StampaQuotidiana ,
Si
è
fermata
,
dunque
,
la
mano
del
grande
Maestro
.
Cerea
,
bianca
,
la
destra
si
è
incrociata
con
la
sinistra
sul
petto
,
nel
gesto
dell
'
ultima
pace
.
Il
grande
vecchio
è
immobile
,
al
centro
dell
'
immenso
segreto
dell
'
aldilà
.
Egli
non
può
più
dire
nulla
,
gli
uomini
non
conosceranno
più
le
vie
meravigliose
della
magica
memoria
,
i
battiti
infallibili
di
quel
cuore
carico
della
musica
di
tutti
i
tempi
.
Musica
eri
giovane
per
lui
,
e
lui
era
giovane
per
te
.
Quella
che
si
chiude
è
una
lunga
,
incantatrice
storia
d
'
amore
.
Amore
era
la
musica
di
Toscanini
.
Ancora
tempo
fa
,
dissero
,
egli
leggeva
Leopardi
e
qualcuno
pensava
di
donargli
,
dei
Canti
,
una
stampa
che
non
affaticasse
,
nella
notte
,
i
suoi
occhi
già
tanto
stanchi
.
Non
è
tutto
amore
Leopardi
,
pur
nella
sua
sconsolata
angoscia
?
Amore
il
sospiro
per
Silvia
,
amore
l
'
appello
alla
Luna
,
amore
il
pianto
per
la
melanconica
ginestra
,
amore
l
'
ascoltare
la
nota
del
passero
solitario
,
la
nota
che
scende
dal
silenzio
della
torre
antica
.
Amore
era
la
musica
di
Toscanini
nell
'
aurora
serena
e
nella
tempesta
notturna
,
nel
sospiro
e
nell
'
inno
,
nell
'
elegia
e
nel
peana
;
amore
nella
grazia
,
amore
nell
'
ira
,
nel
sangue
della
tragedia
,
nella
luce
argentea
della
favola
lunare
,
tra
le
rupi
e
le
fiamme
.
Egli
,
per
questo
amore
,
riportava
tutto
alla
legge
prima
:
quella
dell
'
amore
attorno
a
cui
tutto
il
mistero
del
creato
si
volge
,
«
sì
come
ruota
che
egualmente
è
mossa
»
.
Aveva
quattordici
anni
quando
morì
Wagner
,
trentadue
quando
chiuse
gli
occhi
Verdi
,
cinquantasette
quando
scomparve
Puccini
.
Da
tanti
anni
durava
dunque
la
sua
solitudine
e
,
in
questa
immensa
solitudine
,
conscio
di
stare
come
una
rupe
salda
in
mezzo
ad
un
mondo
in
naufragio
,
egli
non
viveva
che
per
far
rivivere
i
grandi
spiriti
.
Per
questo
,
forse
era
così
esigente
il
suo
spirito
mistico
di
musicista
,
per
questo
il
teatro
o
la
sala
dei
concerti
erano
la
sua
chiesa
,
per
questo
egli
esigeva
che
gli
ascoltatori
avessero
,
soprattutto
,
l
'
animo
dei
credenti
.
Questo
suo
intendere
l
'
esecuzione
musicale
come
un
fatto
mistico
non
era
un
atteggiamento
letterario
:
nasceva
probabilmente
dalla
coscienza
di
essere
l
'
interprete
di
una
superiore
misteriosa
volontà
:
di
quella
volontà
che
,
in
un
mondo
di
nebbie
,
di
incredulità
,
di
dubbi
e
di
lento
annichilimento
della
grande
civiltà
delle
anime
,
faceva
,
a
un
suo
cenno
,
risorgere
i
grandi
spiriti
che
avevano
amorosamente
o
tempestosamente
cantata
la
poesia
estrema
di
un
mondo
che
ormai
non
sapeva
più
rinnovare
i
valori
della
poesia
.
Il
destino
aveva
voluto
ch
'
egli
fosse
l
'
ultimo
nocchiero
di
quella
nave
che
aveva
percorso
tutti
gli
oceani
del
canto
:
ch
'
egli
fosse
l
'
ultimo
a
levare
le
sue
vele
e
a
drizzare
il
suo
timone
.
Interprete
di
un
mondo
immortale
i
cui
semidei
si
erano
spenti
senza
eredi
,
egli
,
di
quei
semidei
,
per
sorte
aveva
dovuto
essere
il
grande
evocatore
.
Tutti
morti
,
i
geni
,
alle
sue
spalle
.
Da
quanti
anni
,
da
quanti
decenni
si
poteva
pensare
che
Toscanini
si
guardasse
sconsolatamente
attorno
,
solo
vivente
,
in
attesa
di
uno
da
chiamare
fratello
?
Da
quanti
anni
viveva
solo
tra
prodigiosi
spettri
,
in
un
'
arte
che
non
riusciva
più
a
rinnovare
i
propri
miti
e
che
,
paurosamente
,
se
pur
viva
fra
i
suoi
Immortali
,
era
tutta
ormai
solamente
Passato
?
Di
qui
la
necessità
di
un
'
istintiva
convinzione
mistica
:
il
suo
rigore
quasi
di
sacerdote
davanti
alla
necessità
di
ricreare
ogni
volta
il
miracolo
non
di
una
esecuzione
,
ma
di
una
resurrezione
:
le
sue
ire
procellose
per
la
minima
cosa
che
gli
potesse
sembrare
errore
od
offesa
all
'
Idea
e
al
Tempio
:
il
suo
dubbio
costante
e
le
sue
affermazioni
,
ad
un
certo
momento
,
dogmatiche
;
la
sua
instancabile
attenzione
nel
migliorare
se
stesso
,
per
chiarire
sempre
meglio
a
se
stesso
il
mistero
musicale
;
il
suo
intendere
il
teatro
come
un
tempio
e
il
podio
come
il
gradino
dell
'
altare
.
Solamente
perché
gli
era
possibile
di
rinnovare
così
il
miracolo
della
resurrezione
dei
grandi
spiriti
,
egli
non
fu
vinto
mai
dall
'
angoscia
della
solitudine
in
un
mondo
nel
quale
,
ormai
,
sembrava
che
la
musica
sorgesse
solamente
dai
grandi
Sepolcri
.
Così
,
perché
per
la
magia
di
un
cenno
,
per
l
'
improvviso
battere
concorde
dei
cuori
,
per
l
'
improvviso
eguale
respiro
di
due
anime
,
i
grandi
spiriti
si
risvegliavano
in
lui
,
egli
,
con
tali
antichi
fratelli
accanto
,
da
Beethoven
a
Verdi
,
poté
non
sentirsi
solo
nel
mondo
che
si
svuotava
di
canti
,
e
poté
,
con
tali
fratelli
accanto
,
per
essi
vivere
così
a
lungo
.
Mancate
le
forze
per
ripetere
ogni
giorno
la
grande
evocazione
,
era
destino
ch
'
egli
non
potesse
più
vivere
.
Interprete
sommo
d
'
ogni
musica
,
la
forza
del
suo
genio
vivificatore
doveva
far
di
lui
,
nel
mondo
,
l
'
estremo
e
maggiore
rappresentante
del
genio
musicale
italiano
.
Egli
era
infatti
della
razza
dei
geni
italiani
,
nati
e
cresciuti
nella
semplicità
,
anche
se
sapientissimi
:
nati
in
obbedienza
ad
un
estro
,
ad
un
intuito
,
ad
un
istinto
poetico
.
Stendhal
si
sarebbe
incantato
per
lui
con
lo
stesso
felice
incantesimo
che
l
'
aveva
avvicinato
a
Rossini
.
Toscanini
era
fatto
per
riconoscere
sempre
la
via
più
breve
per
percorrere
qualunque
labirinto
.
Nato
in
un
paese
dove
gli
inverni
sono
nebbiosi
e
dove
erano
fiochi
,
al
tempo
della
sua
adolescenza
,
i
lumi
per
le
strade
,
all
'
ombra
dei
giganteschi
palazzi
incompiuti
di
Parma
,
e
sulle
rive
tenebrose
del
torrente
alla
cui
rapinosa
voce
invernale
fra
i
ciottoli
sotto
alla
Pilotta
dei
Farnese
sembra
aver
pensato
Verdi
per
il
quarto
atto
del
Rigoletto
,
Toscanini
era
abituato
a
non
sbagliare
mai
strada
anche
nel
fitto
delle
partiture
più
buie
.
Il
suo
genio
si
chiamava
chiarezza
:
entrava
nei
capolavori
non
di
fianco
,
ma
dall
'
alto
,
quando
,
come
vista
verticalmente
,
la
loro
topografia
gli
aveva
rivelato
i
segreti
del
buon
orientamento
.
Si
può
dire
che
,
allora
,
egli
calasse
,
piombasse
sul
capolavoro
con
l
'
infallibilità
di
un
falco
.
Di
tutti
i
popoli
del
mondo
,
l
'
italiano
è
quello
che
più
ha
amato
l
'
ordine
:
altrimenti
non
sarebbe
stato
un
popolo
di
grandi
architetti
,
e
i
suoi
poeti
non
avrebbero
creato
ed
amato
la
disciplina
musicale
del
sonetto
.
Intendere
l
'
ordine
segreto
,
le
segrete
misure
,
i
rapporti
di
temi
e
di
cadenze
di
una
musica
apparteneva
all
'
intuito
architettonico
e
musicale
degli
italiani
,
inventori
della
terzina
e
del
sonetto
,
dell
'
endecasillabo
e
dell
'
ottava
,
dell
'
arco
,
del
portico
,
del
chiostro
,
della
basilica
e
della
cupola
,
del
duetto
,
del
quartetto
,
del
«
concertato
»
,
della
polifonia
.
Si
trattava
,
per
Toscanini
,
prima
di
tutto
di
scoprire
e
di
ridisegnare
e
di
riplasmare
una
architettura
:
poi
,
di
farvi
vivere
dentro
uno
spirito
e
cantare
una
anima
.
Era
il
momento
in
cui
egli
soffiava
il
suo
stesso
spirito
sulla
bocca
del
colosso
.
Il
gigante
si
risvegliava
e
lui
gli
diceva
:
«
Cammina
e
canta
...
»
.
Così
,
in
mezzo
alle
partiture
più
rupestri
e
più
selvose
,
egli
andava
dritto
,
come
un
rabdomante
,
a
scoprire
l
'
essenziale
,
e
cioè
la
sorgente
del
canto
:
e
non
per
nulla
,
come
esecutore
di
musica
,
egli
veniva
dalla
grande
famiglia
degli
archi
,
antico
suonatore
di
violoncello
,
lo
strumento
che
di
tutti
ha
la
voce
più
umana
.
Da
quel
momento
egli
camminava
,
infallibile
,
in
cerca
dell
'
umanità
del
canto
;
il
poema
sinfonico
più
folto
doveva
aprire
il
suo
intrico
contrappuntistico
,
la
foresta
doveva
schiudersi
,
la
luce
trovare
la
sua
strada
,
il
cuore
la
sua
voce
.
«
Non
abbiate
paura
di
cantare
!
»
,
gridava
il
vegliardo
ai
violini
.
Il
canto
voleva
dire
chiarezza
sulla
ormai
ineluttabile
strada
della
poesia
.
Calato
sul
capolavoro
dall
'
alto
,
egli
,
ormai
,
non
doveva
assediarlo
e
penetrarlo
e
illuminarlo
dall
'
esterno
.
La
sua
creazione
cominciava
dall
'
interno
,
dal
nido
più
segreto
della
foresta
,
dalle
radici
vitali
,
dall
'
humus
della
sua
fecondità
.
Il
capolavoro
rigerminava
per
lui
:
e
sotto
al
suo
cenno
rinascevano
le
grandi
querce
,
risorgevano
le
cattedrali
,
salivano
al
cielo
le
cupole
delle
basiliche
.
Ogni
vastità
polifonica
,
ogni
ampiezza
di
affresco
sonoro
,
ogni
impeto
ed
ogni
squillo
erano
adesso
possibili
,
ed
ogni
murmure
e
ogni
tremore
stellare
di
note
.
I
Personaggi
,
Otello
e
Sigfrido
,
Wotan
e
Lucia
,
Figaro
e
Brunilde
,
Mimi
e
Parsifal
,
potevano
,
ora
,
avanzare
al
proscenio
.
Era
il
momento
in
cui
l
'
umanità
poteva
finalmente
entrare
,
ad
un
cenno
del
maestro
,
per
la
grande
porta
,
quella
per
la
quale
passa
la
sua
estrema
espressione
:
la
poesia
.
Grigio
e
molte
volte
disperato
è
stato
il
nostro
tempo
,
amare
le
nostre
vicende
,
infelice
per
tante
voci
la
generazione
di
noi
che
,
nella
sua
piena
maturità
,
lo
udimmo
appena
fanciulli
o
giovinetti
:
ma
anche
per
noi
delle
ultime
generazioni
una
luce
veniva
,
una
luce
è
venuta
da
quelle
mani
,
ora
ferme
e
incrociate
nell
'
atteggiamento
dell
'
ultima
pace
.
Il
nostro
cuore
è
stato
preso
fra
le
mani
di
questo
grande
vecchio
italiano
che
di
Verdi
poteva
essere
considerato
spiritualmente
,
il
figlio
.
Egli
veniva
dal
Grande
Tempo
:
era
nato
nella
Grande
Stagione
,
quando
non
si
pensava
ancora
che
per
il
canto
fosse
iniziato
il
mesto
Autunno
e
tutto
pareva
ancora
un
rigoglio
primaverile
di
spiriti
.
Egli
veniva
dalla
riva
delle
Grandi
Speranze
,
e
ci
ha
aiutato
a
credere
ancora
nella
Speranza
e
a
riconoscere
le
anime
che
indicano
l
'
immortalità
della
bellezza
e
della
poesia
.
Confortatore
,
illuminatore
,
sacerdote
musicale
di
quattro
generazioni
,
a
lui
,
nella
cui
musica
tante
volte
segretamente
anche
noi
ci
siamo
sentiti
purificati
come
,
in
una
confessione
,
va
il
pensiero
,
come
nella
invocazione
verdiana
.
Va
'
dunque
,
pensiero
degli
italiani
,
verso
il
caro
grande
vecchio
muto
e
solo
,
verso
quel
volto
chiuso
nell
'
ultima
maestà
,
immobile
al
centro
dell
'
immenso
segreto
dell
'
aldilà
.
Totò ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Ho
passato
una
serata
con
Totò
,
nel
camerino
di
Totò
,
fra
le
quinte
con
Totò
e
,
dopo
lo
spettacolo
,
a
pranzo
con
Totò
.
L
'
ho
lasciato
alle
quattro
del
mattino
davanti
alla
porta
del
suo
albergo
.
Quando
sono
andato
a
casa
e
mi
sono
spogliato
,
ho
pensato
che
in
quello
stesso
momento
anche
Totò
si
spogliava
,
rimboccava
il
lenzuolo
,
sistemava
il
cuscino
.
Da
questo
pensiero
sono
nate
,
prima
che
prendessi
sonno
,
alcune
considerazioni
che
adesso
metto
sulla
carta
,
in
ricordo
della
serata
passata
con
l
'
attore
comico
più
popolare
d
'
Italia
e
,
certamente
,
fra
i
più
singolari
del
mondo
.
L
'
attore
comico
,
quando
il
carattere
delle
sue
occasioni
lo
ha
portato
a
raggiungere
lo
stile
e
la
fissità
della
grande
maschera
,
non
si
appartiene
più
.
Il
pubblico
continua
a
modo
suo
a
svolgere
mentalmente
la
vita
del
personaggio
che
l
'
attore
gli
ha
portato
innanzi
.
Il
sipario
cala
sull
'
ultima
passerella
di
Totò
,
e
Totò
non
ritorna
padrone
di
se
stesso
.
La
nostra
immaginazione
lo
segue
,
come
seguirebbe
Charlie
Chaplin
o
il
grande
clown
,
e
lo
fa
vivere
in
modo
e
nelle
situazioni
che
,
con
il
normale
repertorio
di
quella
maschera
,
non
hanno
nessuna
apparente
attinenza
.
Quando
il
grande
attore
tragico
si
strucca
e
rientra
nella
penombra
della
sua
vita
privata
,
la
nostra
fantasia
non
lo
segue
.
Ruggero
Ruggeri
depone
i
fascini
di
Aligi
e
l
'
immagine
di
Aligi
resta
staccata
dalla
vita
del
suo
interprete
.
Io
non
ho
mai
pensato
,
dopo
una
recita
di
Ruggeri
o
dopo
una
recita
di
Lucien
Guitry
,
all
'
andare
a
letto
di
Ruggeri
o
di
Guitry
come
ad
un
pretesto
per
continuare
,
nella
fantasia
,
la
vita
del
personaggio
che
essi
avevano
creato
innanzi
al
pubblico
.
Gandusio
può
avermi
fatto
ridere
ma
non
mi
fa
ridere
la
possibilità
di
immaginarmi
Gandusio
in
trattoria
,
dopo
teatro
,
davanti
a
una
cotoletta
.
Dopo
un
film
di
Charlot
,
continuerò
a
vedere
Charlot
in
tram
,
a
cena
o
mentre
cerca
le
chiavi
di
casa
o
mentre
preme
il
bottone
dell
'
ascensore
.
Ha
creato
una
maschera
identica
alla
sua
figura
umana
ed
egli
,
in
quanto
maschera
,
non
è
più
padrone
di
se
stesso
.
Lo
stesso
mi
accade
se
penso
a
Totò
nella
sua
camera
d
'
albergo
,
dopo
che
ha
passato
quasi
otto
ore
davanti
a
me
scrittore
che
cerco
di
scoprire
i
lineamenti
del
suo
ritratto
segreto
.
Totò
non
è
più
padrone
di
nulla
,
nemmeno
di
andare
a
dormire
in
santa
pace
.
Se
i
suoi
milleduecento
spettatori
di
ogni
sera
pensano
,
dopo
teatro
,
a
lui
che
va
a
letto
,
tutti
milleduecento
si
mettono
a
ridere
.
Totò
dorme
?
La
gente
ride
.
Totò
si
rivolta
nel
letto
?
Totò
perde
una
coperta
?
Totò
cerca
le
pantofole
?
Totò
non
trova
il
bottone
del
campanello
?
L
'
immagine
di
Totò
non
appartiene
più
a
Totò
.
Come
il
protagonista
del
racconto
di
Chamisso
che
ha
perduto
la
sua
ombra
,
l
'
attore
comico
,
costruendo
di
se
stesso
,
per
mostruose
ispirazioni
,
una
maschera
,
ha
perduto
la
propria
immagine
,
l
'
ha
ceduta
a
qualcuno
che
se
ne
è
fatto
padrone
e
che
può
muoverla
a
suo
piacimento
,
tirannicamente
.
Totò
può
,
per
questo
,
guadagnare
quanto
vuole
:
sarà
sempre
povero
,
di
quella
strana
povertà
dell
'
uomo
che
non
appartiene
più
a
se
stesso
.
Credo
che
per
questo
,
per
una
sia
pure
imprecisa
coscienza
di
questo
,
Totò
,
appena
esce
dal
rettangolo
di
luce
della
ribalta
,
sia
l
'
uomo
più
serio
che
ho
avvicinato
:
il
meno
ciarliero
,
il
più
misurato
nella
parola
e
nel
gesto
.
Totò
,
fra
le
quinte
,
non
fa
ridere
nemmeno
un
momento
.
La
conversazione
con
lui
è
piuttosto
difficile
perché
,
in
genere
,
non
si
pensa
mai
troppo
al
carattere
degli
uomini
e
alla
loro
posizione
davanti
al
proprio
destino
.
Con
un
poco
più
di
preventiva
meditazione
sul
tema
«
Totò
fra
le
quinte
»
,
sarebbe
stato
facile
immaginare
che
,
appunto
,
per
la
violenza
estrema
dei
colori
della
maschera
Totò
,
tanto
più
tenui
dovevano
essere
i
colori
dell
'
uomo
Totò
.
Non
si
pensa
mai
abbastanza
alle
cose
:
i
nostri
diplomi
di
«
fine
psicologo
»
meriterebbero
spesso
di
esser
fatti
a
pezzi
.
Com
'
è
possibile
pensare
che
Totò
uomo
,
appena
tra
le
quinte
,
non
debba
istintivamente
reagire
al
Totò
maschera
?
Totò
non
ha
bisogno
di
continuare
il
suo
personaggio
,
quando
cala
il
sipario
.
Il
suo
personaggio
continua
a
vivere
nella
memoria
e
nella
fantasia
.
Egli
torna
immediatamente
Totò
uomo
.
A
differenza
anche
di
molti
che
non
sono
attori
e
che
,
per
essere
assunti
nell
'
arte
e
nella
storia
al
ruolo
di
personaggi
storici
,
continuano
in
ogni
ora
,
solo
che
li
si
guardi
,
solo
che
pensino
di
essere
osservati
,
a
sforzarsi
di
assomigliare
al
loro
personaggio
o
di
disegnare
un
contrario
di
se
stessi
,
mi
pare
che
Totò
non
si
curi
nemmeno
di
costruire
un
antiTotò
.
Egli
non
è
il
contrario
di
se
stesso
:
non
è
il
«
pagliaccio
che
pranza
dopo
aver
fatto
ridere
»
o
la
maschera
che
ammicca
per
far
intendere
che
,
sotto
il
cerone
del
trucco
,
c
'
è
l
'
uomo
.
È
una
creatura
molto
differente
che
sembra
non
abbia
,
di
Totò
,
mai
sentito
parlare
e
che
per
Totò
abbia
una
estrema
indifferenza
.
Il
Totò
della
scena
resta
placidamente
attaccato
a
un
gancio
dell
'
attaccapanni
.
Padrone
chiunque
di
immaginarlo
per
le
vie
del
mondo
con
il
suo
stretto
tubino
,
la
sua
lunga
mascella
,
il
suo
riso
sgangherato
,
il
suo
collo
da
disossato
ballerino
fantoccio
.
Nella
vita
,
Totò
è
quasi
impacciato
,
quando
sorprende
che
il
nostro
sguardo
insiste
a
cercare
nel
suo
viso
una
maschera
che
non
è
più
sua
e
che
ormai
appartiene
alla
favola
del
nostro
tempo
.
Il
camerino
di
Totò
è
,
come
il
teatro
,
sottoterra
,
e
vi
si
arriva
per
complicati
labirinti
.
Quando
si
è
là
dentro
,
il
palcoscenico
sembra
lontanissimo
.
Ho
pensato
spesso
,
mentre
parlavo
con
Totò
durante
i
momenti
in
cui
si
cambiava
tra
una
scena
e
l
'
altra
,
a
certe
mie
esperienze
di
sommergibilista
oceanico
.
Non
solo
l
'
aria
è
quella
,
stanca
e
viziata
,
del
piccolo
quadrato
di
un
sommergibile
alla
massima
immersione
:
ma
è
quello
,
in
un
certo
senso
,
anche
il
silenzio
.
Il
pubblico
bisogna
ricordarselo
,
come
ci
si
ricorda
,
a
cento
metri
sott
'
acqua
,
della
superficie
azzurra
e
ondosa
del
mare
.
Non
si
sente
la
sua
voce
.
Si
cerca
istintivamente
il
periscopio
.
Questo
accade
perché
qui
non
arriva
nulla
,
nemmeno
il
risucchio
della
grande
ondata
spettacolare
della
rivista
che
svolge
intanto
,
nel
golfo
di
luce
del
palcoscenico
,
le
sue
grandi
manovre
di
colori
,
di
luci
,
di
piume
,
di
danze
,
di
vive
morbide
statue
di
donne
.
La
rivista
non
arriva
al
camerino
di
Totò
che
come
l
'
eco
,
se
potesse
giungerci
,
di
un
pianeta
lontano
.
Lo
spettacolo
,
per
chi
se
ne
sta
seduto
nel
camerino
,
è
come
avvenisse
sulla
luna
.
Su
una
parete
è
attaccato
un
piccolo
altoparlante
.
Basta
toccare
un
bottone
e
l
'
altoparlante
si
mette
a
parlare
e
a
cantare
:
parole
e
suoni
un
po
'
confusi
,
quasi
da
segnalazioni
medianiche
.
Anche
nelle
navi
da
guerra
in
navigazione
e
in
battaglia
,
imperiosi
altoparlanti
ripetono
,
nei
vari
ponti
,
alle
macchine
,
alle
stive
,
ai
depositi
di
munizioni
e
alle
torri
dei
cannoni
le
voci
del
comando
,
i
rumori
della
battaglia
.
Totò
mentre
si
trucca
per
la
nuova
scena
,
segue
,
ogni
tanto
,
alla
voce
roca
e
lievemente
sinistra
,
fredda
e
incorporea
dell
'
altoparlante
,
la
manovra
e
la
battaglia
.
La
presenza
di
quelle
voci
è
come
la
presenza
del
destino
,
è
come
il
monito
al
personaggio
per
dirgli
:
«
Ricordati
che
sei
Totò
»
.
Nessuno
può
entrare
.
Il
retroscena
di
una
rivista
è
uno
dei
luoghi
più
segreti
del
mondo
.
Una
soubrettina
o
una
ballerinetta
possono
sfilare
sulla
passerella
con
venti
centimetri
quadrati
di
stagnola
per
tutto
vestito
,
sotto
la
luce
implacabile
dei
proiettori
,
ma
nell
'
ombra
delle
quinte
la
bellezza
e
la
nudità
sono
elementi
di
lavoro
,
accanto
ai
quali
non
ci
si
può
fermare
come
fa
il
nottambulo
che
passa
un
quarto
d
'
ora
a
guardare
gli
operai
che
riparano
le
rotaie
del
tram
.
Il
camerino
di
Totò
,
con
il
lungo
corridoio
buio
che
lo
precede
,
mi
fa
anche
per
questo
pensare
alle
navi
da
guerra
dove
non
ci
sono
donne
.
Una
serata
dietro
le
quinte
con
Totò
è
una
serata
fra
uomini
:
uno
dei
quali
si
spoglia
e
si
riveste
ogni
momento
davanti
alla
propria
immagine
riflessa
in
due
specchi
.
L
'
immagine
è
quieta
,
quasi
assorta
,
fondamentalmente
malinconica
,
al
limite
del
doloroso
.
Non
si
ride
,
non
v
'
è
motivo
od
occasione
di
ridere
.
Sembra
che
Totò
non
abbia
quasi
ricordi
o
che
non
voglia
averne
,
stanco
dell
'
infinita
proiezione
di
se
stesso
nella
lunga
prospettiva
del
tempo
,
dall
'
infanzia
ad
oggi
.
L
'
altoparlante
porta
musiche
più
o
meno
indiavolate
.
Totò
è
sfigurato
dal
trucco
,
si
incolla
sulla
fronte
un
ridicolo
parrucchino
,
indossa
una
goffa
camiciola
.
Parla
di
quand
'
era
bambino
a
Napoli
e
aveva
delle
crisi
mistiche
e
riempiva
la
casa
di
altarini
.
Poi
voleva
fare
l
'
ufficiale
di
marina
.
Solo
a
venti
anni
vide
,
per
la
prima
volta
,
un
attore
e
da
allora
scoprì
la
sua
vocazione
.
Se
,
in
strada
,
incontrava
quel
vecchio
attore
,
lo
seguiva
timido
e
lo
sopravanzava
varie
volte
per
guardarlo
in
faccia
.
Parla
della
commedia
dell
'
arte
e
di
Pulcinella
.
E
veramente
Totò
è
il
Pulcinella
moderno
,
senza
maschera
,
con
la
faccia
lavata
,
complicato
con
tutto
il
grottesco
e
forse
anche
con
tutte
le
malinconie
geometriche
del
nostro
tempo
.
Quando
l
'
altoparlante
lo
avverte
che
è
l
'
ora
di
salire
in
palcoscenico
,
nel
praticabile
che
,
visto
dalla
platea
,
rappresenta
un
interno
di
vagone
-
letto
,
interrompe
il
racconto
e
va
verso
il
suo
lavoro
per
il
corridoio
buio
,
verso
il
palcoscenico
buio
.
Adesso
dal
piano
del
palcoscenico
,
lo
vedo
in
luce
,
nella
scatola
del
vagone
-
letto
,
dalla
vita
in
su
,
come
da
una
ribalta
di
teatro
di
burattini
.
Dalla
parte
dove
sono
io
,
il
silenzio
è
alto
come
è
fitta
l
'
ombra
rotta
qua
e
là
dagli
spiragli
di
luce
dei
camerini
.
La
maschera
è
là
,
come
nei
tempi
antichi
,
come
alla
piccola
ribalta
delle
piazze
napoletane
,
inquadrata
nell
'
immaginario
finestrone
del
treno
.
Tira
invisibili
fili
e
un
'
invisibile
umanità
ride
,
di
là
dalla
ribalta
,
come
per
un
comando
sovrumano
,
in
una
misura
infallibile
.
Alla
comicità
di
Totò
si
possono
trovare
molte
origini
,
come
sempre
si
fa
quando
si
parla
di
un
attore
comico
o
,
meglio
,
del
creatore
di
una
maschera
,
sia
esso
Charlot
,
Max
Linder
,
Prince
,
Ridolini
,
Buster
Keaton
.
Pochi
argomenti
come
quello
del
creatore
di
maschere
moderne
per
il
teatro
,
per
il
cinema
o
per
il
circo
(
pensate
al
clown
Giacomino
,
amato
parimenti
da
Kuprin
,
da
Andreew
e
da
Gorkij
;
pensate
ai
Fratellini
e
a
Grock
)
si
sono
prestati
a
saggi
lunghi
e
seri
.
Petrolini
è
stato
commentato
filosoficamente
da
Bontempelli
.
Su
Charlot
esiste
una
biblioteca
e
sui
Fratellini
un
mezzo
scaffale
di
libri
.
Quella
di
Totò
è
all
'
inizio
una
comicità
da
invertebrato
;
la
sua
prima
immagine
è
un
metro
snodato
,
di
quelli
gialli
da
falegname
.
Partendo
da
qui
,
la
sua
comicità
,
ubbidiente
ad
una
macabra
geometria
,
si
è
sviluppata
e
complicata
anche
con
certi
ghigni
sinistri
che
sembrano
rubati
a
una
pittura
di
Ensor
o
a
certe
diaboliche
incisioni
di
Goya
.
Il
tubino
e
la
redingote
sono
quelli
di
Charlot
,
certe
intonazioni
sono
ancora
di
Ettore
Petrolini
,
il
naso
e
il
mento
sono
quelli
di
Pulcinella
.
Da
questo
incrocio
è
nato
Totò
.
Totò
il
buono
come
lo
ha
chiamato
Zavattini
:
un
po
'
uomo
,
un
po
'
angelo
,
un
po
'
marionetta
e
un
po
'
clown
,
come
del
resto
ai
suoi
tempi
è
stato
Charlie
Chaplin
.
Un
comico
che
fa
ridere
con
le
ossa
,
muovendo
gli
angoli
più
imprevisti
dello
scheletro
.
Si
muove
,
nei
momenti
di
parossismo
,
come
si
muovono
sulla
lavagna
i
quadrati
costruiti
sui
lati
del
triangolo
del
teorema
di
Pitagora
.
Data
la
sua
origine
napoletana
,
non
è
forse
ingiusto
ricordare
la
geometria
di
certi
gesti
dei
mimi
greci
,
tramandati
nella
pittura
dei
vasi
ellenici
.
A
questa
violentissima
capacità
di
pantomima
si
accompagna
,
per
contrasto
,
l
'
alta
mestizia
degli
occhi
più
disillusi
del
mondo
.
La
bocca
sorride
e
si
illude
,
bonaria
;
gli
occhi
non
credono
alla
favola
gaia
entro
la
quale
vivono
;
il
corpo
balla
e
si
scompone
come
nel
grottesco
di
una
danza
macabra
.
Un
personaggio
che
sarebbe
piaciuto
ai
Goncourt
,
per
il
suo
verismo
e
,
per
la
sua
fantasia
,
a
Théophile
Gautier
.
Nelle
cronache
del
teatro
francese
del
Secondo
Impero
,
c
'
è
la
storia
di
qualche
comico
spettrale
che
piacque
anche
a
Victor
Hugo
.
Non
è
,
del
resto
,
Zavattini
profeta
letterario
di
Totò
,
il
romantico
degli
angeli
e
dei
poveri
?
Anche
se
,
nella
prospettiva
teatrale
,
la
mimica
facciale
più
sottile
deve
diventare
smorfia
violenta
e
l
'
attore
deve
moltiplicare
le
dosi
della
virtù
comica
per
ottenere
«
l
'
onda
lunga
»
che
lo
metta
in
contatto
con
lo
spettatore
lontano
,
il
suo
migliore
segreto
Totò
lo
ha
nelle
sfumature
:
un
millimetrico
flettersi
delle
sopracciglia
,
un
velarsi
improvviso
dell
'
occhio
,
un
intimo
ammiccare
forse
furbesco
e
forse
di
mestizia
.
Alla
una
e
mezzo
di
notte
,
un
uomo
di
media
statura
esce
dal
teatro
.
Ha
in
testa
un
cappello
color
noisette
,
un
paltò
dello
stesso
colore
,
una
camicia
di
seta
con
le
due
punte
del
colletto
fermate
da
una
spilla
.
La
strada
è
quasi
deserta
.
Nessuno
si
ferma
e
nessuno
ci
guarda
.
«
Non
ho
avuto
»
,
dice
,
«
una
carriera
difficile
,
non
ho
vissuto
molto
,
non
ho
avuto
nemici
.
Ho
avuto
una
vita
come
tutti
gli
altri
.
Sono
come
tutti
gli
altri
.
»
In
trattoria
,
mangia
un
piatto
di
prosciutto
e
un
piatto
di
spaghetti
.
Il
fotografo
,
naturalmente
,
vuole
riprenderlo
con
la
forchetta
in
mano
.
Totò
non
è
padrone
,
l
'
ho
visto
,
della
sua
immagine
.
Quando
,
chiamandolo
per
nome
,
l
'
ho
salutato
sulla
porta
dell
'
albergo
,
l
'
autista
del
tassì
notturno
si
è
affacciato
al
suo
sportello
,
per
vederlo
.
Probabilmente
avrà
pensato
che
io
avessi
scherzato
.
StampaQuotidiana ,
Non
mi
sembra
che
il
ricordo
di
Trilussa
possa
dividersi
da
quello
della
sua
casa
romana
,
dove
mi
pare
ch
'
egli
abbia
abitato
sempre
.
La
casa
fu
costruita
,
molti
anni
fa
,
da
un
certo
Corrodi
,
che
la
destinò
tutta
a
studi
di
artisti
.
I
lavori
del
Lungotevere
,
che
erano
stati
tanto
a
cuore
di
Garibaldi
,
erano
finiti
da
poco
tempo
;
a
quel
tratto
del
Lungotevere
-
da
cui
già
si
scopriva
,
non
ancora
nascosto
dalle
nuove
costruzioni
del
quartiere
di
Prati
,
là
,
in
fondo
a
via
Cola
di
Rienzo
,
il
profilo
delle
mura
del
Vaticano
-
era
stato
dato
il
nome
antipapalino
di
Arnaldo
da
Brescia
e
,
come
un
monito
ai
pellegrini
che
si
fossero
accinti
a
varcare
il
nuovo
ponte
,
era
stata
collocata
fra
quattro
platani
la
statua
di
Ciceruacchio
,
raffigurato
dallo
Ximenes
nell
'
atto
con
cui
il
fiero
popolano
si
denuda
Il
petto
per
offrirlo
alle
scariche
del
plotone
di
esecuzione
.
Cola
di
Rienzo
,
Arnaldo
da
Brescia
,
Ciceruacchio
:
a
Roma
,
almeno
come
toponomastica
,
si
respirava
ancora
un
'
aria
molto
«
Venti
Settembre
»
.
Il
villino
del
Corrodi
era
,
ed
è
ancora
,
un
edificio
di
stile
architettonico
incerto
,
che
avrebbe
potuto
essere
ispirato
dalla
scuola
romana
fra
il
'70
e
il
'90
,
quella
del
Kock
o
dei
vecchi
Piacentini
e
Bazzani
:
un
edificio
,
in
ogni
modo
,
di
una
certa
dignità
,
e
non
destinato
certamente
ad
ospitare
dei
«
morti
de
farne
»
com
'
erano
,
in
quegli
anni
,
gli
ospiti
degli
studi
di
via
Margutta
.
Il
pianterreno
era
diviso
in
quattro
grandi
spazi
,
adatti
particolarmente
a
scultori
.
Altri
quattro
erano
al
secondo
piano
.
Non
so
con
precisione
in
quale
anno
Trilussa
,
in
cambio
di
un
mese
d
'
affitto
anticipato
-
il
pagamento
semestrale
era
,
a
quei
tempi
,
possibile
solo
nella
grassa
Milano
:
a
Roma
si
era
di
respiro
molto
più
corto
-
sia
entrato
in
possesso
delle
chiavi
di
uno
degli
otto
studi
Corrodi
.
Ma
certamente
fu
parecchi
anni
prima
della
guerra
di
Tripoli
.
Trilussa
era
giovane
,
scapolo
,
e
poeta
:
era
giusto
che
si
cercasse
quello
che
allora
si
chiamava
un
«
eremo
»
in
una
località
piuttosto
fuori
mano
.
Aveva
-
ne
ho
ritrovata
l
'
immagine
in
una
rivista
del
gennaio
del
1900
-
baffi
neri
e
folti
,
che
solo
più
tardi
moderò
secondo
la
moda
«
americana
»
:
baffi
fine
Ottocento
dei
quali
si
parla
tanto
nelle
novelle
di
Maupassant
,
che
davano
un
brivido
delizioso
quando
sfioravano
,
in
un
bacio
,
il
collo
di
una
bella
dama
.
La
statura
sua
era
altissima
:
i
giornali
del
primo
Novecento
,
quando
andava
in
giro
per
l
'
Italia
a
leggere
i
suoi
versi
,
parlavano
delle
sue
gambe
«
smisurate
»
.
Credo
che
più
che
le
muse
,
molte
belle
donne
abbiano
,
e
per
molti
anni
,
bussato
alla
porticina
del
suo
studio
:
e
questo
mi
spiega
perché
buona
parte
delle
sue
poesie
,
se
non
proprio
tutte
,
Trilussa
mi
ha
detto
di
averle
scritte
,
invece
che
in
casa
,
per
strada
,
durante
certe
passeggiate
.
E
questo
mi
spiega
perché
,
quando
i
capelli
di
Trilussa
cominciarono
a
diventare
grigi
,
egli
avesse
fatto
intagliare
,
nelle
imposte
delle
finestre
terrene
,
certi
spioncini
da
cui
poteva
,
avvicinandosi
in
pantofole
,
vedere
se
gli
conveniva
,
o
no
,
aprire
la
porta
.
Quando
gli
italiani
cominciano
a
sognare
l
'
unità
del
proprio
Paese
e
ad
agitarsi
per
essa
,
subito
nella
nostra
letteratura
,
da
una
parte
,
si
schierano
í
poeti
che
chiameremo
«
in
lingua
»
e
,
dall
'
altra
,
i
«
dialettali
»
.
Queste
sono
forse
le
contraddizioni
indicatrici
del
temperamento
italiano
.
Si
fa
deserta
,
nel
suo
parco
al
Gianicolo
,
l
'
accademia
arcadica
del
Bosco
Parrasio
tanto
cara
ai
prelati
di
Pio
IX
,
e
da
Trastevere
vengono
al
mondo
il
Belli
e
Pascarella
e
Trilussa
.
Un
poeta
della
Maremma
e
un
poeta
d
'
Abruzzo
cantano
la
gloria
della
Dea
Roma
:
i
romani
rispondono
con
i
sonetti
e
con
le
favole
di
Trilussa
,
nelle
quali
di
Roma
con
la
maiuscola
si
parla
poco
e
quasi
niente
,
e
,
invece
che
girare
per
i
Fori
e
per
la
Via
Sacra
,
si
va
per
vicoli
e
cortili
e
osterie
a
conoscere
,
da
vicino
,
il
popolino
.
Trilussa
aveva
tredici
anni
quando
il
nipote
del
poeta
e
Luigi
Morandi
,
fra
il
1886
e
il
1889
,
mandarono
fuori
i
sei
volumi
dei
sonetti
di
Gioachino
Belli
sino
allora
malamente
noti
o
addirittura
stampati
alla
macchia
.
Le
date
contano
anche
nella
vita
dei
poeti
,
soprattutto
quando
sono
ragazzi
come
lo
era
allora
Trilussa
.
Dell'82
sono
Er
morto
de
campagna
e
la
Serenata
di
Pascarella
,
dell'85
Villa
Glori
,
e
del
'93
La
scoperta
de
l
'
America
.
Sono
degli
stessi
anni
le
rime
migliori
di
Gigi
Zanazzo
che
fonda
il
Rugantino
per
accogliere
e
diffondere
le
creazioni
della
poesia
vernacola
romanesca
.
Trastevere
,
Piazza
Navona
,
la
festa
di
San
Giovanni
con
i
lampioncini
e
le
lumache
fritte
,
diventano
temi
di
poesia
in
quella
stagione
.
Se
si
guarda
al
di
là
delle
mura
di
Roma
,
troveremo
,
nello
stesso
periodo
,
i
primi
sonetti
di
Salvatore
di
Giacomo
,
Zi
'
munacella
e
'
O
funneco
verde
.
Per
un
ragazzo
che
si
senta
nato
per
parlare
in
dialetto
la
scelta
del
maestro
-
anche
se
non
si
voglia
risalire
al
Porta
che
forse
ha
insegnato
qualcosa
persino
al
Belli
-
è
piuttosto
difficile
.
Per
quanti
anni
Trilussa
dovrà
portar
il
dolce
ma
grave
peso
di
esser
chiamato
l
'
erede
di
Pascarella
,
benché
non
l
'
abbia
imitato
mai
?
Chi
ha
parlato
di
lui
,
in
occasione
della
sua
morte
,
ha
dimenticato
,
mi
sembra
,
di
notare
ciò
che
il
giornalismo
aveva
dato
,
forse
anche
usandole
violenza
,
alla
poesia
di
Trilussa
.
Dei
caratteri
«
giornalistici
»
dell
'
autore
delle
Favole
si
è
ricordato
,
con
molto
acume
,
anni
fa
Pietro
Pancrazi
.
Fu
il
giornalismo
,
l
'
obbligo
di
pubblicare
i
versi
,
prima
che
in
volume
,
in
giornali
e
in
settimanali
,
che
costrinse
Trilussa
a
rammentarsi
sempre
di
scrivere
per
un
pubblico
largo
,
che
voleva
cose
rapide
nella
stesura
,
precise
nel
bersaglio
,
immerse
tutte
nella
realtà
e
non
sospese
a
metà
strada
tra
la
descrizione
e
il
«
caso
personale
»
come
poté
permettersi
,
parlando
molti
anni
dopo
a
pochi
amici
,
il
milanese
Delio
Tessa
.
Per
prima
cosa
i
versi
di
Trilussa
dovevano
,
fra
il
1890
e
il
1900
,
piacere
al
suo
direttore
Luigi
Cesana
,
un
giornalista
che
aveva
fatto
la
fortuna
del
«
Messaggero
»
rivolgendosi
,
e
non
si
vergognava
di
dirlo
,
al
pubblico
delle
portinaie
per
salire
,
da
questo
,
a
quello
dei
piccoli
impiegati
a
lire
1100
annue
:
dovevano
piacere
ai
cronisti
di
via
del
Bufalo
,
che
anch
'
essi
fornicavano
,
come
Nino
Ilari
,
con
le
muse
vernacole
e
poetavano
di
bulli
e
di
minenti
:
dovevano
corrispondere
a
fatti
e
sentimenti
di
interesse
generale
,
evitare
,
con
un
dialetto
tutto
cose
e
senza
troppi
aggettivi
-
senza
aggettivi
ai
tempi
di
D
'
Annunzio
!
-
ogni
nebulosità
.
Dovevano
poter
essere
letti
sul
tranvai
a
cavalli
di
corso
Umberto
e
annunciati
dagli
strilloni
dei
giornali
all
'
angolo
di
via
delle
Convertite
.
Il
primo
che
doveva
ridere
delle
favole
di
Trilussa
,
o
approvarne
l
'
ironia
,
era
il
tipografo
che
ne
componeva
a
mano
il
quadretto
in
carattere
grassetto
.
Lo
scopino
che
lo
vedeva
rincasare
all
'
alba
doveva
dire
:
«
Trilussa
ha
ragione
»
e
i
vetturini
,
che
,
mentre
davano
la
biada
ai
cavalli
al
largo
del
Tritone
,
lo
vedevano
spuntare
di
lontano
con
le
sue
gambe
interminabili
,
dovevano
dire
:
«
Questo
è
il
nostro
poeta
...
»
.
Egli
doveva
«
farsi
intendere
al
volo
»
,
come
certi
comici
di
teatro
:
e
per
questo
era
giusto
che
Ojetti
,
romano
come
lui
,
-
Trilussa
era
di
Trastevere
e
Ojetti
del
Rione
Colonna
-
collocasse
certi
colori
del
suo
umorismo
,
nativamente
popolare
,
vicino
a
quelli
della
tavolozza
di
Petrolini
.
Per
molti
anni
Trilussa
era
andato
al
giornale
con
la
poesia
in
tasca
,
così
come
un
attore
,
alle
otto
,
entra
in
camerino
a
truccarsi
per
presentarsi
al
pubblico
.
Una
vita
appartata
,
un
poetare
sommesso
,
una
musa
ermetica
gli
erano
,
per
forza
di
cose
,
precluse
.
La
sua
poesia
nasceva
accanto
alla
linotype
,
mentre
quella
del
Belli
era
gelosamente
custodita
in
segretissimi
cassetti
.
Per
questo
,
dai
sonetti
giovanili
Trilussa
passò
alla
satira
delle
Favole
,
concise
,
immediate
,
sul
cui
foglio
il
redattore
-
capo
scriveva
a
matita
«
corpo
12»
e
,
mentre
le
passava
in
tipografia
,
sapeva
che
il
fattorino
se
le
sarebbe
lette
subito
in
corridoio
.
Pochi
scrittori
hanno
avuto
minori
amicizie
letterarie
di
Trilussa
.
A
Roma
vivevano
-
per
far
tre
nomi
di
valore
diametralmente
opposto
-
Pirandello
,
Grazia
Deledda
e
Zuccoli
.
Trilussa
quasi
non
li
conosceva
.
Perché
il
suo
mondo
,
estremamente
fatto
di
comunicativa
,
non
aveva
,
in
effetti
,
vasi
comunicanti
con
altri
mondi
letterari
.
Credo
che
egli
abbia
praticamente
ignorato
i
movimenti
letterari
di
«
Lacerba
»
,
della
«
Voce
»
,
della
«
Ronda
»
.
Credo
non
abbia
delirato
nemmeno
per
D
'
Annunzio
.
Nello
studio
Corrodi
,
i
libri
erano
pochi
:
e
molto
più
numerose
,
anche
se
ormai
polverose
,
erano
le
fotografie
delle
belle
donne
.
Trilussa
aveva
avuto
forse
,
ai
primi
anni
del
secolo
,
la
voglia
di
avere
anche
lui
un
po
'
di
Capponcina
:
ma
s
'
era
fermato
subito
:
il
suo
arredamento
assomigliava
più
a
quello
della
soffitta
madrilena
di
Ramon
Gomez
de
la
Serna
,
racimolato
dai
rigattieri
,
che
a
quello
del
Vittoriale
.
Il
sogno
più
ambizioso
di
Trilussa
era
stato
di
impiantare
nello
studio
un
teatro
di
burattini
.
Il
suo
salotto
intellettuale
era
al
tavolino
di
un
'
osteria
alla
Chiesa
Nuova
.
La
sua
franchezza
nell
'
accettare
il
suo
ruolo
poetico
,
anche
se
egli
doveva
sembrare
per
tanto
tempo
solamente
l
'
umorista
di
un
mondo
esclusivamente
piccolo
e
medio
-
borghese
,
è
stata
il
suo
merito
maggiore
:
quello
che
gli
ha
permesso
di
non
esulare
mai
dalla
sua
misura
e
di
non
sforzare
e
falsare
la
sua
voce
.
Egli
seppe
insomma
qual
era
non
solo
il
suo
mondo
ma
anche
la
esatta
tessitura
della
sua
voce
:
e
questa
voce
conservò
fresca
per
quasi
sessant
'
anni
.
StampaQuotidiana ,
Il
suo
viso
gentile
,
sereno
non
ha
nulla
delle
intense
«
maschere
»
di
taluni
attori
del
passato
come
Novelli
e
come
Gandusio
-
folte
sopracciglia
,
nasi
di
notevole
evidenza
,
guance
e
labbra
pronte
alla
smorfia
e
alla
grimace
-
e
può
sembrare
addirittura
quello
anonimo
di
un
giovane
bancario
o
del
vincitore
di
un
concorso
per
la
carriera
diplomatica
.
Per
accontentare
il
padre
che
lo
voleva
avvocato
,
è
anche
«
il
dott.
Valli
»
.
Non
deve
essere
stato
un
ragazzo
ribelle
.
Svolse
regolari
e
buoni
corsi
di
studio
.
Portava
a
casa
ottime
pagelle
che
il
padre
controfirmava
con
un
manifesto
segno
di
compiacenza
.
La
madre
amava
il
teatro
di
prosa
,
ma
non
avrebbe
mai
portato
il
figliolo
a
teatro
se
lo
spettacolo
non
era
approvato
dal
parroco
.
Fu
per
questo
che
lo
scolaretto
Valli
non
poté
ascoltare
Spettri
nella
interpretazione
di
Memo
Benassi
.
Il
parroco
non
credeva
il
dramma
di
Ibsen
adatto
ai
minorenni
.
Concesse
il
suo
permesso
,
all
'
indomani
,
per
Kean
.
Nella
memoria
teatrale
di
Valli
,
più
di
quel
Kean
,
è
rimasto
il
rito
familiare
dei
«
ciccioli
»
con
cui
veniva
festeggiata
Maria
Melato
,
amica
della
madre
,
ad
ogni
suo
ritorno
nella
natia
Reggio
Emilia
.
Un
lento
saporito
masticar
di
«
ciccioli
»
»
fa
da
sottofondo
alla
evocazione
delle
prime
suggestioni
sceniche
del
piccolo
Valli
.
La
sua
vocazione
teatrale
doveva
manifestarsi
assai
più
tardi
.
Fu
una
vocazione
à
rebours
,
per
dirla
con
il
titolo
di
un
famoso
romanzo
di
Huysmans
.
Fu
un
embrione
nell
'
infanzia
:
altre
vocazioni
la
nascosero
,
e
così
forse
,
nel
silenzio
,
la
protessero
,
lasciando
che
il
ragazzo
sviluppasse
in
altre
vie
le
sue
esperienze
.
Valli
frequentò
più
le
librerie
che
non
le
platee
teatrali
.
Più
che
romanzi
,
leggeva
libri
di
saggisti
e
di
memorialisti
,
prose
di
penne
attente
e
molto
vigilate
,
così
come
,
più
tardi
,
la
sua
arte
di
attore
doveva
essere
guidata
,
sui
binari
dell
'
istinto
,
con
tanta
attenzione
e
vigilanza
,
con
un
accorto
accostamento
dei
colori
comici
e
di
quelli
drammatici
.
Più
che
verso
i
fuochi
della
fantasia
,
in
letteratura
avrebbe
voluto
rivolgersi
all
'
acume
della
critica
e
dell
'
introspezione
.
Datano
negli
anni
attorno
al
'40
le
sue
prime
letture
di
Proust
;
Valli
è
rimasto
un
proustiano
fedelissimo
,
ha
sul
suo
autore
preferito
una
mezza
biblioteca
e
autografi
conservati
come
reliquie
.
Al
liceo
la
sua
precoce
tendenza
di
saggista
si
rivelò
in
certi
scritti
pubblicati
in
una
rivistina
studentesca
,
che
ebbe
un
bel
titolo
:
Temperamento
.
In
modo
del
tutto
inconsapevole
questa
rivistina
faceva
quella
che
ai
Guf
emiliani
sembrò
un
po
'
di
fronda
.
Valli
,
avviato
agli
studi
di
legge
,
pensava
che
i
suoi
essais
lo
avrebbero
portato
verso
il
giornalismo
,
verso
la
cronaca
di
«
colore
»
,
il
commento
di
costume
e
l
'
elzevirismo
.
Intanto
,
quasi
per
gioco
,
era
avvenuto
il
suo
primo
avvicinamento
al
Teatro
.
L
'
adolescente
stava
per
diventare
un
giovanotto
.
Gli
si
era
formata
una
gradevole
voce
da
tenore
.
Due
compositori
come
Ferrari
-
Trecate
e
Italo
Montemezzi
lo
avevano
ascoltato
:
il
primo
avrebbe
voluto
che
studiasse
canto
al
Conservatorio
di
Parma
.
Valli
era
concittadino
del
soprano
Celestina
Boninsegna
:
sembrava
che
Reggio
dovesse
avere
in
lui
un
altro
divo
del
bel
canto
.
Ma
la
voce
smarrì
presto
i
suoi
acuti
,
e
lo
studente
di
legge
dovette
rinunciare
ad
essere
un
giorno
Radames
o
Nemorino
.
Il
palcoscenico
del
teatro
lirico
perdette
un
tenore
;
ma
fin
dagli
anni
del
liceo
i
pubblici
affettuosi
e
confidenziali
di
Reggio
avevano
notato
,
tra
i
filodrammatici
di
un
piccolo
gruppo
studentesco
,
un
attorino
che
aveva
più
di
una
chiara
disposizione
.
L
'
occasione
si
era
presentata
per
la
prima
volta
con
una
recita
studentesca
della
Famiglia
dell
'
antiquario
di
Goldoni
.
Il
preside
del
liceo
,
molto
appassionato
di
teatro
,
aveva
fatto
le
cose
in
grande
;
aveva
noleggiato
a
Milano
scene
del
vecchio
Rovescalli
e
costumi
di
Caramba
.
Gli
studi
di
Valli
,
quell
'
anno
,
tentennavano
.
Se
passò
a
luglio
alla
maturità
classica
lo
dovette
,
sembra
,
al
vecchio
preside
,
che
,
nel
modo
con
cui
il
suo
studentello
recitava
,
aveva
intuito
una
già
ben
precisata
maturità
intellettuale
.
Cosa
lo
portava
al
teatro
?
Dal
punto
di
vista
tecnico
,
una
facoltà
istintiva
dell
'
osservazione
e
della
imitazione
,
che
ebbe
più
tardi
una
delle
sue
prove
più
singolari
quando
,
al
Piccolo
Teatro
di
Milano
,
Valli
recitò
L
'
imbecille
di
Pirandello
truccandosi
come
Carducci
ma
recitando
con
l
'
accento
e
con
i
gesti
di
Leo
Longanesi
.
Dal
punto
di
vista
intellettuale
,
lo
aiutò
il
suo
temperamento
di
giovane
critico
che
lo
portava
«
al
commento
di
un
testo
preesistente
»
.
La
sua
arte
doveva
diventare
così
quella
di
un
attore
che
,
prima
di
tutto
,
vuole
approfondire
un
testo
,
entrare
nel
personaggio
,
dare
ad
un
dialogo
un
sentimento
intellettualmente
calibrato
.
Non
si
tratta
della
freddezza
formulata
dal
«
paradosso
di
Diderot
»
,
ma
della
volontà
di
una
giusta
prospettiva
critica
:
non
abbandonarsi
al
personaggio
ma
vivere
meditatamente
con
lui
.
Valli
non
sarà
mai
un
«
mattatore
»
.
La
laurea
era
stata
presa
.
Erano
gli
anni
tragici
della
guerra
e
di
cento
esami
di
coscienza
in
sede
morale
e
politica
.
Il
ragazzo
credeva
alla
democrazia
come
ad
una
libera
apertura
della
intelligenza
.
Gli
anni
della
liberazione
lo
videro
con
in
mano
la
penna
del
giornalista
.
Dottore
in
legge
?
Sì
,
la
laurea
l
'
aveva
in
un
cassetto
.
Nascevano
uno
dopo
l
'
altro
i
nuovi
giornali
democratici
di
Reggio
:
Valli
era
socialista
,
ma
scriveva
soprattutto
di
letteratura
.
Passò
dalla
redazione
di
«
Reggio
Democratica
»
al
«
Progresso
d
'
Italia
»
,
per
approdare
finalmente
alla
«
poltrona
»
di
critico
teatrale
del
«
Lavoro
»
di
Reggio
.
Aveva
fatto
anche
del
«
colore
»
,
sedendo
al
tavolo
dei
cronisti
giudiziari
al
processo
della
saponificatrice
Cianciulli
.
È
probabile
che
i
cronisti
dei
grandi
giornali
,
che
stendevano
resoconti
di
intere
pagine
,
non
si
siano
quasi
accorti
di
avere
accanto
un
giovane
timido
giornalista
che
li
guardava
,
con
molto
rispetto
.
Sua
mamma
pensava
già
al
giorno
in
cui
lo
avrebbe
accompagnato
a
scegliere
una
stoffa
per
la
toga
di
avvocato
.
Lo
scatto
che
doveva
mutare
il
corso
del
suo
destino
fu
improvviso
:
difficilmente
immaginabile
in
un
giovanotto
tanto
«
compito
»
da
far
pensare
al
«
signore
di
buona
famiglia
»
del
disegnatore
umorista
Giuseppe
Novello
.
Fu
una
sera
,
mentre
il
giovanissimo
critico
ascoltava
una
recita
degli
attori
della
compagnia
del
Carrozzone
,
diretta
da
Fantasio
Piccoli
.
La
compagnia
viveva
in
una
dignitosissima
povertà
,
quasi
nella
miseria
.
Certe
volte
i
suoi
attori
dovevano
giustificare
,
attraverso
complicate
tesi
registiche
,
il
fatto
di
poter
indossare
solamente
costumi
di
carta
colorata
.
Valli
si
infiammò
per
il
fervore
di
quei
ragazzi
,
scelti
con
la
loro
fresca
passione
dai
baratri
della
guerra
.
Andò
in
palcoscenico
a
salutarli
.
Lo
accolsero
come
un
critico
;
ma
compresero
subito
che
il
giornalista
di
Reggio
Emilia
era
salito
lassù
per
diventare
attore
.
Rincasando
alle
due
di
notte
-
era
l
'
ultima
sera
di
recite
del
Carrozzone
-
Valli
entrò
in
camera
di
sua
madre
.
«
Ho
da
dirti
una
cosa
,
mamma
...
»
.
«
Cos
'
è
accaduto
?
»
.
«
Non
allarmarti
mamma
.
Dovresti
prepararmi
una
valigia
.,.»
.
«
Parti
per
il
giornale
?
»
.
«
No
,
mamma
...
Parto
domattina
per
fare
l
'attore...»
.
Quando
,
in
D
'
amore
si
muore
,
Valli
finge
di
parlare
al
telefono
con
la
madre
,
arrivata
a
Roma
per
salutare
il
figlio
«
cinematografaro
»
,
mi
pare
ch
'
egli
debba
pensar
di
parlare
veramente
con
sua
mamma
,
come
quando
la
signora
Valli
arrivava
sulle
tracce
del
figlio
partito
con
il
disperatissimo
,
scannatissimo
Carrozzone
.
Cosa
dissero
a
Reggio
?
La
considerarono
una
malattia
.
«
Vedrà
,
signora
Valli
...
Passerà
...
»
.
Valli
mi
sembra
,
fra
gli
attori
nostri
più
giovani
,
da
definirsi
come
«
l
'
attore
che
parla
»
.
Parla
-
egli
non
ha
potuto
sentirlo
-
come
parlava
Alberto
Giovannini
,
ai
tempi
della
«
compagnia
dei
giovani
»
guidata
da
Virgilio
Talli
.
Parla
con
una
acutezza
di
indagine
che
lo
fa
preciso
in
quella
sua
capacità
assai
rara
di
comporre
il
ritratto
di
un
personaggio
,
escludendo
ogni
sottolineatura
superflua
.
Fosse
uno
scrittore
,
si
direbbe
che
la
sua
prosa
è
senza
aggettivi
:
tutta
sostantivi
e
cose
,
senza
sbavature
di
effetti
frondosi
,
senza
soste
o
modulazioni
compiaciute
,
in
un
ritmo
che
dà
uno
smalto
alla
realtà
ma
che
non
si
fa
soffocare
dal
minuzioso
realismo
.
Una
ragazza
,
che
l
'
ha
visto
e
ascoltato
nella
parte
del
padre
di
Anna
Frank
,
gli
ha
scritto
:
«
Vorrei
,
signor
Valli
,
avere
un
papà
come
lei
»
.