StampaQuotidiana ,
La
«
diplomazia
del
ping
pong
»
non
ha
cessato
di
produrre
i
suoi
effetti
.
Fra
le
cause
che
spiegano
l
'
annuncio
rapido
e
sensazionale
da
Washington
e
da
Mosca
dell
'
intesa
diretta
per
la
limitazione
delle
armi
strategiche
nucleari
(
non
soltanto
dei
missili
difensivi
ma
anche
di
quelli
offensivi
:
dopo
un
anno
e
mezzo
di
caparbie
resistenze
e
di
ostinate
negazioni
sovietiche
)
,
c
'
è
indubbiamente
l
'
elemento
Cina
,
la
componente
Pechino
.
Il
riavvicinamento
cino
-
americano
di
poche
settimane
fa
,
pur
solcato
da
ambiguità
e
reticenze
,
aveva
profondamente
turbato
l
'
Unione
Sovietica
e
sospinto
Mosca
a
riconsiderare
il
complesso
della
sua
strategia
verso
gli
Stati
Uniti
:
nell
'
evidente
tentativo
di
evitare
quel
possibile
«
isolamento
»
che
l
'
Urss
paventa
nel
caso
che
dalle
partite
di
ping
pong
si
passi
ad
un
'
intesa
più
stretta
fra
America
e
Cina
.
La
diplomazia
triangolare
,
aperta
dal
nuovo
e
complesso
rapporto
Washington
-
Mosca
-
Pechino
,
è
un
'
alleata
indiretta
ma
sicura
della
pace
e
dell
'
equilibrio
mondiale
.
Non
c
'
è
nulla
che
la
Russia
attuale
,
la
Russia
conservatrice
e
metternichiana
di
Breznev
,
tema
quanto
la
Cina
.
Sul
piano
degli
immensi
confini
che
si
estendono
fra
i
due
paesi
,
prolungandosi
per
oltre
seimila
chilometri
,
ma
anche
sul
piano
della
leadership
ideologica
dei
partiti
comunisti
,
cui
Mosca
è
decisa
a
non
rinunciare
,
costi
quello
che
costi
.
La
nuova
linea
,
non
priva
di
spregiudicatezza
,
assunta
da
Nixon
nei
riguardi
della
Cina
fin
dagli
inizi
ha
posto
al
Cremlino
problemi
delicati
,
risolti
con
una
tecnica
alterna
,
di
lusinga
e
di
intimidazione
,
di
oltranzismo
mescolato
alla
distensione
.
Un
punto
è
certo
:
la
Cina
non
si
rassegna
al
ruolo
di
secondo
del
comunismo
mondiale
,
cui
voleva
inchiodarla
per
primo
Stalin
.
I
sintomi
dell
'
attivismo
maoista
sono
continui
.
L
'
ultimo
,
e
più
significativo
,
è
dato
dall
'
annuncio
,
proprio
di
questi
giorni
,
dell
'
imminente
viaggio
a
Pechino
del
capo
romeno
Ceausescu
,
il
leader
di
un
comunismo
nazionale
profondamente
venato
di
riserve
verso
la
Russia
:
quasi
a
rilanciare
la
sfida
al
monopolio
ideologico
dell
'
Urss
,
pur
ribadito
con
tanto
ostentata
solennità
al
XXIV
congresso
del
Pcus
.
E
chi
se
non
il
presidente
Nixon
fu
il
primo
a
visitare
l
'
eretico
romeno
,
accolto
dagli
applausi
entusiastici
di
Bucarest
,
nel
viaggio
europeo
di
due
anni
or
sono
?
In
queste
condizioni
la
mano
tesa
di
Pechino
verso
Washington
preoccupa
Mosca
.
Ma
c
'
è
un
secondo
elemento
che
ha
avuto
pure
la
sua
importanza
nell
'
ammorbidire
la
intransigenza
sovietica
sul
negoziato
Salt
,
e
nell
'
indurre
la
Russia
a
riprendere
il
dialogo
missilistico
con
Washington
su
basi
di
realismo
e
di
concretezza
,
al
di
fuori
di
ogni
velleità
di
stravincere
.
Ed
è
stata
la
rapida
ripresa
dell
'
Europa
nelle
ultime
settimane
,
coronata
dal
felice
successo
delle
trattative
di
Brusselles
non
meno
che
del
vertice
di
Parigi
e
dal
rilancio
dell
'
ingresso
dell
'
Inghilterra
nel
Mec
,
paradossalmente
favorito
dalle
orgogliose
misure
tedesche
sul
marco
.
La
paura
della
Cina
si
unisce
nella
diplomazia
sovietica
ad
un
'
altra
costante
:
l
'
ossessione
,
del
resto
comprensibile
,
della
Germania
.
La
Ostpolitik
ha
rappresentato
un
momento
di
questa
paura
:
il
desiderio
di
staccare
la
Repubblica
di
Bonn
dai
vincoli
«
privilegiati
»
con
la
Francia
-
la
grande
illusione
di
De
Gaulle
-
e
con
gli
altri
paesi
della
Comunità
europea
per
impedire
il
ricostituirsi
di
una
qualsiasi
minaccia
,
soprattutto
di
una
qualsiasi
potenziale
minaccia
nucleare
,
alle
frontiere
occidentali
sovietiche
,
le
stesse
frontiere
aggredite
da
Hitler
nel
giugno
'41
.
Non
sembra
che
la
Ostpolitik
,
così
contrastata
all
'
interno
e
presso
gli
stessi
alleati
-
satelliti
di
Mosca
,
abbia
raggiunto
tutti
i
risultati
che
il
Cremlino
se
ne
riprometteva
.
Il
filo
della
maggioranza
social
-
liberale
,
su
cui
si
regge
la
cancelleria
Brandt
,
è
esilissimo
;
le
riserve
e
le
resistenze
in
Germania
e
fuori
crescenti
.
L
'
ipotesi
che
la
Comunità
europea
,
rafforzata
da
Londra
,
possa
sviluppare
un
suo
deterrente
nucleare
è
già
sufficiente
a
turbare
la
Unione
Sovietica
;
ma
l
'
ipotesi
,
molto
più
remota
e
non
impossibile
in
astratto
,
che
la
Germania
possa
avere
un
giorno
,
anche
lontano
,
la
possibilità
di
poggiare
il
dito
sul
«
grilletto
atomico
»
è
sufficiente
a
generare
un
senso
di
terrore
nell
'
Unione
Sovietica
,
spingendo
il
gruppo
arrogante
ma
realista
che
si
stringe
intorno
a
Breznev
a
riconsiderare
tutte
le
sue
posizioni
,
con
un
occhio
sempre
più
amichevole
verso
l
'
America
.
Non
a
caso
Breznev
ha
dato
una
mano
,
col
discorso
di
Tiflis
,
al
presidente
Nixon
per
respingere
la
mossa
,
incauta
e
pericolosa
sotto
tutti
i
punti
di
vista
,
dell
'
emendamento
Mansfield
volto
a
ridurre
i
contingenti
americani
in
Europa
.
E
non
a
caso
Nixon
ha
detto
no
a
Mansfield
,
col
concorso
di
due
ex
presidenti
che
si
chiamano
Truman
e
Johnson
,
in
vista
di
non
compromettere
le
prospettive
di
un
negoziato
con
la
Russia
per
la
riduzione
reciproca
e
bilanciata
delle
forze
dei
due
blocchi
in
Europa
.
È
chiaro
che
gli
Stati
Uniti
,
attraverso
il
nuovo
giuoco
triangolare
,
stanno
riguadagnando
un
po
'
dovunque
l
'
iniziativa
che
avevano
perduto
.
Nel
Sud
-
Est
asiatico
la
situazione
non
è
peggiorata
per
loro
,
e
la
campagna
cinese
sui
fatti
della
Cambogia
o
del
Laos
è
quasi
cessata
.
Più
significativo
ancora
il
corso
degli
eventi
nel
Medio
Oriente
:
con
l
'
improvvisa
svolta
del
regime
di
Sadat
in
Egitto
,
proprio
all
'
indomani
della
missione
del
segretario
di
Stato
Rogers
.
Una
missione
tutt
'
altro
che
fallita
,
a
giudicare
dalla
rimozione
di
tutti
,
o
quasi
,
gli
elementi
filo
-
sovietici
dal
governo
post
-
nasseriano
(
ripensiamo
a
quei
democratici
che
rimpiangevano
Nasser
come
genio
della
pace
!
)
e
all
'
apertura
di
una
linea
di
aperto
e
globale
negoziato
con
Israele
:
e
tocca
a
Israele
non
chiudere
la
porta
.
Ma
l
'
iniziativa
americana
non
basta
.
È
l
'
ora
di
un
'
iniziativa
dell
'
Europa
.
I
risultati
dell
'
incontro
di
Parigi
,
nonostante
ombre
e
riserve
,
sono
incoraggianti
;
Francia
e
Inghilterra
hanno
ritrovato
una
comune
convenienza
a
«
stare
»
in
Europa
.
È
imminente
una
riunione
della
Nato
a
Lisbona
;
è
emersa
una
linea
comune
dei
paesi
del
Mec
sui
problemi
del
Mediterraneo
,
presenza
navale
sovietica
non
meno
che
petrolio
.
Quelli
che
furono
i
rapporti
speciali
della
sola
Gran
Bretagna
con
l
'
America
dovrebbero
diventare
i
rapporti
speciali
dell
'
intero
continente
,
finalmente
organizzato
a
unità
,
col
grande
mondo
americano
:
in
un
vincolo
non
di
sudditanza
ma
di
parità
,
tale
da
offrire
tutte
le
garanzie
di
equilibrio
all
'
Unione
Sovietica
e
da
consentire
una
conferenza
europea
senza
dimenticare
Berlino
.
Le
condizioni
per
l
'
Europa
europea
esistono
.
Occorre
che
tutti
i
popoli
del
Mec
non
perdano
questa
occasione
storica
.
Tutti
:
a
cominciare
dall
'
Italia
.
E
ci
siamo
capiti
.
StampaQuotidiana ,
In
questa
ultima
convulsa
fase
della
campagna
elettorale
del
13
giugno
-
un
quinto
del
corpo
elettorale
ma
la
macchina
dei
partiti
impegnata
con
tutta
la
pesantezza
degli
slogans
e
tutta
la
aggressività
degli
apparati
-
è
tornata
in
primo
piano
la
polemica
sul
«
dopo
»
,
è
riaffiorata
l
'
ombra
della
verifica
all
'
indomani
del
turno
amministrativo
di
domenica
prossima
.
Verifica
della
volontà
dei
quattro
partiti
di
restare
insieme
:
ha
chiesto
,
non
certo
a
torto
,
l
'
onorevole
Ferri
,
leader
di
un
partito
che
segue
con
crescente
malessere
lo
sviluppo
dei
sintomi
di
scollamento
e
di
disintegrazione
all
'
interno
del
centro
-
sinistra
.
Necessità
di
mantenere
il
quadro
istituzionale
del
quadripartito
,
senza
scosse
e
senza
prove
pericolose
,
almeno
fino
alla
difficile
scadenza
dell
'
elezione
presidenziale
:
ha
risposto
,
con
motivi
almeno
altrettanto
fondati
,
l
'
onorevole
La
Malfa
,
capo
di
un
altro
partito
che
si
è
ispirato
ad
una
costante
regola
di
coerenza
e
di
serietà
e
che
non
manca
di
condividere
le
preoccupazioni
del
Psdi
,
ma
teme
ancora
più
la
lacerazione
della
superstite
solidarietà
democratica
nei
mesi
bloccati
e
paralizzati
del
«
semestre
bianco
»
.
Nessuna
verifica
:
ha
aggiunto
,
da
parte
sua
,
il
vice
-
presidente
De
Martino
,
insistendo
sulla
tesi
socialista
degli
«
equilibri
più
avanzati
»
,
che
degrada
il
centro
-
sinistra
ad
una
formula
interlocutoria
e
di
transizione
,
e
tornando
sullo
spartiacque
delle
riforme
come
solo
criterio
di
divisione
fra
le
forze
politiche
,
indipendentemente
,
si
potrebbe
dire
,
dalla
loro
collocazione
nella
maggioranza
o
nell
'
opposizione
.
Riforme
e
centro
-
sinistra
:
ecco
il
tema
che
in
ogni
caso
,
verifiche
o
meno
,
dominerà
le
settimane
successive
al
13
giugno
.
Ma
quali
riforme
?
E
con
quali
mezzi
?
Una
volta
di
più
l
'
astrattismo
socialista
rischia
di
prevalere
sui
dati
obiettivi
della
realtà
,
condizionata
da
una
recessione
economica
minacciante
tutti
gli
approdi
e
i
traguardi
della
stessa
classe
lavoratrice
.
La
recente
relazione
del
governatore
della
Banca
d
'
Italia
-
relazione
che
gli
stessi
comunisti
hanno
accolto
con
qualche
maggiore
apertura
del
passato
-
indica
i
confini
insuperabili
di
una
politica
economica
che
,
pur
salvaguardando
l
'
impegno
delle
riforme
indispensabili
alla
promozione
della
società
civile
,
non
può
non
preoccuparsi
di
evitare
i
danni
congiunti
della
spirale
inflazionista
e
della
contrazione
produttiva
:
danni
capaci
da
soli
di
travolgere
ogni
riforma
.
Sì
:
perché
l
'
Italia
attraversa
una
fase
-
caso
unico
nel
mondo
occidentale
-
di
tensione
inflazionista
congiunta
ad
un
ristagno
produttivo
.
Carli
è
stato
esplicito
.
L
'
eccezionale
aumento
dei
costi
di
lavoro
non
è
stato
compensato
,
come
pur
avevano
teorizzato
i
vari
Donat
Cattin
nei
mesi
dell
'
autunno
caldo
,
da
un
aumento
di
produttività
.
Anzi
:
la
produzione
industriale
è
diminuita
del
2,6
per
cento
nei
primi
quattro
mesi
dell
'
anno
rispetto
al
periodo
corrispondente
del
1970
:
e
con
un
'
incidenza
di
maggiori
costi
di
lavoro
che
ha
toccato
la
media
del
23
per
cento
,
con
punte
del
27
nelle
industrie
metalmeccaniche
e
del
33
nelle
chimiche
.
Il
nostro
sistema
economico
non
ha
potuto
reagire
agli
aggravi
salariali
con
rapidi
processi
di
razionalizzazione
:
la
capacità
di
utilizzare
meglio
gli
impianti
è
stata
gravemente
compromessa
dalla
«
conflittualità
permanente
»
(
quello
che
succede
alla
Fiat
è
sufficientemente
indicativo
)
e
dalle
forme
di
anarchia
sindacale
,
che
sembrano
trascendere
le
stesse
direttive
delle
tre
confederazioni
.
L
'
aumento
dei
prezzi
tende
a
superare
l
'
aumento
dei
redditi
di
lavoro
.
Si
sviluppano
,
con
ritmo
paurosamente
crescente
,
le
ore
concesse
dalla
Cassa
integrazione
guadagni
.
Le
piccole
e
medie
industrie
,
che
chiedono
protezione
allo
Stato
,
che
sognano
di
essere
«
irizzate
»
o
«
statizzate
»
,
si
moltiplicano
a
vista
d
'
occhio
.
Il
risparmio
ha
paura
:
si
concentra
nelle
banche
,
anche
a
basso
tasso
d
'
interesse
,
e
rifugge
dagli
investimenti
.
La
crisi
della
Borsa
-
l
'
ha
rilevato
acutamente
il
professor
Dell
'
Amore
nelle
osservazioni
successive
alla
relazione
Carli
-
si
identifica
con
una
crisi
dell
'
intero
sistema
di
alimentazione
degli
investimenti
.
La
nostra
competitività
sui
mercati
internazionali
declina
ogni
giorno
.
Gli
scambi
con
l
'
estero
di
beni
e
servizi
,
migliorati
nell
'
ultimo
scorcio
del
1970
,
hanno
presentato
nuovamente
un
saldo
negativo
nel
primo
trimestre
del
'71
.
L
'
edilizia
,
molla
essenziale
dell
'
economia
nazionale
,
non
tira
:
il
Governatore
ha
rivelato
che
molte
gare
di
appalti
pubblici
sono
andate
deserte
,
trovandosi
i
costruttori
nell
'
impossibilità
di
prevedere
la
misura
delle
maggiorazioni
di
costo
durante
il
periodo
di
esecuzione
dei
lavori
.
Le
prospettive
dell
'
occupazione
sono
tutt
'
altro
che
rosee
:
gli
iscritti
alle
liste
di
collocamento
si
sono
accresciuti
di
un
quinto
in
un
anno
e
si
aggrava
l
'
inquietante
fenomeno
della
«
sottoccupazione
»
,
dalle
mille
e
insondabili
facce
,
con
gravi
riflessi
sul
volume
dei
consumi
,
già
contratto
dalla
quotidiana
taglia
inflazionista
.
Incremento
del
reddito
?
In
queste
condizioni
tutte
le
previsioni
del
'71
rischiano
di
essere
vanificate
.
Non
dimentichiamoci
che
l
'
aumento
del
reddito
nazionale
è
stato
del
5,9
per
cento
nel
1969
ed
è
già
sceso
al
5,1
nel
'70
.
Le
previsioni
del
piano
per
il
'71
parlavano
di
un
incremento
minimo
del
4
per
cento
.
Ma
come
raggiungerlo
?
Senza
un
limite
alla
spesa
pubblica
improduttiva
-
quello
che
La
Malfa
ha
chiesto
nuovamente
a
Genova
-
,
senza
un
rilancio
degli
investimenti
nel
settore
privato
,
inseparabili
da
un
clima
di
fiducia
,
tutte
le
anticipazioni
dei
programmatori
sarebbero
destinate
alla
più
crudele
e
beffarda
smentita
.
Altro
che
equilibri
più
avanzati
!
Per
salvare
le
riforme
,
per
attuare
la
nuova
disciplina
della
casa
,
della
sanità
,
della
scuola
,
irrinunciabile
per
le
forze
democratiche
,
occorre
fissare
un
preciso
ordine
di
priorità
,
rinunciare
ad
ogni
facile
fuga
nella
demagogia
.
Le
maggioranze
aperte
,
di
cui
favoleggiano
i
socialisti
,
non
potrebbero
mai
sostenere
gli
sforzi
e
i
sacrifici
necessari
per
un
'
attuazione
realistica
e
graduale
dei
piani
riformatori
.
Piuttosto
che
studiare
le
convergenze
assembleari
o
milazziane
di
domani
,
sempre
e
tutte
condizionate
dal
miraggio
del
Quirinale
,
i
partiti
del
centro
-
sinistra
,
che
sono
«
condannati
»
a
marciare
insieme
almeno
per
tutto
il
corso
di
questa
legislatura
,
dovrebbero
prendere
solenne
impegno
di
non
promuovere
in
nessuna
sede
spese
pubbliche
che
non
siano
dirette
ad
aumentare
gli
investimenti
,
cioè
a
facilitare
la
ripresa
economica
base
delle
riforme
.
È
l
'
esortazione
dei
repubblicani
:
ma
chi
la
raccoglierà
?
Le
pressioni
corporative
e
settoriali
si
intrecciano
e
si
agitano
su
un
esecutivo
che
riflette
tutta
la
debolezza
del
sistema
e
rispecchia
il
travaglio
,
paralizzante
,
dei
partiti
.
Solo
se
il
13
giugno
si
manterrà
l
'
equilibrio
complessivo
delle
forze
democratiche
,
senza
pericolosi
spostamenti
né
a
sinistra
né
a
destra
,
la
prova
di
saggezza
delle
urne
potrà
esercitare
qualche
effetto
positivo
su
una
classe
politica
ogni
giorno
più
staccata
dal
paese
e
ricondurla
a
quello
che
Saragat
ha
chiamato
«
il
massimo
senso
di
responsabilità
»
.
Un
senso
di
responsabilità
di
cui
ci
sarà
particolarmente
bisogno
nei
prossimi
sei
mesi
:
forse
i
più
difficili
del
dopoguerra
.
StampaQuotidiana ,
Un
nuovo
importante
passo
è
stato
compiuto
sulla
via
dell
'
integrazione
europea
.
La
regia
dei
colloqui
fra
Pompidou
e
Heath
a
Parigi
è
apparsa
attenta
e
sapiente
:
degna
della
grande
tradizione
francese
.
Un
po
'
di
suspense
nel
corso
degli
incontri
,
nessun
comunicato
ufficiale
,
la
mancanza
degli
stessi
ministri
degli
esteri
al
tête
-
à
-
tête
fra
due
uomini
,
un
capo
di
Stato
e
un
capo
di
governo
,
che
parlavano
malissimo
l
'
uno
la
lingua
dell
'
altro
.
Alla
fine
una
conferenza
stampa
,
abbinata
,
del
presidente
francese
e
del
premier
inglese
:
quasi
a
rinnovare
il
fastoso
scenario
gollista
ma
non
più
sul
piano
dell
'
«
a
solo
»
,
non
più
sullo
sfondo
della
gladiatoria
esibizione
del
generale
,
impegnato
coi
giornalisti
a
comando
a
«
recitare
»
le
risposte
prefabbricate
a
domande
non
meno
prefabbricate
.
Le
dichiarazioni
finali
di
Pompidou
e
di
Heath
rispondono
a
un
ragionevole
ottimismo
,
dimostrano
che
molti
angoli
sono
stati
smussati
,
molti
dei
grossi
problemi
pendenti
fra
le
due
rive
della
Manica
avviati
a
soluzione
.
Soprattutto
è
stato
ottenuto
un
«
disgelo
»
psicologico
di
conseguenze
e
di
proporzioni
non
prevedibili
.
La
rancune
del
periodo
gollista
è
apparsa
superata
;
il
dialogo
è
stato
ripreso
,
e
non
più
soltanto
sul
terreno
delle
differenziazioni
o
contrapposizioni
tecnico
-
economiche
,
agricoltura
,
zuccheri
dei
Caraibi
,
relazioni
monetarie
,
già
affrontate
e
parzialmente
rimosse
nell
'
ultima
sessione
della
comunità
europea
a
Bruxelles
.
Francia
e
Inghilterra
hanno
dimostrato
di
rendersi
conto
delle
nuove
prospettive
mondiali
,
che
vedono
emergere
un
terzo
grande
accanto
alla
Russia
e
all
'
America
,
la
Cina
;
hanno
dimostrato
di
capire
che
solo
la
dimensione
,
prima
economica
e
poi
politica
,
di
un
'
Europa
avviata
ad
un
vincolo
federativo
è
in
grado
di
evitare
la
totale
sommersione
del
vecchio
continente
,
la
sua
trasformazione
in
oggetto
passivo
di
una
storia
che
si
svolga
al
di
fuori
di
ogni
sua
partecipazione
,
degradandola
a
squallido
teatro
di
antiche
grandezze
.
Certo
le
impennate
tedesche
sul
marco
hanno
contribuito
in
modo
determinante
alla
«
svolta
»
di
Parigi
.
C
'
è
in
Francia
un
crescente
sospetto
per
la
politica
di
Bonn
,
e
non
solo
per
la
Ostpolitik
,
che
in
generale
aveva
anticipato
dal
suo
orgoglioso
angolo
visuale
,
forse
anche
per
impedire
che
potesse
passare
nelle
mani
della
Germania
federale
.
Il
vincolo
speciale
,
che
De
Gaulle
aveva
creato
fra
Parigi
e
Bonn
,
non
è
stato
capace
di
sopravvivere
alla
scomparsa
del
generale
.
Il
successore
dell
'
Eliseo
,
interprete
com
'
è
di
un
realismo
francese
pragmatico
e
un
tantino
disincantato
,
simbolo
della
tradizionale
borghesia
d
'
oltralpe
,
ha
ripreso
il
filone
classico
della
Francia
repubblicana
di
Delcassé
,
si
è
riavvicinato
alla
Gran
Bretagna
con
uno
spirito
non
troppo
lontano
dall
'
Entente
cordiale
.
Ma
il
futuro
di
un
'
Europa
integrata
trascende
tali
punti
di
partenza
;
il
peso
della
Germania
federale
è
una
realtà
,
dalla
quale
sarebbe
pericoloso
ed
assurdo
prescindere
.
Si
tratta
di
trovare
lungo
la
strada
gli
equilibri
e
i
contrappesi
necessari
a
realizzare
,
con
l
'
unione
economica
,
quella
politica
del
continente
.
Pompidou
non
si
è
nascosto
le
difficoltà
che
ancora
si
frappongono
al
raggiungimento
di
tale
obiettivo
,
gli
ostacoli
da
superare
.
Quanto
a
Heath
,
tornando
a
Londra
,
non
troverà
una
situazione
di
tutto
riposo
.
Il
quadro
del
Parlamento
britannico
non
è
dei
più
rassicuranti
.
Un
'
ala
non
secondaria
dei
deputati
conservatori
,
che
detengono
una
maggioranza
tutt
'
altro
che
schiacciante
alla
Camera
dei
Comuni
,
è
tiepida
o
addirittura
ostile
all
'
Europa
:
quasi
due
terzi
dell
'
opposizione
laborista
inclina
al
vecchio
e
tenace
isolazionismo
britannico
.
Ci
vorrà
una
intesa
diretta
fra
il
capo
dell
'
esecutivo
e
il
capo
dell
'
opposizione
(
la
linea
europeista
di
Wilson
è
ben
nota
)
per
consentire
di
aggirare
in
autunno
gli
scogli
parlamentari
,
che
non
mancheranno
,
al
suggello
e
alla
sanzione
della
ritrovata
intesa
fra
Francia
e
Gran
Bretagna
.
Senonché
in
questa
fase
di
decisiva
transizione
molto
potrebbero
fare
anche
gli
altri
paesi
della
Comunità
.
A
cominciare
dall
'
Italia
:
se
riuscisse
per
un
momento
a
mettere
in
sordina
le
miserabili
beghe
sull
'
elezione
presidenziale
(
si
è
già
aperta
una
polemica
tanto
poco
edificante
)
e
a
guardare
oltre
le
frontiere
delle
divisioni
domestiche
e
delle
competizioni
municipali
.
Anche
perché
l
'
Europa
,
nell
'
attuale
quadro
di
caos
e
di
degradazione
nazionale
,
rimane
l
'
ultima
speranza
per
noi
.
StampaQuotidiana ,
C
'
è
un
solo
motivo
di
ottimismo
intorno
a
noi
.
E
non
viene
certamente
dalla
Calabria
:
dove
la
lotta
continua
,
aspra
,
impietosa
,
ostinata
negli
animi
prima
ancora
che
nelle
piazze
,
dove
le
barricate
della
periferia
sanfedista
di
Reggio
-
emula
ormai
degli
eserciti
della
Santa
Fede
-
scompaiono
e
ricompaiono
nel
giro
di
poche
ore
,
malinconico
simbolo
di
una
guerra
civile
che
l
'
imprevidenza
di
un
'
intera
classe
politica
,
governo
e
opposizione
,
non
è
riuscita
né
a
prevenire
né
a
comporre
.
Non
viene
da
Torino
:
dove
le
decine
di
migliaia
di
sospensioni
dal
lavoro
decise
dalla
Fiat
e
dalla
Lancia
indicano
il
grado
di
pericolosa
stretta
cui
va
incontro
il
nostro
sistema
produttivo
,
malgrado
tutti
gli
ottimismi
ufficiali
o
ufficiosi
,
che
non
possono
dissimulare
la
realtà
di
una
stagnazione
produttiva
inquietante
alla
lunga
soprattutto
per
i
riflessi
nell
'
occupazione
operaia
.
Non
viene
da
Roma
:
dove
le
polemiche
dei
partiti
sulla
violenza
sono
ancora
avvolte
in
un
labirinto
di
ipocrisie
e
di
strumentalizzazioni
,
che
nascondono
o
aggirano
il
problema
fondamentale
che
è
uno
e
uno
soltanto
,
la
necessità
dello
Stato
di
opporre
la
maestà
della
sua
legge
,
severa
e
imparziale
verso
tutti
,
agli
assalti
della
sedizione
o
della
rivolta
,
da
qualunque
parte
provengano
(
l
'
ha
detto
,
con
parole
alte
e
ferme
,
al
congresso
socialdemocratico
un
antifascista
come
Aldo
Garosci
che
non
ha
bisogno
,
in
materia
di
lealtà
e
di
fedeltà
democratica
,
di
prendere
lezioni
da
nessuno
:
contro
ogni
tipo
di
squadrismo
nero
o
rosso
esiste
solo
la
legge
,
eguale
per
tutti
,
della
Repubblica
)
.
L
'
orizzonte
della
politica
interna
non
giustifica
quindi
soverchie
illusioni
o
euforie
.
Ma
c
'
è
un
capitolo
che
negli
ultimi
giorni
ha
registrato
una
svolta
confortante
:
il
capitolo
dell
'
Europa
.
Gli
accordi
suggellati
a
Bruxelles
per
l
'
armonizzazione
delle
politiche
economiche
dei
Sei
e
per
l
'
instaurazione
di
una
moneta
comune
entro
dieci
anni
,
pur
circondati
da
riserve
e
da
condizioni
esplicite
,
hanno
riaperto
sull
'
Italia
,
travagliata
dalle
sue
lotte
municipali
e
dai
suoi
fermenti
di
degradante
anarchismo
,
la
speranza
europea
,
quella
speranza
che
accompagnò
gli
anni
degasperiani
e
illuminò
le
grandi
fatiche
della
ricostruzione
.
È
inutile
soffermarsi
sugli
ostacoli
,
che
sono
ancora
grandi
,
al
raggiungimento
della
sovrannazionalità
.
Un
fatto
è
certo
:
con
De
Gaulle
il
«
sì
»
francese
alla
sperimentazione
decisa
a
Bruxelles
non
si
sarebbe
avuto
.
Qualcosa
è
cambiato
in
Francia
,
qualcosa
sta
cambiando
un
po
'
dovunque
:
il
via
alla
ripresa
del
processo
europeistico
,
a
quattordici
anni
dai
trattati
di
Roma
,
è
ormai
un
dato
acquisito
.
Le
fasi
sono
graduali
:
i
passaggi
dall
'
una
all
'
altra
incerti
.
Occorreranno
tre
anni
di
«
prova
»
:
tre
anni
in
cui
l
'
intesa
di
Bruxelles
funzionerà
soprattutto
a
livello
tecnico
,
si
rifletterà
nel
sostegno
reciproco
delle
valute
comunitarie
sui
mercati
mondiali
,
nella
restrizione
dei
margini
di
fluttuazione
delle
monete
europee
,
in
una
maggiore
e
più
articolata
interpenetrazione
dei
capitali
.
La
Germania
di
Bonn
,
che
è
oggi
il
paese
economicamente
più
solido
,
conserva
il
diritto
-
attraverso
la
famosa
«
clausola
di
salvaguardia
»
-
di
far
decadere
nel
1975
le
misure
di
sostegno
monetario
reciproco
qualora
nel
frattempo
non
sia
stato
raggiunto
un
accordo
soddisfacente
sul
passaggio
alla
seconda
fase
.
La
Francia
di
Pompidou
non
fa
getto
almeno
formale
di
nessuno
dei
simboli
della
sua
disdegnosa
e
aristocratica
sovranità
nazionale
;
ammette
appena
un
diritto
di
intervento
e
di
controllo
del
Parlamento
europeo
.
Tutto
vero
:
ma
è
altrettanto
vero
che
un
salto
di
qualità
si
è
registrato
nel
meccanismo
dell
'
Europa
comunitaria
,
che
la
fase
della
pura
e
semplice
unione
doganale
è
ormai
chiusa
,
che
la
minaccia
dello
schiacciamento
fra
America
e
Russia
ha
finito
per
risvegliare
,
quasi
in
extremis
,
le
forze
di
resistenza
storica
e
psicologica
del
continente
europeo
,
paralizzate
da
veti
e
da
contrasti
che
sul
piano
mondiale
non
sono
molto
più
importanti
della
guerra
fra
Reggio
e
Catanzaro
per
l
'
Italia
.
Adesso
la
svolta
di
Bruxelles
lancia
una
nuova
sfida
alla
classe
dirigente
italiana
:
una
sfida
di
adeguamento
economico
e
sociale
che
dovrà
essere
superata
per
volgersi
alle
fasi
ulteriori
,
alle
conclusioni
di
un
'
integrazione
più
stretta
segnata
dal
simbolo
unificante
della
moneta
comune
(
altro
che
il
«
tallone
aureo
»
sognato
,
con
lo
spirito
di
Luigi
XIV
,
da
De
Gaulle
!
)
.
Non
è
una
sfida
che
possa
passare
senza
influenzare
gli
indirizzi
di
fondo
della
politica
generale
del
paese
;
non
è
una
sfida
che
possa
essere
vinta
senza
imporre
una
radicale
correzione
di
rotta
alla
nostra
finanza
pubblica
facilona
e
disinvolta
,
alla
nostra
amministrazione
caotica
e
inefficiente
,
al
nostro
statalismo
parassitario
e
dispersivo
,
alle
tensioni
e
vocazioni
inflazioniate
cui
il
corso
delle
aspre
e
violente
lotte
sociali
continua
ad
esporci
,
nonostante
il
ristabilimento
dei
conti
con
l
'
estero
e
il
rafforzamento
della
lira
operati
dal
governo
Colombo
.
Sì
:
la
corsa
per
l
'
Europa
presuppone
sacrifici
e
rinunce
.
Il
presidente
del
Consiglio
,
che
è
un
europeista
convinto
e
benemerito
,
ha
giustamente
esaltato
il
traguardo
di
Bruxelles
,
altrettanto
importante
sul
piano
della
ripresa
psicologica
che
su
quello
degli
avviamenti
concreti
anche
per
l
'
ingresso
di
Londra
nel
Mec
:
ma
ora
toccherà
al
governo
da
lui
presieduto
,
e
a
tutti
i
partiti
che
lo
compongono
,
socialisti
compresi
,
onorare
gli
impegni
che
derivano
dalle
intese
di
Bruxelles
,
intese
«
a
termine
»
,
intese
sottoposte
ad
una
verifica
triennale
,
senza
la
quale
tutto
tornerebbe
in
alto
mare
.
Onorare
quegli
impegni
:
a
costo
di
impopolarità
,
a
costo
di
contrasti
coi
sindacati
e
coi
tanti
settori
corporativi
del
paese
,
a
costo
di
difficoltà
e
di
tensioni
politiche
non
prevedibili
.
Perché
l
'
Italia
possa
rispettare
fino
in
fondo
gli
obblighi
contratti
a
Bruxelles
si
impongono
un
maggior
rigore
nella
gestione
del
bilancio
statale
,
una
maggiore
oculatezza
nella
spesa
pubblica
,
una
completa
revisione
nella
copertura
dei
disavanzi
.
Ma
non
basta
:
tutta
l
'
amministrazione
del
paese
,
in
questa
fase
di
travaglio
e
di
confusione
accentuata
dalla
sovrapposizione
delle
competenze
fra
Stato
regioni
e
comuni
,
dovrà
essere
resa
più
razionale
e
più
moderna
,
tale
da
consentire
veramente
un
impiego
responsabile
delle
risorse
.
E
ogni
sforzo
dovrà
essere
compiuto
per
il
rilancio
degli
investimenti
produttivi
,
per
una
nuova
fase
di
espansione
economica
che
si
svolga
nel
segno
della
stabilità
monetaria
,
contro
tutte
le
suggestioni
avventurose
e
dilapidatrici
del
pauperismo
conciliare
.
Il
peronismo
non
è
conciliabile
con
l
'
Europa
.
La
retorica
delle
rivendicazioni
giustizialiste
,
cara
a
talune
ali
del
movimento
cattolico
e
socialista
,
ci
porterebbe
sulla
via
dell
'
autarchia
e
del
separatismo
:
una
via
che
ha
sullo
sfondo
gli
epiloghi
di
Danzica
,
la
tragedia
della
Polonia
.
L
'
ha
scritto
un
giornale
sempre
obiettivo
,
«
Le
Monde
»
:
«
se
l
'
inflazione
continuerà
a
dilagare
,
sarà
difficile
,
per
non
dire
impossibile
,
armonizzare
le
politiche
economiche
della
comunità
»
.
Chi
lavora
per
lo
scardinamento
del
sistema
,
dalle
opposte
sponde
,
lavora
anche
contro
l
'
Europa
,
la
sola
speranza
che
sia
rimasta
alla
nostra
generazione
dopo
le
delusioni
e
le
follie
di
mezzo
secolo
.
StampaQuotidiana ,
Nessuno
si
stupisca
della
soddisfazione
comunista
per
il
voto
sul
Concordato
alla
Camera
.
Longo
,
che
pure
non
è
un
amante
delle
sfumature
,
ha
superato
Togliatti
nel
giuoco
delle
allusioni
e
degli
ammiccamenti
filocattolici
.
Nelle
file
comuniste
,
a
differenza
di
tutte
le
forze
di
sinistra
,
non
c
'
è
stata
una
voce
,
una
sola
voce
,
che
si
sia
schierata
per
l
'
abrogazione
del
Concordato
:
la
disciplina
di
partito
ha
funzionato
ferreamente
e
gli
eventuali
dubbi
o
casi
di
coscienza
hanno
ceduto
alla
«
ragion
di
Stato
»
del
Pci
,
e
oggi
come
ai
tempi
dell
'
articolo
7
,
come
ai
tempi
della
canonizzazione
costituzionale
dei
Patti
lateranensi
,
ventiquattro
anni
or
sono
,
in
sede
di
assemblea
costituente
.
E
si
spiega
.
I
comunisti
hanno
tutto
l
'
interesse
a
salvaguardare
il
«
modello
concordatario
»
per
l
'
Italia
.
Parliamo
del
modello
concordatario
:
non
di
tutte
le
disposizioni
del
Concordato
sottoscritto
da
Mussolini
con
Pio
XI
,
evidentemente
indifendibili
anche
per
i
seguaci
del
più
spregiudicato
tatticismo
o
mimetismo
rivoluzionario
.
Preservando
in
Italia
il
Concordato
,
cioè
un
certo
tipo
di
regime
speciale
e
preferenziale
fra
Chiesa
e
Stato
,
i
nostri
comunisti
-
che
vedono
lontano
molto
più
di
tanti
loro
avversari
-
ipotizzano
una
somiglianza
sempre
maggiore
del
nostro
paese
con
quegli
Stati
dell
'
Europa
orientale
,
in
primis
la
Polonia
,
che
elaborano
faticosamente
nuove
formule
concordatarie
per
superare
i
tanti
ostacoli
di
una
possibile
convivenza
,
diciamolo
pure
armistiziale
,
fra
Chiesa
e
comunismo
.
È
la
stessa
ragione
per
cui
la
diplomazia
vaticana
più
aperta
a
sinistra
sostiene
ad
oltranza
la
salvaguardia
del
Concordato
italiano
,
pur
dichiarandosi
,
ed
essendo
,
disponibile
alle
più
larghe
e
accomodanti
revisioni
sui
singoli
articoli
(
si
ricordino
le
dichiarazioni
,
smentite
solo
a
metà
,
di
monsignor
Casaroli
:
un
nome
che
da
solo
è
un
programma
)
.
Anche
larghi
gruppi
dirigenti
della
Chiesa
cattolica
considerano
la
difesa
degli
assetti
concordatari
italiani
essenziale
e
imprescindibile
al
fine
di
realizzare
,
a
Varsavia
oggi
e
domani
a
Praga
e
a
Budapest
(
l
'
operazione
con
Belgrado
è
già
in
atto
:
lo
abbiamo
visto
con
la
visita
di
Tito
al
Papa
)
,
determinate
forme
di
compromesso
o
di
accomodamento
concordatario
,
che
restaurino
le
condizioni
elementari
e
primordiali
di
quel
proselitismo
religioso
che
subì
tante
sanguinose
umiliazioni
e
tante
feroci
ingiurie
ai
tempi
di
Stalin
.
C
'
è
in
tutto
questo
una
logica
profonda
:
che
sfugge
solo
agli
spiriti
superficiali
.
I
Concordati
si
sono
sempre
imposti
alla
Chiesa
per
difendere
l
'
esercizio
del
ministero
pastorale
dalle
esorbitanze
o
dalle
prevaricazioni
del
potere
politico
:
così
fu
con
Napoleone
e
con
Hitler
,
con
risultati
,
in
entrambi
i
casi
,
assai
deludenti
.
Nei
paesi
dove
la
libertà
religiosa
è
un
dato
della
vita
di
ogni
giorno
,
una
conquista
acquisita
e
irretrattabile
,
non
si
impongono
,
e
neppure
si
consigliano
,
le
scorciatoie
concordatarie
.
Il
caso
italiano
è
reso
,
a
sua
volta
,
infinitamente
più
complesso
e
controverso
e
difficile
dalla
contemporaneità
della
soluzione
della
questione
romana
e
della
instaurazione
del
regime
concordatario
,
coi
patti
,
appunto
,
del
1929
nell
'
Italia
del
fascismo
e
di
Papa
Ratti
,
i
patti
che
crearono
,
in
un
nesso
difficile
a
rivedere
o
a
separare
,
lo
Stato
della
Città
del
Vaticano
,
al
posto
del
defunto
potere
temporale
,
e
il
nuovo
tipo
di
relazioni
fra
le
due
rive
del
Tevere
.
Relazioni
concordatarie
,
anziché
separatiste
,
come
nel
sessantennio
delle
Guarentigie
.
Il
complesso
dei
Patti
lateranensi
,
com
'
è
noto
,
fu
recepito
nella
Costituzione
repubblicana
e
ne
diventò
in
certo
modo
parte
integrante
:
contro
il
parere
di
Croce
e
di
Nenni
ma
con
l
'
appoggio
determinante
del
partito
di
Togliatti
,
un
partito
per
cui
«
Parigi
vale
sempre
una
messa
»
.
Nella
situazione
italiana
di
adesso
,
sarebbe
del
tutto
irrealistico
pensare
ad
una
abrogazione
del
Concordato
,
che
finirebbe
per
rimettere
in
discussione
lo
stesso
Trattato
(
ma
come
potrà
sopravvivere
,
anche
nella
sola
revisione
concordataria
,
l
'
articolo
primo
del
Trattato
,
quello
che
definisce
la
religione
cattolica
religione
dello
Stato
?
)
.
Il
voto
della
Camera
,
sulle
responsabili
ed
equilibrate
dichiarazioni
del
presidente
Colombo
,
ha
rispecchiato
in
questo
senso
una
situazione
obbligata
,
un
equilibrio
delle
forze
politiche
che
non
è
nell
'
interesse
di
nessuno
turbare
o
sconvolgere
.
Per
una
larga
revisione
delle
norme
concordatarie
,
per
un
loro
necessario
adeguamento
allo
spirito
e
alla
lettera
della
Costituzione
,
più
che
mai
indifferibile
dopo
le
recenti
sentenze
della
Corte
,
si
sono
schierate
,
quasi
senza
riserve
,
tutte
le
correnti
di
quella
grande
confederazione
di
forze
che
è
la
democrazia
cristiana
non
meno
dei
nuclei
più
rappresentativi
della
tradizione
laica
e
risorgimentale
,
senza
neppure
l
'
eccezione
dei
liberali
di
Malagodi
che
,
pur
astenendosi
sul
documento
governativo
,
hanno
riconosciuto
il
valore
del
principio
revisionistico
.
Ora
c
'
è
da
augurarsi
che
i
negoziati
bilaterali
fra
Italia
e
Santa
Sede
procedano
in
uno
spirito
di
larga
comprensione
,
senza
impennate
di
intransigenza
o
brividi
di
guerra
religiosa
:
nel
solco
delineato
,
con
eccellente
lavoro
di
scavo
,
dalla
commissione
Gonella
,
una
commissione
di
cui
faceva
parte
un
uomo
come
Jemolo
.
Oggi
più
ancora
che
ai
tempi
del
governo
Moro
del
'67
,
benemerito
artefice
del
primo
passo
revisionista
,
esiste
un
larghissimo
schieramento
parlamentare
in
favore
dell
'
ammodernamento
delle
norme
concordatarie
.
Sarebbe
grave
e
imperdonabile
che
tale
capitale
di
disponibilità
,
un
po
'
sincera
e
un
po
'
strumentale
,
del
mondo
laico
verso
la
Chiesa
e
verso
i
cattolici
fosse
messo
a
repentaglio
o
in
pericolo
da
un
ritorno
di
fiamma
dell
'
integralismo
confessionale
sui
due
punti
-
chiave
suscettibili
dei
confronti
più
delicati
,
la
revisione
dell
'
art.
34
in
tema
di
legislazione
matrimoniale
e
la
revisione
dell
'
art.
36
sull
'
insegnamento
religioso
nelle
scuole
.
Occorre
,
da
parte
di
entrambi
i
contraenti
,
un
grande
senso
di
responsabilità
e
di
equilibrio
.
Molto
più
dello
scudo
concordatario
,
sempre
labile
ed
effimero
e
precario
,
servirà
alla
Chiesa
cattolica
post
-
conciliare
il
soffio
della
libertà
religiosa
,
una
libertà
che
viene
sempre
offesa
o
diminuita
dal
laccio
di
un
privilegio
o
dal
dono
di
un
'
esenzione
.
Una
delegazione
della
Santa
Sede
,
che
interpretasse
veramente
lo
spirito
del
concilio
vaticano
secondo
,
dovrebbe
far
getto
di
talune
norme
concordatarie
con
maggior
fretta
,
e
diciamolo
pure
con
maggiore
facilità
,
degli
interlocutori
laici
.
La
pace
dei
cuori
vale
più
di
tutte
le
concessioni
o
garanzie
concordatarie
.
Un
'
eventuale
campagna
per
il
referendum
abrogativo
della
legge
sui
casi
di
divorzio
non
contribuirebbe
certo
né
alla
pace
dei
cuori
né
alla
revisione
del
Concordato
.
Rischierebbe
,
anzi
,
di
compromettere
la
prima
e
di
paralizzare
la
seconda
.
A
vantaggio
di
quelli
che
rimangono
,
oggi
come
ieri
,
i
comuni
avversari
dello
spirito
di
religione
e
dello
spirito
di
libertà
.
StampaQuotidiana ,
Il
1970
termina
in
un
clima
politico
di
incertezza
e
di
disorientamento
non
minore
del
1969
,
di
quel
triste
dicembre
che
era
stato
funestato
dagli
oscuri
morti
di
piazza
Fontana
e
dall
'
improvviso
e
cupo
ritorno
della
violenza
.
Questa
volta
il
bilancio
delle
vittime
è
molto
meno
grave
:
la
dolorosa
morte
del
giovane
Saltarelli
non
potrebbe
essere
paragonata
alla
misteriosa
strage
della
banca
dell
'
Agricoltura
.
Ma
c
'
è
un
senso
di
amarezza
e
di
insicurezza
nell
'
aria
,
diffuso
un
po
'
dovunque
,
che
mette
a
nudo
tutti
i
terribili
e
insoluti
problemi
nazionali
;
il
fossato
fra
la
classe
politica
e
il
paese
,
già
delineatosi
nel
'68
e
accentuatosi
nel
'69
,
si
è
ulteriormente
approfondito
;
l
'
indifferenza
di
tanta
parte
della
pubblica
opinione
verso
le
vicende
governativo
-
parlamentari
di
Roma
rasenta
il
sarcasmo
o
il
cinismo
,
fino
ad
investire
lo
stesso
prestigio
delle
istituzioni
.
Allora
,
un
anno
fa
,
di
fronte
alle
bombe
di
piazza
Fontana
-
esplosione
di
quella
violenza
selvaggia
che
accomunava
le
estreme
extraparlamentari
e
quasi
sembrava
riassumere
la
degenerazione
dei
miti
contestativi
-
ci
fu
un
largo
movimento
popolare
di
ritorno
alla
democrazia
,
di
rinnovata
fiducia
nella
legalità
,
di
ansia
,
comune
anche
a
larghi
settori
della
classe
operaia
,
di
una
Repubblica
capace
di
difendere
l
'
ordine
,
di
imporre
la
maestà
della
legge
scaturita
dalla
guerra
e
dalla
liberazione
.
Il
negoziato
di
Rumor
per
riformare
l
'
intesa
a
quattro
cominciò
dal
gennaio
,
in
un
clima
che
era
pieno
di
difficoltà
ma
anche
di
speranze
;
il
tentativo
,
così
sottile
e
abile
,
di
un
uomo
come
Moro
fallì
solo
per
l
'
intransigenza
vaticana
sul
divorzio
(
un
'
intransigenza
non
ancora
sopita
)
.
Certo
si
constatarono
profonde
divergenze
fra
i
partiti
;
ma
un
minimo
di
«
lealtà
repubblicana
»
si
impose
su
tutti
i
motivi
di
divergenza
o
di
contrapposizione
,
e
su
quel
terreno
si
affrontò
la
riforma
,
rischiosa
ma
ormai
inevitabile
,
delle
regioni
,
ci
si
avvicinò
a
quelle
elezioni
locali
del
7
giugno
,
che
furono
felicemente
superate
,
con
un
risultato
complessivo
incoraggiante
per
la
democrazia
.
Ma
dopo
?
Dal
momento
in
cui
la
tensione
del
dicembre
'69
,
una
tensione
che
aveva
toccato
brividi
di
guerra
civile
,
apparve
scaricata
o
almeno
fortemente
attenuata
,
tutto
sembrò
nuovamente
in
discussione
o
in
pericolo
.
Dopo
il
7
giugno
del
'70
si
ripartì
da
zero
.
Il
governo
Rumor
fu
messo
in
crisi
dal
moto
centrifugo
dei
partiti
,
estrema
conseguenza
della
scissione
socialista
e
della
scissione
,
inconfessata
,
nella
democrazia
cristiana
;
i
compromessi
del
preambolo
Forlani
,
pur
realistici
e
accettabili
,
dettero
luogo
a
infiniti
equivoci
;
il
dissenso
circa
le
giunte
locali
si
aggravò
;
sulla
delimitazione
della
maggioranza
le
antitesi
apparvero
incolmabili
;
l
'
ombra
del
divorzio
si
fece
sentire
,
e
fu
forse
decisiva
per
le
stesse
repentine
dimissioni
del
presidente
Rumor
.
La
legislatura
,
salvata
miracolosamente
nella
primavera
,
sembrò
nuovamente
in
agonia
.
Fra
luglio
e
agosto
,
si
ebbe
una
crisi
profonda
,
una
crisi
che
non
risparmiò
nulla
e
nessuno
.
La
formula
del
quadripartito
di
emergenza
,
del
quadripartito
di
restaurazione
economica
e
finanziaria
,
incarnata
da
Colombo
,
apparve
a
tutti
gli
uomini
di
buona
volontà
come
l
'
unica
atta
ad
evitare
lo
scioglimento
delle
Camere
.
Il
governo
Colombo
iniziò
la
sua
opera
con
senso
congiunto
di
alacrità
e
di
responsabilità
.
Si
orientò
ad
affrontare
come
prioritaria
la
situazione
economica
,
che
era
allora
gravissima
(
ma
oggi
non
lo
è
meno
)
;
impostò
,
con
una
visione
globale
dei
problemi
,
la
tematica
del
decretone
.
L
'
improvvisa
ventata
ostruzionista
annullò
in
gran
parte
il
vantaggio
del
rimedio
,
la
celerità
:
in
pochi
mesi
i
problemi
che
il
decretone
doveva
avviare
a
soluzione
,
a
cominciare
dalle
mutue
,
si
aggravarono
anziché
attenuarsi
.
L
'
ondata
degli
scioperi
,
che
era
stata
contenuta
dai
primi
positivi
incontri
fra
governo
e
sindacati
,
riprese
con
un
ritmo
non
meno
convulso
e
assai
più
ingiustificato
dei
tempi
aspri
dell
'
autunno
caldo
.
Si
consolidò
l
'
abitudine
,
veramente
insensata
,
delle
agitazioni
per
le
cosiddette
riforme
(
nel
'69
ci
si
batteva
,
ed
era
tutt
'
altro
discorso
,
per
l
'
aumento
delle
retribuzioni
,
per
l
'
adeguamento
dei
livelli
operai
)
.
La
spirale
della
confusione
e
della
stanchezza
ha
ripreso
come
nel
dicembre
'69
e
senza
più
neppure
le
forze
di
reazione
o
di
riscossa
che
nel
'69
erano
emerse
dal
campo
democratico
e
socialista
.
Quasi
tutti
i
vantaggi
dell
'
ultimo
anno
sono
apparsi
illusori
;
solo
la
linea
di
stabilizzazione
monetaria
,
indubbia
benemerenza
del
governo
Colombo
,
ha
evitato
che
i
progressi
dell
'
autunno
caldo
fossero
vanificati
dal
moto
inflazionistico
.
Ma
se
la
situazione
della
moneta
è
buona
,
non
lo
è
altrettanto
quella
della
produzione
:
il
ritmo
degli
investimenti
è
stagnante
,
in
molte
aziende
le
assenze
recano
maggiori
danni
degli
scioperi
duri
di
un
anno
fa
,
una
nuova
fiammata
di
spontaneismo
anarco
-
maoista
paralizza
o
contraddice
anche
le
migliori
intenzioni
del
sindacalismo
organizzato
.
Diventa
sempre
più
difficile
reggere
alla
concorrenza
straniera
,
tenere
il
passo
con
l
'
Europa
.
E
il
rischio
,
il
rischio
più
grave
,
incombe
su
quelli
che
nel
brutto
linguaggio
di
oggi
si
chiamano
i
livelli
occupazionali
,
l
'
occupazione
cioè
di
mano
d
'
opera
,
minacciata
dai
dissesti
e
dalle
difficoltà
sempre
maggiori
,
quasi
angosciose
,
in
cui
versa
la
media
e
piccola
industria
.
Il
coraggioso
appello
di
La
Malfa
per
un
riesame
globale
della
condotta
economica
e
finanziaria
del
governo
,
in
occasione
della
pubblicazione
ormai
non
lontana
del
Libro
bianco
,
porterà
certamente
,
fra
gennaio
e
febbraio
,
a
quel
«
chiarimento
»
che
il
decretone
non
è
riuscito
a
raggiungere
.
Ma
i
problemi
politici
e
psicologici
di
fondo
non
si
risolvono
neppure
col
Libro
bianco
.
Occorre
che
il
paese
riacquisti
fiducia
nella
sua
classe
politica
;
ma
occorre
soprattutto
che
la
classe
politica
riacquisti
fiducia
in
se
stessa
,
riguadagni
quella
credibilità
che
è
ormai
compromessa
dalle
spietate
lotte
per
il
potere
,
a
cominciare
dalla
gara
per
il
Quirinale
.
Il
quadripartito
non
ha
alternative
,
almeno
in
questa
legislatura
.
Tutti
i
suoi
componenti
debbono
compiere
qualche
sacrificio
:
dal
comune
di
Milano
fino
al
governo
di
Roma
.
Ma
il
continuo
richiamo
verbalista
e
retorico
agli
«
equilibri
più
avanzati
»
,
caro
a
taluni
socialisti
del
Psi
,
è
destinato
soltanto
a
dissolvere
gli
equilibri
attuali
-
giunti
ormai
ad
un
punto
di
logoramento
oltre
il
quale
non
si
può
andare
-
senza
favorire
la
formazione
di
nessuna
nuova
alleanza
capace
di
reggere
.
Né
a
Milano
né
a
Roma
,
c
'
è
spazio
per
il
bipartito
:
il
bipartito
oggi
si
identificherebbe
con
l
'
apertura
al
Pci
(
e
proprio
dopo
i
fatti
di
Polonia
e
la
sentenza
di
Leningrado
!
)
.
È
nelle
peggiori
condizioni
di
equivoco
e
di
reticenza
reciproche
:
condizioni
negative
,
in
primo
luogo
,
per
il
Psi
.
A
proposito
di
socialisti
.
L
'
inconcludenza
paralizzante
degli
«
equilibri
più
avanzati
»
ci
fa
tornare
in
mente
una
formula
di
Enrico
Ferri
,
i
bei
tempi
dell
'
integralismo
,
verso
il
1906
:
«
Riforme
più
rivoluzione
diviso
due
»
.
Che
era
tutto
e
nulla
.
Il
peggior
nemico
del
socialismo
italiano
fu
e
rimane
il
massimalismo
:
l
'
ossequio
cioè
alle
formule
intransigenti
unito
ad
una
duplicità
insuperabile
sul
piano
dell
'
azione
.
Auguriamoci
tutti
che
non
si
debba
riparlare
una
seconda
volta
,
-
come
fece
un
socialista
galantuomo
dopo
il
'45
-
di
espiazione
massimalista
.
StampaQuotidiana ,
Non
è
ancora
spenta
l
'
eco
del
processo
di
Leningrado
,
e
della
successiva
commutazione
delle
pene
capitali
sotto
la
pressione
dell
'
opinione
mondiale
,
che
già
si
annunciano
nuovi
processi
di
ebrei
in
Russia
,
nuovi
atti
militanti
di
antisemitismo
di
stile
staliniano
.
Non
sono
ancora
cessate
le
polemiche
sul
verdetto
di
Burgos
,
verdetto
corretto
in
extremis
da
Franco
sotto
il
peso
dei
richiami
internazionali
e
delle
divisioni
interne
,
che
già
si
eseguono
in
tutta
la
Spagna
nuovi
arresti
di
pistoleros
al
servicio
de
la
subversión
,
nuovi
giri
di
vite
contro
un
'
opposizione
variegata
e
composita
che
va
dai
malinconici
e
patetici
carlisti
ai
gruppi
operai
delle
città
industriali
o
alla
tenace
minoranza
basca
,
una
specie
di
Alto
Adige
della
penisola
iberica
.
È
la
logica
immutabile
di
tutte
le
dittature
,
non
importa
se
di
sinistra
o
di
destra
.
L
'
atto
di
clemenza
di
Mosca
o
di
Madrid
non
cambia
in
nulla
la
sostanza
di
regimi
che
non
possono
consentire
le
libertà
personali
nel
senso
occidentale
,
che
non
riconoscono
le
garanzie
degli
imputati
,
che
ignorano
la
pubblicità
dei
dibattimenti
,
che
non
concepiscono
la
magistratura
svincolata
da
un
potere
politico
onnipotente
e
assoluto
,
capriccioso
e
indiscutibile
,
nella
pena
come
nella
clemenza
,
nell
'
arbitrio
come
nella
grazia
.
Le
due
commutazioni
hanno
dimostrato
che
oggi
non
si
riesce
più
impunemente
ad
uccidere
una
singola
vita
umana
.
Si
possono
ancora
compiere
genocidi
,
si
possono
operare
ancora
massacri
di
massa
,
dall
'
Asia
all
'
Africa
;
ma
difficilmente
si
riesce
a
consumare
-
sotto
la
maschera
della
giustizia
di
Stato
-
un
assassinio
individuale
.
Senza
che
si
scatenino
nel
mondo
forze
di
reazione
o
di
protesta
tali
da
assumere
un
valore
politico
anche
determinante
,
pur
nella
mancanza
assoluta
di
mezzi
coercitivi
o
coattivi
.
Ma
gli
stessi
casi
della
Russia
e
della
Spagna
,
casi
che
si
sono
influenzati
e
condizionati
a
vicenda
,
provano
pure
un
'
altra
realtà
:
e
cioè
che
gli
accorgimenti
della
ragion
di
Stato
internazionale
o
interna
,
sufficienti
a
portare
ad
alleviamenti
delle
pene
o
a
correzioni
di
precedenti
sentenze
,
non
coincidono
minimamente
con
evoluzioni
normalizzatrici
o
liberali
dei
regimi
dispotici
,
i
quali
restano
tali
al
di
là
delle
scarse
e
tormentate
concessioni
che
possono
esser
loro
strappate
.
Basta
leggere
i
giornali
sovietici
a
proposito
del
caso
di
Leningrado
.
Ne
hanno
parlato
solo
dopo
che
tutto
il
mondo
era
a
conoscenza
della
sentenza
.
Hanno
ignorato
il
dibattimento
,
ma
hanno
poi
gonfiato
ad
arte
la
revisione
del
verdetto
.
Hanno
insistito
sull
'
esistenza
del
reato
per
il
solo
fatto
che
era
stato
concepito
ma
non
attuato
:
spiegandoci
che
l
'
articolo
15
del
codice
penale
sovietico
-
e
questo
dice
tutto
!
-
stabilisce
che
un
crimine
tentato
od
ideato
viene
punito
come
se
fosse
stato
effettivamente
commesso
.
E
i
giornali
amici
dell
'
Unione
Sovietica
in
Italia
hanno
il
coraggio
di
mettere
in
luce
,
nei
titoli
dedicati
all
'
avvenimento
,
l
'
«
equità
»
di
una
sentenza
che
commina
in
ogni
caso
,
anche
dopo
la
correzione
,
quindici
anni
di
lavori
forzati
per
due
cittadini
sovietici
che
avevano
ufficialmente
chiesto
di
espatriare
e
di
raggiungere
il
loro
focolare
nazionale
,
Israele
:
diritto
teoricamente
riconosciuto
nella
Costituzione
dell
'
Urss
ma
calpestato
e
smentito
nella
realtà
di
una
pratica
discriminatrice
e
violatrice
delle
garanzie
fondamentali
della
comunità
ebraica
,
dalla
lotta
ai
grandi
dissidenti
israeliti
al
processo
dei
medici
.
Né
c
'
è
da
meravigliarsi
.
Chi
vive
nell
'
ambito
di
un
regime
totalitario
trova
«
straordinario
»
ciò
che
negli
Stati
di
diritto
,
negli
Stati
a
democrazia
garantita
,
è
considerato
appena
«
ordinario
»
.
Il
fascismo
si
vantava
di
lasciar
scrivere
Croce
ed
avocava
a
suo
merito
quello
che
era
un
elementare
dovere
,
il
non
bruciare
,
o
il
non
far
bruciare
dalle
squadre
,
i
fascicoli
della
«
Critica
»
;
così
il
comunismo
sovietico
si
vanta
di
non
aver
arrestato
Solgenitsin
solo
per
essere
stato
insignito
del
Premio
Nobel
-
che
non
ha
potuto
comunque
ritirare
a
Stoccolma
-
o
il
franchismo
spagnolo
contrappone
la
forzata
clemenza
di
oggi
all
'
atroce
esecuzione
di
Grimau
,
appena
sette
anni
fa
.
La
verità
è
che
nessuna
democrazia
è
concepibile
se
tutti
i
diritti
umani
non
vengono
egualmente
riconosciuti
e
garantiti
:
attraverso
ordinamenti
precisi
,
validi
verso
chiunque
,
e
non
illusorie
od
effimere
concessioni
dall
'
alto
,
sempre
revocabili
.
Saragat
,
che
di
libertà
s
'
intende
per
aver
conosciuto
le
vie
dell
'
esilio
contro
la
repressione
totalitaria
,
ha
giustamente
ricordato
nel
messaggio
di
Capodanno
che
«
tutti
noi
siamo
rattristati
e
sgomenti
per
quanto
avviene
nei
paesi
in
cui
le
libertà
politiche
e
la
giustizia
sociale
sono
calpestate
»
.
Allusione
diretta
alla
Polonia
;
ma
indiretta
alla
Russia
e
alla
Spagna
e
a
tutti
i
paesi
dove
non
sono
consacrati
i
diritti
dei
cittadini
,
e
quindi
neppure
quelli
dei
lavoratori
.
Perché
è
inutile
perdersi
in
sofismi
ingannatori
;
non
esiste
democrazia
sostanziale
,
cioè
economica
,
cioè
eguaglianza
dei
punti
di
partenza
,
cioè
correzione
delle
sperequazioni
o
degli
squilibri
sociali
,
dove
non
c
'
è
democrazia
formale
,
cioè
Stato
di
diritto
,
cioè
assicurazione
e
tutela
delle
libertà
di
stampa
,
di
riunione
,
di
associazione
,
di
sciopero
,
e
separazione
dei
poteri
esecutivo
e
legislativo
e
giudiziario
,
sotto
il
controllo
dei
liberi
Parlamenti
,
non
Soviet
alla
russa
o
Camere
corporative
alla
spagnola
.
I
fautori
degli
«
equilibri
più
avanzati
»
in
Italia
,
che
sono
poi
equilibri
più
reazionari
,
dovrebbero
dirci
quale
progresso
sociale
possa
essere
realizzato
alleandosi
con
partiti
che
non
hanno
ancora
riconosciuto
,
nella
realtà
degli
Stati
da
loro
presi
a
modello
,
né
il
pluralismo
sociale
né
la
regola
della
dialettica
parlamentare
estesa
sino
alla
rivincita
dei
soccombenti
di
oggi
.
Quale
regime
comunista
ha
mai
consentito
ad
un
'
opposizione
organizzata
di
prenderne
il
posto
?
Neppure
l
'
eccezione
italiana
,
sotto
un
'
eventuale
protezione
del
Vaticano
,
potrebbe
essere
un
'
eccezione
.
Si
guardi
alla
Polonia
,
che
in
materia
di
cattolicesimo
non
ha
niente
da
imparare
dall
'
Italia
.
Venticinque
anni
di
regime
comunista
polacco
hanno
portato
al
paradosso
di
trasformare
la
Chiesa
di
Varsavia
,
una
delle
più
intransigenti
e
conservatrici
d
'
Europa
,
nella
propugnatrice
delle
libertà
politiche
e
delle
conquiste
sociali
.
L
'
appello
dei
vescovi
polacchi
a
Gierek
dovrebbe
diventare
un
testo
di
lettura
obbligatorio
per
tutti
i
fautori
della
Repubblica
conciliare
.
StampaQuotidiana ,
Invano
i
comunisti
italiani
negano
che
si
tratti
di
un
altro
momento
della
«
crisi
del
sistema
»
.
La
tragedia
polacca
,
ai
loro
occhi
,
si
identifica
con
una
«
strada
sbagliata
»
,
con
una
serie
di
errori
di
direzione
politica
.
È
la
stessa
tesi
che
fu
adottata
per
i
delitti
di
Stalin
,
dopo
il
rapporto
Kruscev
;
è
la
stessa
tesi
che
fu
assunta
per
l
'
Ungheria
.
Ma
come
continuare
a
sostenerla
?
Il
sistema
comunista
,
cioè
collettivista
,
appare
in
crisi
quasi
in
eguale
misura
nelle
società
industriali
avanzate
,
come
la
Cecoslovacchia
,
e
nelle
società
prevalentemente
rurali
e
di
limitata
o
parziale
evoluzione
capitalistica
,
come
la
Polonia
.
Una
volta
sono
gli
operai
di
Praga
a
sollevarsi
contro
il
comunismo
,
sia
pure
in
nome
di
un
ideale
di
revisionismo
neo
-
marxista
duramente
represso
e
soffocato
dai
carri
armati
sovietici
;
un
'
altra
volta
sono
le
massaie
di
Danzica
o
di
Gdynia
a
rinnovare
le
antiche
jacqueries
plebee
con
la
devastazione
dei
magazzini
,
il
saccheggio
dei
negozi
,
l
'
incendio
delle
sedi
del
partito
,
identificato
nel
simbolo
di
un
potere
predatore
e
sopraffattore
.
Scene
che
ricordano
l
'
ancien
régime
.
La
Polonia
è
il
solo
paese
dell
'
Est
europeo
che
aveva
tentato
una
sua
strada
nazionale
al
comunismo
:
il
contemperamento
della
proprietà
pubblica
dei
mezzi
di
produzione
e
di
scambio
con
la
salvaguardia
della
piccola
e
media
proprietà
contadina
,
radicata
in
un
tessuto
di
tradizioni
tanto
profondo
da
apparire
inestirpabile
perfino
nel
periodo
del
più
cupo
e
ottuso
stalinismo
,
lo
stalinismo
di
cui
fu
vittima
,
a
suo
tempo
eroica
,
Gomulka
.
Ma
si
tratta
di
un
esperimento
che
è
naufragato
,
non
meno
del
comunismo
integrale
incondizionato
adottato
a
Budapest
od
a
Praga
.
Lo
spazio
riservato
all
'
impresa
agricola
,
in
uno
Stato
fondato
su
una
prevalente
struttura
centralizzata
,
è
apparso
troppo
ristretto
per
alimentare
le
capacità
dell
'
iniziativa
e
dell
'
inventiva
individuale
;
lo
spazio
occupato
dall
'
impresa
pubblica
nell
'
industria
troppo
vasto
e
soffocante
per
consentire
un
equilibrio
effettivo
di
forze
.
E
le
leggi
del
mercato
hanno
preso
la
loro
rivincita
,
una
volta
di
più
,
su
tutte
le
coercizioni
,
parziali
o
totali
.
È
la
stessa
tragedia
che
si
è
riflessa
in
altri
aspetti
della
vita
polacca
.
In
quella
religiosa
,
per
esempio
.
È
certo
che
la
Polonia
rappresenta
la
sola
nazione
dell
'
Est
europeo
,
che
sia
riuscita
a
difendere
l
'
indipendenza
e
l
'
integrità
della
fede
cattolica
nella
grande
maggioranza
del
popolo
anche
durante
l
'
epoca
nera
dell
'
oppressione
e
del
terrore
staliniani
.
Il
cardinale
Wyszinsky
è
una
figura
legata
al
mondo
,
adesso
tanto
lontano
da
sembrare
quasi
irreale
,
di
Pio
XII
.
Abbozzi
e
sforzi
per
un
concordato
fra
Santa
Sede
e
regime
comunista
non
furono
mai
intermessi
,
neppure
nell
'
età
delle
grandi
purghe
.
Senonché
ilprezzo
pagato
per
evitare
la
prevalenza
dell
'
ateismo
appare
grandissimo
;
i
compromessi
volti
a
salvare
il
salvabile
infiniti
ed
estenuanti
:
le
deviazioni
di
parte
del
clero
a
favore
di
un
'
intesa
diretta
col
regime
-
si
ricordi
il
movimento
pro
sovietico
«
pax
»
-
insidiose
e
ritornanti
;
la
salvaguardia
dell
'
equilibrio
fra
i
due
poteri
malsicura
e
precaria
.
Quando
il
presidente
polacco
Ochab
,
un
fedelissimo
di
Gomulka
,
venne
in
Italia
,
or
sono
tre
anni
e
mezzo
,
finì
per
non
rendere
visita
al
Papa
:
lui
,
il
rappresentante
di
uno
degli
Stati
più
tenacemente
e
direi
misticamente
cattolici
d
'
Europa
.
A
differenza
,
magari
,
del
genero
di
Kruscev
o
di
Gromiko
!
Tanti
erano
i
motivi
di
contrasto
e
di
contrapposizione
:
tutt
'
altro
che
«
conciliari
»
,
allora
.
Certo
,
il
dramma
della
Polonia
impone
un
senso
profondo
di
rispetto
non
disgiunto
da
un
'
accorata
vena
di
malinconia
.
La
stessa
repressione
ordinata
dalle
autorità
di
Varsavia
nelle
zone
baltiche
del
Paese
,
zone
in
gran
parte
ex
tedesche
,
appare
particolarmente
severa
,
e
in
molti
casi
spietata
,
proprio
in
vista
di
togliere
alla
Russia
il
pretesto
ad
un
qualunque
intervento
militare
.
Stretta
fra
Germania
e
Russia
da
secoli
,
la
Polonia
non
ha
dimenticato
il
turpe
mercato
del
'39
fra
Hitler
e
Stalin
,
mercato
che
portò
alla
sua
scomparsa
come
nazione
,
all
'
amputazione
di
larga
parte
delle
sue
province
orientali
in
favore
dell
'
Unione
Sovietica
,
ai
successivi
compensi
post
-
bellici
con
Pomerania
e
Alta
Slesia
,
quasi
nell
'
intento
di
creare
un
fossato
incolmabile
fra
tedeschi
e
polacchi
.
I
riflessi
della
Ostpolitik
di
Brandt
,
cioè
dell
'
avvicinamento
fra
Bonn
e
Mosca
,
non
sono
estranei
alla
nuova
fase
di
turbamenti
e
di
sconvolgimenti
della
Polonia
.
Da
un
lato
c
'
è
il
modello
economico
della
Germania
occidentale
che
esercita
un
indubbio
fascino
sulle
regioni
non
lontane
della
Polonia
,
degradate
ad
un
livello
di
vita
infinitamente
più
basso
(
altro
che
la
polemica
contro
la
civiltà
dei
consumi
!
)
.
Dall
'
altro
c
'
è
l
'
attenuazione
del
terrore
,
tradizionale
e
tutt
'
altro
che
ingiustificato
,
verso
il
nemico
germanico
e
la
ripresa
di
un
sentimento
nazionale
anti
-
russo
,
che
è
comune
a
quasi
tutto
il
Paese
,
non
escluso
il
grosso
del
partito
comunista
.
Si
è
detto
che
,
se
la
Russia
ripetesse
in
Polonia
anche
la
metà
dell
'
operazione
cecoslovacca
,
assisteremmo
ad
una
autentica
carneficina
:
le
forze
armate
polacche
ripeterebbero
contro
l
'
invasore
dell
'
Est
quello
che
fecero
,
con
incomparabile
eroismo
,
nei
diciassette
giorni
della
resistenza
agli
invasori
dell
'
Ovest
,
nel
settembre
del
'39
.
Per
tali
motivi
di
fondo
,
Gomulka
,
che
pur
tornò
al
potere
sull
'
onda
dei
fatti
di
Poznan
del
'56
,
evitò
di
trarre
poi
tutte
le
conseguenze
dalla
liberalizzazione
del
comunismo
,
che
invano
fu
attesa
in
Europa
;
per
tali
ragioni
di
fondo
,
la
successiva
evoluzione
del
regime
revisionista
polacco
coincise
piuttosto
con
una
involuzione
,
non
priva
di
ombre
inquietanti
,
come
la
formazione
di
un
'
ala
nazionalstalinista
,
con
un
fondo
antisemita
,
quella
di
Moczar
.
Oggi
tutti
i
nodi
tornano
al
pettine
:
riesplodono
le
contraddizioni
,
che
Gomulka
si
era
illuso
di
conciliare
sull
'
onda
di
un
prestigio
personale
tanto
alto
quanto
meritato
.
Il
divario
fra
Stato
comunista
e
società
civile
si
approfondisce
:
al
livello
della
gioventù
universitaria
non
meno
che
delle
maestranze
operaie
,
non
meno
che
delle
grandi
masse
contadine
.
La
struttura
del
comunismo
centralizzatore
appare
sempre
più
imposta
,
ed
imposta
dall
'
alto
,
ad
un
paese
pluralista
,
fedele
ad
una
visione
occidentale
della
vita
,
nutrito
da
un
'
esperienza
cattolica
che
è
esperienza
di
costume
e
di
civiltà
.
Le
eresie
,
invano
respinte
o
represse
,
ritornano
attraverso
forme
imprevedibili
,
che
squarciano
e
lacerano
tutti
gli
ottimismi
ufficiali
.
E
l
'
ombra
della
dottrina
Breznev
sulla
sovranità
limitata
torna
a
gravare
sulla
nazione
che
pur
si
rifiutò
di
alzare
anche
una
sola
statua
a
Stalin
,
nel
periodo
del
suo
splendore
.
A
differenza
della
Cecoslovacchia
,
che
elevò
la
statua
più
alta
.
Nessuna
speculazione
,
quindi
,
ma
una
lezione
chiarissima
.
È
il
sistema
del
comunismo
che
appare
dovunque
in
crisi
,
in
una
crisi
profonda
cui
non
si
ripara
con
le
furbizie
o
le
ambiguità
delle
«
vie
nazionali
»
,
comode
ed
evasive
nei
paesi
a
democrazia
garantita
e
sicura
,
come
l
'
Italia
o
la
Francia
.
Motivo
di
meditazione
per
tutti
i
fautori
della
«
nuova
maggioranza
»
.
Purtroppo
,
in
Italia
,
c
'
è
una
crisi
che
appare
più
grande
e
profonda
di
quella
dei
comunisti
:
ed
è
la
crisi
dei
democratici
,
di
troppi
democratici
.
Una
crisi
,
anzi
-
diciamolo
pure
-
una
mancanza
di
fede
in
se
stessi
.
E
nella
libertà
.
StampaQuotidiana ,
I
rapporti
fra
Chiesa
e
Stato
,
specie
in
Italia
,
sono
fatti
di
sfumature
.
Ecco
perché
si
impone
sempre
,
ma
soprattutto
nei
momenti
di
tensione
o
di
inquietudine
,
una
grande
dose
di
discrezione
,
di
prudenza
,
di
misura
.
Talvolta
può
bastare
un
aggettivo
ad
alterarli
,
una
parola
di
troppo
a
turbarli
.
Un
esempio
.
All
'
indomani
del
varo
della
legge
sul
divorzio
,
dopo
il
contrastato
e
tormentato
dibattito
prolungatosi
fino
all
'
alba
di
martedì
a
Montecitorio
,
in
un
clima
evocante
le
grandi
dispute
del
Risorgimento
(
con
un
tono
di
nobiltà
comune
alle
due
sponde
:
basti
pensare
ad
un
Gonella
per
i
cattolici
)
,
giunse
da
Sydney
la
notizia
che
il
Papa
aveva
espresso
«
profondo
dolore
»
per
il
voto
del
Parlamento
italiano
.
Ci
furono
due
versioni
,
a
distanza
di
poche
ore
,
di
quello
che
era
presentato
come
un
comunicato
della
sala
stampa
della
Santa
Sede
.
Una
accennava
all
'
iter
della
legge
che
non
poteva
dirsi
ancora
completo
,
«
esigendosi
per
questo
la
firma
del
capo
dello
Stato
»
.
L
'
altro
testo
,
quello
poi
ripreso
dalle
fonti
cattoliche
,
si
limitava
a
parlare
della
decisione
dell
'
assemblea
,
«
per
quanto
non
inattesa
»
,
che
aveva
colpito
il
Pontefice
,
ma
ometteva
giustamente
,
e
responsabilmente
,
ogni
riferimento
,
diretto
o
indiretto
,
al
capo
dello
Stato
.
Tutto
fa
pensare
che
la
seconda
versione
,
la
più
cauta
e
la
più
vigilata
,
corrispondesse
al
vero
pensiero
di
Paolo
VI
.
La
prima
,
scritta
in
fretta
da
qualche
collaboratore
forse
troppo
zelante
,
poteva
generare
l
'
impressione
che
la
Santa
Sede
ipotizzasse
un
possibile
contrasto
-
del
tutto
inimmaginabile
-
fra
il
Parlamento
e
il
capo
dello
Stato
,
calcolasse
su
un
gesto
di
reazione
o
di
ritardo
da
parte
del
presidente
della
Repubblica
nei
riguardi
del
solenne
«
sì
»
di
Montecitorio
:
un
gesto
che
costituzionalmente
non
era
pensabile
,
per
il
carattere
parlamentare
della
nostra
Repubblica
,
e
nel
caso
specifico
era
escluso
dai
sentimenti
e
dalle
convinzioni
di
fedeltà
laica
e
risorgimentale
,
anche
se
al
di
fuori
di
ogni
suggestione
anticlericale
,
caratteristiche
di
Saragat
(
immaginate
il
dramma
di
un
presidente
democristiano
!
)
.
Ecco
un
'
area
in
cui
la
prudenza
non
è
mai
troppa
.
Se
il
testo
del
comunicato
pontificio
non
avesse
contenuto
,
in
nessuna
delle
due
versioni
,
l
'
incauto
ed
in
ogni
caso
impreciso
riferimento
al
capo
dello
Stato
e
alla
sua
«
firma
»
,
si
sarebbe
evitato
un
momento
,
non
diciamo
di
antagonismo
o
di
contrapposizione
,
ma
semplicemente
di
ombra
e
di
sospetto
fra
Chiesa
e
Stato
,
fra
Vaticano
e
Quirinale
.
È
quello
che
dobbiamo
augurarci
per
i
prossimi
sviluppi
della
vicenda
divorzista
,
all
'
indomani
del
ritorno
del
Pontefice
dal
suo
lungo
e
drammatico
periplo
asiatico
,
cominciato
con
l
'
attentato
delle
Filippine
e
terminato
con
1'«autocensura»
del
messaggio
di
Hong
-
Kong
,
di
fronte
alla
polemica
,
ormai
aperta
e
non
senza
abili
inserimenti
comunisti
,
sulla
revisione
del
Concordato
davanti
alle
prospettive
di
una
nuova
regolamentazione
dell
'
intero
diritto
di
famiglia
.
La
democrazia
cristiana
ha
dimostrato
,
occorre
riconoscerlo
,
un
grande
senso
di
responsabilità
nell
'
ultimo
arco
della
battaglia
divorzista
.
Dapprima
ha
appoggiato
-
merito
della
segretaria
Forlani
-
la
mediazione
Leone
sul
progetto
Fortuna
-
Baslini
;
in
un
secondo
tempo
,
nonostante
le
oscure
e
spesso
oblique
manovre
sul
decretone
,
ha
imposto
alla
Camera
la
salvaguardia
sostanziale
dei
patti
di
palazzo
Madama
,
che
implicavano
la
rinuncia
,
non
formale
ma
nei
fatti
,
ad
ulteriori
emendamenti
al
testo
del
progetto
già
rivisto
.
Le
pressioni
del
mondo
cattolico
più
oltranzista
sono
state
respinte
o
contenute
.
Non
si
è
ceduto
alla
tentazione
,
pur
forte
,
di
una
«
guerra
di
religione
»
sul
divorzio
;
si
sono
salvaguardate
le
intese
,
ben
altrimenti
importanti
,
coi
partiti
di
democrazia
laica
,
malgrado
il
prezzo
così
amaro
.
L
'
atteggiamento
della
parte
migliore
della
Dc
,
sul
referendum
è
indicativo
al
riguardo
.
Né
Colombo
né
Forlani
hanno
detto
«
no
»
all
'
iniziativa
di
un
possibile
referendum
abrogativo
,
annunciata
da
gruppi
anche
autorevoli
del
laicato
credente
;
ma
hanno
fatto
capire
chiaramente
,
attraverso
calcolati
silenzi
o
indirette
allusioni
,
che
non
desidererebbero
una
prova
di
forza
,
necessariamente
estesa
a
rimettere
in
discussione
l
'
anagrafe
cattolica
degli
italiani
.
Non
vorrebbero
trovarsi
alleati
con
la
sola
estrema
destra
,
una
compagna
di
strada
troppo
ingombrante
;
non
vorrebbero
rialzare
gli
storici
steccati
fra
guelfi
e
ghibellini
,
che
tanto
preoccupavano
De
Gasperi
.
La
Dc
preferirebbe
una
riforma
concordata
-
Colombo
l
'
ha
detto
con
lealtà
-
del
diritto
di
famiglia
:
concordata
nell
'
ambito
della
coalizione
quadripartita
,
e
senza
le
ritornanti
e
riammiccanti
offerte
dei
comunisti
,
più
che
mai
cauti
e
sottili
nel
loro
complesso
rapporto
col
mondo
cattolico
.
E
pronti
a
spostarsi
,
dal
«
sì
»
obbligato
al
divorzio
,
ad
una
linea
possibilista
e
di
dialogo
articolato
.
Non
sappiamo
quanto
le
prudenze
della
Dc
saranno
premiate
,
o
confortate
,
dallo
sviluppo
dei
fatti
.
Tutto
è
incerto
:
la
linea
dell
'
azione
cattolica
,
l
'
atteggiamento
dei
vescovi
,
le
stesse
decisioni
della
conferenza
episcopale
,
che
riflette
le
divisioni
post
-
conciliari
.
Sappiamo
solo
che
molto
dipende
dalla
Curia
,
dal
Vaticano
,
diciamolo
pure
senza
mezzi
termini
dal
Papa
,
da
questo
Papa
tormentato
e
problematico
in
cui
sembrano
consumarsi
tutte
le
contraddizioni
della
Chiesa
di
oggi
,
tese
e
laceranti
fino
quasi
ad
un
'
ansia
di
martirio
.
Per
la
formazione
anche
culturale
e
familiare
tipica
di
Paolo
VI
,
il
colpo
subito
dal
Papa
,
con
l
'
introduzione
del
divorzio
in
Italia
,
deve
essere
stato
grandissimo
.
Pensiamo
alla
vecchia
borghesia
cattolica
di
Brescia
,
al
clima
in
cui
il
giovane
Montini
si
è
formato
,
in
quell
'
età
giolittiana
in
cui
nessun
progetto
di
divorzio
arrivava
alle
soglie
dell
'
aula
,
anche
per
l
'
ironica
resistenza
di
Giolitti
(
«
il
divorzio
interessa
solo
due
scapoli
:
il
Papa
e
Zanardelli
»
:
amava
dire
il
grande
statista
quando
era
ancora
ministro
dell
'
interno
nel
governo
di
Zanardelli
,
un
altro
bresciano
,
il
contraltare
laico
del
mondo
guelfo
)
.
Ma
la
delicatezza
dei
rapporti
fra
Chiesa
e
Stato
in
Italia
,
e
degli
stessi
precari
assetti
concordatari
,
sopravvissuti
ad
un
regime
così
diverso
e
lontano
da
quello
di
oggi
,
deve
spingere
il
Pontefice
ad
un
grande
sforzo
di
comprensione
e
di
moderazione
,
il
solo
degno
dei
tempi
,
il
solo
ispirato
alla
carità
pastorale
del
Pontificato
,
all
'
ecumenismo
che
equipara
l
'
Italia
alle
Filippine
.
Tutta
la
materia
del
Concordato
è
oggetto
di
revisione
:
fin
dalla
commissione
costituita
da
Moro
.
Il
matrimonio
concordatario
come
tale
è
un
monstrum
giuridico
,
seguito
ad
un
'
abdicazione
irripetibile
del
potere
civile
,
in
cambio
di
vantaggi
di
prestigio
oggi
irreali
.
Ci
sono
certe
difese
,
che
non
difendono
nulla
;
certe
resistenze
ad
oltranza
,
che
compromettono
solo
i
valori
fondamentali
.
Ed
oggi
il
valore
fondamentale
è
,
per
ammissione
generale
,
la
salvezza
della
libertà
religiosa
,
la
difesa
della
libertà
di
coscienza
:
egualmente
sacre
al
mondo
laico
e
al
mondo
cattolico
.
Un
secolo
non
dovrebbe
essere
passato
invano
dal
20
settembre
.
StampaQuotidiana ,
Il
funerale
di
De
Gaulle
non
sarà
seguito
né
dal
presidente
della
Repubblica
francese
né
da
nessuna
autorità
di
governo
:
è
una
disposizione
testamentaria
che
rimonta
al
gennaio
1952
,
cioè
al
periodo
in
cui
il
generale
capeggiava
il
Rassemblement
in
opposizione
alla
quarta
Repubblica
ma
che
non
era
stata
mai
corretta
negli
anni
successivi
,
neppure
dopo
l
'
apogeo
e
il
trionfo
.
La
scomparsa
dell
'
antico
comandante
della
France
libre
avviene
quindi
sotto
il
segno
del
distacco
dalla
stessa
classe
dirigente
che
egli
aveva
creato
e
portato
al
potere
:
ora
come
un
mese
fa
,
in
occasione
della
pubblicazione
-
lampo
del
primo
volume
dei
Mémoires
d
'
espoir
,
Le
renouveau
,
anticipata
all
'
improvviso
per
farla
coincidere
con
l
'
assenza
di
Pompidou
,
il
delfino
di
una
volta
,
dalla
Francia
a
seguito
del
viaggio
,
protocollare
e
di
circostanza
,
nell
'
Unione
Sovietica
.
Ma
la
verità
è
che
la
«
morte
civile
»
di
De
Gaulle
era
avvenuta
più
di
due
anni
fa
,
nel
maggio
del
1968
,
allorché
il
generale
,
in
cui
si
incarnava
una
grande
idea
della
Francia
,
era
stato
sul
punto
di
essere
travolto
dall
'
insurrezione
dei
Cohn
-
Bendit
,
dalla
levata
di
scudi
di
una
contestazione
pittoresca
e
indistinta
che
egli
aveva
invano
bollato
col
termine
infamante
di
chienlit
,
qualcosa
peggio
che
canaglia
.
In
un
attimo
tutte
le
certezze
,
su
cui
De
Gaulle
aveva
fondato
il
suo
orgoglioso
potere
personale
,
avevano
tremato
;
per
un
momento
la
quinta
Repubblica
,
concepita
come
la
formula
definitiva
della
storia
di
Francia
,
aveva
conosciuto
il
rischio
della
frana
.
Era
stata
necessaria
la
grande
umiliazione
del
viaggio
a
Baden
Baden
,
volto
ad
invocare
l
'
aiuto
dei
gruppi
corazzati
di
Massu
,
il
quasi
-
esiliato
della
rivolta
algerina
,
per
riaprire
uno
spiraglio
di
sopravvivenza
al
regime
in
crisi
:
era
stata
necessaria
la
politica
di
caute
e
ammiccanti
aperture
allo
stesso
moto
di
contestazione
,
impostata
con
realismo
e
spregiudicatezza
dal
premier
Pompidou
,
per
riassorbire
l
'
ondata
vorticosa
della
rivolta
,
per
strappare
la
prima
vittoria
nelle
elezioni
di
fine
giugno
.
Da
quel
maggio
del
'68
,
una
data
comunque
decisiva
nella
storia
d
'
Europa
,
De
Gaulle
era
un
sopravvissuto
a
se
stesso
.
Il
licenziamento
di
Pompidou
da
capo
del
governo
,
nell
'
autunno
del
'68
,
fu
l
'
ultimo
atto
conforme
allo
stile
,
e
ai
rancori
,
dell
'
uomo
.
Couve
de
Murville
rappresentò
quello
che
era
stato
Emile
Ollivier
per
Napoleone
III
,
negli
ultimi
mesi
dell
'
Imperatore
prima
di
Sedan
.
La
sfida
del
«
referendum
»
sulla
riforma
regionale
,
una
riforma
pochissimo
sentita
dalla
maggioranza
dei
francesi
,
sembrò
voluta
dallo
stesso
De
Gaulle
quasi
per
trovare
la
via
di
una
ritirata
onorevole
,
di
un
'
uscita
dal
campo
senza
viltà
.
Il
generale
non
fece
niente
per
vincere
:
annunciò
ai
francesi
che
avrebbe
abbandonato
il
potere
se
non
avesse
strappato
la
maggioranza
.
E
mantenne
la
parola
,
con
la
lealtà
che
in
lui
si
identificava
con
l
'
orgoglio
.
Molti
ebbero
la
sensazione
che
De
Gaulle
,
colpito
a
morte
dai
fatti
di
maggio
,
avesse
preferito
il
ritiro
nella
solitudine
di
Colombey
all
'
esercizio
di
un
potere
dimezzato
,
contestato
,
discusso
,
in
ogni
caso
impotente
a
risolvere
i
nuovi
e
laceranti
problemi
della
Francia
.
Il
suo
distacco
,
nell
'
anno
e
mezzo
che
ha
preceduto
la
morte
,
è
stato
assoluto
.
L
'
ufficio
,
che
il
governo
francese
gli
aveva
messo
a
disposizione
nei
pressi
degli
Invalidi
,
non
è
stato
mai
occupato
.
Nessuna
delle
oscure
trame
o
vendette
,
attribuite
all
'
ex
presidente
,
ha
avuto
un
minimo
di
attuazione
.
La
porta
della
Boisserie
,
il
suo
ritiro
di
Colombey
,
è
rimasta
chiusa
agli
uomini
della
nuova
generazione
post
-
gollista
,
anche
a
coloro
,
come
Pompidou
,
che
si
erano
formati
nell
'
intimità
del
generale
o
che
addirittura
ne
detenevano
le
ultime
volontà
testamentarie
.
Nelle
grandi
ricorrenze
,
come
il
trentennale
dell
'
appello
ai
francesi
del
giugno
1940
,
De
Gaulle
ha
preferito
allontanarsi
dalla
Francia
piuttosto
che
associarsi
a
qualunque
gesto
di
celebrazione
.
L
'
attore
,
uscito
dalla
scena
,
si
era
trasformato
nello
storico
,
nel
testimone
di
se
stesso
,
dell
'
uomo
unicamente
preoccupato
di
tessere
la
grande
tela
delle
Memorie
che
rimarranno
purtroppo
incompiute
al
primo
volume
della
seconda
serie
.
Nulla
,
della
nuova
Francia
pompidouista
,
poteva
piacergli
:
pur
nella
sopravvivenza
,
pressoché
intatta
,
delle
istituzioni
presidenziali
-
repubblicane
da
lui
volute
,
con
tenacia
rasentante
in
parecchi
casi
l
'
arbitrio
.
Il
«
nuovo
corso
»
di
Pompidou
ricorda
per
tanti
aspetti
il
regime
di
Luigi
Filippo
nella
Francia
del
1830
,
all
'
indomani
delle
grandi
convulsioni
dell
'
età
napoleonica
e
della
contrastata
restaurazione
borbonica
:
una
fase
di
tregua
,
un
momento
di
respiro
dopo
una
tensione
eccessiva
,
dopo
uno
sforzo
di
grandeur
finito
nel
fango
di
Waterloo
.
Enrichissez
-
vous
:
il
grido
della
borghesia
orleanista
si
rinnova
nella
nuova
democrazia
repubblicana
,
di
netto
stampo
borghese
,
dove
l
'
antico
direttore
della
banca
Rothschild
,
scelto
a
suo
tempo
da
De
Gaulle
come
il
tecnocrate
che
non
poteva
contrastargli
i
piani
politici
,
e
cioè
il
premier
Pompidou
,
tende
la
mano
al
geniale
ministro
delle
Finanze
,
Giscard
d
'
Estaing
,
antico
leader
dei
gollisti
indipendenti
,
nello
stesso
sforzo
di
salvare
le
basi
della
ricchezza
francese
,
insidiate
dai
fantasmi
di
grandezza
del
generale
,
a
cominciare
dalla
force
de
frappe
.
A
trent
'
anni
di
distanza
dal
generoso
grido
di
ribellione
di
radio
Londra
,
De
Gaulle
entra
nella
leggenda
.
Tre
decenni
della
storia
di
Francia
:
interamente
dominati
da
lui
,
nel
bene
e
nel
male
,
nell
'
eroismo
della
resistenza
opposta
all
'
invasione
tedesca
e
alla
capitolazione
petainista
non
meno
che
nella
superbia
di
un
sogno
politico
di
primato
contraddetto
dalla
storia
e
dalla
geografia
,
nella
salvaguardia
della
libertà
del
suo
paese
non
meno
che
nell
'
assurdo
«
no
»
opposto
alle
speranze
di
unione
europea
con
Londra
.
Si
è
parlato
di
«
bonapartismo
»
:
ma
nulla
è
meno
esatto
.
L
'
uomo
,
che
ha
chiuso
lunedì
,
in
silenzio
,
la
sua
lunga
giornata
nella
solitudine
di
Colombey
-
les
-
deux
-
Eglises
,
era
l
'
ultimo
figlio
della
Francia
del
«
gran
secolo
»
,
l
'
ultimo
esponente
della
tradizione
monarchica
,
l
'
ultimo
contemporaneo
dell
'
epoca
di
Luigi
XIV
:
quasi
discendente
diretto
dalla
galleria
di
Sovrani
che
sta
al
Louvre
,
simile
,
anche
nel
fisico
,
ai
«
ritratti
di
uomo
»
di
Philippe
de
Champaigne
.
Piccola
nobiltà
cattolica
di
provincia
,
Lilla
,
contro
il
dominio
centralistico
di
Parigi
;
la
fedeltà
alla
tradizione
classica
e
quiritaria
contro
la
mistica
giacobina
.
Niente
dello
spirito
della
«
grande
rivoluzione
»
del
1789
,
che
gli
era
rimasta
fondamentalmente
estranea
;
in
un
colloquio
,
che
avemmo
con
lui
undici
anni
fa
a
Roma
,
ci
parlò
con
consapevole
distacco
di
momenti
ed
aspetti
dell
'
epoca
di
Napoleone
primo
,
con
un
distacco
che
poteva
rasentare
l
'
insofferenza
o
il
fastidio
.
La
sua
idea
della
Francia
,
come
comunità
mistica
,
aveva
piuttosto
una
lontana
origine
maurrassiana
:
poi
corretta
dal
lealismo
repubblicano
del
giugno
1940
e
dalla
rottura
clamorosa
con
l
'
antico
protettore
,
il
maresciallo
Pétain
.
La
parabola
,
miracolosa
parabola
,
della
Resistenza
anti
-
tedesca
inserì
il
generale
di
provincia
francese
nel
dramma
convulso
del
suo
paese
,
un
dramma
che
egli
ha
dominato
e
regolato
con
grandezza
e
con
capricci
sovrani
nel
corso
di
un
trentennio
.
Rappresentando
in
due
momenti
il
punto
più
alto
della
coscienza
della
Francia
:
nella
lotta
ai
tedeschi
prima
,
contro
il
prevalente
collaborazionismo
di
gran
parte
del
suo
paese
,
nella
politica
di
pace
e
di
indipendenza
verso
l
'
Algeria
,
condotta
a
prezzo
di
ambiguità
formali
,
dopo
il
suo
ritorno
al
potere
,
ma
con
una
visione
complessiva
fra
le
più
audaci
del
nostro
tempo
.
Come
liquidatore
coraggioso
dell
'
impero
coloniale
francese
,
De
Gaulle
cercò
compensi
in
una
politica
estera
di
prestigio
,
che
apparve
,
e
spesso
fu
,
almeno
per
gli
stranieri
,
senza
senso
.
L
'
uomo
,
che
aveva
corso
il
rischio
di
vari
attentati
della
destra
francese
e
a
Petit
-
Clamart
aveva
sfiorato
la
morte
,
finì
per
diventare
il
simbolo
di
un
nazionalismo
arcaico
e
furioso
in
lotta
contro
l
'
Inghilterra
e
contro
gli
Stati
Uniti
,
impegnato
a
ritardare
la
nascita
dell
'
Europa
,
la
sola
speranza
possibile
per
la
nostra
generazione
.
Di
qui
tutte
le
contraddizioni
e
le
impennate
degli
ultimi
cinque
anni
del
suo
regime
,
che
non
sono
state
dimenticate
né
perdonate
.
Di
qui
le
aperture
incondizionate
all
'
Est
e
il
rovesciamento
di
fronte
nel
conflitto
fra
arabi
e
israeliani
;
di
qui
la
visione
planetaria
che
lo
portò
ad
accendere
in
tutto
il
mondo
,
dalla
Cambogia
al
sud
-
America
al
Quebec
,
la
lotta
contro
gli
Stati
Uniti
,
alleati
indispensabili
,
ieri
come
oggi
,
della
Francia
e
dell
'
Europa
.
La
linea
saggia
e
realistica
di
Pompidou
ha
già
corretto
,
almeno
in
parte
,
gli
errori
e
le
intransigenze
del
generale
.
Ma
oggi
che
De
Gaulle
se
n
'
è
andato
,
come
aveva
sempre
desiderato
,
senza
la
decadenza
di
una
vecchiezza
impotente
,
tutti
gli
europei
tornano
a
pensare
,
con
una
punta
di
accorata
malinconia
,
che
il
generale
rappresentò
soprattutto
una
grande
e
generosa
illusione
:
l
'
illusione
che
la
Francia
fosse
ancora
una
grande
potenza
mondiale
,
nonostante
la
sconfitta
del
'40
,
l
'
illusione
che
l
'
Europa
fosse
ancora
il
continente
determinante
,
nonostante
la
congiunta
vittoria
russo
-
americana
e
la
divisione
del
mondo
in
due
blocchi
.
Con
la
sua
morte
,
anche
tale
illusione
scompare
.