StampaQuotidiana ,
La
morte
di
massa
ha
un
tanfo
dolciastro
,
quasi
speziato
,
di
terra
,
sudore
,
pelli
e
fiori
che
fermentano
.
Era
fatale
che
ci
prendesse
alla
gola
dopo
tre
mesi
di
guerra
"
pulita
"
,
stellare
,
televisiva
.
Ora
,
è
importante
che
quell
'
odore
ci
si
stampi
nelle
narici
.
È
la
sola
cosa
capace
di
perforare
la
nostra
incredulità
,
la
rimozione
,
il
rifiuto
;
l
'
unica
breccia
nella
nostra
memoria
corta
.
In
mezzo
a
troppi
fotogrammi
,
è
l
'
unico
messaggio
dei
sensi
ancora
capace
di
dirci
che
è
tutto
vero
.
Ci
venne
addosso
per
la
prima
volta
a
Vukovar
,
nel
novembre
di
otto
anni
fa
.
Ci
aggredì
all
'
indomani
della
prima
ecatombe
europea
dopo
il
1945
.
E
richiamò
sul
Danubio
tutti
i
corvi
della
pianura
.
La
morte
ci
insegue
da
allora
,
sempre
con
gli
stessi
miasmi
.
Eppure
,
da
allora
a
ogni
fossa
che
si
riapre
,
abbiamo
sempre
bisogno
di
chiedere
se
davvero
è
accaduto
,
di
sentirci
dire
che
è
un
brutto
sogno
.
Forse
,
nel
momento
in
cui
si
gettano
i
fondamenti
della
Nuova
Europa
,
abbiamo
paura
di
riconoscere
in
quelle
fosse
un
po
'
di
noi
stessi
,
i
buchi
neri
di
un
passato
ancestrale
che
le
nostre
raffinate
diplomazie
si
ostinano
a
ritenere
sepolto
.
Dimentichiamo
che
le
tombe
di
massa
fanno
parte
della
nostra
memoria
profonda
,
dell
'
immaginario
e
persino
del
paesaggio
di
questo
nostro
continente
.
L
'
Europa
cammina
,
senza
saperlo
,
su
montagne
di
cadaveri
.
A
Verdun
o
in
altri
luoghi
del
fronte
occidentale
,
impercettibili
rigonfiamenti
indicano
ancora
i
tumuli
di
caduti
senza
nome
.
In
Polonia
e
dintorni
,
spesso
gli
unici
dislivelli
sono
segni
di
morte
.
Simon
Shama
,
professore
di
storia
alla
Columbia
University
e
autore
del
libro
"
Paesaggio
e
memoria
"
,
racconta
dei
"
Kopicc
"
,
montagnole
erbose
panoramiche
,
le
uniche
a
sollevarsi
sopra
la
cupa
muraglia
della
più
antica
foresta
d
'
Europa
,
sopra
i
fiumi
,
le
cicogne
,
le
radure
e
i
comignoli
.
Dalla
Vistola
allo
Yemen
,
punteggiano
la
pianura
fino
al
lontano
orizzonte
.
Gli
innamorati
che
vi
si
baciano
non
sanno
che
sono
tumuli
anch
'
esse
,
terra
portata
da
lontano
a
ricordo
dei
Caduti
.
In
Lituania
la
topografia
della
morte
di
massa
è
segnata
da
una
miriade
di
avvallamenti
sparsi
nei
boschi
.
Dislivelli
di
pochi
centimetri
,
un
metro
al
massimo
.
Segnano
una
delle
pagine
più
dimenticate
della
"
Shoah
"
.
Sotto
,
sono
sepolti
migliaia
di
ebrei
.
Per
anni
,
raccontano
,
la
terra
ha
continuato
a
gonfiarsi
,
a
sfiatare
,
persino
a
illuminare
la
notte
di
pallidi
fuochi
.
Poi
i
corpi
han
trovato
pace
e
la
terra
ha
cominciato
a
cedere
,
disegnando
il
perimetro
della
mattanza
con
impressionante
fedeltà
.
"
Sono
luoghi
terribili
perché
inseriti
in
una
campagna
dolcissima
"
racconta
lo
scrittore
Livio
Sirovich
che
li
ha
percorsi
alla
ricerca
della
famiglia
materna
.
Dice
:
"
Senti
come
quelle
morti
,
lontane
da
un
contesto
cimiteriale
,
abbiano
violentato
un
equilibrio
naturale
vecchio
di
millenni
"
.
Viaggi
verso
Sud
e
ti
accorgi
che
la
dolce
Mitteleuropa
,
con
la
sua
propaggine
balcanica
,
continua
instancabilmente
a
vomitare
morte
,
a
rivelare
fosse
comuni
e
a
delineare
,
con
esse
,
la
geografia
di
un
mondo
multinazionale
destinato
a
implodere
all
'
infinito
,
devastato
com
'
è
dai
nazionalismi
e
dalla
sua
incapacità
di
approdo
a
un
senso
moderno
della
cittadinanza
.
"
Le
fosse
comuni
,
le
stragi
di
oggi
,
emergono
da
questo
retroterra
,
sono
figlie
della
logica
del
sangue
e
del
suolo
applicata
a
un
mondo
dove
ogni
confine
diventa
ingiustizia
"
,
conviene
lo
storico
Giampaolo
Valdevit
,
specialista
della
Questione
Orientale
.
Una
storia
infinita
,
il
segno
di
una
maledizione
dove
il
tempo
sembra
non
avere
più
senso
.
In
queste
stesse
ore
in
cui
si
svelano
gli
orrori
del
Kosovo
,
si
spalancano
in
Slovenia
fosse
comuni
del
1945
,
si
scoprono
presso
Maribor
i
corpi
di
quindicimila
paramilitari
anticomunisti
jugoslavi
in
fuga
da
Tito
e
a
Tito
ignominiosamente
riconsegnati
dagli
inglesi
.
In
Bosnia
,
sulla
riva
sinistra
della
Drina
,
le
fosse
comuni
non
ancora
richiuse
continuano
a
sbadigliare
i
loro
miasmi
come
enormi
,
selvagge
sale
anatomiche
a
cielo
aperto
.
E
mentre
nei
sotterranei
di
Tuzla
migliaia
di
corpi
senza
nome
stanno
lì
da
due
anni
,
allineati
dentro
sacchi
bianchi
,
nell
'
attesa
inutile
che
qualcuno
li
riconosca
e
li
possa
seppellire
,
gli
abissi
delle
foibe
-
a
cinquant
'
anni
di
distanza
dagli
eccidi
-
dividono
ancora
le
memorie
di
sloveni
,
croati
e
italiani
,
permanendo
esse
il
simbolo
dell
'
insulto
estremo
verso
la
morte
dell
'
"
altro
"
,
ridotto
a
spazzatura
,
immondizia
da
discarica
.
In
una
guerra
costruita
sulla
rievocazione
dei
morti
delle
guerre
precedenti
,
è
fatale
che
i
morti
di
oggi
tornino
e
diventino
a
loro
volta
atto
d
'
accusa
e
rivalsa
.
Come
i
corpi
delle
vittime
dei
croati
motivarono
dopo
mezzo
secolo
la
rivolta
serba
del
'91
contro
Zagabria
,
così
oggi
i
corpi
albanesi
disseppelliti
in
Kosovo
sembrano
togliere
ai
serbi
ogni
possibilità
di
ritorno
nella
terra
dei
loro
antenati
.
Quelle
fosse
comuni
dicono
che
a
Belgrado
il
Campo
dei
Merli
rischia
di
essere
perduto
per
sempre
,
che
la
Gerusalemme
serba
potrebbe
restare
in
mano
straniera
in
modo
assai
più
definitivo
che
dopo
la
sconfitta
patita
sei
secoli
fa
per
mano
ottomana
.
E
allora
ci
si
chiede
:
che
senso
ha
avuto
consegnare
alla
comunità
internazionale
prove
così
schiaccianti
dell
'
abominio
?
Cosa
c
'
è
dietro
la
scelta
di
questo
suicidio
di
un
'
intera
reputazione
nazionale
?
Quale
senso
della
realtà
esiste
in
un
apparato
politico
che
tenta
di
spacciare
al
suo
popolo
l
'
illusione
di
una
folgorante
vittoria
al
punto
da
negare
persino
l
'
esistenza
dei
propri
caduti
?
Forse
,
Milosevic
sperava
che
il
Mondo
-
grato
del
suo
ritiro
dalle
terre
del
Sud
-
fingesse
di
non
vedere
,
come
dopo
la
strage
di
Srebrenica
in
Bosnia
,
vigilia
della
pace
di
Dayton
.
Ma
questo
non
spiega
come
mai
Belgrado
oggi
occulti
i
propri
morti
-
che
sono
sicuramente
migliaia
-
proprio
nel
momento
in
cui
si
scoprono
le
tombe
del
"
nemico
"
.
Perché
i
soldati
serbi
caduti
sul
campo
,
contro
l
'
Uck
o
sotto
le
bombe
Nato
,
sono
stati
sepolti
quasi
di
nascosto
?
Quale
rapporto
con
la
morte
scatta
nella
testa
di
un
Capo
che
ha
fondato
tutto
il
suo
potere
sulla
mitologia
di
una
sconfitta
,
quella
del
Principe
Lazar
,
ucciso
secoli
fa
dai
Turchi
appunto
in
Kosovo
?
I
corpi
che
escono
in
queste
ore
dalla
terra
dei
Balcani
pongono
l
'
ultima
domanda
:
quale
delirio
,
quale
smania
di
autodissoluzione
può
avere
spinto
la
Serbia
in
quest
'
avventura
senza
ritorno
?