StampaQuotidiana ,
"
Quando
lo
ammazzi
,
il
maiale
scalcia
dappertutto
"
.
Ljubomir
,
53
anni
,
profugo
serbo
in
Ungheria
,
risponde
senza
pensarci
un
attimo
alla
domanda
se
davvero
arriverà
la
pace
.
Tramonta
il
sole
sul
Danubio
e
,
per
rendere
l
'
idea
,
l
'
uomo
mima
l
'
agonia
dell
'
animale
tirando
all
'
aria
pugni
e
calci
tremendi
.
Il
maiale
come
metafora
è
molto
usato
nei
Balcani
,
con
varianti
sinistre
.
A
Srebrenica
,
nel
'95
,
per
spiegare
ai
Caschi
blu
olandesi
che
la
città
era
presa
,
il
generale
Ratko
Mladic
-
prima
di
dedicarsi
alla
liquidazione
di
ottomila
musulmani
-
fece
scannare
un
porco
e
lo
appese
a
un
albero
come
ammonizione
.
Ai
nostri
dubbi
sul
futuro
dell
'
area
,
i
balcanici
rispondono
spesso
con
saggezza
contadina
.
Ljubo
è
membro
attivo
dell
'
opposizione
democratica
e
il
suo
concetto
è
tagliente
.
Primo
:
il
sacrificio
s
'
ha
da
fare
,
o
non
se
ne
esce
.
Secondo
:
il
sangue
schizzerà
intorno
,
toccherà
i
Paesi
vicini
.
Spiega
:
"
La
vostra
civiltà
delle
bombe
intelligenti
deve
ancora
capire
che
non
ci
sono
guerre
etiche
,
che
ci
sono
lavori
in
cui
è
impossibile
restare
puliti
"
.
Poi
torna
al
maiale
:
"
L
'
agonia
-
dice
-
è
il
momento
più
pericoloso
"
.
Pochi
anni
fa
,
uno
scrittore
serbo
già
ammoniva
:
per
uccidere
il
vampiro
puoi
solo
piantargli
un
paletto
nello
sterno
.
Ma
non
dimenticare
che
reagirà
con
vitalità
inattesa
.
Se
pensasse
solo
al
sacrificio
del
Capo
supremo
,
Milosevic
,
Ljubo
non
parlerebbe
di
maiali
ma
di
capri
espiatori
.
Lui
pensa
a
ciò
che
sta
dietro
al
Capo
,
ai
privilegiati
del
feudalesimo
comunista
che
hanno
trascinato
al
suicidio
una
nazione
intera
solo
per
conservare
il
potere
.
Sa
che
oltre
ai
veleni
,
la
propaganda
,
i
trucchi
,
i
silenzi
e
i
camaleontismi
del
Boss
c
'
è
un
sistema
malato
capace
di
tutto
.
È
ciò
che
resta
della
"
Nuova
classe
"
identificata
già
negli
anni
Sessanta
da
Milovan
Djilaa
,
il
delfino
di
Tito
:
quella
dei
burocrati
-
ladri
.
Ecco
allora
i
maiali
,
gli
stessi
di
Orwell
ne
"
La
fattoria
degli
animali
"
.
Per
spazzarli
via
,
il
lavoro
sarà
lungo
e
difficile
.
Quanto
durerà
?
"
Due
anni
,
forse
più
"
.
Il
serbo
gela
senza
esitazioni
le
speranze
dell
'
Europa
.
"
Quelli
faranno
di
tutto
per
restare
.
I
più
furbi
si
trasformeranno
in
democratici
.
I
peggiori
,
invece
,
incendieranno
uno
alla
volta
il
Montenegro
,
la
Vojvodina
,
il
Sangiaccato
.
E
alla
fine
,
quando
non
ci
sarà
più
niente
da
buttare
all
'
aria
,
metteranno
i
serbi
contro
i
serbi
.
Non
so
se
l
'
Occidente
saprà
gestire
questo
casino
e
imporre
una
democrazia
reale
.
Forse
lascerà
che
la
Serbia
scompaia
dalla
carta
geografica
.
Per
questo
me
ne
vado
e
non
torno
più
"
.
Il
nome
Ljubomir
significa
:
"
Colui
che
ama
la
pace
"
.
Un
'
intera
generazione
di
jugoslavi
ebbe
nomi
simili
dopo
il
'45
.
Branimir
,
"
Il
difensore
della
pace
"
;
Zivomir
,
"
Viva
la
pace
"
;
Mirna
,
"
La
pacifica
"
;
Miroslava
,
"
Colei
che
celebra
la
pace
"
.
A
giudicare
dai
battesimi
,
nessun
popolo
europeo
ha
bramato
la
pace
come
gli
jugoslavi
nel
dopoguerra
.
Eppure
,
proprio
in
quel
dopoguerra
si
gettarono
le
basi
del
conflitto
di
oggi
.
La
retorica
esistenziale
della
fratellanza
e
unità
sommerse
tutto
:
ieri
impedì
il
riesame
critico
delle
stragi
etniche
tra
jugoslavi
e
oggi
ha
consentito
ai
nazionalisti
di
riempire
di
veleni
il
grande
vuoto
di
quella
rimozione
.
Anche
i
nomi
propri
della
pace
nascono
da
una
grande
rimozione
?
Forse
,
essi
non
erano
solo
auspicio
e
scaramanzia
,
ma
anche
il
segno
di
una
paura
inconfessata
:
quella
che
gli
slavi
hanno
di
se
medesimi
,
della
parte
buia
della
loro
anima
.
Nessuno
teme
i
balcanici
come
i
balcanici
stessi
.
Scrive
il
romeno
Emil
Cioran
:
in
noi
c
'
è
"
il
gusto
della
devastazione
,
del
disordine
interno
,
di
un
universo
simile
a
un
bordello
in
fiamme
"
.
Senza
contare
"
quella
prospettiva
sardonica
sui
cataclismi
avvenuti
o
imminenti
,
quell
'
asprezza
,
quel
far
niente
da
insonne
o
da
assassino
...
"
.
E
il
serbo
-
ungherese
Danilo
Kis
intravvide
nel
Paese
profondo
un
nucleo
minoritario
-
ma
devastante
e
inestirpabile
-
di
aggressività
.
Scrisse
:
"
È
vero
,
siamo
primitivi
,
ma
essi
sono
selvaggi
;
se
noi
ci
ubriachiamo
,
essi
sono
alcolizzati
;
se
noi
uccidiamo
,
essi
sono
tagliagole
"
.
"
Oggi
-
racconta
Ljubo
-
comunque
vada
a
finire
,
i
miei
nipoti
non
avranno
quei
nomi
.
In
Bosnia
ho
visto
troppi
assassini
chiamati
come
angeli
"
.
E
poi
,
si
chiede
il
serbo
,
come
può
esserci
pace
se
non
c
'
è
mai
stata
una
guerra
?
Nelle
guerre
vere
gli
eserciti
si
scontrano
in
battaglie
campali
.
Dopo
la
catarsi
finale
-
ha
scritto
l
'
albanese
Kadaré
-
esse
emettono
misteriosamente
un
"
bang
"
di
energia
positiva
,
da
cui
nasce
la
ricostruzione
.
Nei
Balcani
,
stavolta
,
non
andrà
così
.
C
'
è
stato
solo
un
latrocinio
infinito
,
un
pauroso
accumulo
di
energia
negativa
.
Una
miscela
esplosiva
fatta
di
stanchezza
,
disillusione
,
avvilimento
e
paura
.
E
nelle
scuole
i
libri
di
storia
già
inoculano
nei
bambini
letali
pregiudizi
etnici
forieri
di
nuove
instabilità
.
"
La
guerra
è
niente
-
taglia
corto
l
'
uomo
-
il
peggio
comincia
dopo
.
Vedrete
"
.
A
Sarajevo
,
nell
'
ora
viola
in
cui
le
rondini
si
calano
dal
monte
Trebevic
e
fanno
ressa
attorno
ai
minareti
,
Jasna
,
quarantacinquenne
professoressa
di
matematica
senza
lavoro
,
non
esce
più
con
le
amiche
al
caffè
.
Non
è
solo
perché
non
ha
più
soldi
per
pagarselo
.
È
anche
perché
non
sopporta
i
nuovi
avventori
.
I
ristoranti
sono
pieni
sempre
della
stessa
gente
.
Solo
stranieri
:
soldati
americani
imbottiti
di
valuta
,
spocchiosi
e
superpagati
funzionari
di
organizzazioni
internazionali
,
operatori
umanitari
governativi
col
loro
carico
di
elemosine
,
diplomatici
con
le
loro
corti
,
retroguardie
di
giornalisti
-
guardoni
.
Niente
sarajevesi
nell
'
allegra
brigata
;
tranne
la
solita
corte
di
belle
ragazze
in
cerca
di
dollari
e
compagnia
.
Jasna
sa
che
in
Bosnia
non
si
spara
da
quasi
quattro
anni
,
ma
sa
anche
che
questa
pace
le
fa
schifo
.
È
peggiore
della
guerra
.
A
Sarajevo
,
la
guerra
di
resistenza
aveva
esaltato
,
per
un
po
'
,
almeno
l
'
identità
del
luogo
.
Mai
essa
aveva
umiliato
la
città
come
questa
pace
paradossale
fra
separati
in
casa
che
trasforma
la
Bosnia
in
una
colonia
e
i
bosniaci
in
zulù
.
"
Sono
situazioni
-
dice
-
che
eccitano
i
fondamentalismi
più
delle
bombe
"
.
Il
piano
Marshall
non
è
mai
arrivato
e
Jasna
ha
perso
il
lavoro
;
parla
sei
lingue
,
ma
farebbe
carte
false
per
pelar
patate
per
il
battaglione
francese
o
per
la
guarnigione
italiana
.
Decine
di
professionisti
alla
fame
rispondono
ogni
giorno
alle
inserzioni
di
chiunque
prometta
un
visto
e
improbabili
lavori
all
'
estero
,
raccontando
al
telefono
la
loro
miseria
personale
.
Mi
dice
:
"
Non
è
difficile
,
da
Sarajevo
,
capire
come
sarà
la
pace
a
Belgrado
.
Con
o
senza
Milosevic
al
potere
,
con
o
senza
le
bombe
della
Nato
,
il
prossimo
inverno
i
serbi
moriranno
.
Il
fiato
della
Sava
se
li
porterà
via
come
mosche
,
senza
che
i
giornalisti
scrivano
un
rigo
.
Finita
la
guerra
,
finirà
anche
l
'
interesse
"
.
Osserva
:
cosa
può
fare
un
Paese
senza
soldi
,
senza
energia
,
senza
vie
di
comunicazione
,
senza
infrastrutture
,
senza
classe
dirigente
?
Le
chiedo
:
e
i
profughi
albanesi
quando
torneranno
?
Risponde
:
"
In
Bosnia
non
è
tornato
quasi
nessuno
.
Anzi
,
l
'
esodo
continua
.
Il
Kosovo
è
ancora
peggio
:
resterà
a
lungo
terra
desolata
,
luogo
di
bande
armate
.
Ci
vorranno
dieci
anni
almeno
per
rifare
quello
che
è
stato
distrutto
in
tre
mesi
"
.
Torneranno
gli
albanesi
?
Lentamente
,
ma
torneranno
.
"
Il
tempo
è
dalla
nostra
"
disse
già
dieci
anni
fa
un
mite
"
mullah
"
di
Pristina
,
mentre
la
polizia
di
Milosevic
bastonava
selvaggiamente
donne
e
bambini
in
corteo
.
Non
disse
che
gli
albanesi
avevano
dalla
loro
anche
il
numero
,
la
demografia
;
non
disse
che
il
"
genocidio
"
denunciato
dai
serbi
era
l
'
amplificazione
politica
una
reale
soppressione
biologica
.
"
Vinceremo
col
pene
!
"
gridavano
già
allora
i
più
estremi
degli
studenti
kosovari
,
annunciando
che
avrebbero
cacciato
i
serbi
solo
facendo
figli
,
senza
imbracciare
le
armi
.
È
finita
in
tragedia
.
Ma
oggi
gli
albanesi
hanno
dalla
loro
altre
armi
in
più
:
l
'
appoggio
della
Nato
,
un
piccolo
esercito
e
l
'
incrollabile
determinazione
a
tornare
in
una
terra
che
considerano
,
ormai
,
soltanto
loro
.
I
pochi
serbi
rimasti
in
Kosovo
lo
sanno
bene
,
e
la
loro
fuga
è
già
cominciata
.
Sanno
che
arriverà
la
resa
dei
conti
,
che
nessuna
forza
internazionale
potrà
proteggerli
dalle
rappresaglie
e
da
un
nazionalismo
-
quello
albanese
-
sì
meno
esplicito
,
meno
truculento
e
visibile
,
ma
certamente
non
meno
implacabile
di
quello
di
Belgrado
.
Così
,
oggi
,
dopo
essere
stati
gonfiati
di
mitologia
,
ubriacati
di
politica
,
affiancati
da
bande
criminali
e
trascinati
in
uno
scontro
suicida
,
gli
uomini
che
invocarono
il
nuovo
salvatore
del
popolo
serbo
si
preparano
come
sei
secoli
fa
a
un
altro
tradimento
,
a
una
nuova
fuga
dal
Kosovo
,
forse
definitiva
.
Dove
andranno
nessuno
sa
,
visto
che
il
loro
Paese
non
può
mantenerli
.
Saranno
,
probabilmente
,
il
prossimo
problema
dell
'
Europa
.
Si
avvicina
intanto
una
data
fatale
:
il
28
giugno
,
anniversario
della
sconfitta
di
Kosovo
Polje
(
1389
)
e
di
tante
disgrazie
serbe
.
Dieci
anni
fa
,
su
quel
campo
di
battaglia
Milosevic
annunciava
a
un
milione
di
uomini
che
l
'
ora
della
riscossa
era
tornata
.
Ha
mantenuto
la
promessa
a
metà
:
la
Terra
dei
merli
è
vuota
di
albanesi
,
ma
non
c
'
è
nessuna
riscossa
da
celebrare
perché
anche
i
serbi
se
ne
vanno
.
Chi
conosce
Milosevic
sa
che
guarda
alle
ricorrenze
in
modo
superstizioso
e
maniacale
.
E
sa
che
,
non
potendo
vivere
un
trionfo
,
potrebbe
usare
il
28
giugno
anche
per
santificare
un
esodo
,
drammatizzare
una
sconfitta
solo
per
farla
entrare
nel
mito
come
quella
del
1389
.
Slobo
,
figlio
di
genitori
suicidi
,
potrebbe
anche
scegliere
quel
giorno
per
sigillare
a
suo
modo
un
suicidio
nazionale
durato
dieci
anni
.