StampaPeriodica ,
Come
un
medico
dall
'
orologio
d
'
oro
al
capezzale
dell
'
infanzia
,
così
il
circo
,
clown
occhialuto
,
porge
sciroppi
e
rimedi
alla
gioventù
malata
di
teatro
.
E
la
sabbia
delle
piste
ha
per
essa
lo
stesso
odore
dei
balsami
di
tolù
,
di
quei
caldi
aromi
consolatori
.
Movendo
dall
'
atto
secondo
,
in
cui
il
protagonista
Hinkemann
si
esibisce
nel
ruolo
di
mangiatopi
in
un
baraccone
,
Bruno
Cirino
(
Teatroggi
)
ha
impostato
Il
mutilato
di
Ernst
Toller
come
una
rappresentazione
di
circo
,
di
piccolo
circo
sdrucito
della
periferia
.
Un
telone
d
'
argento
,
dietro
il
quale
si
accende
a
tratti
,
come
nei
luna
-
park
,
una
fluente
treccia
di
lampadine
,
una
rossa
grancassa
e
una
grande
ruota
,
che
è
insieme
attrazione
da
fiera
e
graticola
e
macchina
da
colonia
penale
.
Come
le
isole
di
un
arcipelago
,
i
teatrini
si
scambiano
su
invisibili
navi
le
merci
delle
loro
esperienze
:
è
chiaro
che
l
'
architettura
di
questo
spettacolo
risente
della
conclusiva
sequenza
del
Risveglio
di
primavera
di
Nanni
.
Al
proprietario
del
baraccone
,
che
immaginavo
polputo
e
con
guance
di
melanzana
come
l
'
impresario
dell
'
Angelo
azzurro
di
Sternberg
,
il
regista
ha
sostituito
un
rabbioso
e
spietato
domatore
che
con
la
frusta
incalza
ed
umilia
i
semplici
,
gli
sventurati
,
costringendoli
a
salti
guitteschi
.
Avvilite
sembianze
,
gli
attori
in
tute
mimetiche
a
chiazze
arancione
matteggiano
,
ballano
,
strisciano
come
lombrichi
,
con
musica
di
tromboni
e
di
Knappentanz
.
Ciondolando
con
testa
di
leone
,
scambiandosi
affannosamente
bombette
,
e
con
criniera
equina
e
gualdrappa
mutandosi
in
un
quadrupede
simile
a
quello
del
balletto
Parade
,
traspongono
in
virtuosismi
da
acrobati
,
in
figurazioni
zoologiche
la
goffa
vicenda
di
Toller
,
i
suoi
sfocati
conflitti
,
il
suo
manicheismo
da
cartellone
.
E
nella
parade
-
allée
del
finale
ci
si
presentano
con
fuciletti
e
corazze
e
manopole
da
gladiatori
,
da
spartachi
,
forse
alludendo
allo
spartachismo
.
Schinieri
di
latta
e
bracciali
da
Darix
Togni
il
regista
affibbia
in
certi
punti
anche
a
Hinkemann
-
Homunculus
.
Nella
pendula
e
mogia
interpretazione
di
Ernesto
Colli
il
personaggio
assomiglia
,
non
tanto
a
un
«
orso
tedesco
»
,
a
una
disperata
larva
dell
'
espressionismo
,
quanto
a
uno
stanco
fachiro
di
Porta
Portele
,
la
faccia
esangue
e
tagliente
come
una
scure
,
capelli
lunghi
da
nazzareno
.
Rouault
ci
ha
avvertiti
nei
suoi
dipinti
della
parentela
tra
Cristo
e
i
pagliacci
.
Per
dilatare
l
'
equivalenza
Hinkemann
-
Cristo
accennata
da
Toller
,
il
regista
fa
sì
che
il
suo
primo
attore
si
collochi
sulla
ribalta
come
su
un
golgota
,
con
le
braccia
aperte
come
su
una
croce
,
spennacchiato
,
deserto
,
nella
conoide
luce
di
zafferano
.
Ci
aspettavamo
che
la
desolata
confessione
dell
'
eunuco
assumesse
un
'
irruenza
vocale
così
lacerante
da
disgradare
il
grido
di
gallo
del
professor
Unrat
nell
'
Angelo
azzurro
.
Ma
gli
interpreti
tutti
parlano
a
fior
di
labbra
,
bisbigliano
,
perdono
continuamente
la
voce
,
come
le
lumache
la
bava
.
E
del
resto
la
trascrizione
in
chiave
funambola
disperde
molti
elementi
fondamentali
del
testo
:
la
mascherata
degli
invalidi
con
organetti
,
la
simbologia
che
raccorda
la
perdita
del
piffero
con
l
'
acquisto
della
veggenza
,
l
'
allucinazione
ed
il
gusto
del
deforme
,
che
accostano
le
retoriche
apocalissi
di
Toller
alle
pitture
di
Frans
Masereel
e
di
Otto
Dix
.
Quando
smette
gli
sbalzi
e
le
capriuole
del
circo
,
la
recitazione
si
allenta
in
cadenze
dormigliose
e
svogliate
a
malapena
adombrando
il
rancore
che
intride
l
'
avvilimento
,
la
nausea
che
nasce
dall
'
esser
scherniti
,
lo
strazio
di
un
'
indifesa
ridicolaggine
.
Ciò
non
vuol
dire
però
che
lo
spettacolo
sia
magro
di
ghiotte
trovate
.
Grete
Hinkemann
(
Saviana
Scalfi
)
all
'
inizio
si
stende
,
come
inchiodata
,
sulla
ruota
che
gira
,
variante
della
«
rete
»
di
cui
parla
Toller
,
e
alla
fine
,
forse
per
significare
una
derisoria
gravidanza
,
viene
ostentando
,
ripulsivo
impasto
di
ginecologia
e
baraccone
,
enormi
mammelle
di
gomma
,
un
ventre
sfoggiato
,
due
lombi
badiali
.
Con
quell
'
obeso
costume
di
ciambelle
verdognole
,
con
quei
gonfiori
da
manichino
del
teatro
di
Schlemmer
e
da
pupazzo
della
Michelin
,
la
guitta
Grete
del
luna
-
park
di
borgata
,
la
saltatrice
lasciva
diventa
l
'
idropica
ipòstasi
di
una
scurrile
maternità
derelitta
.
E
ti
sembra
d
'
un
tratto
che
la
sua
enfiata
figura
condensi
tutti
i
drammi
d
'
alcova
che
lievitano
nei
casamenti
spettrali
dello
squallido
rione
di
Centocelle
,
dove
lo
scantinato
di
questo
teatrino
si
inselva
.
Non
conosce
alberi
Centocelle
.
Sono
andato
a
cercarli
altrove
,
sotto
il
tendone
del
Teatro
libero
nel
Circo
al
colle
Oppio
,
dove
si
recita
,
nella
regia
di
Armando
Pugliese
,
Il
barone
rampante
di
Calvino
.
Fantasticavo
di
trovarvi
una
delle
calvinesche
«
città
invisibili
»
,
una
Magnolia
,
un
'
Arbòrea
fogliosa
,
e
invece
mi
ha
accolto
una
dura
carpenteria
,
un
anello
di
ruvidi
e
inospiti
ceppi
,
tra
le
cui
forcelle
si
snoda
un
aereo
sentiero
,
come
una
pista
di
go
-
kart
.
Su
quel
cerchio
pensile
corrono
Cosimo
e
gli
altri
personaggi
invasati
da
dendropatia
e
tarzanismo
.
Ma
per
i
loro
scambietti
e
duelli
ed
inseguimenti
gli
interpreti
dispongono
anche
di
tre
piattaforme
e
della
pista
centrale
,
il
che
permette
un
assiduo
mutamento
di
luogo
e
procura
dei
bei
torcicolli
.
Le
idee
ronconiane
hanno
prosperato
diversi
congegni
:
da
questa
nocchiuta
alberatura
alle
mansioni
del
Grand
Magic
Circus
di
Jérôme
Savary
.
Nella
girandola
del
colle
Oppio
,
frammezzo
agli
spettatori
appollaiati
come
galline
su
trespoli
,
una
sfrenata
e
agilissima
compagnia
di
saltimbanchi
in
polpe
,
livree
,
crinoline
,
tricorni
,
parrucche
traduce
in
una
farsa
frenetica
l
'
adorabile
libro
,
purtroppo
stracciandone
l
'
esile
filigrana
.
In
quel
patassio
le
settecentesche
figure
si
riducono
a
concitate
macchiette
da
varietà
di
provincia
.
Questa
non
è
la
fiabesca
villa
di
Ombrosa
,
ma
una
qualsiasi
Massa
Lubrense
in
autunno
.
Come
accade
oggi
in
molti
teatrini
,
anche
sul
colle
Oppio
la
sostanza
verbale
si
soffoca
con
sovrattoni
,
con
strilli
,
con
putiferi
.
Non
basta
urlare
come
pirati
all
'
assalto
di
un
castello
pugliese
,
bisogna
vezzeggiar
la
parola
.
Non
basta
far
chiasso
,
perché
nasca
l
'
incanto
della
pagliacceria
.