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Arturo Toscanini ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Si è fermata , dunque , la mano del grande Maestro . Cerea , bianca , la destra si è incrociata con la sinistra sul petto , nel gesto dell ' ultima pace . Il grande vecchio è immobile , al centro dell ' immenso segreto dell ' aldilà . Egli non può più dire nulla , gli uomini non conosceranno più le vie meravigliose della magica memoria , i battiti infallibili di quel cuore carico della musica di tutti i tempi . Musica eri giovane per lui , e lui era giovane per te . Quella che si chiude è una lunga , incantatrice storia d ' amore . Amore era la musica di Toscanini . Ancora tempo fa , dissero , egli leggeva Leopardi e qualcuno pensava di donargli , dei Canti , una stampa che non affaticasse , nella notte , i suoi occhi già tanto stanchi . Non è tutto amore Leopardi , pur nella sua sconsolata angoscia ? Amore il sospiro per Silvia , amore l ' appello alla Luna , amore il pianto per la melanconica ginestra , amore l ' ascoltare la nota del passero solitario , la nota che scende dal silenzio della torre antica . Amore era la musica di Toscanini nell ' aurora serena e nella tempesta notturna , nel sospiro e nell ' inno , nell ' elegia e nel peana ; amore nella grazia , amore nell ' ira , nel sangue della tragedia , nella luce argentea della favola lunare , tra le rupi e le fiamme . Egli , per questo amore , riportava tutto alla legge prima : quella dell ' amore attorno a cui tutto il mistero del creato si volge , « sì come ruota che egualmente è mossa » . Aveva quattordici anni quando morì Wagner , trentadue quando chiuse gli occhi Verdi , cinquantasette quando scomparve Puccini . Da tanti anni durava dunque la sua solitudine e , in questa immensa solitudine , conscio di stare come una rupe salda in mezzo ad un mondo in naufragio , egli non viveva che per far rivivere i grandi spiriti . Per questo , forse era così esigente il suo spirito mistico di musicista , per questo il teatro o la sala dei concerti erano la sua chiesa , per questo egli esigeva che gli ascoltatori avessero , soprattutto , l ' animo dei credenti . Questo suo intendere l ' esecuzione musicale come un fatto mistico non era un atteggiamento letterario : nasceva probabilmente dalla coscienza di essere l ' interprete di una superiore misteriosa volontà : di quella volontà che , in un mondo di nebbie , di incredulità , di dubbi e di lento annichilimento della grande civiltà delle anime , faceva , a un suo cenno , risorgere i grandi spiriti che avevano amorosamente o tempestosamente cantata la poesia estrema di un mondo che ormai non sapeva più rinnovare i valori della poesia . Il destino aveva voluto ch ' egli fosse l ' ultimo nocchiero di quella nave che aveva percorso tutti gli oceani del canto : ch ' egli fosse l ' ultimo a levare le sue vele e a drizzare il suo timone . Interprete di un mondo immortale i cui semidei si erano spenti senza eredi , egli , di quei semidei , per sorte aveva dovuto essere il grande evocatore . Tutti morti , i geni , alle sue spalle . Da quanti anni , da quanti decenni si poteva pensare che Toscanini si guardasse sconsolatamente attorno , solo vivente , in attesa di uno da chiamare fratello ? Da quanti anni viveva solo tra prodigiosi spettri , in un ' arte che non riusciva più a rinnovare i propri miti e che , paurosamente , se pur viva fra i suoi Immortali , era tutta ormai solamente Passato ? Di qui la necessità di un ' istintiva convinzione mistica : il suo rigore quasi di sacerdote davanti alla necessità di ricreare ogni volta il miracolo non di una esecuzione , ma di una resurrezione : le sue ire procellose per la minima cosa che gli potesse sembrare errore od offesa all ' Idea e al Tempio : il suo dubbio costante e le sue affermazioni , ad un certo momento , dogmatiche ; la sua instancabile attenzione nel migliorare se stesso , per chiarire sempre meglio a se stesso il mistero musicale ; il suo intendere il teatro come un tempio e il podio come il gradino dell ' altare . Solamente perché gli era possibile di rinnovare così il miracolo della resurrezione dei grandi spiriti , egli non fu vinto mai dall ' angoscia della solitudine in un mondo nel quale , ormai , sembrava che la musica sorgesse solamente dai grandi Sepolcri . Così , perché per la magia di un cenno , per l ' improvviso battere concorde dei cuori , per l ' improvviso eguale respiro di due anime , i grandi spiriti si risvegliavano in lui , egli , con tali antichi fratelli accanto , da Beethoven a Verdi , poté non sentirsi solo nel mondo che si svuotava di canti , e poté , con tali fratelli accanto , per essi vivere così a lungo . Mancate le forze per ripetere ogni giorno la grande evocazione , era destino ch ' egli non potesse più vivere . Interprete sommo d ' ogni musica , la forza del suo genio vivificatore doveva far di lui , nel mondo , l ' estremo e maggiore rappresentante del genio musicale italiano . Egli era infatti della razza dei geni italiani , nati e cresciuti nella semplicità , anche se sapientissimi : nati in obbedienza ad un estro , ad un intuito , ad un istinto poetico . Stendhal si sarebbe incantato per lui con lo stesso felice incantesimo che l ' aveva avvicinato a Rossini . Toscanini era fatto per riconoscere sempre la via più breve per percorrere qualunque labirinto . Nato in un paese dove gli inverni sono nebbiosi e dove erano fiochi , al tempo della sua adolescenza , i lumi per le strade , all ' ombra dei giganteschi palazzi incompiuti di Parma , e sulle rive tenebrose del torrente alla cui rapinosa voce invernale fra i ciottoli sotto alla Pilotta dei Farnese sembra aver pensato Verdi per il quarto atto del Rigoletto , Toscanini era abituato a non sbagliare mai strada anche nel fitto delle partiture più buie . Il suo genio si chiamava chiarezza : entrava nei capolavori non di fianco , ma dall ' alto , quando , come vista verticalmente , la loro topografia gli aveva rivelato i segreti del buon orientamento . Si può dire che , allora , egli calasse , piombasse sul capolavoro con l ' infallibilità di un falco . Di tutti i popoli del mondo , l ' italiano è quello che più ha amato l ' ordine : altrimenti non sarebbe stato un popolo di grandi architetti , e i suoi poeti non avrebbero creato ed amato la disciplina musicale del sonetto . Intendere l ' ordine segreto , le segrete misure , i rapporti di temi e di cadenze di una musica apparteneva all ' intuito architettonico e musicale degli italiani , inventori della terzina e del sonetto , dell ' endecasillabo e dell ' ottava , dell ' arco , del portico , del chiostro , della basilica e della cupola , del duetto , del quartetto , del « concertato » , della polifonia . Si trattava , per Toscanini , prima di tutto di scoprire e di ridisegnare e di riplasmare una architettura : poi , di farvi vivere dentro uno spirito e cantare una anima . Era il momento in cui egli soffiava il suo stesso spirito sulla bocca del colosso . Il gigante si risvegliava e lui gli diceva : « Cammina e canta ... » . Così , in mezzo alle partiture più rupestri e più selvose , egli andava dritto , come un rabdomante , a scoprire l ' essenziale , e cioè la sorgente del canto : e non per nulla , come esecutore di musica , egli veniva dalla grande famiglia degli archi , antico suonatore di violoncello , lo strumento che di tutti ha la voce più umana . Da quel momento egli camminava , infallibile , in cerca dell ' umanità del canto ; il poema sinfonico più folto doveva aprire il suo intrico contrappuntistico , la foresta doveva schiudersi , la luce trovare la sua strada , il cuore la sua voce . « Non abbiate paura di cantare ! » , gridava il vegliardo ai violini . Il canto voleva dire chiarezza sulla ormai ineluttabile strada della poesia . Calato sul capolavoro dall ' alto , egli , ormai , non doveva assediarlo e penetrarlo e illuminarlo dall ' esterno . La sua creazione cominciava dall ' interno , dal nido più segreto della foresta , dalle radici vitali , dall ' humus della sua fecondità . Il capolavoro rigerminava per lui : e sotto al suo cenno rinascevano le grandi querce , risorgevano le cattedrali , salivano al cielo le cupole delle basiliche . Ogni vastità polifonica , ogni ampiezza di affresco sonoro , ogni impeto ed ogni squillo erano adesso possibili , ed ogni murmure e ogni tremore stellare di note . I Personaggi , Otello e Sigfrido , Wotan e Lucia , Figaro e Brunilde , Mimi e Parsifal , potevano , ora , avanzare al proscenio . Era il momento in cui l ' umanità poteva finalmente entrare , ad un cenno del maestro , per la grande porta , quella per la quale passa la sua estrema espressione : la poesia . Grigio e molte volte disperato è stato il nostro tempo , amare le nostre vicende , infelice per tante voci la generazione di noi che , nella sua piena maturità , lo udimmo appena fanciulli o giovinetti : ma anche per noi delle ultime generazioni una luce veniva , una luce è venuta da quelle mani , ora ferme e incrociate nell ' atteggiamento dell ' ultima pace . Il nostro cuore è stato preso fra le mani di questo grande vecchio italiano che di Verdi poteva essere considerato spiritualmente , il figlio . Egli veniva dal Grande Tempo : era nato nella Grande Stagione , quando non si pensava ancora che per il canto fosse iniziato il mesto Autunno e tutto pareva ancora un rigoglio primaverile di spiriti . Egli veniva dalla riva delle Grandi Speranze , e ci ha aiutato a credere ancora nella Speranza e a riconoscere le anime che indicano l ' immortalità della bellezza e della poesia . Confortatore , illuminatore , sacerdote musicale di quattro generazioni , a lui , nella cui musica tante volte segretamente anche noi ci siamo sentiti purificati come , in una confessione , va il pensiero , come nella invocazione verdiana . Va ' dunque , pensiero degli italiani , verso il caro grande vecchio muto e solo , verso quel volto chiuso nell ' ultima maestà , immobile al centro dell ' immenso segreto dell ' aldilà .
Totò ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Ho passato una serata con Totò , nel camerino di Totò , fra le quinte con Totò e , dopo lo spettacolo , a pranzo con Totò . L ' ho lasciato alle quattro del mattino davanti alla porta del suo albergo . Quando sono andato a casa e mi sono spogliato , ho pensato che in quello stesso momento anche Totò si spogliava , rimboccava il lenzuolo , sistemava il cuscino . Da questo pensiero sono nate , prima che prendessi sonno , alcune considerazioni che adesso metto sulla carta , in ricordo della serata passata con l ' attore comico più popolare d ' Italia e , certamente , fra i più singolari del mondo . L ' attore comico , quando il carattere delle sue occasioni lo ha portato a raggiungere lo stile e la fissità della grande maschera , non si appartiene più . Il pubblico continua a modo suo a svolgere mentalmente la vita del personaggio che l ' attore gli ha portato innanzi . Il sipario cala sull ' ultima passerella di Totò , e Totò non ritorna padrone di se stesso . La nostra immaginazione lo segue , come seguirebbe Charlie Chaplin o il grande clown , e lo fa vivere in modo e nelle situazioni che , con il normale repertorio di quella maschera , non hanno nessuna apparente attinenza . Quando il grande attore tragico si strucca e rientra nella penombra della sua vita privata , la nostra fantasia non lo segue . Ruggero Ruggeri depone i fascini di Aligi e l ' immagine di Aligi resta staccata dalla vita del suo interprete . Io non ho mai pensato , dopo una recita di Ruggeri o dopo una recita di Lucien Guitry , all ' andare a letto di Ruggeri o di Guitry come ad un pretesto per continuare , nella fantasia , la vita del personaggio che essi avevano creato innanzi al pubblico . Gandusio può avermi fatto ridere ma non mi fa ridere la possibilità di immaginarmi Gandusio in trattoria , dopo teatro , davanti a una cotoletta . Dopo un film di Charlot , continuerò a vedere Charlot in tram , a cena o mentre cerca le chiavi di casa o mentre preme il bottone dell ' ascensore . Ha creato una maschera identica alla sua figura umana ed egli , in quanto maschera , non è più padrone di se stesso . Lo stesso mi accade se penso a Totò nella sua camera d ' albergo , dopo che ha passato quasi otto ore davanti a me scrittore che cerco di scoprire i lineamenti del suo ritratto segreto . Totò non è più padrone di nulla , nemmeno di andare a dormire in santa pace . Se i suoi milleduecento spettatori di ogni sera pensano , dopo teatro , a lui che va a letto , tutti milleduecento si mettono a ridere . Totò dorme ? La gente ride . Totò si rivolta nel letto ? Totò perde una coperta ? Totò cerca le pantofole ? Totò non trova il bottone del campanello ? L ' immagine di Totò non appartiene più a Totò . Come il protagonista del racconto di Chamisso che ha perduto la sua ombra , l ' attore comico , costruendo di se stesso , per mostruose ispirazioni , una maschera , ha perduto la propria immagine , l ' ha ceduta a qualcuno che se ne è fatto padrone e che può muoverla a suo piacimento , tirannicamente . Totò può , per questo , guadagnare quanto vuole : sarà sempre povero , di quella strana povertà dell ' uomo che non appartiene più a se stesso . Credo che per questo , per una sia pure imprecisa coscienza di questo , Totò , appena esce dal rettangolo di luce della ribalta , sia l ' uomo più serio che ho avvicinato : il meno ciarliero , il più misurato nella parola e nel gesto . Totò , fra le quinte , non fa ridere nemmeno un momento . La conversazione con lui è piuttosto difficile perché , in genere , non si pensa mai troppo al carattere degli uomini e alla loro posizione davanti al proprio destino . Con un poco più di preventiva meditazione sul tema « Totò fra le quinte » , sarebbe stato facile immaginare che , appunto , per la violenza estrema dei colori della maschera Totò , tanto più tenui dovevano essere i colori dell ' uomo Totò . Non si pensa mai abbastanza alle cose : i nostri diplomi di « fine psicologo » meriterebbero spesso di esser fatti a pezzi . Com ' è possibile pensare che Totò uomo , appena tra le quinte , non debba istintivamente reagire al Totò maschera ? Totò non ha bisogno di continuare il suo personaggio , quando cala il sipario . Il suo personaggio continua a vivere nella memoria e nella fantasia . Egli torna immediatamente Totò uomo . A differenza anche di molti che non sono attori e che , per essere assunti nell ' arte e nella storia al ruolo di personaggi storici , continuano in ogni ora , solo che li si guardi , solo che pensino di essere osservati , a sforzarsi di assomigliare al loro personaggio o di disegnare un contrario di se stessi , mi pare che Totò non si curi nemmeno di costruire un antiTotò . Egli non è il contrario di se stesso : non è il « pagliaccio che pranza dopo aver fatto ridere » o la maschera che ammicca per far intendere che , sotto il cerone del trucco , c ' è l ' uomo . È una creatura molto differente che sembra non abbia , di Totò , mai sentito parlare e che per Totò abbia una estrema indifferenza . Il Totò della scena resta placidamente attaccato a un gancio dell ' attaccapanni . Padrone chiunque di immaginarlo per le vie del mondo con il suo stretto tubino , la sua lunga mascella , il suo riso sgangherato , il suo collo da disossato ballerino fantoccio . Nella vita , Totò è quasi impacciato , quando sorprende che il nostro sguardo insiste a cercare nel suo viso una maschera che non è più sua e che ormai appartiene alla favola del nostro tempo . Il camerino di Totò è , come il teatro , sottoterra , e vi si arriva per complicati labirinti . Quando si è là dentro , il palcoscenico sembra lontanissimo . Ho pensato spesso , mentre parlavo con Totò durante i momenti in cui si cambiava tra una scena e l ' altra , a certe mie esperienze di sommergibilista oceanico . Non solo l ' aria è quella , stanca e viziata , del piccolo quadrato di un sommergibile alla massima immersione : ma è quello , in un certo senso , anche il silenzio . Il pubblico bisogna ricordarselo , come ci si ricorda , a cento metri sott ' acqua , della superficie azzurra e ondosa del mare . Non si sente la sua voce . Si cerca istintivamente il periscopio . Questo accade perché qui non arriva nulla , nemmeno il risucchio della grande ondata spettacolare della rivista che svolge intanto , nel golfo di luce del palcoscenico , le sue grandi manovre di colori , di luci , di piume , di danze , di vive morbide statue di donne . La rivista non arriva al camerino di Totò che come l ' eco , se potesse giungerci , di un pianeta lontano . Lo spettacolo , per chi se ne sta seduto nel camerino , è come avvenisse sulla luna . Su una parete è attaccato un piccolo altoparlante . Basta toccare un bottone e l ' altoparlante si mette a parlare e a cantare : parole e suoni un po ' confusi , quasi da segnalazioni medianiche . Anche nelle navi da guerra in navigazione e in battaglia , imperiosi altoparlanti ripetono , nei vari ponti , alle macchine , alle stive , ai depositi di munizioni e alle torri dei cannoni le voci del comando , i rumori della battaglia . Totò mentre si trucca per la nuova scena , segue , ogni tanto , alla voce roca e lievemente sinistra , fredda e incorporea dell ' altoparlante , la manovra e la battaglia . La presenza di quelle voci è come la presenza del destino , è come il monito al personaggio per dirgli : « Ricordati che sei Totò » . Nessuno può entrare . Il retroscena di una rivista è uno dei luoghi più segreti del mondo . Una soubrettina o una ballerinetta possono sfilare sulla passerella con venti centimetri quadrati di stagnola per tutto vestito , sotto la luce implacabile dei proiettori , ma nell ' ombra delle quinte la bellezza e la nudità sono elementi di lavoro , accanto ai quali non ci si può fermare come fa il nottambulo che passa un quarto d ' ora a guardare gli operai che riparano le rotaie del tram . Il camerino di Totò , con il lungo corridoio buio che lo precede , mi fa anche per questo pensare alle navi da guerra dove non ci sono donne . Una serata dietro le quinte con Totò è una serata fra uomini : uno dei quali si spoglia e si riveste ogni momento davanti alla propria immagine riflessa in due specchi . L ' immagine è quieta , quasi assorta , fondamentalmente malinconica , al limite del doloroso . Non si ride , non v ' è motivo od occasione di ridere . Sembra che Totò non abbia quasi ricordi o che non voglia averne , stanco dell ' infinita proiezione di se stesso nella lunga prospettiva del tempo , dall ' infanzia ad oggi . L ' altoparlante porta musiche più o meno indiavolate . Totò è sfigurato dal trucco , si incolla sulla fronte un ridicolo parrucchino , indossa una goffa camiciola . Parla di quand ' era bambino a Napoli e aveva delle crisi mistiche e riempiva la casa di altarini . Poi voleva fare l ' ufficiale di marina . Solo a venti anni vide , per la prima volta , un attore e da allora scoprì la sua vocazione . Se , in strada , incontrava quel vecchio attore , lo seguiva timido e lo sopravanzava varie volte per guardarlo in faccia . Parla della commedia dell ' arte e di Pulcinella . E veramente Totò è il Pulcinella moderno , senza maschera , con la faccia lavata , complicato con tutto il grottesco e forse anche con tutte le malinconie geometriche del nostro tempo . Quando l ' altoparlante lo avverte che è l ' ora di salire in palcoscenico , nel praticabile che , visto dalla platea , rappresenta un interno di vagone - letto , interrompe il racconto e va verso il suo lavoro per il corridoio buio , verso il palcoscenico buio . Adesso dal piano del palcoscenico , lo vedo in luce , nella scatola del vagone - letto , dalla vita in su , come da una ribalta di teatro di burattini . Dalla parte dove sono io , il silenzio è alto come è fitta l ' ombra rotta qua e là dagli spiragli di luce dei camerini . La maschera è là , come nei tempi antichi , come alla piccola ribalta delle piazze napoletane , inquadrata nell ' immaginario finestrone del treno . Tira invisibili fili e un ' invisibile umanità ride , di là dalla ribalta , come per un comando sovrumano , in una misura infallibile . Alla comicità di Totò si possono trovare molte origini , come sempre si fa quando si parla di un attore comico o , meglio , del creatore di una maschera , sia esso Charlot , Max Linder , Prince , Ridolini , Buster Keaton . Pochi argomenti come quello del creatore di maschere moderne per il teatro , per il cinema o per il circo ( pensate al clown Giacomino , amato parimenti da Kuprin , da Andreew e da Gorkij ; pensate ai Fratellini e a Grock ) si sono prestati a saggi lunghi e seri . Petrolini è stato commentato filosoficamente da Bontempelli . Su Charlot esiste una biblioteca e sui Fratellini un mezzo scaffale di libri . Quella di Totò è all ' inizio una comicità da invertebrato ; la sua prima immagine è un metro snodato , di quelli gialli da falegname . Partendo da qui , la sua comicità , ubbidiente ad una macabra geometria , si è sviluppata e complicata anche con certi ghigni sinistri che sembrano rubati a una pittura di Ensor o a certe diaboliche incisioni di Goya . Il tubino e la redingote sono quelli di Charlot , certe intonazioni sono ancora di Ettore Petrolini , il naso e il mento sono quelli di Pulcinella . Da questo incrocio è nato Totò . Totò il buono come lo ha chiamato Zavattini : un po ' uomo , un po ' angelo , un po ' marionetta e un po ' clown , come del resto ai suoi tempi è stato Charlie Chaplin . Un comico che fa ridere con le ossa , muovendo gli angoli più imprevisti dello scheletro . Si muove , nei momenti di parossismo , come si muovono sulla lavagna i quadrati costruiti sui lati del triangolo del teorema di Pitagora . Data la sua origine napoletana , non è forse ingiusto ricordare la geometria di certi gesti dei mimi greci , tramandati nella pittura dei vasi ellenici . A questa violentissima capacità di pantomima si accompagna , per contrasto , l ' alta mestizia degli occhi più disillusi del mondo . La bocca sorride e si illude , bonaria ; gli occhi non credono alla favola gaia entro la quale vivono ; il corpo balla e si scompone come nel grottesco di una danza macabra . Un personaggio che sarebbe piaciuto ai Goncourt , per il suo verismo e , per la sua fantasia , a Théophile Gautier . Nelle cronache del teatro francese del Secondo Impero , c ' è la storia di qualche comico spettrale che piacque anche a Victor Hugo . Non è , del resto , Zavattini profeta letterario di Totò , il romantico degli angeli e dei poveri ? Anche se , nella prospettiva teatrale , la mimica facciale più sottile deve diventare smorfia violenta e l ' attore deve moltiplicare le dosi della virtù comica per ottenere « l ' onda lunga » che lo metta in contatto con lo spettatore lontano , il suo migliore segreto Totò lo ha nelle sfumature : un millimetrico flettersi delle sopracciglia , un velarsi improvviso dell ' occhio , un intimo ammiccare forse furbesco e forse di mestizia . Alla una e mezzo di notte , un uomo di media statura esce dal teatro . Ha in testa un cappello color noisette , un paltò dello stesso colore , una camicia di seta con le due punte del colletto fermate da una spilla . La strada è quasi deserta . Nessuno si ferma e nessuno ci guarda . « Non ho avuto » , dice , « una carriera difficile , non ho vissuto molto , non ho avuto nemici . Ho avuto una vita come tutti gli altri . Sono come tutti gli altri . » In trattoria , mangia un piatto di prosciutto e un piatto di spaghetti . Il fotografo , naturalmente , vuole riprenderlo con la forchetta in mano . Totò non è padrone , l ' ho visto , della sua immagine . Quando , chiamandolo per nome , l ' ho salutato sulla porta dell ' albergo , l ' autista del tassì notturno si è affacciato al suo sportello , per vederlo . Probabilmente avrà pensato che io avessi scherzato .
Trilussa ( Vergani Orio , 1950 )
StampaQuotidiana ,
Non mi sembra che il ricordo di Trilussa possa dividersi da quello della sua casa romana , dove mi pare ch ' egli abbia abitato sempre . La casa fu costruita , molti anni fa , da un certo Corrodi , che la destinò tutta a studi di artisti . I lavori del Lungotevere , che erano stati tanto a cuore di Garibaldi , erano finiti da poco tempo ; a quel tratto del Lungotevere - da cui già si scopriva , non ancora nascosto dalle nuove costruzioni del quartiere di Prati , là , in fondo a via Cola di Rienzo , il profilo delle mura del Vaticano - era stato dato il nome antipapalino di Arnaldo da Brescia e , come un monito ai pellegrini che si fossero accinti a varcare il nuovo ponte , era stata collocata fra quattro platani la statua di Ciceruacchio , raffigurato dallo Ximenes nell ' atto con cui il fiero popolano si denuda Il petto per offrirlo alle scariche del plotone di esecuzione . Cola di Rienzo , Arnaldo da Brescia , Ciceruacchio : a Roma , almeno come toponomastica , si respirava ancora un ' aria molto « Venti Settembre » . Il villino del Corrodi era , ed è ancora , un edificio di stile architettonico incerto , che avrebbe potuto essere ispirato dalla scuola romana fra il '70 e il '90 , quella del Kock o dei vecchi Piacentini e Bazzani : un edificio , in ogni modo , di una certa dignità , e non destinato certamente ad ospitare dei « morti de farne » com ' erano , in quegli anni , gli ospiti degli studi di via Margutta . Il pianterreno era diviso in quattro grandi spazi , adatti particolarmente a scultori . Altri quattro erano al secondo piano . Non so con precisione in quale anno Trilussa , in cambio di un mese d ' affitto anticipato - il pagamento semestrale era , a quei tempi , possibile solo nella grassa Milano : a Roma si era di respiro molto più corto - sia entrato in possesso delle chiavi di uno degli otto studi Corrodi . Ma certamente fu parecchi anni prima della guerra di Tripoli . Trilussa era giovane , scapolo , e poeta : era giusto che si cercasse quello che allora si chiamava un « eremo » in una località piuttosto fuori mano . Aveva - ne ho ritrovata l ' immagine in una rivista del gennaio del 1900 - baffi neri e folti , che solo più tardi moderò secondo la moda « americana » : baffi fine Ottocento dei quali si parla tanto nelle novelle di Maupassant , che davano un brivido delizioso quando sfioravano , in un bacio , il collo di una bella dama . La statura sua era altissima : i giornali del primo Novecento , quando andava in giro per l ' Italia a leggere i suoi versi , parlavano delle sue gambe « smisurate » . Credo che più che le muse , molte belle donne abbiano , e per molti anni , bussato alla porticina del suo studio : e questo mi spiega perché buona parte delle sue poesie , se non proprio tutte , Trilussa mi ha detto di averle scritte , invece che in casa , per strada , durante certe passeggiate . E questo mi spiega perché , quando i capelli di Trilussa cominciarono a diventare grigi , egli avesse fatto intagliare , nelle imposte delle finestre terrene , certi spioncini da cui poteva , avvicinandosi in pantofole , vedere se gli conveniva , o no , aprire la porta . Quando gli italiani cominciano a sognare l ' unità del proprio Paese e ad agitarsi per essa , subito nella nostra letteratura , da una parte , si schierano í poeti che chiameremo « in lingua » e , dall ' altra , i « dialettali » . Queste sono forse le contraddizioni indicatrici del temperamento italiano . Si fa deserta , nel suo parco al Gianicolo , l ' accademia arcadica del Bosco Parrasio tanto cara ai prelati di Pio IX , e da Trastevere vengono al mondo il Belli e Pascarella e Trilussa . Un poeta della Maremma e un poeta d ' Abruzzo cantano la gloria della Dea Roma : i romani rispondono con i sonetti e con le favole di Trilussa , nelle quali di Roma con la maiuscola si parla poco e quasi niente , e , invece che girare per i Fori e per la Via Sacra , si va per vicoli e cortili e osterie a conoscere , da vicino , il popolino . Trilussa aveva tredici anni quando il nipote del poeta e Luigi Morandi , fra il 1886 e il 1889 , mandarono fuori i sei volumi dei sonetti di Gioachino Belli sino allora malamente noti o addirittura stampati alla macchia . Le date contano anche nella vita dei poeti , soprattutto quando sono ragazzi come lo era allora Trilussa . Dell'82 sono Er morto de campagna e la Serenata di Pascarella , dell'85 Villa Glori , e del '93 La scoperta de l ' America . Sono degli stessi anni le rime migliori di Gigi Zanazzo che fonda il Rugantino per accogliere e diffondere le creazioni della poesia vernacola romanesca . Trastevere , Piazza Navona , la festa di San Giovanni con i lampioncini e le lumache fritte , diventano temi di poesia in quella stagione . Se si guarda al di là delle mura di Roma , troveremo , nello stesso periodo , i primi sonetti di Salvatore di Giacomo , Zi ' munacella e ' O funneco verde . Per un ragazzo che si senta nato per parlare in dialetto la scelta del maestro - anche se non si voglia risalire al Porta che forse ha insegnato qualcosa persino al Belli - è piuttosto difficile . Per quanti anni Trilussa dovrà portar il dolce ma grave peso di esser chiamato l ' erede di Pascarella , benché non l ' abbia imitato mai ? Chi ha parlato di lui , in occasione della sua morte , ha dimenticato , mi sembra , di notare ciò che il giornalismo aveva dato , forse anche usandole violenza , alla poesia di Trilussa . Dei caratteri « giornalistici » dell ' autore delle Favole si è ricordato , con molto acume , anni fa Pietro Pancrazi . Fu il giornalismo , l ' obbligo di pubblicare i versi , prima che in volume , in giornali e in settimanali , che costrinse Trilussa a rammentarsi sempre di scrivere per un pubblico largo , che voleva cose rapide nella stesura , precise nel bersaglio , immerse tutte nella realtà e non sospese a metà strada tra la descrizione e il « caso personale » come poté permettersi , parlando molti anni dopo a pochi amici , il milanese Delio Tessa . Per prima cosa i versi di Trilussa dovevano , fra il 1890 e il 1900 , piacere al suo direttore Luigi Cesana , un giornalista che aveva fatto la fortuna del « Messaggero » rivolgendosi , e non si vergognava di dirlo , al pubblico delle portinaie per salire , da questo , a quello dei piccoli impiegati a lire 1100 annue : dovevano piacere ai cronisti di via del Bufalo , che anch ' essi fornicavano , come Nino Ilari , con le muse vernacole e poetavano di bulli e di minenti : dovevano corrispondere a fatti e sentimenti di interesse generale , evitare , con un dialetto tutto cose e senza troppi aggettivi - senza aggettivi ai tempi di D ' Annunzio ! - ogni nebulosità . Dovevano poter essere letti sul tranvai a cavalli di corso Umberto e annunciati dagli strilloni dei giornali all ' angolo di via delle Convertite . Il primo che doveva ridere delle favole di Trilussa , o approvarne l ' ironia , era il tipografo che ne componeva a mano il quadretto in carattere grassetto . Lo scopino che lo vedeva rincasare all ' alba doveva dire : « Trilussa ha ragione » e i vetturini , che , mentre davano la biada ai cavalli al largo del Tritone , lo vedevano spuntare di lontano con le sue gambe interminabili , dovevano dire : « Questo è il nostro poeta ... » . Egli doveva « farsi intendere al volo » , come certi comici di teatro : e per questo era giusto che Ojetti , romano come lui , - Trilussa era di Trastevere e Ojetti del Rione Colonna - collocasse certi colori del suo umorismo , nativamente popolare , vicino a quelli della tavolozza di Petrolini . Per molti anni Trilussa era andato al giornale con la poesia in tasca , così come un attore , alle otto , entra in camerino a truccarsi per presentarsi al pubblico . Una vita appartata , un poetare sommesso , una musa ermetica gli erano , per forza di cose , precluse . La sua poesia nasceva accanto alla linotype , mentre quella del Belli era gelosamente custodita in segretissimi cassetti . Per questo , dai sonetti giovanili Trilussa passò alla satira delle Favole , concise , immediate , sul cui foglio il redattore - capo scriveva a matita « corpo 12» e , mentre le passava in tipografia , sapeva che il fattorino se le sarebbe lette subito in corridoio . Pochi scrittori hanno avuto minori amicizie letterarie di Trilussa . A Roma vivevano - per far tre nomi di valore diametralmente opposto - Pirandello , Grazia Deledda e Zuccoli . Trilussa quasi non li conosceva . Perché il suo mondo , estremamente fatto di comunicativa , non aveva , in effetti , vasi comunicanti con altri mondi letterari . Credo che egli abbia praticamente ignorato i movimenti letterari di « Lacerba » , della « Voce » , della « Ronda » . Credo non abbia delirato nemmeno per D ' Annunzio . Nello studio Corrodi , i libri erano pochi : e molto più numerose , anche se ormai polverose , erano le fotografie delle belle donne . Trilussa aveva avuto forse , ai primi anni del secolo , la voglia di avere anche lui un po ' di Capponcina : ma s ' era fermato subito : il suo arredamento assomigliava più a quello della soffitta madrilena di Ramon Gomez de la Serna , racimolato dai rigattieri , che a quello del Vittoriale . Il sogno più ambizioso di Trilussa era stato di impiantare nello studio un teatro di burattini . Il suo salotto intellettuale era al tavolino di un ' osteria alla Chiesa Nuova . La sua franchezza nell ' accettare il suo ruolo poetico , anche se egli doveva sembrare per tanto tempo solamente l ' umorista di un mondo esclusivamente piccolo e medio - borghese , è stata il suo merito maggiore : quello che gli ha permesso di non esulare mai dalla sua misura e di non sforzare e falsare la sua voce . Egli seppe insomma qual era non solo il suo mondo ma anche la esatta tessitura della sua voce : e questa voce conservò fresca per quasi sessant ' anni .
Romolo Valli ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Il suo viso gentile , sereno non ha nulla delle intense « maschere » di taluni attori del passato come Novelli e come Gandusio - folte sopracciglia , nasi di notevole evidenza , guance e labbra pronte alla smorfia e alla grimace - e può sembrare addirittura quello anonimo di un giovane bancario o del vincitore di un concorso per la carriera diplomatica . Per accontentare il padre che lo voleva avvocato , è anche « il dott. Valli » . Non deve essere stato un ragazzo ribelle . Svolse regolari e buoni corsi di studio . Portava a casa ottime pagelle che il padre controfirmava con un manifesto segno di compiacenza . La madre amava il teatro di prosa , ma non avrebbe mai portato il figliolo a teatro se lo spettacolo non era approvato dal parroco . Fu per questo che lo scolaretto Valli non poté ascoltare Spettri nella interpretazione di Memo Benassi . Il parroco non credeva il dramma di Ibsen adatto ai minorenni . Concesse il suo permesso , all ' indomani , per Kean . Nella memoria teatrale di Valli , più di quel Kean , è rimasto il rito familiare dei « ciccioli » con cui veniva festeggiata Maria Melato , amica della madre , ad ogni suo ritorno nella natia Reggio Emilia . Un lento saporito masticar di « ciccioli » » fa da sottofondo alla evocazione delle prime suggestioni sceniche del piccolo Valli . La sua vocazione teatrale doveva manifestarsi assai più tardi . Fu una vocazione à rebours , per dirla con il titolo di un famoso romanzo di Huysmans . Fu un embrione nell ' infanzia : altre vocazioni la nascosero , e così forse , nel silenzio , la protessero , lasciando che il ragazzo sviluppasse in altre vie le sue esperienze . Valli frequentò più le librerie che non le platee teatrali . Più che romanzi , leggeva libri di saggisti e di memorialisti , prose di penne attente e molto vigilate , così come , più tardi , la sua arte di attore doveva essere guidata , sui binari dell ' istinto , con tanta attenzione e vigilanza , con un accorto accostamento dei colori comici e di quelli drammatici . Più che verso i fuochi della fantasia , in letteratura avrebbe voluto rivolgersi all ' acume della critica e dell ' introspezione . Datano negli anni attorno al '40 le sue prime letture di Proust ; Valli è rimasto un proustiano fedelissimo , ha sul suo autore preferito una mezza biblioteca e autografi conservati come reliquie . Al liceo la sua precoce tendenza di saggista si rivelò in certi scritti pubblicati in una rivistina studentesca , che ebbe un bel titolo : Temperamento . In modo del tutto inconsapevole questa rivistina faceva quella che ai Guf emiliani sembrò un po ' di fronda . Valli , avviato agli studi di legge , pensava che i suoi essais lo avrebbero portato verso il giornalismo , verso la cronaca di « colore » , il commento di costume e l ' elzevirismo . Intanto , quasi per gioco , era avvenuto il suo primo avvicinamento al Teatro . L ' adolescente stava per diventare un giovanotto . Gli si era formata una gradevole voce da tenore . Due compositori come Ferrari - Trecate e Italo Montemezzi lo avevano ascoltato : il primo avrebbe voluto che studiasse canto al Conservatorio di Parma . Valli era concittadino del soprano Celestina Boninsegna : sembrava che Reggio dovesse avere in lui un altro divo del bel canto . Ma la voce smarrì presto i suoi acuti , e lo studente di legge dovette rinunciare ad essere un giorno Radames o Nemorino . Il palcoscenico del teatro lirico perdette un tenore ; ma fin dagli anni del liceo i pubblici affettuosi e confidenziali di Reggio avevano notato , tra i filodrammatici di un piccolo gruppo studentesco , un attorino che aveva più di una chiara disposizione . L ' occasione si era presentata per la prima volta con una recita studentesca della Famiglia dell ' antiquario di Goldoni . Il preside del liceo , molto appassionato di teatro , aveva fatto le cose in grande ; aveva noleggiato a Milano scene del vecchio Rovescalli e costumi di Caramba . Gli studi di Valli , quell ' anno , tentennavano . Se passò a luglio alla maturità classica lo dovette , sembra , al vecchio preside , che , nel modo con cui il suo studentello recitava , aveva intuito una già ben precisata maturità intellettuale . Cosa lo portava al teatro ? Dal punto di vista tecnico , una facoltà istintiva dell ' osservazione e della imitazione , che ebbe più tardi una delle sue prove più singolari quando , al Piccolo Teatro di Milano , Valli recitò L ' imbecille di Pirandello truccandosi come Carducci ma recitando con l ' accento e con i gesti di Leo Longanesi . Dal punto di vista intellettuale , lo aiutò il suo temperamento di giovane critico che lo portava « al commento di un testo preesistente » . La sua arte doveva diventare così quella di un attore che , prima di tutto , vuole approfondire un testo , entrare nel personaggio , dare ad un dialogo un sentimento intellettualmente calibrato . Non si tratta della freddezza formulata dal « paradosso di Diderot » , ma della volontà di una giusta prospettiva critica : non abbandonarsi al personaggio ma vivere meditatamente con lui . Valli non sarà mai un « mattatore » . La laurea era stata presa . Erano gli anni tragici della guerra e di cento esami di coscienza in sede morale e politica . Il ragazzo credeva alla democrazia come ad una libera apertura della intelligenza . Gli anni della liberazione lo videro con in mano la penna del giornalista . Dottore in legge ? Sì , la laurea l ' aveva in un cassetto . Nascevano uno dopo l ' altro i nuovi giornali democratici di Reggio : Valli era socialista , ma scriveva soprattutto di letteratura . Passò dalla redazione di « Reggio Democratica » al « Progresso d ' Italia » , per approdare finalmente alla « poltrona » di critico teatrale del « Lavoro » di Reggio . Aveva fatto anche del « colore » , sedendo al tavolo dei cronisti giudiziari al processo della saponificatrice Cianciulli . È probabile che i cronisti dei grandi giornali , che stendevano resoconti di intere pagine , non si siano quasi accorti di avere accanto un giovane timido giornalista che li guardava , con molto rispetto . Sua mamma pensava già al giorno in cui lo avrebbe accompagnato a scegliere una stoffa per la toga di avvocato . Lo scatto che doveva mutare il corso del suo destino fu improvviso : difficilmente immaginabile in un giovanotto tanto « compito » da far pensare al « signore di buona famiglia » del disegnatore umorista Giuseppe Novello . Fu una sera , mentre il giovanissimo critico ascoltava una recita degli attori della compagnia del Carrozzone , diretta da Fantasio Piccoli . La compagnia viveva in una dignitosissima povertà , quasi nella miseria . Certe volte i suoi attori dovevano giustificare , attraverso complicate tesi registiche , il fatto di poter indossare solamente costumi di carta colorata . Valli si infiammò per il fervore di quei ragazzi , scelti con la loro fresca passione dai baratri della guerra . Andò in palcoscenico a salutarli . Lo accolsero come un critico ; ma compresero subito che il giornalista di Reggio Emilia era salito lassù per diventare attore . Rincasando alle due di notte - era l ' ultima sera di recite del Carrozzone - Valli entrò in camera di sua madre . « Ho da dirti una cosa , mamma ... » . « Cos ' è accaduto ? » . « Non allarmarti mamma . Dovresti prepararmi una valigia .,.» . « Parti per il giornale ? » . « No , mamma ... Parto domattina per fare l 'attore...» . Quando , in D ' amore si muore , Valli finge di parlare al telefono con la madre , arrivata a Roma per salutare il figlio « cinematografaro » , mi pare ch ' egli debba pensar di parlare veramente con sua mamma , come quando la signora Valli arrivava sulle tracce del figlio partito con il disperatissimo , scannatissimo Carrozzone . Cosa dissero a Reggio ? La considerarono una malattia . « Vedrà , signora Valli ... Passerà ... » . Valli mi sembra , fra gli attori nostri più giovani , da definirsi come « l ' attore che parla » . Parla - egli non ha potuto sentirlo - come parlava Alberto Giovannini , ai tempi della « compagnia dei giovani » guidata da Virgilio Talli . Parla con una acutezza di indagine che lo fa preciso in quella sua capacità assai rara di comporre il ritratto di un personaggio , escludendo ogni sottolineatura superflua . Fosse uno scrittore , si direbbe che la sua prosa è senza aggettivi : tutta sostantivi e cose , senza sbavature di effetti frondosi , senza soste o modulazioni compiaciute , in un ritmo che dà uno smalto alla realtà ma che non si fa soffocare dal minuzioso realismo . Una ragazza , che l ' ha visto e ascoltato nella parte del padre di Anna Frank , gli ha scritto : « Vorrei , signor Valli , avere un papà come lei » .