StampaQuotidiana ,
Com
'
è
giusto
,
la
nostra
stampa
ha
dedicato
molta
attenzione
al
discorso
tenuto
da
Berlinguer
al
congresso
del
Pcus
a
Mosca
.
Qualcuno
ci
ha
visto
una
coraggiosa
presa
di
posizione
per
una
«
via
italiana
al
socialismo
»
;
qualche
altro
un
ben
concertato
«
giuoco
delle
parti
»
fra
i
nostri
dirigenti
e
quelli
moscoviti
per
facilitare
la
conquista
del
potere
in
Italia
.
Noi
non
abbiamo
elementi
per
pronunciarci
.
Ci
contentiamo
di
una
notazione
che
va
alquanto
al
di
là
delle
circostanze
,
ma
che
ci
sembra
condizionarle
.
Nel
dibattito
sempre
più
largo
e
,
purtroppo
,
sempre
più
attuale
sulla
«
questione
comunista
»
è
finora
mancata
,
mi
pare
,
la
dimensione
storica
.
Si
è
molto
discusso
della
nuova
politica
delle
alleanze
del
Pci
e
,
sul
piano
ideologico
,
si
è
cercato
di
precisare
in
che
senso
si
possa
parlare
in
termini
nuovi
(
rispetto
alla
tradizione
leninista
)
dei
rapporti
tra
i
concetti
di
socialismo
e
di
democrazia
.
Ma
,
sebbene
l
'
auspicato
compromesso
sia
detto
«
storico
»
non
si
è
cercato
di
vedere
seriamente
in
che
misura
la
nuova
impostazione
berlingueriana
sia
coerente
con
la
visione
della
storia
del
nostro
paese
sulla
quale
il
Pci
ha
cercato
di
fondare
la
sua
strategia
e
di
giustificare
la
sua
funzione
nel
paese
.
La
prospettiva
di
Gramsci
era
la
rivoluzione
degli
operai
e
di
contadini
come
sbocco
ultimo
e
risolutivo
delle
secolari
contraddizioni
della
storia
italiana
.
Nella
spaccatura
fra
città
e
campagna
,
Gramsci
aveva
visto
il
limite
più
grave
della
rivoluzione
comunale
;
ed
essa
a
suo
giudizio
era
stata
alla
radice
della
ritardata
formazione
dello
Stato
nazionale
in
Italia
,
del
carattere
cosmopolitico
e
non
nazionale
della
cultura
italiana
,
della
mancata
rivoluzione
agraria
,
che
aveva
privato
il
Risorgimento
del
significato
radicale
e
«
giacobino
»
che
era
stato
proprio
della
Rivoluzione
francese
.
Lo
stesso
antagonismo
tra
Nord
e
Sud
,
in
questo
quadro
,
si
configurava
in
termini
di
contrapposizione
tra
città
e
campagna
.
Responsabili
di
tutto
questo
erano
le
tare
storiche
della
borghesia
e
in
genere
della
classe
dirigente
italiana
antesignane
della
rivoluzione
antifeudale
e
tuttavia
incapaci
di
portarla
sino
in
fondo
.
Il
revisionismo
gramsciano
degli
anni
sessanta
ha
contestato
duramente
l
'
ispirazione
«
meridionalista
»
e
«
contadina
»
di
queste
tesi
:
ma
si
è
trattato
in
genere
di
una
revisione
da
sinistra
,
volta
a
recuperare
,
al
di
là
della
politica
gramsciana
della
alleanze
,
le
condizioni
di
una
rivoluzione
proletaria
e
classista
.
Che
è
il
contrario
dell
'
impostazione
berlingueriana
,
protesa
alla
ricerca
di
nuove
alleanze
,
non
più
con
i
contadini
spazzati
via
dal
miracolo
economico
,
ma
con
i
ceti
medi
gli
intellettuali
e
una
parte
della
borghesia
imprenditoriale
.
Che
cosa
rimane
in
questa
impostazione
,
dell
'
originario
rapporto
con
la
visione
dell
'
irreparabile
arretratezza
della
società
italiana
,
superabile
solo
attraverso
una
rottura
rivoluzionaria
?
Si
dirà
che
il
Pci
guarda
a
un
rivolgimento
democratico
nei
metodi
ma
rivoluzionario
negli
obiettivi
:
ma
l
'
ammissione
che
i
grandi
problemi
della
società
italiana
siano
risolubili
per
via
democratica
è
già
una
negazione
della
premessa
gramsciana
.
L
'
obiettivo
di
controllare
democraticamente
i
problemi
derivanti
dallo
sviluppo
industriale
,
di
superare
il
permanente
ritardo
delle
campagne
,
di
assicurare
alla
classe
lavoratrice
un
peso
accresciuto
nella
direzione
dello
Stato
e
della
società
,
è
un
obiettivo
comune
a
tutti
i
partiti
socialisti
dei
paesi
avanzati
:
e
soltanto
nei
paesi
avanzati
il
processo
democratico
ha
raggiunto
l
'
ampiezza
necessaria
ad
assicurare
la
realizzazione
di
una
politica
di
grandi
trasformazioni
senza
traumi
e
senza
crisi
di
regime
.
Chi
ricorda
l
'
insistenza
di
Togliatti
sull
'
inevitabilità
della
reazione
fascista
come
ultimo
atto
della
risposta
borghese
all
'
avanzata
proletaria
può
misurare
quale
distanza
corra
fra
quelle
posizioni
e
la
prospettiva
democratico
-
pluralista
di
stampo
berlingueriano
.
Ammettere
che
questo
sia
possibile
in
Italia
significa
riconoscere
che
la
società
italiana
ha
raggiunto
le
dimensioni
di
una
grande
società
moderna
,
atta
a
risolvere
nel
quadro
democratico
i
suoi
problemi
:
e
dunque
relegare
in
soffitta
la
rottura
rivoluzionaria
che
Gramsci
teorizzava
come
inevitabile
.
Ma
con
essa
occorrerà
abbandonare
anche
la
visione
gramsciana
della
storia
d
'
Italia
,
sostenuta
e
sviluppata
in
un
trentennio
di
studi
dalla
cultura
di
sinistra
,
la
cui
logica
interna
appare
irrimediabilmente
compromessa
quando
essa
viene
amputata
delle
sue
conclusioni
storico
-
politiche
.
Senza
questa
revisione
ampia
e
certo
dolorosa
,
il
compromesso
storico
,
la
politica
delle
alleanze
,
la
rinuncia
alla
dittatura
del
proletariato
conservano
,
malgrado
le
indubbie
qualità
oratorie
di
Berlinguer
,
un
carattere
di
precarietà
che
le
abbassa
al
livello
di
espedienti
propagandistici
a
breve
termine
sempre
rinnegabili
quando
abbiano
esaurito
la
loro
utilità
.
Un
'
operazione
alle
cui
spalle
resta
una
visione
della
storia
del
paese
in
pieno
contrasto
con
gli
obiettivi
che
la
politica
dichiara
di
perseguire
è
poco
credibile
.
E
non
sembra
che
di
questa
contraddizione
la
cultura
di
sinistra
abbia
finora
preso
seria
coscienza
.