bosco
d
'
eucalitti
che
una
volta
difendeva
dalla
malaria
l
'
abazia
delle
Tre
Fontane
.
Tempi
preistorici
:
allora
,
quando
eravamo
ragazzi
,
andare
alle
Tre
Fontane
era
un
'
escursione
per
la
quale
si
partiva
da
casa
con
la
colazione
o
la
merenda
nel
tascapane
.
Era
un
'
escursione
e
quasi
un
'
esplorazione
perché
a
chi
di
noi
s
'
allontanava
dalla
strada
Laurentina
gli
anziani
annunciavano
pericoli
addirittura
di
morte
per
le
buche
e
le
frane
delle
cento
vecchie
cave
di
pozzolana
,
nascoste
tra
cardi
e
pruni
,
popolate
di
serpi
e
,
alle
prime
piogge
,
di
rospi
e
raganelle
.
Il
mondo
s
'
è
fatto
più
piccolo
e
,
dicono
,
più
sicuro
.
Per
uguagliare
questo
pianoro
di
cinquecento
ettari
,
lungo
,
presso
a
poco
,
quanto
dal
Campidoglio
a
piazza
del
Popolo
,
anzi
fino
al
Ministero
della
Marina
,
e
largo
altrettanto
,
si
dovranno
smuovere
cinque
milioni
e
mezzo
di
metri
cubi
;
e
già
se
n
'
è
smossa
quasi
la
metà
.
Ma
l
'
importante
è
che
,
spenta
e
chiusa
dopo
sei
mesi
l
'
esposizione
,
là
non
tornerà
un
arido
deserto
di
calcinacci
di
cemento
,
con
altrettanti
trabocchetti
e
buche
come
quelle
di
terra
che
spianatori
e
costruttori
trovano
adesso
e
cólmano
.
Là
resterà
una
città
,
un
altro
grande
e
comodo
e
monumentale
quartiere
di
Roma
,
col
suo
lago
,
le
sue
strade
,
piazze
,
giardini
,
alberate
,
fontane
,
con
la
sua
chiesa
,
i
suoi
musei
,
teatri
,
uffici
e
alberghi
,
a
sette
od
otto
minuti
dal
Colosseo
:
Roma
nuova
,
come
nella
suddetta
preistoria
chiamavamo
la
Roma
da
via
Nazionale
in
su
.
Insomma
adesso
il
cómpito
dato
da
Mussolini
a
Vittorio
Cini
è
di
preparare
,
sì
,
una
grande
e
ricca
e
piacevole
esposizione
dove
la
gente
abbia
da
imparare
e
da
divertirsi
senza
affaticarsi
,
ma
anche
lo
schema
e
l
'
ossatura
d
'
una
bella
città
.
Il
durevole
,
prima
di
succedere
all
'
effimero
,
deve
intanto
dargli
,
poiché
siamo
a
Roma
e
si
ragiona
da
romani
,
forma
,
comodità
e
maestà
:
problema
,
prima
di
tutto
,
d
'
architettura
.
Per
adesso
,
tutti
d
'
accordo
,
perché
v
'
è
soltanto
il
nudo
terreno
,
anzi
il
luogo
dove
uomini
e
macchine
vanno
preparando
il
terreno
.
A
settentrione
di
là
d
'
un
gran
prato
verde
s
'
intravvede
di
Roma
un
quartiere
nuovo
nuovo
,
non
propriamente
monumentale
,
ma
una
nebbiola
bassa
e
azzurrina
lo
vela
gentilmente
;
e
dietro
il
Gianicolo
appare
la
cima
della
cupola
di
San
Pietro
,
d
'
argento
opaco
,
come
una
luna
che
sorge
.
Il
silenzio
è
rotto
da
fischi
di
locomotive
,
da
brevi
ànsiti
di
macchine
scavatrici
,
fondi
talvolta
come
ruggiti
quando
il
raffio
addenta
terra
e
sassi
e
le
catene
cigolano
.
Ma
l
'
aria
immobile
ingoia
d
'
un
colpo
ogni
suono
e
il
silenzio
torna
padrone
:
un
silenzio
d
'
eternità
.
Il
suolo
vulcanico
su
cui
i
re
e
la
repubblica
fondarono
e
aggrandirono
Roma
,
è
simile
a
questo
,
falda
a
falda
:
al
sole
un
palmo
o
due
di
terra
buona
da
seminare
;
sotto
questo
po
'
di
terra
,
pozzolana
bigia
o
rossa
e
tufo
,
buoni
per
murare
e
per
costruire
.
Dove
una
volta
le
frane
e
adesso
le
macchine
hanno
tagliato
il
terreno
,
questi
filoni
orizzontali
appaiono
netti
,
sovrapposti
regolarmente
come
gli
strati
di
fondazione
d
'
un
grande
edificio
.
Poco
da
mangiare
,
molto
da
lavorare
;
poco
da
godere
,
molto
da
costruire
:
non
sono
queste
le
basi
morali
dell
'
antica
Roma
?
E
senza
questa
miracolosa
pozzolana
laziale
che
con
poco
grassello
di
calce
fa
presa
anche
sott
'
acqua
,
compatta
per
millenni
più
d
'
una
roccia
,
l
'
architettura
romana
,
la
forma
cioè
e
il
volto
di
Roma
,
e
l
'
incrollabile
prova
della
sua
durata
non
esisterebbero
.
Bisogna
diffidare
,
lo
so
,
delle
similitudini
;
ma
gli
acquedotti
e
il
Colosseo
sono
insieme
fatti
e
idee
.
L
'
aratro
che
adopera
il
senatore
Cini
non
è
per
fortuna
quello
che
adoperò
Romolo
tracciando
il
solco
quadrato
.
È
meccanico
,
va
giù
col
vomere
fino
a
settanta
centimetri
,
rovescia
terra
e
pezzi
di
tufo
;
e
la
trattrice
che
lo
trascina
,
sobbalza
come
un
carro
armato
all
'
assalto
d
'
una
trincera
.
Talvolta
lo
sforzo
è
tanto
che
la
corda
d
'
acciaio
si
strappa
.
Sùbito
dietro
l
'
aratro
,
i
badilanti
caricano
sui
vagoncini
la
terra
sconvolta
,
e
appena
i
venti
vagoncini
sono
colmi
,
la
piccola
locomotiva
se
li
trascina
via
fischiettando
,
laggiù
dove
il
terreno
s
'
ha
da
alzare
e
non
da
abbassare
.
Mille
e
cento
sono
adesso
questi
operai
;
scamiciati
,
impolverati
e
contenti
,
nella
certezza
d
'
avere
lavoro
per
quattr
'
anni
.
Uno
s
'
è
ficcato
tra
l
'
orecchio
e
la
tempia
una
di
queste
piccole
orchidee
selvatiche
,
bianche
e
verdi
come
il
fiore
dell
'
aglio
,
e
mentre
il
rosario
dei
vagoncini
parte
con
un
fracasso
di
ferraglie
sulle
verghe
malconnesse
della
decoville
,
s
'
appoggia
con
le
due
mani
sul
manico
del
badile
,
guarda
lontano
e
a
mezza
voce
canta
:
Vivere
senza
malinconia
,
Vivere
senza
più
gelosia
...
Mentre
canta
,
è
più
solo
lui
dei
compagni
silenziosi
che
allineati
aspettano
un
'
altra
fila
di
vagoncini
,
vuoti
.
Un
minuto
:
arriva
,
e
i
manovali
le
si
mettono
a
fianco
.
Una
goccia
di
saliva
sulla
palma
delle
mani
,
e
il
lavoro
ricomincia
,
così
puntuale
che
si
coglie
il
ritmo
delle
pale
ficcate
nella
terra
,
della
terra
rovesciata
nel
carrello
,
del
lampo
bianco
della
pala
in
aria
.
Così
ordinato
fosse
il
lavoro
di
tutti
noi
,
con
quella
pausa
del
fiore
e
del
canto
.
La
ragione
sarà
che
io
purtroppo
non
riesco
a
diventare
ancora
il
vero
uomo
moderno
,
homo
occidentalis
mechanicus
neobarbarus
;
ma
il
fatto
è
che
il
lavoro
d
'
una
macchina
mi
piace
quando
assomiglia
nei
gesti
al
lavoro
umano
,
centuplicato
,
s
'
intende
,
nella
forza
,
e
senza
rischio
mai
di
stanchezza
perché
la
macchina
con
un
poco
di
lubrificante
è
sempre
giovane
e
sempre
attenta
.
Insomma
per
me
il
modello
del
mondo
resta
ancora
l
'
uomo
,
e
la
macchina
non
è
ancora
diventata
il
modello
dell
'
uomo
:
difetto
grave
,
e
il
peggio
è
che
talvolta
me
ne
vanto
.
Ora
delle
oneste
macchine
le
quali
lavorano
qui
,
le
più
simpatiche
mi
sembrano
le
scavatrici
.
Una
me
la
sono
goduta
stamane
da
vicino
,
e
il
soprastante
che
me
ne
spiegava
i
congegni
,
le
sorrideva
affettuoso
come
a
un
bel
cavallo
da
circo
,
docile
e
lustro
,
e
aveva
ragione
quando
diceva
:
Le
manca
la
parola
,
le
manca
.
Quella
infatti
alzava
il
braccio
con
la
benna
,
l
'
avvicinava
al
greppo
da
mordere
,
contro
gli
puntava
quattro
lucide
zanne
d
'
acciaio
aguzze
come
pugnali
,
e
oscillando
un
poco
per
lo
sforzo
gliele
conficcava
dentro
fino
in
fondo
.
Poi
le
quattro
zanne
si
rizzavano
,
e
zolle
,
sassi
,
schegge
,
terriccio
entravano
nella
benna
giusto
giusto
,
ché
la
scavatrice
non
ne
aveva
afferrato
un
pugno
di
troppo
.
Allora
il
braccio
si
girava
e
si
fermava
preciso
sopra
un
carrello
del
trenino
.
La
benna
s
'
apriva
ed
empiva
il
carrello
;
e
la
macchina
tornava
a
puntare
i
denti
contro
il
costone
da
abbattere
.
L
'
omino
che
era
il
cervello
della
macchina
,
maneggiava
due
leve
con
più
leggerezza
d
'
un
cavaliere
quando
tira
a
destra
o
a
sinistra
la
briglia
.
Il
soprastante
accanto
a
me
fissava
l
'
orologio
:
La
benna
contiene
un
metro
cubo
e
venti
.
In
ventisette
secondi
si
riempie
e
si
scarica
.
Dieci
di
queste
macchine
scavatrici
lavorano
a
preparare
il
pianoro
per
l
'
esposizione
;
ma
tanto
pesano
che
bisogna
saggiare
bene
il
terreno
prima
di
collocarle
,
non
abbiano
a
sprofondare
in
uno
di
questi
grottoni
.
Quando
nel
1885
sul
fianco
settentrionale
del
Campidoglio
si
tentò
di
piantare
le
fondazioni
del
monumento
a
re
Vittorio
Emanuele
,
non
s
'
incontrarono
che
tane
e
cunicoli
tagliati
per
cavar
tufo
o
per
difendere
l
'
arce
;
e
la
somma
che
s
'
era
stanziata
per
erigere
tutto
il
Vittoriano
,
bastò
appena
a
riempire
e
consolidare
quell
'
alveare
.
Così
qui
.
Il
suolo
traditore
è
provato
continuamente
dalle
sonde
,
le
quali
ogni
poco
incontrano
il
vuoto
.
Quando
s
'
è
determinato
così
il
luogo
d
'
una
caverna
nascosta
,
si
cinge
subito
con
una
stecconata
quadra
,
perché
carri
o
macchine
non
s
'
avventurino
là
sopra
.
Sono
chilometri
e
chilometri
di
gallerie
da
cavar
pozzolana
,
alcune
praticabili
dai
carretti
,
anche
se
adesso
ostruite
dagli
scoscendimenti
.
A
guardarle
dall
'
alto
,
profonde
e
cupe
tra
rovi
e
sterpi
,
sembrano
rifugi
di
trogloditi
o
di
banditi
o
,
nei
primi
secoli
dopo
Cristo
,
di
cristiani
perseguitati
.
Talune
catacombe
sono
infatti
nate
così
,
in
questi
antri
.
Tre
aeroplani
che
volano
alti
a
triangolo
,
mi
fanno
alzare
gli
occhi
al
cielo
.
Per
godere
un
paesaggio
la
luce
è
quello
ch
'
è
la
voce
per
capire
un
uomo
.
Anche
la
luce
ha
un
tono
.
Se
mi
trasportassero
addormentato
a
Roma
,
a
Firenze
,
a
Venezia
,
a
Milano
e
svegliandomi
spalancassero
la
finestra
sul
cielo
vuoto
,
io
mi
vanterei
di
saper
dire
,
dalla
luce
,
dove
mi
trovo
;
ma
forse
è
un
'
illusione
come
quando
,
se
odo
uno
parlare
,
mi
provo
a
non
badare
al
senso
delle
parole
ma
solo
al
suono
e
alla
modulazione
della
voce
,
e
a
giudicarlo
così
,
colui
che
parla
,
sincero
o
retore
,
affranto
o
audace
,
meschino
o
magnanimo
.
La
mia
guida
m
'
indica
il
punto
verso
Roma
dove
la
via
Imperiale
taglierà
il
viale
di
pioppi
delle
Tre
Fontane
.
La
via
Imperiale
sarà
l
'
asse
dell
'
esposizione
,
si
biforcherà
per
passare
su
due
ponti
il
lago
,
attraverserà
il
bosco
e
dalla
Porta
del
Mare
filerà
lucida
e
diritta
verso
Castel
Fusano
e
il
lido
.
Via
,
lago
,
bosco
:
tutto
è
ancora
sulla
carta
,
e
laggiù
verso
mezzodì
mi
commuove
la
sorte
d
'
un
bel
ciuffo
di
pini
a
cupola
perché
essi
sono
già
realtà
.
Si
tenterà
di
trasportarli
,
diciamo
così
,
in
vaso
.
Morranno
?
Vivacchieranno
estenuati
,
sostenuti
da
tre
puntelli
?
Siamo
venuti
dentro
una
baracca
a
guardare
la
planimetria
a
colori
dell
'
esposizione
:
opera
difficile
meditatissima
ed
equilibrata
cui
per
mesi
e
mesi
ha
atteso
Marcello
Piacentini
.
Ecco
gli
edifici
che
sopravviveranno
,
ecco
le
strade
,
ecco
i
luoghi
di
sosta
per
le
automobili
,
ecco
la
stazione
della
ferrovia
sotterranea
,
ecco
i
giardini
,
ecco
la
chiesa
,
ecco
il
lago
della
città
futura
.
Quale
altra
città
avrà
un
così
bel
lago
,
tra
sponde
di
pietra
,
con
un
teatro
aperto
all
'
uno
dei
capi
,
con
una
scalinata
di
marmo
bianco
e
oro
da
cui
l
'
acqua
scenderà
sfavillando
?
Meraviglie
.
Ma
questa
mattina
ho
anche
meno
fantasia
del
solito
.
La
carta
resta
carta
,
il
verde
non
riesce
ai
miei
occhi
a
diventare
bosco
,
né
il
turchino
acqua
.
Il
gran
vuoto
fuori
della
baracca
,
il
cielo
altissimo
e
quasi
bianco
negli
eccelsi
,
i
fischi
rauchi
delle
piccole
locomotive
,
la
collinetta
col
bosco
d
'
eucalitti
,
ai
nostri
piedi
le
grotte
nere
aperte
,
chi
sa
,
da
secoli
,
laggiù
quel
folto
di
pini
che
stanno
per
morire
;
questa
solitudine
che
abbiamo
appena
cominciato
a
sconvolgere
con
metodo
inesorabile
e
che
tra
un
anno
sarà
irta
di
bianchi
scheletri
di
case
e
di
palazzi
;
questa
solitudine
che
,
salvo
qualche
carrettiere
e
qualche
cacciatore
,
era
inviolata
,
anzi
dimenticata
da
millenni
,
ecco
quello
che
m
'
attira
stamane
,
soltanto
perché
non
lo
rivedrò
più
.
Vivere
senza
malinconia
...
cantava
il
manovale
.
Ma
no
,
un
poco
di
malinconia
aiuta
a
vivere
.
La
malinconia
non
è
che
l
'
ombra
della
memoria
.
StampaQuotidiana ,
26
luglio
.
Quante
volte
in
questa
rubrica
ho
già
narrato
ciò
che
ricordo
d
'
Eleonora
Duse
?
Oggi
ho
finito
di
leggere
il
libro
d
'
Olga
Signorelli
su
lei
.
A
ogni
pagina
altri
ricordi
mi
apparivano
davanti
agli
occhi
.
È
un
libro
copioso
,
come
ha
detto
Alfredo
Panzini
lodandolo
;
ma
certo
è
il
libro
più
cordiale
e
probante
finora
scritto
su
quella
memorabile
donna
.
È
infatti
il
solo
libro
che
ce
la
mostra
dall
'
interno
,
non
dall
'
esterno
.
Eleonora
Duse
è
stata
un
'
attrice
stupenda
e
cordiale
,
ma
quieta
anche
nella
tragedia
,
di
pochi
gesti
e
di
poche
grida
,
tutta
misura
e
ritegno
,
e
solo
con
uno
sguardo
senza
nemmeno
muovere
il
volto
otteneva
ciò
che
altre
non
ottenevano
con
un
balzo
e
con
un
urlo
;
ma
come
donna
è
stata
complicata
,
irrequieta
ed
ansiosa
,
spesso
stonata
e
sfasata
,
ogni
anno
più
schiava
delle
parole
così
da
scambiarle
per
realtà
,
e
innamorata
del
dolore
,
vero
o
immaginario
,
proprio
o
altrui
,
come
l
'
ape
è
innamorata
del
fiore
.
Del
dolore
aveva
la
curiosità
e
,
oserei
dire
,
il
desiderio
.
Era
la
sua
nobiltà
:
il
suo
solo
snobismo
.
L
'
arte
è
dolore
;
l
'
amore
è
dolore
;
la
gloria
è
dolore
;
la
ricchezza
è
dolore
;
la
potenza
è
dolore
;
la
vita
,
insomma
,
è
dolore
.
Ed
ella
era
colma
di
vita
.
La
prima
volta
che
vidi
la
signora
Duse
fuori
di
scena
,
quando
cioè
le
fui
presentato
(
e
deve
essere
stato
verso
il
1895
)
,
la
trovai
per
terra
,
distesa
sopra
un
bel
tappeto
,
tra
molti
cuscini
.
Mi
invitò
a
sedermi
accanto
a
lei
su
un
altro
tappeto
:
che
,
in
Oriente
forse
,
ma
dalle
parti
nostre
non
è
un
esercizio
comodo
,
specie
quando
ci
s
'
ha
da
rialzare
.
Vedendo
che
titubavo
,
m
'
offrì
a
braccio
teso
uno
dei
suoi
cuscini
.
S
'
era
in
casa
di
fedeli
e
sottomesse
amiche
sue
,
in
via
Gregoriana
:
due
tedesche
,
Elena
Oppenheim
e
Maria
Zernitz
,
l
'
una
magra
e
l
'
altra
grassa
;
amiche
anche
di
molti
musicisti
,
Sgambati
,
Consolo
,
Gulli
,
Bossi
,
Baiardi
,
e
d
'
uno
scultore
,
Chiaradia
,
quello
della
statua
dorata
di
Vittorio
Emanuele
in
mezzo
al
monumento
capitolino
.
Spesso
,
se
veniva
a
Roma
e
non
recitava
,
la
Duse
scendeva
da
quelle
amiche
,
padrona
dispotica
d
'
ogni
loro
minuto
,
gesto
e
pensiero
.
Esse
dovevano
averle
mostrato
i
titoli
d
'
uno
o
due
articolucci
miei
di
letteratura
inglese
.
Supina
,
poggiando
la
nuca
sopra
le
palme
delle
mani
raccolte
a
conchiglia
:
Chi
è
il
maggior
poeta
inglese
vivente
?
mi
domandò
guardando
il
soffitto
.
Swinburne
,
risposi
.
So
che
avete
tradotto
qualche
cosa
di
lui
.
Recitatemelo
.
Non
lo
ricordo
a
memoria
.
Mi
guardò
di
traverso
,
un
occhio
su
e
l
'
altro
giù
,
come
per
misurare
la
mia
statura
,
seduto
.
Era
tale
e
quale
alla
Duse
in
scena
,
senza
tinture
;
ma
da
vicino
gli
anni
,
trentasei
o
trentasette
,
le
si
vedevano
tutti
.
Le
mani
(
l
'
ombra
di
Gabriele
d
'
Annunzio
mi
perdoni
)
non
erano
belle
;
ma
i
piedi
sì
,
piccoli
,
fini
,
ben
calzati
,
e
non
stavano
mai
fermi
.
Si
sa
quanto
è
spietato
lo
sguardo
d
'
un
giovane
appena
si
posa
sopra
una
donna
matura
,
specialmente
se
fino
allora
egli
ha
potuto
vederla
solo
da
lontano
su
un
trono
o
su
una
ribalta
,
e
lodata
e
applaudita
.
Per
capire
la
grande
poesia
bisogna
avere
sofferto
.
Voi
siete
troppo
giovane
per
avere
sofferto
.
Io
,
zitto
,
perché
ero
tentato
di
rispondere
:
«
Grazie
,
per
fortuna
»
,
con
una
punta
di
impertinenza
romanesca
.
Sentivo
su
me
gli
sguardi
delle
due
tedesche
,
le
quali
abbozzavano
un
sorriso
per
suggerirmi
che
dovevo
sorridere
anch
'
io
.
Nella
pausa
avevo
preso
una
sigaretta
.
La
signora
Duse
,
sempre
volta
al
soffitto
,
ricominciò
l
'
interrogatorio
:
Siete
innamorato
?
Me
lo
domandò
con
una
voce
bassa
e
grave
,
che
stillava
con
fatica
le
meste
sillabe
.
Un
confessore
che
mi
avesse
domandato
:
Quante
volte
?
o
un
medico
che
avvicinando
al
lume
il
termometro
scaldato
dalla
mia
ascella
,
m
'
avesse
detto
:
Trentanove
,
e
passa
,
non
avrebbero
avuto
un
tono
così
caldo
,
di
compassione
e
insieme
di
conforto
.
Ma
vedi
l
'
indifferenza
e
anche
il
pudore
della
gioventù
:
io
ero
seccato
non
lusingato
.
Risposi
:
Sarebbe
,
signora
mia
,
un
discorso
molto
lungo
,
e
accesi
la
sigaretta
.
La
Duse
si
rizzò
a
sedere
d
'
un
colpo
.
Qui
non
si
fuma
,
comandò
.
Le
due
amiche
accorsero
.
Una
portò
in
un
'
altra
camera
la
sigaretta
irriverente
.
L
'
altra
aprì
la
finestra
perché
quel
niente
di
fumo
svanisse
nel
cielo
di
Roma
.
Io
ero
in
piedi
.
Udii
da
terra
una
voce
fievole
quanto
un
sospiro
:
Che
ore
sono
?
,
e
poco
dopo
:
Tornate
presto
.
M
'
ha
fatto
piacere
conoscervi
.
Me
ne
andai
.
Ogni
parola
e
ogni
gesto
di
quel
nostro
primo
colloquio
sul
pavimento
mi
sono
rimasti
nella
memoria
perché
se
ne
parlò
e
riparlò
con
le
due
ospiti
della
signora
Duse
e
coi
loro
amici
.
Che
cosa
avrei
mai
dovuto
rispondere
a
simili
domande
,
inaspettate
e
,
soggiungevo
,
materne
?
Quelli
m
'
assicuravano
che
le
indagini
sulla
capacità
di
patire
e
d
'
amare
erano
in
lei
una
palese
prova
di
simpatia
.
L
'
anno
dopo
,
se
non
sbaglio
,
tornò
a
Roma
per
recitare
al
Valle
:
Fedora
,
Denise
,
Moglie
di
Claudio
,
Frou
-
Frou
,
Locandiera
,
Signora
delle
camelie
.
Non
perdevo
una
recita
,
non
perdevo
una
parola
di
lei
.
Li
davvero
ella
era
schietta
,
attenta
a
scarnire
e
a
semplificare
la
sua
recitazione
,
così
che
l
'
anima
del
personaggio
fosse
nuda
,
e
anche
quando
il
personaggio
mentiva
,
capace
di
farci
sentire
che
,
timido
o
spavaldo
,
mentiva
.
Anche
nella
menzogna
perciò
la
amavamo
,
così
lealmente
ce
la
confidava
.
Tanto
schietta
,
leale
e
nuda
era
in
scena
che
fuori
di
scena
,
in
un
salotto
o
in
una
gita
,
in
contatto
con
noi
laici
si
sentiva
che
era
impacciata
,
quasi
provasse
il
pudore
di
non
poter
esser
schietta
e
leale
e
nuda
come
quando
recitava
,
cioè
come
quando
era
Margherita
,
Fedora
,
Magda
o
Cesarina
.
E
si
metteva
a
parlare
difficile
con
parole
d
'
oracolo
,
prodigando
a
tutti
consigli
e
conforti
,
e
dimenticandosene
un
'
ora
dopo
.
Fuori
di
scena
,
insomma
,
la
Duse
veramente
recitava
.
Cogli
anni
,
i
capelli
bianchi
,
l
'
addio
all
'
amore
e
la
solitudine
,
fu
un
'
altra
cosa
;
e
certo
ammirevole
.
In
quella
stagione
,
nel
senso
che
alla
parola
stagione
danno
i
teatranti
,
abitava
al
Grand
Hôtel
e
il
suo
salotto
luminoso
era
sull
'
angolo
tra
la
via
delle
Terme
e
la
piazza
delle
Terme
.
Sopra
ogni
tavola
,
fiori
e
libri
:
libri
di
pensiero
,
molto
Nietzsche
e
molto
Maeterlinck
quell
'
anno
,
segnati
sui
margini
da
una
matita
impetuosamente
ammirativa
.
L
'
edizione
Bocca
di
Così
parlò
Zaratustra
,
ricordo
di
averla
veduta
segnata
con
la
matita
turchina
in
tutte
,
dico
tutte
,
le
pagine
,
da
capo
a
fondo
:
che
doveva
essere
stata
una
bella
fatica
.
Una
mattina
s
'
andò
a
Tivoli
.
Ernesto
Consolo
e
io
salimmo
a
prendere
la
signora
Duse
all
'
albergo
.
Ci
accolse
con
questo
ammonimento
:
Badate
,
oggi
non
voglio
soffrire
,
e
lo
disse
serrando
labbra
e
mascelle
come
avrebbe
potuto
dirlo
sedendosi
dal
dentista
.
Consolo
mi
guardò
.
Sapevamo
che
spesso
era
inutile
risponderle
perché
ella
già
pensava
ad
altro
.
Fu
gaia
,
giovanile
,
maliziosa
:
diciamo
,
Mirandolina
.
Dopo
colazione
si
pensò
,
naturalmente
,
d
'
andare
a
Villa
d
'
Este
.
Ve
l
'
ho
dichiarato
.
Oggi
non
voglio
soffrire
.
A
Villa
d
'
Este
?
Non
capite
niente
:
a
Villa
d
'
Este
io
ci
sono
già
stata
,
e
sillabò
le
parole
come
dicesse
che
non
bisognava
destare
i
morti
.
Né
l
'
uno
né
l
'
altro
si
osò
domandarle
:
Con
chi
?
Aveva
mutato
faccia
,
s
'
era
alzata
e
ci
aveva
voltato
le
spalle
perché
non
le
leggessimo
il
volto
.
Deve
avere
riveduto
Gabriele
d
'
Annunzio
in
quel
tempo
(
la
Signorelli
precisa
,
nell
'
autunno
del
1896
)
;
ma
non
è
vero
che
andando
a
salutarla
sul
palcoscenico
del
Valle
dopo
la
Signora
delle
camelie
D
'
Annunzio
la
apostrofasse
con
queste
parole
:
Oh
grande
amatrice
!
Fu
una
delle
tante
facezie
dei
romani
sciccosi
,
oziosi
e
invidiosi
contro
D
'
Annunzio
trionfante
e
contro
quello
che
allora
essi
stimavano
il
pomposo
parlare
di
lui
.
Amatrice
è
un
paesotto
dell
'
Aquilano
presso
Cittaducale
,
e
matriciani
allora
erano
chiamati
a
Roma
gl
'
incettatori
e
i
venditori
di
erbaggi
,
dalle
carote
alle
cipolle
.
Nemmeno
credo
che
molti
anni
dopo
,
spento
il
fuoco
,
ritrovandola
a
Milano
per
caso
in
un
albergo
egli
le
dicesse
come
s
'
afferma
in
questo
libro
:
Quanto
mi
avete
amato
!
D
'
Annunzio
,
per
quanto
sicuro
e
soddisfatto
si
mostrasse
di
sé
,
ha
avuto
sempre
,
parlando
delle
donne
che
ha
amate
,
e
specialmente
se
l
'
amore
era
tramontato
da
anni
,
e
più
verso
la
signora
Duse
,
un
riguardo
,
anzi
un
rispetto
inconciliabile
con
la
fatua
vanità
di
quella
frase
.
Può
darsi
che
a
Olga
Signorelli
l
'
abbia
ripetuta
la
stessa
Duse
immaginandosi
di
averla
proprio
udita
da
quel
crudele
,
tanto
bene
le
parole
riassumevano
l
'
abnegazione
di
lei
e
la
finale
indifferenza
di
lui
.
Così
sono
certo
che
D
'
Annunzio
mostrò
alla
Duse
il
manoscritto
del
Fuoco
molto
prima
di
pubblicarlo
,
e
la
persuase
che
ella
,
anche
se
l
'
impresario
Schurmann
e
altri
pettegoli
le
dicevano
il
contrario
,
vi
splendeva
d
'
una
bellezza
più
durevole
della
bellezza
fisica
.
Olga
Signorelli
pubblica
la
lettera
di
Eleonora
Duse
a
Schurmann
:
«
Poco
fa
non
v
'
ho
detto
la
verità
.
Conosco
il
romanzo
,
e
ne
ho
autorizzata
la
stampa
,
perché
la
mia
sofferenza
,
qualunque
essa
sia
,
non
conta
quando
si
tratta
di
dare
un
altro
capolavoro
alla
letteratura
italiana
.
E
poi
ho
quarant
'
anni
...
e
amo
!
»
(
Molte
lettere
d
'
Eleonora
Duse
sono
pubblicate
in
questo
libro
,
ansimanti
e
sgrammaticate
.
Anche
nella
scrittura
par
di
vederla
recitare
,
con
quelle
tante
sottolineature
per
dire
che
lì
alza
la
voce
,
con
quei
tanti
a
capo
,
che
corrispondono
a
gesti
recisi
,
con
quei
tanti
puntini
che
significano
le
pause
di
silenzio
o
i
sospiri
.
)
Nella
primavera
del
'97
o
del
'98
ero
a
San
Giacomo
di
Spoleto
quando
da
Francavilla
mi
telegrafò
D
'
Annunzio
d
'
andare
il
giorno
dopo
a
incontrarlo
ad
Assisi
nell
'
albergo
del
Subasio
.
Vi
arrivai
nelle
prime
ore
del
pomeriggio
in
bicicletta
(
allora
anche
D
'
Annunzio
andava
in
bicicletta
e
nel
'96
mi
scriveva
:
«
Son
tornato
da
Milano
con
una
bicicletta
!
Con
una
Humber
!
Dalla
mattina
alla
sera
vado
pedalando
.
E
verrò
nell
'
Umbria
su
questo
leggero
cavallo
d
'
acciaio
.
Ave
»
)
.
Sulla
porta
del
Subasio
trovai
Angelo
Conti
.
Anch
'
egli
era
stato
convocato
per
telegrafo
,
e
mi
spiegò
perché
.
Nell
'
albergo
era
anche
la
Duse
,
e
D
'
Annunzio
era
venuto
a
mostrarle
la
prima
parte
del
manoscritto
del
Fuoco
,
ravvolto
,
s
'
intende
,
in
un
lembo
di
damasco
rosso
.
Era
stata
lei
a
chiederglielo
,
poiché
tutti
già
possedevamo
le
chiavi
di
quel
romanzo
e
sapevamo
che
in
Stelio
era
adombrato
lo
stesso
poeta
quale
egli
sperava
d
'
essere
o
d
'
apparire
,
in
Foscarina
nomade
e
disperata
la
Duse
,
in
Daniele
Glauro
Angelo
Conti
,
in
alcuni
tratti
di
Donatella
Arvale
Giulietta
Gordigiani
,
e
via
dicendo
?
Oppure
egli
stesso
,
pensando
che
qualche
frase
sulla
bellezza
un
poco
sfiorita
dell
'
attrice
potesse
offenderla
,
e
fidando
nell
'
intelligenza
di
lei
e
nella
bellezza
del
monumento
che
con
quel
romanzo
egli
le
innalzava
e
le
offriva
,
aveva
voluto
prevenire
e
placare
ogni
risentimento
della
vanità
?
«
I
segni
delicati
che
partivano
dall
'
angolo
degli
occhi
verso
le
tempie
,
e
le
piccole
vene
oscure
che
rendevano
le
palpebre
simili
alle
violette
,
e
l
'
ondulazione
delle
gote
e
il
mento
estenuato
e
tutto
quello
che
non
poteva
mai
più
rifiorire
...
»
Non
le
vedevano
tutti
queste
prime
offese
degli
anni
?
E
proprio
Eleonora
Duse
che
anche
per
entrare
in
scena
rifiutava
ogni
liscio
,
ogni
rossetto
,
ogni
cipria
,
tanto
amava
la
verità
,
anzi
,
com
'
ella
diceva
,
la
sua
verità
,
si
sarebbe
offesa
?
A
quale
altra
attrice
sicura
del
proprio
valore
ma
anche
sicura
di
scomparire
tutta
dalla
memoria
degli
uomini
man
mano
che
fossero
morti
e
scomparsi
coloro
che
l
'
avevano
veduta
,
ascoltata
,
applaudita
e
avevano
per
una
sera
creduto
che
la
sua
voce
e
il
suo
volto
fossero
la
voce
stessa
e
il
volto
stesso
dell
'
amore
,
della
rivolta
,
della
gioia
,
della
fede
,
della
voluttà
,
della
speranza
,
il
destino
offriva
insieme
il
compenso
e
l
'
orgoglio
di
sapersi
salvata
per
sempre
in
pagine
tanto
ardenti
e
sonanti
?
A
queste
domande
né
quel
giorno
né
poi
ho
saputo
rispondere
.
Certo
è
che
D
'
Annunzio
pregava
Conti
e
me
di
aspettare
in
albergo
una
sua
chiamata
.
Eravamo
lì
per
calmare
l
'
ira
e
i
sospetti
della
sua
amica
,
o
per
tenere
a
lei
e
a
lui
un
'
affettuosa
e
lieta
compagnia
?
S
'
andò
in
San
Francesco
e
si
tornò
.
Hanno
chiesto
di
noi
?
No
,
hanno
ordinato
il
tè
.
S
'
andò
a
passeggio
fino
in
piazza
del
Municipio
,
e
si
tornò
.
Hanno
chiesto
di
noi
?
No
,
pranzano
in
camera
.
Conti
e
io
si
pranzò
sulla
terrazza
,
poi
si
riuscì
a
passeggiare
sul
prato
davanti
alla
basilica
superiore
,
ché
così
il
direttore
sapeva
occorrendo
dove
trovarci
.
A
mezzanotte
rientrammo
.
Non
hanno
chiamato
più
.
La
mattina
dopo
verso
le
undici
dissi
addio
ad
Angelo
Conti
:
Se
Gabriele
ti
domanda
di
me
,
digli
che
l
'
ho
aspettato
per
ventiquattr
'
ore
.
Aspettalo
fino
a
stasera
.
No
,
vado
a
colazione
a
Foligno
da
un
amico
.
Sii
buono
,
aspetta
.
Ma
io
me
ne
andai
,
ché
in
bicicletta
giù
per
la
discesa
par
di
volare
.
Il
Fuoco
me
lo
sono
letto
due
anni
dopo
,
e
della
«
sofferenza
»
della
signora
Duse
per
quelle
che
allora
le
tenere
amiche
di
lei
e
i
nemici
di
D
'
Annunzio
chiamavano
ingiurie
,
ho
pensato
e
penso
che
ella
si
sia
consolata
non
solo
in
quelle
ventiquattr
'
ore
di
clausura
assisiate
col
suo
poeta
,
ma
anche
tutte
le
volte
che
poi
,
mettendosi
una
mano
sul
cuore
,
ella
ha
potuto
parlare
del
suo
dolore
per
quell
'
affronto
.
Angelo
Conti
,
cioè
Daniele
Glauro
,
parlando
del
Fuoco
e
della
Duse
,
si
grattava
la
barba
rossa
e
bianca
:
Come
fa
la
signora
Duse
a
lagnarsi
così
?
Me
,
in
questo
libro
,
fino
dalle
prime
pagine
Gabriele
m
'
ha
chiamato
fervido
e
sterile
.
Mi
lagno
io
?
Ma
Angelo
era
filosofo
e
considerava
le
donne
dipinte
da
Giorgione
o
da
Tiziano
,
fossero
anche
state
cortigiane
,
più
sicure
e
più
costanti
delle
donne
vive
anche
illustri
.