StampaQuotidiana ,
Il
suo
viso
gentile
,
sereno
non
ha
nulla
delle
intense
«
maschere
»
di
taluni
attori
del
passato
come
Novelli
e
come
Gandusio
-
folte
sopracciglia
,
nasi
di
notevole
evidenza
,
guance
e
labbra
pronte
alla
smorfia
e
alla
grimace
-
e
può
sembrare
addirittura
quello
anonimo
di
un
giovane
bancario
o
del
vincitore
di
un
concorso
per
la
carriera
diplomatica
.
Per
accontentare
il
padre
che
lo
voleva
avvocato
,
è
anche
«
il
dott.
Valli
»
.
Non
deve
essere
stato
un
ragazzo
ribelle
.
Svolse
regolari
e
buoni
corsi
di
studio
.
Portava
a
casa
ottime
pagelle
che
il
padre
controfirmava
con
un
manifesto
segno
di
compiacenza
.
La
madre
amava
il
teatro
di
prosa
,
ma
non
avrebbe
mai
portato
il
figliolo
a
teatro
se
lo
spettacolo
non
era
approvato
dal
parroco
.
Fu
per
questo
che
lo
scolaretto
Valli
non
poté
ascoltare
Spettri
nella
interpretazione
di
Memo
Benassi
.
Il
parroco
non
credeva
il
dramma
di
Ibsen
adatto
ai
minorenni
.
Concesse
il
suo
permesso
,
all
'
indomani
,
per
Kean
.
Nella
memoria
teatrale
di
Valli
,
più
di
quel
Kean
,
è
rimasto
il
rito
familiare
dei
«
ciccioli
»
con
cui
veniva
festeggiata
Maria
Melato
,
amica
della
madre
,
ad
ogni
suo
ritorno
nella
natia
Reggio
Emilia
.
Un
lento
saporito
masticar
di
«
ciccioli
»
»
fa
da
sottofondo
alla
evocazione
delle
prime
suggestioni
sceniche
del
piccolo
Valli
.
La
sua
vocazione
teatrale
doveva
manifestarsi
assai
più
tardi
.
Fu
una
vocazione
à
rebours
,
per
dirla
con
il
titolo
di
un
famoso
romanzo
di
Huysmans
.
Fu
un
embrione
nell
'
infanzia
:
altre
vocazioni
la
nascosero
,
e
così
forse
,
nel
silenzio
,
la
protessero
,
lasciando
che
il
ragazzo
sviluppasse
in
altre
vie
le
sue
esperienze
.
Valli
frequentò
più
le
librerie
che
non
le
platee
teatrali
.
Più
che
romanzi
,
leggeva
libri
di
saggisti
e
di
memorialisti
,
prose
di
penne
attente
e
molto
vigilate
,
così
come
,
più
tardi
,
la
sua
arte
di
attore
doveva
essere
guidata
,
sui
binari
dell
'
istinto
,
con
tanta
attenzione
e
vigilanza
,
con
un
accorto
accostamento
dei
colori
comici
e
di
quelli
drammatici
.
Più
che
verso
i
fuochi
della
fantasia
,
in
letteratura
avrebbe
voluto
rivolgersi
all
'
acume
della
critica
e
dell
'
introspezione
.
Datano
negli
anni
attorno
al
'40
le
sue
prime
letture
di
Proust
;
Valli
è
rimasto
un
proustiano
fedelissimo
,
ha
sul
suo
autore
preferito
una
mezza
biblioteca
e
autografi
conservati
come
reliquie
.
Al
liceo
la
sua
precoce
tendenza
di
saggista
si
rivelò
in
certi
scritti
pubblicati
in
una
rivistina
studentesca
,
che
ebbe
un
bel
titolo
:
Temperamento
.
In
modo
del
tutto
inconsapevole
questa
rivistina
faceva
quella
che
ai
Guf
emiliani
sembrò
un
po
'
di
fronda
.
Valli
,
avviato
agli
studi
di
legge
,
pensava
che
i
suoi
essais
lo
avrebbero
portato
verso
il
giornalismo
,
verso
la
cronaca
di
«
colore
»
,
il
commento
di
costume
e
l
'
elzevirismo
.
Intanto
,
quasi
per
gioco
,
era
avvenuto
il
suo
primo
avvicinamento
al
Teatro
.
L
'
adolescente
stava
per
diventare
un
giovanotto
.
Gli
si
era
formata
una
gradevole
voce
da
tenore
.
Due
compositori
come
Ferrari
-
Trecate
e
Italo
Montemezzi
lo
avevano
ascoltato
:
il
primo
avrebbe
voluto
che
studiasse
canto
al
Conservatorio
di
Parma
.
Valli
era
concittadino
del
soprano
Celestina
Boninsegna
:
sembrava
che
Reggio
dovesse
avere
in
lui
un
altro
divo
del
bel
canto
.
Ma
la
voce
smarrì
presto
i
suoi
acuti
,
e
lo
studente
di
legge
dovette
rinunciare
ad
essere
un
giorno
Radames
o
Nemorino
.
Il
palcoscenico
del
teatro
lirico
perdette
un
tenore
;
ma
fin
dagli
anni
del
liceo
i
pubblici
affettuosi
e
confidenziali
di
Reggio
avevano
notato
,
tra
i
filodrammatici
di
un
piccolo
gruppo
studentesco
,
un
attorino
che
aveva
più
di
una
chiara
disposizione
.
L
'
occasione
si
era
presentata
per
la
prima
volta
con
una
recita
studentesca
della
Famiglia
dell
'
antiquario
di
Goldoni
.
Il
preside
del
liceo
,
molto
appassionato
di
teatro
,
aveva
fatto
le
cose
in
grande
;
aveva
noleggiato
a
Milano
scene
del
vecchio
Rovescalli
e
costumi
di
Caramba
.
Gli
studi
di
Valli
,
quell
'
anno
,
tentennavano
.
Se
passò
a
luglio
alla
maturità
classica
lo
dovette
,
sembra
,
al
vecchio
preside
,
che
,
nel
modo
con
cui
il
suo
studentello
recitava
,
aveva
intuito
una
già
ben
precisata
maturità
intellettuale
.
Cosa
lo
portava
al
teatro
?
Dal
punto
di
vista
tecnico
,
una
facoltà
istintiva
dell
'
osservazione
e
della
imitazione
,
che
ebbe
più
tardi
una
delle
sue
prove
più
singolari
quando
,
al
Piccolo
Teatro
di
Milano
,
Valli
recitò
L
'
imbecille
di
Pirandello
truccandosi
come
Carducci
ma
recitando
con
l
'
accento
e
con
i
gesti
di
Leo
Longanesi
.
Dal
punto
di
vista
intellettuale
,
lo
aiutò
il
suo
temperamento
di
giovane
critico
che
lo
portava
«
al
commento
di
un
testo
preesistente
»
.
La
sua
arte
doveva
diventare
così
quella
di
un
attore
che
,
prima
di
tutto
,
vuole
approfondire
un
testo
,
entrare
nel
personaggio
,
dare
ad
un
dialogo
un
sentimento
intellettualmente
calibrato
.
Non
si
tratta
della
freddezza
formulata
dal
«
paradosso
di
Diderot
»
,
ma
della
volontà
di
una
giusta
prospettiva
critica
:
non
abbandonarsi
al
personaggio
ma
vivere
meditatamente
con
lui
.
Valli
non
sarà
mai
un
«
mattatore
»
.
La
laurea
era
stata
presa
.
Erano
gli
anni
tragici
della
guerra
e
di
cento
esami
di
coscienza
in
sede
morale
e
politica
.
Il
ragazzo
credeva
alla
democrazia
come
ad
una
libera
apertura
della
intelligenza
.
Gli
anni
della
liberazione
lo
videro
con
in
mano
la
penna
del
giornalista
.
Dottore
in
legge
?
Sì
,
la
laurea
l
'
aveva
in
un
cassetto
.
Nascevano
uno
dopo
l
'
altro
i
nuovi
giornali
democratici
di
Reggio
:
Valli
era
socialista
,
ma
scriveva
soprattutto
di
letteratura
.
Passò
dalla
redazione
di
«
Reggio
Democratica
»
al
«
Progresso
d
'
Italia
»
,
per
approdare
finalmente
alla
«
poltrona
»
di
critico
teatrale
del
«
Lavoro
»
di
Reggio
.
Aveva
fatto
anche
del
«
colore
»
,
sedendo
al
tavolo
dei
cronisti
giudiziari
al
processo
della
saponificatrice
Cianciulli
.
È
probabile
che
i
cronisti
dei
grandi
giornali
,
che
stendevano
resoconti
di
intere
pagine
,
non
si
siano
quasi
accorti
di
avere
accanto
un
giovane
timido
giornalista
che
li
guardava
,
con
molto
rispetto
.
Sua
mamma
pensava
già
al
giorno
in
cui
lo
avrebbe
accompagnato
a
scegliere
una
stoffa
per
la
toga
di
avvocato
.
Lo
scatto
che
doveva
mutare
il
corso
del
suo
destino
fu
improvviso
:
difficilmente
immaginabile
in
un
giovanotto
tanto
«
compito
»
da
far
pensare
al
«
signore
di
buona
famiglia
»
del
disegnatore
umorista
Giuseppe
Novello
.
Fu
una
sera
,
mentre
il
giovanissimo
critico
ascoltava
una
recita
degli
attori
della
compagnia
del
Carrozzone
,
diretta
da
Fantasio
Piccoli
.
La
compagnia
viveva
in
una
dignitosissima
povertà
,
quasi
nella
miseria
.
Certe
volte
i
suoi
attori
dovevano
giustificare
,
attraverso
complicate
tesi
registiche
,
il
fatto
di
poter
indossare
solamente
costumi
di
carta
colorata
.
Valli
si
infiammò
per
il
fervore
di
quei
ragazzi
,
scelti
con
la
loro
fresca
passione
dai
baratri
della
guerra
.
Andò
in
palcoscenico
a
salutarli
.
Lo
accolsero
come
un
critico
;
ma
compresero
subito
che
il
giornalista
di
Reggio
Emilia
era
salito
lassù
per
diventare
attore
.
Rincasando
alle
due
di
notte
-
era
l
'
ultima
sera
di
recite
del
Carrozzone
-
Valli
entrò
in
camera
di
sua
madre
.
«
Ho
da
dirti
una
cosa
,
mamma
...
»
.
«
Cos
'
è
accaduto
?
»
.
«
Non
allarmarti
mamma
.
Dovresti
prepararmi
una
valigia
.,.»
.
«
Parti
per
il
giornale
?
»
.
«
No
,
mamma
...
Parto
domattina
per
fare
l
'attore...»
.
Quando
,
in
D
'
amore
si
muore
,
Valli
finge
di
parlare
al
telefono
con
la
madre
,
arrivata
a
Roma
per
salutare
il
figlio
«
cinematografaro
»
,
mi
pare
ch
'
egli
debba
pensar
di
parlare
veramente
con
sua
mamma
,
come
quando
la
signora
Valli
arrivava
sulle
tracce
del
figlio
partito
con
il
disperatissimo
,
scannatissimo
Carrozzone
.
Cosa
dissero
a
Reggio
?
La
considerarono
una
malattia
.
«
Vedrà
,
signora
Valli
...
Passerà
...
»
.
Valli
mi
sembra
,
fra
gli
attori
nostri
più
giovani
,
da
definirsi
come
«
l
'
attore
che
parla
»
.
Parla
-
egli
non
ha
potuto
sentirlo
-
come
parlava
Alberto
Giovannini
,
ai
tempi
della
«
compagnia
dei
giovani
»
guidata
da
Virgilio
Talli
.
Parla
con
una
acutezza
di
indagine
che
lo
fa
preciso
in
quella
sua
capacità
assai
rara
di
comporre
il
ritratto
di
un
personaggio
,
escludendo
ogni
sottolineatura
superflua
.
Fosse
uno
scrittore
,
si
direbbe
che
la
sua
prosa
è
senza
aggettivi
:
tutta
sostantivi
e
cose
,
senza
sbavature
di
effetti
frondosi
,
senza
soste
o
modulazioni
compiaciute
,
in
un
ritmo
che
dà
uno
smalto
alla
realtà
ma
che
non
si
fa
soffocare
dal
minuzioso
realismo
.
Una
ragazza
,
che
l
'
ha
visto
e
ascoltato
nella
parte
del
padre
di
Anna
Frank
,
gli
ha
scritto
:
«
Vorrei
,
signor
Valli
,
avere
un
papà
come
lei
»
.
StampaQuotidiana ,
Nelle
Stanze
del
Vaticano
esiste
,
come
tutti
sanno
,
un
affresco
di
Raffaello
che
si
intitola
La
Scuola
di
Atene
.
Sotto
le
volte
di
un
tempio
bramantesco
si
incontrano
gli
«
eroi
del
sapere
»
,
chi
sostando
contro
un
pilastro
,
chi
standosene
appartato
come
in
meditazione
,
chi
mostrando
al
compagno
una
figura
di
geometria
disegnata
su
una
lavagna
,
chi
,
come
Tolomeo
,
reggendo
fra
le
mani
la
sfera
terrestre
,
chi
avanzando
con
libri
e
con
rotoli
,
chi
,
come
Pitagora
,
scrivendo
le
sue
tavole
,
chi
,
seminudo
e
sdegnoso
-
Diogene
-
sdraiato
sui
gradini
.
Avanzano
dal
fondo
-
che
si
illumina
alle
loro
spalle
nei
chiarori
spioventi
dalle
cupole
-
Platone
e
Aristotele
,
il
primo
,
come
filosofo
della
speculazione
metafisica
,
reggendo
con
una
mano
il
libro
del
Timeo
,
e
con
l
'
altra
accennando
al
cielo
;
il
secondo
accennando
con
la
destra
alla
terra
,
aperta
all
'
Esperimento
e
alla
Fisica
.
Da
Socrate
a
Empedocle
,
da
Senofonte
ad
Eschine
,
da
Archimede
a
Zoroastro
-
e
,
per
dare
un
volto
a
Platone
,
Raffaello
pensò
a
Leonardo
-
tutti
gli
«
eroi
del
sapere
»
sono
qui
raccolti
,
avvolti
nelle
toghe
che
lasciano
ignude
le
braccia
,
e
monumentalmente
avanzano
o
si
consultano
,
con
una
maestà
di
gesto
che
corrisponde
alla
maestà
del
pensiero
.
Questa
era
la
visione
che
il
Cinquecento
poteva
suggerire
,
di
quella
che
si
potrebbe
chiamare
la
umana
parvenza
del
Genio
,
ad
un
genio
come
fu
Raffaello
;
e
,
nel
trascorrere
dei
secoli
,
l
'
uomo
non
ha
avuto
modo
di
superare
mai
i
canoni
poetici
di
questa
visione
che
,
fatta
pittura
,
reca
il
ricordo
esaltante
del
sapere
ellenico
nella
casa
stessa
della
Cristianità
,
facendo
delle
figure
degli
assorti
filosofi
e
dei
meditanti
matematici
,
avvolte
nei
loro
pensieri
come
nel
panneggio
dei
loro
manti
e
delle
loro
toghe
,
immagini
simili
a
quelle
che
la
pittura
e
la
scultura
dovevano
donare
agli
apostoli
,
agli
eremiti
e
ai
santi
nelle
cupole
delle
chiese
e
sui
colonnati
e
nelle
nicchie
dei
templi
.
Idea
di
Sapienza
e
idea
di
Santità
,
sia
che
sorgessero
dalle
lontananze
del
mondo
biblico
o
da
quelle
del
mondo
dell
'
Ellade
o
da
quelle
,
con
figure
sempre
più
vicine
ed
operanti
,
del
mondo
cristiano
,
si
compendiavano
,
nel
riflesso
dell
'
Umanesimo
,
in
questi
simboli
figurativi
alti
e
solenni
,
in
una
sinfonica
maestà
di
gesti
,
nell
'
aura
e
nel
soffio
misterioso
dei
luoghi
dove
la
vita
è
ormai
storia
.
Bernard
Shaw
disse
:
«
Otto
uomini
possono
essere
indicati
come
i
facitori
di
mondi
»
.
E
ne
indicò
i
nomi
:
Pitagora
,
Aristotele
,
Tolomeo
,
Copernico
,
Galileo
,
Keplero
,
Newton
ed
Einstein
.
Tre
di
queste
figure
sono
comprese
nel
«
compendio
»
e
nel
«
trionfo
»
dell
'
allegoria
raffaellesca
.
Il
mondo
ha
continuato
,
dopo
il
Cinquecento
,
il
suo
cammino
,
mentre
la
forma
pittorica
e
poetica
della
allegoria
non
ha
trovato
nuove
vie
al
proprio
solenne
cammino
.
I
Fasti
e
i
Trionfi
appartengono
ad
un
clima
di
venerazioni
e
di
entusiasmi
che
non
trova
più
né
rime
né
colori
adatti
.
Alla
«
emozione
»
che
ancora
operava
e
che
trova
la
sua
formula
conclusiva
nell
'
affresco
della
Scuola
di
Atene
,
è
andato
seguendo
lentamente
il
suggerimento
accademico
,
sino
all
'
algida
venustà
del
disegno
di
Ingres
per
il
suo
Trionfo
di
Omero
.
È
dunque
ben
difficile
per
noi
fare
,
degli
uomini
,
statue
,
e
,
del
loro
pensiero
e
del
loro
poetare
o
filosofico
speculare
e
matematico
calcolare
,
immagine
«
eroica
»
.
Tuniche
,
toghe
,
elamídi
sono
vestimenta
di
un
accademismo
fra
le
cui
immagini
non
riusciamo
più
ad
inserire
né
Goethe
né
Pasteur
,
né
Leopardi
né
Beethoven
.
Lo
stesso
concetto
di
luce
olimpica
-
quella
luce
che
indirettamente
scende
dalle
cupole
bramantesche
della
Scuola
di
Atene
,
o
che
,
attorno
alla
fonte
di
Ippocrene
,
nel
raffaellesco
Parnaso
,
illumina
le
figure
dei
grandi
eroi
della
Poesia
,
da
Omero
a
Virgilio
,
da
Saffo
a
Petrarca
,
da
Pindaro
a
Catullo
-
tramonta
o
impallidisce
con
i
secoli
che
portano
a
noi
.
Per
questo
le
figure
dei
nuovi
Eroi
,
ai
quali
talvolta
può
accadere
che
noi
stessi
si
sia
stati
vicini
,
non
però
avvolte
nel
manto
della
Storia
,
ma
segnate
dal
rigore
addirittura
minuzioso
del
Documento
e
della
Cronaca
,
ben
difficilmente
,
e
forse
solamente
per
un
esercizio
di
scolastico
accademismo
,
si
potrebbero
far
campeggiare
,
o
adunarle
,
fra
i
pilastri
e
le
navate
di
un
immaginario
luogo
di
incontri
come
,
disceso
da
Urbino
fra
le
vestigia
di
Roma
,
fra
i
suoi
archi
e
fra
le
sue
cupole
,
fra
i
suoi
Pantheon
e
i
suoi
Colossei
era
stato
possibile
a
Raffaello
per
le
grandi
«
fantasime
»
che
fanno
monumentale
corteggio
a
Platone
.
Dove
collocheremo
,
fra
Archimede
ed
Aristotele
,
fra
Socrate
e
Tolomeo
,
questo
Alberto
Einstein
,
traendolo
dalle
solitudini
del
suo
piccolo
studio
di
professore
in
una
Università
svizzera
,
o
dalla
piccola
casa
americana
di
una
città
che
ha
,
come
se
il
fato
l
'
avesse
scelto
,
íl
nome
dell
'
isola
di
Itaca
da
cui
salpò
Ulisse
,
il
solo
degli
eroi
omerici
che
per
primo
obbedisse
all
'
ansia
della
«
conoscenza
»
,
sino
a
sfidare
,
come
Dante
disse
,
il
«
folle
volo
»
oltre
ai
termini
segnati
dalle
Colonne
di
Ercole
?
Dove
collocheremmo
-
ci
chiediamo
mentre
la
sua
spoglia
è
ormai
immota
,
e
solo
,
invisibile
,
è
il
suo
spirito
nell
'
Inconoscibile
-
questo
Alberto
Einstein
,
con
la
lavagna
che
gli
fu
sempre
cara
come
al
tempo
del
suo
primo
insegnamento
,
con
i
suoi
quadernetti
di
appunti
,
con
le
paginette
delle
sue
vertiginose
equazioni
?
Tra
figure
che
l
'
ultimo
soffio
epico
della
pittura
coronava
di
misteriosa
maestà
,
della
più
alta
maestà
che
sta
sui
troni
del
Sapere
,
ecco
,
per
noi
,
immenso
e
persino
misterioso
eroe
del
nostro
Sapere
ma
anche
dolente
protagonista
di
una
nostra
amara
Storia
,
questo
timido
,
assorto
,
silenzioso
vecchio
studioso
,
che
,
a
distanza
di
secoli
,
aveva
continuato
la
lezione
di
Keplero
e
di
Newton
.
Il
Documento
ci
insegue
nella
sua
rievocazione
:
non
consente
se
non
con
difficoltà
di
astrarre
la
sua
immagine
nell
'
attimo
sublime
in
cui
giunge
alla
meta
la
sua
speculazione
.
Davanti
alla
nostra
ricerca
di
un
'
astrazione
platonica
egli
ci
appare
nella
sua
estrema
semplicità
di
vecchio
professore
dai
lunghi
capelli
bianchi
-
í
capelli
bianchi
degli
antichi
maghi
,
degli
astronomi
della
favola
-
che
trova
il
suo
solo
riposo
nella
musica
,
che
ama
suonare
il
violino
quando
si
adunano
i
suoi
discepoli
ad
onorarlo
,
e
che
,
quando
deve
viaggiare
,
si
presenta
con
il
suo
nero
vecchio
abito
quasi
ancora
da
antico
Doktor
germanico
,
sotto
al
quale
indossa
un
maglione
rammendato
,
con
una
borsa
nella
destra
,
per
i
suoi
scartafacci
,
e
,
nella
sinistra
,
retto
per
la
maniglietta
di
ottone
,
l
'
astuccio
del
vecchio
violino
.
Così
appariva
l
'
uomo
che
forse
,
ragazzo
tardivo
e
molte
volte
zimbello
dei
suoi
compagni
di
classe
,
si
era
trovato
probabilmente
a
nascere
là
dove
si
incontrano
Filosofia
,
Matematica
e
Poesia
,
e
dove
,
da
Tolomeo
a
Copernico
,
da
Keplero
a
Newton
,
e
finalmente
ad
Einstein
,
l
'
umanità
manda
,
a
distanza
di
secoli
,
piccoli
uomini
ad
affacciarsi
,
per
tutti
noi
,
agli
abissi
sui
quali
viaggia
la
Terra
,
ardono
i
Soli
,
cammina
la
Luce
,
muove
le
sue
forze
misteriose
il
Magnetismo
universale
,
e
tutto
modella
,
trasforma
,
distrugge
e
crea
quell
'
elemento
,
quella
quarta
dimensione
che
Einstein
indicò
essere
il
Tempo
.
La
storia
di
questo
genio
è
la
storia
di
un
antico
professore
che
,
giovane
,
dava
di
casa
in
casa
ripetizioni
private
ai
ragazzi
«
deboli
»
in
matematica
,
«
deboli
»
in
fisica
.
Additato
un
giorno
come
il
prototipo
perfetto
del
genio
germanico
,
doveva
vedere
più
tardi
bruciare
i
suoi
libri
nelle
piazze
tedesche
come
il
prototipo
della
cultura
ebraica
:
bruciato
nelle
sue
opere
,
egli
probabilmente
non
sarebbe
sfuggito
alla
morte
se
non
avesse
cercato
rifugio
in
America
.
La
sua
gloria
non
si
era
trasformata
in
ricchezza
;
le
sue
equazioni
che
avevano
lo
scatto
poetico
di
quelli
che
furono
chiamati
dagli
antichi
i
voli
pindarici
non
lo
avevano
portato
che
ad
un
premio
Nobel
e
ad
una
cattedra
universitaria
.
Uno
dei
libri
più
famosi
del
mondo
,
quello
sulla
teoria
della
relatività
,
fra
il
1923
e
il
1953
aveva
visto
vendere
in
America
esattamente
20.002
esemplari
,
e
gli
aveva
«
reso
»
come
diritti
d
'
autore
meno
di
240
dollari
all
'
anno
.
Ma
come
poteva
far
calcolo
sui
beni
terreni
della
ricchezza
quest
'
uomo
che
varcava
gli
abissi
sui
ponti
della
Filosofia
,
della
Matematica
,
della
Poesia
,
questo
mago
i
cui
calcoli
si
diceva
fossero
capiti
,
in
parte
,
da
dodici
soli
uomini
al
mondo
e
,
quasi
interamente
,
solamente
da
cinque
?
Keplero
,
per
quanto
fosse
stato
uno
dei
maggiori
matematici
del
suo
tempo
,
non
era
stato
in
grado
di
portare
le
prove
matematiche
delle
sue
intuizioni
sulla
teoria
della
gravitazione
.
Dovevano
passare
cento
anni
perché
Newton
riuscisse
in
ciò
che
era
stato
impossibile
a
Keplero
ma
per
poter
farlo
-
lo
ricordò
lo
stesso
Einstein
-
dovette
inventare
il
calcolo
infinitesimale
.
È
stato
detto
che
,
nella
vecchiaia
,
davanti
alla
necessità
di
dare
la
prova
matematica
dello
sviluppo
delle
sue
teorie
,
Einstein
si
trovava
nelle
condizioni
dell
'
artigiano
che
,
per
prima
cosa
,
per
fare
realtà
e
oggetto
di
ciò
che
il
suo
spirito
gli
suggerisce
,
deve
inventare
e
costruire
i
propri
nuovi
strumenti
di
lavoro
.
Così
,
si
disse
,
il
vecchio
Einstein
-
l
'
uomo
che
infilava
le
scarpe
senza
calze
,
e
che
,
interrogato
con
quali
armi
sarebbe
stata
combattuta
la
terza
guerra
mondiale
,
aveva
risposto
:
«
Non
lo
so
.
So
però
che
la
quarta
guerra
mondiale
sarà
combattuta
a
sassate
...
»
-
avrebbe
dovuto
modellare
ancora
lo
strumento
matematico
che
gli
mancava
.
Era
possibile
questo
,
ora
che
il
tempo
e
l
'
età
erano
alleati
contro
di
lui
?
La
matematica
,
si
disse
,
è
un
privilegio
della
giovinezza
:
dell
'
adolescenza
di
Pascal
,
dei
ventitré
anni
di
Newton
quando
formulò
il
suo
teorema
,
e
dei
ventisei
anni
che
lo
stesso
Einstein
toccava
appena
quando
,
piccolo
impiegato
nell
'
ufficio
svizzero
dei
Brevetti
,
pubblicò
i
quattro
fogli
di
calcoli
che
dovevano
rivoluzionare
negli
uomini
tutti
i
concetti
di
spazio
e
di
tempo
.
Probabilmente
,
come
taluni
della
sua
razza
,
a
suo
modo
anche
Einstein
fu
un
profeta
,
e
le
sue
teorie
,
al
pari
di
quelle
di
Keplero
e
di
Newton
che
lo
hanno
preceduto
nella
prodigiosa
esplorazione
del
mistero
del
creato
,
troveranno
la
loro
totale
conferma
nei
secoli
avvenire
.
Così
accade
,
del
resto
,
per
le
altre
esplorazioni
abissali
che
compiono
la
Filosofia
e
la
Poesia
;
così
attendono
i
millenni
e
li
superano
e
li
illuminano
Socrate
,
Platone
,
Omero
e
Dante
.
Profeta
e
poeta
,
l
'
uomo
che
a
sedici
anni
disse
:
«
Vorrei
imprigionare
un
raggio
di
luce
per
vedere
cosa
succede
...
»
.
Questo
pensiero
,
se
lo
confrontiamo
con
gli
annali
della
sua
biografia
,
dovette
averlo
,
giovinetto
,
a
Milano
,
fra
via
Santa
Radegonda
dove
il
padre
aveva
una
botteguccia
di
articoli
elettrici
,
e
via
Bigli
dove
abitava
.
E
,
che
il
pensiero
di
indagare
sul
mistero
della
luce
e
del
suo
«
cammino
»
abbia
avuto
la
sua
origine
in
una
giornata
italiana
e
lombarda
,
in
questa
città
dove
suo
padre
morì
e
fu
sepolto
,
ci
dà
,
nell
'
ora
in
cui
egli
entra
nella
grande
Ombra
che
forse
è
solamente
l
'
infinita
Luce
,
un
senso
di
riconoscenza
ai
fati
di
questa
nostra
terra
,
che
al
ragazzo
israelita
tedesco
parlò
in
una
giornata
di
sole
così
come
aveva
parlato
al
giovane
viaggiatore
Goethe
.
StampaQuotidiana ,
Quando
seguivo
il
Giro
di
Francia
nell
'
automobile
di
Emilio
Colombo
-
si
tratta
di
una
ventina
di
anni
or
sono
-
,
nella
raffica
della
corsa
,
con
le
pupille
fisse
,
«
incollato
»
alle
gomme
dei
corridori
,
il
mio
buon
amico
Emilio
non
aveva
occhio
per
nemmeno
un
metro
del
paesaggio
o
delle
cose
che
sfilavano
ad
andatura
furiosa
ai
lati
della
strada
in
senso
inverso
a
quello
della
gara
.
Lui
sedeva
nel
sedile
anteriore
,
a
fianco
dell
'
autista
:
io
in
quello
posteriore
,
incastrato
fra
le
valigie
.
Per
varie
ore
il
mio
«
seguendo
»
non
si
riduceva
ad
altro
che
ad
una
fatica
indemoniata
per
non
essere
sbalzato
fuori
dalla
macchina
galoppante
,
e
per
non
lasciar
schizzar
fuori
le
valigie
.
Ad
un
certo
punto
gli
toccavo
la
spalla
,
lui
si
voltava
pensando
:
"
Vergavi
ne
avrà
una
delle
sue
...
"
;
lo
svegliavo
dal
grande
sogno
sportivo
in
cui
viveva
giorno
e
notte
da
quando
era
nato
;
ma
gentilmente
cercava
di
dimostrarmi
di
essere
pronto
a
interessarsi
a
quanto
stavo
per
dirgli
.
Nel
rombo
della
corsa
e
nel
tunnel
di
clamori
della
Folla
,
gli
gridavo
nell
'
orecchio
:
«
Emilio
!
Hai
visto
,
a
destra
,
la
Cattedrale
di
Reims
?
»
.
Oppure
:
«
Emilio
!
Hai
visto
,
a
sinistra
,
l
'
Arena
romana
di
Nîmes
?
»
.
Uomo
leale
,
mi
confessava
candidamente
di
non
essersi
accorto
né
della
Cattedrale
né
dell
'
Arena
.
Cosa
c
'
entra
Emilio
Colombo
con
Sofia
Scicolone
,
e
cioè
con
Sofia
Loren
,
con
la
diciottenne
ragazza
napoletana
cui
va
,
con
un
certo
furore
,
il
mio
ricordo
di
«
giudice
di
bellezza
»
in
una
lontana
stagione
di
Salsomaggiore
?
Colombo
,
l
'
amico
dei
«
giganti
della
strada
»
,
non
c
'
era
,
a
Salsomaggiore
;
ma
c
'
ero
io
,
considerato
espertissimo
di
ogni
cosa
bella
che
possiamo
incontrare
per
le
vie
del
mondo
,
sia
essa
una
cattedrale
gotica
o
una
bella
ragazza
.
C
'
ero
io
perché
,
come
Emilio
Colombo
non
si
accorgeva
di
passare
davanti
a
Notre
-
Dame
o
davanti
al
Campanile
di
Pisa
,
non
mi
accorsi
di
Sofia
Scicolone
.
Richiamato
a
fare
un
po
'
di
attenzione
dal
telegramma
di
un
vecchio
amico
,
alzai
gli
occhi
verso
di
lei
,
le
parlai
,
la
misurai
e
la
scrutai
attentamente
con
lo
sguardo
,
la
fissai
negli
occhi
,
vidi
-
bisogna
dirlo
?
-
le
sue
gambe
,
guardai
la
sua
bocca
,
chiacchierai
una
mezz
'
ora
con
lei
,
seduto
su
uno
sgabello
del
bar
del
grande
Albergo
,
conclusi
l
'
incontro
con
questa
melanconica
e
frettolosa
considerazione
:
«
Ecco
un
'
altra
povera
ragazza
che
si
illude
...
»
.
Povero
Paride
,
fu
la
cantonata
più
grossa
della
tua
carriera
.
Per
fortuna
,
non
ero
il
solo
a
dir
di
no
,
sotto
il
velo
del
giudizio
segreto
,
sulla
futura
Sofia
Loren
.
Disse
di
no
anche
un
altro
mio
amico
,
un
super
-
esperto
in
fatto
di
«
selezione
»
di
belle
donne
:
quasi
quasi
,
come
dicono
alla
TV
,
un
«
tecnico
»
,
e
altri
dissero
di
no
,
finché
il
produttore
cinematografico
Mambretti
,
un
milanese
,
propose
una
soluzione
,
per
non
mandar
via
troppo
amareggiata
la
ragazza
napoletana
.
Coniò
un
titolo
di
«
Miss
Eleganza
»
e
propose
di
assegnarlo
-
quarta
in
graduatoria
-
alla
dolente
e
forse
segretamente
irritata
«
piccola
Sofia
»
.
La
signorina
Scicolone
ebbe
-
mi
sembra
-
in
dono
un
abito
da
sera
bianco
,
e
con
quello
subito
sfilò
quarta
sulla
passerella
di
Salsomaggiore
.
Se
a
qualcuno
capitano
sott
'
occhio
le
fotografie
di
quei
giorni
,
«
esumate
»
da
Dino
Villani
nel
suo
libro
sulla
storia
delle
Miss
Italia
edito
dalla
Domus
,
osserverà
che
Sofia
non
sorride
mai
:
che
ha
un
'
espressione
assente
,
e
in
qualche
fotografia
dura
e
contratta
.
Insomma
,
come
dicono
a
Milano
,
aveva
un
gran
«
magone
»
.
Ed
oggi
-
mi
ha
detto
un
amico
-
chi
disse
«
no
»
Si
trova
nella
situazione
in
cui
si
trovarono
i
maestri
al
Conservatorio
di
Milano
quando
,
con
in
testa
il
maestro
Rolla
,
dissero
«
no
»
a
Verdi
che
chiedeva
di
essere
ammesso
al
Conservatorio
,
e
,
a
titolo
di
consolazione
,
gli
consigliarono
di
studiare
ancora
:
privatamente
indicandogli
bonariamente
i
due
insegnanti
,
il
Negri
e
il
Lavigna
.
Una
mezza
offerta
di
tipo
«
verdiano
»
,
e
cioè
di
andare
a
scuola
,
di
studiare
da
«
privatista
»
,
fu
per
la
verità
data
anche
alla
signorina
Scicolone
,
tanto
per
darle
,
prima
ancora
che
fosse
assegnato
il
giudizio
finale
,
un
«
contentino
»
.
Ma
fu
un
suggerimento
dato
a
mezza
voce
,
quasi
perché
si
temeva
che
,
«
odorando
la
bocciatura
»
,
la
bella
ragazza
cominciasse
a
lagrimare
.
Ma
la
futura
Sofia
Loren
non
pianse
:
divenne
altera
,
sicura
di
sé
,
e
-
lo
dico
arrossendo
-
quasi
sprezzante
.
Si
capiva
che
si
tratteneva
solo
per
rispetto
dei
capelli
grigi
dei
due
giudici
che
le
stavano
di
fronte
,
dei
quali
è
più
che
legittimo
immaginare
che
essa
,
da
brava
napoletana
,
li
giudicasse
due
«
fessi
»
.
[
fatti
le
hanno
dato
ragione
.
Né
io
né
il
grande
«
tecnico
»
che
condivideva
la
mia
opinione
ci
rendemmo
conto
di
aver
davanti
una
ragazza
capace
,
diventando
donna
,
di
incantare
il
mondo
.
Sofia
Scicolone
finì
il
suo
bitter
,
e
rimase
,
su
di
noi
,
nella
sua
precisa
impressione
:
«
due
fessi
»
.
Ci
salutò
con
un
sorriso
smagliante
,
in
cui
palpitava
più
che
una
mondana
cordialità
,
una
specie
di
sfida
.
Io
e
il
«
tecnico
»
sorridemmo
:
e
poi
finimmo
,
fra
di
noi
,
a
sghignazzare
.
Credo
che
l
'
ascensore
del
Grand
Hotel
tremi
ancora
per
il
nostro
ridere
convulso
,
per
il
nostro
ridere
spietato
.
Paride
I
e
Paride
II
dormirono
quella
notte
come
le
altre
notti
in
un
sonno
tranquillissimo
.
Il
nostro
giudizio
non
era
stato
incrinato
dal
minimo
dubbio
.
Il
«
tecnico
»
era
-
bisogna
dirlo
-
Remigio
Paone
,
che
pilotava
non
so
quanti
spettacoli
di
prosa
,
di
rivista
,
di
danza
;
che
partiva
ogni
settimana
per
Parigi
o
per
Londra
per
scegliere
,
con
occhio
infallibile
,
la
bellissima
fra
le
belle
;
che
era
allora
,
in
un
certo
senso
,
il
Re
delle
Bluebell
e
che
veniva
ricevuto
con
profondissimi
inchini
,
fra
spari
di
champagne
,
quando
si
presentava
al
teatro
del
Lido
di
Parigi
per
passare
in
rivista
le
«
ragazze
»
da
arruolare
per
gli
spettacoli
del
Nuovo
,
del
Lirico
,
del
Sistina
.
Era
il
caro
nostro
Remigio
,
fanatico
del
teatro
e
della
bellezza
che
è
uno
dei
suoi
pilastri
.
Credo
che
,
a
sette
anni
di
distanza
,
Remigio
non
abbia
finito
di
mordersi
le
mani
per
quella
«
topica
»
e
che
ormai
,
a
furia
di
morsi
,
le
abbia
scarnificate
e
sanguinanti
fino
all
'
osso
.
Topica
aggravata
dal
fatto
di
dover
ripensare
che
,
lui
napoletano
,
aveva
detto
di
no
ad
una
compaesana
.
Salsomaggiore
di
settembre
non
era
forse
la
località
più
adatta
per
accogliere
le
aspiranti
reginette
.
È
una
città
alberghiera
di
carattere
piuttosto
solenne
:
tutto
parla
di
cure
importantissime
e
miracolose
,
di
medici
illustri
,
di
inalazioni
,
di
irrigazioni
e
di
fanghi
che
restituiscono
la
giovinezza
.
La
«
clinica
»
è
elegantemente
mascherata
,
nessuno
parla
con
brutalità
di
ginecologia
o
di
affezioni
bronchiali
croniche
o
di
laringi
ostinatamente
arrossate
:
ma
l
'
aria
della
clinica
c
'
è
:
è
molto
difficile
«
curarsi
in
letizia
»
senza
vedersi
attorno
,
ogni
tanto
,
un
viso
imbronciato
.
Quando
passeggiavano
per
i
viali
di
Salsomaggiore
,
le
bellissime
scattanti
e
fulgide
diciottenni
erano
guardate
con
una
punta
di
gelosia
dalle
cinquantenni
sedute
ai
tavolini
delle
gelaterie
,
o
dagli
squadroni
delle
anziane
che
marciavano
verso
le
Terme
Berzieri
con
il
fogliettino
delle
mutue
.
Gli
svaghi
che
rimanessero
al
di
fuori
dalla
cornice
termale
o
curativa
erano
pochi
.
Il
tiro
al
piccione
-
a
meno
che
non
si
tratti
del
piccione
matrimoniale
-
non
ha
interesse
per
delle
ragazze
di
diciotto
anni
.
Pochissime
furono
quelle
che
visitarono
le
sale
dove
era
esposta
la
famosa
collezione
storica
del
professor
Lombardi
,
con
i
ritratti
di
Maria
Luisa
moglie
di
Napoleone
:
che
fu
forse
una
bella
donna
di
fattezze
austere
,
ma
che
,
in
fatto
di
concorso
di
bellezza
,
avrebbe
dovuto
essere
sostituita
,
se
mai
,
dalla
Paolina
di
Antonio
Canova
,
davanti
alla
quale
,
probabilmente
,
la
maggioranza
delle
miss
si
sarebbe
sentita
invasa
dalla
tremarella
.
Lo
scopritore
di
Sofia
Loren
-
quello
che
aveva
mandato
il
telegramma
di
segnalazione
e
di
raccomandazione
ai
due
amici
di
cui
sapeva
la
presenza
in
giuria
-
fu
un
uomo
che
ormai
da
molti
anni
si
vantava
solamente
di
essere
un
ottimo
pescatore
dilettante
.
Aveva
un
bellissimo
nome
,
discendeva
da
una
intelligentissima
famiglia
milanese
:
era
un
Ricordi
,
discendente
cioè
da
una
famiglia
di
scopritori
di
geni
musicali
.
Aveva
molto
viaggiato
,
aveva
condotto
una
vita
molto
elegante
.
È
probabile
che
Sofia
Loren
si
rammenti
appena
del
gentile
vecchio
signore
Alfredo
Ricordi
che
,
galantemente
e
paternamente
,
la
raccomandò
agli
amici
milanesi
Vergani
e
Paone
.
Chieda
,
Sofia
,
e
probabilmente
le
verrà
spiegato
che
fu
un
Ricordi
l
'
uomo
che
per
il
primo
fece
credito
a
Verdi
.
Alfredo
Ricordi
,
rimasto
vedovo
,
aveva
trovato
la
sola
consolazione
al
suo
dolore
nella
vita
di
mare
e
nella
pesca
;
vestiva
con
un
paio
di
pantaloni
da
marinaio
e
con
una
maglietta
da
ostricaro
.
A
Portofino
o
a
Cannes
non
parlava
d
'
altro
che
di
cefali
,
di
branzini
,
di
ombrine
,
di
pesci
-
cappone
,
di
sardine
,
di
triglie
,
di
polipi
e
di
murene
.
Era
,
bisogna
dirlo
,
un
caro
attaccabottoni
per
via
di
quella
sua
esclusiva
frenesia
per
la
pesca
.
Cercava
inutilmente
compagni
che
sfidassero
con
lui
le
notti
di
burrasca
o
che
lo
aiutassero
a
tirar
su
la
«
sciabica
»
.
Non
mangiava
il
suo
pesce
:
lo
regalava
alle
belle
signore
un
po
'
anziane
che
gli
ricordavano
il
suo
passato
di
viveur
.
Seduto
nella
spiaggetta
di
Paraggi
ad
accomodare
le
sue
reti
,
se
vedeva
passare
una
bella
ragazza
diceva
:
«
Guarda
che
bella
tinca
!
Che
appetitoso
merluzzetto
!
È
fragrante
come
una
sogliola
!
»
.
Sofia
Loren
-
me
lo
sono
chiesto
sempre
-
si
ricorderà
del
caro
vecchio
un
po
'
picchiatello
che
spedì
da
Alassio
-
dove
,
non
potendo
più
affrontare
il
mare
per
l
'
artrite
,
viveva
in
un
appartamentino
con
le
finestre
aperte
a
tutti
i
venti
del
Tirreno
-
il
telegramma
che
ci
raccomandava
la
sua
«
scoperta
»
?
Noi
leggemmo
quel
nome
:
Scicolone
.
E
pensammo
:
"
Quel
caro
matto
di
Alfredo
Ricordi
dove
avrà
pescato
una
ragazza
con
un
nome
così
strano
?
"
.
Le
ragazze
erano
già
sfilate
un
paio
di
volte
davanti
a
noi
.
Né
Paone
né
io
ci
ricordavamo
di
una
Scicolone
.
Con
il
vecchio
Ricordi
bisognava
però
essere
gentili
.
Non
buttammo
il
telegramma
nel
cestino
;
mi
spiace
non
averlo
conservato
:
nel
cestino
di
Salsomaggiore
finì
la
sera
dell
'
ultimo
esame
,
prima
che
prendessimo
la
macchina
per
Milano
.
Avevamo
cercato
questa
Sofia
,
questa
Scicolone
,
nel
gregge
delle
ragazze
che
,
aspettando
i
turni
di
chiamata
,
prendevano
al
bar
una
tazza
di
caffè
o
una
pastiglia
di
aspirina
.
Il
settembre
era
torrido
,
le
finestre
chiuse
per
tener
lontani
i
curiosi
;
le
ragazze
stavano
tutto
il
giorno
in
costume
da
bagno
,
o
coperte
da
un
accappatoio
,
a
parlare
con
le
madri
o
con
le
amiche
;
portavano
al
lato
sinistro
del
costume
da
bagno
un
distintivo
con
il
numero
di
iscrizione
.
Questo
numero
permise
a
me
e
a
Paone
di
riconoscere
la
raccomandata
di
Alfredo
Ricordi
,
vecchio
pescatore
malato
di
artrite
.
Sofia
si
era
accorta
della
nostra
manovra
,
dei
nostri
esami
da
lontano
,
del
nostro
bisbigliare
,
delle
occhiate
radenti
di
Paone
,
delle
mie
occhiate
furtive
dietro
agli
occhiali
.
Era
bella
?
Non
ci
parve
.
Prima
di
tutto
ci
sembrava
appartenesse
a
quello
che
i
nostri
padri
,
amici
delle
bellezze
floride
,
chiamavano
il
genere
«
pertica
»
.
Troppo
alta
,
troppo
magra
,
troppo
poco
donna
,
troppo
adolescente
ancora
,
male
impastata
;
e
soprattutto
«
troppo
bocca
»
.
Era
proprio
sulla
bocca
-
oggi
è
una
delle
più
famose
del
mondo
-
che
alle
nostre
occhiate
di
lontano
cascava
l
'
asino
.
Quale
poteva
essere
il
destino
di
quella
«
spilungona
»
?
Tutt
'
al
più
,
con
un
po
'
di
fortuna
,
quello
di
mannequin
.
Toccò
a
me
avvicinarmi
alla
ragazza
dallo
strano
nome
.
Lo
feci
solo
per
rendere
una
cortesia
ad
Alfredo
Ricordi
.
Le
dissi
del
telegramma
,
le
offrii
di
avvicinarsi
al
banco
del
bar
per
prendere
un
aperitivo
.
Si
alzò
,
venne
avanti
,
sedette
su
uno
dei
suoi
alti
sgabelli
:
le
presentai
Paone
e
le
spiegai
che
si
trattava
di
un
celebre
impresario
teatrale
.
Sorrise
:
ma
era
evidente
che
non
l
'
aveva
mai
sentito
nominare
.
Parlava
con
un
accento
napoletano
degno
dei
dialoghi
più
stringenti
di
Peppino
De
Filippo
.
Cosa
aveva
di
bello
?
Non
glielo
dissi
:
aveva
delle
gambe
bellissime
,
ma
il
mio
elogio
non
poteva
soffermarsi
su
questi
particolari
anatomici
.
Non
sapevo
fingere
né
entusiasmo
né
esprimere
una
qualunque
promessa
.
Ma
probabilmente
mi
sarei
salvato
davanti
al
giudizio
della
posterità
proprio
per
via
di
quelle
gambe
.
Domandai
:
«
Le
piacerebbe
di
far
del
teatro
dialettale
?
Penso
che
Paone
potrebbe
presentarla
a
De
Filippo
o
a
Taranto
...
»
.
La
ragazza
taceva
.
Io
guardai
ancora
quelle
gambe
;
dissi
:
«
Le
piacerebbe
di
far
della
rivista
?
Sa
cantare
?
Sa
ballare
?
Anche
se
non
lo
sa
non
importa
.
In
tre
mesi
,
Paone
potrebbe
farla
istruire
da
una
brava
maestra
...
Non
ti
pare
,
Remigio
,
che
si
potrebbe
cavarne
fuori
una
bella
subrettina
?
Se
dovessi
dire
,
in
passerella
la
vedo
...
la
vedrei
subito
...
»
.
Remigio
non
aveva
l
'
aria
molto
convinta
,
ma
,
per
non
contraddirmi
,
fece
un
gesto
di
assenso
.
«
Creda
»
continuai
,
«
sarebbe
un
primo
passo
...
Con
Macario
,
per
esempio
,
o
con
la
Osiris
,
una
piccola
scrittura
si
potrebbe
pescarla
...
»
La
ragazza
ci
guardava
senza
più
sorridere
.
Si
asciugò
con
il
mignolo
una
goccia
di
aperitivo
che
le
era
caduta
,
dal
bicchiere
,
su
una
gamba
e
si
pulì
il
dito
come
una
bambina
,
passandolo
sulla
bocca
.
Rispose
semplicemente
:
«
Teatro
?
No
...
Rivista
?
No
...
O
cinema
o
niente
...
»
.
Farfugliammo
qualche
parola
di
risposta
,
tanto
per
essere
gentili
.
Lei
ripeté
:
«
O
cinema
o
niente
»
.
Ci
strinse
la
mano
,
ci
salutò
,
si
allontanò
sulle
lunghissime
gambe
,
sparì
verso
l
'
atrio
degli
ascensori
.
La
saletta
del
bar
era
deserta
.
Remigio
ed
io
sbottammo
a
ridere
,
sempre
più
fragorosamente
.
«
Hai
capito
che
presunzione
?
Cinema
?
Ma
in
questo
albergo
non
ci
sono
specchi
nelle
camere
?
Cinema
!
!
!
Con
quella
bocca
!
!
!
»
E
il
nostro
riso
si
faceva
addirittura
tonante
.
Non
ho
più
visto
Sofia
Loren
.
Ma
,
guardando
le
sue
vecchie
fotografie
di
quei
giorni
,
conosco
il
perché
di
quel
loro
tono
di
dispetto
e
di
malcelato
corruccio
.
Non
so
darle
torto
se
,
con
ogni
probabilità
,
non
ha
mai
perdonato
né
a
me
né
a
Remigio
Paone
.
StampaQuotidiana ,
Il
grande
airone
ha
chiuso
le
ali
.
Quante
volte
Fausto
Coppi
evocò
in
noi
l
'
immagine
di
un
grande
airone
lanciato
in
volo
con
il
battere
delle
lunghe
ali
e
sfiorare
valli
e
monti
,
spiagge
e
nevai
?
Fortissimo
e
fragile
al
tempo
stesso
,
qualche
volta
la
stanchezza
o
la
sfortuna
lo
abbattevano
e
lo
facevano
crollare
a
terra
,
sul
ciglio
di
una
strada
o
sull
'
erba
del
prato
di
un
velodromo
;
la
sua
figura
sembrava
spezzarsi
in
una
strana
geometria
,
come
quella
di
un
pantografo
,
e
una
volta
di
più
suscitava
l
'
immagine
di
un
airone
ferito
.
Altre
volte
,
era
l
'
immagine
di
una
tragica
conclusione
di
caccia
.
Quante
volte
,
di
lui
affranto
per
la
stanchezza
sull
'
erba
,
a
pochi
metri
da
un
traguardo
,
sentimmo
dire
:
«
Sembra
un
cervo
moribondo
!
»
.
L
'
occhio
galleggiava
immobile
,
con
la
pupilla
arrovesciata
al
limite
della
palpebra
:
le
guance
erano
scavate
,
le
labbra
anelanti
per
l
'
amara
fatica
:
le
lunghe
braccia
,
le
lunghe
gambe
come
buttate
là
,
senza
più
armonia
,
scompostamente
,
in
una
stanchezza
mortale
.
La
fragilità
fu
la
compagna
sinistra
di
quest
'
uomo
che
per
tanti
anni
sembrò
un
ragazzo
,
il
ragazzo
più
forte
di
tutti
,
sostenuto
da
una
energia
quasi
magica
,
una
forza
da
racconto
delle
fate
.
Il
trittico
su
cui
poggiava
il
misterioso
«
sistema
»
delle
sue
capacità
fisiche
-
cuore
,
polmoni
,
muscoli
-
nascondeva
,
quasi
invisibile
,
un
punto
di
estrema
vulnerabilità
.
Questa
era
la
vulnerabilità
dei
ragazzi
.
Coppi
era
rimasto
tale
:
sembrava
si
fosse
fermato
al
gradino
dei
sedici
anni
:
ossa
troppo
leggere
-
dicevano
:
«
uno
scheletro
di
canna
...
»
-
nervi
troppo
scoperti
,
un
ingenuo
palpitare
dei
sentimenti
,
un
difficile
equilibrio
fra
l
'
animo
del
ragazzotto
di
campagna
ch
'
egli
era
stato
e
l
'
uomo
che
la
vita
l
'
aveva
costretto
a
diventare
.
Un
abulico
che
poteva
scatenare
fulminei
scatti
di
lampeggiante
volontà
:
un
uomo
rimasto
per
tutta
la
vita
stranamente
melanconico
;
favorito
dalla
natura
,
perseguitato
-
bisogna
dirlo
anche
se
toccò
le
soglie
della
più
alta
fortuna
-
perseguitato
,
ripeto
,
dalla
sorte
.
Ora
che
le
ali
del
«
campionissimo
»
si
sono
chiuse
,
non
si
può
non
ricordare
quante
volte
la
sua
carriera
e
la
sua
vita
stessa
corsero
il
rischio
di
essere
spezzate
da
quello
che
si
chiama
abitualmente
un
«
banale
incidente
»
:
una
caduta
come
un
ragazzo
ne
fa
a
centinaia
,
cavandosela
con
una
sbucciatura
ad
un
gomito
o
ad
un
ginocchio
.
Non
mai
nella
forsennata
vertigine
della
corsa
,
quando
la
ruota
della
bicicletta
va
saettando
a
disegnare
il
filo
sospeso
fra
la
vita
e
la
morte
sul
ciglio
di
un
burrone
:
ma
a
metà
di
una
pedalata
senza
storia
,
a
passo
di
carovana
,
a
passo
di
trasferta
.
Anche
oggi
,
è
un
piccolo
,
misterioso
,
atroce
e
imponderabile
intervento
del
fato
-
dicono
l
'
insidia
invincibile
di
un
«
virus
»
tropicale
,
o
la
funesta
chimica
organica
di
una
per
ora
inesplicabile
intossicazione
-
quello
che
colloca
l
'
angosciosa
parola
della
fine
al
romanzo
della
sua
vita
.
Ricordate
?
Non
meno
rapido
fu
il
«
banale
incidente
»
che
,
una
decina
di
anni
or
sono
,
fece
morire
,
dopo
due
o
tre
ore
di
agonia
,
suo
fratello
Serse
.
I
due
fratelli
in
«
bianco
-
celeste
»
avevano
finito
di
correre
sulle
strade
sferzate
dalla
pioggia
il
Giro
del
Piemonte
.
La
gara
si
era
conclusa
sull
'
anello
di
cemento
del
velodromo
torinese
.
Tra
la
folla
che
si
assiepava
sul
viale
di
periferia
e
all
'
uscita
della
pista
,
Fausto
aveva
cercato
un
rifugio
-
troppi
applausi
,
troppi
abbracci
,
troppo
clamore
-
sull
'
automobile
della
casa
.
Serse
,
che
poteva
passare
tra
la
folla
inosservato
,
aveva
preferito
risalire
in
bicicletta
,
per
andarsene
all
'
albergo
al
piccolo
passo
.
Non
pioveva
più
,
l
'
asfalto
si
asciugava
.
Bastò
un
piccolo
scarto
della
ruota
.
Serse
cadde
,
toccò
appena
con
la
tempia
sul
cordone
di
un
marciapiede
.
Non
sentì
che
un
piccolo
colpo
:
le
dita
non
trovarono
nemmeno
una
goccia
di
sangue
.
Rimontò
in
sella
,
fece
senza
altri
pensieri
il
percorso
sul
lungo
viale
che
portava
all
'
albergo
:
salì
alla
sua
camera
senza
attendere
l
'
ascensore
,
si
spogliò
della
maglia
fangosa
,
andò
subito
alla
doccia
,
si
coricò
sul
letto
in
attesa
del
massaggio
.
Quando
il
masseur
girò
la
maniglia
della
porta
la
stanza
era
al
buio
:
Serse
pareva
addormentato
.
Invece
,
era
già
in
agonia
.
La
stessa
cosa
,
senza
nemmeno
la
spiegazione
di
una
piccola
caduta
,
è
avvenuta
adesso
,
nel
doloroso
Capodanno
di
Novi
Ligure
,
al
ritorno
da
una
tournée
sulle
strade
equatoriali
del
Centro
-
Africa
,
piccole
corse
da
kermesse
alternate
con
le
quattro
schioppettate
di
qualche
partita
di
caccia
grossa
.
Fausto
è
andato
a
ritrovare
Serse
.
La
loro
mamma
piange
due
figli
:
Serse
l
'
oscuro
,
Fausto
il
lampeggiante
.
E
nella
stessa
corsia
d
'
ospedale
piangono
due
donne
,
diversamente
e
tragicamente
uscite
dalla
sua
storia
d
'
uomo
,
in
quel
romanzo
d
'
amore
che
fece
tanto
e
così
triste
clamore
e
che
ebbe
anch
'
esso
-
ci
sembra
di
poterlo
dire
ora
-
la
sigla
del
destino
di
un
ragazzo
inquieto
condannato
dalla
stessa
fragilità
dei
suoi
nervi
agli
errori
di
coloro
la
cui
adolescenza
non
sa
concludersi
.
Inutile
dire
che
l
'
atleta
appartenne
alla
ristrettissima
schiera
dei
«
fenomeni
»
,
come
Paavo
Nurmi
,
come
Carpentier
,
come
Ladoumègue
,
come
Zatopek
.
Egli
-
nella
lunga
stagione
che
enumerò
i
nomi
deí
Ganna
,
dei
Girardengo
,
dei
Binda
,
dei
Guerra
,
dei
Bartali
,
tanto
per
nominare
solamente
gli
italiani
-
fu
veramente
«
l
'
atleta
del
secolo
»
.
In
altre
sedi
agonistiche
-
penso
alla
Spagna
,
e
agli
uragani
di
entusiasmo
delle
Plazas
de
Toros
-
i
suoi
«
gemelli
»
potevano
essere
i
grandi
espada
come
Juan
Belmonte
.
Sua
mamma
è
forse
la
sola
che
lo
ricorda
ragazzino
,
ai
tempi
della
sua
prima
bicicletta
,
la
vecchia
bicicletta
di
suo
padre
contadino
.
Quale
sarebbe
stato
il
suo
avvenire
?
Quale
il
mestiere
a
cui
si
sarebbe
avviato
?
Viver
sempre
tra
le
siepi
,
le
stalle
,
le
nebbie
della
piatta
campagna
?
Allora
,
Tortona
sembrò
la
«
metropoli
»
dove
il
ragazzino
Fausto
avrebbe
potuto
trovare
il
sentiero
di
una
nuova
vita
.
Era
un
ragazzo
gentile
,
timido
,
riservato
.
Sembrò
una
fortuna
ch
'
egli
trovasse
un
«
posto
»
come
garzoncello
di
salumeria
:
portava
i
pacchetti
a
domicilio
,
imparava
la
manovra
dell
'
affettatrice
automatica
,
abituava
l
'
occhio
a
misurare
l
'
etto
e
mezzo
o
i
due
etti
di
formaggio
.
Sono
molte
donne
di
Tortona
che
lo
ricordano
quando
,
ventitré
,
venticinque
anni
fa
,
con
il
grembiule
bianco
avvolto
alla
cintola
,
Fausto
arrivava
di
gran
carriera
sulla
rugginosa
bicicletta
di
suo
padre
,
e
suonava
un
colpetto
timido
di
campanello
...
È
la
storia
umile
,
quasi
crepuscolare
,
di
un
ragazzetto
di
campagna
che
portava
ogni
tanto
a
sua
madre
il
gruzzolo
delle
piccole
mance
.
La
sua
prima
vittoria
,
a
vent
'
anni
,
sull
'
Abetone
,
quando
«
scavalcò
»
sotto
alla
pioggia
di
una
tappa
del
Giro
d
'
Italia
il
«
solitario
delle
Dolomiti
»
,
e
suo
caposquadra
Gino
Barrali
?
Una
ragazzata
,
un
atto
di
quasi
fanciullesca
indisciplina
...
L
'
airone
di
Castellania
aveva
aperto
all
'
improvviso
le
ali
in
confronto
al
«
gallo
cedrone
»
di
Ponte
a
Ema
.
Lo
ricordo
mentre
andava
su
-
pareva
che
addirittura
corresse
fischiettando
-
su
per
le
svolte
delle
salite
,
sulla
strada
sparsa
degli
«
aghi
»
degli
abeti
,
sferzata
dal
taglio
gelido
della
pioggia
.
La
gente
ai
lati
della
strada
si
accucciava
sotto
gli
ombrelli
,
cercando
di
leggere
il
«
numero
»
stampato
sul
telaio
,
cercava
nel
giornale
il
nome
che
corrispondeva
a
quel
numero
...
Coppi
;
un
ignoto
...
Fausto
,
nome
ancora
più
ignoto
...
Fausto
vinse
sempre
senza
mai
sorridere
,
quasi
non
credendo
mai
totalmente
in
se
stesso
.
Sembrava
sempre
soprapensiero
:
come
stranamente
e
fissamente
in
ascolto
di
una
qualche
voce
interna
che
gli
andasse
mormorando
dentro
una
incomprensibile
parola
.
Quella
parola
segreta
non
era
:
«Fortuna...»
.
La
«
guigne
»
,
vecchia
parola
dei
tempi
lontanissimi
delle
antiche
corse
su
strada
,
ha
spezzato
il
filo
della
sua
vita
fragilissima
,
come
un
piccolo
soffio
di
vento
spezza
il
filo
di
una
tela
di
ragno
coperta
di
brina
,
là
,
sulle
siepi
invernali
del
suo
paese
di
campagna
.
Restano
una
mamma
desolata
:
e
due
donne
diversamente
ma
egualmente
infelici
:
una
bambina
che
non
lo
vedeva
da
anni
,
un
fanciulletto
che
,
come
lui
,
si
chiama
Fausto
.
Desolata
mattina
del
due
gennaio
...