StampaQuotidiana ,
Mi
allontano
oggi
dal
«
Corriere
»
,
in
un
momento
affannoso
e
drammatico
della
vita
italiana
,
momento
che
vede
in
discussione
equilibri
e
convinzioni
radicate
.
Il
giornale
cui
ho
dedicato
ogni
mia
forza
per
oltre
quattro
anni
difficili
,
il
giornale
costruito
con
lo
slancio
solidale
e
l
'
impegno
appassionato
di
tutta
la
redazione
,
è
affidato
al
giudizio
dei
lettori
aumentati
,
dal
1968
,
e
in
misura
sensibile
,
nonostante
tre
scatti
di
prezzo
susseguitisi
nel
giro
di
poco
più
di
un
anno
.
È
stata
una
esperienza
fondata
su
quattro
direttrici
fondamentali
.
Le
riaffermo
oggi
,
nel
momento
del
congedo
,
non
tanto
come
mete
raggiunte
quanto
come
obiettivi
tenacemente
perseguiti
,
in
mezzo
a
difficoltà
inimmaginabili
,
ad
amarezze
infinite
.
*
*
*
Un
giornale
libero
,
sempre
:
nell
'
informazione
e
nel
commento
.
Geloso
della
sua
indipendenza
,
immune
da
influenze
o
comunque
da
suggestioni
esterne
.
Non
legato
a
centri
di
potere
,
franco
nella
critica
e
nel
dissenso
.
Amico
personale
del
presidente
Saragat
da
ventiquattro
anni
,
non
ho
esitato
ad
attaccare
il
disimpegno
del
'68
e
a
non
condividere
la
scissione
socialista
del
'69
,
attribuiti
l
'
uno
e
l
'
altra
,
a
ragione
o
a
torto
,
all
'
ex
capo
dello
Stato
.
Fautore
tenace
e
convinto
della
collaborazione
fra
laici
e
cattolici
come
sola
alternativa
al
disfacimento
della
democrazia
italiana
,
non
ho
lesinato
critiche
anche
durissime
agli
infelici
e
zoppi
governi
quadripartiti
che
hanno
caratterizzato
questa
infeconda
e
tormentata
legislatura
.
Durante
le
recenti
elezioni
per
la
presidenza
della
Repubblica
,
ho
tenuto
il
«
Corriere
»
al
di
fuori
di
ogni
preferenza
smaccata
e
sospetta
,
non
meno
che
di
ogni
ostracismo
pregiudiziale
e
infondato
.
Questo
giornale
è
qualcosa
più
di
un
grande
quotidiano
d
'
informazione
,
è
il
simbolo
stesso
della
civiltà
laica
e
democratica
del
nostro
paese
,
fondata
sulla
ragione
e
sulla
tolleranza
.
Ecco
perché
il
«
Corriere
»
si
è
coerentemente
battuto
in
questi
anni
,
nella
linea
di
separazione
fra
Chiesa
e
Stato
,
per
l
'
autonomia
del
potere
civile
in
ogni
occasione
,
dal
divorzio
al
referendum
,
pur
sforzandosi
di
non
offendere
mai
la
coscienza
dei
credenti
nei
punti
di
fede
,
che
valgono
più
di
tutti
i
compromessi
o
gli
armistizi
fra
i
potenti
.
Ed
ecco
perché
ha
patrocinato
una
linea
di
ferma
tutela
della
legalità
repubblicana
e
dello
Stato
di
diritto
sempre
minacciato
dalla
violenza
di
parte
,
ma
nell
'
ambito
della
Costituzione
e
al
di
fuori
di
ogni
seduzione
autoritaria
o
reazionaria
anche
mascherata
coi
comodi
schermi
dei
«
blocchi
d
'
ordine
»
o
delle
«
maggioranze
silenziose
»
.
Non
meno
che
con
le
fughe
nell
'
integralismo
,
magari
ammantato
con
l
'
efficienza
,
o
con
le
pseudo
-
riforme
costituzionali
.
*
*
*
Un
giornale
aperto
,
in
secondo
luogo
.
Non
più
dogmatico
,
non
più
categorico
,
non
più
chiuso
nella
fortezza
delle
sue
convinzioni
;
ma
disponibile
al
dialogo
,
pronto
alla
registrazione
di
tutte
le
voci
,
anche
molteplici
e
contraddittorie
,
della
società
civile
non
meno
che
delle
diverse
ideologie
.
Non
a
caso
la
formula
dei
dibattiti
e
delle
tavole
rotonde
,
che
tanti
consensi
ha
raccolto
,
è
entrata
in
questi
anni
al
giornale
:
senza
preclusioni
,
senza
discriminazioni
settarie
e
su
tutti
i
temi
,
dalla
contestazione
ai
diritti
civili
.
E
non
a
caso
ai
dibattiti
si
sono
alternate
le
grosse
inchieste
in
equide
,
basate
sul
lavoro
dei
più
illustri
e
dei
più
oscuri
,
senza
greche
né
gradi
:
come
l
'
indagine
sulle
regioni
consegnata
nei
volumi
di
Italia
settanta
.
*
*
*
Un
giornale
fondato
sulla
cooperazione
di
tutti
coloro
che
concorrono
alla
sua
costruzione
,
in
terzo
e
fondamentale
luogo
.
Non
era
una
impresa
facile
.
Il
mio
primo
obiettivo
fu
di
colmare
il
distacco
fra
le
figure
di
primo
piano
,
legate
alla
giusta
celebrità
della
firma
,
e
la
redazione
,
l
'
anonima
e
silenziosa
redazione
riunita
nella
stanza
leggendaria
descritta
da
Corrado
Alvaro
:
quella
che
è
la
forza
vera
,
e
irrinunciabile
,
di
un
giornale
.
Mi
sono
sforzato
,
come
ho
potuto
,
di
elevare
il
rango
della
redazione
,
di
aumentarne
il
prestigio
,
di
allargarne
la
funzione
operativa
nella
vita
quotidiana
del
«
Corriere
»
.
Senza
schemi
preconcetti
e
da
manuale
,
che
finiscono
spesso
in
paurose
smentite
.
Ma
col
desiderio
costante
e
mai
ammainato
di
un
rapporto
umano
,
di
una
comprensione
dei
problemi
e
di
una
conseguente
,
paziente
,
risoluzione
,
giorno
per
giorno
,
degli
infiniti
casi
che
a
un
direttore
si
pongono
.
Il
mio
più
caro
ricordo
,
in
quest
'
ora
di
distacco
dal
«
Corriere
»
è
nella
stanza
di
redazione
del
giornale
,
là
fra
i
colleghi
impegnati
al
controllo
dei
titoli
e
alla
valutazione
dei
testi
.
In
questo
spirito
si
colloca
l
'
epilogo
positivo
delle
trattative
condotte
dal
comitato
di
redazione
con
l
'
editore
per
la
fissazione
dei
«
diritti
»
dei
giornalisti
nella
vita
dell
'
impresa
e
nelle
future
nomine
dei
direttori
.
Una
trattativa
contro
la
procedura
che
ha
finito
per
toccare
questioni
di
sostanza
:
una
vera
e
propria
svolta
nel
giornalismo
italiano
.
Al
di
là
di
ogni
pur
legittima
rivendicazione
personale
che
è
stata
da
me
stesso
preventivamente
scartata
dopo
l
'
affettuosa
solidarietà
del
primo
giorno
,
le
conclusioni
di
via
Solferino
si
riallacciano
al
clima
di
autentica
collaborazione
con
l
'
intero
corpo
redazionale
,
traducono
nella
carta
di
un
accordo
,
che
i
lettori
vedranno
nella
colonna
affiancata
,
lo
spirito
di
oltre
quattro
anni
di
lavoro
collegiale
e
comune
.
*
*
*
Un
giornale
teso
all
'
innesto
fra
cultura
e
giornalismo
,
in
quarto
e
ultimo
luogo
.
E
non
solo
nella
terza
pagina
.
Sì
:
io
appartengo
ai
direttori
che
credono
nella
cultura
,
e
anche
nella
sua
forza
traente
ai
fini
delle
tirature
.
In
un
mondo
dominato
dalle
immagini
,
spesso
deformanti
,
della
televisione
,
la
parola
scritta
conserva
un
valore
solo
in
quanto
sia
commento
e
approfondimento
dei
fatti
,
serva
ad
inquadrarli
in
qualcosa
di
più
valido
della
gelida
ricostruzione
di
cronaca
,
risalendo
alle
radici
lontane
.
È
la
lotta
contro
il
monopolio
televisivo
e
per
la
sopravvivenza
della
libertà
di
stampa
,
sempre
tanto
minacciata
e
insidiata
,
partiva
,
e
continuerà
a
partire
,
dalla
convinzione
che
senza
una
elevazione
di
qualità
il
quotidiano
indipendente
è
già
morto
,
nella
gara
con
gli
altri
,
e
prevalenti
«
mass
media
»
.
*
*
*
Lasciando
la
direzione
del
«
Corriere
»
con
tranquilla
coscienza
,
riaffermo
i
principi
che
hanno
animato
i
diciotto
anni
delle
mie
direzioni
.
Credo
in
un
giornale
che
sia
portatore
di
idee
e
non
mero
prodotto
industriale
,
da
sottoporre
alle
astratte
leggi
di
mercati
immaginari
.
Credo
in
un
giornale
come
strumento
di
informazione
,
e
non
come
veicolo
di
materiali
prefabbricati
in
serie
.
Credo
in
un
giornale
come
scelta
dell
'
uomo
,
e
non
del
computer
.
E
soprattutto
credo
nell
'
autonomia
e
nella
dignità
della
professione
giornalistica
che
non
può
essere
sottoposta
a
imposizioni
o
a
sollecitazioni
esterne
,
da
qualsiasi
parte
provengano
.
Nel
momento
del
congedo
,
un
congedo
che
equivale
ad
un
impegno
per
il
futuro
,
rivolgo
un
particolare
affettuoso
ringraziamento
non
solo
ai
colleghi
e
collaboratori
tutti
ma
anche
alle
molteplici
componenti
,
in
particolare
ai
tipografi
,
di
questa
grande
azienda
che
occupa
ancora
il
primo
posto
,
nelle
statistiche
del
«
Times
»
,
fra
i
giornali
europei
di
«
qualità
»
,
un
primato
che
risale
a
Luigi
Albertini
.
La
«
qualità
»
è
un
obiettivo
che
si
raggiunge
con
decenni
di
sacrifici
e
di
lotte
;
nel
«
Corriere
»
è
il
frutto
di
una
tradizione
che
deve
rinnovarsi
giorno
per
giorno
,
ma
senza
strappi
violenti
,
senza
traumi
.
È
l
'
augurio
che
rivolgiamo
di
cuore
al
nostro
successore
,
a
Piero
Ottone
.
E
soprattutto
il
mio
pensiero
riconoscente
va
a
tutti
i
lettori
che
hanno
seguito
e
confortato
il
giornale
nel
tentativo
,
certo
non
sempre
riuscito
ma
fedelmente
perseguito
,
di
salvaguardare
una
zona
di
equilibrio
e
di
distaccata
indipendenza
in
un
mare
di
estremismi
e
di
fanatismi
cozzanti
,
associando
il
rispetto
del
passato
alla
ricerca
del
futuro
.
Un
futuro
che
noi
riusciamo
a
vedere
solo
nella
misura
di
una
società
libera
e
aperta
,
senza
illusioni
tecnocratiche
o
autocratiche
.
Una
società
,
insomma
,
dal
volto
umano
.
StampaQuotidiana ,
La
firma
dei
trattati
europei
al
«
palais
d
'
Egmont
»
di
Bruxelles
coincide
con
uno
dei
momenti
di
maggiore
disorientamento
e
turbamento
della
nostra
democrazia
.
L
'
Italia
che
con
De
Gasperi
dette
un
contributo
decisivo
all
'
avvio
dell
'
unificazione
continentale
,
in
anni
di
difficoltà
economiche
e
di
depressione
sociale
infinitamente
peggiori
degli
attuali
,
era
presente
nella
capitale
belga
attraverso
un
presidente
del
consiglio
dimissionario
,
e
reincaricato
poche
ore
prima
in
vista
di
una
difficilissima
coalizione
quadripartita
,
e
attraverso
un
ministro
degli
esteri
di
cui
neppure
è
certa
la
presenza
nel
futuro
governo
,
ammesso
che
si
riesca
a
costituirlo
al
termine
di
un
periplo
lungo
e
tormentato
.
Incertezza
nella
pubblica
opinione
;
distacco
fra
classe
politica
e
paese
reale
;
riaffiorare
di
fermenti
di
eversione
e
di
violenza
,
minacciosi
per
la
stessa
stabilità
delle
libere
istituzioni
.
Il
miracolo
economico
degli
anni
Sessanta
compromesso
dagli
errori
di
una
demagogia
intollerante
,
troppo
spesso
accarezzata
da
partiti
di
governo
;
taluni
modelli
della
vita
italiana
sospesi
fra
l
'
Argentina
di
Perón
e
la
Jugoslavia
di
Tito
.
I
dati
fondamentali
della
solidarietà
democratica
in
discussione
;
talvolta
riaffioranti
le
tentazioni
di
una
dispettosa
autarchia
.
L
'
Europa
rimane
,
più
che
mai
,
la
sola
speranza
per
l
'
Italia
.
Perfino
di
fronte
alla
ventata
della
contestazione
,
la
religione
dell
'
Europa
unita
è
riuscita
a
sopravvivere
.
Nella
gioventù
,
che
non
crede
più
in
niente
,
è
pour
cause
dopo
la
dilapidazione
dei
padri
,
la
prospettiva
di
un
'
Europa
unificata
accende
ancora
speranze
,
suscita
propositi
o
impegni
di
lotta
.
La
Russia
obbedisce
alle
leggi
di
sempre
,
alla
sua
gravitazione
di
grande
impero
euro
-
asiatico
,
fondato
su
un
istinto
di
conservazione
di
cui
l
'
ecumenismo
comunista
rappresenta
solo
uno
strumento
;
gli
Stati
Uniti
rientrano
con
Nixon
nel
solco
della
tradizione
repubblicana
,
tendenzialmente
isolazionista
e
svincolata
dai
raccordi
con
le
democrazie
europee
che
alimentarono
,
pure
attraverso
illusioni
ed
errori
,
il
partito
di
Roosevelt
e
di
Kennedy
.
Gli
equilibri
mondiali
tornano
ad
imporsi
secondo
le
regole
di
Metternich
,
contraddicendo
le
speranze
di
fratellanza
e
di
giustizia
scaturite
dalla
seconda
guerra
mondiale
,
dalla
carta
di
San
Francisco
.
Solo
in
una
dimensione
europea
l
'
Italia
può
sperare
di
risolvere
i
suoi
problemi
:
problemi
di
crescita
civile
,
di
espansione
economica
,
di
autentica
promozione
sociale
,
al
di
fuori
delle
illusioni
di
un
«
giustizialismo
»
appena
adatto
per
i
paesi
del
terzo
mondo
.
Nonostante
infiniti
errori
,
particolarmente
gravi
negli
ultimi
quattro
anni
,
la
democrazia
italiana
ha
salvato
le
condizioni
della
convivenza
,
i
presupposti
di
un
libero
dialogo
democratico
nel
nostro
paese
.
Occorre
fermarsi
sul
ciglio
del
precipizio
,
ritrovare
la
fede
nella
libertà
,
smarrita
per
troppi
calcoli
di
potere
.
La
firma
di
Bruxelles
serva
almeno
ad
illuminare
i
partiti
italiani
:
prima
che
la
spaccatura
del
paese
in
due
fronti
contrapposti
,
destra
estrema
contro
sinistra
estrema
,
sia
consumata
.
In
quel
caso
saremmo
già
fuori
dall
'
Europa
:
vittime
di
quella
«
vocazione
africana
»
di
cui
parlava
Gobetti
.
OFFESA ( Spadolini Giovanni , 1972 )
StampaQuotidiana ,
La
selvaggia
aggressione
«
teppistica
»
al
«
Corriere
della
Sera
»
rappresenta
un
nuovo
e
intollerabile
attacco
alla
libertà
di
stampa
,
la
suprema
fra
tutte
le
libertà
.
I
«
gruppuscoli
»
extraparlamentari
di
sinistra
hanno
attaccato
la
sede
del
giornale
nell
'
ora
del
più
intenso
lavoro
:
era
in
corso
un
'
assemblea
di
tutti
i
redattori
intesa
a
codificare
,
con
una
democratica
e
civilissima
discussione
,
le
conquiste
dell
'
intera
categoria
decisa
a
difendere
i
propri
diritti
contro
ogni
sopruso
e
a
stabilire
le
sue
funzioni
nell
'
interno
dell
'
azienda
,
nell
'
ambito
di
una
concezione
pluralista
e
occidentale
dei
diritti
-
doveri
della
stampa
.
La
deplorevole
assenza
,
o
l
'
incerto
impiego
,
delle
forze
dell
'
ordine
hanno
aggravato
la
situazione
.
La
difesa
del
vecchio
palazzo
,
in
cui
si
simboleggia
la
storia
di
tanta
parte
del
giornalismo
italiano
,
nelle
sue
glorie
e
anche
nelle
sue
umiliazioni
,
nelle
sue
grandezze
ed
anche
nelle
sue
sofferenze
,
è
stata
affidata
ai
giornalisti
,
ai
tipografi
,
agli
impiegati
.
È
un
altro
motivo
di
amarezza
e
di
malinconia
,
in
giorni
che
non
sono
certo
consolanti
per
l
'
avvenire
della
libertà
in
Italia
.
La
concomitanza
,
e
il
reciproco
aiuto
,
che
si
danno
gli
opposti
estremismi
,
la
cosiddetta
«
maggioranza
silenziosa
»
,
ormai
al
servizio
del
Msi
,
e
i
gruppetti
di
anarchici
e
maoisti
ed
estremisti
di
sinistra
,
dove
la
violenza
della
protesta
pseudopolitica
si
identifica
con
la
provocazione
pura
e
semplice
.
L
'
abbattimento
di
ogni
confine
,
l
'
annullamento
di
ogni
limite
:
perfino
gli
squadristi
ispirati
da
Farinacci
si
fermarono
nel
'25
di
fronte
alle
finestre
di
via
Solferino
.
Un
attacco
selvaggio
,
immotivato
,
insensato
con
l
'
uso
di
bombe
Molotov
e
di
candelotti
esplosivi
,
quasi
a
perfezionare
la
tecnica
,
meno
raffinata
e
più
artigianale
,
che
già
conoscemmo
nel
'68
con
le
prime
aggressioni
al
«
Corriere
»
contemporanee
al
sorgere
della
contestazione
.
Quando
si
attacca
un
giornale
,
il
«
Corriere
»
in
questa
inquieta
primavera
del
1972
non
meno
che
1'«Avanti!»
,
alla
vigilia
del
fascismo
,
cinquant
'
anni
or
soro
,
si
offende
la
libertà
nel
suo
nucleo
essenziale
,
nel
suo
valore
irrinunciabile
.
Si
punta
ad
intimidire
chi
esprime
il
proprio
pensiero
o
motiva
il
proprio
dissenso
,
a
piegare
l
'
avversario
con
la
violenza
fisica
,
a
seminare
il
panico
e
diffondere
l
'
insicurezza
nel
paese
intero
.
Ci
scriveva
giorni
fa
un
vecchio
democratico
e
antifascista
,
di
quelli
che
hanno
conosciuto
l
'
avvento
della
dittatura
mussoliniana
,
Pietro
Nenni
,
che
la
massima
difficoltà
oggi
,
quella
che
rende
così
terribile
e
incerto
il
compito
di
ognuno
di
noi
,
nelle
varie
responsabilità
civili
che
gli
sono
affidate
,
«
è
la
lotta
per
non
esasperare
i
rapporti
politici
e
sociali
»
.
«
Non
è
oggi
-
aggiungeva
il
vecchio
leader
socialista
-
la
qualità
più
pregiata
;
ma
è
comunque
un
segno
di
saggezza
.
»
Sembra
che
la
saggezza
si
stia
allontanando
da
noi
.
Esplosioni
di
furore
bestiale
,
come
l
'
attacco
alla
sede
del
«
Corriere
»
,
ripropongono
i
problemi
di
fondo
della
nostra
convivenza
civile
,
messi
a
durissima
prova
negli
ultimi
quattro
anni
.
Tutte
le
forze
democratiche
e
costituzionali
debbono
opporsiallo
scatenarsi
della
violenza
non
meno
che
al
dilagare
di
un
anarchismo
che
,
partendo
da
sinistra
,
aiuta
la
destra
estrema
.
E
il
governo
,
monocolore
o
no
,
deve
ricordarsi
di
esistere
.
StampaQuotidiana ,
Nella
migliore
delle
ipotesi
,
il
presidente
del
consiglio
Colombo
incontrerà
fra
poche
settimane
il
presidente
Nixon
-
dopo
Pompidou
,
Heath
e
Brandt
-
avendo
alle
spalle
un
retroterra
politico
carico
di
incertezze
e
di
inquietudini
.
Il
suo
governo
sarà
e
non
sarà
in
crisi
;
il
disimpegno
repubblicano
ne
accentuerà
la
precarietà
senza
magari
superare
il
limite
di
rottura
:
i
socialisti
del
Psi
avranno
tutto
l
'
interesse
-
parole
e
rimbrotti
a
parte
-
a
guadagnare
tempo
e
ad
arrivare
alla
scadenza
del
loro
difficile
congresso
nazionale
fissato
per
la
fine
di
febbraio
;
la
socialdemocrazia
dovrà
adeguarsi
al
rientro
di
Saragat
e
ripensare
una
nuova
strategia
...
E
intanto
i
grandi
problemi
internazionali
si
allargano
e
si
complicano
,
in
sfere
interessanti
direttamente
o
indirettamente
l
'
Italia
,
senza
che
la
nostra
politica
estera
,
pur
nei
limiti
ben
precisi
assegnati
al
nostro
paese
,
possa
elevarsi
a
quel
tono
cui
la
abiliterebbe
una
situazione
di
stabilità
e
di
compattezza
democratica
,
ben
oltre
la
nevrosi
che
caratterizza
lo
schieramento
delle
forze
politiche
.
L
'
anno
che
è
finito
da
poche
ore
ha
visto
profondi
e
radicali
rivolgimenti
negli
equilibri
mondiali
.
In
primo
luogo
:
la
fine
della
«
diarchia
»
russo
-
americana
,
la
sostituzione
di
un
nuovo
,
e
precario
,
e
oscillante
equilibrio
tripolare
a
quello
che
era
l
'
assetto
bipolare
scaturito
da
Yalta
,
base
di
tutte
le
tensioni
della
guerra
fredda
ma
anche
di
tutti
i
ripiegamenti
della
convivenza
pacifica
.
Gli
Stati
Uniti
hanno
aperto
alla
Cina
,
e
non
solo
attraverso
le
squadre
di
ping
-
pong
;
fra
due
mesi
la
visita
del
presidente
Nixon
a
Pechino
consacrerà
il
nuovo
meditato
indirizzo
della
Casa
Bianca
,
in
un
clima
di
lancinanti
contraddizioni
,
che
vede
insieme
la
ripresa
dei
bombardamenti
americani
sul
Vietnam
del
Nord
-
alleato
del
comunismo
cinese
-
e
le
offerte
di
collaborazione
militare
del
regime
di
Mao
ai
colonnelli
sconfitti
del
Pakistan
-
supremo
modello
del
feudalesimo
asiatico
.
Tutti
i
miti
sono
crollati
nel
corso
di
questo
1971;
tutte
le
illusioni
sono
state
smentite
.
Dopo
la
rapida
e
crudele
guerra
indo
-
pakistana
,
nessuno
crederebbe
più
al
mito
di
Bandung
,
al
mito
di
un
terzo
mondo
svincolato
dalla
logica
ferrea
delle
grandi
potenze
e
quindi
portatore
di
valori
di
pace
,
di
fraternità
,
di
coesistenza
.
L
'
India
erede
del
messaggio
di
Gandhi
ha
operato
con
la
stessa
logica
severa
e
spietata
dello
Stato
di
Israele
,
ma
senza
nessuna
delle
giustificazioni
storiche
,
di
elementare
sopravvivenza
,
che
spiegano
gli
atteggiamenti
e
alimentano
le
intransigenze
della
Gerusalemme
ebraica
.
Gli
stessi
schemi
dei
blocchi
internazionali
sono
stati
rovesciati
:
in
omaggio
al
recente
trattato
di
alleanza
con
Nuova
Delhi
,
la
Russia
ha
coperto
l
'
aggressione
indiana
,
ha
paralizzato
l
'
Onu
per
quattordici
giorni
,
ha
evitato
,
col
ricorso
al
diritto
di
veto
,
che
il
Consiglio
di
Sicurezza
potesse
imporre
una
tregua
alle
ostilità
prima
dell
'
ingresso
delle
truppe
della
signora
Gandhi
a
Dacca
.
La
Cina
ha
sostenuto
il
Pakistan
,
ma
senza
poter
superare
le
barriere
di
neve
dell
'
Himalaia
e
l
'
obiettivo
squilibrio
delle
forze
con
l
'
Urss
.
Cinesi
e
americani
si
sono
trovati
sullo
stesso
fronte
,
un
fronte
impotente
,
al
palazzo
di
vetro
.
Il
volto
dell
'
Onu
è
uscito
trasformato
dall
'
esperienza
dell
'
anno
.
La
Cina
di
Mao
ha
preso
il
posto
di
un
vecchio
e
fedele
alleato
di
Washington
,
Formosa
,
senza
che
le
proteste
americane
superassero
il
limite
del
cartellone
,
dello
spettacolo
.
La
tribuna
dell
'
organizzazione
internazionale
ha
immediatamente
visto
il
divampare
del
contrasto
russo
-
cinese
in
forme
che
hanno
fatto
dimenticare
,
o
impallidire
,
gli
episodi
più
aspri
dell
'
antagonismo
russo
-
americano
negli
anni
cupi
della
guerra
fredda
.
È
stato
il
crollo
delle
ideologie
.
L
'
Unione
Sovietica
ha
abbandonato
ogni
residua
superstizione
di
«
universalismo
proletario
»
,
ha
liquidato
ogni
fedeltà
,
anche
di
facciata
,
alla
tradizione
leninista
dell
'
alleanza
dei
paesi
poveri
contro
i
paesi
ricchi
,
delle
nazioni
proletarie
contro
quelle
capitaliste
e
«
sfruttatrici
»
.
La
pressione
sui
paesi
comunisti
dell
'
Est
europeo
si
è
accentuata
:
sia
pure
con
una
tecnica
più
sfumata
e
articolata
di
quella
sperimentata
a
Praga
,
con
l
'
uso
dei
carri
armati
sovietici
,
e
sanzionata
dal
recentissimo
plebiscito
elettorale
del
99
per
cento
,
sul
modello
staliniano
dei
vecchi
tempi
.
Le
indocilità
romene
sono
state
domate
;
la
Jugoslavia
è
stata
tenuta
a
freno
-
e
quale
freno
!
-
con
le
minacce
del
separatismo
croato
alternate
ai
fermenti
di
dissidenza
nella
stessa
classe
dirigente
del
partito
comunista
.
Dalla
parte
opposta
gli
Stati
Uniti
hanno
attenuato
,
per
ragioni
talvolta
anche
fondate
e
comprensibili
,
l
'
impegno
globale
della
loro
politica
,
sia
nell
'
Atlantico
sia
nel
Pacifico
,
hanno
dato
l
'
impressione
di
una
svolta
verso
un
«
isolazionismo
»
almeno
psicologico
.
Alleati
tradizionali
,
come
il
Giappone
,
sono
stati
messi
in
gravi
difficoltà
.
La
politica
di
apertura
della
Germania
federale
verso
la
Russia
-
la
Ostpolitik
di
Brandt
-
ha
potuto
superare
alcune
tappe
senza
un
vero
condizionamento
americano
.
Se
non
fosse
stato
per
il
provvido
incontro
delle
Azzorre
fra
Nixon
e
Pompidou
e
per
il
compromesso
che
ne
è
scaturito
circa
la
svalutazione
del
dollaro
,
la
stessa
tempesta
monetaria
di
mezzo
agosto
avrebbe
finito
per
compromettere
gravemente
i
rapporti
fra
Stati
Uniti
e
mondo
europeo
,
vanificando
i
vincoli
formali
di
un
patto
atlantico
che
si
distacca
sempre
più
dallo
spirito
e
dalle
convinzioni
dei
suoi
aderenti
.
Occorre
riconoscere
che
l
'
Italia
,
e
la
diplomazia
italiana
,
si
sono
comportate
con
sagacia
e
coerenza
nell
'
intera
vicenda
della
crisi
monetaria
:
in
una
posizione
costantemente
e
consapevolmente
tesa
a
superare
i
motivi
di
contrasto
o
di
rottura
fra
Europa
e
Stati
Uniti
.
E
con
i
risultati
di
cui
tutti
i
nostri
soci
hanno
beneficiato
,
ma
di
cui
non
poco
merito
deve
essere
attribuito
ai
titolari
della
nostra
politica
estera
ed
economica
.
Le
scadenze
di
domani
trascendono
ormai
la
dimensione
monetaria
e
il
pur
grave
problema
degli
scambi
internazionali
,
avviato
a
soluzione
dalla
cancellazione
della
iniqua
sovrattassa
americana
.
Quello
che
è
in
giuoco
,
nel
rimescolamento
degli
equilibri
mondiali
,
è
il
ruolo
dell
'
Europa
.
Nixon
assegnò
al
nostro
continente
la
funzione
di
«
quarto
grande
»
quando
elaborò
,
sulla
guida
di
Kissinger
,
la
strategia
di
apertura
a
Pechino
e
la
via
degli
assetti
tripolari
.
Senonché
quel
ruolo
deve
essere
conquistato
,
e
diciamolo
pure
riconquistato
,
attraverso
gli
sforzi
e
i
sacrifici
di
tutti
gli
europei
.
Nulla
deriva
più
dal
diritto
divino
e
tanto
meno
dal
diritto
della
tradizione
.
L
'
Europa
sarà
una
realtà
viva
nella
misura
in
cui
vorrà
esserlo
:
a
cominciare
dall
'
Italia
.
StampaQuotidiana ,
Il
programma
«
costituzionale
»
del
presidente
Leone
era
facilmente
prevedibile
,
si
identificava
con
la
natura
stessa
dell
'
uomo
.
Nel
messaggio
di
investitura
rivolto
ai
due
rami
del
Parlamento
,
è
emersa
con
assoluta
chiarezza
la
concezione
del
presidente
della
Repubblica
,
dei
suoi
poteri
e
dei
suoi
limiti
,
coincidente
con
un
'
intera
tradizione
giuridica
:
l
'
altissimo
magistrato
cui
non
spetta
«
formulare
programmi
o
indicare
soluzioni
»
,
ma
solo
vigilare
sull
'
osservanza
della
Costituzione
e
garantirne
i
rigidi
adempimenti
.
È
la
linea
che
si
ricollega
direttamente
al
primo
capo
provvisorio
dello
Stato
,
a
Enrico
De
Nicola
,
verso
il
quale
Leone
conserva
una
devota
e
memore
fedeltà
:
l
'
unico
presidente
che
sia
stato
non
a
caso
da
lui
ricordato
,
nell
'
intero
testo
dell
'
allocuzione
,
insieme
col
suo
diretto
predecessore
,
Giuseppe
Saragat
.
Leone
esprime
una
società
di
«
notabili
»
:
fermissima
nell
'
ossequio
ai
valori
della
democrazia
parlamentare
,
e
del
pluralismo
democratico
,
ma
altrettanto
ferma
nel
rispetto
della
collocazione
e
dell
'
autonomia
individuale
dell
'
uomo
politico
.
Egli
non
è
figlio
-
rara
avis
-
della
partitocrazia
,
è
uno
dei
rari
democristiani
che
abbia
sempre
rifiutato
la
gara
spietata
delle
correnti
,
che
non
si
sia
mai
riconosciuto
in
questo
o
in
quel
gruppo
di
potere
.
Il
suo
cursus
honorum
è
da
solo
rivelatore
:
professore
universitario
e
avvocato
,
altrettanto
autorevole
nella
cattedra
che
prestigioso
nel
foro
,
giunge
alla
politica
senza
mai
rinunciare
né
alla
cultura
né
all
'
avvocatura
,
non
accetta
di
identificarsi
in
nessun
momento
nel
«
professionismo
politico
»
-
quello
che
ha
maggiormente
contribuito
ad
abbassare
il
livello
della
nostra
classe
dirigente
.
Tali
scaturigini
ideali
si
ritrovano
nel
messaggio
alla
nazione
:
non
retorico
,
talvolta
perfino
disadorno
,
ma
frutto
di
una
precisa
visione
giuridica
,
che
non
ammette
confusioni
di
competenze
fra
governo
e
Parlamento
,
che
richiama
ogni
organo
dello
Stato
«
alla
sfera
delle
proprie
attribuzioni
»
pur
nel
quadro
della
collaborazione
organica
.
Il
tutto
:
senza
ottimismi
e
senza
assurde
indulgenze
al
clima
di
una
società
politica
prefascista
,
che
non
esiste
più
.
Non
per
nulla
Leone
ha
fatto
un
riferimento
esplicito
alle
«
disfunzioni
delle
istituzioni
»
;
non
per
nulla
ha
insistito
sul
drammatico
intreccio
dei
rapporti
fra
Stato
e
regioni
ed
ha
calcato
la
mano
sull
'
«
accentuarsi
a
volte
nominalistico
dei
contrasti
fra
le
forze
politiche
»
,
l
'
esperienza
di
ogni
giorno
.
E
senza
tuttavia
assumere
pose
o
atteggiamenti
da
«
salvatore
della
patria
»
!
Lo
stesso
tocco
di
discrezione
e
di
moderazione
il
neo
-
presidente
ha
osservato
sul
tema
,
delicatissimo
,
dei
rapporti
fra
Chiesa
e
Stato
.
Il
negoziatore
paziente
e
instancabile
del
compromesso
sul
divorzio
ha
adombrato
un
indiretto
«
no
»
alla
ripresa
di
qualsiasi
guerra
religiosa
sul
tema
del
referendum
quando
ha
auspicato
,
con
una
lontana
vibrazione
degasperiana
,
la
necessità
«
di
mantenere
un
clima
che
renda
impossibile
ogni
anacronistico
steccato
»
.
Che
non
faccia
risorgere
cioè
gli
steccati
fra
guelfismo
e
ghibellinismo
,
quegli
steccati
che
l
'
esperienza
centrista
era
riuscita
ad
abbattere
o
almeno
a
limitare
,
pure
in
condizioni
tanto
più
difficili
delle
attuali
,
con
Papa
Pacelli
...
Ci
sia
consentita
,
in
proposito
,
un
'
osservazione
marginale
ma
pure
significativa
.
È
dispiaciuto
che
un
'
assemblea
parlamentare
,
dai
cui
settori
di
centro
si
è
levato
un
applauso
al
Papa
per
la
generosa
e
indiscutibile
opera
della
Santa
Sede
in
favore
della
pace
,
non
abbia
abbozzato
,
da
nessun
settore
dello
schieramento
politico
,
un
solo
segno
di
plauso
all
'
opera
svolta
dal
presidente
uscente
della
Repubblica
in
difesa
della
libertà
:
un
'
opera
svolta
-
come
Leone
ha
ricordato
nobilmente
-
con
«
senso
religioso
»
della
democrazia
.
La
correttezza
costituzionale
non
si
identifica
,
e
non
si
deve
identificare
,
con
un
«
rassegnato
fatalismo
»
.
È
il
pericolo
dei
presidenti
tipo
quarta
Repubblica
francese
,
dal
quale
Leone
saprà
sicuramente
affrancarsi
.
E
la
prova
è
nel
costante
,
insistito
richiamo
del
nuovo
capo
dello
Stato
alla
necessità
di
respingere
,
nella
lotta
sociale
,
il
metodo
della
violenza
e
dell
'
intolleranza
,
nell
'
invocazione
aperta
e
spiegata
alla
tutela
della
legalità
repubblicana
e
democratica
,
tanto
più
sacra
quanto
più
affonda
le
sue
radici
nella
genesi
stessa
della
Repubblica
,
attraverso
la
lotta
per
la
libertà
,
attraverso
l
'
esperienza
della
Resistenza
e
della
ricostruzione
post
-
bellica
,
l
'
una
inseparabile
dall
'
altra
.
Leone
ha
giustamente
insistito
sulla
necessità
di
una
maggiore
saldatura
fra
coscienza
sociale
e
istituzioni
:
compito
primario
ed
essenziale
dei
partiti
politici
,
oltre
che
delle
grandi
organizzazioni
del
lavoro
.
Speriamo
che
le
forze
politiche
italiane
non
dimentichino
l
'
esortazione
che
giunge
dal
Quirinale
nelle
prossime
,
difficili
trattative
che
saranno
volte
alla
ricostituzione
dell
'
intesa
di
centro
-
sinistra
.
Le
dimissioni
formali
del
governo
Colombo
sono
state
,
e
correttamente
,
ritirate
;
il
ministero
in
carica
è
stato
invitato
a
continuare
la
sua
opera
,
finché
non
giungerà
un
'
indicazione
diversa
dai
partiti
.
Ma
nessuno
potrebbe
illudersi
.
La
situazione
politica
è
in
movimento
.
La
tregua
ottenuta
non
andrà
oltre
il
18
gennaio
,
data
di
riapertura
del
Parlamento
.
Già
in
quell
'
occasione
,
si
porrà
la
prima
e
fondamentale
esigenza
di
chiarificazione
avanzata
dal
partito
repubblicano
e
ribadita
ieri
senza
eufemismi
nella
relazione
di
La
Malfa
:
nessuna
conferma
dell
'
appoggio
,
anche
solo
esterno
,
del
Pri
alla
coalizione
se
non
saranno
elaborate
nuove
piattaforme
politiche
e
programmatiche
corrispondenti
alla
condizione
reale
del
paese
sul
piano
economico
,
finanziario
e
sociale
.
Si
aprirà
un
tiro
alla
fune
:
i
socialisti
che
vorranno
spingere
più
a
sinistra
,
i
socialdemocratici
che
vorranno
accentuare
la
loro
funzione
riformista
ma
moderatrice
.
E
i
problemi
,
quelli
veri
,
che
torneranno
tutti
all
'
interno
della
democrazia
cristiana
:
più
aperti
,
più
laceranti
che
mai
.
La
battaglia
per
il
Quirinale
non
è
riuscita
ad
assicurare
nessuno
degli
«
organigrammi
»
di
potere
che
erano
stati
abbozzati
da
varie
parti
,
per
icavalli
di
razza
e
non
solo
per
quelli
:
ha
vinto
un
uomo
al
disopra
delle
parti
,
e
ha
vinto
proprio
per
essere
al
disopra
delle
parti
.
La
lotta
,
appena
contenuta
nei
sedici
giorni
del
round
,
rischierà
di
riesplodere
:
con
una
carica
accentuata
di
rancori
e
di
risentimenti
.
Una
sola
cosa
è
certa
:
tutta
la
buona
volontà
,
e
tutto
il
buon
senso
,
del
presidente
Leone
saranno
messi
alla
prova
.
StampaQuotidiana ,
Pochi
mesi
fa
il
presidente
del
Cile
,
Allende
,
scriveva
una
lettera
aperta
al
direttore
del
«
Mercurio
»
-
il
massimo
quotidiano
di
informazione
di
Santiago
,
di
antica
tradizione
democratica
e
indipendente
-
lamentandosi
con
tono
duro
e
risentito
delle
critiche
mosse
dal
giornale
al
governo
di
fronte
popolare
sorto
nella
nazione
cilena
dal
verdetto
delle
urne
di
un
anno
fa
(
poco
più
di
un
terzo
del
corpo
elettorale
,
contro
un
terzo
ai
conservatori
e
meno
di
un
terzo
ai
democristiani
)
e
opponendo
la
«
tradizione
di
democrazia
e
di
legalità
»
cui
il
regime
continua
ad
ispirarsi
a
quella
che
egli
chiamava
«
la
tradizione
di
infamia
che
il
popolo
ripudia
e
che
tanto
danno
ha
arrecato
alla
nostra
convivenza
sociale
»
.
Il
direttore
del
«
Mercurio
»
,
Silva
Espejo
,
gli
rispondeva
con
grande
dignità
e
fermezza
che
la
libertà
di
stampa
comincia
ad
essere
minacciata
proprio
dai
«
ripudi
ufficiali
»
e
che
«
da
un
po
'
di
tempo
il
governo
non
tollera
volentieri
i
dissensi
e
in
tal
modo
contraddice
alle
sue
stesse
dichiarazioni
sul
carattere
democratico
e
pluralista
del
regime
di
unità
popolare
»
.
Il
caso
,
riferito
giorni
fa
sulle
colonne
del
«
Corriere
»
dal
nostro
Pieroni
in
un
'
intervista
da
Santiago
,
è
esemplare
di
quelle
che
sono
oggi
in
una
vasta
parte
del
mondo
,
e
non
soltanto
in
Cile
,
le
minacce
alla
libertà
di
stampa
:
minacce
che
non
sono
meno
gravi
nei
paesi
in
cui
pur
sopravvivono
formalmente
le
garanzie
giuridiche
ed
esteriori
della
libertà
di
espressione
.
Il
Cile
,
per
esempio
,
pur
dopo
la
svolta
di
Allende
,
non
ha
ripudiato
,
o
meglio
non
ha
potuto
ripudiare
,
la
libertà
di
stampa
,
profondamente
radicata
in
un
paese
,
forse
il
solo
del
sud
-
America
,
dove
il
pluralismo
democratico
sopravvisse
a
tutte
le
tentazioni
dei
colonnelli
o
dei
«
pronunciamenti
»
,
in
una
linea
storica
che
non
subì
vere
eccezioni
.
I
giornali
liberi
continuano
ad
uscire
;
la
diversità
di
posizioni
,
fra
organi
conservatori
,
cattolici
e
socialisti
,
continua
a
riflettere
press
'
a
poco
la
geografia
politica
della
nazione
cilena
,
fondata
sui
tre
terzi
emersi
dal
verdetto
elettorale
dell
'
ottobre
'70
.
Lo
stesso
pluralismo
televisivo
si
affianca
tuttora
al
pluralismo
della
stampa
scritta
:
accanto
al
canale
di
stato
,
solo
formalmente
aperto
alle
voci
dell
'
opposizione
e
in
realtà
dominato
dall
'
apparato
del
fronte
popolare
al
governo
,
sussistono
un
canale
di
prevalente
ispirazione
democristiana
ed
un
altro
di
intonazione
laica
.
Le
stazioni
radio
non
sono
meno
di
un
centinaio
e
quella
che
riflette
la
voce
dei
sindacati
-
particolarmente
potente
con
la
coalizione
di
sinistra
-
interferisce
nella
lunghezza
d
'
onda
della
radio
democristiana
,
espressione
del
partito
che
pur
facilitò
,
per
le
sue
debolezze
e
per
le
sue
divisioni
,
l
'
avvento
di
Allende
al
potere
da
posizioni
di
minoranza
.
Senonché
le
insidie
alla
superstite
libertà
di
stampa
e
di
critica
provengono
dall
'
interno
del
sistema
,
al
di
là
di
tutte
le
professioni
formali
di
rispetto
.
Torniamo
al
caso
del
«
Mercurio
»
,
che
è
il
più
eloquente
e
il
più
indicativo
.
Nell
'
intervista
al
«
Corriere
»
il
direttore
del
giornale
di
Santiago
ha
ricordato
che
in
poco
più
di
un
anno
il
suo
quotidiano
ha
perduto
il
40
per
cento
della
pubblicità
:
e
tutti
sanno
che
fra
le
due
fonti
di
vita
di
qualunque
grande
giornale
di
tipo
industriale
nel
mondo
moderno
,
la
vendita
e
la
pubblicità
,
la
seconda
prevale
ormai
sulla
prima
,
dal
Cile
all
'
Italia
.
Silva
Espejo
non
ha
accusato
direttamente
il
governo
di
tale
inquietante
calo
,
che
mette
in
forse
la
stessa
autonomia
del
giornale
e
minaccia
le
sue
prospettive
di
vita
;
ha
solo
ricordato
che
le
larghe
nazionalizzazioni
,
compiute
da
Allende
,
hanno
tolto
alle
società
interessate
lo
stimolo
alla
pubblicità
commerciale
ed
ha
aggiunto
che
in
ogni
caso
il
po
'
di
pubblicità
sopravvissuta
è
riservata
di
norma
ai
fogli
filo
-
governativi
...
Ma
non
basta
.
In
un
anno
il
quotidiano
,
che
continua
con
coraggio
e
con
coerenza
la
sua
battaglia
contro
il
nuovo
regime
e
contro
i
rischi
di
degenerazione
autoritaria
e
totalitaria
,
ha
subìto
un
'
ispezione
fiscale
,
sia
pure
senza
risultati
,
un
'
ispezione
della
polizia
,
sotto
il
pretesto
di
aver
armato
una
guardia
interna
contro
i
possibili
attacchi
di
fuori
,
un
accentuarsidi
tutti
i
sistemi
di
controllo
e
di
indagine
volti
a
ricordare
la
potenza
dell
'
esecutivo
e
i
limiti
del
diritto
di
critica
.
Non
sono
mancati
neppure
i
tentativi
-
e
come
possono
mancare
in
questi
casi
?
-
di
minare
dall
'
interno
l
'
unità
e
la
compattezza
del
corpo
redazionale
-
che
rappresentano
sempre
,
sotto
qualunque
latitudine
,
la
migliore
difesa
contro
le
pressioni
e
le
intimidazioni
del
potere
politico
-
attraverso
la
formazione
di
un
comitato
di
unità
,
sia
pure
largamente
minoritario
.
Senza
contare
casi
ancora
più
clamorosi
,
come
quello
del
quotidiano
«
El
Sur
»
di
Concepción
,
occupato
da
gruppi
di
estremisti
interni
ed
esterni
all
'
azienda
reclamanti
il
diritto
di
supervisione
politica
accanto
a
determinate
rivendicazioni
salariali
.
Ecco
come
si
può
minacciare
e
al
limite
distruggere
una
stampa
libera
,
anche
di
antiche
e
radicate
tradizioni
,
come
quella
del
Cile
,
senza
ricorrere
alle
ghigliottine
dei
regimi
fascisti
o
comunisti
.
Il
controllo
,
o
la
rarefazione
,
della
pubblicità
;
la
sedizione
o
la
rivolta
all
'
interno
delle
aziende
;
le
conseguenze
,
sulla
gestione
editoriale
,
del
ristagno
della
produzione
e
degli
investimenti
;
la
nazionalizzazione
(
ci
si
sta
pensando
seriamente
in
Cile
)
di
tutte
le
industrie
per
la
produzione
di
carta
e
di
cellulosa
.
Indurre
gli
editori
a
gettare
la
spugna
,
i
giornalisti
ad
abbandonare
il
campo
,
gli
scrittori
a
preferire
il
silenzio
...
Non
è
una
minaccia
che
possa
essere
sottovalutata
,
neppure
per
i
possibili
riflessi
o
contraccolpi
in
Europa
.
La
crisi
dei
quotidiani
è
generale
,
per
l
'
aggressiva
e
spesso
incontrollata
concorrenza
della
televisione
(
particolarmente
nei
paesi
-
l
'
Italia
insegni
dove
la
televisione
è
esercitata
in
regime
di
monopolio
di
Stato
,
col
largo
ricorso
al
mercato
pubblicitario
libero
)
,
per
la
diffusione
degli
altri
«
mass
media
»
,
per
il
vertiginoso
aumento
dei
costi
;
e
proprio
pochi
giorni
fa
un
giornale
che
non
ama
mai
i
titoli
ad
effetto
e
che
sa
misurare
le
parole
,
«
Le
Monde
»
,
intitolava
un
suo
articolo
in
prima
pagina
La
presse
quotidienne
en
péril
,
indagandone
,
con
puntigliosa
esattezza
,
le
cause
e
i
possibili
rimedi
.
Forse
è
giunto
il
momento
di
richiamare
strati
sempre
più
vasti
di
opinione
pubblica
,
anche
in
Italia
,
alla
coscienza
di
questo
problema
,
fondamentale
per
la
sopravvivenza
della
nostra
democrazia
.
Le
leggi
o
le
provvidenze
per
l
'
editoria
servono
a
poco
se
la
classe
dirigente
non
è
animata
dal
culto
geloso
e
,
vorremmo
dire
,
religioso
della
libertà
di
stampa
e
della
pluralità
dell
'
informazione
,
al
di
fuori
di
ogni
tentazione
di
controllo
dall
'
alto
.
Le
dichiarazioni
di
Donat
Cattin
al
recente
convegno
di
Roma
sono
allarmanti
:
parlare
di
distribuzione
«
forzosa
»
della
pubblicità
equivale
a
legittimare
il
peggiore
intervento
discriminatorio
del
potere
esecutivo
,
a
vantaggio
dei
potenti
dell
'
ora
.
Il
problema
è
un
altro
:
salvare
tutte
le
voci
dell
'
opinione
pubblica
,
le
piccole
non
meno
delle
grandi
,
sul
piano
di
un
pluralismo
effettivo
e
articolato
.
Ignazio
Silone
ha
scritto
che
,
ogni
qual
volta
muore
un
giornale
anche
periferico
,
anche
di
provincia
,
è
un
senso
di
lutto
che
si
diffonde
nel
paese
intero
.
In
quanto
con
quel
giornale
è
un
frammento
della
nostra
libertà
che
se
ne
va
;
e
quindi
qualcosa
di
noi
stessi
.
StampaQuotidiana ,
Il
voto
dei
Comuni
ha
superato
tutte
le
previsioni
.
Centododici
suffragi
di
maggioranza
,
in
favore
dell
'
ingresso
di
Londra
nel
Mec
,
rappresentano
il
miglior
premio
alla
tenacia
di
Heath
e
dei
conservatori
nel
propugnare
la
causa
dell
'
integrazione
continentale
contro
tutte
le
difficoltà
e
contro
tutte
le
resistenze
che
a
un
certo
momento
avevano
autorizzato
pessimismo
e
sfiducia
,
al
di
qua
e
al
di
là
della
Manica
.
Nessun
ultimatum
è
servito
,
nessuna
intimidazione
è
riuscita
allo
scopo
.
L
'
ala
dissidente
ed
europeista
del
partito
laborista
,
l
'
ala
che
non
aveva
voluto
condividere
il
clamoroso
voltafaccia
di
Wilson
e
smentire
le
tradizionali
professioni
di
fede
del
partito
,
si
è
sottratta
al
giogo
della
«
frusta
»
parlamentare
,
non
ha
obbedito
alla
disciplina
di
gruppo
,
si
è
associata
al
«
sì
»
dei
conservatori
per
l
'
Europa
unita
,
suggellato
dal
risultato
a
sorpresa
della
votazione
ai
Lords
e
ai
Comuni
-
l
'
apertura
di
una
nuova
grande
pagina
nella
storia
inglese
ed
europea
.
Heath
aveva
giocato
grosso
.
Concedendo
la
libertà
di
voto
al
suo
gruppo
parlamentare
,
che
alberga
una
corrente
tenacemente
ed
irriducibilmente
antieuropeista
in
omaggio
alle
pregiudiziali
imperiali
di
un
mondo
scomparso
,
aveva
praticamente
liquidato
in
partenza
il
già
esiguo
e
fragile
margine
di
maggioranza
su
cui
si
regge
il
suo
governo
tanto
contrastato
.
Senonché
i
rischi
in
campo
conservatore
erano
largamente
bilanciati
dai
vantaggi
sul
fronte
avversario
.
Le
diserzioni
conservatrici
,
ridottesi
poi
di
numero
e
di
significato
,
sarebbero
state
compensate
dalle
adesioni
dei
laboristi
eterodossi
,
il
gruppo
di
Roy
Jenkins
.
Non
solo
:
ma
di
fronte
ad
un
'
opinione
pubblica
perplessa
e
turbata
,
qual
è
nella
grande
maggioranza
l
'
opinione
inglese
sul
tema
dell
'
Europa
(
basti
leggere
le
lettere
del
pubblico
al
«
Times
»
)
,
il
governo
conservatore
aveva
dissipato
l
'
impressione
di
una
qualunque
ghigliottina
,
di
una
qualunque
forzatura
procedurale
o
regolamentare
.
L
'
ingresso
dell
'
Inghilterra
nel
Mec
,
dopo
tanti
anni
di
contraddittori
«
zig
zag
»
,
dopo
tutti
i
ritardi
imposti
dall
'
altera
e
orgogliosa
volontà
del
generale
De
Gaulle
,
dopo
le
incomprensioni
e
le
esitazioni
degli
stessi
governi
succedutisi
alla
guida
dell
'
Inghilterra
post
-
churchilliana
,
era
un
avvenimento
troppo
decisivo
,
troppo
-
diciamolo
pure
con
un
termine
abbondantemente
logorato
-
«
storico
»
perché
la
volontà
del
Parlamento
,
massima
fonte
di
sovranità
e
di
legittimità
della
Gran
Bretagna
,
non
dovesse
esprimersi
in
tutta
la
sua
libertà
,
senza
condizionamenti
o
impacci
di
alcun
genere
.
È
l
'
obiettivo
raggiunto
dal
governo
Heath
col
voto
di
questa
notte
:
un
voto
che
conforta
la
fatica
di
tutti
gli
europeisti
,
in
un
'
ora
grigia
e
malinconica
per
l
'
Europa
,
oggetto
di
una
storia
che
troppo
spesso
la
trascende
.
Il
positivo
epilogo
di
questo
28
ottobre
era
stato
preceduto
da
un
dibattito
ampio
e
completo
,
il
più
lungo
nella
storia
parlamentare
di
questo
dopoguerra
britannico
:
vi
si
erano
riflesse
tutte
le
posizioni
dell
'
arco
politico
inglese
,
le
adesioni
entusiaste
e
incondizionate
,
i
«
sì
»
perplessi
e
svogliati
,
le
considerazioni
di
opportunità
contingente
,
le
preoccupazioni
dei
settori
economici
inevitabilmente
danneggiati
dall
'
integrazione
continentale
,
le
opposizioni
furibonde
e
irriducibili
legate
all
'
estrema
destra
-
ultimo
residuo
dell
'
isolazionismo
imperiale
-
e
ad
una
larga
parte
della
sinistra
anche
non
estrema
-
specchio
dei
privilegi
corporativi
di
una
classe
operaia
sempre
poco
sensibile
alle
voci
del
continente
.
Sullo
sfondo
,
il
dramma
del
partito
laborista
:
il
grande
e
decisivo
contrasto
fra
la
concezione
«
politica
»
del
Labour
-
Party
e
quella
sindacale
.
La
prima
disposta
a
tollerare
la
«
disobbedienza
»
dell
'
alaJenkins
,
solo
con
formali
e
nominali
sanzioni
;
la
seconda
decisa
a
battersi
con
tutte
le
armi
della
rappresaglia
e
della
ritorsione
-
fino
alla
minaccia
della
non
-
rielezione
nei
collegi
di
periferia
-
per
i
parlamentari
laboristi
sottrattisi
alla
disciplina
di
partito
e
salvatori
,
con
l
'
idea
d
'
Europa
,
dello
stesso
governo
Heath
.
Wilson
nella
posizione
di
un
«
mediatore
»
non
più
autorevole
come
una
volta
,
in
quella
che
è
stata
chiamata
la
linea
dell
'
acrobata
:
fermo
nel
«
no
»
all
'
Europa
,
alle
condizioni
ottenute
da
Heath
,
ma
deciso
ad
evitare
la
totale
prevalenza
dell
'
ala
sindacale
,
la
stessa
che
poi
sarebbe
destinata
a
liquidarne
per
sempre
la
contrastata
e
non
più
indiscussa
leadership
.
Voti
plebiscitari
contro
l
'
Europa
unita
,
sia
del
congresso
dei
sindacati
sia
,
e
sia
pure
in
misura
minore
,
del
congresso
del
partito
:
voti
che
avrebbero
schiacciato
-
ma
l
'
Inghilterra
non
è
l
'
Inghilterra
per
niente
-
qualunque
Parlamento
del
continente
,
dove
la
macchina
partitocratica
avrebbe
dissolto
ogni
obiezione
di
coscienza
e
sommerso
ogni
fedeltà
o
coerenza
ideologiche
.
Nel
complesso
,
un
grande
giorno
per
l
'
Europa
,
una
speranza
riaccesa
soprattutto
per
le
giovani
generazioni
.
Non
il
traguardo
,
ancora
.
Wilson
,
tollerante
davanti
all
'
opposizione
parlamentare
,
sarà
durissimo
nella
lotta
contro
le
procedure
di
applicazione
dei
trattati
di
Roma
,
tallonerà
Heath
passo
per
passo
,
coglierà
qualunque
occasione
per
abbattere
il
non
solido
governo
conservatore
e
riproporre
al
suo
partito
la
scelta
anti
o
non
-
europea
,
magari
ab
imis
.
Necessità
,
per
tutti
i
partners
continentali
,
di
tener
conto
della
particolarissima
situazione
inglese
,
di
evitare
ogni
mossa
sbagliata
che
possa
riaccendere
le
resistenze
o
inasprire
le
intransigenze
tutt
'
altro
che
domate
(
la
maggioranza
del
paese
è
ancora
contro
l
'
Europa
,
nonostante
i
miglioramenti
registrati
dalle
ultime
indagini
demoscopiche
)
.
È
quindi
richiamo
a
tutti
i
soci
del
Mercato
comune
ad
una
linea
di
severità
e
di
responsabilità
,
soprattutto
economica
.
L
'
Inghilterra
è
il
paese
che
ha
insegnato
al
continente
la
via
dell
'
austerity
.
Ci
sarà
qualcuno
capace
di
richiamarsi
a
quel
modello
di
fronte
alle
suggestioni
«
peroniste
»
che
continuano
a
fermentare
in
Italia
?
È
proprio
il
caso
di
augurarsi
anche
per
noi
una
«
Manica
più
stretta
»
.
StampaQuotidiana ,
È
stato
un
giornale
della
sinistra
dissidente
italiana
,
«
il
Manifesto
»
,
a
parlare
di
un
nuovo
Patto
Anticomintern
contro
la
Cina
di
Mao
da
parte
della
Russia
sostanzialmente
allineata
alla
Germania
di
Bonn
e
al
Giappone
.
È
una
espressione
portata
ai
limiti
del
paradosso
ma
che
non
manca
di
nascondere
un
briciolo
di
verità
.
La
reazione
di
Mosca
all
'
avvicinamento
cino
-
americano
si
è
manifestata
subito
in
due
diverse
direzioni
:
l
'
ulteriore
miglioramento
dei
rapporti
con
la
Germania
federale
,
nella
linea
già
tracciata
dalla
Ostpolitik
,
e
la
ripresa
del
dialogo
col
Giappone
(
senza
contare
l
'
India
)
.
Non
c
'
è
dubbio
:
il
rapido
accordo
su
Berlino
,
dopo
mesi
di
estenuanti
trattative
e
pur
col
permanere
di
formule
largamente
equivoche
per
gli
occidentali
,
non
sarebbe
stato
possibile
senza
la
precisa
volontà
sovietica
di
creare
una
zona
di
distensione
e
di
tranquillità
in
Europa
,
quasi
contrappeso
al
crescente
conflitto
con
la
Cina
.
È
chiaro
che
l
'
intesa
sulla
ex
-
capitale
tedesca
rappresenta
solo
il
primo
passo
per
la
realizzazione
della
conferenza
sulla
sicurezza
europea
:
obiettivo
essenziale
della
diplomazia
russa
,
angosciata
dalla
prospettiva
di
una
lotta
su
due
fronti
.
In
questo
disegno
si
inserisce
il
clamoroso
annuncio
della
visita
di
Breznev
in
ottobre
a
Parigi
.
I
rapporti
franco
-
russi
non
erano
più
quelli
,
preferenziali
,
di
De
Gaulle
;
l
'
ultimo
viaggio
di
Pompidou
a
Mosca
si
era
svolto
in
un
clima
di
cortesia
ma
anche
di
freddezza
protocollare
ben
lontano
dal
calore
riservato
al
generale
che
continuava
ad
inseguire
il
sogno
dell
'
Europa
dall
'
Atlantico
agli
Urali
.
Se
il
segretario
del
partito
comunista
sovietico
-
un
uomo
che
non
ama
i
viaggi
e
tanto
meno
i
viaggi
nei
paesi
occidentali
-
ha
deciso
di
compiere
la
prima
rilevante
eccezione
verso
l
'
Ovest
con
la
mossa
francese
,
non
è
certo
per
una
particolare
solidarietà
ideologica
fra
la
Russia
di
Breznev
e
la
Francia
di
Pompidou
o
per
un
improvviso
rispuntare
delle
nostalgie
della
«
Duplice
Alleanza
»
,
abbastanza
lontane
dal
concretismo
e
dal
realismo
della
diplomazia
sovietica
nell
'
attuale
fase
metternichiana
:
è
solo
perché
nessuna
conferenza
sulla
sicurezza
europea
è
possibile
senza
il
«
sì
»
di
Parigi
.
Non
è
esclusa
qualche
analoga
mossa
spettacolare
dell
'
Urss
nei
riguardi
dell
'
Italia
:
un
altro
paese
cui
la
Russia
continua
a
guardare
con
inquieto
interesse
,
in
una
linea
che
potrebbe
non
coincidere
sempre
con
le
valutazioni
del
Pci
.
La
stessa
scadenza
,
ormai
imminente
,
delle
elezioni
presidenziali
potrebbe
essere
vista
da
Mosca
al
fine
di
favorire
,
attraverso
i
voti
comunisti
,
la
scelta
del
candidato
più
«
disponibile
»
sul
piano
della
politica
estera
,
al
di
fuori
di
ogni
collocazione
nello
schieramento
interno
.
Dalla
conferenza
europea
la
Russia
si
aspetta
soprattutto
mani
libere
per
il
duello
con
la
Cina
.
Tutte
le
mosse
di
Mosca
in
Europa
e
nel
Medio
Oriente
vanno
collocate
nel
quadro
della
inasprita
tensione
con
Pechino
,
confermata
dalle
recenti
manovre
militari
sovietiche
ai
confini
della
Cina
,
nella
zona
della
Transbaikalia
.
La
tensione
con
la
Romania
si
è
acuita
in
proporzione
diretta
al
graduale
spostamento
di
Ceausescu
verso
la
amicizia
con
Mao
:
nessuno
ha
smentito
le
notizie
che
un
aereo
sovietico
sarebbe
stato
abbattuto
mesi
fa
dalla
contraerea
romena
.
Il
giro
di
valzer
filo
-
cinese
di
Bucarest
e
Belgrado
,
in
singolare
e
sia
pure
indiretta
sintonia
con
Tirana
,
non
manca
di
preoccupare
Mosca
,
più
che
mai
paralizzata
dalla
psicosi
dell
'
accerchiamento
.
Né
i
confini
ideologici
contano
ormai
più
niente
.
La
Russia
,
in
pessimi
rapporti
col
comunista
Ceausescu
,
è
in
eccellenti
relazioni
coi
colonnelli
di
Atene
,
tutt
'
altro
che
inclini
a
liberalizzare
il
loro
regime
dittatoriale
e
fascista
dopo
il
nuovo
giro
di
vite
di
Papadopulos
.
E
l
'
Egitto
,
alleato
dell
'
Unione
Sovietica
sul
piano
internazionale
e
tributario
di
Mosca
per
tutte
le
armi
destinate
a
combattere
Israele
,
non
pensa
neppure
per
un
momento
di
bloccare
il
processo
contro
il
capo
dei
comunisti
egiziani
,
Ali
Sabri
:
fortunato
che
a
lui
e
ai
suoi
colleghi
sia
stata
riserbata
la
sorte
di
richiesta
formale
di
condanna
a
morte
e
non
il
linciaggio
dei
comunisti
massacrati
nel
Sudan
,
dopo
la
«
graziosa
»
operazione
dell
'
altro
colonnello
di
turno
,
Gheddafi
,
l
'
alleato
di
Dom
Mintoff
nella
vicenda
di
Malta
e
il
vero
protagonista
della
nuova
Federazione
araba
.
Dovunque
,
nel
terzo
mondo
,
è
in
atto
una
competizione
sempre
più
serrata
fra
Cina
e
Russia
.
Il
mondo
arabo
respinge
il
comunismo
ma
è
più
che
mai
vincolato
all
'
influenza
,
condizionante
,
di
Mosca
.
Nell
'
Africa
nera
,
l
'
infiltrazione
cinesesi
approfondisce
e
si
estende
a
danno
di
quella
sovietica
.
Mosca
ha
teso
la
mano
a
Indira
Gandhi
,
che
ha
dovuto
fare
pure
qualche
rinuncia
alla
tesi
del
«
non
allineamento
»
per
firmare
il
patto
ventennale
di
amicizia
con
l
'
Urss
:
patto
in
funzione
anti
-
cinese
e
anti
-
pakistana
.
Podgorni
annuncia
un
viaggio
ad
Hanoi
:
quasi
a
controbilanciare
l
'
influenza
cinese
,
certamente
decrescente
nel
nord
-
Vietnam
dopo
la
svolta
.
Nel
caso
di
ulteriore
avvicinamento
cino
-
americano
consacrato
dall
'
eventuale
successo
del
viaggio
di
Nixon
,
è
certo
che
la
Russia
correrà
ai
ripari
.
Tentativo
di
garantirsi
le
spalle
in
Europa
,
attraverso
la
dottrina
della
«
sovranità
limitata
»
rigidamente
applicata
all
'
Est
e
sapientemente
combinata
con
una
«
sicurezza
»
dell
'
Ovest
ad
uso
di
Mosca
;
allacciamento
di
buoni
rapporti
in
Asia
con
tutti
i
paesi
che
siano
in
qualunque
modo
danneggiati
dalla
nuova
linea
americana
,
la
linea
flessibile
e
realistica
di
Nixon
.
Giappone
in
testa
:
il
primo
paese
che
l
'
America
ha
due
volte
offeso
nel
corso
di
pochi
mesi
,
con
la
bomba
della
visita
di
Nixon
a
Pechino
e
con
quella
specie
di
«
Hiroshima
»
valutaria
che
è
stata
l
'
operazione
dollaro
,
causa
di
gravissime
perdite
per
l
'
economia
nipponica
,
proprio
in
coincidenza
,
casuale
ma
rivelatrice
,
con
l
'
anniversario
dell
'
armistizio
del
'45
.
Tutti
gli
equilibri
tendono
a
rovesciarsi
;
mentre
il
divario
strategico
fra
Usa
e
Urss
si
accentua
in
modo
inquietante
nel
settore
missilistico
e
il
rapporto
fra
Patto
di
Varsavia
e
Patto
Atlantico
peggiora
a
danno
dell
'
Occidente
nel
campo
delle
armi
convenzionali
.
Se
l
'
Europa
non
troverà
la
via
di
organizzarsi
rapidamente
come
forza
autonoma
e
autosufficiente
,
rischia
di
non
contare
assolutamente
più
niente
sul
piano
dei
rapporti
di
potenza
,
ormai
svincolati
dalla
logica
di
Yalta
e
trasferiti
sul
terreno
di
una
Realpolitik
appena
corretta
dall
'
equilibrio
del
terrore
.
E
non
vorremmo
che
un
giorno
Ciu
En
-
lai
ci
mandasse
un
messaggio
con
lo
stesso
spirito
con
cui
lo
ha
inviato
giorni
fa
alla
cara
ma
innocua
Repubblica
di
San
Marino
.
L
'
ironia
non
è
l
'
ultima
risorsa
della
diplomazia
cinese
.
StampaQuotidiana ,
C
'
è
qualcuno
che
ha
paragonato
la
mossa
americana
per
il
dollaro
alla
bomba
di
Nixon
per
la
Cina
.
Identiche
le
procedure
;
analoghe
le
reazioni
a
catena
,
appena
cominciate
ma
dagli
sviluppi
imprevedibili
.
Con
l
'
annuncio
della
visita
a
Pechino
,
il
presidente
degli
Stati
Uniti
poneva
fine
ad
un
'
epoca
,
l
'
epoca
degli
assetti
post
-
bellici
sul
piano
delle
relazioni
internazionali
,
l
'
epoca
di
Yalta
culminata
nell
'
equilibrio
del
terrore
atomico
,
reciprocamente
bilanciato
,
fra
Washington
e
Mosca
.
Con
la
sospensione
della
convertibilità
fra
dollaro
e
oro
,
allargata
ad
un
piano
neppure
troppo
dissimulato
di
protezione
dell
'
industria
americana
,
Nixon
liquida
la
politica
di
Bretton
Woods
,
che
aveva
affidato
al
dollaro
la
funzione
di
moneta
internazionale
di
riserva
,
e
prepara
la
detronizzazione
dell
'
oro
-
il
magico
Sovrano
tanto
caro
al
generale
De
Gaulle
-
delineando
un
ritorno
ad
un
sistema
di
rapporti
economici
che
avrà
ben
poco
a
che
fare
col
«
Kennedy
Round
»
e
con
tutti
i
giganteschi
sforzi
di
liberalizzazione
dei
mercati
mondiali
.
Non
si
può
negare
che
Nixon
sia
un
grosso
giocatore
di
poker
.
Con
l
'
apertura
alla
Cina
di
Mao
,
in
funzione
di
bilancia
verso
l
'
Unione
Sovietica
,
il
presidente
degli
Stati
Uniti
ha
messo
consapevolmente
in
crisi
tutto
il
sistema
delle
tradizionali
alleanze
americane
in
Asia
,
a
cominciare
dal
Giappone
e
senza
contare
Formosa
,
nella
speranza
,
che
attende
la
conferma
dei
fatti
,
di
un
nuovo
e
più
valido
equilibrio
inglobante
la
grande
«
realtà
Cina
»
.
È
una
sfida
,
da
cui
dipende
il
futuro
della
presidenza
Nixon
ma
non
solo
quello
.
Con
la
decisione
spregiudicata
e
realistica
sul
dollaro
,
a
parte
le
indiscutibili
motivazioni
tecniche
,
Nixon
ha
messo
in
difficoltà
le
economie
dei
paesi
alleati
od
amici
-
il
Giappone
per
l
'
Asia
,
la
Germania
di
Bonn
e
un
po
'
tutto
il
Mec
per
l
'
Europa
-
pur
di
creare
le
condizioni
volte
a
superare
la
crisi
del
dollaro
che
rischiava
di
riflettersi
,
coi
danni
congiunti
dell
'
inflazione
e
della
recessione
,
sul
tenore
di
vita
americano
.
Nessuno
ha
il
diritto
,
in
materia
,
di
scagliare
la
prima
pietra
.
La
Francia
gollista
e
post
-
gollista
,
che
da
dieci
anni
pratica
la
guerra
al
dollaro
-
appena
temperata
dal
sapiente
scetticismo
di
Pompidou
e
dal
sagace
realismo
di
Giscard
d
'
Estaing
-
è
l
'
ultimo
paese
che
può
levare
un
grido
di
protesta
contro
l
'
iniziativa
unilaterale
degli
Stati
Uniti
,
ispirata
a
quegli
stessi
criteri
di
patriottismo
ad
oltranza
che
fioriscono
sulle
rive
della
Senna
.
La
Germania
,
che
procedette
mesi
fa
alla
rivalutazione
del
marco
con
tranquilla
indifferenza
per
i
danni
che
ne
sarebbero
derivati
agli
Stati
Uniti
,
non
ha
neppure
essa
i
titoli
sufficienti
a
condannare
una
misura
che
nasce
da
una
crisi
obiettiva
in
campo
monetario
cui
Bonn
ha
contribuito
in
misura
determinante
.
La
realtà
è
quella
che
è
e
va
giudicata
col
massimo
di
freddezza
possibile
.
Il
dato
dell
'
interesse
nazionale
,
inteso
con
una
punta
di
pragmatismo
evocante
nostalgie
e
vibrazioni
isolazioniste
,
torna
a
prevalere
nella
politica
generale
non
meno
che
in
quella
economica
di
Nixon
:
conformemente
alle
scaturigini
repubblicane
della
sua
stessa
filosofia
politica
.
Il
filo
-
europeismo
,
non
esente
da
errori
e
da
ingenuità
,
dell
'
epoca
dei
democratici
rischia
di
diventare
un
ricordo
di
tempi
lontani
.
La
partnership
euro
-
americana
sognata
da
Kennedy
appartiene
al
libro
dei
sogni
,
e
per
di
più
dei
sogni
svaniti
.
Gli
Stati
Uniti
si
muovono
con
realismo
,
con
concretezza
,
con
una
difesa
puntuale
e
aderente
dei
loro
interessi
:
dalla
legge
Mills
,
che
danneggia
settori
delicati
dell
'
esportazione
europea
,
a
tutto
il
campo
delle
spese
militari
per
la
difesa
comune
,
un
campo
in
cui
Washington
denuncia
una
crescente
stanchezza
per
l
'
esclusivo
peso
gravante
sulle
sue
spalle
.
Il
«
pentapolarismo
»
,
adombrato
da
Nixon
,
significa
,
nella
mente
degli
americani
,
la
preparazione
ad
una
vera
,
e
non
retorica
,
assunzione
di
responsabilità
economiche
e
finanziarie
da
parte
delle
cinque
forze
,
inclusa
,
anzi
preminente
,
la
quarta
,
l
'
Europa
occidentale
.
Washington
è
stanca
di
fare
il
gendarme
del
mondo
,
magari
per
riceverne
in
cambio
fischi
e
improperi
;
la
fine
della
guerra
nel
Vietnam
implicherà
tutta
una
rielaborazione
,
e
revisione
,
e
riduzione
degli
impegni
americani
nel
mondo
(
non
si
riparla
forse
di
taglio
delle
forze
Usa
in
Europa
,
in
significativa
coincidenza
con
la
tempesta
monetaria
?
)
.
Sullo
sfondo
delle
misure
che
hanno
accompagnato
il
«
ridimensionamento
»
del
dollaro
,
a
cominciare
dal
pesante
tasso
del
dieci
per
cento
sulle
importazioni
,
non
manca
neppure
una
certa
preoccupazione
per
la
concorrenza
economica
e
finanziaria
che
il
«
quarto
grande
»
Europa
,
una
volta
costituito
sul
serio
,
potrebbe
finire
per
esercitare
nella
gara
per
i
mercati
mondiali
.
Ma
sarebbe
un
motivo
di
più
per
stimolare
l
'
Europa
,
l
'
Europa
comunitaria
nel
suo
insieme
,
ad
assumere
coscienza
dei
suoi
doveri
irrinunciabili
.
Non
c
'
è
più
il
solo
filo
diretto
fra
Cremlino
e
Casa
Bianca
;
l
'
ombrello
americano
non
può
bastare
;
il
giuoco
si
allarga
.
Mao
incita
l
'
Europa
a
farsi
forte
;
Ciu
En
-
lai
rivolgeva
di
recente
auguri
di
successo
e
di
sviluppo
al
Mercato
comune
.
Qual
è
stata
invece
la
risposta
della
Comunità
europea
?
Il
quadro
dell
'
ultima
riunione
di
Bruxelles
non
potrebbe
apparire
più
sconsolante
.
Un
'
altra
occasione
è
stata
perduta
;
un
'
altra
speranza
delusa
.
È
mancata
una
risposta
europea
all
'
America
:
base
per
ogni
futuro
negoziato
,
premessa
di
ogni
necessario
equilibrio
.
Il
contrasto
franco
-
tedesco
,
contenuto
sul
piano
politico
,
è
riesploso
su
quello
economico
.
Parigi
non
vuole
inchinarsi
alla
realtà
dell
'
economia
tedesca
in
via
di
continua
,
e
meritata
,
espansione
;
guarda
ad
un
primato
del
franco
,
e
ad
un
legame
con
l
'
oro
,
che
sono
fuori
della
realtà
.
La
linea
realistica
e
seria
seguita
dalla
delegazione
italiana
ci
assicura
che
tutte
le
speranze
di
un
ragionevole
compromesso
non
sono
perdute
,
per
la
prossima
sessione
di
Bruxelles
.
La
babele
monetaria
non
rappresenta
una
soluzione
:
con
alcuni
paesi
che
si
regolano
in
un
modo
,
altri
in
modo
diverso
od
opposto
.
Le
incognite
dell
'
anarchia
economica
sono
almeno
altrettanto
gravi
delle
rinnovate
minacce
di
protezionismo
e
di
barriere
economiche
proibitive
che
si
levano
su
un
mondo
alla
ricerca
disperata
di
più
larghe
solidarietà
.
Per
l
'
Italia
,
poi
,
non
c
'
è
da
scherzare
.
Il
nostro
sistema
economico
è
forse
il
più
esposto
ai
contraccolpi
di
una
lotta
commerciale
e
valutaria
condotta
senza
esclusione
di
colpi
.
La
guerra
che
da
qualche
parte
si
vorrebbe
muovere
alla
saggia
politica
del
governatore
Carli
-
presupposto
della
relativa
stabilità
monetaria
con
cui
abbiamo
affrontato
il
recente
ciclone
-
rientra
in
quel
clima
di
dilettantismo
in
cui
,
purtroppo
,
primeggiano
taluni
socialisti
di
casa
nostra
.
Sognatori
ancora
,
dopo
tante
delusioni
e
tante
crudeli
smentite
,
di
una
autarchia
incapace
di
resistere
alla
prima
difficoltà
.
Altro
che
l
'
eccessivo
accumulo
di
dollari
nelle
casse
della
Tesoreria
!
Non
manca
mai
una
nota
di
umorismo
nelle
crisi
più
difficili
.
StampaQuotidiana ,
Un
eminente
«
sinologo
»
dell
'
università
di
Berkeley
dichiarava
pochi
mesi
fa
ad
un
nostro
collega
italiano
:
«
come
potenza
asiatica
,
la
Repubblica
popolare
cinese
teme
innanzitutto
l
'
Unione
Sovietica
,
poi
il
Giappone
e
solo
in
terzo
ordine
di
importanza
gli
Stati
Uniti
»
.
Ecco
la
ragione
vera
,
e
profonda
,
dell
'
improvviso
e
straordinario
invito
rivolto
da
Mao
a
Nixon
:
«
l
'
avvenimento
più
grande
del
dopoguerra
»
,
come
lo
ha
giustamente
definito
La
Malfa
.
Il
riserbo
,
e
la
prudenza
,
di
Mosca
di
fronte
al
riavvicinamento
cino
-
americano
-
un
riserbo
e
una
prudenza
che
rinnovano
la
linea
di
diffidenza
e
di
sospetto
verso
i
primi
atti
della
diplomazia
del
ping
-
pong
-
confermano
il
sottinteso
antisovietico
del
clamoroso
invito
al
presidente
degli
Stati
Uniti
che
Kissinger
,
il
professore
teorico
della
«
diplomazia
tripolare
»
,
ha
negoziato
nel
segreto
dei
suoi
colloqui
con
Ciu
En
-
lai
ma
che
era
stato
preparato
da
una
serie
coordinata
di
atti
ammiccanti
e
rivelatori
.
L
'
annuncio
contemporaneo
dalla
Casa
Bianca
e
da
Pechino
conferma
che
la
Cina
continua
a
temere
,
oggi
più
che
mai
,
la
minaccia
sovietica
alle
sue
frontiere
.
Tutte
le
trattative
,
stancamente
prolungate
da
anni
,
per
raggiungere
un
compromesso
o
un
modus
vivendi
nelle
tormentate
questioni
di
confine
che
dividono
la
Russia
e
la
Cina
non
sono
evidentemente
approdate
allo
scopo
.
Col
realismo
e
col
pragmatismo
che
caratterizzano
la
grande
tradizione
della
diplomazia
cinese
,
l
'
avvicinamento
all
'
«
avversario
del
tuo
avversario
»
è
stato
ritenuto
più
efficace
,
e
più
produttivo
,
di
tutti
i
tête
-
à
-
tête
fra
i
due
vicini
,
pure
regolati
dalla
suprema
abilità
di
una
regia
scaltra
e
dissimulata
.
Non
solo
:
ma
l
'
invito
rivolto
al
presidente
della
Confederazione
americana
,
di
una
nazione
che
non
intrattiene
cioè
rapporti
diplomatici
diretti
con
Pechino
e
che
fino
a
pochi
mesi
fa
è
stata
raffigurata
come
il
campione
dell
'
imperialismo
mondiale
in
Asia
,
dimostra
che
Mao
sconta
una
soluzione
pacifica
e
concordata
,
a
più
o
meno
breve
distanza
,
della
guerra
nel
Vietnam
.
La
politica
di
«
vietnamizzazione
»
proclamata
dal
presidente
Nixon
con
la
dottrina
di
Guam
,
un
'
altra
dottrina
elaborata
dal
professor
Kissinger
(
una
volta
tanto
l
'
università
è
decisiva
nella
storia
del
mondo
!
)
,
ha
ricevuto
a
Pechino
un
credito
maggiore
che
in
ogni
altra
parte
del
mondo
.
I
vituperi
e
le
contumelie
dei
comunisti
occidentali
,
a
cominciare
da
quelli
italiani
,
finiscono
quasi
per
dissolversi
in
una
prospettiva
di
ridicolo
.
Né
la
campagna
della
Cambogia
né
quella
del
Laos
-
tanto
rimproverate
al
presidente
Nixon
da
quei
seguaci
del
Pci
che
quasi
resero
impossibile
la
visita
del
presidente
americano
a
Roma
-
hanno
rappresentato
un
ostacolo
apprezzabile
alla
distensione
fra
Cina
e
Stati
Uniti
.
Mao
ha
valutato
realisticamente
,
e
positivamente
,
il
nuovo
indirizzo
dell
'
amministrazione
repubblicana
per
il
Sud
-
Est
asiatico
;
ha
creduto
alla
sincera
volontà
di
disimpegno
degli
americani
,
contro
tutto
l
'
isterismo
della
contestazione
anti
-
americana
:
di
massa
o
dei
gruppuscoli
filo
-
cinesi
.
Le
accoglienze
trionfali
riserbate
,
proprio
nei
giorni
successivi
all
'
operazione
Laos
,
ai
campioni
,
neppure
straordinari
,
del
«
ping
-
pong
»
americano
avevano
già
rivelato
una
precisa
scelta
politica
;
la
svolta
sensazionale
di
ieri
conferma
che
siamo
andati
rapidamente
oltre
le
cavallerie
dell
'
agonismo
sportivo
al
servizio
della
diplomazia
.
Si
potrebbe
dire
di
più
:
una
soluzione
pacifica
del
dramma
vietnamita
,
magari
attraverso
una
conferenza
per
l
'
Indocina
,
sembra
preferibile
,
per
la
diplomazia
cinese
,
ad
un
prolungarsi
indefinito
del
conflitto
,
giudicato
più
vantaggioso
per
Mosca
.
Non
dimentichiamo
che
il
partito
comunista
di
Hanoi
è
di
obbedienza
sovietica
molto
più
che
cinese
;
non
dimentichiamo
che
il
grosso
delle
forniture
militari
al
Nord
-
Vietnam
è
sempre
venuto
da
Mosca
(
la
Cina
ha
solo
mandato
armi
leggere
,
e
spesso
leggerissime
...
)
.
Neppure
l
'
ostacolo
dell
'
esclusione
,
assurda
esclusione
,
della
Cina
popolare
dall
'
Onu
sembra
ormai
insuperabile
.
Fra
i
temi
del
viaggio
di
Nixon
a
Pechino
,
quello
del
«
compromesso
»
necessario
per
ammettere
Pechino
fra
i
grandi
delle
nazioni
unite
occuperà
certo
uno
dei
primissimi
posti
.
Fin
dall
'
esordio
della
gestione
Nixon
,
un
nuovo
orientamento
era
emerso
nella
diplomazia
americana
:
volto
a
trovare
,
con
pazienza
e
con
tenacia
,
una
via
di
contemperamento
fra
la
salvaguardia
di
Formosa
e
i
diritti
imprescrittibili
di
un
paese
,
che
conta
750
milioni
di
uomini
su
una
superficie
di
nove
milioni
e
mezzo
di
chilometri
quadrati
,
press
'
a
poco
la
stessa
superficie
degli
Stati
Uniti
(
la
cui
popolazione
sfiora
soltanto
i
200
milioni
di
abitanti
)
.
La
via
delle
due
Cine
,
insomma
:
statu
quo
per
Formosa
ma
consacrazione
dei
diritti
di
Pechino
come
potenza
mondiale
.
Edgar
Snow
,
uno
degli
intellettuali
che
conosce
più
a
fondo
il
mondo
cinese
,
riferiva
di
recente
una
dichiarazione
di
Mao
,
secondo
la
quale
la
soluzione
del
problema
di
Formosa
era
rinviata
«
alla
morte
di
Chiang
Kai
-
shek
»
,
un
uomo
che
ha
superato
gli
84
anni
.
Tutto
fermo
finché
sarà
in
vita
il
capo
della
repubblica
di
Formosa
,
e
antico
protagonista
delle
lotte
per
la
liberazione
popolare
della
Cina
(
ricordate
la
Condition
humaine
di
Malraux
?
)
;
trasformazione
successiva
dell
'
isola
in
provincia
autonoma
della
Cina
sotto
il
controllo
del
Kuomintang
,
salvo
un
«
referendum
»
entro
dieci
o
venti
anni
.
Tutto
,
in
ogni
caso
,
è
fondato
sui
ritmi
dei
tempi
lunghi
.
Neppure
dopo
l
'
annuncio
,
sensazionale
e
sorprendente
,
della
visita
di
Nixon
in
Cina
,
nessuno
può
illudersi
su
cambiamenti
immediati
e
soprattutto
a
senso
unico
.
Il
giuoco
della
Cina
,
nel
quadro
della
nuova
diplomazia
triangolare
cui
guarda
il
regime
di
Mao
,
sarà
complesso
,
sfumato
,
contraddittorio
e
spesso
insondabile
.
La
potenza
militare
cinese
,
nonostante
la
scoperta
di
atomiche
sperimentali
,
alla
De
Gaulle
,
non
è
ancora
arrivata
ad
un
livello
competitivo
col
colosso
sovietico
,
che
incombe
,
con
la
forza
intatta
delle
sue
armate
e
dei
suoi
missili
,
sui
seimila
chilometri
di
frontiera
aperta
,
la
frontiera
bagnata
dal
sangue
dell
'
Ussuri
.
La
Cina
deve
realizzare
una
trasformazione
industriale
e
tecnologica
,
che
è
appena
agli
inizi
.
L
'
aiuto
americano
è
per
essa
essenziale
.
Nixon
ha
tutto
da
guadagnare
.
Con
la
spettacolare
mossa
del
viaggio
in
Cina
,
il
presidente
repubblicano
toglie
armi
decisive
agli
oppositori
democratici
,
scavalca
«
a
sinistra
»
tutti
i
Mansfield
e
tutti
gli
Humphrey
.
La
stessa
provvidenziale
iniziativa
del
«
New
York
Times
»
,
di
pubblicare
i
documenti
retrospettivi
degli
errori
democratici
nel
Vietnam
,
assume
un
più
preciso
significato
e
quasi
un
valore
profetico
alla
luce
del
piano
che
la
Casa
Bianca
stava
perseguendo
,
con
tenacia
pari
alla
spregiudicatezza
.
Ai
fini
della
rielezione
nel
'72
,
e
sempre
che
la
missione
a
Pechino
sia
coronata
da
successo
,
Nixon
ha
strappato
una
«
chance
»
di
grande
rilievo
.
Quello
che
ai
tempi
di
Johnson
appariva
utopia
è
diventato
oggi
realtà
.
Il
grande
giuoco
mondiale
riprende
il
sopravvento
nella
politica
americana
,
sempre
più
distaccata
dalle
miserie
e
dalle
divisioni
europee
,
miserie
e
divisioni
che
sembrano
infastidire
ogni
giorno
di
più
la
Casa
Bianca
e
l
'
intera
America
.
È
un
motivo
di
riflessione
per
l
'
Europa
,
se
ancora
il
vecchio
continente
conserva
un
minimo
di
volontà
di
sopravvivenza
.
Nell
'
unità
e
nella
libertà
:
senza
le
quali
la
nuova
e
grande
partita
mondiale
delle
superpotenze
,
Cina
compresa
,
è
destinata
a
passare
sulla
nostra
testa
.