StampaQuotidiana ,
C
'
è
una
scena
davvero
straordinaria
.
Il
figlio
killer
Tim
Roth
,
tornato
dopo
anni
di
assenza
e
per
uccidere
nel
proprio
quartiere
,
umilia
il
padre
Maximilian
Schell
minacciandolo
di
morte
:
in
uno
spiazzo
urbano
nevoso
e
lurido
lo
costringe
a
levarsi
il
cappotto
;
lo
obbliga
con
la
pistola
a
togliersi
i
pantaloni
;
gli
impone
con
ordini
brevi
e
rauchi
come
latrati
d
'
inginocchiarsi
davanti
a
lui
.
Gli
schiaccia
con
insolenza
beffarda
la
faccia
nella
neve
sporca
e
se
ne
va
:
il
padre
resta
lì
solo
,
finito
,
vinto
.
Raramente
s
'
era
visto
raccontare
in
immagini
altrettanto
efficaci
e
tanto
intense
da
risultare
quasi
insopportabili
l
'
odio
filiale
(
che
è
anche
odio
generazionale
,
etico
,
culturale
)
e
un
'
uccisione
simbolica
del
padre
(
che
è
pure
cancellazione
,
smentita
dell
'
universo
paterno
)
.
Al
confronto
,
risulta
deludente
il
resto
del
melodramma
di
malavita
sentimentale
e
moralistico
,
dominato
da
una
fascinazione
retorica
per
la
violenza
assassina
,
corretto
,
confezionato
tecnicamente
senza
incertezze
né
errori
.
L
'
ambizione
del
regista
,
debuttante
ventiquattrenne
americano
,
è
naturalmente
massima
:
la
tragedia
greca
a
Brooklyn
.
E
non
si
realizza
,
come
non
si
realizzano
altre
sue
ambizioni
.
Little
Odessa
,
ad
esempio
.
È
interessante
l
'
idea
di
descrivere
il
quartiere
degli
ebrei
russi
newyorkesi
,
con
i
suoi
abitanti
lacerati
tra
modernità
e
tradizione
,
oscillanti
fra
due
culture
e
due
criminalità
antitetiche
:
ma
questo
elemento
è
appena
nominato
e
sfiorato
,
nel
film
che
sembra
di
conoscere
a
memoria
tanto
è
simile
a
mille
altri
mille
volte
visti
al
cinema
o
alla
tv
.
È
bella
l
'
idea
di
far
raccontare
l
'
intera
vicenda
dal
fratello
minore
del
giovane
killer
,
un
ragazzino
al
limite
tra
l
'
ammirazione
amorosa
del
nero
potere
violento
del
fratello
e
il
legame
profondo
,
impaziente
,
con
i
genitori
,
con
la
nonna
,
con
i
valori
di
normalità
e
di
sicurezza
da
loro
rappresentati
:
ma
questa
idea
quasi
subito
si
perde
,
o
si
svuota
.
È
tipico
d
'
ogni
regista
giovane
il
tema
del
disfacimento
della
famiglia
,
in
questo
caso
formata
da
madre
morente
per
un
cancro
al
cervello
,
padre
debole
e
adultero
,
nonna
rincitrullita
,
figlio
adolescente
smarrito
,
figlio
maggiore
assassino
espulso
dalle
mura
domestiche
:
ma
questo
tema
(
salvo
la
pulsione
d
'
odio
per
il
padre
)
diventa
appena
un
catalogo
o
un
'
elencazione
,
senza
nutrirsi
nella
storia
che
nasce
dal
ritorno
del
killer
e
si
conclude
con
il
killer
che
riparte
dopo
aver
visto
morire
anche
per
colpa
propria
tutti
quelli
che
amava
.
Capita
insomma
a
Little
Odessa
quanto
succede
adesso
a
molti
film
americani
:
buone
idee
,
buona
tecnica
,
limitata
capacità
registica
e
aridità
narrativo
-
emotiva
,
ne
fanno
appena
contenitori
ingannevoli
,
qualcosa
di
simile
a
un
giornale
con
titoli
brillanti
-
promettenti
e
articoli
vacuo
-
deludenti
.
Ma
restano
a
distinguere
il
film
molti
elementi
.
La
sequenza
di
cui
s
'
è
detto
.
Tim
Roth
,
attore
eccellente
e
monotono
(
magari
anche
perché
gli
affidano
personaggi
sempre
simili
)
,
killer
algido
,
esatto
,
orrendamente
violento
.
Vanessa
Redgrave
,
bravissima
agonizzante
,
che
nella
breve
parte
della
madre
offre
la
prova
di
recitazione
migliore
.
È
un
rapporto
del
regista
con
il
cinema
che
appare
d
'
una
naturalezza
e
competenza
piuttosto
rare
al
primo
film
.