Saggistica ,
Parte
prima
I.LA
PAROLA
UMORISMO
Alessandro
D
'
Ancona
,
in
quel
suo
notissimo
studio
su
Cecco
Angiolieri
da
Siena
(
in
Studi
di
Critica
e
Storia
Letteraria
,
Bologna
,
Zanichelli
ed
.
,
1880
)
,
dopo
aver
notato
quanto
vi
sia
di
burlesco
in
questo
nostro
poeta
del
sec
.
XIII
,
osserva
:
Ma
per
noi
l
'
Angiolieri
non
è
soltanto
un
burlesco
:
bensì
anche
,
e
più
propriamente
,
un
umorista
.
E
qui
i
camarlinghi
della
favella
ci
faccian
pure
il
viso
dell
'
arme
,
ma
non
pretendano
di
dire
che
in
italiano
bisogna
rassegnarsi
a
non
dir
la
cosa
,
perché
non
abbiam
la
parola
.
E
,
accortamente
,
in
una
nota
a
piè
di
pagina
(
pag
.
179
)
,
soggiunge
:
È
curioso
però
che
il
traduttore
francese
di
una
dissertazione
tedesca
sull
'
Humour
,
inserita
nel
Recueil
de
pièces
intéressantes
,
concernant
les
antiquités
,
les
beaux
-
arts
,
les
belles
-
lettres
et
la
philosophie
,
traduites
de
différentes
langues
,
citando
il
Riedel
,
Theor
.
d
.
Schönen
Künste
,
I
.
artic
.
Laune
,
sostenga
che
sebbene
gli
Inglesi
,
ed
il
Congreve
in
particolare
,
rivendichino
per
sé
i
vocaboli
humour
e
humourist
,
il
est
néanmoins
certain
qu
'
ils
viennent
de
l
'
italien
.
E
quindi
il
D
'
Ancona
riprende
:
Del
resto
,
poi
,
la
nostra
lingua
ha
umore
per
fantasia
,
capriccio
,
e
umorista
per
fantastico
:
e
gli
umori
dell
'
animo
e
del
cervello
ognun
sa
che
stanno
in
stretta
relazione
con
la
poesia
umorista
.
E
l
'
Italia
ebbe
ai
suoi
tempi
le
accademie
degli
Umorosi
a
Bologna
ed
a
Cortona
e
degli
Umoristi
in
Roma
,
e
speriamo
che
i
mali
umori
della
politica
non
le
facciano
mai
venir
meno
i
begli
umori
nel
regno
dell
'arte».(E
anche
a
Napoli
(
Arch
.
stor
.
p
.
le
prov
.
nap
.
V
.
608
)
.
E
perché
non
citare
anche
quella
degli
Umidi
di
Firenze
di
cui
il
Lasca
disse
(
Lett
.
a
Mes
.
Lorenzo
Scala
,
premessa
al
primo
libro
delle
opere
burlesche
,
ed
.
Bern
.
Giunta
1548
)
:
la
quale
(
Accademia
degli
Umidi
)
principalmente
fa
professione
,
essendovi
tutte
persone
dentro
allegre
e
spensierate
,
dello
stil
burlesco
,
giocondo
,
lieto
,
amorevole
e
,
per
dir
così
,
buon
compagno
»
?
Si
vedano
,
per
altro
,
a
proposito
delle
parole
umore
e
umorismo
,
il
Baldensperger
,
Les
definitions
de
l
'
humour
in
Eluder
d
'
bistoire
littéraire
,
Paris
,
Hachette
,
1907
e
lo
Spingarn
nell
'
introduzione
del
primo
volume
della
sua
raccolta
Critical
Essays
of
the
Seventeenth
Century
,
Oxford
,
Clarendon
Press
,
1908;
nonché
ciò
che
ne
dice
il
Croce
in
Critica
,
vol
.
VII
,
pagine
219-20
)
.
La
parola
umore
derivò
a
noi
naturalmente
dal
latino
e
col
senso
materiale
che
essa
aveva
di
corpo
fluido
,
liquore
,
umidità
o
vapore
,
e
col
senso
anche
di
fantasia
,
capriccio
o
vigore
.
Aliquantum
habeo
humoris
in
corpore
,
neque
dum
exarui
ex
amoenis
rebus
et
voluptariis
(
Plauto
)
.
Qui
humor
non
ha
evidentemente
senso
materiale
,
perché
sappiamo
che
,
fin
dai
tempi
più
antichi
,
ogni
umore
nel
corpo
era
ritenuto
segno
o
cagione
di
malattia
.
Li
uomini
,
si
legge
in
un
vecchio
libro
di
mascalcia
,
hanno
quattro
umori
:
cioè
lo
sangue
,
la
collera
,
la
flemma
e
la
malinconia
:
e
questi
umori
sono
cagione
delle
infermità
degli
uomini
.
E
in
Brunetto
Latini
:
Malinconia
è
un
umore
,
che
molti
chiamano
collera
nera
,
ed
è
fredda
,
e
secca
,
ed
ha
il
suo
sedio
nello
spino
com
'
è
in
somma
nel
latino
di
Cicerone
e
di
Plinio
.
Sant
'
Agostino
poi
in
un
suo
sermone
ci
fa
sapere
che
i
porri
accendono
la
collera
,
i
cavoli
generano
malinconia
(
Cecco
Angiolieri
in
uno
dei
suoi
sonetti
,
parlando
della
madre
che
gli
vuol
male
,
dopo
avere
enumerato
alcuni
cibi
dannosi
ch
'
ella
gli
consiglia
,
dice
:
E
se
di
questo
non
avessi
voglia
E
stessi
quasimente
su
la
colla
Molto
mi
loda
porri
con
la
foglia
)
.
Sarà
bene
,
trattando
dell
'
umorismo
,
tener
presente
anche
quest
'
altro
significato
di
malattia
della
parola
umore
,
e
che
malinconia
,
prima
di
significare
quella
delicata
affezione
o
passion
d
'
animo
che
intendiamo
noi
,
abbia
avuto
in
origine
il
senso
di
bile
o
fiele
e
sia
stata
per
gli
antichi
un
umore
nel
significato
materiale
della
parola
.
Vedremo
appresso
la
relazione
che
le
due
parole
umore
e
malinconia
avranno
tra
loro
assumendo
un
senso
spirituale
.
Diciamo
intanto
che
tal
relazione
,
se
non
mancò
affatto
nello
spirito
della
nostra
lingua
,
certo
non
vi
apparve
chiaramente
.
Da
noi
,
in
fatti
,
la
parola
umore
o
serba
il
significato
materiale
,
tanto
che
un
proverbio
toscano
può
dire
:
Chi
ha
umore
non
ha
sapore
(
alludendo
alle
frutta
acquose
)
;
o
,
se
assume
un
significato
spirituale
,
esprime
sì
inclinazione
,
natura
,
disposizione
o
stato
passeggero
d
'
animo
o
anche
fantasia
,
pensiero
,
capriccio
,
ma
senza
una
qualità
determinata
;
tanto
vero
che
dobbiamo
dire
umor
tristo
o
gajo
,
o
tetro
,
buono
o
cattivo
o
bell
'
umore
,
ecc
.
In
somma
,
la
parola
italiana
umore
non
è
la
inglese
humour
.
Questa
,
come
dice
il
Tommaseo
,
racchiude
.
e
contempera
le
nostre
espressioni
bell
'
umore
,
buonumore
,
e
malumore
.
C
'
entrano
un
po
'
,
dunque
,
i
cavoli
di
Sant
'
Agostino
.
Discutiamo
adesso
su
la
parola
,
non
su
la
cosa
:
è
bene
avvertirlo
,
perché
non
vorremmo
si
credesse
che
a
noi
manchi
veramente
la
cosa
per
il
solo
fatto
che
la
parola
nostra
non
riuscì
idealmente
a
serbare
e
a
contemperare
in
sé
ciò
che
già
materialmente
includeva
.
Vedremo
che
tutto
,
in
fondo
,
si
riduce
a
un
bisogno
di
più
chiara
distinzione
che
sentiamo
noi
,
perché
,
o
bello
o
buono
o
tetro
o
gajo
,
umore
è
sempre
,
e
non
è
diverso
dall
'
inglese
nell
'
essenza
,
ma
nelle
modificazioni
che
naturalmente
vi
imprimono
la
lingua
diversa
e
la
varia
natura
degli
scrittori
.
Del
resto
,
non
si
creda
che
la
parola
inglese
humour
e
il
suo
derivato
umorismo
siano
di
così
facile
comprensione
.
Il
D
'
Ancona
stesso
,
in
quel
suo
saggio
su
l
'
Angiolieri
,
su
cui
più
tardi
dovremo
ritornare
,
confessa
:
S
'
io
dovessi
dare
una
definizione
dell
'
umorismo
sarei
davvero
molto
impacciato
.
Ed
ha
ragione
.
Tutti
dicono
così
.
Piuttosto
no
'
l
comprendo
,
che
te
'
l
dica
.
Di
tutte
quelle
tentate
nei
secoli
XVIII
e
XIX
parla
in
un
suo
studio
già
citato
,
il
Baldensperger
,
per
concludere
,
a
modo
del
Croce
,
che
:
il
n
y
a
pas
d
'
humour
,
il
n
'
y
a
que
des
humouristes
,
come
se
per
poter
dire
o
riconoscere
che
questo
o
quello
scrittore
è
un
umorista
,
non
si
dovesse
avere
un
qualche
concetto
dell
'
umorismo
,
e
bastasse
sostenere
,
come
fa
il
Cazamian
,
citato
dallo
stesso
Baldensperger
,
che
l
'
umorismo
sfugge
alla
scienza
,
perché
gli
elementi
caratteristici
e
costanti
di
esso
sono
in
piccolo
numero
e
sopra
tutto
negativi
,
laddove
gli
elementi
variabili
sono
in
numero
indeterminato
.
Sì
.
Anche
l
'
Addison
stimava
più
facile
dire
ciò
che
l
'
humour
non
è
,
che
dire
ciò
che
è
.
E
tutte
le
fatiche
che
si
son
fatte
per
definirlo
ricordano
veramente
quelle
speciosissime
che
si
fecero
nel
secolo
XVII
per
definir
l
'
ingegno
(
oh
,
il
Cannocchiale
aristotelico
di
Emmanuele
Tesauro
!
)
e
il
gusto
o
buon
gusto
e
quell
'
ineffabile
non
so
che
,
per
cui
il
Bouhours
scriveva
:
Les
Italiens
,
qui
font
mystère
de
tout
,
emploient
en
toutes
rencontres
leur
non
so
che
:
on
ne
voit
rien
de
plus
commun
dans
leurs
poëtes
.
Gl
'
Italiani
qui
font
mystère
de
tout
.
Ma
andate
a
domandare
ai
Francesi
che
cosa
intendono
per
esprit
.
Quanto
all
'
umorismo
,
certo
è
seguita
il
D
'
Ancona
che
la
definizione
non
è
facile
,
perché
l
'
umorismo
ha
infinite
varietà
,
secondo
le
nazioni
,
i
tempi
,
gl
'
ingegni
,
e
quel
di
Rabelais
e
di
Merlin
Coccajo
non
è
una
cosa
coll
'
umorismo
dello
Sterne
,
dello
Swift
o
di
Gian
Paolo
,
e
la
vena
umoristica
dell
'
Heine
e
del
Musset
non
è
di
egual
sapore
.
Non
vi
ha
poi
forse
alcun
altro
genere
nel
quale
sia
,
o
dovrebbe
esser
più
sottil
differenza
dalla
forma
prosaica
alla
poetica
,
per
quanto
ciò
non
venga
sempre
avvertito
dai
lettori
,
e
neanche
dagli
scrittori
.
Ma
di
ciò
,
e
delle
ragioni
di
queste
differenze
,
e
delle
varietà
fra
l
'
umore
e
la
satira
e
l
'
epigramma
e
la
facezia
e
la
parodia
e
il
comico
d
'
ogni
foggia
e
qualità
,
e
se
,
come
vuole
il
Richter
,
alcuni
umoristi
sieno
semplicemente
lunatici
,
non
è
qui
il
luogo
di
discutere
.
Certo
è
questo
,
che
un
fondo
comune
vi
è
in
tutti
coloro
che
la
voce
pubblica
raccoglie
sotto
la
stessa
denominazione
di
umoristi
.
L
'
osservazione
in
fondo
è
giusta
;
ma
piano
con
la
voce
pubblica
!
-
vorremmo
dire
al
D
'
Ancona
.
Dopo
la
parola
romanticismo
,
la
parola
più
abusata
e
sbagliata
in
Italia
(
in
Italia
soltanto
?
)
è
quella
di
umorismo
.
Se
fossero
realmente
umoristi
gli
scrittori
,
i
libri
,
i
giornali
battezzati
con
questo
nome
,
noi
non
avremmo
nulla
da
invidiare
alla
patria
di
Sterne
e
di
Thackeray
o
a
quella
di
Gian
Paolo
e
di
Heine
.
Non
si
potrebbe
uscir
di
casa
senza
incontrar
per
la
strada
due
o
tre
Cervantes
e
una
mezza
dozzina
di
Dickens
...
Vogliamo
solo
notare
fin
da
principio
che
vi
è
una
babilonica
confusione
nell
'
interpretazione
della
voce
umorismo
.
Per
il
gran
numero
,
scrittore
umoristico
è
lo
scrittore
che
fa
ridere
:
il
comico
,
il
burlesco
,
il
satirico
;
il
grottesco
,
il
triviale
:
la
caricatura
,
la
farsa
,
l
'
epigramma
,
il
calembour
si
battezzano
per
umorismo
:
come
da
un
pezzo
si
costuma
di
chiamare
romantico
tutto
ciò
che
vi
è
di
più
arcadico
e
sentimentale
,
di
più
falso
e
barocco
.
Si
confonde
Paul
de
Kock
con
Dickens
,
e
il
visconte
d
'
Arlincourt
con
Victor
Hugo
.
Questo
notava
Enrico
Nencioni
,
già
fin
dal
1884
,
in
un
articolo
su
la
Nuova
Antologia
intitolato
appunto
L
'
Umorismo
e
gli
Umoristi
,
che
fece
molto
rumore
.
Non
si
può
dir
veramente
che
la
voce
pubblica
in
tutto
questo
lasso
di
tempo
,
si
sia
ricreduta
.
Anche
oggi
,
per
il
gran
numero
,
scrittore
umoristico
è
lo
scrittore
che
fa
ridere
.
Ma
,
ripeto
,
perché
in
Italia
soltanto
?
Da
per
tutto
!
Il
volgo
non
può
intendere
i
segreti
contrasti
,
le
sottili
finezze
del
vero
umorismo
.
Si
confondono
anche
altrove
la
caricatura
,
la
farsa
bislacca
,
il
grottesco
con
l
'
umorismo
;
si
confondono
anche
là
dove
al
Nencioni
sembrava
(
e
non
a
lui
soltanto
)
che
l
'
umorismo
stesse
di
casa
:
non
ha
forse
nome
d
'
umorista
Mark
Twain
,
i
cui
racconti
sono
,
secondo
la
sua
stessa
definizione
,
una
collezione
di
eccellenti
cose
,
prodigiosamente
divertenti
,
che
strappano
il
riso
anche
dai
volti
più
ingrugniti
?
Il
giornalismo
,
un
certo
giornalismo
si
è
impadronito
della
parola
,
l
'
ha
adottata
e
,
sforzandosi
di
far
ridere
più
o
meno
sguajatamente
a
ogni
costo
,
l
'
ha
divulgata
in
questo
falso
senso
.
Cosicché
ogni
vero
umorista
prova
oggi
ritegno
,
anzi
sdegno
a
qualificarsi
per
tale
.
Umorista
,
sì
,
ma
...
non
confondiamo
,
si
sente
il
bisogno
d
'
avvertire
:
umorista
nel
vero
senso
della
parola
.
Come
dire
:
Badate
ch
'
io
non
mi
propongo
di
farvi
ridere
facendo
sgambettar
le
parole
.
E
più
d
'
uno
,
per
non
passar
da
buffone
,
per
non
esser
confuso
coi
centomila
umoristi
da
strapazzo
,
ha
voluto
buttar
via
la
parola
sciupata
,
abbandonarla
al
volgo
,
e
adottarne
un
'
altra
:
ironismo
,
ironista
.
Come
da
umore
,
umorismo
;
da
ironia
,
ironismo
.
Ma
ironia
,
in
che
senso
?
Bisognerà
distinguere
,
anche
qui
.
Perché
c
'
è
un
modo
retorico
e
un
altro
filosofico
d
'
intendere
l
'
ironia
.
L
'
ironia
,
come
figura
retorica
,
racchiude
in
sé
un
infingimento
che
è
assolutamente
contrario
alla
natura
dello
schietto
umorismo
.
Implica
sì
,
questa
figura
retorica
,
una
contradizione
,
ma
fittizia
,
tra
quel
che
si
dice
e
quel
che
si
vuole
sia
inteso
.
La
contradizione
dell
'
umorismo
non
è
mai
,
invece
,
fittizia
ma
essenziale
,
come
vedremo
,
e
di
ben
altra
natura
.
Quando
Dante
aggrava
la
riprensione
eccettuando
dal
numero
dei
ripresi
chi
è
più
riprensibile
,
come
per
la
brigata
dei
prodighi
matti
,
allor
che
esclama
:
...
Or
fu
giammai
-
Gente
si
vana
?
e
un
dannato
risponde
:
Tranne
lo
Stricca
...
E
tranne
la
brigata
;
oppure
là
dove
dice
:
Ogni
uom
v
'
è
barattier
fuor
che
Bonturo
;
o
quando
rammenta
il
bene
per
esacerbare
il
sentimento
del
male
,
come
fanno
i
diavoli
al
barattier
lucchese
:
...
Qui
non
ha
luogo
il
Santo
Volto
:
Qui
si
nuota
altrimenti
che
nel
Serchio
;
o
quando
a
chi
parla
fa
rammentare
i
proprii
vantaggi
nell
'
usarli
aspramente
,
come
fa
quell
'
altro
diavolo
che
toglie
a
S
.
Francesco
l
'
anima
d
'
un
reo
,
argomentando
teologicamente
su
la
penitenza
,
per
modo
che
quell
'
anima
presa
da
lui
si
sente
dire
:
Forse
Tu
non
pensavi
,
ch
'
io
loico
fossi
;
o
quando
esclama
:
Godi
,
Firenze
,
poiché
se
'
sì
grande
;
oppure
:
Fiorenza
mia
,
ben
puoi
esser
contenta
Di
questa
digression
che
non
ti
tocca
Or
ti
fa
lieta
,
ché
tu
hai
ben
onde
;
Tu
ricca
,
tu
con
pace
,
e
tu
con
senno
...
dà
mirabili
esempii
di
ironia
nel
senso
retorico
della
parola
:
ma
né
qui
,
né
in
altro
punto
,
del
resto
,
della
Comedia
,
non
è
traccia
d
'
umorismo
.
Un
altro
senso
,
dicevamo
,
e
questo
filosofico
,
fu
dato
alla
parola
ironia
in
Germania
.
Lo
dedussero
Federico
Schlegel
e
Ludovico
Tieck
direttamente
dall
'
idealismo
soggettivo
del
Fichte
;
ma
deriva
in
fondo
da
tutto
il
movimento
idealistico
e
romantico
tedesco
post
-
kantiano
.
L
'
Io
,
sola
realtà
vera
,
spiegava
Hegel
,
può
sorridere
della
vana
parvenza
dell
'
universo
:
come
la
pone
,
può
anche
annullarla
;
può
non
prender
sul
serio
le
proprie
creazioni
.
Onde
l
'
ironia
:
cioè
quella
forza
secondo
il
Tieck
che
permette
al
poeta
di
dominar
la
materia
che
tratta
;
materia
che
si
riduce
per
essa
secondo
Federico
Schlegel
a
una
perpetua
parodia
,
a
una
farsa
trascendentale
.
Trascendentale
più
d
'
un
po
'
,
osserveremo
noi
,
questa
concezione
dell
'
ironia
:
né
,
del
resto
,
se
consideriamo
per
poco
donde
ci
viene
,
poteva
essere
altrimenti
.
Tuttavia
essa
ha
,
o
può
avere
,
almeno
in
un
certo
senso
,
qualche
parentela
col
vero
umorismo
,
più
stretta
certamente
che
non
l
'
ironia
retorica
,
da
cui
,
in
fondo
,
tira
tira
,
si
potrebbe
veder
derivare
.
Qui
,
nell
'
ironia
retorica
,
non
bisogna
prender
sul
serio
quel
che
si
dice
;
lì
,
nella
romantica
,
si
può
non
prender
sul
serio
quel
che
si
fa
.
L
'
ironia
retorica
sarebbe
,
rispetto
alla
romantica
,
come
quella
famosa
rana
della
favola
,
la
quale
,
trasportata
nel
macchinoso
mondo
dell
'
idealismo
metafisico
tedesco
e
abbottandosi
qua
più
di
vento
che
d
'
acqua
,
fosse
riuscita
ad
assumere
le
invidiate
proporzioni
del
bue
.
L
'
infingimento
,
quella
tal
contradizione
fittizia
,
di
cui
parla
la
retorica
,
è
diventata
qua
,
a
furia
di
gonfiarsi
,
la
vana
parvenza
dell
'
universo
.
Ora
ecco
:
se
l
'
umorismo
consistesse
tutto
nella
puntura
di
spillo
che
svescia
quella
rana
abbottata
,
ironia
e
umorismo
sarebbero
press
'
a
poco
la
stessa
cosa
.
Ma
l
'
umorismo
,
come
vedremo
,
non
è
tutto
in
questa
puntura
di
spillo
.
Al
solito
,
Federico
Schlegel
non
fece
altro
qui
che
esagerare
idee
e
teorie
altrui
:
oltre
all
'
idealismo
soggettivo
del
Fichte
,
la
famosa
teoria
del
giuoco
esposta
dallo
Schiller
nelle
27
lettere
Ueber
die
aesthetische
Erziehung
des
Menschen
.
Il
Fichte
aveva
voluto
,
in
fondo
,
compire
la
dottrina
kantiana
del
dovere
:
dicendo
che
l
'
universo
è
creato
dallo
spirito
,
dall
'
Io
,
che
è
anche
divinità
,
l
'
anima
dell
'
essenza
del
mondo
,
che
genera
tutto
ed
è
impersonale
,
che
è
volontà
infaticabile
,
la
quale
racchiude
in
sé
ragione
,
libertà
,
moralità
;
aveva
voluto
dimostrare
il
dovere
dei
singoli
uomini
di
sottomettersi
al
volere
della
totalità
e
di
tendere
al
culmine
dell
'
armonia
morale
.
Ora
,
quest
'
Io
del
Fichte
diventò
l
'
io
individuale
,
il
piccolo
io
strambo
del
signor
Federico
Schlegel
,
che
con
un
cannellino
e
un
po
'
d
'
acqua
saponata
si
mise
allegramente
a
gonfiar
bolle
di
sapone
:
vane
parvenze
d
'
universo
,
mondi
;
e
a
soffiarci
su
.
E
questo
era
il
giuoco
.
Povero
Schiller
!
Non
poteva
esser
falsato
in
modo
più
indegno
il
suo
Spieltrieb
.
Ma
il
signor
Federico
Schlegel
prese
alla
lettera
le
parole
:
der
Mensch
soll
mit
der
Schönheit
nur
spielen
,
und
er
soll
nur
mit
der
Schönheit
spielen
.
Denn
,
um
es
endlich
auf
einmal
herauszusagen
,
der
Mensch
spielt
nur
,
wo
er
in
voller
Bedeutung
des
Worts
Mensch
ist
,
und
er
ist
nur
da
ganz
Mensch
,
wo
er
spielt
(
Lettera
XV
)
,
e
disse
che
per
il
poeta
l
'
ironia
consiste
nel
non
fondersi
mai
del
tutto
con
l
'
opera
propria
,
nel
non
perdere
,
neppure
nel
momento
del
patetico
,
la
coscienza
della
irrealtà
delle
sue
creazioni
,
nel
non
essere
lo
zimbello
dei
fantasmi
da
lui
stesso
evocati
,
nel
sorridere
del
lettore
che
si
lascerà
prendere
al
giuoco
e
anche
di
sé
stesso
che
la
propria
vita
consacra
a
giocare
(
Vedi
Victor
Basch
,
La
poëtique
de
F
.
Schiller
,
Paris
,
Alcan
,
1902
)
.
Intesa
in
questo
senso
l
'
ironia
,
ognun
vede
come
a
torto
essa
venga
attribuita
a
certi
scrittori
,
come
ad
esempio
,
al
nostro
Manzoni
,
che
della
realtà
oggettiva
,
della
verità
storica
si
fece
una
vera
e
propria
fissazione
,
fino
a
condannare
il
suo
stesso
capolavoro
.
Né
d
'
altra
parte
si
può
attribuire
al
Manzoni
quell
'
altra
ironia
,
la
retorica
,
giacché
nessuna
contradizione
fittizia
si
trova
mai
in
lui
tra
quel
che
dice
e
quel
che
vuole
sia
inteso
,
contradizione
frutto
di
sdegno
.
Il
Manzoni
non
si
sdegna
mai
della
realtà
in
contrasto
col
suo
ideale
:
per
compassione
transige
qua
e
là
e
spesso
indulge
,
rappresentando
ogni
volta
minutamente
,
in
forma
viva
,
le
ragioni
del
suo
transigere
e
del
suo
indulgere
:
il
che
,
come
vedremo
,
è
proprio
dell
'
umorismo
.
La
sostituzione
di
ironismo
,
ironista
a
umorismo
,
umorista
non
sarebbe
quindi
legittima
.
Dall
'
ironia
,
anche
quando
sia
usata
a
fin
di
bene
,
non
si
sa
disgiungere
l
'
idea
di
un
che
di
beffardo
e
di
mordace
.
Ora
,
beffardi
e
mordaci
possono
essere
anche
scrittori
indubbiamente
umoristici
,
ma
il
loro
umorismo
non
consisterà
già
in
questa
beffa
mordace
.
È
pur
vero
però
che
a
una
parola
si
può
per
comune
accordo
alterare
il
significato
.
Tante
parole
che
noi
adoperiamo
adesso
in
un
senso
,
ne
avevano
un
altro
in
antico
.
E
se
alla
parola
umorismo
,
come
abbiamo
veduto
,
s
'
è
già
veramente
alterato
il
senso
,
non
ci
sarebbe
in
fondo
nulla
di
male
se
per
determinare
,
per
significare
senza
equivoco
la
cosa
venisse
adoperata
un
'
altra
parola
.
II
.
QUESTIONI
PRELIMINARI
Prima
di
entrare
a
parlar
dell
'
essenza
,
dei
caratteri
e
della
materia
dell
'
umorismo
,
dobbiamo
sgomberarci
il
terreno
di
tre
altre
questioni
preliminari
:
1
)
se
l
'
umorismo
sia
fenomeno
letterario
esclusivamente
moderno
;
2
)
se
esotico
per
noi
;
3
)
se
specialmente
nordico
.
Queste
tre
questioni
si
ricollegano
strettamente
con
quella
più
vasta
e
complessa
della
differenza
dell
'
arte
moderna
dall
'
arte
antica
,
lungamente
agitata
durante
la
lotta
tra
classicismo
e
romanticismo
,
per
un
verso
;
e
,
per
l
'
altro
,
del
romanticismo
considerato
dalle
genti
anglo
-
germaniche
come
una
rivalsa
contro
il
classicismo
delle
genti
latine
.
Vedremo
in
fatti
ripresi
nelle
varie
dispute
su
l
'
umorismo
tutti
gli
argomenti
della
critica
romantica
,
a
cominciare
da
quelli
dello
Schiller
,
il
quale
,
col
saggio
famoso
Ueber
naive
und
sentimentalische
Dichtung
,
fu
,
a
dire
del
Goethe
il
fondatore
di
tutta
l
'
estetica
moderna
(
Zur
Naturwissenschaft
im
Allgemeinen
.
Tomo
XXXIV
delle
Opere
,
ed
.
Hempel
,
pag
.
96-97;
ma
il
Goethe
non
tenne
conto
che
prima
dello
Schiller
lo
Herder
aveva
distinto
Natur
-
poesie
da
Kunst
-
poesie
.
Vedi
anche
V
.
Basch
,
op
.
cit
.
)
.
Questi
argomenti
sono
ben
noti
:
il
subiettivismo
del
poeta
speculativo
-
sentimentale
,
rappresentante
dell
'
arte
moderna
,
in
contrapposto
con
l
'
obiettivismo
del
poeta
istintivo
o
ingenuo
,
rappresentante
dell
'
arte
antica
;
il
contrasto
tra
l
'
ideale
e
il
reale
;
la
serenità
marmorea
,
l
'
equilibrio
dignitoso
,
la
bellezza
esteriore
dell
'
arte
antica
contro
l
'
esaltazione
dei
sentimenti
,
il
vago
,
l
'
infinito
,
l
'
indeterminato
delle
aspirazioni
,
le
melanconie
,
la
nostalgia
,
la
bellezza
interiore
dell
'
arte
moderna
;
e
da
un
canto
le
bassure
del
verismo
della
poesia
ingenua
,
e
dall
'
altro
le
nebbie
dell
'
astrazione
e
il
capogiro
intellettuale
della
poesia
sentimentale
(
Vedi
G
.
Muoni
,
Note
per
una
poetica
storica
del
romanticismo
,
Milano
,
Società
Ed
.
Libr
.
,
1906
)
;
l
'
azione
del
cristianesimo
;
l
'
elemento
filosofico
;
l
'
incoerenza
dell
'
arte
moderna
opposta
all
'
armonia
della
poesia
greca
;
le
particolarità
singole
di
fronte
alle
tipificazioni
classiche
;
la
ragione
che
s
'
interessa
del
valore
filosofico
del
contenuto
più
che
della
vaghezza
della
forma
esteriore
;
il
sentimento
profondo
di
un
'
interna
disunione
,
di
una
doppia
natura
dell
'
uomo
moderno
,
ecc
.
ecc
.
Per
darne
qualche
prova
,
citeremo
ciò
che
scriveva
il
Nencioni
in
quel
suo
studio
su
L
'
Umorismo
e
gli
Umoristi
,
di
cui
abbiamo
già
fatto
parola
:
L
'
antichità
,
nel
suo
felice
equilibrio
dei
sensi
e
dei
sentimenti
,
guardò
con
calma
statuaria
anche
nelle
tragiche
profondità
del
destino
.
L
'
anima
umana
era
sana
e
giovine
allora
,
né
il
cuore
e
la
intelligenza
erano
stati
tormentati
da
trenta
secoli
di
precetti
e
di
sistemi
,
di
dolori
e
di
dubbi
.
Nessuna
penosa
dottrina
,
nessuna
crisi
interiore
aveva
alterato
la
serena
armonia
della
vita
e
del
temperamento
umano
.
Ma
il
tempo
e
il
cristianesimo
hanno
insegnato
all
'
uomo
moderno
a
contemplare
l
'
infinito
,
a
paragonarlo
con
l
'
effimero
e
doloroso
soffio
della
vita
presente
.
Il
nostro
organismo
e
continuamente
eccitato
e
sovreccitato
;
e
secolari
dolori
hanno
umanizzato
il
nostro
cuore
.
Noi
guardiamo
nell
'
anima
umana
,
e
nella
natura
con
una
simpatia
più
penetrante
,
e
vi
troviamo
delle
arcane
relazioni
e
un
'
intima
poesia
ignote
all
'
antichità
...
Il
riso
d
'
artista
e
la
comica
fantasia
di
Aristofane
,
alcuni
dialoghi
di
Luciano
,
sono
eccezioni
.
L
'
antichità
non
ebbe
,
né
poteva
avere
,
letteratura
umoristica
...
Si
direbbe
che
questa
sia
la
caratteristica
delle
letterature
anglo
-
germaniche
.
Il
cielo
crepuscolare
e
l
'
umido
suolo
del
Nord
sembrano
esser
più
acconci
a
nutrire
la
delicata
e
strana
pianta
dell
'
umorismo
»
.
Concedeva
però
il
Nencioni
che
anche
sotto
il
cielo
azzurro
e
nella
vita
facile
delle
razze
latine
l
'
umorismo
ha
talora
fiorito
e
due
o
tre
volte
in
modo
unico
,
meraviglioso
.
E
parlava
in
fatti
del
Rabelais
e
del
Cervantes
,
e
anche
dell
'
umorismo
realista
e
vivente
di
Carlo
Porta
e
di
quello
delicato
e
desolato
di
Carlo
Bini
,
e
diceva
il
don
Abbondio
del
Manzoni
una
creazione
umoristica
di
prim
'
ordine
.
Più
reciso
nella
negazione
fu
Giorgio
Arcoleo
(
L
'
Umorismo
nell
'
arte
moderna
.
Due
conferenze
al
Circolo
filologico
di
Napoli
,
Napoli
,
Detken
ed
.
,
1885
)
,
il
quale
,
pur
ammettendo
che
la
nota
dell
'
umorismo
,
speciale
della
letteratura
moderna
,
non
manchi
di
legami
col
mondo
antico
,
e
pur
citando
quell
'
insegnamento
di
Socrate
che
dice
:
Una
è
l
'
origine
dell
'
allegria
e
della
tristezza
:
nei
contrapposti
un
'
idea
non
si
conosce
che
per
la
sua
contraria
:
della
stessa
materia
si
forma
il
socco
e
il
coturno
,
soggiungeva
:
Questo
lo
intelletto
greco
pensava
:
ma
l
'
Arte
non
potea
esprimerlo
:
la
percezione
dei
contrasti
rimaneva
nel
campo
astratto
,
perché
diversa
era
la
vita
.
La
Teogonia
avvolgeva
l
'
anima
nel
mito
;
l
'
Epopea
i
fatti
umani
nella
leggenda
;
la
Politica
le
forze
individuali
nella
suprema
legge
dello
Stato
.
L
'
Antichità
costrinse
serenamente
le
forme
nell
'
armonia
del
finito
:
vide
il
Ciclope
o
lo
Gnomo
,
le
Grazie
o
le
Parche
.
Come
la
vita
avea
liberi
o
servi
,
onnipotenti
o
impotenti
,
così
la
scienza
ebbe
sorrisi
o
pianto
:
Eraclito
o
Democrito
;
e
la
letteratura
ebbe
tragedie
o
commedie
.
Tutt
'
al
più
il
contrasto
dalla
sfera
dell
'
intelletto
passò
nell
'
altra
dell
'
immaginazione
,
si
tramutò
in
fantasma
,
e
allora
Aristofane
fece
la
satira
dei
sofisti
,
Luciano
degli
Dei
.
Ma
se
il
Paganesimo
si
era
obliato
nella
magnificenza
delle
forme
e
della
natura
,
il
Medio
Evo
si
tormentò
nei
dubbii
e
nelle
angosce
dello
spirito
.
Fu
triste
,
ebbe
sogni
agitati
da
spettri
:
la
potenza
baronale
finiva
spesso
nei
conventi
,
la
bellezza
nei
chiostri
.
La
corruttela
romana
non
seduceva
neppure
come
ricordo
:
la
dissoluzione
del
grande
Impero
aveva
inoculato
negli
animi
l
'
idea
dell
'
impotenza
.
A
rovescio
del
mondo
antico
:
questo
rimpiccolì
nelle
forme
plastiche
le
energie
soprannaturali
;
il
Medio
Evo
le
allargò
nell
'
infinito
:
e
,
compreso
dallo
spazio
e
dal
tempo
,
lo
spirito
umano
si
annullò
con
braminica
rassegnazione
.
Tale
depressione
soffocò
ogni
spirito
d
'
iniziativa
e
di
ricerca
.
Nelle
credenze
sovraneggiò
il
dogma
,
nella
scienza
l
'
erudizione
,
nell
'
arte
la
copia
,
nel
costume
la
disciplina
.
L
'
umanità
nel
suo
periodo
di
decadenza
romana
avea
sostenuto
i
dolori
della
vita
coll
'
indifferenza
dello
stoico
:
ne
avea
cercato
i
piaceri
con
la
sensualità
dell
'
epicureo
:
nel
Medio
Evo
volle
sottrarsi
alla
vita
con
l
'
estasi
:
donde
una
nuova
mitologia
cristiana
,
popolata
di
rimorsi
,
di
paure
,
di
preghiere
.
Il
pensiero
seguiva
la
fede
:
il
manuale
di
logica
era
un
'
appendice
del
catechismo
.
In
tali
condizioni
dominava
il
terrore
,
si
aspettava
il
finimondo
...
Finalmente
nella
materia
come
nello
spirito
sorge
un
nuovo
mondo
.
È
un
periodo
di
esultanza
e
al
tempo
stesso
di
mestizia
e
di
riflessione
:
ma
si
rivela
con
due
tendenze
spiccate
,
l
'
una
presso
le
razze
germaniche
,
l
'
altra
presso
le
latine
:
lì
il
libero
esame
o
la
Riforma
:
qui
il
culto
della
bellezza
e
della
forza
,
la
Rinascenza
.
I
contrasti
si
moltiplicano
nelle
istituzioni
,
nella
vita
privata
,
nei
costumi
,
nelle
leggi
,
nella
letteratura
...
Non
è
antitesi
percepita
dall
'
intelletto
o
intravista
dalla
fantasia
;
non
è
lotta
contro
la
natura
umana
,
come
nell
'
età
di
mezzo
;
è
dissonanza
che
stride
in
tutte
le
sfere
del
pensiero
e
dell
'
azione
:
è
il
dissidio
tra
lo
spirito
nuovo
e
le
forme
vecchie
.
In
tale
situazione
il
trionfo
dell
'
uno
o
dell
'
altra
ha
influenza
decisiva
sulle
istituzioni
,
sulla
scienza
,
sull
'
arte
.
Qui
appunto
va
notata
la
differenza
dei
risultati
nelle
razze
germaniche
e
nelle
latine
:
differenza
che
spiega
in
gran
parte
,
perché
l
'
umorismo
ebbe
tanto
sviluppo
presso
le
prime
,
e
riuscì
quasi
nullo
presso
le
seconde
.
Ora
,
si
dovrebbe
innanzi
tutto
intendere
che
,
prendendo
in
esame
un
'
eccezionale
e
speciosissima
espressione
d
'
arte
come
l
'
umoristica
,
queste
rapide
sintesi
,
queste
ideali
ricostruzioni
storiche
,
non
sono
ammissibili
.
Come
nella
formazione
d
'
una
leggenda
l
'
immaginazione
collettiva
rigetta
tutti
gli
elementi
,
i
tratti
,
i
caratteri
discordanti
con
la
natura
ideale
d
'
un
dato
fatto
o
d
'
un
dato
personaggio
ed
evoca
invece
e
combina
tutte
le
immagini
convenienti
;
così
,
nel
tracciare
in
breve
la
sintesi
d
'
una
data
epoca
,
inevitabilmente
noi
siamo
indotti
a
non
tener
conto
di
tanti
particolari
in
contradizione
,
delle
singole
espressioni
.
Non
possiamo
prestare
orecchio
alle
voci
che
protestano
in
mezzo
a
un
coro
soverchiante
.
Nella
lontananza
,
si
sa
,
certi
colori
accesi
,
sparsi
qua
e
là
,
si
attenuano
,
si
smorzano
,
si
fondono
nella
tinta
generale
,
azzurra
o
grigia
,
del
paesaggio
.
Perché
questi
colori
risaltino
,
riassumendo
intera
la
loro
individualità
,
bisogna
che
noi
ci
avviciniamo
:
riconosceremo
allora
come
e
quanto
ci
avesse
ingannato
la
lontananza
.
Seguendo
le
teorie
del
Taine
,
considerando
i
fenomeni
morali
come
soggetti
anch
'
essi
al
determinismo
al
pari
dei
fenomeni
fisici
,
la
storia
umana
come
parte
della
naturale
,
l
'
opera
d
'
arte
come
il
prodotto
di
determinati
fattori
e
di
determinate
leggi
,
e
cioè
di
quella
delle
dipendenze
e
di
quella
delle
condizioni
,
con
le
regole
che
ne
derivano
:
del
carattere
essenziale
o
della
facoltà
dominante
,
dalla
prima
;
delle
forze
primordiali
,
razza
,
ambiente
,
momento
,
dalla
seconda
;
e
vedendo
esclusivamente
nelle
espressioni
artistiche
gli
effetti
necessarii
di
forze
naturali
e
sociali
;
non
penetreremo
mai
nell
'
intimità
dell
'
arte
,
ci
rappresenteremo
per
forza
tutte
le
manifestazioni
d
'
un
dato
tempo
come
solidali
tra
loro
e
complementari
,
per
modo
che
ciascuna
necessiti
le
altre
e
tutte
insieme
rispecchino
quelle
qualità
che
,
secondo
il
nostro
concetto
o
la
nostra
idea
sommaria
,
le
ha
raccolte
e
prodotte
;
non
già
la
realtà
infinitamente
varia
e
continuamente
mutabile
,
e
i
singoli
sentimenti
di
essa
,
varii
infinitamente
e
continuamente
mutabili
anch
'
essi
.
Dopo
aver
considerato
il
cielo
,
il
clima
,
il
sole
,
la
società
,
i
costumi
,
i
pregiudizii
,
ecc
.
,
non
dobbiamo
forse
appuntar
lo
sguardo
sui
singoli
individui
e
domandarci
che
cosa
siano
divenuti
in
ciascuno
di
essi
questi
elementi
,
secondo
lo
speciale
organamento
psichico
,
la
combinazione
originaria
,
unica
,
che
costituisce
questo
o
quell
'
individuo
?
Dove
uno
s
'
abbandona
,
l
'
altro
si
rivolta
;
dove
uno
piange
,
l
'
altro
ride
;
e
ci
può
esser
sempre
qualcuno
che
ride
e
piange
a
un
tempo
.
Del
mondo
che
lo
circonda
,
l
'
uomo
,
in
questo
o
in
quel
tempo
,
non
vede
se
non
ciò
che
lo
interessa
:
fin
dall
'
infanzia
,
senza
neppur
sospettarlo
,
egli
fa
una
scelta
d
'
elementi
e
li
accetta
e
accoglie
in
sé
;
e
questi
elementi
,
più
tardi
,
sotto
l
'
azione
del
sentimento
,
s
'
agiteranno
per
combinarsi
nei
modi
più
svariati
.
L
'
Antichità
costrinse
serenamente
le
forme
nell
'
armonia
del
finito
.
Ecco
una
sintesi
.
Tutta
l
'
antichità
?
Nessun
antico
escluso
?
Il
Ciclope
o
lo
Gnomo
,
le
Grazie
o
le
Parche
.
E
non
anche
le
Sirene
,
metà
donne
,
metà
pesce
?
La
vita
non
aveva
che
o
liberi
o
servi
.
E
non
poteva
qualche
libero
sentirsi
servo
e
qualche
servo
sentirsi
libero
entro
di
.
sé
?
Non
cita
lo
stesso
Arcoleo
Diogene
che
chiude
il
mondo
nella
botte
,
e
non
accetta
la
grandezza
d
'
Alessandro
,
se
gli
toglie
la
vista
del
sole
?
E
che
vuol
dire
che
l
'
intelletto
greco
poteva
percepire
il
contrasto
e
l
'
Arte
non
poteva
esprimerlo
perché
la
vita
era
diversa
?
Com
'
era
la
vita
?
O
tutta
pianto
o
tutta
riso
?
E
come
faceva
allora
l
'
intelletto
a
cogliere
il
contrasto
?
Ogni
astrazione
bisogna
che
abbia
per
forza
radice
in
un
fatto
concreto
.
C
'
era
dunque
il
pianto
e
il
riso
,
non
il
pianto
o
il
riso
;
e
se
l
'
intelletto
poteva
cogliere
il
contrasto
,
perché
non
avrebbe
potuto
esprimerlo
l
'
arte
?
Tutt
'
al
più
dice
l
'
Arcoleo
il
contrasto
dalla
sfera
dell
'
intelletto
passò
nell
'
altra
dell
'
immaginazione
,
si
tramutò
in
fantasma
,
e
allora
Aristofane
fece
la
satira
dei
sofisti
,
e
Luciano
degli
Dei
.
Che
vuol
dire
quel
tutt
'
al
più
?
Se
il
contrasto
dalla
sfera
dell
'
intelletto
passò
in
quella
dell
'
immaginazione
e
si
tramutò
in
fantasma
,
vuol
dire
che
divenne
arte
.
E
allora
?
Lasciamo
andare
Aristofane
che
,
come
vedremo
,
non
ha
nulla
da
fare
con
l
'
umorismo
;
ma
Luciano
non
è
soltanto
autore
del
dialogo
degli
Dei
.
E
andiamo
avanti
.
Il
mondo
antico
rimpiccolì
nelle
forme
plastiche
le
energie
soprannaturali
.
Ecco
un
'
altra
sintesi
.
Tutto
il
mondo
antico
e
tutte
le
energie
soprannaturali
?
anche
il
fato
?
E
tutta
l
'
Italia
del
rinascimento
rimase
nei
suoi
gusti
pagana
,
serena
;
non
ebbe
curiosità
,
non
intimità
?
Vedremo
.
Parliamo
d
'
umorismo
e
delle
espressioni
artistiche
di
esso
,
espressioni
eccezionali
e
speciosissime
,
ripeto
:
ci
basterebbe
un
umorista
solo
;
ne
troveremo
parecchi
,
in
ogni
tempo
,
in
ogni
luogo
;
e
diremo
la
ragione
per
cui
i
nostri
segnatamente
ci
debba
parere
che
non
siano
tali
.
Tutte
le
partizioni
sono
arbitrarie
.
Poco
dopo
la
pubblicazione
del
saggio
del
Nencioni
,
che
negava
come
abbiamo
veduto
all
'
antichità
una
letteratura
umoristica
,
non
solo
,
ma
anche
la
possibilità
di
averla
,
sorsero
da
noi
prima
il
Fraccaroli
,
con
uno
studio
intitolato
appunto
Per
gli
Umoristi
dell
'
Antichità
(
Verona
,
1885
)
,
poi
il
Bonghi
(
zLa
coltura
,
15
gennaio
1886
)
,
poi
altri
ancora
a
rilevare
nelle
letterature
classiche
e
specialmente
nella
greca
,
assai
più
umorismo
,
che
non
avesse
saputo
vedere
il
Nencioni
.
Quel
felice
equilibrio
,
quella
calma
statuaria
e
l
'
anima
sana
e
giovine
e
la
serena
armonia
della
vita
e
del
temperamento
degli
antichi
,
come
la
natura
rappresentata
da
questi
con
precisione
e
con
fedeltà
,
senza
melanconia
né
nostalgia
,
sono
vecchi
cavalli
di
battaglia
della
critica
romantica
.
Già
lo
stesso
Schiller
,
autore
primo
della
partizione
,
dovette
riconoscere
che
Euripide
,
Orazio
,
Properzio
,
Virgilio
non
si
erano
fatti
un
concetto
ingenuo
della
natura
e
quindi
concludere
che
vi
erano
anime
sentimentali
presso
gli
antichi
e
anime
greche
presso
i
moderni
,
e
cancellare
così
,
come
impossibile
a
mantenere
,
la
linea
divisoria
tra
ispirazione
antica
e
ispirazione
moderna
.
Su
le
tracce
del
Biese
,
che
scrisse
su
l
'
evoluzione
del
sentimento
della
natura
presso
i
greci
(
Die
Entwickelung
des
Naturgefühls
bei
den
Griechen
,
Kiel
,
1882;
abbiamo
su
l
'
argomento
lavori
più
recenti
)
,
il
Basch
dimostrò
agevolmente
quanto
di
sentimentale
vi
fosse
nella
poesia
e
nel
pensiero
dei
Greci
,
nella
mitologia
primitiva
,
nelle
metamorfosi
spesso
grottesche
delle
divinità
,
nell
'
utopia
nostalgica
dell
'
età
dell
'
oro
,
nella
raffinata
melanconia
dei
lirici
e
degli
elegiaci
in
ispecie
,
che
rappresentarono
la
natura
non
solamente
comme
cadre
des
sentiments
de
l
'
âme
,
mais
encore
comme
ayant
des
profondes
et
mystérieuses
affinités
avec
ses
sentiments
.
Anche
lo
Herder
,
autore
della
partizione
tra
Natur
-
poesie
e
Kunst
poesie
,
non
dava
ad
essa
un
senso
rigorosamente
cronologico
.
E
il
Richter
negava
che
il
cristianesimo
fosse
causa
e
origine
esclusiva
della
nuova
poesia
,
giacché
i
poemi
scandinavi
dell
'
Edda
e
quelli
dell
'
India
eran
nati
fuori
del
misticismo
cristiano
;
e
,
ripetendo
l
'
osservazione
del
Herder
che
nessun
poeta
resta
fedele
ad
un
'
ispirazione
sentimentale
unica
,
chiamava
romantici
non
già
gli
autori
,
ma
quelle
fra
le
opere
ch
'
erano
d
'
ispirazione
sentimentale
.
Arrigo
Heine
diceva
nella
Germania
che
si
era
caduti
in
un
deplorevole
errore
chiamando
plastica
l
'
arte
classica
,
come
se
ogni
arte
,
antica
o
moderna
,
volendo
esser
arte
,
non
dovesse
per
forza
esser
plastica
nella
sua
forma
esteriore
.
Ed
è
inutile
ricordare
qui
a
quali
strette
si
trovò
Victor
Hugo
,
volendo
additare
come
principio
dell
'
arte
moderna
la
famosa
teoria
del
grottesco
,
di
fronte
a
Vulcano
,
a
Polifemo
,
a
Sileno
,
ai
tritoni
,
ai
satiri
,
ai
ciclopi
,
alle
sirene
,
alle
furie
,
alle
Parche
,
alle
arpie
,
al
Tersite
omerico
,
alle
dramatis
persone
delle
commedie
aristofanesche
.
D
'
altra
parte
,
nessuno
più
si
sogna
di
negare
che
anch
'
essi
gli
antichi
avessero
l
'
idea
della
profonda
infelicità
degli
uomini
.
La
espressero
,
del
resto
,
chiaramente
filosofi
e
poeti
.
Ma
,
al
solito
,
anche
tra
il
dolore
antico
e
il
dolore
moderno
si
è
voluto
vedere
da
alcuni
una
differenza
quasi
sostanziale
,
e
si
è
sostenuto
che
vi
è
una
lugubre
progressione
nel
dolore
,
svolgentesi
con
la
storia
stessa
della
civiltà
,
una
progressione
che
ha
fondamento
nella
sensibilità
dell
'
umana
coscienza
,
sempre
più
delicata
,
e
nell
'
irritabilità
e
nella
incontentabilità
di
essa
di
mano
in
mano
sempre
maggiori
.
Ma
questo
lo
aveva
già
detto
,
se
non
c
'
inganniamo
,
fin
dal
tempo
dei
tempi
,
Salomone
.
Accrescimento
di
scienza
,
accrescimento
di
dolore
.
E
aveva
proprio
ragione
,
fin
dal
tempo
dei
tempi
,
Salomone
?
Sta
a
vedere
.
Se
le
passioni
,
quanto
più
si
afforzano
e
si
affinano
,
tanto
più
acquistano
una
specie
d
'
attrazione
e
di
compenetrazione
scambievole
;
se
con
l
'
ajuto
della
fantasia
e
dei
sensi
noi
ci
inoltriamo
,
come
dicono
,
in
un
processo
d
'
universalizzazione
che
si
fa
sempre
più
rapido
e
sempre
più
invadente
,
sicché
in
un
dolore
ci
par
di
sentire
più
dolori
,
tutti
i
dolori
,
soffriamo
noi
per
questo
veramente
di
più
?
No
:
perché
questo
accrescimento
,
se
mai
,
è
a
scapito
dell
'
intensità
.
E
ben
per
questo
il
Leopardi
notava
acutamente
che
il
dolore
antico
era
un
dolor
disperato
,
come
suoi
essere
in
natura
,
com
'
è
ancora
nei
popoli
barbari
e
semi
-
selvaggi
o
nelle
genti
della
campagna
,
senza
il
conforto
cioè
della
sensibilità
,
senza
la
dolce
rassegnazione
alle
sventure
.
Facilmente
oggi
,
agli
occhi
nostri
,
se
crediamo
d
'
essere
infelici
,
il
mondo
si
converte
in
un
teatro
d
'
universale
infelicità
?
Vuol
dire
che
,
invece
di
sprofondarci
nel
nostro
proprio
dolore
,
noi
lo
allarghiamo
,
lo
diffondiamo
nell
'
universo
.
Ci
strappiamo
la
spina
,
e
ci
avvolgiamo
in
una
nuvola
nera
.
Cresce
la
noja
,
ma
si
spunta
e
si
attenua
il
dolore
.
Però
,
ecco
,
e
quel
tal
tedio
della
vita
dei
contemporanei
di
Lucrezio
?
e
quella
tal
tristezza
misantropica
di
Timone
?
Oh
via
!
è
proprio
inutile
sfoggiare
esempii
e
citazioni
.
Sono
questioni
,
disquisizioni
,
argomentazioni
accademiche
.
L
'
umanità
passata
non
c
'
è
bisogno
di
cercarla
lontano
:
è
sempre
in
noi
,
tal
quale
.
Possiamo
tutt
'
al
più
ammettere
che
oggi
,
per
questa
se
vuolsi
cresciuta
sensibilità
e
per
il
progresso
(
ahimè
)
della
civiltà
,
siano
più
comuni
quelle
disposizioni
di
spirito
,
quelle
condizioni
di
vita
più
favorevoli
al
fenomeno
dell
'
umorismo
,
o
meglio
,
di
un
certo
umorismo
;
ma
è
assolutamente
arbitrario
il
negare
che
tali
disposizioni
non
esistessero
o
non
potessero
esistere
in
antico
.
A
buon
conto
,
Diogene
,
con
la
sua
botte
e
la
sua
lanterna
,
non
è
di
jeri
;
e
nulla
di
più
serio
nel
ridicolo
e
di
più
ridicolo
nel
serio
.
Eccezioni
,
come
dice
il
Nencioni
e
ripete
l
'
Arcoleo
,
Aristofane
e
Luciano
?
Ma
eccezioni
,
allora
,
anche
Swift
e
Sterne
.
Tutta
l
'
arte
umoristica
,
ripetiamo
,
è
stata
sempre
ed
è
tuttavia
arte
d
'
eccezione
.
Diverso
il
pianto
,
secondo
questa
critica
,
e
diverso
naturalmente
anche
il
riso
degli
antichi
.
Notissima
,
la
distinzione
di
Gian
Paolo
Richter
tra
comico
classico
e
comico
romantico
:
facezia
grossolana
,
satira
volgare
,
derisione
de
'
vizii
e
dei
difetti
,
senza
alcuna
commiserazione
o
pietà
,
quello
;
umore
,
questo
,
cioè
riso
filosofico
,
misto
di
dolore
,
perché
nato
dalla
comparazione
del
piccolo
mondo
finito
con
la
idea
infinita
,
riso
pieno
di
tolleranza
e
di
simpatia
.
Da
noi
il
Leopardi
,
che
ebbe
sempre
la
nostalgia
del
passato
e
che
nei
Pensieri
di
varia
filosofia
e
di
bella
letteratura
volle
far
notare
che
egli
sentiva
il
dolore
non
a
modo
dei
romantici
,
ma
a
modo
degli
antichi
,
cioè
il
dolore
disperato
,
difese
pure
il
comico
antico
contro
il
moderno
,
il
comico
antico
che
era
veramente
sostanzioso
,
esprimeva
sempre
e
metteva
sotto
gli
occhi
,
per
dir
così
,
un
corpo
di
ridicolo
,
mentre
il
moderno
un
'
ombra
,
uno
spirito
,
un
vento
,
un
soffio
,
un
fumo
.
Quello
empieva
di
riso
,
questo
appena
lo
fa
gustare
;
quello
era
solido
,
questo
fugace
;
quello
consisteva
in
immagini
,
similitudini
,
paragoni
,
racconti
,
insomma
cose
ridicole
;
questo
in
parole
,
generalmente
e
sommariamente
parlando
,
e
nasce
da
quella
tal
composizione
di
voci
,
da
quello
equivoco
,
da
quella
tale
allusione
di
parole
,
da
quel
giocolino
di
parole
,
da
quella
tal
parola
appunto
di
maniera
che
,
togliete
quelle
allusioni
,
scomponete
e
ordinate
diversamente
quelle
parole
,
levate
quell
'
equivoco
,
sostituite
una
parola
in
cambio
d
'
un
'
altra
,
svanisce
il
ridicolo
.
E
cita
l
'
esempio
di
Luciano
che
paragona
gli
Dei
sospesi
al
fuso
della
Parca
ai
pesciolini
sospesi
alla
canna
del
pescatore
.
Poi
avverte
:
Ma
forse
e
senza
forse
,
presentemente
,
e
massime
ai
francesi
,
par
grossolano
quel
che
una
volta
si
chiamava
sale
attico
,
e
piacque
ai
greci
,
popolo
il
più
civile
dell
'
antichità
e
ai
latini
.
E
può
essere
che
anche
Orazio
avesse
una
simile
opinione
,
quando
disse
male
de
'
sali
di
Plauto
;
e
in
fatti
le
Satire
e
le
Epistole
di
Orazio
non
sono
di
così
solido
ridicolo
come
l
'
antico
comico
greco
e
latino
,
ma
né
anche
di
gran
lunga
così
sottile
come
il
moderno
.
Ora
,
a
forza
di
motti
,
si
è
renduto
spirituale
anche
il
ridicolo
,
assottigliato
tanto
che
ormai
non
è
più
né
pur
liquore
,
ma
un
etere
,
un
vapore
;
e
questo
solo
si
stima
ridicolo
degno
delle
persone
di
buon
gusto
e
di
spirito
e
di
vero
buon
tono
,
e
degno
del
bel
mondo
e
della
civile
conversazione
.
Il
ridicolo
delle
antiche
commedie
nasceva
anche
molto
dalle
operazioni
stesse
che
erano
introdotti
a
fare
i
personaggi
sulla
scena
,
e
quivi
ancora
era
non
piccola
sorgente
di
sale
,
ma
pura
azione
;
come
nelle
Cerimonie
del
Maffei
:
commedia
piena
di
vero
e
antico
ridicolo
,
quel
salire
di
Orazio
per
la
finestra
a
fine
di
evitare
i
complimenti
alle
porte
.
Un
'
altra
gran
differenza
tra
il
ridicolo
antico
e
il
moderno
è
che
quello
era
preso
da
cose
popolari
e
domestiche
o
almeno
non
della
più
fina
conversazione
,
la
quale
poi
non
esisteva
ancor
per
lo
meno
così
raffinata
;
ma
il
moderno
,
massime
il
francese
,
versa
principalmente
intorno
al
più
squisito
mondo
,
alle
cose
dei
nobili
più
raffinati
,
alle
vicende
domestiche
delle
famiglie
più
moderne
,
ecc
.
,
ecc
.
(
come
anche
proporzionatamente
era
il
ridicolo
d
'
Orazio
)
:
sicché
quello
era
un
ridicolo
che
avea
corpo
,
e
,
come
il
filo
di
un
'
arma
che
non
sia
troppo
aguzzo
,
durò
lungo
tempo
;
dove
questo
,
come
ha
una
punta
sottilissima
,
più
o
meno
secondo
i
tempi
e
le
nazioni
,
così
anche
in
un
batter
d
'
occhio
si
logora
e
si
consuma
,
e
dal
volgo
poi
non
si
sente
,
come
il
taglio
del
rasojo
a
prima
giunta
.
Il
Leopardi
,
evidentemente
,
parla
qui
dell
'
esprit
francese
in
contrapposizione
del
ridicolo
classico
,
senza
pensare
che
questo
esprit
de
conversation
,
le
talent
de
faire
des
mors
,
le
goût
des
petites
phrases
vives
,
fines
,
imprévues
,
ingénieuses
,
dardées
avec
gaieté
ou
malice
(
Vedi
H
.
Taine
,
Notes
sur
l
'
Angleterre
,
Paris
,
Hachette
et
Cie
,
douzième
édition
,
1903
,
-
ch
.
VIII
.
De
l
'
esprit
anglais
,
pag
.
339
)
,
è
classico
anch
'
esso
e
antichissimo
in
Francia
:
Duas
res
industriosissime
persequitur
gens
Gallorum
,
rem
militarem
et
argute
loqui
.
Questo
esprit
nativo
in
Francia
,
che
si
raffina
anch
'
esso
a
mano
a
mano
e
diviene
un
po
'
convenzionale
,
elegante
,
aristocratico
,
in
certi
periodi
letterarii
,
non
è
certamente
l
'
humour
moderno
,
e
tanto
meno
quello
inglese
che
il
Taine
gli
contrappone
,
come
fatto
appunto
di
case
più
che
di
parole
o
,
sotto
un
certo
aspetto
,
fatto
di
buon
senso
,
se
come
pensava
il
Joubert
esprit
consiste
nell
'
aver
molte
idee
inutili
e
il
buon
senso
nell
'
esser
provvisto
di
nozioni
necessarie
.
Non
confondiamo
dunque
.
Nel
1899
Alberto
Cantoni
,
argutissimo
nostro
umorista
(
vedi
su
lui
il
mio
saggio
Un
critico
fantastico
nel
vol
.
Arte
e
scienza
,
Roma
,
W
.
Modes
ed
.
,
1908
)
,
che
sentiva
profondamente
il
dissidio
interno
tra
la
ragione
e
il
sentimento
e
soffriva
di
non
poter
essere
ingenuo
come
prepotentemente
in
lui
la
natura
avrebbe
voluto
,
riprese
l
'
argomento
in
una
sua
novella
critica
intitolata
Humour
classico
e
moderno
(
il
Cantoni
chiama
propriamente
questo
suo
lavoro
grottesco
,
forse
per
la
contaminazione
dell
'
elemento
fantastico
con
la
critica
)
,
nella
quale
immagina
che
un
bel
vecchio
rubicondo
e
gioviale
,
che
rappresenta
l
'
Humour
classico
,
e
un
ometto
smilzo
e
circospetto
,
con
una
faccia
un
poco
sdolcinata
e
un
poco
motteggiatrice
,
che
rappresenta
l
'
Humour
moderno
,
s
'
incontrino
a
Bergamo
innanzi
al
monumento
a
Gaetano
Donizetti
e
là
,
senz
'
altro
,
si
mettono
a
disputare
tra
loro
e
poi
si
lanciano
una
sfida
,
si
propongono
cioè
d
'
andare
in
campagna
lì
presso
,
a
Clusone
,
dove
si
tiene
una
fiera
,
ognuno
per
conto
proprio
,
come
se
non
si
fossero
mai
visti
,
e
di
ritornare
poi
la
sera
,
daccapo
,
innanzi
al
monumento
di
Donizetti
,
recando
ciascuno
le
fugaci
e
particolari
impressioni
della
gita
per
metterle
a
paragone
.
Invece
di
discorrere
criticamente
della
natura
,
delle
intenzioni
,
del
sapore
dell
'
umorismo
antico
e
del
moderno
,
il
Cantoni
,
in
questa
novella
,
riferisce
vivacemente
,
in
un
dialogo
brioso
,
le
impressioni
del
vecchio
gioviale
e
dell
'
ometto
circospetto
raccolte
alla
fiera
di
Clusone
.
Quelle
del
primo
avrebbero
potuto
essere
argomento
d
'
una
novella
del
Boccaccio
,
del
Firenzuola
,
del
Bandello
;
i
correnti
e
le
variazioni
sentimentali
dell
'
altro
hanno
invece
il
sapore
di
quelle
dello
Sterne
nel
Sentimental
Journey
o
del
Heine
nei
Reisebilder
.
Il
Cantoni
,
prediligendo
la
natura
ingenua
e
schietta
,
terrebbe
nella
disputa
dalla
parte
del
vecchio
rubicondo
,
se
non
fosse
costretto
a
riconoscere
ch
'
esso
ha
voluto
rimanere
tal
quale
assai
più
che
non
lo
comportassero
gli
anni
e
che
è
volgaruccio
e
spesso
vergognosamente
sensuale
;
ma
poi
,
sentendo
anche
In
sé
il
dissidio
che
tiene
scissa
e
sdoppiata
l
'
anima
di
quell
'
altro
,
dell
'
ometto
smilzo
,
lo
fa
mordere
dal
vecchio
con
aspre
parole
:
A
forza
di
ripetere
continuamente
che
tu
sembri
sorriso
e
che
sei
dolore
...
n
'
è
venuto
che
oramai
non
si
sa
più
né
che
cosa
veramente
tu
sembri
,
né
che
cosa
veramente
tu
sia
...
Se
tu
ti
potessi
vedere
,
non
capiresti
,
come
me
,
se
tu
abbia
più
voglia
di
piangere
o
di
sorridere
.
Adesso
è
vero
gli
risponde
l
'
Humour
moderno
.
Perché
adesso
penso
solamente
che
voi
vi
siete
fermato
a
mezza
via
.
Al
vostro
tempo
le
gioje
e
le
angustie
della
vita
avevano
due
forme
o
almeno
due
parvenze
più
semplici
e
molto
dissimili
fra
di
loro
,
e
niente
era
più
facile
che
sceverare
le
une
dalle
altre
per
poi
rialzare
le
prime
a
danno
delle
seconde
,
o
viceversa
;
ma
dopo
,
cioè
al
tempo
mio
,
è
sopravvenuta
la
critica
e
felice
notte
;
s
'
è
brancolato
molto
tempo
a
non
sapere
né
che
cosa
fosse
il
meglio
,
né
che
cosa
fosse
il
peggio
,
finché
principiarono
ad
apparire
,
dopo
essere
stati
così
gran
tempo
assai
nascosti
,
i
lati
dolorosi
della
gioja
e
i
lati
risibili
del
dolore
umano
.
Anche
gli
antichi
solevano
sostenere
che
il
piacere
non
era
altro
che
la
cessazione
del
dolore
e
che
il
dolore
stesso
,
ben
esaminato
,
non
era
punto
il
male
;
ma
le
sostenevano
sul
serio
queste
belle
cose
:
come
dire
che
non
ne
erano
niente
penetrati
;
adesso
invece
è
venuto
pur
troppo
il
tempo
mio
e
si
ripete
,
aimè
,
quasi
ridendo
,
cioè
con
la
più
profonda
persuasione
,
che
i
due
suddetti
elementi
,
attaccati
da
poco
in
qua
alla
gioja
e
al
dolore
,
hanno
assunto
aspetti
così
incerti
e
così
trascolorati
che
non
si
possono
più
,
nonché
separare
,
nemmeno
distinguere
.
Ne
è
venuto
che
i
miei
contemporanei
non
sanno
ora
più
essere
né
ben
contenti
,
né
bene
malcontenti
mai
,
e
che
voi
solo
non
bastate
più
né
a
far
fermentare
il
misurato
sollazzo
dei
primi
e
né
a
divergere
le
sofistiche
tremerelle
dei
secondi
.
Ci
voglio
io
,
che
mescolo
tutto
scientemente
,
per
fare
svanire
da
una
parte
quanto
più
posso
ingannevoli
miraggi
e
per
limare
dall
'
altra
quante
più
trovo
superflue
asperità
.
Vivo
di
espedienti
e
di
cuscinetti
,
io
...
Bella
vita
!
esclama
il
vecchio
.
E
l
'
ometto
smilzo
séguita
:
...
per
arrivare
possibilmente
ad
uno
stato
intermedio
che
rappresenti
come
la
sostanza
grigia
dell
'
umana
sensibilità
.
Si
sente
troppo
adesso
,
come
troppo
s
'
è
riso
a
ufo
ed
a
credenza
in
altri
tempi
:
urge
però
che
il
pensiero
regga
le
briglie
alla
più
incomposta
manifestazione
del
sentimento
...
Rimpiango
sempre
di
non
aver
potuto
ereditare
le
vostre
illusioni
,
e
mi
rallegro
nello
stesso
tempo
di
trovarmi
di
qua
dal
fosso
,
bene
agguerrito
contro
alle
insidie
delle
illusioni
stesse
!
O
che
avete
?
Perché
mi
affisate
a
codesto
modo
?
Penso
,
risponde
il
vecchio
,
che
se
vuoi
proprio
aver
due
anime
in
una
,
fai
molto
bene
a
non
assumere
la
famosa
guardatura
di
quel
vedovo
innamorato
,
che
a
sinistra
piangeva
la
morta
e
a
destra
faceva
l
'
occhietto
alla
viva
.
Tu
invece
vuoi
piangere
e
far
l
'
occhietto
insieme
,
da
tutte
due
le
parti
,
come
dire
che
non
ci
si
capisce
più
nulla
.
Come
nel
dramma
romantico
che
i
due
bravi
borghesi
Dupuis
e
Cotonet
vedevano
:
vêtu
de
blanc
et
de
noir
,
riant
d
'
un
oeil
et
pleurant
de
l
'
autre
.
Ma
abbiamo
confusione
anche
qui
.
In
fondo
,
il
Cantoni
viene
a
dire
sott
'
altra
forma
quello
stesso
che
avevano
detto
il
Richter
e
il
Leopardi
.
Se
non
che
,
egli
chiama
anche
humour
quello
che
gli
altri
due
avevano
chiamato
comico
classico
e
ridicolo
antico
.
Il
Richter
tedesco
tesse
però
l
'
elogio
del
comico
romantico
o
humour
moderno
,
e
vitupera
come
grossolano
e
volgare
il
comico
classico
;
mentre
Cantoni
,
come
il
Leopardi
da
buon
italiano
lo
difende
,
pur
riconoscendo
che
la
taccia
di
vergognosa
sensualità
non
sia
affatto
immeritata
.
Ma
anche
per
lui
l
'
humour
moderno
non
è
altro
che
una
sofisticazione
dell
'antico.Via,
ho
idea
,
gli
dice
infatti
l
'
Humour
classico
,
che
si
sia
fatto
sempre
senza
di
te
,
ovvero
che
tu
non
sia
altro
che
la
parte
peggiore
di
me
medesimo
,
la
quale
abbia
messo
cresta
per
impertinenza
,
come
ora
usa
.
È
un
gran
dire
però
che
non
s
'
abbia
mai
a
conoscersi
bene
da
sé
soli
!
Tu
mi
sei
certo
scivolato
di
sotto
ed
io
non
me
ne
sono
avvisto
.
Ora
,
è
vero
questo
?
Ciò
che
il
Cantoni
chiama
Humour
classico
è
proprio
humour
?
o
non
incorre
il
Cantoni
per
un
verso
nello
stesso
errore
in
cui
incorse
già
per
l
'
altro
il
Leopardi
,
confondendo
cioè
con
l
'
esprit
francese
tutto
il
ridicolo
moderno
?
Più
propriamente
:
ciò
che
il
Cantoni
chiama
humour
classico
,
non
sarebbe
l
'
umorismo
inteso
in
un
senso
molto
più
largo
,
nel
quale
sian
comprese
la
burla
,
la
baja
,
la
facezia
,
tutto
il
comico
in
somma
nelle
sue
varie
espressioni
?
Qui
è
il
nodo
vero
della
questione
.
Non
c
'
entra
la
diversità
dell
'
arte
antica
dalla
moderna
,
come
non
c
'
entrano
le
speciali
prerogative
di
questa
o
di
quella
razza
.
Si
tratta
di
vedere
in
che
senso
si
debba
considerar
l
'
umorismo
,
se
nel
senso
largo
che
comunemente
ed
erroneamente
gli
si
suoi
dare
,
e
ne
troveremo
allora
in
gran
copia
così
presso
le
letterature
antiche
come
presso
le
moderne
,
d
'
ogni
nazione
;
o
se
in
un
senso
più
ristretto
e
più
proprio
,
e
ne
troveremo
allora
parimenti
,
ma
in
molto
minor
copia
,
anzi
in
pochissime
espressioni
eccezionali
,
così
presso
gli
antichi
come
presso
i
moderni
,
d
'
ogni
nazione
.
III
.
DISTINZIONI
SOMMARIE
Nel
Cap
.
VIII
del
libro
Notes
sur
l
'
Angleterre
il
Taine
,
com
'
è
noto
,
si
provò
a
comparare
l
'
esprit
francese
e
quello
inglese
.
Non
deve
dirsi
che
essi
(
gl
'
Inglesi
)
non
abbiano
spirito
,
scrisse
il
Taine
;
ne
hanno
uno
per
conto
loro
,
in
verità
poco
gradevole
,
ma
affatto
originale
,
di
sapor
forte
e
pungente
e
anche
un
po
'
amaro
,
come
le
lor
bevande
nazionali
.
Lo
chiamano
humour
;
e
,
in
generale
,
è
la
facezia
di
chi
,
scherzando
,
serba
un
'
aria
grave
.
Questa
facezia
abbonda
negli
scritti
di
Swift
,
di
Fielding
,
di
Sterne
,
di
Dickens
,
di
Thackeray
,
di
Sidney
Smith
;
sotto
quest
'
aspetto
,
il
Libro
degli
snobs
e
le
Lettere
di
Peter
Plymley
son
capolavori
.
Se
ne
trova
anche
molto
,
della
qualità
più
indigena
e
più
aspra
,
in
Carlyle
.
Essa
confina
ora
con
la
caricatura
buffonesca
,
ora
col
sarcasmo
meditato
;
scuote
rudemente
i
nervi
,
o
s
'
affonda
e
prende
stanza
nella
memoria
.
È
un
'
opera
dell
'
immaginazione
stramba
o
dell
'
indignazione
concentrata
.
Si
piace
nei
contrasti
stridenti
,
nei
travestimenti
impreveduti
.
Para
la
follia
con
gli
abiti
della
ragione
o
la
ragione
con
gli
abiti
della
follia
.
Arrigo
Heine
,
Aristofane
,
Rabelais
e
talvolta
Montesquieu
,
fuori
dell
'
Inghilterra
,
sono
quelli
che
ne
hanno
in
più
larga
dose
.
Ma
pur
si
deve
in
questi
tre
ultimi
sottrarre
un
elemento
straniero
,
la
estrosità
francese
,
la
gioja
,
la
gajezza
,
quella
specie
di
buon
vino
che
non
si
vendemmia
se
non
nei
paesi
del
sole
.
Nello
stato
insulare
e
puro
,
essa
lascia
sempre
,
in
fine
,
un
sapor
di
aceto
.
Chi
scherza
così
è
di
raro
benevolo
e
non
è
mai
lieto
,
sente
e
tradisce
fortemente
le
dissonanze
della
vita
.
E
non
ne
gode
;
in
fondo
anzi
ne
soffre
e
se
ne
irrita
.
Per
studiar
minuziosamente
un
grottesco
,
per
prolungar
freddamente
un
'
ironia
,
bisogna
avere
un
sentimento
continuo
di
tristezza
e
di
collera
.
I
saggi
perfetti
del
genere
si
devono
cercare
nei
grandi
scrittori
,
ma
il
genere
è
talmente
indigeno
che
si
trova
ogni
giorno
nella
conversazione
ordinaria
,
nella
letteratura
,
nelle
discussioni
politiche
,
ed
è
la
moneta
corrente
del
Punch
.
La
citazione
è
un
po
'
troppo
lunga
;
ma
opportuna
per
chiarir
parecchie
cose
.
Il
Taine
riesce
a
coglier
bene
la
differenza
generale
tra
la
plaisanterie
inglese
e
la
francese
,
o
meglio
,
il
diverso
umore
dei
due
popoli
.
Ogni
popolo
ha
il
suo
,
con
caratteri
di
distinzione
sommaria
.
Ma
,
al
solito
,
non
bisogna
andare
tropp
'
oltre
,
non
bisogna
cioè
prender
questa
distinzione
sommaria
come
solido
fondamento
nel
trattare
d
'
un
'
espressione
d
'
arte
specialissima
come
la
nostra
.
Che
diremmo
di
uno
il
quale
dal
sommario
accertamento
che
vi
son
certi
tratti
fisionomici
comuni
per
cui
,
così
all
'
ingrosso
,
distinguiamo
un
Inglese
da
uno
Spagnuolo
,
un
Tedesco
da
un
Italiano
,
ecc
.
,
traesse
la
conseguenza
che
tutti
quanti
gl
'
Inglesi
,
per
esempio
,
hanno
gli
stessi
occhi
,
lo
stesso
naso
,
la
stessa
bocca
?
Per
intender
bene
quanto
sia
sommario
questo
modo
di
distinguere
,
chiudiamoci
per
un
momento
nei
confini
del
nostro
paese
.
Noi
tutti
,
d
'
una
data
nazione
,
possiamo
notar
facilmente
come
e
quanto
la
fisionomia
dell
'
uno
sia
diversa
da
quella
d
'
un
altro
.
Ma
questa
osservazione
,
ovvia
,
facilissima
per
noi
,
riesce
invece
difficilissima
a
uno
straniero
,
per
il
quale
noi
tutti
avremo
uno
stesso
aspetto
generale
.
Pensiamo
a
un
gran
bosco
dove
fossero
parecchie
famiglie
di
piante
:
querci
,
aceri
,
faggi
,
platani
,
pini
,
ecc
.
Sommariamente
,
a
prima
vista
,
noi
distingueremo
le
varie
famiglie
dall
'
altezza
del
fusto
,
dalla
diversa
gradazione
del
verde
,
in
somma
dalla
configurazione
generale
di
ciascuna
.
Ma
dobbiamo
poi
pensare
che
in
ognuna
di
queste
famiglie
non
solo
un
albero
è
diverso
dall
'
altro
,
un
tronco
dall
'
altro
,
un
ramo
dall
'
altro
,
una
fronda
dall
'
altra
,
ma
che
,
fra
tutta
quella
incommensurabile
moltitudine
di
foglie
,
non
ve
ne
sono
due
,
due
sole
,
identiche
tra
loro
.
Ora
,
se
si
trattasse
di
giudicare
di
un
'
opera
d
'
immaginazione
collettiva
,
come
sarebbe
appunto
un
'
epopea
genuina
,
sorta
viva
e
possente
dalle
leggende
tradizionali
primitive
d
'
un
popolo
,
ci
potremmo
in
certa
guisa
contentare
di
quella
sommaria
distinzione
.
Non
possiamo
contentarcene
più
invece
nel
giudicar
di
opere
che
siano
creazioni
individuali
,
segnatamente
poi
se
umoristiche
.
Colto
astrattamente
il
tipo
dell
'
umore
inglese
,
il
Taine
mette
prima
in
un
fascio
Swift
e
Fielding
e
Sterne
e
Dickens
e
Thackeray
e
Sidney
Smith
e
Carlyle
,
e
vi
accozza
poi
Heine
,
Aristofane
,
Rabelais
,
Montesquieu
.
Bel
fascio
!
Dall
'
umorismo
inteso
nel
senso
più
largo
,
come
carattere
comune
,
tipico
modo
di
ridere
di
questo
o
di
quel
popolo
,
saltiamo
a
piè
pari
a
considerar
le
singole
e
specialissime
espressioni
d
'
un
umorismo
,
che
non
è
più
possibile
intendere
in
quel
senso
largo
,
se
non
a
patto
di
rinunziare
assolutamente
alla
critica
:
dico
a
quella
critica
che
indaga
e
scopre
tutte
le
singole
differenze
caratteristiche
per
cui
l
'
espressione
,
e
dunque
l
'
arte
,
il
modo
d
'
essere
,
lo
stile
d
'
uno
scrittore
si
distingue
da
quello
dell
'
altro
:
lo
Swift
dal
Fielding
,
lo
Sterne
dallo
Swift
e
dal
Fielding
,
il
Dickens
dallo
Swift
e
dal
Fielding
e
dallo
Sterne
e
così
via
.
Le
relazioni
che
questi
scrittori
umoristici
inglesi
possono
avere
con
l
'
umore
nazionale
sono
affatto
secondarie
e
superficiali
come
quelle
che
essi
possono
aver
fra
loro
,
e
non
hanno
per
la
valutazione
estetica
alcuna
importanza
.
Quel
che
di
comune
possono
aver
tra
loro
questi
scrittori
non
deriva
dalla
qualità
dell
'
umore
nazionale
inglese
,
ma
dal
solo
fatto
ch
'
essi
sono
umoristi
,
ciascuno
si
a
suo
modo
,
ma
umoristi
tutti
veramente
,
scrittori
cioè
nei
quali
avviene
quello
speciale
processo
intimo
e
caratteristico
da
cui
risulta
l
'
espressione
umoristica
.
E
soltanto
per
questo
,
non
Arrigo
Heine
e
il
Rabelais
e
il
Montesquieu
e
basta
,
ma
tutti
i
veri
scrittori
umoristici
d
'
ogni
tempo
e
d
'
ogni
nazione
possono
andare
a
schiera
con
quelli
.
Non
però
Aristofane
,
nel
quale
quel
processo
non
avviene
affatto
.
In
Aristofane
non
abbiamo
veramente
il
contrasto
,
ma
soltanto
l
'
opposizione
.
Egli
non
è
mai
tenuto
tra
il
sì
e
il
no
;
egli
non
vede
che
le
ragioni
sue
,
ed
è
per
il
no
,
testardamente
,
contro
ogni
novità
,
cioè
contro
la
retorica
,
che
crea
demagoghi
,
contro
la
musica
nuova
,
che
,
cangiando
i
modi
antichi
e
consacrati
,
rimuove
le
basi
dell
'
educazione
e
dello
Stato
,
contro
la
tragedia
d
'
Euripide
,
che
snerva
i
caratteri
e
corrompe
i
costumi
,
contro
la
filosofia
di
Socrate
,
che
non
può
produrre
che
spiriti
indocili
e
atei
,
ecc
.
Alcune
sue
commedie
son
come
le
favole
che
scriverebbe
la
volpe
,
in
risposta
a
quelle
che
hanno
scritto
gli
uomini
calunniando
le
bestie
.
Gli
uomini
in
esse
ragionano
e
agiscono
con
la
logica
delle
bestie
,
mentre
nelle
favole
le
bestie
ragionano
e
agiscono
con
la
logica
degli
uomini
.
Sono
allegorie
in
un
dramma
fantastico
,
nel
quale
la
burla
è
satira
iperbolica
,
spietata
(
Vedi
Jacques
Denis
,
La
comédie
grecque
,
vol
.
I
,
chap
.
VI
,
Paris
,
Hachette
et
Cie
,
1886
,
e
la
bella
e
dotta
prefazione
di
Ettore
Romagnoli
alla
sua
impareggiabile
traduzione
delle
commedie
di
A
.
,
Torino
,
Bocca
,
1908
)
.
Aristofane
ha
uno
scopo
morale
,
e
il
suo
non
è
mai
dunque
il
mondo
della
fantasia
pura
.
Nessuno
studio
della
verosimiglianza
:
egli
non
se
ne
cura
perché
si
riferisce
di
continuo
a
cose
e
a
persone
vere
:
astrae
iperbolicamente
dalla
realtà
contingente
e
non
crea
una
realtà
fantastica
,
come
,
ad
esempio
,
lo
Swift
.
Umorista
non
è
Aristofane
,
ma
Socrate
,
come
acutamente
osserva
Teodoro
Lipps
(
Komik
und
Humor
,
eine
psychologisch
-
ästhetische
Untersuchung
,
Hamburg
u
.
Leipzig
,
Voss
,
1898
)
:
Socrate
che
assiste
alla
rappresentazione
delle
Nuvole
e
ride
con
gli
altri
della
derisione
che
fa
di
lui
il
poeta
,
Socrate
che
versteht
den
Standpunkt
des
Volksbewusstseins
,
zu
dessen
Vertreter
sich
Aristophanes
gemacht
hat
,
und
sieht
darin
etwas
relativ
Gutes
und
Vernünftiges
.
Er
anerkennt
eben
damit
das
relative
Recht
derer
,
die
seinen
Kampf
gegen
das
Volksbewusstsein
verlachen
.
Damit
erst
wird
sein
Lachen
zum
Mitlachen
.
Andererseits
lacht
er
doch
über
die
Lacher
.
Er
thut
es
und
kann
es
thun
,
weil
er
des
höheren
Rechtes
und
notwendigen
Sieges
seiner
Anschauungen
gewiss
ist
.
Eben
dieses
Bewusstsein
leuchtet
durch
sein
Lachen
,
und
lässt
es
in
seiner
Thorheit
logisch
berechtigt
,
in
seiner
Nichtigkeit
sittlich
erhaben
erscheinen
.
Socrate
ha
il
sentimento
del
contrario
;
Aristofane
,
dunque
,
se
mai
,
può
esser
considerato
umorista
soltanto
se
intendiamo
l
'
umorismo
nell
'
altro
senso
molto
più
largo
,
e
per
noi
improprio
,
in
cui
siano
compresi
la
burla
,
la
baja
,
la
facezia
,
la
satira
,
la
caricatura
,
tutto
il
comico
in
somma
nelle
sue
varie
espressioni
.
Ma
in
questo
senso
anche
tanti
e
tant
'
altri
scrittori
faceti
,
burleschi
,
grotteschi
,
satirici
,
comici
d
'
ogni
tempo
e
d
'
ogni
nazione
dovrebbero
esser
considerati
umoristi
.
L
'
errore
è
sempre
quello
:
della
distinzione
sommaria
.
Sono
innegabili
le
diverse
qualità
delle
varie
razze
,
è
innegabile
che
la
plaisanterie
francese
non
è
l
'
inglese
come
non
è
l
'
italiana
,
la
spagnuola
,
la
tedesca
,
la
russa
,
e
via
dicendo
;
innegabile
che
ogni
popolo
ha
un
suo
proprio
umore
;
l
'
errore
comincia
quando
quest
'
umore
,
naturalmente
mutabile
nelle
sue
manifestazioni
secondo
i
momenti
e
gli
ambienti
,
è
considerato
,
come
comunemente
il
volgo
suol
fare
,
quale
umorismo
;
oppure
quando
per
considerazioni
esteriori
e
sommarie
si
afferma
sostanzialmente
diverso
negli
antichi
e
nei
moderni
;
e
quando
in
fine
,
per
il
solo
fatto
che
gl
'
Inglesi
chiamarono
humour
questo
loro
umore
nazionale
,
mentre
gli
altri
popoli
lo
chiamarono
altrimenti
,
si
viene
a
dire
che
soltanto
gl
'
Inglesi
hanno
il
vero
e
proprio
umorismo
.
Abbiamo
già
veduto
che
,
molto
prima
che
quel
gruppo
di
scrittori
inglesi
del
sec
.
XVIII
si
chiamasse
degli
umoristi
(
vedi
su
essi
le
sei
letture
del
Thackeray
,
The
english
Humourists
of
the
eighteenth
Century
,
Leipzig
,
Tauchnitz
,
1853
.
Sono
:
Swift
,
Congreve
,
Addison
,
Steele
,
Prior
,
Gay
,
Pope
,
Hogarth
,
Smollett
,
Fielding
,
Sterne
,
Goldsmith
)
;
in
Italia
avevamo
avuto
e
umidi
e
umorosi
e
umoristi
.
Questo
,
se
si
vuol
discutere
sul
nome
.
Se
si
vuol
poi
discutere
intorno
alla
cosa
,
è
da
osservare
innanzi
tutto
che
,
intendendo
in
questo
senso
largo
l
'
umorismo
,
tanti
e
tanti
scrittori
che
noi
chiamiamo
burleschi
o
ironici
o
satirici
o
comici
ecc
.
,
sarebbero
chiamati
umoristi
dagli
Inglesi
,
i
quali
sentirebbero
in
essi
quel
tal
sapore
che
noi
sentiamo
nei
loro
scrittori
e
non
sentiamo
più
nei
nostri
per
quella
particolarissima
ragione
,
che
con
molto
accorgimento
fu
messa
in
chiaro
dal
Pascoli
.
C
'
è
,
disse
il
Pascoli
in
ogni
lingua
e
letteratura
un
quid
speciale
e
intraducibile
,
che
pochi
sanno
percepire
nella
lingua
e
letteratura
lor
propria
e
avvertono
,
invece
,
senza
difficoltà
nelle
altrui
.
Ogni
lingua
straniera
,
pur
da
noi
non
intesa
,
vi
suona
all
'
orecchio
più
,
dirò
,
mirabilmente
,
che
la
vostra
.
Un
racconto
,
una
poesia
,
esotici
,
vi
sembrano
più
belli
,
anche
se
mediocri
,
di
molte
belle
cose
nostrane
;
e
tanto
più
,
quanto
più
conservano
di
quell
'
essenza
nazionale
.
Ora
non
crediate
che
la
vostra
lingua
e
letteratura
non
abbiano
a
fare
il
medesimo
effetto
negli
altri
che
quelle
altre
in
noi
!
.
Una
prova
di
questo
fatto
si
può
avere
in
ciò
che
W
.
Roscoe
scrisse
nel
cap
.
XVI
,
§
12
,
della
sua
opera
Vita
e
pontificato
di
Leon
X
,
a
proposito
del
Berni
.
Il
Roscoe
,
inglese
,
e
che
perciò
di
quel
che
comunemente
nel
suo
paese
s
'
intende
per
humour
doveva
aver
coscienza
,
scrisse
che
le
facili
composizioni
del
Berni
e
del
Bini
e
del
Mauro
,
ecc
.
non
è
improbabile
che
abbiano
aperta
la
strada
ad
una
simile
eccentricità
di
stile
in
altri
paesi
e
che
in
verità
può
concepirsi
l
'
idea
più
caratteristica
degli
scritti
del
Berni
e
dei
compagni
e
seguaci
di
lui
col
considerare
esser
quelli
in
versi
facili
e
vivaci
la
stessa
cosa
,
che
sono
le
opere
in
prosa
di
Rabelais
,
di
Cervantes
e
di
Sterne
.
E
non
ci
dà
Antonio
Panizzi
,
che
lungamente
visse
in
Inghilterra
e
degli
scrittori
nostri
scrisse
in
inglese
,
una
definizione
dello
stile
del
Berni
,
che
risponde
in
gran
parte
a
quella
che
il
Nencioni
poi
volle
dare
dell
'
umorismo
?
I
precipui
elementi
dello
stile
del
Berni
dice
il
Panizzi
sono
:
l
'
ingegno
che
non
trova
somiglianza
tra
oggetti
distanti
e
la
rapidità
onde
subitamente
connette
le
idee
più
remote
;
il
modo
solenne
onde
allude
ad
avvenimenti
ridicoli
e
profferisce
un
'
assurdità
;
l
'
aria
d
'
innocenza
e
d
'
ingenuità
con
che
fa
osservazioni
piene
d
'
accorgimento
e
conoscenza
del
mondo
,
la
peculiar
bonarietà
con
che
sembra
riguardare
con
indulgenza
...
gli
errori
e
le
malvagità
umane
;
la
sottile
ironia
che
egli
adopera
con
tanta
apparenza
di
semplicità
e
d
'
avversione
all
'
acerbezza
;
la
singolare
schiettezza
con
che
pare
desideroso
di
scusare
uomini
e
opere
nello
stesso
momento
che
è
tutto
inteso
a
farne
strazio
»
.
A
ogni
modo
,
è
certo
che
il
Roscoe
sentiva
nel
Berni
e
negli
altri
nostri
poeti
bajoni
lo
stesso
sapore
che
sentiva
negli
scrittori
suoi
connazionali
dotati
di
humour
(
il
Nencioni
definisce
l
'
umorismo
una
naturale
disposizione
del
cuore
e
della
mente
a
osservare
con
simpatica
indulgenza
le
contradizioni
e
le
assurdità
della
vita
)
.
E
non
lo
sentiva
forse
il
Byron
nel
nostro
Pulci
,
di
cui
tradusse
finanche
il
primo
canto
del
Morgante
?
E
lo
stesso
Sterne
non
lo
sentiva
finanche
nel
nostro
Gian
Carlo
Passeroni
(
Passeroni
dabben
,
come
lo
chiamava
il
Parini
)
,
quel
buon
prete
nizzardo
che
nel
canto
XVII
,
parte
III
del
suo
Cicerone
ci
fa
sapere
(
str
.
I22ª
)
:
E
già
mi
disse
un
chiaro
letterato
Inglese
,
che
da
questa
mia
stampita
Il
disegno
,
il
modello
avea
cavato
Di
scrivere
in
più
torni
la
sua
vita
E
pien
di
gratitudine
e
d
'
amore
Mi
chiamava
suo
duce
e
precettore
.
E
,
d
'
altro
canto
,
non
risente
proprio
per
nulla
degli
scrittori
francesi
del
grand
siècle
e
anche
di
altri
che
non
appartengono
a
questo
,
quel
gruppo
di
umoristi
inglesi
di
cui
abbiamo
or
ora
fatto
parola
?
Il
Voltaire
,
parlando
dello
Swift
nelle
sue
Lettres
sur
les
Anglais
dice
:
Mr
.
Swift
est
Rabelais
dans
son
bon
sens
et
vivant
en
bonne
compagnie
.
Il
n
'
a
pas
,
à
la
verité
,
la
gaité
du
premier
,
mais
il
a
toute
la
finesse
,
la
raison
,
le
choix
,
le
bon
goût
qui
manquent
à
notre
curé
de
Meudon
(
Come
suonano
curiose
queste
lodi
a
uno
scrittore
inglese
raffrontato
con
uno
scrittore
francese
,
dopo
aver
letto
nel
Taine
la
pagina
su
l
'
esprit
francese
e
su
l
'
inglese
!
)
.
Ses
vers
sont
d
'
un
goût
singulier
et
presque
inimitable
;
la
bonne
plaisanterie
est
son
partage
en
vers
et
en
prose
;
mais
pour
le
bien
entendre
,
il
faut
faire
un
petit
voyage
dans
son
pays
»
.
Dans
son
pays
,
va
bene
;
ma
c
'
è
anche
chi
vuol
dire
che
bisognerebbe
far
pure
un
piccolo
viaggio
alla
luna
in
compagnia
di
Cyrano
de
Bergerac
.
E
chi
metterà
in
dubbio
l
'
azione
del
Voltaire
e
del
Boileau
sul
Pope
?
E
ricorderemo
che
il
Lessing
,
accusando
il
Gottsched
nelle
sue
Lettere
su
la
letteratura
moderna
,
dice
che
meglio
sarebbe
convenuta
al
gusto
e
al
costume
tedesco
l
'
imitazione
degli
Inglesi
,
di
Shakespeare
,
di
Jonson
,
di
Beaumont
e
Fletcher
,
anzi
che
quella
dell
'
infranciosato
Addison
.
Ma
una
prova
anche
più
chiara
si
può
cavar
dal
fatto
che
,
mentre
nessuno
di
quelli
che
da
noi
si
sono
occupati
di
umorismo
e
,
per
un
pregiudizio
snobistico
,
lo
hanno
veduto
soltanto
in
Inghilterra
,
si
è
mai
sognato
di
chiamare
umorista
il
Boccaccio
per
quelle
molte
sue
novelle
che
ridono
,
umorista
e
anzi
il
primo
degli
umoristi
è
ritenuto
invece
in
Inghilterra
pe
'
suoi
Canterbury
Tales
il
Chaucer
.
Han
voluto
vedere
nel
poeta
inglese
,
non
com
'
era
giusto
il
quid
speciale
della
diversa
lingua
,
un
altro
stile
;
ma
,
nello
stile
,
una
maggiore
intimità
,
e
dimostrar
questa
maggiore
intimità
innanzi
tutto
nell
'
ingegnoso
pretesto
delle
novelle
(
il
pellegrinaggio
a
Canterbury
)
,
nei
ritratti
dei
pellegrini
novellatori
,
segnatamente
di
quella
indimenticabile
,
graziosissima
Prioressa
,
Suor
Eglantina
,
e
di
sir
Thopas
e
della
donna
di
Bath
,
poi
nella
rispondenza
delle
novelle
ai
caratteri
di
chi
le
racconta
,
o
meglio
,
nel
modo
con
cui
le
varie
novelle
,
che
il
Chaucer
non
inventa
,
prendono
colore
e
qualità
dai
pellegrini
.
Ma
questa
che
vuol
parere
un
'
osservazione
profonda
,
è
,
invece
,
superficialissima
,
perché
si
arresta
soltanto
alla
cornice
del
quadro
.
La
magnifica
opulenza
dello
stile
boccaccesco
,
la
copia
e
l
'
appariscenza
della
forma
si
possono
forse
da
un
canto
considerare
come
esteriori
e
implicano
forse
dall
'
altro
scarsezza
d
'
intimità
psicologica
?
Esaminiamo
,
sotto
questo
aspetto
,
a
una
a
una
le
novelle
,
i
caratteri
dei
singoli
personaggi
,
lo
svolgimento
delle
passioni
,
la
dipintura
minuta
,
spiccata
,
evidente
della
realtà
,
che
sottintende
una
sottilissima
analisi
,
una
conoscenza
profonda
del
cuore
umano
,
e
vedremo
se
il
Boccaccio
,
segnatamente
nell
'
arte
di
render
verosimili
certe
avventure
troppo
strane
,
non
supera
di
gran
lunga
il
Chaucer
.
Si
è
troppo
abusato
d
'
una
osservazione
,
al
solito
sommaria
,
fatta
da
coloro
che
han
studiato
con
soverchio
amore
delle
cose
altrui
le
relazioni
tra
le
letterature
straniere
e
la
nostra
:
la
osservazione
cioè
che
gli
scrittori
nostri
abbiano
dato
sempre
a
tutto
ciò
che
han
tolto
dagli
stranieri
una
così
detta
maggior
bellezza
esteriore
,
una
linea
più
composta
e
più
armoniosa
;
e
che
gli
stranieri
,
invece
,
abbiano
dato
a
tutto
ciò
che
han
tolto
dagli
scrittori
nostri
una
maggior
bellezza
interiore
,
un
carattere
più
intimo
e
profondo
.
Ora
questo
,
se
mai
,
può
valere
per
certi
scrittori
nostri
mediocri
,
da
cui
qualche
sommo
scrittore
straniero
abbia
tolto
questo
o
quell
'
argomento
:
può
valere
ad
esempio
per
certi
novellieri
nostri
,
da
cui
lo
Shakespeare
cavò
la
favola
per
alcuni
suoi
drammi
possenti
.
Non
può
valere
per
il
Boccaccio
e
per
il
Chaucer
.
Bisogna
invece
considerare
,
in
questo
caso
,
che
cosa
uno
scheletrico
fabliau
francese
(
ammesso
che
il
Chaucer
non
abbia
preso
nulla
direttamente
dal
Boccaccio
)
sia
diventato
nelle
novelle
dell
'
uno
e
dell
'
altro
.
IV
.
L
'
UMORISMO
E
LA
RETORICA
Giacomo
Barzellotti
,
nel
suo
volume
Dal
Rinascimento
al
Risorgimento
(
Palermo
,
R
.
Sandron
ed
.
,
1904
)
,
seguendo
i
concetti
e
il
sistema
del
Taine
e
anche
qualche
idea
espressa
dal
Bonghi
nelle
Lettere
critiche
,
e
da
un
saggio
di
etologia
della
nostra
cultura
,
inteso
a
ricercare
la
mutua
dipendenza
tra
le
disposizioni
morali
e
sociali
,
gli
abiti
della
mente
,
gl
'
istinti
di
razza
del
nostro
popolo
e
le
sue
abitudini
a
concepire
e
ad
esprimere
il
bello
,
passando
a
studiare
Il
problema
storico
della
prosa
nella
Letteratura
italiana
,
disse
che
uno
dei
pregiudizii
nostri
è
quello
di
presupporre
che
l
'
arte
dello
scrivere
sia
,
solo
o
prima
di
tutto
,
un
lavoro
esterno
di
forma
e
di
stile
,
mentre
la
forma
stessa
e
lo
stile
,
il
cui
studio
è
bensì
essenziale
allo
scrivere
,
sono
avanti
a
tutto
,
un
'
opera
intima
di
pensiero
,
vale
a
dire
una
cosa
che
si
può
ottener
bene
se
si
prenda
immediatamente
e
come
un
fine
in
sé
,
una
cosa
a
cui
non
si
giunge
se
non
movendo
da
un
'
altra
parte
,
cioè
dal
di
dentro
,
dal
pensiero
,
non
dalla
parola
,
dallo
studio
,
dalla
meditazione
e
dalla
elaborazione
profonda
della
materia
,
del
soggetto
e
dell
'
idea
.
Ora
questo
pregiudizio
,
come
si
sa
,
fu
quello
della
Retorica
,
ch
'
era
appunto
una
poetica
intellettualistica
,
fondata
tutta
cioè
su
astrazioni
,
in
base
a
un
procedimento
logico
(
La
retorica
corrisponde
alla
logica
aveva
già
detto
Aristotele
,
Ret
.
lib
.
I
,
c
.
1
)
.
L
'
arte
per
essa
era
abito
di
operare
secondo
certi
principii
.
E
stabiliva
secondo
quali
principii
l
'
arte
dovesse
operare
:
principii
universali
,
assoluti
,
come
se
l
'
opera
d
'
arte
fosse
una
conclusione
da
costruire
al
pari
d
'
un
ragionamento
.
Diceva
:
Così
si
è
fatto
;
così
si
deve
fare
.
Raccolti
,
come
in
un
museo
,
tanti
modelli
di
bellezza
immutabile
,
ne
imponeva
l
'
imitazione
.
Retorica
e
imitazione
sono
in
fondo
la
stessa
cosa
.
E
i
danni
che
essa
cagionò
in
ogni
tempo
alla
letteratura
sono
senza
dubbio
,
come
ognun
sa
,
incalcolabili
.
Fondata
sul
pregiudizio
della
così
detta
tradizione
,
insegnava
ad
imitare
ciò
che
non
si
imita
:
lo
stile
,
il
carattere
,
la
forma
.
Non
intendeva
che
ogni
forma
dev
'
essere
né
antica
né
moderna
,
ma
unica
,
quella
cioè
che
è
propria
d
'
ogni
singola
opera
d
'
arte
e
non
può
esser
altra
né
di
altre
opere
,
e
,
che
perciò
non
può
né
deve
esistere
tradizione
in
arte
.
Regolata
com
'
era
dalla
ragione
,
vedeva
da
per
tutto
categorie
e
la
letteratura
come
un
casellario
:
per
ogni
casella
,
un
cartellino
.
Tante
categorie
,
tanti
generi
;
e
ogni
genere
aveva
la
sua
forma
prestabilita
:
quella
e
non
altra
.
È
vero
che
tante
volte
,
poi
,
s
'
accomodava
;
ma
darsi
per
vinta
non
voleva
mai
.
Quando
un
poeta
ribelle
appioppava
un
calcio
bene
scolpito
al
casellario
e
creava
a
suo
modo
una
forma
nuova
,
i
retori
gli
abbajavano
dietro
per
un
pezzo
:
ma
poi
,
alla
fine
,
se
quella
forma
riusciva
a
imporsi
,
essi
se
la
prendevano
,
la
smontavano
come
una
macchinetta
,
la
scioglievano
in
un
rapporto
logico
,
la
catalogavano
,
magari
aggiungendo
una
nuova
casella
al
casellario
.
Così
avvenne
,
ad
esempio
,
per
il
dramma
storico
di
quel
gran
barbaro
dello
Shakespeare
.
Si
diede
per
vinta
la
Retorica
?
No
:
dopo
avere
abbajato
per
un
pezzo
,
prescrisse
le
norme
per
il
dramma
storico
,
accolto
nel
casellario
.
Ma
è
anche
vero
che
questi
cani
,
quando
s
'
abbattevano
a
un
povero
poeta
indebolito
di
mente
,
ne
facevano
strazio
e
lo
costringevano
a
tartassar
la
propria
opera
non
condotta
a
puntino
sul
modello
imposto
alla
imitazione
forzata
.
Esempio
:
la
Conquistata
del
Tasso
.
La
coltura
,
per
la
Retorica
,
non
era
la
preparazione
del
terreno
,
la
vanga
,
l
'
aratro
,
il
sarchio
,
il
concime
,
perché
il
germe
fecondo
,
il
polline
vitale
,
che
un
'
aura
propizia
,
in
un
momento
felice
,
doveva
far
cadere
in
quel
terreno
vi
mettesse
salde
radici
e
vi
trovasse
abbondante
nutrimento
e
si
sviluppasse
vigoroso
e
solido
e
sorgesse
senza
stento
,
alto
e
possente
nel
desiderio
del
sole
.
No
:
la
coltura
,
per
la
Retorica
,
consisteva
nel
piantar
pali
e
nel
vestirli
di
frasche
.
Gli
alberi
antichi
,
custoditi
nella
sua
serra
,
perdevano
il
loro
verde
,
appassivano
;
e
con
le
fronde
morte
,
con
le
foglie
ingiallite
,
coi
fiori
secchi
essa
insegnava
a
parar
certi
tronchi
di
idee
senza
radici
nella
vita
.
Per
la
Retorica
prima
nasceva
il
pensiero
,
poi
la
forma
.
Il
pensiero
cioè
non
nasceva
come
Minerva
armata
dal
cervello
di
Giove
:
nudo
nasceva
,
poveretto
;
ed
essa
lo
vestiva
.
Il
vestito
era
la
forma
.
La
Retorica
,
in
somma
,
era
come
un
guardaroba
:
il
guardaroba
dell
'
eloquenza
dove
i
pensieri
nudi
andavano
a
vestirsi
.
E
gli
abiti
,
in
quel
guardaroba
,
eran
già
belli
e
pronti
,
tagliati
tutti
su
i
modelli
antichi
,
o
meno
adorni
,
di
stoffa
umile
o
mezzana
o
magnifica
,
divisi
in
tante
scansie
,
appesi
alle
grucce
e
custoditi
dalla
guardarobiera
che
si
chiamava
Convenienza
.
Questa
assegnava
gli
abiti
acconci
ai
pensieri
che
si
presentavano
ignudi
.
Vuoi
essere
un
Idillio
,
tu
?
un
Idillietto
leggiadro
e
pettinato
?
Su
,
fammi
sentire
come
sospiri
:
Ahi
lasso
!
Oh
,
bravo
.
Hai
letto
Teocrito
?
hai
letto
Mosco
?
hai
letto
Bione
?
e
di
Virgilio
le
Bucoliche
?
Sì
?
Recita
su
,
da
bravo
.
Sei
un
pappagallino
bene
ammaestrato
.
Vieni
qua
.
Apriva
la
scansia
,
su
la
cui
targa
in
cima
si
leggeva
:
Idillii
,
e
ne
traeva
un
grazioso
abituccio
di
pastorello
.
E
tu
una
Tragedia
vorresti
essere
?
Ma
proprio
proprio
una
Tragedia
?
È
cosa
ardua
,
bada
!
Devi
essere
a
un
tempo
grave
e
lesta
,
cara
mia
.
In
ventiquattr
'
ore
,
tutto
finito
.
E
ferma
,
veh
!
Scegliti
un
luogo
,
e
lì
.
Unità
,
unità
,
unità
.
Lo
sai
?
Brava
.
Ma
dimmi
un
po
'
:
ti
scorre
sangue
reale
per
le
vene
?
E
hai
studiato
Eschilo
,
Sofocle
,
Euripide
?
Anche
il
buon
Seneca
?
Brava
.
Vuoi
uccidere
i
figli
come
Medea
?
il
marito
come
Clitennestra
?
la
madre
come
Oreste
?
Tu
vuoi
uccidere
un
tiranno
come
Bruto
;
ho
capito
;
vieni
qua
.
Così
i
pensieri
facevan
da
manichini
alla
forma
-
vestiario
.
Cioè
la
forma
non
era
propriamente
forma
,
ma
formazione
:
non
nasceva
,
si
faceva
.
E
si
faceva
secondo
norme
prestabilite
:
si
componeva
esteriormente
,
come
un
oggetto
.
Era
dunque
artificio
,
non
arte
;
copia
,
non
creazione
.
Ora
si
deve
ad
essa
,
senza
dubbio
,
la
scarsa
intimità
dello
stile
che
si
può
notare
in
genere
in
tante
opere
della
nostra
letteratura
;
si
deve
ad
essa
se
per
restringerci
alla
nostra
indagine
speciale
non
pochi
scrittori
nostri
che
avrebbero
avuto
e
anzi
ebbero
indubbiamente
,
come
per
tante
testimonianze
si
può
arguire
,
una
spiccatissima
disposizione
all
'
umorismo
,
non
riuscirono
a
manifestarla
,
a
darle
espressione
,
per
rispettare
appunto
le
leggi
della
composizione
artistica
.
L
'
umorismo
,
come
vedremo
,
per
il
suo
intimo
,
specioso
,
essenziale
processo
,
inevitabilmente
scompone
,
disordina
,
discorda
;
quando
,
comunemente
,
l
'
arte
in
genere
,
com
'
era
insegnata
dalla
scuola
,
dalla
retorica
,
era
sopra
tutto
composizione
esteriore
,
accordo
logicamente
ordinato
.
E
si
può
veder
difatti
che
tanto
quegli
scrittori
nostri
che
si
sogliono
chiamare
umoristi
,
quanto
quegli
altri
che
sono
veramente
e
propriamente
tali
,
o
son
di
popolo
o
popolareggianti
,
lontani
cioè
dalla
scuola
,
o
son
ribelli
alla
Retorica
,
cioè
alle
leggi
esterne
della
tradizionale
educazione
letteraria
.
Si
può
vedere
,
infine
,
che
quando
questa
tradizionale
educazione
letteraria
fu
spezzata
,
quando
il
giogo
della
poetica
intellettualistica
del
classicismo
fu
infranto
dall
'
irrompere
del
sentimento
e
della
volontà
,
che
caratterizza
il
movimento
romantico
,
quegli
scrittori
che
avevano
una
natural
disposizione
all
'
umorismo
la
espressero
nelle
loro
opere
non
per
imitazione
,
ma
spontaneamente
.
Alessandro
D
'
Ancona
in
quel
suo
studio
su
Cecco
Angiolieri
,
da
cui
abbiamo
preso
le
mosse
,
volle
scorgere
i
caratteri
del
vero
umorismo
nella
poesia
di
questo
nostro
bizzarro
poeta
del
sec
.
XIII
.
Ora
questo
,
no
,
veramente
.
L
'
esempio
dell
'
Angiolieri
può
giovarci
per
chiarire
quanto
abbiamo
detto
or
ora
e
non
per
altro
.
Io
ho
già
dimostrato
altrove
(
vedi
mio
volume
Arte
e
scienza
,
Roma
,
W
.
Modes
ed
.
,
1908
:
I
sonetti
di
Cecco
Angiolieri
)
che
i
caratteri
del
vero
umorismo
mancano
assolutamente
all
'
Angiolieri
,
come
gli
mancano
pur
quelli
ritenuti
tali
dal
D
'
Ancona
.
La
parola
malinconia
in
Cecco
,
ad
esempio
,
se
non
ha
più
il
senso
originario
che
aveva
nel
latino
di
Cicerone
e
di
Plinio
,
è
pur
lontanissima
dal
significare
quella
delicata
affezione
o
passion
d
'
animo
che
intendiamo
noi
:
malinconia
per
Cecco
significa
sempre
non
aver
denari
da
scialacquare
,
non
tener
la
Becchino
.
a
sua
posta
,
aspettare
invano
che
il
padre
vecchissimo
e
ricco
si
muoja
ed
e
'
morrà
quando
il
mar
sarà
sicco
si
ll
à
dio
fatto
per
mio
strazio
sano
!
Un
certo
verso
che
il
D
'
Ancona
chiama
singhiozzante
e
che
cita
per
ultimo
a
concludere
che
ogni
sforzo
che
il
poeta
faccia
per
liberarsi
della
malinconia
gli
riesce
inutile
:
con
gran
malinconia
sempre
istò
,
non
ha
affatto
il
carattere
compendioso
,
né
il
valore
espressivo
che
il
D
'
Ancona
gli
vuole
attribuire
.
Il
contrasto
,
quel
che
par
sorriso
ed
è
dolore
,
in
Cecco
in
somma
non
c
'
è
mai
.
A
provarlo
,
il
D
'
Ancona
cita
anche
qui
due
versi
,
staccandoli
da
tutto
il
resto
e
dando
ad
essi
un
valore
espressivo
che
non
hanno
:
Però
malinconia
non
prenderaggio
anzi
m
'
allegrerò
del
mi
'
tormento
.
Segue
in
fatti
a
questi
due
versi
una
terzina
,
che
non
solo
spiega
l
'
apparente
contrasto
,
ma
lo
distrugge
affatto
.
Cecco
non
prenderà
malinconia
,
anzi
s
'
allegrerà
del
suo
tormento
,
perché
ha
udito
dire
a
un
uomo
saggio
:
che
ven
un
dì
che
val
per
più
di
cento
.
E
il
dì
sarà
quello
della
morte
del
padre
,
che
gli
permetterà
di
far
gavazze
,
come
allude
in
un
altro
sonetto
:
Sed
i
'
credesse
vivar
un
dì
solo
più
di
colui
che
mi
fa
vivar
tristo
,
assa
'
di
volte
ringrazere
'
Cristo
...
Questo
giorno
ha
pur
da
venire
:
bisognerà
aspettarlo
con
pazienza
,
perché
:
l
'
uom
non
può
sua
ventura
prolungare
né
far
più
brieve
c
'
ordinato
sia
;
ond
'
i
'
mi
credo
tener
questa
via
di
lasciar
la
natura
lavorare
e
di
guardarmi
,
s
'
io
'
l
potrò
fare
che
non
m
'
accolga
più
malinconia
,
ch
'
i
'
posso
dir
che
per
la
mia
follia
i
'
ò
perduto
assai
buon
sollazzare
.
Anche
che
troppo
tardi
mi
n
'
avveggio
non
lascerò
ch
'
i
'
non
prenda
conforto
,
c
'
a
far
d
'
un
danno
due
sarebbe
peggio
,
Ond
'
i
'
mi
allegro
e
aspetto
buon
porto
,
ta
'
cose
nascer
ciascun
giorno
veggio
,
che
'
n
dì
di
vita
(
mia
)
non
m
'
isconforto
.
Sul
valore
della
parola
malinconia
,
tante
volte
ripetuta
da
Cecco
,
non
è
possibile
farsi
,
come
il
D
'
Ancona
ha
voluto
farsi
,
alcuna
illusione
.
Cecco
non
s
'
allegra
mai
veramente
del
suo
tormento
,
sì
lo
riveste
d
'
una
forma
arguta
e
vivace
,
la
quale
per
me
,
spesso
,
più
che
per
intenzione
burlesca
o
satirica
,
proviene
dalla
sua
natura
paesana
,
ed
è
affatto
popolare
senese
.
Tutto
il
popolo
toscano
,
che
meritamente
si
vanta
il
più
arguto
d
'
Italia
,
volendo
anche
oggidì
narrare
le
sue
sventure
e
le
sue
afflizioni
,
esprimere
gli
odii
suoi
e
i
suoi
amori
,
manifestar
lo
sdegno
o
il
rimprovero
o
un
desiderio
,
non
usa
una
forma
diversa
.
In
genere
,
colorir
comicamente
la
frase
è
virtù
nel
popolo
spontanea
,
nativa
.
Il
Belli
,
per
esempio
,
non
vuol
tradurre
in
romanesco
per
Luigi
Luciano
Bonaparte
il
vangelo
di
San
Matteo
,
perché
la
lingua
della
plebe
è
buffona
e
appena
riuscirebbe
ad
altro
che
ad
una
irriverenza
verso
i
sacri
volumi
(
vedi
Morandi
,
Prefaz
.
ai
sonetti
romaneschi
del
Belli
,
Città
di
Castello
,
Lapi
,
vol
.
I
,
1889
)
.
Qui
abbiamo
,
in
somma
,
l
'
ironia
,
cioè
quella
tal
contradizione
fittizia
tra
quel
che
si
dice
e
quel
che
si
vuole
sia
inteso
.
Il
contrasto
non
è
nel
sentimento
,
è
solo
verbale
.
Dobbiamo
,
dunque
,
da
un
canto
tener
conto
di
questo
generale
umore
del
popolo
,
di
questa
lingua
buffona
della
plebe
,
e
dall
'
altro
intender
l
'
umorismo
in
quel
senso
largo
e
improprio
,
se
vogliamo
includere
tra
gli
umoristi
Cecco
Angiolieri
,
e
non
Cecco
Angiolieri
soltanto
,
allora
,
ma
tutto
quel
gruppo
di
poeti
toscani
,
non
di
scuola
,
ma
di
popolo
,
pieni
di
naturalezza
nell
'
arte
loro
non
ancora
ben
sicura
,
nel
cui
petto
per
prima
si
ridesta
o
di
dolce
voglia
o
per
casi
reali
,
per
sentimenti
veri
,
un
'
anima
di
canto
umano
,
tra
le
insulse
sconsolanti
scimierie
dei
poeti
per
distrazione
o
per
sollazzo
o
per
moda
o
per
galanteria
,
trai
bisticci
pur
che
siano
della
scuola
provenzaleggiante
:
.
di
quei
poeti
in
fine
,
ne
'
cui
versi
,
per
dirla
col
Bartoli
,
è
l
'
annunzio
del
carattere
realistico
che
assumeranno
le
nostre
lettere
.
Son
toscani
,
questi
poeti
,
e
in
Toscana
segnatamente
troveremo
queste
espressioni
così
dette
umoristiche
in
senso
largo
:
in
Toscana
,
e
nella
non
scarsa
letteratura
nostra
dialettale
.
Perché
?
Perché
l
'
umorismo
ha
sopra
tutto
bisogno
d
'
intimità
di
stile
,
la
quale
fu
sempre
da
noi
ostacolata
dalla
preoccupazione
della
forma
,
da
tutte
quelle
questioni
retoriche
che
si
fecero
sempre
da
noi
intorno
alla
lingua
.
L
'
umorismo
ha
bisogno
del
più
vivace
,
libero
,
spontaneo
e
immediato
movimento
della
lingua
,
movimento
che
si
può
avere
sol
quando
la
forma
a
volta
a
volta
si
crea
.
Ora
la
retorica
insegnava
,
non
a
crear
la
forma
ma
ad
imitarla
,
a
comporla
esteriormente
;
insegnava
a
cercar
la
lingua
fuori
,
come
un
oggetto
,
e
naturalmente
nessuno
riusciva
a
trovarla
se
non
nei
libri
,
in
quei
libri
che
essa
aveva
imposti
come
modelli
,
come
testi
.
Ma
che
movimento
si
poteva
imprimere
a
questa
lingua
esteriore
,
fissata
,
mummificata
,
a
questa
forma
non
creata
a
volta
a
volta
,
ma
imitata
,
studiata
,
composta
?
Il
movimento
è
nella
lingua
viva
e
nella
forma
che
si
crea
.
E
l
'
umorismo
che
non
può
farne
a
meno
(
sia
nel
senso
largo
,
sia
nel
suo
proprio
senso
)
,
lo
troveremo
ripeto
nelle
espressioni
dialettali
,
nella
poesia
macaronica
e
negli
scrittori
ribelli
alla
retorica
.
C
'
è
bisogno
d
'
intendersi
su
questa
creazione
della
forma
,
cioè
su
le
relazioni
tra
la
lingua
e
lo
stile
?
Avvertiva
acutamente
lo
Schleiermacher
nelle
sue
Vorles
.
lib
.
Aesth
.
che
l
'
artista
adopera
strumenti
che
di
lor
natura
non
son
fatti
per
l
'
individuale
,
ma
per
l
'
universale
:
tale
il
linguaggio
.
L
'
artista
,
il
poeta
,
deve
cavar
dalla
lingua
l
'
individuale
,
cioè
appunto
lo
stile
.
La
lingua
è
conoscenza
,
è
oggettivazione
;
lo
stile
è
il
subiettivarsi
di
questa
oggettivazione
.
In
questo
senso
è
creazione
di
forma
:
è
,
cioè
,
la
larva
della
parola
in
noi
investita
e
animata
dal
nostro
particolar
sentimento
e
mossa
da
una
nostra
particolar
volontà
.
Non
dunque
creazione
ex
nihilo
.
La
fantasia
non
crea
nel
senso
rigoroso
della
parola
,
non
produce
cioè
forme
genuinamente
nuove
.
Se
,
in
fatti
,
esaminiamo
anche
i
rabeschi
più
capricciosi
,
i
grotteschi
più
strani
,
i
centauri
,
le
sfingi
,
i
mostri
alati
,
vi
troveremo
sempre
,
più
o
meno
alterate
per
le
loro
combinazioni
,
immagini
rispondenti
a
sensazioni
reali
.
Ebbene
,
una
forma
,
press
'
a
poco
,
o
meglio
,
in
un
certo
senso
corrispondente
al
grottesco
nelle
arti
figurative
troviamo
nell
'
arte
della
parola
,
ed
è
appunto
lo
stil
macaronico
:
creazione
arbitraria
,
contaminazione
mostruosa
di
diversi
elementi
del
materiale
conoscitivo
.
E
avvertiamo
che
esso
sorse
appunto
come
ribellione
e
come
derisione
,
e
che
non
fu
solo
,
che
ebbe
cioè
a
compagni
altri
linguaggi
burleschi
,
fittizii
.
Il
dialetto
sprezzato
notava
Giovanni
Zannoni
,
illustrando
I
precursori
di
Merlin
Cocai
(
Città
di
Castello
,
Lapi
ed
.
,
1888
)
volle
insinuarsi
malignamente
nel
latino
per
sfregiare
la
togata
lingua
dei
dotti
e
quello
che
era
stato
un
elemento
parziale
della
satira
popolare
e
goliardica
divenne
elemento
massimo
;
volle
mostrare
la
propria
flessibilità
,
quando
il
volgare
ancora
accademico
,
grave
,
impacciato
non
poteva
piegarsi
a
tutte
le
esigenze
dell
'
umorismo
,
e
ad
un
tratto
formò
una
nuova
maniera
di
sogghigno
.
In
tal
modo
,
da
due
cause
contrarie
ebbe
origine
il
linguaggio
macaronico
che
fu
la
più
grossa
e
fragorosa
risata
del
risorgimento
,
la
beffa
più
atroce
al
classicismo
e
che
,
pure
involontariamente
,
giovò
tanto
al
definitivo
trionfo
del
volgare
.
Ma
quanti
furono
questi
scrittori
ribelli
?
pochi
o
molti
?
pochi
ahimè
,
perché
il
maggior
numero
è
sempre
dei
mediocri
:
servum
pecus
.
Il
Barzellotti
riconosce
che
un
primo
moto
di
originalità
e
di
feconda
spontaneità
creatrice
si
era
fatto
nella
mente
e
nella
vita
degli
Italiani
durante
i
secoli
decimoterzo
e
decimoquarto
;
ma
poi
dice
tutti
o
quasi
tutti
gli
umanisti
avere
interrotto
con
l
'
imitazione
e
la
ripetizione
degli
antichi
quel
primo
moto
d
'
originalità
.
Ora
questa
a
noi
sembra
un
'
altra
di
quelle
considerazioni
molto
sommarie
,
che
abbiamo
deplorato
più
su
,
considerazione
che
s
'
accorda
con
altre
simili
su
la
scettica
indifferenza
,
ad
esempio
,
su
la
pagana
serenità
,
su
la
mortificazione
delle
energie
individuali
,
su
la
mancanza
d
'
aspirazioni
,
sul
riposo
nelle
forme
e
nel
senso
,
ecc
.
,
ecc
.
,
del
nostro
grande
rinascimento
,
come
se
il
culto
dell
'
antichità
non
fosse
stato
già
di
per
sé
un
'
idealità
grande
,
tanto
grande
che
illuminò
tutto
il
mondo
,
il
riacquisto
d
'
un
patrimonio
che
si
fece
fruttare
sapientemente
e
produsse
opere
immortali
,
e
come
se
esso
non
fosse
venuto
anzi
a
tempo
a
riempire
il
vuoto
d
'
idealità
cadute
o
cadenti
;
come
se
insieme
con
quattro
o
cinque
dotti
aridi
e
vacui
non
ce
ne
fossero
stati
tant
'
altri
pieni
di
vita
e
d
'
ardire
,
nel
cui
latino
palpitano
e
vibrano
le
energie
tutte
della
lingua
italiana
;
come
se
per
entro
al
Facetiarum
libellus
unicus
di
Poggio
,
per
esempio
,
non
spirassero
aure
nuove
(
Quanti
spunti
di
vero
e
proprio
umorismo
in
Poggio
!
Basterà
ricordare
il
patto
di
quel
buon
'
uomo
col
cantastorie
di
piazza
per
differir
la
morte
di
Ettore
,
che
tanto
lo
addolorava
;
la
risposta
di
quel
cardinal
di
Spagna
ai
soldati
della
Santa
Sede
:
Ancora
non
ho
fame
;
la
disperazione
di
quel
bandito
per
la
goccia
di
latte
venutagli
in
gola
durante
la
quaresima
,
ecc
.
ecc
.
)
;
come
se
il
Valla
fosse
soltanto
autore
del
trattato
Elegantiarum
latinae
linguae
;
come
se
nel
Pontano
e
nel
Poliziano
e
in
tanti
altri
non
fosse
così
intero
e
fresco
il
sentimento
della
realtà
,
che
il
Poliziano
poi
,
componendo
in
volgare
,
poté
aver
tutte
le
grazie
ingenue
d
'
un
poeta
popolare
.
E
sotto
questo
mondo
dei
dotti
,
così
sommariamente
considerato
,
non
c
'
era
forse
il
popolo
?
E
si
può
dire
,
d
'
altro
canto
,
che
i
nostri
poeti
cavallereschi
,
ad
esempio
,
diedero
solamente
una
maggior
bellezza
esteriore
,
una
linea
più
composta
,
più
armoniosa
alla
materia
romanzesca
,
se
da
capo
a
fondo
la
ricrearono
con
la
fantasia
?
Altro
che
bellezza
esteriore
!
Si
è
troppo
ripetuto
,
e
con
troppa
leggerezza
,
che
nell
'
indole
della
nostra
gente
predomini
l
'
intelletto
più
che
il
sentimento
e
la
volontà
,
cioè
la
parte
obiettiva
più
che
la
subiettiva
dello
spirito
,
donde
il
carattere
dell
'
arte
nostra
più
intellettualistica
che
sentimentale
,
più
esteriore
che
interiore
.
L
'
equivoco
qui
è
fondato
nell
'
ignoranza
del
procedimento
di
quell
'
attività
creatrice
dello
spirito
,
che
si
chiama
fantasia
:
ignoranza
che
era
fondamentale
nella
Retorica
.
L
'
artista
deve
sentire
la
propria
opera
com
'
essa
si
sente
e
volerla
com
'
essa
si
vuole
.
Avere
un
fine
e
una
volontà
esteriori
,
vuol
dire
uscire
dall
'
arte
.
E
ne
escono
difatti
quanti
s
'
ostinano
a
ripetere
che
l
'
arte
nostra
del
rinascimento
fu
splendida
di
fuori
e
vuota
di
dentro
.
Vuota
in
che
senso
?
Nel
senso
che
non
ebbe
volontà
e
fini
oltre
a
sé
stessa
?
Ma
questo
fu
un
pregio
e
non
un
difetto
.
O
se
no
,
bisognerebbe
dimostrare
che
fu
arte
falsa
,
cioè
artificio
.
Si
può
dimostrar
questo
?
Sì
,
certamente
,
se
prendiamo
i
mediocri
,
gli
schiavi
della
retorica
,
la
quale
insegnava
appunto
l
'
artificio
,
la
copia
!
Ma
perché
dobbiamo
prendere
i
mediocri
?
perché
dobbiam
guardare
così
taineamente
all
'
ingrosso
,
senza
distinguere
?
Arte
falsa
,
quella
dell
'
Ariosto
?
Buttando
via
in
un
fascio
i
mediocri
,
e
affrontando
i
veri
poeti
,
ci
accorgeremo
subito
di
fare
una
questione
di
contenuto
e
non
di
forma
,
una
questione
dunque
estranea
all
'
arte
.
Ma
questo
stesso
contenuto
,
che
fa
tanto
dispetto
,
come
fu
assunto
dai
poeti
veri
,
da
coloro
che
ebbero
innegabilmente
uno
stile
,
e
dunque
originalità
e
intimità
?
Non
c
'
è
proprio
nulla
che
riempia
il
vuoto
che
ci
si
vuol
sentire
?
Non
c
'
è
l
'
ironia
di
questi
poeti
?
E
perché
non
si
vuol
riconoscere
il
valore
positivo
,
sottinteso
,
di
questa
ironia
?
Itali
rident
,
sì
,
ma
con
questo
riso
si
cacciò
il
Medio
-
evo
;
e
quanto
fiele
sotto
a
questo
riso
!
E
che
ha
di
diverso
questo
riso
in
Erasmo
di
Rotterdam
,
in
Ulrico
di
Hutten
?
Perché
si
disconosce
soltanto
nei
nostri
questo
valore
positivo
dell
'
ironia
e
si
riconosce
invece
negli
stranieri
?
si
disconosce
in
Pulci
e
nel
Folengo
per
esempio
,
e
si
riconosce
in
Rabelais
?
Forse
perché
questi
ebbe
l
'
accortezza
d
'
invitare
i
lettori
a
imitare
il
cane
innanzi
all
'
osso
,
e
quegli
altri
no
?
...
Vites
-
vous
oncques
chiens
rencontrans
quelque
os
médullaire
?
C
'
est
,
comme
Platon
dit
(
lib
.
II
De
Rep
.
)
,
la
bête
du
monde
plus
philosophe
.
Si
vû
l
'
avez
,
vous
avez
pû
noter
de
quelle
dévotion
il
le
guette
,
de
quel
soin
il
le
garde
,
de
quelle
ferveur
il
le
tient
,
de
quelle
prudence
il
l
'
entomme
,
de
quelle
affection
il
le
brise
et
de
quelle
diligente
il
le
succe
.
Qui
l
'
induit
à
ce
faire
?
Quel
est
l
'
espoir
de
son
étude
?
Quel
bien
prétend
-
il
?
Rien
plus
sinon
qu
'
un
peu
de
moüelle
.
E
l
'
osso
gettato
dal
Rabelais
ai
critici
è
stato
difatti
spiato
con
devozione
,
preso
con
cura
,
tenuto
con
fervore
,
scalfito
con
prudenza
,
spezzato
con
affetto
e
succhiato
con
diligenza
.
E
perché
non
così
quelli
del
Pulci
e
del
Folengo
?
(
vedi
sul
Pulci
il
libro
di
Attilio
Momigliano
L
'
indole
e
il
riso
di
L
.
P
.
,
Rocca
S
.
Casciano
,
Cappelli
,
1907
,
da
cui
però
in
gran
parte
io
dissento
,
come
dirò
appresso
;
e
quel
che
dicono
del
Folengo
il
De
Sanctis
nella
sua
Storia
d
.
lett
.
ital
.
cap
.
XIV
,
il
Canello
nel
suo
Cinquecento
e
gli
studii
dello
Zumbini
e
dello
Zannoni
)
.
Ma
ogni
qual
volta
si
butta
un
osso
a
un
critico
si
deve
dunque
dire
:
Bada
,
c
'
è
dentro
il
midollo
?
o
far
che
questo
midollo
si
mostri
un
tantino
da
qualche
parte
fuori
dell
'
osso
?
Ma
tanto
più
pregevole
è
un
'
opera
d
'
arte
,
quanto
maggiore
è
l
'
assorbimento
della
volontà
e
del
fine
nella
creazione
artistica
.
Questo
maggiore
assorbimento
rischia
di
parere
indifferenza
verso
gli
ideali
della
vita
a
chi
consideri
le
opere
con
criterii
estranei
all
'
arte
,
e
le
opere
d
'
arte
superficialmente
;
ma
a
prescindere
che
gl
'
ideali
della
vita
,
per
sé
stessi
,
non
hanno
nulla
da
vedere
con
l
'
arte
,
che
dev
'
essere
creazione
spontanea
e
indipendente
pure
quell
'
indifferenza
,
in
fondo
,
non
c
'
è
,
perché
altrimenti
non
ci
sarebbe
neppur
l
'
ironia
.
Se
l
'
ironia
c
'
è
,
ed
è
innegabile
,
non
c
'
è
l
'
indifferenza
,
di
cui
tanto
s
'
è
parlato
.
Piuttosto
deve
dirsi
che
questa
ironia
non
riesce
se
non
di
rado
a
drammatizzarsi
comicamente
,
come
avviene
nei
veri
umoristi
:
resta
quasi
sempre
comica
senza
dramma
,
e
dunque
facezia
,
burla
,
caricatura
più
o
men
grottesca
.
Lo
stesso
però
avviene
in
Rabelais
:
Mieulx
est
de
ris
que
des
larmes
escripre
:
Pour
ce
que
rire
est
le
propre
de
l
'
homme
.
E
Alcofribas
Nasier
è
condamné
en
Sorbonne
pour
les
facéties
de
haute
graisse
qui
caractérisent
son
livre
.
Che
hanno
di
più
o
di
diverso
queste
facéties
de
baule
graisse
di
quelle
del
Pulci
e
del
Folengo
e
del
Berni
?
Rileggiamo
con
questo
intento
il
Morgante
Maggiore
e
il
Baldus
e
poi
La
vie
de
Gargantua
e
Les
faits
et
les
dits
héroïques
du
bon
Pantagruel
roi
des
Dipsodes
,
e
ci
salteranno
agli
occhi
a
ogni
passo
la
parentela
spirituale
innegabile
,
le
innegabili
derivazioni
.
E
rileggiamo
il
Berni
.
Lasciando
anche
da
parte
le
18
stanze
al
principio
del
canto
XX
del
Rifacimento
dell
'
Orlando
Innamorato
e
l
'
opuscolo
del
Vergerio
sul
protestantesimo
del
Berni
e
tutte
le
altre
riflessioni
filosofiche
,
sociali
e
politiche
sparse
qua
e
là
nel
Rifacimento
stesso
;
lasciando
da
parte
il
Dialogo
contro
i
poeti
e
le
parodie
del
Petrarca
in
derisione
dei
petrarchisti
,
e
l
'
invettiva
famosa
:
Nel
tempo
che
fu
fatto
papa
Adriano
VI
e
i
sonetti
contro
Clemente
VII
:
Il
papa
non
fa
altro
che
mangiare
,
Il
papa
non
fa
altro
che
dormire
;
e
tutti
gli
altri
sonetti
contro
a
preti
e
abati
,
e
anche
quel
sonetto
che
comincia
:
Poiché
da
voi
,
signor
,
m
'
é
pur
vietato
Che
dir
le
vere
mie
ragion
non
possa
,
Per
consumarmi
le
midolle
e
l
'
ossa
Con
questo
nuovo
strazio
e
non
usato
;
e
lasciando
anche
da
parte
il
capitolo
in
lode
d
'
Aristotile
(
che
non
affetta
il
favellar
toscano
)
dedicato
a
Messer
Pietro
Buffetto
cuoco
;
spigoliamo
proprio
in
quei
capitoli
che
paiono
i
più
frivoli
e
spigoliamo
nelle
lettere
del
Berni
(
si
legga
a
questo
proposito
quel
che
dice
il
Graf
nel
suo
aureo
libro
Attraverso
il
Cinquecento
su
le
condizioni
del
letterato
nel
sec
.
XVI
)
.
A
Messer
Latino
Juvenale
scrive
:
Ecco
il
Valerio
mi
riprende
,
e
dice
ch
'
io
farei
bene
a
lasciare
andar
queste
baie
e
a
rivolgere
i
miei
pensieri
a
miglior
parte
;
che
maledetto
sia
egli
,
e
chi
sente
talmente
seco
.
Che
penitenza
è
la
mia
,
a
dare
ad
intendere
al
mondo
che
questo
si
debbe
piuttosto
imputare
alla
mia
disgrazia
che
ad
alcuna
elezione
?
Io
non
ho
comprato
a
contanti
questo
tormento
,
né
me
lo
sono
andato
cercando
a
posta
per
far
rider
la
gente
del
fatto
mio
:
che
non
se
ne
ridon
però
se
non
gli
scempi
.
E
a
Monsignor
Cornaro
scrive
:
Ma
che
la
natura
e
la
fortuna
mi
ha
fatto
tale
,
dico
,
asciutto
di
parole
e
poco
cerimonioso
,
e
per
ristoro
intrigato
in
servita
.
In
un
'
altra
lettera
confessa
:
Io
,
spinto
dalla
furia
del
dolore
,
sono
ricorso
al
rimedio
della
poesia
.
Egli
si
governa
,
come
dice
in
una
poesia
,
a
volte
di
cervello
,
e
a
Messer
Agnolo
Divizio
scrive
:
conciossiaché
alla
giornata
io
operi
e
faccia
tutte
le
mie
azioni
.
Che
si
cava
di
questo
mondo
finalmente
altro
che
'
l
contentarsi
o
almeno
cercare
di
contentarsi
:
Ciascun
faccia
secondo
il
suo
cervello
Che
non
siam
tutti
d
'
una
fantasia
.
E
a
Giovan
Francesco
Bini
:
Nondimeno
ancora
io
sono
stoico
come
voi
,
e
lascio
correre
alla
'
righi
l
'
acqua
di
questo
fiume
.
In
mezzo
alla
peste
,
allo
stesso
Divizio
suo
padrone
,
che
andava
fuggendo
di
qua
e
di
là
per
paura
,
scrive
:
Se
ben
son
uomo
,
e
come
uomo
tengo
conto
della
vita
,
ho
anche
tanta
grazia
da
Dio
,
che
a
luogo
e
tempo
so
non
ne
tener
conto
;
ch
'
è
anche
cosa
da
uomo
.
Sicché
non
mi
dite
pauroso
,
ché
io
sono
piuttosto
degno
di
esser
chiamato
temerario
.
E
come
uno
stoico
veramente
fu
in
mezzo
alla
peste
,
ne
vinse
il
terrore
e
riuscì
ad
acquistarne
quel
sentimento
che
vedremo
esser
fondamentale
dell
'
umorismo
,
cioè
il
sentimento
del
contrario
:
l
'
ironia
,
nei
due
capitoli
in
lode
della
peste
riesce
a
drammatizzarsi
comicamente
,
e
però
va
oltre
alla
facezia
,
oltre
alla
burla
,
oltre
al
comico
.
Nel
flagello
vede
,
come
vedrà
poi
don
Abbondio
,
la
scopa
,
ma
con
ben
altre
riflessioni
filosofiche
.
Non
fu
mai
malattia
senza
ricetta
,
La
natura
l
'
ha
fatte
tutt
'
e
due
,
Ella
imbratta
le
cose
,
ella
le
netta
.
E
la
natura
,
dopo
aver
trovato
il
bujo
e
le
candele
e
aver
fatto
gli
orecchi
e
le
campane
,
Trovò
la
peste
perché
bisognava
;
bisognava
,
perché
:
a
questo
corpaccio
del
mondo
Che
per
esser
maggior
più
feccia
mena
,
Bisogna
spesso
risciacquare
il
fondo
.
E
la
natura
che
si
sente
piena
Piglia
una
medicina
di
moria
.
Ma
la
natura
ha
anche
forte
del
buffone
e
il
Berni
sa
bene
avvertirne
tutti
i
contrasti
amari
e
le
aspre
dissonanze
e
riderne
,
rappresentandoli
.
In
una
lettera
in
versi
al
pittore
Sebastiano
del
Piombo
,
parlando
anche
di
Michelangelo
,
comune
amico
,
dice
:
Ad
ogni
modo
è
disonesto
a
cure
,
Che
voi
che
fate
i
legni
e
i
sassi
vivi
,
Abbiate
poi
com
'
asini
a
morire
.
Basta
che
vivon
le
querci
e
gli
olivi
,
I
sorbi
,
le
cornacchie
,
i
cervi
e
i
cani
,
E
mille
animalacci
più
cattivi
.
Ma
questi
son
ragionamenti
vani
,
Però
lasciamli
andar
,
ché
non
si
dica
Che
noi
siam
mammalucchi
o
luterani
.
V
.
L
'
IRONIA
COMICA
NELLA
POESIA
CAVALLERESCA
Quando
il
Brunetière
,
su
la
Revue
des
Deux
Mondes
prima
(
1879
,
III
,
p
.
62o
e
segg
.
)
,
poi
nel
volume
Études
critiques
sur
l
'
histoire
de
la
littérature
francaise
(
Paris
,
1880
)
,
si
scagliò
contro
l
'
erudizione
contemporanea
e
la
letteratura
francese
nel
medio
evo
,
a
difender
questa
e
quello
sorsero
,
fieramente
indignati
,
molti
critici
,
segnatamente
romanisti
,
e
non
soltanto
della
Francia
.
Certo
,
la
difesa
dell
'
erudizione
contemporanea
sarebbe
riuscita
molto
più
efficace
,
se
i
difensori
non
si
fossero
da
un
canto
lasciati
andare
per
ripicco
a
dire
ogni
sorta
di
villanie
contro
la
critica
estetica
,
e
non
si
fossero
,
dall
'
altro
,
provati
a
difendere
con
troppo
zelo
anche
le
bellezze
della
poesia
medievale
,
epica
e
cavalleresca
,
della
Francia
.
Ricordo
,
fra
le
altre
,
la
difesa
di
Cr
.
Nyrop
,
nella
sua
Storia
dell
'
Epopea
francese
nel
M
.
E
.
(
trad
.
del
Gorra
,
Torino
,
Loescher
,
1888
.
Vedi
Lib
.
III
,
cap
.
III
,
Valore
dell
'
Epopea
)
,
per
la
ingenua
speciosità
degli
argomenti
.
Si
è
fatto
un
rimprovero
ai
poemi
dicendo
che
sono
rozzi
e
ruvidi
e
che
i
personaggi
che
vi
agiscono
non
possono
pretendere
al
nome
di
eroe
,
poiché
tutto
il
loro
sforzo
non
tende
ad
altro
che
ad
uccidere
.
Ebbene
,
da
questa
accusa
di
rozzezza
,
di
ruvidità
,
di
crudeltà
,
come
difendeva
egli
i
poemi
?
Non
li
difendeva
affatto
:
Si
concederà
volentieri
,
egli
dice
anzi
,
che
in
molti
poemi
si
cantano
e
celebrano
cose
le
quali
,
osservate
dal
punto
di
vista
del
nostro
tempo
,
non
possono
chiamarsi
altro
che
crudeltà
,
abominevoli
e
bestiali
crudeltà
,
e
che
gli
eroi
spesso
sfogano
la
loro
ira
in
modo
inumano
sopra
coloro
che
per
mala
ventura
sono
venuti
in
loro
potere
.
Cita
alcuni
esempii
e
quindi
,
a
mo
'
di
scusa
,
soggiunge
:
ma
il
Medio
Evo
non
era
osservato
cogli
occhi
del
nostro
tempo
neppure
differente
;
l
'
antico
poema
francese
non
si
è
certamente
reso
colpevole
di
nessuna
esagerazione
,
poiché
la
storia
ha
conservato
memoria
di
molte
simili
crudeltà
.
Bella
scusa
,
la
fedeltà
storica
,
di
fronte
all
'
estimativa
estetica
!
Ma
anche
la
crudeltà
più
atroce
,
come
tutto
,
può
essere
argomento
d
'
arte
;
e
crudelissimo
si
dimostra
Achille
nel
trascinare
attorno
alle
mura
di
Troja
il
cadavere
di
Ettore
:
bisognava
dimostrare
che
la
crudeltà
,
nei
poemi
francesi
,
è
rappresentata
,
non
solo
con
fedeltà
storica
(
il
che
in
fondo
importerebbe
poco
)
,
ma
artisticamente
:
e
questo
il
Nyrop
non
poteva
,
perché
gli
eroi
,
riconosce
egli
stesso
,
considerati
dal
lato
psicologico
sono
figure
poco
complesse
,
i
loro
moti
interiori
,
i
loro
momenti
di
dubbio
,
le
lotte
del
loro
animo
sono
qualche
cosa
di
cui
i
poeti
non
fanno
quasi
mai
parola
...
Analizzare
e
notomizzare
un
'
anima
è
solamente
possibile
e
può
soltanto
interessare
in
un
periodo
di
civiltà
più
avanzato
.
Il
poeta
del
medio
evo
non
conosce
tutti
questi
delicati
gradi
del
sentimento
:
per
lui
esistono
soltanto
i
più
spiccati
segni
esteriori
,
per
lui
gli
uomini
sono
prodi
o
vigliacchi
,
lieti
o
afflitti
,
credenti
o
eretici
,
e
quello
che
essi
sono
,
lo
sono
completamente
ed
egli
non
spende
mai
molte
parole
per
dirlo
a
'
suoi
uditori
o
a
'
suoi
lettori
.
Esaminando
poi
a
uno
a
uno
tutti
i
poemi
,
il
Nyrop
è
costretto
a
riconoscere
che
la
religione
,
la
quale
,
accanto
al
furore
bellico
,
si
presenta
come
uno
dei
principali
motivi
nell
'
epica
francese
,
è
una
concezione
puerile
,
anzi
la
religiosità
,
egli
dice
,
occorre
il
più
delle
volte
nei
poemi
come
qualche
cosa
di
esteriore
,
aggiunto
agli
eroi
,
per
la
qualcosa
sta
in
generale
anche
in
contradizione
con
le
loro
azioni
.
In
altre
parole
:
gli
eroi
non
sembrano
essere
intieramente
convinti
della
verità
di
tutte
le
belle
sentenze
cristiane
che
si
pongono
loro
in
bocca
;
il
loro
carattere
e
il
loro
interiore
mal
s
'
accorda
coi
miti
ed
umani
dommi
del
cristianesimo
,
e
ne
risulta
perciò
spesso
una
contradizione
insolubile
che
apparisce
fortemente
nei
loro
discorsi
e
nelle
loro
azioni
.
Così
,
per
recare
un
esempio
,
non
è
raro
che
l
'
uno
o
l
'
altro
eroe
dimentichi
nelle
sue
preghiere
sé
stesso
al
punto
di
aggiungere
le
peggiori
minacce
se
Dio
non
gli
concede
quello
che
egli
chiede
.
Ed
io
credo
,
soggiunge
il
Nyrop
,
che
il
Gautier
e
il
D
'
Avril
siano
molto
fuor
di
strada
,
quando
considerano
la
religiosità
come
il
più
importante
elemento
dell
'
epopea
.
L
'
entusiasmo
del
Gautier
ogni
volta
che
gli
eroi
nominano
il
nome
di
Dio
è
talora
ridicolo
;
egli
va
in
estasi
per
la
frase
più
bassa
e
triviale
in
cui
si
parli
di
angeli
ed
esclama
tosto
:
sublime
,
incomparable
;
e
quando
s
'
imbatte
in
qualche
verso
così
stereotipo
come
questo
Foi
que
doi
Dieu
,
le
fils
sainte
Marie
"
,
egli
lo
chiama
una
energica
affermazione
di
fede
.
Il
suo
punto
di
veduta
,
preso
nel
suo
insieme
,
è
così
limitato
ed
estremamente
cattolico
,
che
non
vale
la
pena
di
combatterlo
.
Io
concepisco
solo
la
religiosità
degli
eroi
come
qualche
cosa
che
per
una
parte
fu
aggiunta
più
tardi
,
forse
al
tempo
delle
crociate
,
e
diventa
perciò
soltanto
un
fattore
concomitante
ma
subordinato
;
la
mia
opinione
può
ben
anche
essere
appoggiata
da
questo
che
gli
ecclesiastici
,
specialmente
i
monaci
,
sono
di
rado
messi
in
una
luce
di
cui
abbiano
molto
a
lodarsi
;
se
essi
vogliono
poter
pretendere
al
favore
dei
poeti
,
devono
,
come
Turpino
,
presentarsi
con
la
spada
a
fianco
(
i
cavalieri
si
permettono
anche
,
e
questo
accade
negli
stessi
poemi
della
crociata
,
di
farsi
beffe
dei
cerimonieri
.
Così
nell
'
Antioche
accade
una
scena
piacevole
e
caratteristica
,
quando
i
cavalieri
francesi
escono
dalla
città
per
combattere
contro
Kerboga
.
Enguerrant
de
Saint
-
Pol
sta
loro
alla
testa
e
il
suo
lucido
elmo
forbito
e
la
sua
corazza
splendente
scintillano
ai
raggi
del
sole
.
Quando
sono
usciti
dalla
città
,
si
fermano
e
un
arcivescovo
implora
la
benedizione
del
cielo
sopra
di
loro
e
vuole
aspergerli
con
acqua
benedetta
,
ma
Enguerrant
fa
qualche
obiezione
e
lo
prega
di
non
macchiargli
l
'
elmo
:
Anqui
le
vourrai
bel
a
Sarrarins
mostrer
»
,
vedi
Pigeonneau
,
Cycle
de
la
Croisade
,
p
.
90-91
)
.
Ho
voluto
ricordar
questo
,
perché
mi
sembra
che
troppo
se
ne
siano
dimenticati
quanti
,
discorrendo
con
scarsa
cognizione
dell
'
epopea
francese
,
notano
in
essa
serietà
e
profondità
di
sentimento
religioso
e
non
so
quali
e
quanti
fieri
e
nobili
ideali
,
per
venir
poi
a
dire
che
quel
sentimento
e
questi
ideali
non
potevano
trovar
eco
nei
nostri
poeti
cavallereschi
fioriti
in
un
tempo
di
scettica
indifferenza
,
di
pagana
serenità
,
privo
di
aspirazioni
,
ecc
.
ecc
.
Tutte
queste
frasi
fatte
non
c
'
entrano
e
la
ragione
del
riso
dei
nostri
poeti
cavallereschi
va
cercata
altrove
.
Già
l
'
ironia
per
la
materia
,
la
satira
della
vita
cavalleresca
,
la
troviamo
in
Francia
fin
nei
poemi
,
come
ad
esempio
,
nell
'
Aiol
;
l
'
irrisione
per
l
'
Imperatore
,
gli
indizii
della
degradazione
graduale
di
lui
si
trovano
già
in
un
poema
antico
come
l
'
Ogier
le
Danois
,
dove
Carlo
non
ha
più
la
prudenza
tranquilla
e
si
lascia
facilmente
vincer
dall
'
ira
,
e
ingiuria
e
poi
ha
paura
della
vendetta
degli
ingiuriati
.
A
poco
a
poco
,
lo
vediamo
divenire
imbecille
,
assotez
,
bersaglio
delle
beffe
,
e
moralmente
corrotto
.
Nel
Garin
de
Montglane
,
com
'
è
noto
,
arriva
finanche
a
giocarsi
a
scacchi
la
Francia
.
La
ragione
di
questo
degradamento
,
di
questa
irrisione
la
troviamo
facilmente
;
è
in
ispecie
nei
poemi
in
cui
si
vuol
glorificare
qualche
eroe
provinciale
,
poemi
composti
da
troveri
che
servivan
vassalli
,
se
non
al
tutto
ribelli
,
quasi
indipendenti
,
ai
quali
piaceva
di
ridere
alle
spalle
dell
'
autorità
imperiale
.
Come
l
'
irrisione
della
vita
cavalleresca
e
la
degradazione
dei
cavalieri
,
esaltati
prima
alle
spalle
dei
vilan
,
si
troverà
nei
poemi
non
più
cantati
a
corte
o
nei
castelli
.
Se
il
nostro
buon
Tassoni
avesse
potuto
leggere
nel
Siège
de
Neuville
l
'
impresa
di
quei
bravi
tessitori
fiamminghi
capitanati
da
Simone
Banin
,
non
si
sarebbe
forse
vantato
più
inventore
del
poema
eroicomico
.
Troviamo
finanche
questo
in
Francia
,
purus
et
putus
.
E
allora
?
Il
Rajna
avverte
che
la
propagazione
della
materia
dalla
regione
transalpina
alla
cisalpina
par
seguita
sopra
tutto
di
buon
'
ora
ed
essersi
poi
rallentata
;
ché
altrimenti
poco
si
capirebbe
come
l
'
Italia
abbia
conosciuto
meglio
gli
strati
arcaici
delle
chansons
de
geste
che
i
successivi
,
tanto
da
conservare
racconti
e
forme
di
racconto
dimenticati
poi
e
alterati
nella
Francia
,
e
da
ignorare
invece
quasi
affatto
le
creazioni
ibride
che
introdussero
nel
genere
il
meraviglioso
dei
romanzi
d
'
avventura
.
E
traccia
in
brevi
linee
il
tipo
più
comune
del
romanzo
cavalleresco
prevalso
nell
'
età
franco
-
italiana
:
tipo
a
cui
risponde
in
grandissima
parte
il
Morgante
del
Pulci
.
Ma
è
da
notare
altresì
col
Rajna
stesso
che
la
letteratura
romanzesca
toscana
,
senza
distinzione
di
prosa
e
di
rima
,
ha
rapporti
diretti
e
immediati
colle
età
precedenti
...
Non
mancano
testi
in
prosa
fabbricati
sulle
versioni
rimate
oppure
ad
un
tempo
su
queste
e
sulle
forme
anteriori
,
francesi
o
franco
-
italiane
.
Il
fatto
è
che
quando
in
Francia
i
più
antichi
poemi
furon
tradotti
in
forma
di
romanzi
e
scesero
tra
il
popolo
,
l
'
epica
era
morta
;
e
che
all
'
opposto
in
Italia
se
non
l
'
epica
,
che
non
era
possibile
il
poema
cavalleresco
cominciò
a
nascere
quando
,
con
versioni
in
prosa
o
rimate
,
la
produzione
francese
e
franco
-
italiana
o
veneta
entrò
in
Toscana
e
vi
trovò
il
suo
metro
,
l
'
ottava
;
e
che
in
tutto
questo
movimento
la
materia
o
rimase
qual
'
era
,
degradata
,
o
per
ringentilirsi
si
contaminò
(
nel
senso
classico
della
parola
)
e
anche
si
sollevò
fino
a
drammatizzarsi
seriamente
.
Che
ci
han
dunque
da
vedere
lo
scetticismo
del
tempo
,
l
'
indifferenza
,
la
mancanza
d
'
ogni
ideale
,
se
anzi
i
nostri
poeti
cavallereschi
tendono
invece
a
rialzare
a
mano
a
mano
,
a
nobilitar
la
materia
,
a
rivagheggiar
quasi
in
sogno
quegli
ideali
,
lavando
del
troppo
sangue
gli
eroi
e
rendendoli
più
umani
e
più
gentili
?
Che
se
,
anche
così
,
poi
essi
non
riescono
bene
a
prenderli
sul
serio
,
non
è
già
perché
li
vedano
innanzi
a
loro
spogli
di
quegli
ideali
e
non
più
animati
dall
'
antico
sentimento
religioso
,
ma
perché
la
rappresentazione
che
di
essi
aveva
fatto
la
poesia
medievale
(
tranne
qualche
rarissima
eccezione
)
,
ruvida
e
rozza
,
non
li
poteva
in
alcun
modo
né
per
alcun
lato
far
prendere
sul
serio
.
A
poeti
colti
e
maturi
,
che
leggono
e
sanno
ammirare
i
classici
,
quegli
eroi
tutti
d
'
un
pezzo
,
foggiati
tutti
su
lo
stesso
stampo
,
dovevano
apparir
per
forza
fantocci
.
Eppure
il
popolo
ancora
e
anche
i
signori
prendevano
gusto
al
racconto
delle
loro
gesta
inverosimili
.
Il
popolo
si
capisce
:
se
ne
diletta
vivamente
tuttora
,
a
Napoli
,
a
Palermo
;
e
la
materia
si
modifica
,
s
'
accresce
,
prende
nutrimento
e
qualità
dai
sentimenti
,
dai
costumi
,
dalle
aspirazioni
della
gente
innanzi
a
cui
si
rappresenta
,
assumendo
una
rozza
forma
,
di
cui
facilmente
quella
si
contenta
.
Il
popolo
crede
;
in
ispecie
il
popolo
meridionale
,
inculto
,
appassionato
e
ancor
quasi
primitivo
,
serba
anche
oggidì
tutti
quegli
elementi
d
'
ingenua
meraviglia
e
di
credulità
superstiziosa
e
fanatica
,
che
rendon
possibili
la
nascita
e
lo
sviluppo
della
leggenda
:
e
se
Garibaldi
,
vestito
di
fiamma
,
passa
in
mezzo
ad
esso
,
è
investito
senz
'
altro
,
spontaneamente
,
dei
più
antichi
attributi
leggendarii
:
è
creduto
invulnerabile
,
e
che
abbia
nella
spada
un
capello
di
Santa
Rosalia
,
patrona
di
Palermo
,
proprio
come
Orlando
aveva
in
Durendala
un
capello
della
Vergine
.
E
tutti
noi
,
del
resto
,
anche
privi
della
beata
ignoranza
popolare
,
non
abbiamo
forse
di
Garibaldi
,
la
cui
vita
fu
e
volle
essere
una
vera
creazione
in
tutto
,
fin
nel
modo
di
vestirsi
,
fuori
e
sopra
le
conoscenze
d
'
ogni
realtà
contingente
,
noi
tutti
,
dico
,
non
abbiamo
di
Garibaldi
un
sentimento
leggendario
,
epico
,
che
si
offende
se
minimamente
un
tratto
discordante
si
voglia
metter
in
luce
,
un
documento
storico
tenti
in
qualche
punto
di
diminuircelo
?
Noi
tutti
però
non
potremmo
più
affatto
contentarci
oggi
d
'
una
epopea
garibaldina
vera
e
propria
,
sorta
cioè
dal
popolo
con
quegli
ingenui
e
primitivi
attributi
leggendarii
;
come
per
altro
non
ci
contentiamo
dei
componimenti
epico
-
lirici
su
questo
Eroe
,
componimenti
in
cui
il
poeta
tenta
di
sostituire
la
immaginazione
collettiva
del
popolo
con
la
propria
fantasia
individuale
,
e
non
ci
riesce
,
perché
quell
'
Eroe
con
la
volontà
e
col
sentimento
creò
di
per
sé
epicamente
la
propria
vita
,
cosicché
la
sua
storia
è
di
per
sé
epopea
,
e
nulla
potrebbe
aggiungervi
la
fantasia
d
'
un
poeta
,
come
gl
'
ingrandimenti
meravigliosi
e
ingenui
della
immaginazione
collettiva
del
popolo
la
renderebbero
a
noi
diminuita
e
ridicola
:
parodia
d
'
epopea
a
volerla
rappresentare
;
qual
'
è
,
ad
esempio
,
La
scoperta
dell
'
America
di
Cesare
Pascarella
.
Per
il
popolo
la
storia
non
è
scritta
;
o
,
se
è
scritta
,
esso
la
ignora
o
non
se
ne
cura
;
la
sua
storia
esso
se
la
crea
,
e
in
modo
che
risponda
a
'
suoi
sentimenti
e
alle
sue
aspirazioni
.
A
una
sola
storia
,
se
mai
,
popolo
avrebbe
potuto
credere
,
in
materia
cavalleresca
:
alla
famosa
Cronaca
dello
pseudo
-
Turpino
,
la
quale
,
all
'
uopo
,
per
un
esempio
,
avrebbe
potuto
confermargli
che
il
gigante
di
nome
Ferraù
o
Ferracutus
fuit
de
genere
Goliat
,
poiché
la
sua
statura
era
quasi
cubitis
XX
,
facies
erat
longa
quasi
unius
cubiti
et
nasus
illius
unius
palmi
mensurati
et
brachia
et
crura
jus
quatuor
cubitum
erant
et
digiti
jus
tribus
palmis
.
Ma
non
ce
n
'
era
punto
bisogno
!
Perché
anzi
il
bisogno
del
popolo
è
sempre
un
altro
:
quello
di
credere
,
non
di
dubitare
minimamente
di
ciò
che
gli
piace
credere
.
Questo
dubbio
poteva
nascere
nel
tardi
raffazzonatori
pseudo
-
letterati
dell
'
epica
francese
,
quando
,
alterate
a
lor
modo
le
antiche
leggende
,
tiravano
in
ballo
Turpino
o
le
cronache
di
S
.
Dionigi
:
Et
qui
ice
voudrai
a
mançogne
tenir
Se
voist
lire
l
'
estoire
en
France
,
a
Paris
.
Dal
che
si
vede
che
neanche
in
questo
sarebbero
stati
originali
i
nostri
poeti
cavallereschi
,
ogni
qual
volta
a
mo
'
di
scusa
aggiungevano
:
Turpin
lo
dice
.
Quando
questa
materia
cavalleresca
,
dalle
piazze
ove
ormai
è
caduta
,
risale
,
per
capriccio
o
per
curiosità
o
per
vaghezza
che
se
ne
abbia
,
ai
palagi
,
alle
corti
dei
signori
,
che
avviene
?
Ma
bisogna
innanzi
tutto
avvertire
all
'
indole
,
ai
gusti
,
ai
costumi
di
queste
corti
,
a
cui
sale
!
Quale
fosse
la
corte
di
Lorenzo
de
'
Medici
,
quali
le
abitudini
,
i
piaceri
,
gl
'
intendimenti
di
lui
,
è
ben
noto
;
e
basterebbe
,
anche
senza
dare
tutto
quel
peso
che
si
deve
alla
diversa
indole
e
alla
diversa
educazione
dei
poeti
,
a
spiegarci
in
gran
parte
perché
il
Morgante
.
Maggiore
sia
così
diverso
dell
'
Innamorato
del
Bojardo
e
del
Furioso
dell
'
Ariosto
.
Il
Morgante
risponde
perfettamente
alla
corte
di
Lorenzo
,
il
quale
si
piace
della
espressione
popolare
e
per
il
popolo
compone
,
parodiando
,
come
nella
Nencia
da
Barberino
.
Egli
ha
il
gusto
della
parodia
,
e
lo
dimostra
anche
coi
Beoni
,
parodia
dantesca
,
letteraria
,
qui
;
parodia
dell
'
espressione
popolare
,
nella
Nencia
.
Ben
è
vero
che
il
Medici
,
notò
il
Carducci
nella
prefazione
alle
poesie
di
Lorenzo
de
'
Medici
(
Firenze
,
Barbera
,
1859
)
contraffece
e
parodiò
più
presto
che
non
ritraesse
la
espressione
degli
affetti
e
il
modo
di
favellare
de
'
nostri
campagnuoli
:
ché
i
Rispetti
più
volte
stampati
negli
ultimi
anni
mostrano
aperto
avere
il
popolo
di
Toscana
più
gentilezza
d
'
affetto
,
più
squisitezza
di
fantasia
,
più
forbitezza
di
favella
,
che
non
piacesse
prestargliene
a
Lorenzo
dei
Medici
detto
il
Magnifico
e
a
Luigi
Pulci
suo
cortegiano
.
Il
quale
,
com
'
è
de
'
cortegiani
,
volle
dar
a
divedere
ch
'
e
'
facea
conto
del
poeta
potente
imitandolo
nella
Beca
da
Dicomano
;
e
com
'
è
degli
imitatori
,
per
superarlo
l
'
esagerò
,
sfoggiando
lo
strano
e
il
grottesco
dove
il
Medici
pur
nella
parodia
s
'
era
tenuto
al
delicato
.
Ma
è
chiaro
che
l
'
intenzione
parodica
comunica
per
forza
alla
forma
la
caricatura
,
giacché
,
chi
voglia
imitare
un
altro
,
bisogna
che
ne
colga
i
caratteri
più
spiccati
e
su
questi
insista
:
tale
insistenza
genera
inevitabilmente
la
caricatura
.
La
presenza
di
quella
pia
donna
che
fu
Lucrezia
Tornabuoni
potrebbe
poi
anche
spiegarci
,
almeno
in
parte
,
la
mascheratura
religiosa
che
il
Pulci
volle
dare
al
suo
poema
;
parodia
anch
'
essa
,
per
altro
,
a
mio
modo
di
vedere
,
come
tutto
il
resto
.
Basta
trattare
di
religione
con
la
lingua
buffona
della
plebe
,
perché
si
abbia
l
'
irriverenza
.
Ricorderò
qui
,
a
questo
proposito
,
ancora
una
volta
quello
che
il
Belli
faceva
rispondere
a
Luigi
Luciano
Bonaparte
che
gli
proponeva
la
traduzione
in
romanesco
del
vangelo
di
San
Matteo
.
Ma
questa
irriverenza
che
nasce
dalla
lingua
buffona
della
plebe
non
denota
punto
per
sé
stessa
irreligiosità
.
E
ricorderò
anche
l
'
aneddoto
che
si
racconta
in
Sicilia
d
'
un
altro
grande
poeta
dialettale
,
notissimo
nell
'
isola
e
ignoto
affatto
nel
Continente
,
Domenico
Tempio
,
il
quale
chiamato
un
giorno
dal
vescovo
di
Catania
e
paternamente
esortato
a
non
più
cantare
cose
oscene
e
a
dare
invece
al
popolo
durante
la
settimana
santa
un
bell
'
esempio
di
contrizione
sciogliendo
un
cantico
sacro
su
la
passione
e
morte
di
Cristo
,
rispose
a
Monsignore
che
volentieri
lo
avrebbe
soddisfatto
,
essendo
egli
credentissimo
e
divoto
;
e
volle
anzi
dargliene
un
saggio
lì
per
lì
,
scagliandosi
con
due
versi
d
'
estrosa
improvvisazione
contro
Ponzio
Pilato
così
sconci
,
che
fecero
subito
passar
la
voglia
a
Monsignore
del
bell
'
esempio
di
contrizione
da
offrire
al
popolo
catanese
durante
la
settimana
santa
.
Tutte
le
dispute
che
si
son
fatte
intorno
alla
irriverenza
verso
la
religione
,
anzi
all
'
empietà
,
all
'
ateismo
del
Pulci
,
non
possono
veramente
non
apparir
vane
quando
si
intendano
a
dovere
lo
spirito
del
poema
,
la
qualità
e
la
ragione
della
sua
ironia
e
del
suo
riso
.
Non
è
possibile
,
o
è
ingiustissimo
,
giudicare
in
sé
e
per
sé
esclusivamente
il
Morgante
Maggiore
,
come
fece
ad
esempio
una
prima
volta
il
De
Sanctis
,
il
quale
credette
e
volle
dimostrare
che
il
Pulci
,
nel
comporre
il
suo
poema
,
non
avesse
vera
e
profonda
coscienza
del
suo
scopo
;
e
però
condannò
come
insufficienze
del
poeta
la
puerilità
delle
situazioni
,
la
rudimentalità
psicologica
dei
personaggi
,
le
ripetizioni
nell
'
ordito
,
ecc
.
ecc
.
(
vedi
Scritti
varii
inediti
o
rari
,
a
cura
di
B
.
Croce
,
vol
.
I
,
Napoli
,
Morano
e
figlio
,
1898;
il
De
Sanctis
poi
nella
sua
Storia
della
letteratura
it
.
corresse
il
suo
giudizio
sul
Pulci
e
sul
poema
.
Qui
ho
citato
il
suo
primo
giudizio
solo
perché
anche
da
un
errore
,
del
resto
riparato
,
del
sommo
critico
,
si
può
trarre
profitto
,
ponendo
in
giusta
evidenza
,
in
questa
facile
confutazione
,
tra
i
due
casi
di
cui
egli
parla
,
quale
veramente
sia
quello
del
Pulci
)
.
Il
Pulci
,
invece
,
è
coscientissimo
del
suo
scopo
,
e
tra
i
due
casi
che
pone
il
De
Sanctis
di
chi
dice
sciocchezze
con
intenzione
comica
e
fa
ridere
non
di
lui
,
ma
di
quel
che
dice
,
e
di
chi
all
'
incontro
dice
sciocchezze
per
sciocchezza
e
fa
rider
di
lui
e
non
di
quel
che
ha
detto
,
l
'
autore
del
Morgante
sta
certamente
nel
primo
caso
,
non
già
nel
secondo
.
Il
Pulci
dice
sciocchezze
con
intenzione
comica
o
,
più
propriamente
,
parodica
,
e
fa
ridere
,
non
tanto
però
quanto
vorrebbe
far
credere
in
un
,
suo
libro
recente
Attilio
Momigliano
(
vedi
il
vol
.
già
citato
L
'
indole
e
il
riso
di
L
.
P
.
,
Rocca
S
.
Casciano
,
Cappelli
,
1907
)
,
come
vedremo
appresso
.
Ho
ricordato
più
su
La
scoperta
dell
'
America
di
Cesare
Pascarella
.
Ebbene
,
si
può
dire
che
,
esteticamente
,
il
Pulci
si
trovi
,
di
fronte
alla
materia
cavalleresca
,
in
certo
qual
modo
nella
stessa
posizione
del
poeta
romanesco
di
fronte
alla
scoperta
dell
'
America
narrata
da
un
popolano
.
Il
Pascarella
infatti
sorprende
,
o
finge
di
sorprendere
,
in
un
'
osteria
un
popolano
saputo
,
che
racconta
ad
amici
quella
scoperta
,
commovendosi
della
gloria
e
della
sventura
di
Colombo
.
Chi
si
sognerebbe
d
'
attribuire
al
poeta
romanesco
le
sciocchezze
che
dice
quel
popolano
?
la
puerilità
ridicola
di
quei
dialoghi
col
re
di
Spagna
portoghese
?
tutte
le
altre
meraviglie
non
meno
ridicole
e
infantili
del
viaggio
,
dell
'
arrivo
,
del
ritorno
?
E
si
noti
che
codeste
meraviglie
suscitano
anche
,
a
un
certo
punto
,
qualche
reazione
d
'
incredulità
in
chi
ascolta
:
Come
le
sai
tu
codeste
cose
?
Eh
!
c
'
è
la
storia
.
(
Turpin
lo
dice
)
.
E
,
qua
e
là
,
paragoni
che
par
dimostrino
con
la
massima
evidenza
qualche
cosa
e
invece
non
dimostrano
nulla
:
e
certe
tirate
calorose
di
sdegno
o
d
'
ammirazione
;
e
certe
spiegazioni
in
cui
la
logica
rudimentale
del
popolano
si
compiace
quando
vuol
farsi
ragione
di
qualche
caso
o
avvenimento
straordinario
;
e
certi
impeti
di
commozione
che
fanno
ridere
non
per
intenzione
comica
di
chi
racconta
,
ma
o
per
false
deduzioni
o
per
immagini
improprie
e
stonate
o
per
incongrue
frasi
.
Ciaripensa
,
e
te
scopre
er
cannocchiale
.
Chi
si
sognerebbe
di
dire
che
il
Pascarella
voglia
metter
qui
in
dileggio
Galileo
?
Ma
egli
non
può
,
pur
serbando
affatto
oggettiva
la
rappresentazione
di
quel
racconto
d
'
osteria
,
non
ridere
entro
di
sé
e
di
quel
popolano
che
narra
in
tal
modo
la
gloria
di
Colombo
e
d
'
altri
sommi
Italiani
e
anche
della
scoperta
dell
'
America
in
tal
modo
narrata
.
E
questo
suo
riso
segreto
forma
quasi
un
'
aria
ilare
,
un
'
atmosfera
di
comicità
irresistibile
attorno
a
quella
rappresentazione
oggettiva
.
L
'
intenzione
comica
del
poeta
,
nel
riferire
oggettivamente
le
sciocchezze
di
quel
popolano
,
non
si
appalesa
mai
;
il
poeta
non
fa
mai
capolino
.
Questo
,
veramente
,
non
si
può
dire
del
Pulci
.
Mentre
il
Pascarella
ritrae
semplicemente
,
il
Pulci
spesso
contraffà
per
parodia
.
Ma
non
si
debbono
imputare
a
lui
tutte
le
sciocchezze
,
le
volgarità
,
le
puerilità
dei
cantastorie
o
della
letteratura
epica
e
romanzesca
venuta
di
Francia
o
dall
'
Italia
settentrionale
,
poiché
egli
anzi
,
contraffacendo
e
parodiando
,
se
ne
beffa
apertamente
.
Sarebbe
come
prendere
sul
serio
una
cosa
fatta
per
giuoco
;
o
come
incolpare
il
Pascarella
d
'
aver
deriso
la
gloria
di
Colombo
,
ritraendo
il
racconto
che
ne
faceva
quel
popolalo
.
Il
Pulci
non
si
sogna
neppur
lui
di
deridere
la
cavalleria
o
la
religione
;
si
spassa
a
contraffare
i
cantastorie
di
piazza
,
a
cantar
coi
loro
modi
,
con
la
loro
lingua
,
con
la
loro
psicologia
infantile
,
coi
loro
mezzi
inventivi
stereotipati
,
la
materia
epica
e
cavalleresca
;
di
tratto
in
tratto
segue
e
interpreta
il
sentimento
popolare
per
qualche
scena
patetica
,
per
qualche
azione
che
suscita
l
'
ira
o
il
compianto
o
lo
sdegno
,
ecc
.
Naturalmente
,
tutto
questo
,
se
rappresenta
per
lui
uno
spasso
,
un
giuoco
,
per
il
solo
fatto
poi
ch
'
egli
v
'
impiega
l
'
arte
sua
e
studio
e
tempo
,
non
può
non
esser
anche
preso
sul
serio
;
e
non
di
rado
,
dunque
,
egli
si
immedesima
davvero
nel
racconto
,
ma
sempre
col
sentimento
,
con
la
logica
,
con
la
psicologia
del
popolo
,
e
trova
espressioni
efficacissime
.
É
vero
che
poi
,
tutt
'
a
un
tratto
,
rompe
questa
serietà
con
una
risata
.
Ma
non
è
mai
,
secondo
me
,
per
intenzione
satirica
:
l
'
uscita
è
spesso
burlesca
,
popolare
:
segue
e
interpreta
anche
qui
spesso
il
sentimento
del
popolo
.
E
sbaglia
,
dunque
,
secondo
me
,
il
Momigliano
e
contradice
anche
a
sé
stesso
,
quando
afferma
(
pag
.
120-121
del
vol
.
cit
.
)
che
il
sorriso
del
Morgante
è
soggettivo
:
soggettivo
nel
senso
che
è
la
naturale
,
incoercibile
irruzione
dell
'
indole
del
Pulci
nella
materia
epica
.
In
questo
senso
,
anzi
egli
aggiunge
,
il
Morgante
è
uno
dei
poemi
epici
più
soggettivi
,
che
io
conosca
;
potrebbe
esser
definito
:
il
mondo
cavalleresco
veduto
attraverso
un
temperamento
giocondo
.
Anzi
,
dopo
tante
discussioni
sul
suo
protagonista
,
chi
vuole
sia
Morgante
,
chi
Gano
io
credo
che
l
'
unico
personaggio
,
che
domina
tutta
l
'
azione
,
attorno
al
quale
tutta
l
'
azione
si
svolge
,
sia
l
'
autore
stesso
:
all
'
infuori
di
lui
non
c
'
è
protagonista
.
Poche
pagine
innanzi
(
pag
.
113
)
,
egli
aveva
detto
:
In
quell
'
età
di
riso
spensierato
più
che
satirico
,
il
riso
del
Morgante
non
è
che
la
vernice
del
tempo
,
che
si
sovrappone
alla
materia
tradizionale
deformandone
soltanto
la
superficie
.
E
,
indagando
e
studiando
nella
prima
parte
del
volume
l
'
indole
di
Luigi
Pulci
:
Certo
mentre
l
'
uomo
piangeva
,
il
poeta
rideva
.
Non
fu
piccola
forza
d
'
animo
durar
a
scrivere
un
poema
giocondo
come
il
Morgante
,
col
cuore
straziato
da
sempre
nuove
ferite
,
fra
le
minacce
della
fame
e
della
prigione
per
debiti
.
Non
sono
infrequenti
i
casi
di
poeti
,
che
si
ridono
dei
proprii
travagli
,
ma
è
rarissimo
quello
di
un
poeta
sventurato
,
che
impiega
la
sua
attività
artistica
in
un
'
opera
,
nella
quale
il
riso
non
si
vela
mai
di
pianto
.
È
un
miracolo
,
nel
quale
probabilmente
ebbe
qualche
parte
l
'
influsso
della
Rinascenza
»
.
Confesso
di
passata
ch
'
io
non
riesco
a
veder
così
giocondo
lo
spirito
del
nostro
Rinascimento
,
come
il
Momigliano
insieme
con
altri
lo
vede
.
Diffido
degli
inviti
a
godere
,
specialmente
quando
son
così
insistenti
e
vogliono
aver
l
'
aria
d
'
essere
spensierati
;
diffido
di
chi
vuol
esser
gajo
ad
ogni
costo
.
Il
Trionfo
di
Bacco
e
d
'
Arianna
?
Ma
è
carpe
diem
d
'
Orazio
:
Tu
ne
quaesieris
,
scire
nefas
,
quem
rnihi
,
quem
tibi
finem
Di
dederint
...
E
può
dirsi
giocondità
quella
di
chi
si
stordisce
per
non
pensare
?
Potrebbe
esser
,
se
mai
,
filosofia
di
saggi
,
non
giocondità
di
giovani
.
E
quante
cose
tristi
non
dicono
i
famosi
canti
carnascialeschi
a
chi
sappia
leggervi
ben
addentro
!
Ma
lasciamo
star
questo
,
che
per
il
momento
sarebbe
questione
oziosa
,
tanto
più
che
per
me
il
Pulci
ritrae
tutto
dall
'
aspetto
caratteristico
dell
'
indole
fiorentina
e
la
sua
è
la
lingua
buffona
del
popolo
,
e
le
idee
e
il
sentimento
del
popolo
,
rispetto
alla
materia
epica
e
cavalleresca
,
nelle
espressioni
d
'
un
cantastorie
,
egli
vuol
contraffare
e
parodiare
nel
suo
Morgante
,
il
quale
per
me
,
ripeto
,
non
è
poi
tutto
quel
monumento
di
giocondità
che
il
Momigliano
ci
vorrebbe
far
credere
.
Per
spiegarci
il
miracolo
,
di
cui
parla
il
Momigliano
,
basta
pôr
mente
a
questo
,
cioè
più
allo
scopò
che
il
Pulci
s
'
è
proposto
,
che
alla
sua
indole
.
Se
la
vita
del
poeta
è
tristissima
,
se
egli
nel
componimento
Io
vo
'
dire
una
frottola
confessa
:
I
'
ho
mal
quand
'
i
'
rido
e
Io
non
sarò
mai
lieto
,
...non
piacqui
mai
-
A
me
stesso
,
né
piaccio
,
se
egli
è
inclinato
fin
dalla
nascita
alla
mestizia
e
alla
malinconia
,
come
il
Momigliano
stesso
dimostra
per
altre
testimonianze
,
oltre
a
questa
della
Frottola
composta
negli
anni
tardi
,
se
egli
aveva
due
modi
per
mitigare
i
propri
dolori
:
rassegnarcisi
ed
era
il
rimedio
al
quale
ricorreva
più
di
raro
o
riderci
su
al
modo
degli
umoristi
:
vera
consolazione
da
disperato
,
e
quest
'
umorismo
triste
soggettivo
nel
Pulci
,
non
oggettivo
manca
quasi
affatto
nel
Morgante
,
come
diventa
poi
soggettivo
,
invece
,
il
riso
del
Morgante
,
naturale
,
incoercibile
irruzione
dell
'
indole
del
Pulci
nella
materia
epica
?
Come
può
esser
il
Pulci
il
vero
protagonista
del
suo
poema
?
Magari
fosse
stato
!
Ma
il
Pulci
,
se
in
parte
nelle
lettere
e
nella
Frottola
riesce
a
ridere
dei
suoi
dolori
a
modo
degli
umoristi
,
non
riesce
mai
a
oggettivare
nel
suo
poema
la
disposizione
naturale
all
'
umorismo
.
Egli
vive
due
vite
,
ma
non
le
fa
vivere
nel
suo
poema
.
Dualismo
doloroso
,
esclama
qua
il
Momigliano
,
che
condanna
il
Pulci
a
rappresentare
nel
Morgante
la
parte
d
'
una
maschera
allegra
,
mentre
,
quando
s
'
è
raffreddata
la
sua
fantasia
,
onde
i
facili
versi
sono
fluiti
come
una
brigata
perennemente
gaja
dalle
porte
d
'
un
palazzo
fatato
,
il
dolore
della
vita
tormentata
di
ogni
giorno
lo
deve
,
pel
contrasto
,
riassalire
più
acuto
che
mai
!
O
dunque
?
Se
è
una
maschera
,
non
è
l
'
indole
che
naturalmente
e
incoercibilmente
irrompe
nella
materia
epica
!
Ma
non
è
neanche
una
maschera
.
Di
veramente
soggettivo
nel
poema
non
c
'
è
quasi
nulla
:
il
Morgante
è
la
materia
cavalleresca
infusa
d
'
un
'
anima
plebea
come
dice
il
Cesareo
,
il
quale
nel
gigante
armato
di
battaglio
e
in
Margutte
vede
il
popolo
stesso
che
si
mira
allo
specchio
del
suo
rozzo
e
sincero
naturalismo
.
Il
primo
è
ignorante
,
vorace
,
manesco
,
burlone
,
ma
non
ha
perfidia
;
e
compie
le
imprese
più
ardue
a
un
sol
cenno
del
suo
padrone
;
è
la
forza
ignara
e
subitanea
del
popolo
acconciamente
diretta
da
un
sentimento
che
ne
sviluppi
le
qualità
oscure
,
l
'
onestà
,
la
giustizia
,
l
'
indulgenza
,
la
devozione
,
l
'
amorevolezza
.
Margutte
invece
è
il
popolo
senza
fede
e
senza
sentimento
,
la
canaglia
abietta
e
impudente
,
motteggiatrice
ed
obbliqua
,
criminosa
e
spavalda
.
E
il
vero
protagonista
del
poema
è
dunque
Morgante
,
il
buon
popolo
,
che
segue
,
ammirato
,
le
strampalate
avventure
dei
paladini
di
Francia
e
vi
partecipa
a
suo
modo
.
Il
Pulci
non
ha
voluto
rappresentare
altro
,
nella
sua
parodia
.
Non
posso
indugiarmi
a
rilevare
tutte
le
false
conseguenze
che
il
Momigliano
trae
dalla
secondo
me
erronea
convinzione
che
Fil
riso
del
Morgante
sia
soggettivo
.
Egli
è
in
buona
compagnia
:
anche
per
il
Rajna
le
novità
del
Morgante
consistono
in
certi
episodi
,
dove
l
'
Autore
introduce
curiosi
personaggi
di
sua
fattura
e
si
scapriccia
tanto
colla
fantasia
quanto
colla
ragione
;
soprattutto
poi
nella
dimostrazione
del
suo
io
e
nell
'
atteggiamento
che
prende
di
fronte
all
'
opera
sua
(
vedi
Introduzione
alle
Fonti
dell
'
Orl
.
Fur
.
,
seconda
ed
.
pag
.
20
,
Firenze
,
Sansoni
,
1900
)
.
Ora
il
vero
suo
io
il
Pulci
,
se
dobbiamo
stare
all
'
indagine
che
ne
fa
lo
stesso
Momigliano
ripeto
non
lo
dimostra
affatto
nel
Morgante
.
Se
vi
rappresenta
la
parte
d
'
una
maschera
allegra
!
Per
me
è
gravissimo
torto
attribuire
direttamente
al
poeta
ciò
che
va
attribuito
al
sentimento
,
alla
logica
,
alla
psicologia
,
alla
lingua
buffona
della
plebe
,
nella
parodia
ch
'
egli
ne
fa
.
Così
ad
esempio
,
il
Momigliano
a
un
certo
punto
osserva
:
Non
oserei
però
sostenere
la
perfetta
innocenza
del
Pulci
,
quando
Ulivieri
mi
vien
fuori
a
spiegare
il
mistero
della
Trinità
con
quel
certo
esempio
della
candela
,
che
non
spiega
un
bel
nulla
.
Come
se
di
queste
spiegazioni
che
non
spiegano
nulla
non
fosse
piena
tutta
la
letteratura
popolare
!
E
poi
,
se
il
paragone
si
trova
già
nell
'
Orlando
,
che
c
'
entra
la
malizia
del
Pulci
?
Più
sotto
,
a
proposito
della
conversione
di
Fuligatto
,
osserva
:
Già
queste
conversioni
e
questi
battesimi
e
per
la
loro
rapidità
e
per
la
loro
frequenza
e
per
il
troppo
fervore
dei
neofiti
più
o
meno
insospettiscono
sempre
.
Ma
se
questo
è
uno
dei
tratti
caratteristici
,
che
dimostrano
appunto
la
puerilità
della
concezione
religiosa
nella
epopea
francese
!
Appena
conquistata
una
città
,
i
vincitori
impongono
agl
'
infedeli
la
conversione
:
chi
si
rifiuta
,
tagliato
a
fil
di
spada
;
e
i
battezzati
diventano
d
'
un
tratto
cristiani
zelantissimi
.
Che
c
'
entra
il
Pulci
?
A
proposito
dell
'
episodio
d
'
Orlando
motteggiato
nel
c
.
XXI
dai
ragazzacci
della
città
,
che
il
paladino
attraversa
su
Vegliantino
così
mal
ridotto
;
che
non
si
regge
in
piedi
,
il
Momigliano
dice
che
il
Pulci
non
sente
la
maestà
cavalleresca
,
e
poi
nota
:
Pel
nostro
poeta
il
riso
è
una
delle
grandi
leggi
,
a
cui
tutti
devono
pagare
il
proprio
tributo
.
Il
Pulci
,
quindi
,
accenna
ne
'
suoi
personaggi
tanto
i
lati
seri
quanto
i
lati
ridicoli
e
li
riduce
a
quando
a
quando
ai
limiti
dell
'
umano
.
Così
,
in
quest
'
episodio
,
pare
che
egli
prenda
in
giro
Orlando
,
ma
non
è
vero
:
un
paladino
invitto
,
col
palafreno
cascante
anche
Vegliantino
qui
scade
dalla
dignità
solita
nei
cavalli
degli
eroi
non
è
sottoposto
ad
una
deminutio
capitis
,
non
s
'
avvicina
un
po
'
al
Cavaliere
dalla
trista
figura
?
E
questo
non
può
accadere
ad
un
paladino
?
Ma
fate
che
gli
s
'
avvicini
un
petulante
a
beffeggiarlo
e
vedrete
che
egli
non
è
un
Don
Quijote
,
ma
un
paladino
autentico
:
ecco
in
qual
modo
Orlando
,
abbassato
per
un
momento
,
subito
si
rialza
.
Nella
fonte
c
'
è
qualche
cosa
di
molto
simile
(
Orl
.
L
.
30-37
)
.
Siam
già
vicini
alla
beffa
,
ma
non
l
'
abbiamo
raggiunta
ancora
:
la
beffa
si
avrà
solo
,
quando
il
riso
sarà
l
'
esplosione
della
ribellione
meditata
del
raziocinio
.
Anche
qui
è
attribuito
al
Pulci
quel
che
già
,
prima
di
tutto
,
si
trova
nella
fonte
,
e
che
si
trova
poi
in
altri
poemi
,
come
ad
esempio
nell
'
Aiol
e
nel
Florent
et
Octavien
.
Così
,
quella
certa
facilità
di
commozione
che
hanno
i
paladini
,
e
che
al
Momigliano
sembra
non
molto
naturale
in
guerrieri
di
quella
tempra
,
si
trova
già
,
come
è
noto
,
nell
'
epopea
francese
,
dove
centinaja
di
volte
si
leggono
versi
come
questi
(
formule
epiche
stereotipate
)
:
Trois
fois
se
pasme
sor
le
corant
destrier
.
Quando
non
sviene
un
intero
esercito
:
Cent
milie
frane
s
'
en
pasment
cuntre
terre
.
Dato
il
concetto
che
il
Momigliano
s
'
è
formato
dell
'
umorismo
,
che
questo
cioè
sia
il
riso
che
penetra
più
finemente
o
più
profondamente
nel
proprio
oggetto
,
e
,
anche
quando
non
si
eleva
alla
contemplazione
di
un
fatto
generale
,
è
tuttavia
indizio
di
uno
spirito
avvezzo
a
cercare
il
nocciolo
delle
cose
,
s
'
intende
com
'
egli
possa
trovare
con
molta
buona
volontà
anche
l
'
umorismo
nel
Morgante
,
non
ostante
che
prima
egli
stesso
abbia
detto
che
il
genere
di
riso
del
Morgante
non
scaturisce
da
una
psicologia
profonda
e
che
questo
procede
da
due
ragioni
,
dall
'
inettitudine
del
Pulci
e
dalla
materia
,
che
di
solito
si
appaga
di
caratteri
inconsistenti
e
che
il
Pulci
vede
specialmente
il
ridicolo
fisico
,
il
ridicolo
delle
forme
,
degli
atteggiamenti
,
delle
movenze
d
'
un
corpo
e
il
suo
sia
di
solito
un
riso
superficiale
che
nella
sua
quasi
costante
leggerezza
ritrae
dello
spirito
e
della
letteratura
dei
tempi
.
Ma
ora
per
lui
:
il
pianto
,
l
'
indulgenza
,
la
simpatia
,
ecc
.
ecc
.
,
sono
tutti
elementi
accessori
dell
'
umorismo
,
il
quale
,
in
somma
,
è
come
ha
detto
il
Masci
il
senso
generale
della
comicità
,
e
nient
'
altro
.
Inteso
così
,
l
'
umorismo
si
può
trovare
da
per
tutto
.
Ulivieri
è
sbalzato
di
sella
da
Manfredonio
davanti
a
Meridiana
e
dice
:
Alla
mia
vita
non
caddi
ancor
mai
,
Ma
ogni
cosa
vuol
cominciamento
?
Umorismo
!
Meridiana
gli
risponde
:
Usanza
è
in
guerra
cader
dal
destriere
,
Ma
chi
si
fugge
non
suol
mai
cadere
?
Umorismo
!
Rinaldo
,
dimentico
di
Luciana
,
si
innamora
di
Antea
e
raccomanda
a
Ulivieri
di
servirla
con
ogni
cura
,
e
l
'
amico
risponde
:
Così
va
la
fortuna
;
Cércati
d
'
altro
amante
,
Luciana
;
Da
me
sarai
d
'
ogni
cosa
servito
»
?
Risposta
stringata
,
filosofica
,
umoristica
commenta
il
Momigliano
,
e
via
di
questo
passo
.
Ma
no
!
Il
vero
umorismo
non
si
può
trovare
nel
Morgante
.
Si
sarebbe
potuto
trovare
,
se
il
Pulci
fosse
riuscito
a
trasfondere
i
suoi
dolori
,
le
sue
miserie
in
qualcuno
dei
personaggi
o
in
qualche
scena
,
e
ne
avesse
riso
,
come
nella
Frottola
o
in
qualcuna
delle
lettere
;
se
la
sua
ironia
,
la
vana
parvenza
di
quello
sciocco
,
puerile
o
grottesco
mondo
cavalleresco
,
fosse
riuscita
in
qualche
punto
a
drammatizzarsi
,
attraverso
il
suo
sentimento
,
comicamente
.
Ma
egli
non
solo
non
vede
,
né
può
vedere
sé
nel
dramma
,
ma
non
riesce
neanche
a
vedere
il
dramma
nell
'
oggetto
rappresentato
.
E
come
si
può
parlare
dunque
d
'
umorismo
?
Dico
del
vero
umorismo
,
che
non
è
punto
quel
che
crede
il
Momigliano
,
seguendo
il
Masci
.
Dell
'
altro
,
cioè
dell
'
umorismo
inteso
nel
senso
più
largo
e
comune
,
di
cui
ho
già
fatto
parola
,
eh
,
di
quello
sì
,
ce
n
'
è
in
lui
solo
tanta
copia
,
quanta
in
cento
scrittori
inglesi
messi
insieme
,
che
dal
Nencioni
o
dall
'
Arcoleo
sarebbero
tenuti
in
conto
di
veri
umoristi
.
Questo
è
indubitabile
.
*
Mi
sono
intrattenuto
così
a
lungo
sul
Morgante
perché
fra
i
tre
nostri
maggiori
poemi
cavallereschi
è
quello
in
cui
certamente
ha
più
campo
l
'
ironia
:
l
'
ironia
che
secondo
l
'
espressione
dello
Schlegel
riduce
la
materia
a
una
perpetua
parodia
e
consiste
nel
non
perdere
,
neppure
nel
momento
del
patetico
,
la
coscienza
della
irrealità
della
propria
creazione
.
L
'
intendimento
dei
due
altri
poeti
,
il
Bojardo
e
l
'
Ariosto
,
è
più
serio
.
Ma
bisogna
bene
intendersi
,
su
questa
maggior
serietà
...
Il
Pulci
è
poeta
popolare
,
nel
senso
che
non
solleva
per
nulla
dal
popolo
la
materia
che
tratta
,
anzi
ve
la
tiene
per
riderne
parodiandola
,
in
una
corte
borghese
come
quella
di
Lorenzo
che
della
parodia
,
come
ho
detto
,
ha
il
gusto
.
Il
Bojardo
è
poeta
cortegiano
,
nel
senso
che
ha
,
per
usare
le
parole
stesse
del
Rajna
,
una
profonda
simpatia
per
i
costumi
e
i
sentimenti
cavallereschi
,
cioè
per
l
'
amore
,
la
gentilezza
,
il
valore
,
la
cortesia
e
se
non
ha
ritegno
a
scherzare
col
soggetto
,
né
ha
rimorso
di
esporre
alla
derisione
i
suoi
personaggi
,
gli
è
che
egli
intende
a
celebrare
la
prodezza
,
la
cortesia
e
l
'
amore
,
non
già
Orlando
e
Ferraguto
;
cortegiano
,
dunque
,
nel
senso
che
scrive
per
dar
buon
tempo
e
gradito
sollazzo
a
una
corte
che
,
vivendo
in
ozii
agiati
ed
eleganti
,
appassionandosi
ai
casi
di
Ginevra
e
di
Isotta
,
alle
avventure
dei
cavalieri
erranti
,
non
avrebbe
potuto
far
buon
viso
ai
paladini
di
Francia
,
se
questi
le
fossero
venuti
innanzi
senza
amore
e
senza
cortesia
.
L
'
Ariosto
,
se
per
condizioni
di
vita
,
rispetto
alla
casa
d
'
Este
,
è
in
un
altro
senso
poeta
cortegiano
anche
lui
,
rispetto
però
alla
materia
che
prende
a
trattare
,
non
guarda
che
alle
condizioni
serie
dell
'
arte
.
Abbiamo
veduto
che
nella
stessa
Francia
già
da
tempo
il
mondo
epico
e
cavalleresco
aveva
perduto
ogni
serietà
.
Come
avrebbero
potuto
i
poeti
italiani
trattare
seriamente
ciò
che
già
da
tempo
era
cessato
di
esser
serio
?
L
'
ironia
comica
era
inevitabile
.
Ma
chi
fa
un
lavoro
comico
osserva
giustamente
il
De
Sanctis
non
è
esentato
dalle
condizioni
serie
dell
'
arte
.
Ebbene
,
queste
condizioni
serie
dell
'
arte
rispetta
più
di
tutti
l
'
Ariosto
,
meno
di
tutti
il
Pulci
,
ma
non
per
difetto
d
'
arte
,
come
era
parso
prima
al
De
Sanctis
,
bensì
ripetiamo
per
lo
scopo
ch
'
egli
si
prefisse
.
Chi
fa
una
parodia
o
una
caricatura
è
certamente
animato
da
un
intento
o
satirico
o
semplicemente
burlesco
:
la
satira
o
la
burla
consistono
in
un
'
alterazione
ridicola
del
modello
,
e
non
sono
perciò
commisurabili
se
non
in
relazione
con
le
qualità
di
questo
e
segnatamente
con
quelle
che
spiccano
di
più
e
che
già
rappresentano
nel
modello
una
esagerazione
.
Chi
fa
una
parodia
o
una
caricatura
insiste
su
queste
qualità
spiccate
;
dà
loro
maggior
rilievo
;
esagera
un
'
esagerazione
.
Per
far
questo
è
inevitabile
che
si
sforzino
ì
mezzi
espressivi
,
si
àlteri
stranamente
,
goffamente
o
anche
grottescamente
la
linea
,
la
voce
o
,
comunque
,
l
'
espressione
;
si
faccia
in
somma
violenza
all
'
arte
e
alle
condizioni
serie
di
essa
.
Si
lavora
su
un
vizio
o
su
un
difetto
d
'
arte
o
di
natura
,
e
il
lavoro
deve
consistere
nell
'
esagerato
,
perché
se
ne
rida
.
Ne
risulta
inevitabilmente
un
mostro
;
qualcosa
che
,
a
considerarla
in
sé
e
per
sé
,
non
può
avere
alcuna
verità
,
né
,
dunque
,
alcuna
bellezza
;
per
intenderne
la
verità
e
però
la
bellezza
,
bisogna
esaminarla
in
relazione
col
modello
.
Si
esce
così
dal
campo
della
fantasia
pura
.
Per
ridere
di
quel
vizio
o
di
quel
difetto
o
per
deriderli
,
dobbiamo
anche
scherzare
con
lo
strumento
dell
'
arte
;
esser
coscienti
del
nostro
gioco
,
che
può
esser
crudele
,
che
può
anche
non
aver
intenzioni
maligne
o
averne
anche
di
serie
,
come
le
aveva
ad
esempio
Aristofane
nelle
sue
caricature
.
Se
dunque
il
Pulci
nel
suo
lavoro
comico
viene
meno
alle
condizioni
serie
dell
'
arte
,
non
è
per
insufficienza
d
'
arte
,
ripeto
.
Lo
stesso
non
si
può
dire
per
il
Bojardo
.
La
maggior
serietà
di
questo
deve
considerarsi
non
già
nell
'
intenzion
dell
'
arte
,
che
gli
difetta
,
bensì
in
quella
di
piacere
alla
sua
corte
,
seguendo
anche
il
suo
gusto
e
il
piacer
suo
.
Si
arrivò
finanche
a
dire
che
il
Bojardo
tratta
seriamente
,
nel
suo
poema
,
la
cavalleria
.
Il
Rajna
,
che
com
'
è
noto
nel
suo
libro
su
Le
Fonti
dell
'
Orl
.
Fur
.
par
che
si
sia
proposto
di
rialzare
il
Bojardo
a
costo
del
suo
continuatore
,
a
proposito
della
distinzione
da
farsi
tra
l
'
Innamorato
e
il
Furioso
,
domanda
:
La
faremo
noi
consistere
nella
cosiddetta
ironia
ariostesca
?
Certo
starebbe
bene
,
se
fosse
vero
,
come
si
pretende
,
che
l
'
Ariosto
avesse
,
con
un
sorriso
incredulo
,
sciolto
in
fumo
l
'
edificio
del
Bojardo
,
e
trasformato
in
fantasmi
i
personaggi
dell
'
Innamorato
.
Il
male
si
è
che
quell
'
edificio
,
quei
personaggi
,
erano
già
una
fantasmagoria
anche
per
il
Conte
di
Scandiano
.
Se
Lodovico
non
crede
al
mondo
che
canta
e
se
ne
fa
giuoco
,
non
ci
crede
maggiormente
e
all
'
occasione
non
se
ne
fa
meno
giuoco
il
suo
predecessore
e
maestro
;
se
ironia
c
'
è
nel
Furioso
,
non
ne
manca
nemmeno
nell
'
Innamorato
.
E
,
alcune
pagine
innanzi
:
Certo
il
sentir
parlare
di
burlesco
e
umorismo
,
a
proposito
dell
'
Innamorato
,
deve
far
meraviglia
,
e
non
poca
.
Si
è
tanto
avvezzi
a
sentir
ripetere
su
tutti
i
toni
,
e
da
uomini
autorevolissimi
e
giudiziosissimi
,
che
il
Bojardo
canta
le
guerre
d
'
Albraccà
,
e
le
avventure
d
'
Orlando
e
di
Rinaldo
,
con
quella
medesima
serietà
e
convinzione
,
colla
quale
il
Tasso
celebrava
un
secolo
dopo
le
imprese
dei
Cristiani
in
Palestina
e
l
'
acquisto
di
Gerusalemme
!
È
un
errore
,
di
cui
.
mi
par
superflua
la
confutazione
...
Non
ci
vuol
molto
ad
accorgersi
che
tra
il
Bojardo
ed
il
mondo
da
lui
preso
a
rappresentare
,
c
'
è
un
vero
contrasto
,
dissimile
soltanto
per
grado
e
per
tono
da
quello
che
impediva
al
Pulci
d
'
immedesimarsi
colla
sua
materia
.
Ché
agli
occhi
di
ogni
Italiano
colto
del
secolo
XV
erano
ridicoli
quei
terribili
colpi
di
lancia
e
di
spada
,
che
al
paragone
avrebbero
fatto
apparir
fanciulli
gli
eroi
di
Omero
;
ridicolo
quel
frapparsi
(
!
)
le
armature
e
le
carni
per
le
ragioni
più
futili
,
od
anche
senza
un
motivo
al
mondo
;
ridicole
le
profonde
meditazioni
amorose
,
che
assorbivano
tutta
l
'
anima
per
ore
ed
ore
,
e
sopprimevano
ogni
ombra
di
coscienza
;
ridicole
,
insomma
,
tutte
le
esagerazioni
dei
romanzi
cavallereschi
.
O
come
si
vuole
che
un
uomo
imbevuto
fino
al
midollo
di
coltura
classica
,
e
dotato
di
un
buon
senso
a
tutta
prova
,
avesse
a
contemplare
e
rappresentare
questo
mondo
senza
mai
prorompere
in
uno
scoppio
di
riso
?
E
infatti
il
Bojardo
ride
,
e
si
studia
di
far
ridere
;
anche
in
mezzo
alle
narrazioni
più
serie
esce
in
frizzi
e
facezie
;
e
più
d
'
una
volta
egli
crea
scene
,
che
si
potrebbero
credere
trovate
dal
Cervantes
per
beffare
là
cavalleria
ed
i
suoi
eroi
.
Il
Rajna
crede
di
difendere
così
il
Bojardo
da
una
ingiustizia
.
Il
suo
torto
e
gli
è
stato
rilevato
alla
ristampa
del
libro
dal
Cesareo
(
vedi
in
Critica
militante
,
Messina
,
Trimarchi
,
1907
,
lo
studio
La
fantasia
dell
'
Ariosto
,
pubbl
.
prima
su
la
Nuova
Antologia
).)
è
quello
di
trattare
la
questione
dei
rapporti
tra
il
Bojardo
e
l
'
Ariosto
senza
una
adeguata
preparazione
estetica
.
Eppure
,
già
il
De
Sanctis
,
trattando
della
poesia
cavalleresca
in
un
corso
di
lezioni
all
'
Università
di
Zurigo
,
aveva
avvertito
maravigliosamente
:
La
facoltà
poetica
per
eccellenza
è
la
fantasia
:
ma
il
poeta
non
lavora
solo
con
le
facoltà
estetiche
,
tutte
le
facoltà
cooperano
:
il
poeta
non
è
solo
poeta
;
mentre
la
fantasia
forma
il
fantasma
,
l
'
intelletto
e
i
sensi
non
rimangono
inerti
.
Un
poeta
può
avere
potente
virtù
estetica
ed
esser
povero
d
'
immaginazione
,
commettere
errori
nel
disegno
o
spropositi
storici
e
geografici
:
questi
difetti
non
toccano
l
'
essenza
della
poesia
.
Ma
se
un
poeta
che
ha
in
alto
grado
queste
alte
facoltà
,
che
ha
un
bel
disegno
ed
una
perfetta
esecuzione
meccanica
,
ha
debole
fantasia
,
non
saprà
render
vivente
quanto
vede
:
la
mancanza
di
fantasia
è
la
morte
del
poeta
.
Ecco
la
distinzione
da
farsi
.
Fin
qui
non
avete
diritto
di
mettere
in
quistione
l
'
ingegno
poetico
del
Bojardo
;
i
difetti
,
che
abbiamo
enumerato
,
dipendono
da
altre
facoltà
.
Per
venire
ad
esaminarlo
come
poeta
,
bisogna
dunque
vedere
fino
a
qual
punto
abbia
la
potenza
formativa
del
fantasma
.
Ha
una
grande
inventiva
:
è
stato
il
poeta
italiano
che
ha
raccolto
il
più
vasto
e
vario
materiale
di
poesia
;
non
solo
per
quantità
ma
anche
per
qualità
.
L
'
inventiva
è
già
una
prima
condizione
del
poeta
;
e
per
tal
riguardo
il
Bojardo
è
superiore
al
Pulci
.
Ma
,
non
che
basti
,
è
poca
cosa
:
l
'
invenzione
nell
'
arte
è
il
meno
.
Dumas
lascia
ai
suoi
segretarii
l
'
incarico
di
raccogliere
i
materiali
,
ne
'
quali
si
riserba
d
'
infonder
poi
la
vita
.
Raccolto
il
materiale
,
il
Bojardo
lo
sa
lavorare
?
Ecco
la
quistione
.
Non
lo
lascia
nudo
ed
arido
come
il
Pulci
;
ha
la
facoltà
del
concepimento
,
dà
ad
ogni
fatto
e
personaggio
le
determinazioni
necessarie
perché
acquisti
una
fisionomia
propria
.
Non
gli
basta
l
'
abbozzare
un
personaggio
;
e
anzi
,
egli
è
uno
dei
principali
disegnatori
della
poesia
italiana
.
Pochi
sanno
dar
con
più
sicurezza
i
lineamenti
ad
un
carattere
...
Che
resta
da
fare
al
poeta
?
Mostrar
vivo
il
personaggio
.
Chi
ha
dato
tal
forma
e
tal
carattere
,
lo
deve
far
vivere
.
Bisogna
che
la
concezione
diventi
situazione
.
Anche
i
più
appassionati
non
sono
sempre
appassionati
.
Volendo
mettere
in
opera
le
determinazioni
,
bisogna
scegliere
tali
circostanze
che
,
mediante
di
esse
,
possano
manifestarsi
le
forze
interne
d
'
un
personaggio
.
V
'
è
situazione
estetica
quando
il
personaggio
è
posto
nelle
condizioni
più
favorevoli
,
perché
possa
rivelarsi
.
Ma
il
Bojardo
non
sa
mutar
la
concezione
in
situazione
.
Il
Cesareo
,
che
svolge
ampiamente
e
precisa
nel
suo
studio
su
La
fantasia
dell
'
Ariosto
questa
stupenda
intuizione
del
De
Sanctis
,
nota
a
questo
punto
che
,
in
verità
quando
una
creatura
vive
nella
fantasia
d
'
un
poeta
,
ella
si
rivelerà
intera
in
qualunque
circostanza
si
trovi
.
Il
poeta
non
ha
da
sceglier
nulla
,
perché
quella
creatura
è
libera
,
autonoma
,
fuori
del
poeta
medesimo
e
non
si
può
trovare
se
non
in
quelle
situazioni
a
cui
la
sospinge
il
suo
carattere
in
contrasto
coi
caratteri
circostanti
.
Le
situazioni
vengon
da
sé
,
non
le
sceglie
il
poeta
;
il
quale
deve
soltanto
curare
che
in
ciascuna
situazione
,
anche
la
meno
drammatica
,
il
personaggio
apparisca
tutto
,
con
tutte
le
sue
determinazioni
interiori
.
E
allora
una
sola
situazione
basterà
a
farci
conoscere
quella
creatura
;
e
noi
sapremo
a
un
dipresso
ciò
che
ella
farà
in
situazioni
più
favorevoli
"
.
Il
carattere
di
Farinata
è
già
tutto
ne
'
primi
sei
versi
co
'
quali
ei
si
volge
a
Dante
;
quello
d
'
Amleto
è
già
tutto
nella
scena
dell
'
udienza
a
Corte
;
quello
di
don
Abbondio
è
già
tutto
nella
sua
passeggiata
in
vista
de
'
bravi
.
Certo
,
la
successione
delle
situazioni
accresce
intensità
ed
evidenza
al
carattere
;
ma
qualunque
situazione
è
una
situazione
estetica
.
Per
il
Cesareo
,
al
Bojardo
manca
per
l
'
appunto
la
visione
completa
del
carattere
;
ed
io
son
d
'
accordo
con
lui
.
Su
un
altro
punto
io
dissento
dal
De
Sanctis
,
cioè
là
dove
egli
dice
che
il
Bojardo
per
intenzioni
pedantesche
,
ha
voluto
fare
seriamente
quanto
è
sostanzialmente
ridicolo
.
Codeste
intenzioni
pedantesche
nel
Bojardo
veramente
non
so
vederle
,
come
non
so
vedere
ch
'
egli
abbia
voluto
esser
serio
e
che
soltanto
per
la
forza
dei
tempi
sia
riuscito
ridicolo
.
Se
,
come
dice
lo
stesso
De
Sanctis
,
egli
ride
delle
sue
invenzioni
,
non
ha
voluto
esser
serio
.
Secondo
me
,
anzi
,
il
torto
del
Bojardo
è
proprio
là
dove
il
Rajna
crede
di
difenderlo
da
una
ingiustizia
:
che
egli
,
cioè
,
nobile
cavaliere
,
animato
da
una
profonda
simpatia
per
i
costumi
cavallereschi
,
cioè
per
l
'
amore
,
la
gentilezza
,
il
valore
,
la
cortesia
,
non
ha
voluto
esser
serio
,
come
per
il
sentimento
suo
poteva
e
come
per
il
rispetto
alle
condizioni
serie
dell
'
arte
doveva
.
E
,
non
volendo
esser
serio
,
egli
non
ha
saputo
ridere
,
perché
a
quella
materia
solo
un
riso
ormai
conveniva
,
quello
della
forma
,
e
la
forma
sopra
tutto
manca
al
Bojardo
.
Dice
bene
il
Rajna
che
non
ci
vuol
molto
ad
accorgersi
che
tra
il
Bojardo
ed
il
mondo
da
lui
preso
a
rappresentare
,
c
'
è
un
vero
contrasto
,
dissimile
soltanto
per
grado
e
per
tono
da
quello
che
impediva
al
Pulci
d
'
immedesimarsi
colla
sua
materia
.
Ma
l
'
inferiorità
del
Bojardo
rispetto
al
Pulci
e
all
'
Ariosto
è
appunto
qui
,
nel
grado
e
nel
tono
del
suo
riso
.
Egli
volle
badar
soltanto
a
sollazzare
sé
e
gli
altri
,
e
non
intese
che
,
volendo
sollevar
dal
popolo
quella
materia
e
non
volendo
più
farne
deliberatamente
la
parodia
,
come
aveva
fatto
il
Pulci
,
si
dovevano
rispettare
le
condizioni
serie
dell
'
arte
,
come
l
'
Ariosto
le
rispettò
.
Non
è
affatto
vero
che
il
poeta
del
Furioso
con
sorriso
incredulo
sciolga
in
fumo
l
'
edificio
del
Bojardo
e
trasformi
in
fantasmi
i
personaggi
dell
'
Innamorato
.
Al
contrario
!
Egli
dà
anzi
a
quell
'
edificio
e
a
quei
personaggi
ciò
che
loro
mancava
:
consistenza
e
fondamento
di
verità
fantastica
e
coerenza
estetica
.
Bisogna
bene
intendersi
sul
non
credere
del
poeta
al
mondo
che
canta
o
che
,
comunque
,
rappresenta
.
Ma
si
potrebbe
dire
che
non
solo
per
l
'
artista
,
ma
non
esiste
per
nessuno
una
rappresentazione
,
sia
creata
dall
'
arte
o
sia
comunque
quella
che
tutti
ci
facciamo
di
noi
stessi
e
degli
altri
e
della
vita
,
che
si
possa
credere
una
realtà
.
Sono
,
in
fondo
,
una
medesima
illusione
quella
dell
'
arte
e
quella
che
comunemente
a
noi
tutti
viene
dai
nostri
sensi
.
Pur
non
di
meno
,
noi
chiamiamo
vera
quella
dei
nostri
sensi
,
finta
quella
dell
'
arte
.
Tra
l
'
una
e
l
'
altra
illusione
non
è
però
questione
di
realtà
,
bensì
di
volontà
,
e
solo
in
quanto
la
finzione
dell
'
arte
è
voluta
,
voluta
non
nel
senso
che
sia
procacciata
con
la
volontà
per
un
fine
estraneo
a
sé
stessa
;
ma
voluta
per
sé
e
per
sé
amata
,
disinteressatamente
;
mentre
quella
dei
sensi
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
:
si
ha
,
come
e
in
quanto
si
hanno
i
sensi
.
E
quella
dunque
è
libera
,
e
questa
no
.
E
l
'
una
finzione
è
dunque
immagine
o
forma
di
sensazioni
,
mentre
l
'
altra
,
quella
dell
'
arte
,
è
creazione
di
forma
.
Il
fatto
estetico
,
effettivamente
,
comincia
solo
quando
una
rappresentazione
acquisti
in
noi
per
sé
stessa
una
volontà
,
cioè
quando
essa
in
sé
e
per
sé
stessa
si
voglia
,
provocando
per
questo
solo
fatto
,
che
si
vuole
,
il
movimento
(
tecnica
)
atto
ad
effettuarla
fuori
di
noi
.
Se
la
rappresentazione
non
ha
in
sé
questa
volontà
,
che
è
il
movimento
stesso
dell
'
immagine
,
essa
è
soltanto
un
fatto
psichico
comune
;
l
'
immagine
non
voluta
per
sé
stessa
;
fatto
spirituale
-
meccanico
,
in
quanto
non
sta
in
noi
volerla
o
non
volerla
;
ma
che
si
ha
in
quanto
risponde
in
noi
a
una
sensazione
.
Abbiamo
tutti
,
più
o
meno
,
una
volontà
che
provoca
in
noi
quei
movimenti
atti
a
creare
la
nostra
propria
vita
.
Questa
creazione
,
che
ciascuno
fa
a
sé
stesso
della
propria
vita
,
ha
bisogno
anch
'
essa
,
in
maggiore
o
minor
grado
,
di
tutte
le
funzioni
e
attività
dello
spirito
,
cioè
d
'
intelletto
e
di
fantasia
,
oltre
che
di
volontà
;
e
chi
più
ne
ha
e
più
ne
mette
in
opera
,
riesce
a
creare
a
sé
stesso
una
più
alta
e
vasta
e
forte
vita
.
La
differenza
tra
questa
creazione
e
quella
dell
'
arte
è
solo
in
questo
(
che
fa
appunto
comunissima
l
'
una
e
non
comune
l
'
altra
)
:
che
quella
è
interessata
e
questa
disinteressata
,
il
che
vuol
dire
che
l
'
una
ha
un
fine
di
pratica
utilità
,
l
'
altra
non
ha
alcun
fine
che
in
sé
stessa
;
l
'
una
è
voluta
per
qualche
cosa
;
l
'
altra
si
vuole
per
sé
stessa
.
E
una
prova
di
questo
si
può
avere
nella
frase
che
ciascuno
di
noi
suoi
ripetere
ogni
qual
volta
,
per
disgrazia
,
contro
ogni
nostra
aspettativa
,
il
proprio
fine
pratico
,
i
proprii
interessi
siano
stati
frustrati
:
Ho
lavorato
per
amore
dell
'
arte
.
E
il
tono
con
cui
si
ripete
questa
frase
ci
spiega
la
ragione
per
cui
la
maggioranza
degli
uomini
,
che
lavorano
per
fini
di
pratica
utilità
e
che
non
intendono
la
volontà
disinteressata
,
suoi
chiamare
matti
i
poeti
veri
,
quelli
cioè
in
cui
la
rappresentazione
si
vuole
per
sé
stessa
senz
'
altro
fine
che
in
sé
medesima
,
e
tale
essi
la
vogliono
,
quale
essa
si
vuole
.
Non
ricorderò
qui
la
domanda
del
cardinale
Ippolito
a
Messer
Lodovico
.
Il
quale
però
,
per
tutta
risposta
,
avrebbe
potuto
rileggergli
quell
'
ottava
del
canto
ove
si
narra
del
viaggio
di
Astolfo
alla
Luna
:
Non
sì
pietoso
Enea
,
né
forte
Achille
Fu
,
com
'
è
fama
,
né
sì
fiero
Ettorre
;
E
ne
son
stati
e
mille
e
mille
e
mille
Che
lor
si
puon
con
verità
anteporre
:
Ma
i
donati
palazzi
e
le
gran
ville
Dai
discendenti
lor
,
gli
ha
fatto
porre
In
questi
senza
fin
sublimi
onori
Dall
'
onorate
man
degli
scrittori
...
Dal
che
si
può
vedere
come
anche
in
un
grandissimo
poeta
un
sentimento
almeno
in
parte
non
disinteressato
poté
macchiar
l
'
opera
e
mortificarla
.
Fortunatamente
questo
avvenne
per
una
parte
soltanto
del
poema
.
In
qualche
altro
punto
si
può
notare
che
la
riflessione
più
che
il
sentimento
,
muova
la
rappresentazione
;
la
quale
allora
perde
l
'
azione
spontanea
,
d
'
essere
organico
e
vivente
,
e
acquista
un
movimento
rigido
e
quasi
meccanico
.
È
là
dove
il
poeta
dimostra
d
'
essersi
proposto
a
freddo
il
rispetto
delle
condizioni
serie
dell
'
arte
,
là
cioè
dove
non
le
rispetta
più
istintivamente
,
ma
per
intenzione
preconcetta
.
Citerò
per
esempio
le
personificazioni
di
Melissa
e
di
Logistilla
.
Ma
là
dove
il
poeta
rispetta
istintivamente
le
condizioni
serie
dell
'
arte
,
cessa
l
'
ironia
?
riesce
il
poeta
a
perder
la
coscienza
della
irrealità
della
sua
creazione
?
e
come
s
'
immedesima
egli
con
la
sua
materia
?
Questo
è
il
punto
da
chiarire
e
che
richiede
l
'
analisi
più
sottile
.
È
qui
il
segreto
dello
stile
dell
'
Ariosto
.
Nella
lontananza
del
tempo
e
dello
spazio
,
il
poeta
vede
innanzi
a
sé
un
mondo
meraviglioso
che
in
parte
la
leggenda
,
in
parte
le
capricciose
invenzioni
dei
cantori
han
costruito
attorno
a
Carlo
Magno
.
Egli
vede
l
'
Imperatore
non
già
come
quella
cosa
oscura
del
Pulci
,
che
passeggia
per
la
mastra
sala
impaurito
dei
formidabili
eserciti
dei
Saracini
o
,
più
spesso
,
delle
minacciate
vendette
dei
Paladini
per
i
tradimenti
di
Gano
,
che
lo
mena
per
il
naso
a
sua
posta
:
né
lo
vede
come
il
Bojardo
,
Carlone
rimbambito
,
che
s
'
indugia
a
parlar
con
Angelica
,
affocato
in
volto
e
con
gli
occhi
lustri
,
poiché
si
sente
toccar
l
'
ugola
anche
lui
.
Egli
comprende
che
è
da
farsa
o
da
teatrino
di
marionette
un
imperatore
così
fatto
.
Rida
il
volgo
,
ridano
i
fanciulli
dei
fantocci
.
Il
riso
è
facile
quando
con
burlesca
grossolanità
si
sconci
una
figura
o
si
faccia
comunque
ridicola
violenza
alla
realtà
.
Questo
non
può
voler
l
'
Ariosto
;
e
questo
lo
pone
già
di
gran
lunga
sopra
ai
suoi
predecessori
,
non
solo
,
ma
tanto
alto
forse
,
che
quantunque
egli
poi
si
sforzi
o
di
dissennarsi
o
di
tirar
su
fino
alla
sua
altezza
quella
materia
essa
,
per
ciò
che
ha
in
sé
di
irriducibile
ormai
,
gli
resta
in
parte
di
troppo
inferiore
.
Egli
la
domina
da
assoluto
padrone
e
secondo
l
'
imprevedibile
capriccio
della
sua
meravigliosa
fantasia
creatrice
combina
e
separa
,
associa
e
dissocia
tutti
gli
elementi
ch
'
essa
gli
fornisce
.
Con
questo
giuoco
,
che
maraviglia
e
incanta
per
la
sua
prodigiosa
agilità
,
egli
riesce
a
salvar
sé
e
la
materia
.
Dov
'
egli
può
,
cioè
in
quel
che
han
di
eterno
i
sentimenti
umani
e
le
umane
illusioni
,
egli
s
'
immedesima
tutto
,
fino
a
dar
la
stessa
consistenza
della
realtà
alla
sua
rappresentazione
;
dove
non
può
,
dove
agli
occhi
suoi
stessi
si
scopre
la
irrealità
irreparabile
di
quel
mondo
,
egli
dà
invece
alla
rappresentazione
una
leggerezza
,
quasi
di
sogno
,
che
si
ilara
tutta
d
'
una
sottilissima
ironia
diffusa
,
che
non
rompe
quasi
mai
l
'
incanto
né
di
questa
o
di
quell
'
opera
di
magia
rappresentata
,
né
quello
assai
più
meraviglioso
che
opera
la
magia
del
suo
stile
.
Ecco
,
ho
detto
la
parola
:
la
magia
dello
stile
.
Il
poeta
ha
compreso
che
a
un
solo
patto
si
poteva
dar
coerenza
estetica
e
verità
fantastica
a
quel
mondo
,
ove
appunto
la
magia
ha
tanta
parte
:
a
patto
che
il
poeta
diventasse
un
mago
a
sua
volta
,
e
il
suo
stile
dalla
magia
prendesse
qualità
e
virtù
.
E
c
'
è
l
'
illusione
che
il
poeta
crea
a
noi
,
e
talvolta
anche
a
sé
stesso
,
immedesimandosi
nel
giuoco
fino
ad
abbandonarvisi
tutto
.
Ah
,
quel
giuoco
tanto
gli
par
bello
,
che
bramerebbe
crederlo
realtà
:
non
è
,
pur
troppo
!
Tanto
che
,
di
tratto
in
tratto
,
il
velo
sottilissimo
si
squarcia
;
attraverso
lo
squarcio
la
realtà
vera
,
del
presente
,
si
scopre
,
e
allora
l
'
ironia
diffusa
si
raccoglie
d
'
un
subito
e
con
improvviso
scoppio
s
'
appalesa
.
Questo
scoppio
però
non
stride
,
non
urta
mai
troppo
:
si
presente
sempre
.
E
oltre
alle
illusioni
che
il
poeta
crea
a
noi
e
a
sé
stesso
,
ci
son
quelle
che
i
personaggi
si
creano
e
quelle
che
a
loro
creano
i
maghi
e
le
fate
.
E
tutto
un
giuoco
d
'
illusioni
,
fantasmagorico
.
Ma
la
fantasmagoria
non
è
tanto
nel
mondo
rappresentato
,
che
ha
sovente
,
ripeto
,
la
consistenza
stessa
della
realtà
;
quanto
nello
stile
e
nella
rappresentazione
del
poeta
,
il
quale
con
meraviglioso
accorgimento
ha
compreso
,
che
così
soltanto
,
rivaleggiando
cioè
con
la
stessa
magia
,
poteva
salvar
gli
elementi
irriducibili
della
materia
e
renderli
con
tutto
il
resto
coerenti
.
Ne
vogliamo
una
prova
?
Il
poeta
rivaleggia
con
la
magia
d
'
Atlante
,
nel
canto
XII
:
il
mago
ha
innalzato
un
castello
,
ove
i
cavalieri
si
travagliano
invano
a
cercar
le
loro
donne
ch
'
essi
vi
credono
rapite
;
tre
,
Orlando
,
Ferraù
e
Sacripante
,
vi
cercano
la
finta
immagine
d
'
Angelica
,
che
essi
credon
vera
.
Ebbene
,
il
poeta
,
più
mago
d
'
Atlante
,
fa
che
Angelica
viva
e
vera
entri
in
quel
castello
.
Angelica
che
può
rendersi
vana
come
quella
vana
immagine
creata
da
Atlante
per
magia
.
Quivi
entra
,
che
veder
non
la
può
il
Mago
;
E
cerca
il
tutto
,
ascosa
dal
suo
anello
;
E
trova
Orlando
e
Sacripante
vago
Di
lei
cercar
invan
per
quello
ostello
.
Vede
come
fingendo
la
sua
imago
Atlante
usa
gran
fraude
a
questo
e
a
quello
.
Chi
tor
debba
di
lor
molto
rivolve
Nel
suo
pensier
,
né
ben
se
ne
risolve
.
L
'
anel
trasse
di
bocca
,
e
di
sua
faccia
Levò
dagli
occhi
a
Sacripante
il
velo
.
Credette
a
lui
sol
dimostrarsi
,
e
avvenne
Ch
'
Orlando
e
Ferraù
le
sopravvenne
.
Corser
di
par
tutti
alla
donna
,
quando
Nessun
incantamento
gl
'
impediva
;
Perché
l
'
anel
ch
'
ella
si
pose
in
mano
Fece
d
'
Atlante
ogni
disegno
vano
.
È
una
magia
che
entra
in
un
'
altra
.
Il
poeta
si
avvale
di
quest
'
elemento
,
lo
fa
anzi
siffattamente
suo
,
che
in
un
momento
innanzi
agli
occhi
nostri
illusi
la
realtà
diventa
magia
e
la
magia
realtà
:
appena
Angelica
si
scopre
,
la
realtà
d
'
un
subito
avventa
e
crolla
l
'
incanto
;
sparisce
mercé
l
'
anello
,
ed
ecco
il
castello
d
'
Atlante
assumer
quasi
consistenza
reale
innanzi
a
noi
.
Che
stupenda
finezza
in
questo
giuoco
!
E
giuoco
di
magia
;
ma
la
magia
vera
è
quella
dello
stile
ariostesco
.
Che
ne
volete
più
di
quei
poveri
cavalieri
?
Volgon
pel
bosco
or
quinci
or
quindi
in
fretta
Quelli
scherniti
la
stupida
faccia
.
Chi
li
fa
andare
incontro
a
questi
scherni
e
a
guai
anche
peggiori
?
Ma
l
'
amore
,
signori
miei
,
che
se
non
è
proprio
proprio
una
pazzia
,
tante
pur
ne
fa
fare
,
jeri
come
oggi
,
e
tante
ne
farà
fare
domani
e
sempre
!
Chi
mette
il
piè
su
l
'
amorosa
pania
,
Cerchi
ritrarlo
,
e
non
v
'
inveschi
l
'
ale
;
Ché
non
è
in
somma
Amor
se
non
insania
A
giudizio
de
'
savi
universale
:
E
sebben
come
Orlando
ognun
non
smania
,
Suo
furor
mostra
a
qualch
'
altro
segnale
.
E
quale
è
di
pazzia
segno
più
espresso
,
Che
,
per
altri
voler
,
perder
sé
stesso
?
Vari
gli
effetti
son
;
ma
la
pazzia
E
tutt
'
una
però
,
che
li
fa
uscire
.
Gli
è
come
una
gran
selva
,
ove
la
via
Conviene
a
forza
,
a
chi
vi
va
,
fallire
.
In
questi
due
ultimi
versi
il
poeta
dà
una
perfetta
immagine
del
suo
poema
,
che
poggia
per
tanta
parte
su
quest
'
amore
che
dissenna
.
Fontane
,
giardini
,
castelli
incantati
?
Ma
si
!
Se
sono
oggi
per
noi
larve
inconsistenti
,
furono
come
realtà
per
le
pazzie
che
l
'
Amore
fece
far
jeri
,
là
in
quel
mondo
lontano
;
ridetene
,
se
vi
piace
;
ma
pensate
che
altre
fallaci
immagini
crea
oggi
e
creerà
domani
con
l
'
eterna
magia
delle
sue
illusioni
l
'
Amore
,
a
scherno
e
a
tormento
degli
uomini
.
Se
voi
ridete
di
quelli
,
potreste
ugualmente
ridere
di
voi
.
Frate
,
tu
vai
L
'
altrui
mostrando
,
e
non
vedi
il
tuo
fallo
.
Sotto
la
favola
è
la
verità
.
Vedete
:
il
poeta
non
ha
che
a
gravare
un
tantino
la
mano
,
perché
la
favola
gli
si
muti
in
allegoria
.
E
la
tentazione
è
forte
,
e
qua
e
là
egli
difatti
vi
casca
;
la
,
fantasia
però
subito
lo
risolleva
,
per
fortuna
,
e
lo
richiama
al
giusto
grado
e
al
giusto
tono
,
in
cui
fin
da
principio
s
'
era
messo
:
Dirò
d
'
Orlando
,
Che
per
amor
venne
in
furore
e
matto
D
'
uom
che
sì
saggio
era
stimato
prima
;
Se
da
colei
che
tal
quasi
m
'
ha
fatto
,
Che
'
l
poco
ingegno
ad
ora
ad
or
mi
lima
,
Me
ne
sarà
però
tanto
concesso
Che
mi
basti
a
finir
quanto
ho
promesso
.
E
fin
da
principio
lo
stile
ha
virtù
magica
.
Tutto
il
primo
canto
è
,
nella
rappresentazione
,
fantasmagorico
,
corso
da
lampi
,
d
'
apparizioni
fugaci
.
E
questi
lampi
non
spiazzano
per
abbagliar
soltanto
i
lettori
,
ma
anche
gli
attori
della
scena
.
Ecco
:
ad
Angelica
balza
innanzi
Rinaldo
;
a
Ferraù
,
che
cerca
l
'
elmo
,
l
'
Argalia
;
a
Rinaldo
,
Bajardo
;
a
Sacripante
,
Angelica
;
a
tutt
'
e
due
,
Bradamante
,
e
poi
il
messaggero
,
e
poi
Bajardo
di
nuovo
e
poi
di
nuovo
Rinaldo
.
E
questi
lampi
,
dopo
il
rapidissimo
guizzo
,
si
estinguono
comicamente
,
con
la
frode
dell
'
illusione
improvvisa
.
Il
poeta
esercita
,
cosciente
,
questa
sua
magia
;
non
dà
mai
tempo
;
lascia
questo
e
prende
quello
;
sbalordisce
e
sorride
dello
sbalordimento
altrui
e
de
'
suoi
stessi
personaggi
.
Non
va
molto
Rinaldo
che
si
vede
Saltare
innanzi
il
suo
destrier
feroce
:
Ferma
,
Bajardo
mio
,
deh
ferma
il
piede
!
Ché
l
'
esser
senza
te
troppo
mi
nuoce
.
Per
questo
il
destrier
sordo
a
lui
non
riede
,
Anzi
più
se
ne
va
sempre
veloce
.
Segue
Rinaldo
,
e
d
'
ira
si
distrugge
,
Ma
seguitiamo
Angelica
che
fugge
.
Figurarsi
se
Bajardo
voleva
fermarsi
!
Il
suo
padrone
è
innamorato
,
dunque
è
matto
.
E
Quel
destrier
,
ch
'
avea
ingegno
a
meraviglia
,
capisce
quel
che
il
suo
padrone
nón
può
capire
.
Ecco
:
il
senno
che
l
'
Amore
toglie
agli
uomini
è
dato
dal
poeta
a
una
bestia
.
Nel
c
.
II
(
s
.
20
)
dice
,
a
mo
'
d
'
aggiunta
,
il
destrier
ch
'
avea
intelletto
umano
.
Umano
,
sì
,
ma
intendiamoci
non
d
'
uomo
innamorato
!
Non
giurerei
proprio
che
qui
non
ci
sia
una
punta
di
.
satira
.
L
'
ironia
del
poeta
è
una
sottilissima
sega
,
che
ha
tanti
denti
,
e
anche
quello
della
satira
,
che
morde
un
po
'
tutti
,
fino
fino
,
sotto
sotto
,
a
cominciar
dal
cardinale
Ippolito
,
suo
padrone
.
Oh
gran
bontà
dei
cavalieri
antiqui
!
Vi
par
che
qui
l
'
ironia
consista
soltanto
nel
fatto
che
Ferraù
e
Rinaldo
,
dopo
essersi
picchiati
a
quel
modo
che
sapete
,
cavalchino
insieme
,
come
se
nulla
fosse
stato
?
Il
Rajna
dice
che
i
romanzi
francesi
recano
in
buona
fede
molti
esempii
di
siffatte
magnanime
cortesie
,
e
tre
ne
reca
dal
Tristan
per
concludere
:
Questa
è
la
cortesia
e
la
lealtà
dei
cavalieri
di
Brettagna
.
Benissimo
!
Ma
non
già
dei
due
cavalieri
dell
'
Ariosto
,
che
non
dimostrano
ombra
di
cavalleria
.
Per
intenderlo
,
bisogna
pensare
a
che
cosa
avrebbe
potuto
rispondere
Ferraù
alla
proposta
di
Rinaldo
di
smettere
il
duello
:
io
non
combatto
per
una
preda
,
io
combatto
per
difendere
una
donna
che
m
'
invoca
ajuto
;
e
se
io
son
riuscito
a
difenderla
,
non
ho
combattuto
invano
.
Un
buon
cavaliere
antico
,
veramente
nobile
,
avrebbe
risposto
cosa
.
Ma
tanto
Rinaldo
quanto
Ferraù
non
vedono
in
Angelica
che
una
preda
da
appropriarsi
,
e
poiché
questa
è
uscita
lor
di
mano
,
s
'
ajutano
entrambi
a
rintracciarla
con
un
criterio
molto
positivo
e
pochissimo
cavalleresco
.
Quella
esclamazione
dunque
oh
gran
bontà
dei
cavalieri
antiqui
!
è
veramente
ironica
e
suona
irrisione
.
Tanto
è
vero
,
che
poco
dopo
,
nel
c
.
II
,
ripetendosi
la
medesima
situazione
del
duello
interrotto
per
la
stessa
ragione
,
Rinaldo
lascia
Sacripante
a
piedi
:
E
dove
aspetta
il
suo
Bajardo
,
passa
,
E
sopra
vi
si
lancia
,
e
via
galoppa
;
Né
al
cavalier
,
ch
'
a
piè
nel
bosco
lassa
,
Pur
dice
addio
,
non
che
lo
'
nviti
in
groppa
.
Ripetete
sul
serio
,
se
vi
riesce
,
dopo
questo
:
Oh
gran
bontà
dei
cavalieri
antiqui
!
Il
poeta
scherza
,
e
con
quel
povero
re
di
Circassia
,
quel
d
'
amor
travagliato
Sacripante
,
lo
scherzo
del
poeta
è
veramente
crudele
e
passa
la
parte
.
Già
,
come
lo
dipinge
:
Un
ruscello
?
Parean
le
guance
,
e
'
l
petto
un
Mongibello
!
Gli
pone
accanto
,
benigna
,
colei
per
cui
si
duole
(
è
curioso
veramente
il
notare
a
quali
aberrazioni
poté
essere
condotto
il
Rajna
dalla
smania
di
sorprendere
a
ogni
costo
il
poeta
del
Furioso
con
le
mani
nel
sacco
altrui
.
A
proposito
di
questo
episodio
di
Sacripante
e
Angelica
,
cita
nientemeno
che
12
esemplari
,
che
l
'
Ariosto
avrebbe
dovuto
aver
presenti
.
E
non
si
accorge
ch
'
è
stupido
senz
'
altro
il
ravvicinamento
di
queste
pretese
fonti
,
poiché
nell
'
Ariosto
,
invece
del
solito
cavaliere
che
ascolta
furtivo
i
lamenti
,
abbiamo
Angelica
,
proprio
lei
in
persona
.
Ma
questo
ha
il
coraggio
di
notare
il
Rajna
è
una
differenza
di
sommo
momento
per
Sacripante
,
ma
secondaria
per
noi
.
Già
!
come
dire
che
,
se
veramente
il
Tasso
ebbe
presente
il
battesimo
di
Sorgalis
nei
Chétifs
a
proposito
del
battesimo
di
Clorinda
,
è
differenza
secondaria
che
Tancredi
battezzi
Clorinda
in
luogo
di
un
altro
cavaliere
qualsiasi
!
Sapete
quali
sono
invece
le
parti
sostanziali
?
Erba
,
alberi
,
acqua
,
se
è
giorno
o
notte
,
e
simili
altre
amenità
.
Come
se
Angelica
non
fosse
nel
bosco
fin
dal
principio
del
canto
!
Avrebbe
potuto
risparmiarsi
il
Rajna
tanto
sfoggio
di
erudizione
e
venir
senz
'
altro
all
'
episodio
di
Prasildo
nel
Bojardo
.
La
differenza
però
rimane
sempre
sostanziale
.
L
'
Ariosto
prende
un
verso
al
Bojardo
:
Che
avria
spezzato
un
sasso
di
pietade
;
ma
glielo
corregge
così
:
Che
avrebbe
di
pietà
spezzato
un
sasso
.
Ecco
tutto
)
.
Poi
,
sotto
gli
occhi
di
Angelica
,
lo
fa
buttare
in
terra
miseramente
da
un
cavaliere
che
passa
di
corsa
;
e
Angelica
non
ha
ancor
finito
di
confortarlo
con
fine
ironia
,
attribuendo
cioè
,
al
solito
,
la
colpa
della
caduta
al
cavallo
,
che
gli
fa
dare
il
calcio
dell
'
asino
da
quel
messaggero
che
sopravviene
afflitto
e
stanco
su
un
ronzino
:
Tu
déi
saper
che
ti
levò
di
sella
L
'
alto
valor
d
'
una
gentil
donzella
.
C
'
è
da
morirne
!
Ma
non
basta
:
ecco
Rinaldo
;
Angelica
fugge
;
e
il
povero
Sacripante
,
re
di
Circassia
,
resta
scornato
,
bastonato
e
a
piedi
.
Ma
alla
fin
fine
può
consolarsi
,
che
non
avvengono
soltanto
a
lui
simili
disgrazie
.
Ad
altri
ne
occorrono
anche
di
peggiori
.
Ce
n
'
è
per
tutti
!
Il
poeta
si
spassa
a
rappresentar
la
frode
delle
varie
illusioni
e
a
frodar
anche
i
maghi
che
le
frodi
ordiscono
.
È
un
mondo
in
balia
dell
'
amore
,
della
magia
,
della
fortuna
;
che
ne
volete
?
E
come
dell
'
amore
le
pazzie
e
della
magia
gl
'
inganni
,
egli
rappresenta
della
fortuna
la
mutabilità
.
Ferraù
,
staccatosi
al
bivio
da
Rinaldo
,
gira
gira
,
si
ritrova
onde
si
tolse
,
e
poiché
non
spera
di
ritrovar
la
donna
,
si
scorda
le
botte
date
e
ricevute
,
la
tenzone
differita
,
e
si
rimette
a
cercar
l
'
elmo
che
gli
era
caduto
nell
'
acqua
.
Or
se
fortuna
(
quel
che
non
volesti
Far
tu
)
pone
ad
effetto
il
voler
mio
,
Non
ti
turbar
,
gli
grida
l
'
Argalia
emerso
dalle
onde
con
l
'
elmo
in
mano
,
l
'
elmo
caduto
a
Ferraù
giusto
dove
il
cadavere
dell
'
Argalia
era
stato
gittato
.
Un
tratto
che
a
noi
non
suona
comicamente
,
ma
che
forse
poteva
sonar
comico
a
coloro
che
avevan
dimestichezza
col
poema
e
i
personaggi
del
Bojardo
,
è
nei
versi
che
dipingono
l
'
orrore
di
Ferraù
all
'
apparir
dell
'
ombra
d
'
Argalia
:
Ogni
pelo
arricciosse
E
scolorosse
al
Saracino
il
viso
.
Ora
Ferraguto
era
stato
raffigurato
dal
Bojardo
,
Tutto
ricciuto
e
ner
come
carbone
.
Gli
si
poteva
arricciare
il
pelo
e
scolorir
il
viso
?
Non
giuoca
forse
anche
qui
,
dunque
,
il
poeta
?
L
'
altro
contendente
,
Rinaldo
,
spedito
da
Carlo
in
Bretagna
per
ajuti
e
distolto
così
d
'
andar
cercando
Angelica
Che
gli
avea
il
cor
di
mezzo
il
petto
tolto
,
arrivato
a
Calesse
,
lo
stesso
giorno
,
Contro
la
volontà
d
'
ogni
nocchiero
,
Pel
gran
desir
che
di
tornare
avea
,
Entrò
nel
mar
ch
'
era
turbato
e
fiero
;
ma
,
sissignori
,
spinto
dal
vento
nella
Scozia
,
si
scorda
di
Angelica
,
si
scorda
di
Carlo
e
della
gran
fretta
che
avea
di
ritornare
,
e
s
'
affonda
solo
nella
gran
Selva
Caledonia
,
facendo
ora
una
,
ora
un
'
altra
via
Dove
più
aver
strane
avventure
pensa
.
E
capitato
a
una
badia
,
prima
mangia
,
poi
domanda
all
'
abbate
come
si
possano
ritrovare
queste
avventure
per
dimostrarsi
valente
.
E
i
monachi
e
l
'
Abbate
:
Risposongli
,
ch
'
errando
in
quelli
boschi
,
Trovar
potria
strane
avventure
e
molte
:
Ma
come
i
luoghi
,
i
fati
ancor
son
foschi
;
Ché
non
se
n
'
ha
notizia
le
più
volte
.
Cerca
,
diceano
,
andar
dove
conoschi
Che
l
'
opre
tue
non
restino
sepolte
,
Acciò
dietro
al
periglio
e
alla
fatica
Segua
la
fama
,
e
il
debito
ne
dica
.
Il
Rajna
qua
si
compiace
nel
notare
che
mai
un
barone
del
ciclo
di
Carlo
Magno
fu
convertito
così
espressamente
in
Cavaliere
Errante
come
in
questo
caso
,
ma
non
può
non
avvertire
che
le
parole
degli
ospiti
dànno
tuttavia
a
conoscere
come
lo
spirito
della
cavalleria
romanzesca
sia
ormai
svanito
poiché
sempre
per
i
principali
tra
gli
Erranti
la
modestia
è
uno
dei
primissimi
doveri
,
tal
che
nulla
è
tanto
difficile
,
quanto
indurli
a
confessarsi
autori
di
qualche
opera
gloriosa
,
e
anche
quando
essi
si
trovano
dinanzi
a
migliaja
di
spettatori
,
procurano
di
celarsi
con
ignote
divise
;
cavalcano
quasi
sempre
sconosciuti
,
mutando
spesso
di
insegne
,
e
nascondendosi
molte
volte
anche
agli
amici
più
cari
e
più
fidi
.
E
allora
?
Non
dobbiamo
arguire
che
qui
ci
sia
un
'
intenzione
satirica
,
e
che
anzi
questa
intenzione
sia
stata
così
forte
nel
poeta
,
da
farlo
venir
meno
una
volta
tanto
alle
condizioni
serie
dell
'
arte
,
che
pure
egli
più
di
tutti
suoi
rispettare
?
L
'
incoerenza
estetica
,
difatti
,
nella
condotta
di
Rinaldo
è
lampantissima
e
inescusabile
,
il
personaggio
non
apparisce
libero
,
ma
soggetto
all
'
intenzione
dell
'
autore
.
Ho
voluto
notar
questo
perché
mi
sembra
che
troppo
si
tenda
,
da
qualche
tempo
in
qua
,
a
sforzare
i
termini
dell
'
immedesimazione
del
poeta
con
la
sua
materia
.
Certo
è
difficilissimo
vederli
netti
e
precisi
,
questi
termini
.
Ma
non
li
vede
affatto
,
secondo
me
,
o
ha
ben
poco
chiaro
il
lume
del
discorso
,
chi
,
riconoscendo
com
'
è
giusto
l
'
immedesimazione
del
poeta
col
suo
mondo
,
nega
l
'
ironia
o
in
gran
parte
la
esclude
o
gli
dà
poca
importanza
.
Bisogna
riconoscere
l
'
una
cosa
e
l
'
altra
l
'
immedesimazione
e
l
'
ironia
poiché
nell
'
accordo
,
se
non
sempre
perfetto
quasi
sempre
però
raggiunto
,
d
'
entrambe
queste
cose
a
prima
vista
contrarie
,
sta
,
ripeto
,
il
segreto
dello
stile
ariostesco
.
L
'
immedesimazione
del
poeta
col
suo
mondo
consiste
in
questo
,
che
egli
con
la
fantasia
potente
vede
,
digrossato
,
finito
anzi
in
ogni
contorno
,
preciso
,
limpido
,
ordinato
e
vivo
,
quel
mondo
che
altri
aveva
messo
insieme
grossolanamente
e
aveva
popolato
di
esseri
,
che
,
o
per
la
loro
goffaggine
o
per
la
loro
sciocchezza
o
per
la
puerile
loro
incoerenza
,
ecc
.
non
potevano
in
alcun
modo
esser
presi
sul
serio
neppure
dai
loro
stessi
autori
;
e
poi
di
maghi
e
di
fate
e
di
mostri
che
,
naturalmente
,
ne
accrescevano
la
irrealità
e
la
inverosimiglianza
.
Il
poeta
toglie
questi
esseri
dal
loro
stato
di
fantocci
o
di
fantasmi
,
dà
loro
consistenza
e
coerenza
,
vita
e
carattere
.
Obbedisce
fin
qui
alla
propria
fantasia
,
istintivamente
.
Poi
subentra
la
speculazione
.
C
'
è
,
ho
detto
,
un
elemento
irriducibile
in
quel
mondo
,
un
elemento
cioè
che
il
poeta
non
riesce
a
oggettivar
seriamente
,
senza
mostrar
coscienza
della
irrealità
di
esso
.
Con
quel
meraviglioso
accorgimento
,
di
cui
ho
fatto
parola
più
su
,
egli
però
s
'
industria
di
renderlo
coerente
con
tutto
il
resto
.
Ma
non
sempre
in
questo
giuoco
la
fantasia
lo
assiste
.
E
allora
egli
s
'
ajuta
con
la
speculazione
:
la
vita
perde
il
movimento
spontaneo
,
diventa
macchina
,
allegoria
.
E
uno
sforzo
.
Il
poeta
intende
di
dare
una
certa
consistenza
a
quelle
costruzioni
fantastiche
,
di
cui
sente
la
irrealità
irriducibile
,
per
mezzo
di
una
dirò
così
impalcatura
morale
.
Sforzo
vano
e
malinteso
,
perché
il
solo
fatto
di
dar
senso
allegorico
a
una
rappresentazione
dà
a
veder
chiaramente
che
già
si
tien
questa
in
conto
di
favola
che
non
ha
alcuna
verità
né
fantastica
né
effettiva
,
ed
è
fatta
per
la
dimostrazione
di
una
verità
morale
.
C
'
è
da
giurare
che
al
poeta
non
prema
affatto
la
dimostrazione
d
'
alcuna
verità
morale
,
e
che
quelle
allegorie
siano
nel
poema
suggerite
dalla
riflessione
,
per
rimedio
.
Quello
era
il
mondo
;
quelli
,
gli
elementi
,
ch
'
esso
offriva
.
L
'
elemento
della
magia
,
del
meraviglioso
cavalleresco
non
si
poteva
in
alcun
modo
eliminare
senza
snaturare
al
tutto
quel
mondo
.
E
allora
il
poeta
o
cerca
di
ridurlo
a
simbolo
,
o
senz
'
altro
lo
accoglie
,
ma
naturalmente
con
un
sentimento
ironico
.
Un
poeta
può
,
non
credendo
alla
realtà
della
propria
creazione
,
rappresentarla
come
se
ci
credesse
,
cioè
non
mostrare
affatto
coscienza
della
irrealità
di
essa
;
può
rappresentar
come
vero
un
suo
mondo
affatto
fantastico
,
di
sogno
,
regolato
da
leggi
sue
proprie
,
e
,
secondo
queste
leggi
,
perfettamente
logico
o
coerente
.
Quando
un
poeta
si
mette
in
codeste
condizioni
,
il
critico
non
deve
più
vedere
se
quel
che
il
poeta
gli
ha
posto
innanzi
è
vero
o
è
sogno
,
ma
se
come
sogno
è
vero
;
poiché
il
poeta
non
ha
voluto
rappresentare
una
realtà
effettiva
,
ma
un
sogno
che
avesse
apparenza
di
realtà
,
s
'
intende
di
sogno
,
fantastica
,
non
effettiva
.
Ora
questo
non
è
il
caso
dell
'
Ariosto
.
In
più
d
'
un
punto
,
come
abbiamo
già
notato
,
egli
mostra
apertamente
coscienza
della
irrealità
della
sua
creazione
,
la
mostra
anche
dove
all
'
elemento
meraviglioso
di
quel
mondo
dà
valore
morale
e
consistenza
logica
,
non
fantastica
.
Il
poeta
non
vuol
creare
e
rappresentare
come
vero
un
sogno
;
non
è
preoccupato
soltanto
della
verità
fantastica
del
suo
mondo
,
è
preoccupato
anche
della
realtà
effettiva
;
non
vuole
che
quel
suo
mondo
sia
popolato
di
larve
o
di
fantocci
,
ma
di
uomini
vivi
e
veri
,
mossi
e
agitati
dalle
nostre
stesse
passioni
;
il
poeta
in
somma
vede
,
non
le
condizioni
di
quel
passato
leggendario
divenute
realtà
fantastica
nella
sua
visione
,
ma
le
ragioni
del
presente
,
trasportate
e
investite
in
quel
mondo
lontano
.
Ora
naturalmente
,
allorché
esse
vi
trovano
elementi
capaci
di
accoglierle
,
la
realtà
fantastica
si
salva
;
ma
allorché
non
li
trovano
,
per
la
irriducibilità
stessa
di
quegli
elementi
,
l
'
ironia
scoppia
,
inevitabile
,
e
quella
realtà
si
frange
.
Quali
sono
queste
ragioni
del
presente
?
Sono
le
ragioni
del
buon
senso
,
di
cui
il
poeta
è
dotato
;
sono
le
ragioni
della
vita
entro
i
limiti
della
possibilità
naturale
:
limiti
che
in
parte
la
leggenda
,
in
gran
parte
il
capriccioso
arbitrio
di
rozzi
e
volgari
cantatori
aveva
balordamente
,
goffamente
o
grottescamente
violati
;
sono
le
ragioni
del
tempo
,
in
fine
,
in
cui
il
poeta
vive
.
Abbiamo
veduto
Ferraù
e
Rinaldo
a
cavallo
insieme
,
guidati
com
'
ho
detto
da
un
criterio
molto
positivo
e
pochissimo
cavalleresco
;
abbiamo
ascoltato
il
consiglio
dell
'
abbate
a
Rinaldo
in
cerca
d
'
avventure
;
tant
'
altri
esempii
potremmo
recare
;
ma
basterà
senz
'
altro
quello
della
volata
di
Ruggiero
su
l
'
ippogrifo
.
Anche
quando
il
poeta
con
la
magia
dello
stile
riesce
a
dar
consistenza
di
realtà
a
quell
'
elemento
meraviglioso
,
levandosi
poi
a
un
volo
troppo
alto
in
questa
realtà
fantastica
,
tutt
'
a
un
tratto
,
quasi
temesse
d
'
averne
lui
stesso
o
chi
l
'
ascolta
il
capogiro
,
precipita
a
posarsi
su
la
realtà
effettiva
,
rompendo
così
l
'
incanto
della
fantastica
.
Ruggiero
vola
sublime
su
l
'
ippogrifo
;
ma
anche
dalla
sublimità
di
quel
volo
il
poeta
avvista
in
terra
le
ragioni
del
presente
,
che
gli
gridano
:
Cala
!
cala
!
Non
crediate
,
Signor
,
che
però
stia
Per
sì
lungo
cammin
sempre
su
l
ale
:
Ogni
sera
all
'
albergo
se
ne
gìa
Schivando
a
suo
poter
d
'
alloggiar
male
.
E
quest
'
ippogrifo
è
vero
?
proprio
vero
?
Lo
rappresenta
cioè
il
poeta
senza
mostrare
affatto
coscienza
dell
'
irrealità
di
esso
?
Lo
vede
la
prima
volta
calar
dal
castello
d
'
Atlante
sui
Pirenei
,
con
in
groppa
il
mago
,
e
dice
che
si
il
castello
,
come
castello
,
non
era
vero
,
era
finto
,
opera
di
magia
;
ma
l
'
ippogrifo
no
,
l
'
ippogrifo
era
vero
e
naturale
.
Proprio
vero
?
proprio
naturale
?
Ma
sì
,
generato
da
un
grifo
e
da
una
giumenta
.
Sono
animali
che
vengono
nei
monti
Rifei
.
Ah
sì
?
proprio
proprio
?
e
come
va
che
non
se
ne
vedono
mai
?
Oh
Dio
;
ne
vengono
,
ma
rari
...
Quest
'
attenuazione
,
prettamente
ironica
,
mi
fa
pensare
a
quella
farsa
napoletana
,
ove
un
impostore
si
lagna
delle
sue
sciagure
,
e
tra
le
altre
,
di
quella
del
padre
,
che
,
prima
di
morire
,
penò
tanto
,
ridotto
a
vivere
,
poveretto
,
non
so
per
quanti
mesi
senza
fegato
:
all
'
osservazione
,
che
senza
fegato
non
si
può
vivere
,
concede
che
sì
,
ne
aveva
,
ma
poco
,
ecco
!
Così
gl
'
ippogrifi
;
ne
vengono
;
ma
rari
!
Proprio
da
impostore
,
il
poeta
non
vuol
passare
.
Ha
l
'
aria
di
dirvi
:
Signori
miei
,
di
codeste
fole
io
non
posso
farne
a
meno
,
bisogna
pure
che
c
'
entrino
,
nel
mio
poema
;
e
bisogna
che
io
,
fin
dove
posso
,
mostri
di
crederci
.
Ecco
qua
la
gran
muraglia
che
cinge
la
città
d
'
Alcina
:
Par
che
la
sua
altezza
a
ciel
s
'
aggiunga
E
d
'
oro
sia
dall
'
alta
cima
a
terra
.
Ma
come
?
Una
muraglia
di
tal
fatta
,
tutta
d
'
oro
?
Alcun
dal
mio
parer
qui
si
dilunga
E
dice
ch
'
ella
è
alchimia
;
e
forse
ch
'
erra
,
Ed
anco
forse
meglio
di
me
intende
:
A
me
par
oro
,
poiché
sì
risplende
.
Come
ve
lo
deve
dir
meglio
il
poeta
?
Sa
come
voi
che
non
è
tutt
'.pro,
quel
che
luce
;
ma
a
lui
oro
deve
parere
,
poiché
si
risplende
...
.
Per
intonarsi
quanto
più
può
con
quel
mondo
,
fin
da
principio
s
'
è
dichiarato
matto
come
il
suo
eroe
.
È
tutto
un
giuoco
di
continui
accomodamenti
per
stabilir
l
'
accordo
tra
sé
e
la
materia
,
tra
le
condizioni
inverosimili
di
quel
passato
leggendario
e
le
ragioni
del
presente
.
Dice
:
Chi
va
lontan
dalla
sua
patria
,
vede
Cose
da
quel
che
già
credea
,
lontane
;
Che
narrandole
poi
,
non
se
gli
crede
,
E
stimato
bugiardo
ne
rimane
;
Ché
'
l
sciocco
vulgo
non
gli
vuol
dar
fede
,
Se
non
le
vede
e
tocca
chiare
e
piane
.
Per
questo
io
so
che
l
'
inesperienza
Farà
al
mio
canto
dar
poca
credenza
.
Poca
o
molta
ch
'
io
ci
abbia
non
bisogna
Ch
'
io
ponga
mente
al
vulgo
sciocco
e
ignaro
.
A
voi
so
ben
che
non
parrà
menzogna
Che
'
l
lume
del
discorso
avete
chiaro
.
Qui
aver
chiaro
il
lume
del
discorso
significa
saper
leggere
sotto
il
velame
dei
versi
.
Siamo
nel
canto
d
'
Alcina
:
e
il
poeta
ci
suggerisce
:
S
'
io
dico
Alcina
,
s
'
io
dico
Melissa
,
s
'
io
dico
Erifilla
,
s
'
io
dico
l
'
iniqua
frotta
,
o
Logistilla
,
Andronica
o
Fronesia
o
Dicilla
o
Sofrosina
,
voi
intendete
bene
a
che
cosa
io
voglia
alludere
.
È
un
altro
espediente
(
non
felice
)
per
stabilir
l
'
accordo
,
ma
che
pure
,
come
tutti
gli
altri
,
scopre
l
'
ironia
del
poeta
,
cioè
la
coscienza
della
irrealità
della
sua
creazione
.
Dove
l
'
accordo
non
si
può
stabilire
,
questa
ironia
però
non
scoppia
mai
stridula
o
stonata
,
appunto
perché
l
'
accordo
è
sempre
nell
'
intenzione
del
poeta
,
e
quest
'
intenzione
d
'
accordo
è
per
sé
stessa
ironica
.
L
'
ironia
è
nella
visione
che
il
poeta
ha
,
non
solo
di
quel
mondo
fantastico
,
ma
della
vita
stessa
e
degli
uomini
.
Tutto
è
favola
e
tutto
è
vero
,
poiché
è
fatale
che
noi
crediamo
vere
le
vane
parvenze
che
spirano
dalle
nostre
illusioni
e
dalle
passioni
nostre
;
illudersi
può
esser
bello
,
ma
del
troppo
immaginare
si
piange
poi
sempre
la
frode
:
e
questa
frode
ci
appare
comica
o
tragica
secondo
il
grado
della
partecipazione
nostra
ai
casi
di
chi
la
subisce
,
secondo
l
'
interesse
o
la
simpatia
che
quella
passione
o
quell
'
illusione
ci
suscitano
,
secondo
gli
effetti
che
quella
frode
produce
.
Così
avviene
che
noi
vediamo
il
sentimento
ironico
del
poeta
mostrarsi
anche
sotto
un
altro
aspetto
nel
poema
,
non
più
spiccato
ed
evidente
,
ma
attraverso
la
rappresentazione
stessa
,
in
cui
è
riuscito
a
trasfondersi
per
modo
che
essa
così
si
senta
e
così
si
voglia
.
Il
sentimento
ironico
,
in
somma
,
oggettivato
,
spira
dalla
rappresentazione
stessa
anche
là
dove
il
poeta
non
mostra
apertamente
coscienza
della
irrealità
di
essa
.
Ecco
qua
Bradamante
in
cerca
del
suo
Ruggiero
:
per
salvarlo
,
ha
corso
rischio
di
perire
per
mano
del
maganzese
Pinabello
;
il
poeta
le
fa
soffrire
insieme
coi
lettori
il
supplizio
di
sentirsi
predire
e
di
vedersi
mostrare
a
dito
dalla
maga
Melissa
tutti
gl
'
illustri
suoi
discendenti
;
e
poi
va
,
va
per
monti
inaccessibili
,
sale
balze
,
traversa
torrenti
,
arriva
al
mare
,
trova
l
'
albergo
ov
'
è
Brunello
(
e
qui
non
dice
se
ella
vi
mangia
)
;
riprende
la
via
Di
monte
in
monte
e
d
'
uno
in
altro
bosco
,
e
si
riduce
fin
sui
Pirenei
;
s
'
impadronisce
dell
'
anello
;
lotta
con
Atlante
;
riesce
a
romper
l
'
incanto
;
scioglie
in
fumo
il
castello
del
mago
;
e
,
sissignori
,
dopo
aver
corso
tanto
,
dopo
essersi
tanto
affannata
e
travagliata
,
si
vede
portar
via
dall
'
ippogrifo
il
suo
Ruggiero
liberato
.
Non
le
resta
che
ricevere
le
congratulazioni
di
coloro
ch
'
ella
non
s
'
era
curata
di
liberare
!
Ma
neanche
queste
,
perché
:
Le
donne
e
i
cavalier
si
trovar
fuora
Delle
superbe
stanze
alla
campagna
E
furon
di
lor
molte
a
cui
ne
dolse
;
Che
tal
franchezza
un
gran
piacer
lor
tolse
.
L
'
Ariosto
non
aggiunge
altro
.
Un
vero
umorista
non
si
sarebbe
lasciata
sfuggire
la
stupenda
occasione
di
descrivere
gli
effetti
nelle
donne
e
nei
cavalieri
dell
'
improvviso
sciogliersi
dell
'
incanto
,
del
ritrovarsi
alla
campagna
,
e
il
dolore
del
perduto
bene
della
schiavitù
per
una
libertà
che
dal
bel
sogno
li
faceva
piombare
nella
realtà
nuda
e
cruda
.
La
descrizione
manca
affatto
.
Il
poeta
si
compiace
in
un
'
altra
descrizione
,
invece
,
come
già
Atlante
si
compiaceva
di
scherzare
coi
cavalieri
che
venivano
a
sfidarlo
;
voglio
dire
nella
descrizione
comica
di
tutti
quei
liberati
,
che
vorrebbero
impadronirsi
dell
'
ippogrifo
,
il
quale
li
mena
per
la
campagna
:
Come
fa
la
cornacchia
in
secca
arena
Che
seco
il
cane
or
qua
or
là
si
mena
.
Perché
manca
quell
'
altra
descrizione
?
Ma
perché
il
poeta
si
è
posto
fin
da
principio
,
rispetto
alla
sua
materia
,
in
condizioni
del
tutto
opposte
a
quelle
in
cui
si
sarebbe
messo
un
umorista
.
Egli
schiva
il
contrasto
e
cerca
l
'
accordo
tra
le
ragioni
del
presente
e
le
condizioni
favolose
di
quel
mondo
passato
:
lo
ottiene
sì
,
ironicamente
,
perché
,
com
'
ho
detto
,
è
per
sé
stessa
ironica
quell
'
intenzione
d
'
accordo
;
ma
l
'
effetto
è
che
quelle
condizioni
non
si
affermano
come
realtà
nella
rappresentazione
,
si
sciolgono
,
per
dirla
col
De
Sanctis
,
nell
'
ironia
,
la
quale
,
distruggendo
il
contrasto
,
non
può
più
drammatizzarsi
comicamente
,
ma
resta
comica
,
senza
dramma
.
Si
affermano
invece
le
ragioni
del
presente
trasportate
e
investite
negli
elementi
di
quel
mondo
lontano
capaci
d
'
accogliere
,
e
allora
possiamo
anche
avere
il
dramma
,
ma
seriamente
e
finanche
tragicamente
rappresentato
:
Ginevra
,
Olimpia
,
la
pazzia
d
'
Orlando
.
I
due
elementi
comico
e
tragico
non
si
fondono
mai
.
Si
fonderanno
in
un
'
opera
,
nella
quale
il
poeta
,
ben
lungi
dal
mostrar
coscienza
della
irrealità
di
quel
mondo
fantastico
;
ben
lungi
dal
cercar
con
esso
l
'
accordo
,
che
di
necessità
non
è
possibile
se
non
ironicamente
,
palesata
in
tanti
modi
la
coscienza
di
quella
irrealità
;
ben
lungi
dal
trasportare
in
quel
mondo
fantastico
le
ragioni
del
presente
per
investirne
gli
elementi
capaci
d
'
accoglierle
;
darà
a
questo
mondo
fantastico
del
passato
consistenza
di
persona
viva
,
corpo
,
e
lo
chiamerà
Don
Quijote
,
e
gli
porrà
in
mente
e
gli
darà
per
anima
tutte
quelle
fole
e
lo
porrà
in
contrasto
,
in
urto
continuo
e
doloroso
col
presente
.
Doloroso
,
perché
il
poeta
sentirà
viva
e
vera
entro
di
sé
questa
sua
creatura
e
soffrirà
con
essa
dei
contrasti
e
degli
urti
.
A
chi
cerca
contatti
e
somiglianze
tra
l
'
Ariosto
e
il
Cervantes
,
basterà
semplicemente
por
bene
in
chiaro
in
due
parole
le
condizioni
in
cui
fin
da
principio
il
Cervantes
ha
messo
il
suo
eroe
e
quelle
in
cui
s
'
è
messo
l
'
Ariosto
.
Don
Quijote
non
finge
di
credere
,
come
l
'
Ariosto
,
a
quel
mondo
meraviglioso
delle
leggende
cavalleresche
:
ci
crede
sul
serio
;
lo
porta
,
lo
ha
in
sé
quel
mondo
,
che
è
la
sua
realtà
,
la
sua
ragion
d
'
essere
.
La
realtà
che
porta
e
sente
in
sé
l
'
Ariosto
è
ben
altra
;
e
con
questa
realtà
in
sé
,
egli
è
come
sperduto
nella
leggenda
.
Don
Quijote
,
invece
,
che
ha
in
sé
la
leggenda
,
è
come
sperduto
nella
realtà
.
Tanto
è
vero
che
,
per
non
vaneggiar
del
tutto
,
per
ritrovarsi
in
qualche
modo
,
così
sperduti
come
sono
,
l
'
uno
si
mette
a
cercar
la
realtà
nella
leggenda
;
l
'
altro
,
la
leggenda
nella
realtà
.
Come
si
vede
,
son
due
condizioni
al
tutto
opposte
.
Sì
:
vi
dice
Don
Quijote
,
i
molini
a
vento
son
molini
a
vento
,
ma
sono
anche
giganti
:
non
io
,
Don
Quijote
,
ho
scambiato
per
giganti
i
molini
a
vento
;
ma
il
mago
Freston
ha
cangiato
in
molini
a
vento
i
giganti
.
Ecco
la
leggenda
nella
realtà
evidente
.
Sì
:
vi
dice
l
'
Ariosto
,
Ruggiero
vola
su
l
'
ippogrifo
:
il
mago
Freston
,
cioè
la
stramba
immaginazione
dei
miei
antecessori
,
ha
cacciato
dentro
a
questo
mondo
anche
bestie
siffatte
,
e
bisogna
ch
'
io
ci
faccia
volar
su
il
mio
Ruggiero
:
però
vi
dico
che
ogni
sera
egli
se
ne
va
all
'
albergo
e
schiva
a
suo
potere
d
'
alloggiar
male
.
Ecco
nella
leggenda
evidente
la
realtà
.
Ma
intanto
,
altro
è
fingere
di
credere
,
altro
è
credere
sul
serio
.
Quella
finzione
,
per
sé
stessa
ironica
,
può
condurre
a
un
accordo
con
la
leggenda
,
la
quale
,
o
si
scioglie
facilmente
nell
'
ironia
,
come
abbiamo
veduto
,
o
con
un
procedimento
inverso
a
quello
fantastico
,
cioè
con
una
impalcatura
logica
,
si
lascia
ridurre
a
parvenza
di
realtà
.
La
realtà
vera
,
invece
,
se
per
un
momento
si
lascia
alterare
in
forme
inverosimili
dalla
contemplazione
fantastica
d
'
un
maniaco
,
resiste
e
rompe
il
naso
,
se
questo
maniaco
non
si
contenta
più
di
contemplarla
a
suo
modo
da
lontano
,
ma
viene
a
darvi
di
cozzo
.
Altro
è
abbattersi
a
un
castello
finto
,
che
si
lascia
a
un
tratto
sciogliere
in
fumo
,
altro
a
un
molino
a
vento
vero
,
che
non
si
lascia
atterrare
come
un
gigante
immaginario
.
Mire
vuestra
merced
,
grida
Sancho
al
suo
padrone
,
que
aquellos
que
allí
se
parecen
,
no
son
gigantes
,
sino
molinos
de
viento
,
y
lo
que
en
ellos
parecen
brazos
son
las
aspas
,
que
volteadas
del
viento
hacen
andar
la
piedra
del
molino
.
Ma
Don
Quijote
volge
uno
sguardo
compassionevole
al
suo
panciuto
scudiero
,
e
grida
ai
molini
:
-
Pues
aunque
moveis
mas
bragos
que
los
del
gigante
Briareo
,
me
lo
habeis
de
pagar
.
La
paga
lui
,
ohimè
.
E
noi
ridiamo
.
Ma
il
riso
che
qua
scoppia
per
quest
'
urto
con
la
realtà
è
ben
diverso
di
quello
che
nasce
là
per
l
'
accordo
che
il
poeta
cerca
con
quel
mondo
fantastico
per
mezzo
dell
'
ironia
,
che
nega
appunto
la
realtà
di
quel
mondo
.
L
'
uno
è
il
riso
dell
'
ironia
,
l
'
altro
il
riso
dell
'
umorismo
.
Allorché
Orlando
urta
anche
lui
contro
la
realtà
e
smarrisce
del
tutto
il
senno
,
getta
via
le
armi
,
si
smaschera
,
si
spoglia
d
'
ogni
apparato
leggendario
,
e
precipita
,
uomo
nudo
,
nella
realtà
.
Scoppia
la
tragedia
.
Nessuno
può
ridere
del
suo
aspetto
e
de
'
suoi
atti
;
quanto
vi
può
esser
di
comico
in
essi
è
superato
dal
tragico
del
suo
furore
.
Don
Quijote
è
matto
anche
lui
;
ma
è
un
matto
che
non
si
spoglia
;
è
un
matto
anzi
che
si
veste
,
si
maschera
di
quell
'
apparato
leggendario
e
,
così
mascherato
,
muove
con
la
massima
serietà
verso
le
sue
ridicole
avventure
.
Quella
nudità
e
questa
mascheratura
sono
i
segni
più
manifesti
della
loro
follia
.
Quella
,
nella
sua
tragicità
,
ha
del
comico
;
questa
ha
del
tragico
nella
sua
comicità
.
Noi
però
non
ridiamo
dei
furori
di
quel
nudo
;
ridiamo
delle
prodezze
di
questo
mascherato
,
ma
pur
sentiamo
che
quanto
vi
è
di
tragico
in
lui
non
è
del
tutto
annientato
dal
comico
della
sua
mascheratura
,
così
come
il
comico
di
quella
nudità
è
annientato
dal
tragico
della
furibonda
passione
.
Sentiamo
in
somma
che
qui
il
comico
è
anche
superato
,
non
però
dal
tragico
,
ma
attraverso
il
comico
stesso
(
applico
qui
la
formula
del
Lipps
che
definisce
appunto
l
'
umorismo
:
Erhabenheit
in
der
Komik
und
durch
dieselbe
,
vedi
op
.
cit
.
,
pag
.
243
.
Ma
come
si
spiega
questo
superamento
del
comico
attraverso
il
comico
stesso
?
La
spiegazione
che
dà
il
Lipps
non
mi
sembra
accettabile
per
quelle
stesse
ragioni
che
infirmano
tutta
la
sua
teoria
estetica
.
Vedi
su
questa
la
critica
del
Croce
nella
seconda
parte
della
sua
Estetica
,
pag
.
434
)
.
Noi
commiseriamo
ridendo
,
o
ridiamo
commiserando
.
Come
è
riuscito
il
poeta
a
ottenere
questo
effetto
?
Per
conto
mio
,
non
so
proprio
capacitarmi
che
l
'
ingegnoso
gentiluomo
Don
Quijote
sia
nato
en
un
lugar
de
la
Mancha
,
e
non
piuttosto
in
Alcalá
de
Henares
nell
'
anno
1547
.
Non
so
capacitarmi
che
la
famosa
battaglia
di
Lepanto
,
che
doveva
,
come
tante
magnanime
imprese
della
cavalleria
,
strepitosamente
apparecchiate
,
cader
nel
vuoto
,
così
che
l
'
arguto
Gran
Visir
di
Selim
poté
dire
ai
cristiani
:
Noi
vi
abbiamo
tagliato
un
braccio
prendendovi
l
'
isola
di
Cipro
;
ma
voi
che
ci
avete
fatto
,
distruggendoci
tante
navi
subito
ricostruite
?
La
barba
,
che
ci
è
rinata
il
giorno
dopo
!
non
so
capacitarmi
,
dicevo
,
che
la
famosa
battaglia
di
Lepanto
,
di
cui
i
confederati
cristiani
non
seppero
trarre
alcun
profitto
,
non
sia
qualcosa
come
la
espantable
y
jamds
imaginada
aventura
de
los
molinos
de
viento
.
Questa
è
dice
Don
Quijote
al
suo
fido
scudiero
questa
è
,
Sancho
,
buona
guerra
,
e
gran
servizio
a
Dio
toglier
tanto
mal
seme
dalla
faccia
della
terra
!
Non
vedeva
dunque
il
turbante
turco
Don
Quijote
in
capo
a
quei
giganti
,
che
al
buon
Sancho
parevano
molini
a
vento
?
Forse
erano
,
per
la
Spagna
.
L
'
isola
di
Cipro
poteva
premere
ai
signori
veneziani
,
una
guerra
contro
i
Turchi
poteva
premere
a
Pio
V
,
fiero
papa
domenicano
,
nelle
cui
vecchie
vene
fremeva
ancor
caldo
il
sangue
della
giovinezza
.
Ma
a
que
'
bei
dì
di
primavera
,
quando
il
Torres
giunse
in
Ispagna
,
inviato
dal
Papa
a
patrocinar
la
causa
de
'
Veneziani
,
Filippo
II
moveva
verso
i
festeggiamenti
sontuosi
di
Cordova
e
di
Siviglia
:
molini
a
vento
,
le
navi
del
Gran
Visir
!
Non
per
Don
Quijote
,
però
:
dico
per
il
Don
Quijote
,
non
della
Mancha
,
ma
di
Alcali
.
Eran
giganti
veri
per
lui
,
e
con
che
cuore
di
gigante
mosse
incontro
a
loro
.
Gli
avvenne
male
,
ahimè
!
Ma
all
'
evidenza
,
come
ad
alcun
nemico
,
come
alla
sorte
ingrata
,
egli
non
volle
arrendersi
mai
!
E
disse
allora
che
le
cose
della
guerra
van
soggette
più
delle
altre
a
continui
mutamenti
:
pensò
,
e
gli
parve
la
verità
,
che
il
tristo
incantatore
suo
nemico
,
il
mago
Freston
,
colui
che
gli
aveva
tolto
i
libri
e
la
casa
,
aveva
cangiato
i
giganti
in
molini
per
togliergli
anche
il
vanto
della
vittoria
.
Questo
soltanto
?
Anche
una
mano
gli
tolse
,
il
tristo
mago
.
Una
mano
,
e
poi
la
libertà
.
Molti
han
voluto
cercar
la
ragione
per
cui
Miguel
Cervantes
de
Saavedra
,
prode
soldato
,
reduce
di
Lepanto
e
di
Terceira
,
piuttosto
che
cantare
epicamente
,
come
alla
sua
natura
eroica
sarebbe
meglio
convenuto
,
le
gesta
del
Cid
o
i
trionfi
di
Carlo
V
,
o
la
stessa
giornata
di
Lepanto
o
la
spedizione
delle
Azzorre
,
poté
concepire
un
tipo
come
il
Cavaliere
dalla
Trista
Figura
e
comporre
un
libro
come
il
Don
Quote
.
E
si
è
voluto
finanche
supporre
che
il
Cervantes
creasse
il
suo
eroe
per
la
stessa
ragione
per
cui
più
tardi
il
nostro
buon
Tassoni
il
suo
Conte
di
Culagna
.
Qualcuno
,
è
vero
,
si
è
spinto
fino
a
dire
che
la
vera
ragione
del
lavoro
sta
nel
contrasto
,
costante
in
noi
,
fra
le
tendenze
poetiche
e
quelle
prosaiche
della
nostra
natura
,
fra
le
illusioni
della
generosità
e
dell
'
eroismo
e
le
dure
esperienze
della
realtà
.
Ma
questa
che
,
se
mai
,
vorrebbe
estere
una
spiegazione
astratta
del
libro
,
non
ci
dà
la
ragione
per
cui
fu
composto
.
Scartate
come
inammissibili
le
vedute
del
Sismondi
e
del
Bouterwek
,
tutti
,
o
più
o
meno
,
si
sono
attenuti
a
ciò
che
lo
stesso
Cervantes
dichiara
nel
prologo
della
prima
parte
del
suo
capolavoro
e
nella
chiusa
del
secondo
volume
:
che
il
libro
cioè
non
ha
altro
fine
che
quello
d
'
arrestare
e
di
distruggere
l
'
importanza
che
hanno
nel
mondo
e
presso
il
volgo
i
libri
di
cavalleria
,
e
che
il
desiderio
dell
'
autore
altro
non
è
stato
che
quello
di
abbandonare
all
'
esecrazione
degli
uomini
le
false
stravaganti
storie
della
cavalleria
,
le
quali
,
colpite
a
morte
da
quella
del
suo
vero
Don
Quijote
,
non
camminano
più
se
non
traballando
e
hanno
indubbiamente
a
cadere
del
tutto
.
Ora
noi
ci
guarderemo
bene
dal
contradire
allo
stesso
autore
;
tanto
più
che
è
noto
a
tutti
qual
potere
avessero
a
quei
dì
in
Ispagna
i
libri
di
cavalleria
e
come
il
gusto
per
siffatta
letteratura
avesse
assunto
il
grado
della
follia
.
Ci
avvarremo
anzi
anche
noi
di
queste
parole
e
ci
serviremo
dell
'
autore
stesso
e
della
stessa
storia
della
sua
vita
per
dimostrare
la
vera
ragione
del
libro
e
quella
,
più
profonda
,
dell
'
umorismo
di
esso
.
Come
nasce
al
Cervantes
l
'
idea
di
coglier
vivo
e
vero
nel
suo
paese
e
nel
tempo
suo
,
anziché
lontano
,
in
Francia
,
al
tempo
di
Carlomagno
,
l
'
eroe
da
celebrare
con
quell
'
intento
espresso
nelle
parole
del
prologo
?
Quando
e
dove
gli
nasce
quest
'
idea
e
perché
?
Non
è
senza
ragione
il
favore
straordinario
per
la
letteratura
epica
e
cavalleresca
in
quel
tempo
:
è
l
'
incubo
del
secolo
del
poeta
la
lotta
fra
Cristianità
e
Islamismo
.
E
il
poeta
,
fin
dall
'
infanzia
anche
lui
sotto
il
fascino
dello
spirito
cavalleresco
,
povero
,
ma
altero
discendente
d
'
una
nobile
famiglia
da
più
secoli
devota
alla
monarchia
e
alle
armi
,
fu
per
tutta
la
vita
uno
strenuo
difensore
della
sua
fede
.
Non
aveva
dunque
bisogno
d
'
andarlo
a
cercar
lontano
,
nella
leggenda
,
l
'
eroe
,
cavaliere
della
fede
e
della
giustizia
:
lo
aveva
presente
in
sé
.
E
quest
'
eroe
combatte
a
Lepanto
;
quest
'
eroe
tien
testa
per
cinque
anni
,
schiavo
in
Algeri
,
ad
Hassan
,
il
feroce
re
berbero
;
quest
'
eroe
combatte
in
tre
altre
campagne
per
il
suo
re
contro
a
Francesi
e
Inglesi
.
Come
mai
,
tutt
'
a
un
tratto
,
gli
si
mutano
in
molini
a
vento
queste
campagne
,
e
l
'
elmo
che
ha
in
testa
in
un
vil
piatto
da
barbiere
?
Ha
avuto
molta
fortuna
una
considerazione
del
Sainte
-
Beuve
,
che
cioè
nei
capolavori
del
genio
umano
viva
nascosta
una
plusvalenza
futura
,
la
quale
si
svolge
di
per
sé
sola
,
indipendentemente
dagli
autori
medesimi
,
come
dal
germe
si
svolgono
il
fiore
ed
il
frutto
senza
che
il
giardiniere
abbia
fatto
altro
se
non
avere
zappato
bene
,
rastrellato
,
innaffiato
il
terreno
,
e
dato
ad
esso
tutte
quelle
cure
e
conferito
quegli
elementi
che
meglio
valessero
a
fecondarlo
.
Di
questa
considerazione
avrebbero
potuto
farsi
forti
tutti
coloro
che
nel
medio
evo
scoprivano
non
so
che
allegorie
nei
poeti
greci
e
latini
.
Era
anche
questo
un
modo
di
sciogliere
in
rapporti
logici
le
creazioni
della
fantasia
.
Certo
,
quando
un
poeta
riesce
veramente
a
dar
vita
a
una
sua
creatura
,
questa
vive
indipendentemente
dal
suo
autore
,
tanto
che
noi
possiamo
immaginarla
in
altre
situazioni
in
cui
l
'
autore
non
pensò
di
collocarla
,
e
vederla
agire
secondo
le
intime
leggi
della
sua
propria
vita
,
leggi
che
neanche
l
'
autore
avrebbe
potuto
violare
;
certo
,
questa
creatura
,
in
cui
il
poeta
riuscì
a
raccogliere
istintivamente
,
ad
assommare
e
a
far
vivere
tanti
particolari
caratteristici
e
tanti
elementi
sparsi
qua
e
là
,
può
divenir
poi
quel
che
suoi
dirsi
un
tipo
,
ciò
che
non
era
nell
'
intenzione
dell
'
autore
nell
'
atto
della
creazione
.
Ma
si
può
dir
questo
veramente
del
Don
Quote
del
Cervantes
?
Si
può
dire
e
sostenere
sul
serio
che
l
'
intenzione
del
poeta
nel
comporre
il
suo
libro
era
solamente
quella
di
toglier
con
l
'
arma
del
ridicolo
ogni
autorità
e
prestigio
che
avevan
nel
mondo
e
presso
il
volgo
i
libri
di
cavalleria
,
a
fine
di
distruggerne
i
mali
effetti
,
e
che
il
poeta
non
si
sognò
mai
di
porre
in
quel
suo
capolavoro
tutto
quello
che
ci
vediamo
noi
?
Chi
è
Don
Quijote
,
e
perché
è
ritenuto
pazzo
?
Egli
in
fondo
non
ha
e
tutti
lo
riconoscono
che
una
sola
e
santa
aspirazione
:
la
giustizia
.
Vuol
proteggere
i
deboli
e
atterrare
i
prepotenti
,
recar
rimedio
agli
oltraggi
della
sorte
,
far
vendetta
delle
violenze
della
malvagità
.
Quanto
più
bella
e
più
nobile
sarebbe
la
vita
,
più
giusto
il
mondo
,
se
i
propositi
dell
'
ingegnoso
gentiluomo
potessero
sortire
il
loro
effetto
!
Don
Quijote
è
mite
,
di
squisiti
sentimenti
,
prodigo
e
non
curante
di
sé
,
tutto
per
gli
altri
.
E
come
parla
bene
!
Quanta
franchezza
e
quanta
generosità
in
tutto
ciò
che
dice
!
Egli
considera
il
sacrificio
come
un
dovere
,
e
tutti
i
suoi
atti
,
almeno
nelle
intenzioni
,
son
meritevoli
d
'
encomio
e
di
gratitudine
.
E
allora
la
satira
dov
'
è
?
Noi
tutti
amiamo
questo
virtuoso
cavaliere
;
e
le
sue
disgrazie
se
da
un
canto
ci
fanno
ridere
,
dall
'
altro
ci
commuovono
profondamente
.
Se
il
Cervantes
voleva
far
dunque
strazio
dei
libri
di
cavalleria
,
per
i
mali
effetti
che
essi
producevano
negli
animi
de
'
suoi
contemporanei
,
l
'
esempio
ch
'
egli
reca
con
Don
Quijote
non
è
calzante
.
L
'
effetto
che
quei
libri
producono
in
Don
Quijote
non
è
disastroso
se
non
per
lui
,
per
il
povero
Hidalgo
.
Ed
è
così
disastroso
,
solo
perché
l
'
idealità
cavalleresca
non
poteva
più
accordarsi
con
la
realtà
dei
nuovi
tempi
.
Orbene
,
questo
appunto
,
a
sue
spese
,
aveva
imparato
don
Miguel
Cervantes
de
Saavedra
.
Com
'
era
stato
egli
rimeritato
del
suo
eroismo
,
delle
due
archibugiate
e
della
perdita
della
mano
nella
battaglia
di
Lepanto
,
della
schiavitù
sofferta
per
cinque
anni
in
Algeri
,
del
valore
dimostrato
nell
'
assalto
di
Terceira
,
della
nobiltà
dell
'
animo
,
della
grandezza
dell
'
ingegno
,
della
modestia
paziente
?
che
sorte
avevano
avuto
i
sogni
generosi
,
che
lo
avevan
tratto
a
combattere
sui
campi
di
battaglia
e
a
scrivere
pane
immortali
?
che
sorte
le
illusioni
luminose
?
S
'
era
armato
cavaliere
come
il
suo
Don
Quijote
,
aveva
combattuto
,
affrontando
nemici
e
rischi
d
'
ogni
sorta
per
cause
giuste
e
sante
,
s
'
era
nutrito
sempre
delle
più
alte
e
nobili
idealità
,
e
qual
compenso
ne
aveva
avuto
?
Dopo
aver
miseramente
stentato
la
vita
in
impieghi
indegni
di
lui
;
prima
scomunicato
,
da
commissario
di
proviande
militari
in
Andalusia
;
poi
,
da
esattore
,
truffato
,
non
va
forse
a
finire
in
prigione
?
E
dov
'
è
questa
prigione
?
Ma
lì
,
proprio
lì
nella
Mancha
!
In
un
'
oscura
e
rovinosa
carcere
della
Mancha
,
nasce
il
Don
Quijote
.
Ma
era
già
nato
prima
il
vero
Don
Quijote
:
era
nato
in
Alcalá
de
Henares
nel
1547
.
Non
s
'
era
ancora
riconosciuto
,
non
s
'
era
veduto
ancor
bene
:
aveva
creduto
di
combattere
contro
i
giganti
e
di
avere
in
capo
l
'
elmo
di
Mambrino
.
Lì
,
nell
'
oscura
carcere
della
Mancha
,
egli
si
riconosce
,
egli
si
vede
finalmente
;
si
accorge
che
i
giganti
eran
molini
a
vento
e
l
'
elmo
di
Mambrino
un
vil
piatto
da
barbiere
.
Si
vede
,
e
ride
di
sé
stesso
.
Ridono
tutti
i
suoi
dolori
.
Ah
,
folle
!
folle
!
folle
!
Via
,
al
rogo
,
tutti
i
libri
di
cavalleria
!
Altro
che
plusvalenza
futura
!
Leggete
nello
stesso
prologo
alla
prima
parte
ciò
che
il
Cervantes
dice
all
'
ozioso
lettore
:
Io
non
ho
potuto
contravvenire
all
'
ordine
naturale
che
vuole
che
ogni
cosa
generi
ciò
che
le
somiglia
.
E
così
,
che
cosa
poteva
mai
generare
lo
sterile
e
mal
coltivato
ingegno
mio
,
se
non
la
storia
d
'
un
figlio
rinsecchito
,
ingiallito
e
capriccioso
,
pieno
di
pensieri
varii
non
mai
finora
da
alcun
altro
immaginati
;
generato
com
'
ei
fu
in
una
carcere
,
dove
ogni
angustia
siede
ed
ha
stanza
ogni
tristo
umore
?
Ma
come
si
spiegherebbe
altrimenti
la
profonda
amarezza
che
è
come
l
'
ombra
seguace
d
'
ogni
passo
,
d
'
ogni
atto
ridicolo
,
d
'
ogni
folle
impresa
di
quel
povero
gentiluomo
della
Mancha
?
E
il
sentimento
di
pena
che
ispira
l
'
immagine
stessa
nell
'
autore
,
quando
,
materiata
com
'
è
del
dolore
di
lui
,
si
vuole
ridicola
.
E
si
vuole
così
,
perché
la
riflessione
,
frutto
d
'
amarissima
esperienza
,
ha
suggerito
all
'
autore
il
sentimento
del
contrario
,
per
cui
riconosce
il
suo
torto
e
vuol
punirsi
con
la
derisione
che
gli
altri
faranno
di
lui
.
Perché
Cervantes
non
cantò
il
Cid
Campeador
?
Ma
chi
sa
se
nell
'
oscura
e
rovinosa
carcere
l
'
immagine
di
quest
'
eroe
non
gli
s
'
affacciò
veramente
,
a
destargli
un
'
angosciosa
invidia
!
Tra
Don
Quijote
,
che
nel
suo
tempo
volle
vivere
come
,
non
già
nel
loro
,
ma
fuori
del
tempo
e
fuori
del
mondo
,
nella
leggenda
o
nel
sogno
dei
poeti
avevano
vissuto
i
cavalieri
erranti
,
e
il
Cid
Campeador
che
,
ajutando
il
tempo
,
poté
facilmente
far
leggenda
della
sua
storia
,
non
avvenne
in
quella
carcere
,
alla
presenza
del
poeta
,
un
dialogo
?
Presso
le
altre
genti
il
romanzo
cavalleresco
aveva
creato
a
sé
stesso
personaggi
fittizii
,
o
meglio
,
il
romanzo
cavalleresco
era
sorto
dalla
leggenda
che
si
era
formata
intorno
ai
cavalieri
.
Ora
la
leggenda
che
fa
?
Accresce
,
trasforma
,
idealizza
,
astrae
dalla
realtà
comune
,
dalla
materialità
della
vita
,
da
tutte
quelle
vicende
ordinarie
,
che
creano
appunto
le
maggiori
difficoltà
nell
'
esistenza
.
Perché
un
personaggio
non
più
fittizio
,
ma
un
uomo
che
prenda
a
modello
le
smisurate
immagini
ideali
messe
su
dall
'
immaginazione
collettiva
o
dalla
fantasia
d
'
un
poeta
,
riesca
a
riempir
di
sé
queste
grandiose
maschere
leggendarie
,
ci
vuole
non
solo
una
grandezza
d
'
animo
straordinaria
,
ma
anche
il
tempo
che
ajuti
.
Questo
avvenne
al
Cid
Campeador
.
Ma
Don
Quijote
?
Coraggio
a
tutta
prova
,
animo
nobilissimo
,
fiamma
di
fede
;
ma
quel
coraggio
non
gli
frutta
che
volgari
bastonate
;
quella
nobiltà
d
'
animo
è
una
follia
;
quella
fiamma
di
fede
è
un
misero
stoppaccio
ch
'
egli
si
ostina
a
tenere
acceso
,
povero
pallone
mal
fatto
e
rappezzato
,
che
non
riesce
a
pigliar
vento
,
che
sogna
di
lanciarsi
a
combattere
con
le
nuvole
,
nelle
quali
vede
giganti
e
mostri
,
e
va
intanto
terra
terra
,
incespicando
in
tutti
gli
sterpi
e
gli
stecchi
e
gli
spuntoni
,
che
ne
fanno
strazio
,
miseramente
.
VI
.
UMORISTI
ITALIANI
Non
è
mia
intenzione
tracciare
,
neppure
per
sommi
capi
,
pi
,
la
storia
dell
'
umorismo
presso
le
genti
latine
e
segnatamente
in
Italia
.
Ho
voluto
soltanto
,
in
questa
prima
parte
del
mio
lavoro
,
oppormi
a
quanti
han
voluto
sostenere
che
esso
sia
un
fenomeno
esclusivamente
moderno
e
quasi
una
prerogativa
delle
genti
anglo
-
germaniche
,
in
base
a
certi
preconcetti
,
a
certe
divisioni
e
considerazioni
,
arbitrarie
le
une
,
sommarie
le
altre
,
come
mi
sembra
di
aver
dimostrato
.
La
discussione
intorno
a
queste
divisioni
arbitrarie
e
considerazioni
sommarie
,
se
forse
mi
ha
fatto
ritardare
alquanto
il
cammino
,
che
mi
ero
proposto
più
spedito
,
trattenendomi
a
osservar
da
presso
certi
particolari
aspetti
,
certe
particolari
condizioni
nella
storia
della
nostra
letteratura
;
tuttavia
non
mi
ha
disviato
mai
dall
'
argomento
principale
,
che
del
resto
vuol
essere
trattato
con
sottile
penetrazione
e
minuta
analisi
.
Vi
ho
girato
attorno
,
ma
per
circuirlo
sempre
più
e
penetrarlo
meglio
da
ogni
parte
.
A
qualcuno
che
forse
avrà
creduto
di
trovare
una
contradizione
tra
il
mio
assunto
e
gli
esempii
finora
recati
di
scrittori
italiani
,
nei
quali
non
ho
riconosciuto
la
nota
del
vero
umorismo
,
ricorderò
che
io
ho
parlato
in
principio
di
due
maniere
d
'
intenderlo
,
e
ho
detto
che
il
vero
nodo
della
questione
è
appunto
qui
:
cioè
,
se
l
'
umorismo
debba
essere
inteso
nel
senso
largo
con
cui
comunemente
si
suole
intendere
,
e
non
in
Italia
soltanto
;
o
in
un
senso
più
stretto
e
particolare
,
con
peculiari
caratteri
ben
definiti
,
che
è
per
me
il
giusto
modo
d
'
intenderlo
.
Inteso
in
quel
senso
largo
ho
detto
se
ne
può
trovare
in
gran
copia
nella
letteratura
così
antica
come
moderna
d
'
ogni
paese
;
inteso
in
questo
senso
stretto
e
per
me
proprio
,
se
ne
troverà
parimenti
,
ma
in
molto
minor
copia
,
anzi
in
pochissime
espressioni
eccezionali
,
così
presso
gli
antichi
come
presso
i
moderni
d
'
ogni
paese
,
non
essendo
prerogativa
di
questa
o
di
quella
razza
,
di
questo
o
di
quel
tempo
,
ma
frutto
di
una
specialissima
disposizione
naturale
,
d
'
un
intimo
processo
psicologico
che
può
avvenire
tanto
in
un
savio
dell
'
antica
Grecia
,
come
Socrate
,
quanto
in
un
poeta
dell
'
Italia
moderna
,
come
Alessandro
Manzoni
.
Non
è
lecito
però
assumere
a
capriccio
questo
o
quel
modo
d
'
intendere
e
applicar
l
'
uno
a
una
letteratura
,
per
concludere
che
essa
non
ha
umorismo
,
e
applicar
l
'
altro
a
un
'
altra
per
dimostrare
che
l
'
umorismo
vi
sta
di
casa
.
Non
è
lecito
sentir
soltanto
negli
stranieri
,
a
causa
della
lingua
diversa
,
quel
particolar
sapore
,
che
per
la
familiarità
dello
stesso
strumento
espressivo
non
si
avverte
più
nei
nostri
,
ma
nei
quali
intanto
gli
stranieri
a
lor
volta
lo
avvertono
.
Così
facendo
,
noi
saremo
i
soli
a
non
riconoscer
traccia
d
'
umorismo
nella
nostra
letteratura
,
mentre
vedremo
gl
'
Inglesi
,
ad
esempio
,
porre
a
capo
della
loro
un
umorista
,
il
Chaucer
,
il
quale
,
se
mai
,
può
esser
considerato
per
tale
,
ove
si
assuma
l
'
umorismo
nel
senso
più
largo
,
in
quel
senso
cioè
per
cui
può
esser
considerato
quale
umorista
anche
il
Boccaccio
e
tanti
altri
scrittori
nostri
con
lui
.
Nessuna
contradizione
,
dunque
,
da
parte
nostra
.
La
contradizione
invece
è
in
coloro
che
,
dopo
aver
affermato
che
l
'
umorismo
è
un
fenomeno
nordico
e
una
prerogativa
delle
genti
anglo
-
germaniche
,
quando
poi
vogliono
recare
due
esempii
mirabili
del
più
schietto
e
compiuto
umorismo
,
citano
Rabelais
e
Cervantes
,
un
francese
e
uno
spagnuolo
;
oppure
il
Rabelais
e
il
Montaigne
;
e
citando
il
Rabelais
non
hanno
occhi
per
vedere
in
casa
loro
il
Pulci
,
il
Folengo
,
il
Berni
;
e
,
citando
il
Montaigne
,
che
è
il
tipo
dello
scettico
sereno
,
non
avido
di
lotte
,
sorridente
,
senza
impeti
,
senza
ideali
da
difendere
,
senza
virtù
da
seguire
,
lo
scettico
che
tollera
tutto
senza
aver
fede
in
nulla
,
che
non
ha
né
entusiasmi
né
aspirazioni
,
che
si
serve
del
dubbio
per
giustificare
l
'
inerzia
con
la
tolleranza
,
che
dimostra
una
percezione
della
vita
serena
,
ma
sterile
,
indice
di
egoismo
e
di
decadenza
di
razza
,
giacché
il
libero
esame
che
non
spinge
all
'
azione
può
meglio
che
salvare
dalla
schiavitù
,
accettare
,
o
rendersi
complice
del
dispotismo
,
non
s
'
accorgono
,
dico
,
che
le
ragioni
per
cui
han
negato
a
tanti
scrittori
italiani
non
solo
la
nota
umoristica
,
ma
anche
la
possibilità
d
'
averla
,
sono
appunto
queste
che
dicono
d
'
aver
prodotto
l
'
umorismo
del
Montaigne
.
Un
peso
,
come
si
vede
,
e
due
misure
.
Noi
vedremo
che
,
in
realtà
,
l
'
avere
una
fede
profonda
,
un
ideale
innanzi
a
sé
,
l
'
aspirare
a
qualche
cosa
e
il
lottare
per
raggiungerla
,
lungi
dall
'
essere
condizioni
necessarie
all
'
umorismo
,
sono
anzi
opposte
;
e
che
tuttavia
può
benissimo
essere
umorista
anche
chi
abbia
una
fede
,
un
ideale
innanzi
a
sé
,
un
'
aspirazione
,
e
lotti
a
suo
modo
per
raggiungerla
.
Un
ideale
qualsiasi
,
in
somma
,
per
sé
stesso
,
non
dispone
affatto
all
'
umorismo
,
anzi
ostacola
questa
disposizione
.
Ma
l
'
ideale
può
ben
esserci
;
e
se
c
'
è
,
l
'
umorismo
,
che
deriva
da
altre
cause
,
certamente
prenderà
qualità
da
esso
,
come
del
resto
da
tutti
gli
altri
elementi
costitutivi
dello
spirito
di
questo
o
di
quell
'
umorista
.
In
altre
parole
:
l
'
umorismo
non
ha
affatto
bisogno
d
'
un
fondo
etico
,
può
averlo
o
non
averlo
:
questo
dipende
dalla
personalità
,
dall
'
indole
dello
scrittore
;
ma
,
naturalmente
,
dall
'
esserci
o
dal
non
esserci
,
l
'
umorismo
prende
qualità
e
muta
d
'
effetto
,
riesce
cioè
più
o
meno
amaro
,
più
o
meno
aspro
,
pende
più
o
meno
o
verso
il
tragico
o
verso
il
comico
,
o
verso
la
satira
,
o
verso
la
burla
,
ecc
.
Chi
crede
che
sia
tutto
un
giuoco
di
contrasto
tra
l
'
ideale
del
poeta
e
la
realtà
,
e
dice
che
si
ha
l
'
invettiva
,
l
'
ironia
,
la
satira
,
se
l
'
ideale
del
poeta
resta
offeso
acerbamente
e
sdegnato
dalla
realtà
;
la
commedia
,
la
farsa
,
la
beffa
,
la
caricatura
,
il
grottesco
,
se
poco
se
ne
sdegna
e
delle
apparenze
della
realtà
in
contrasto
con
sé
è
piuttosto
indotto
a
ridere
più
o
meno
fortemente
;
e
che
infine
si
ha
l
'
umorismo
,
se
l
'
ideale
del
poeta
non
resta
offeso
e
non
si
sdegna
,
ma
transige
bonariamente
,
con
indulgenza
un
po
'
dolente
,
mostra
d
'
avere
dell
'
umorismo
una
veduta
troppo
unilaterale
e
anche
un
po
'
superficiale
.
Certo
molto
dipende
dalla
disposizione
d
'
animo
del
poeta
;
certo
l
'
ideale
di
questo
in
contrasto
con
la
realtà
può
o
sdegnarsi
o
ridere
o
transigere
;
ma
un
ideale
che
transige
non
dimostra
in
verità
d
'
esser
molto
sicuro
di
sé
e
profondamente
radicato
.
E
consisterà
l
'
umorismo
in
questa
limitazione
dell
'
ideale
?
No
.
La
limitazione
dell
'
ideale
sarà
,
se
mai
,
non
causa
,
ma
conseguenza
di
quel
particolar
processo
psicologico
che
si
chiama
umorismo
.
Lasciamo
star
dunque
una
buona
volta
gl
'
ideali
,
la
fede
,
le
aspirazioni
e
via
dicendo
:
lo
scetticismo
,
la
tolleranza
,
il
carattere
realistico
,
che
le
nostre
lettere
assunsero
fin
quasi
dal
loro
inizio
,
furon
bene
disposizioni
e
condizioni
favorevoli
all
'
umorismo
;
l
'
ostacolo
maggiore
fu
la
retorica
imperante
,
che
impose
leggi
e
norme
astratte
di
composizione
,
una
letteratura
di
testa
,
quasi
meccanicamente
costruita
,
in
cui
gli
elementi
soggettivi
dello
spirito
eran
soffocati
.
Infranto
il
giogo
,
abbiamo
detto
,
di
questa
poetica
intellettualistica
dalla
ribellione
appunto
degli
elementi
soggettivi
dello
spirito
,
che
caratterizza
il
movimento
romantico
,
l
'
umorismo
si
affermò
liberamente
,
massime
in
Lombardia
che
del
romanticismo
italiano
fu
il
campo
.
Ma
questo
così
detto
romanticismo
fu
l
'
ultima
e
clamorosa
levata
di
scudi
della
volontà
e
del
sentimento
ribelli
all
'
intelletto
;
in
tanti
altri
periodi
,
in
tanti
altri
momenti
della
storia
letteraria
d
'
ogni
nazione
avvennero
di
tali
ribellioni
,
e
ci
furon
sempre
solitarie
anime
ribelli
,
e
ci
fu
sempre
il
popolo
che
si
espresse
nei
varii
dialetti
senza
imparare
a
scuola
regole
e
leggi
.
Fra
questi
scrittori
solitarii
ribelli
alla
retorica
,
fra
i
dialettali
bisogna
cercar
gli
umoristi
e
,
in
senso
largo
,
ne
troveremo
in
gran
copia
,
fin
dagli
inizii
della
nostra
letteratura
,
segnatamente
in
Toscana
;
nel
senso
vero
e
proprio
pochi
ne
troveremo
,
ma
non
se
ne
trovano
di
più
certo
nelle
letterature
degli
altri
paesi
,
né
questi
pochi
nostri
son
da
meno
dei
pochi
stranieri
,
che
a
confusione
nostra
ci
son
messi
innanzi
di
continuo
,
e
son
sempre
quelli
,
se
ben
s
'
avverte
,
da
contarli
su
le
dita
d
'
una
mano
.
Solo
che
il
valore
e
il
sapor
dei
nostri
,
noi
non
lo
abbiamo
saputo
mai
né
metter
bene
in
rilievo
,
e
pregiare
,
né
avvertire
e
distinguere
a
dovere
,
perché
alle
loro
singole
e
specialissime
individualità
la
critica
,
guidata
nella
maggior
parte
delle
nostre
storie
letterarie
da
pregiudizii
che
non
hanno
nulla
che
vedere
con
l
'
estetica
o
,
comunque
,
da
criterii
generali
,
non
ha
saputo
a
volta
a
volta
adattarsi
e
piegarsi
,
e
ha
giudicato
come
errori
,
eccessi
o
difetti
quelli
che
eran
caratteri
peculiari
.
Dico
questo
soltanto
:
chi
sa
che
giudizio
troveremmo
nelle
nostre
storie
letterarie
d
'
un
libro
come
la
Vita
e
opinioni
di
Tristram
ShandY
,
se
scritto
in
italiano
,
da
uno
scrittore
italiano
,
chi
sa
che
capolavoro
d
'
umorismo
sarebbero
,
ad
esempio
,
la
Circe
o
I
capricci
di
Giusto
Bottajo
,
se
scritti
in
inglese
,
da
uno
scrittore
inglese
,
o
magari
la
stessa
Vita
di
Cicerone
di
Gian
Carlo
Passeroni
!
Discorrevo
,
qualche
anno
fa
,
appunto
di
questo
,
con
un
cultissimo
signore
inglese
,
conoscitore
profondo
della
letteratura
italiana
.
Neanche
nel
Machiavelli
?
mi
domandava
egli
con
meraviglia
quasi
incredula
.
I
vostri
critici
non
riconoscono
umorismo
neanche
nel
Machiavelli
?
neanche
nella
novella
di
Belfagor
?
Ed
io
pensavo
alla
grandezza
nuda
di
questo
Sommo
nostro
,
che
non
andò
mai
a
vestirsi
nel
guardaroba
della
retorica
;
che
come
pochi
comprese
la
forza
delle
cose
;
a
cui
la
logica
venne
sempre
dai
fatti
;
.
che
contro
ogni
sintesi
confusa
reagì
con
l
'
analisi
più
arguta
e
più
sottile
;
che
ogni
macchina
ideale
smontò
coi
due
strumenti
dell
'
esperienza
e
del
discorso
;
che
ogni
esagerazione
di
forma
distrusse
col
riso
;
pensavo
che
nessuno
ebbe
maggiore
intimità
di
stile
di
lui
e
più
acuto
spirito
d
'
osservazione
;
che
poche
anime
furono
come
la
sua
disposte
all
'
apprensione
dei
contrasti
,
a
ricevere
più
profondamente
l
'
impressione
delle
incongruenze
della
vita
;
pensavo
che
,
parendo
a
molti
un
carattere
dell
'
umorismo
quella
certa
cura
delle
minuzie
e
una
-
come
dice
il
D
'
Ancona
a
giudicarla
astrattamente
e
a
prima
vista
,
trivialità
e
volgarità
,
anch
'
egli
,
il
Machiavelli
,
alla
moltitudine
talvolta
si
mescolò
fino
alla
volgarità
,
tanto
che
scrisse
:
Così
involto
tra
questi
pidocchi
,
traggo
il
cervello
di
muffa
,
e
sfogo
questa
malignità
di
questa
mia
sorte
,
sendo
contento
mi
calpesti
per
questa
via
per
vedere
se
la
se
ne
vergognassi
;
ma
anche
:
Però
se
alcuna
volta
io
rido
o
canto
Facciol
perché
non
ho
se
non
quest
'
una
Via
da
sfogare
il
mi
'
angoscioso
pianto
;
pensavo
anche
a
un
'
acuta
osservazione
del
De
Sanctis
,
che
cioè
:
il
Machiavelli
adopera
la
tolleranza
che
comprende
e
assolve
:
non
già
la
tolleranza
indifferente
dello
scettico
,
dell
'
ebete
,
dello
sciocco
;
ma
la
tolleranza
dello
scienziato
,
che
non
sente
odio
contro
la
materia
ch
'
egli
analizza
e
studia
,
e
la
tratta
coll
'
ironia
dell
'
uomo
superiore
alle
passioni
e
dice
:
ti
tollero
,
non
perché
ti
approvi
,
ma
perché
ti
comprendo
pensavo
a
tutti
questi
elementi
che
,
a
farlo
apposta
,
se
li
mettiamo
in
fila
,
son
proprio
quelli
che
gl
'
intenditori
delle
letterature
straniere
riconoscono
proprii
dei
veri
e
più
celebrati
umoristi
(
s
'
intende
,
inglesi
o
tedeschi
)
,
e
Dio
me
lo
perdoni
non
sapevo
più
se
piangere
o
ridere
di
tutte
le
meraviglie
che
questi
intenditori
han
sempre
detto
...
che
so
?
delle
Lettere
d
'
un
drappiere
e
degli
altri
scritti
politici
del
decano
Gionata
Swift
!
A
questi
intenditori
,
che
delle
letterature
straniere
ci
pongono
innanzi
i
soliti
cinque
o
sei
scrittori
umoristi
,
basta
dare
della
letteratura
nostra
un
giudizio
così
fatto
:
L
'
opera
d
'
arte
è
scherzo
geniale
di
fantasia
,
è
riso
fugace
d
'
impressione
destato
dalle
immagini
,
non
dalle
cose
,
gajezza
accademica
di
ricordi
,
erudita
ilarità
;
manca
il
sentimento
profondo
della
famiglia
(
e
ne
aveva
tanto
lo
Swift
,
difatti
!
)
,
della
natura
,
della
patria
;
o
meglio
manca
in
quella
forma
gaja
e
ne
assume
un
'
altra
,
acre
e
violenta
(
e
che
miele
,
difatti
,
nello
Swift
!
)
,
che
ricorda
Persio
e
Giovenale
.
Non
fo
nomi
;
basti
accennare
che
le
tradizioni
classiche
,
lo
spirito
d
'
imitazione
,
la
lingua
ristretta
nel
vocabolario
,
schiva
del
popolo
,
impedirono
nell
'
arte
la
libertà
di
atteggiamenti
,
di
forma
,
di
stile
indispensabile
all
'
humour
:
come
altri
ostacoli
,
il
Papato
,
la
dominazione
straniera
,
le
discordie
intestine
,
la
boria
regionale
e
le
accademie
e
le
scuole
impedirono
la
libertà
politica
,
religiosa
,
scientifica
.
Ne
affligge
antico
male
;
in
scienza
pedanti
,
in
arte
retori
,
nella
vita
attori
,
solenni
sempre
o
gravi
,
insofferenti
di
analisi
,
corrivi
alle
grandi
idee
,
sdegnosi
delle
modeste
e
lente
esperienze
,
cercatori
di
tesi
e
di
antitesi
,
vaporosi
o
empirici
,
atei
o
mistici
,
manierati
o
barbari
.
La
nostra
coltura
é
a
strati
,
e
non
sempre
nazionale
;
lo
straniero
persiste
dentro
a
noi
;
le
forme
letterarie
hanno
tipi
fissi
;
una
generazione
fa
il
testo
,
altre
parecchie
fanno
le
note
;
così
si
pensa
e
sente
per
riflesso
,
per
reminiscenza
o
per
fantasia
;
così
ne
sfugge
il
senso
reale
della
vita
,
si
ottunde
quella
libertà
di
percezione
e
di
attitudini
che
crea
l
'
umorismo
;
e
si
riproduce
il
circolo
vizioso
;
gli
scrittori
umoristi
non
sorgono
perché
mancano
le
condizioni
adatte
,
e
queste
non
mutano
perché
mancano
gli
scrittori
.
Il
difetto
é
alla
radice
;
poco
sviluppato
lo
spirito
di
curiosità
;
fioca
la
nota
intima
.
L
'
humour
vuole
l
'
uno
e
l
'
altra
;
vuole
il
pensatore
e
l
'
artista
;
ma
l
'
arte
e
la
scienza
presso
noi
son
divise
tra
loro
e
divise
dalla
vita
(
vedi
Arcoleo
,
op
.
cit
.
,
pag
.
94-95
)
.
Ho
citato
il
Machiavelli
.
Citerò
,
a
questo
proposito
,
un
altro
piccolo
nostro
che
non
ebbe
quella
libertà
di
atteggiamenti
,
di
forma
,
di
stile
indispensabile
all
'
humour
,
a
cui
il
Papato
...
le
accademie
e
le
scuole
impedirono
la
libertà
politica
,
religiosa
e
scientifica
,
un
insofferente
d
'
analisi
,
pedante
in
iscienza
e
retore
in
arte
,
uno
che
ebbe
poco
sviluppato
lo
spirito
di
curiosità
,
ecc
.
:
Giordano
Bruno
,
se
permettete
,
academico
di
nulla
academia
,
autore
,
tra
l
'
altro
,
dello
Spaccio
de
la
Bestia
trionfante
,
della
Cabala
del
Cavallo
Pegaseo
,
dell
'
Asino
Cillenico
e
del
Candelajo
;
colui
che
ebbe
per
motto
,
come
tutti
sanno
:
In
tristitia
hilaris
,
in
hilaritate
tristis
,
che
pare
il
motto
dello
stesso
umorismo
.
E
la
candela
di
quel
suo
candelajo
potrà
chiarir
alquanto
certe
ombre
dell
'
idee
,
le
quali
invero
spaventano
le
bestie
,
dice
egli
stesso
;
e
dice
anche
:
Considerate
chi
va
,
chi
viene
,
che
si
fa
,
che
si
dice
,
come
s
'
intende
,
come
si
può
intendere
;
ché
certo
,
contemplando
quest
'
azioni
e
discorsi
umani
col
senso
d
'
Eraclito
,
o
di
Democrito
,
avrete
occasion
di
molto
o
ridere
o
piangere
.
Per
conto
suo
,
l
'
autore
le
ha
contemplate
col
senso
di
Erarlito
e
di
Democrito
a
un
tempo
.
Qua
Giordano
parla
per
volgare
,
nomina
liberamente
,
dona
il
proprio
nome
a
chi
la
natura
dona
il
proprio
essere
;
non
dice
vergognoso
quel
che
fa
degno
la
natura
;
non
copre
quel
ch
'
ella
mostra
aperto
,
chiama
il
pane
pane
,
il
vino
vino
,
il
piede
piede
,
et
altre
parti
di
proprio
nome
;
dice
il
mangiare
mangiare
,
il
dormire
dormire
,
il
bere
bere
,
e
così
gli
altri
atti
naturali
significa
con
proprio
titolo
.
Questo
,
nella
Epistola
esplicatoria
che
precede
lo
Spaccio
de
la
Bestia
trionfante
.
Apriamo
un
po
'
questo
Spaccio
e
sentiamo
che
cosa
Mercurio
dice
di
Giove
.
Ecco
qua
:
Ha
ordinato
che
oggi
a
mezzogiorno
doi
meloni
tra
gli
altri
,
nel
melonajo
di
Fronzino
,
sieno
perfettamente
maturi
:
ma
che
non
sieno
colti
se
non
tre
giorni
a
presso
,
quando
non
saran
giudicati
buoni
a
mangiare
.
Vuole
che
al
medesimo
tempo
de
la
iviuma
che
sta
a
le
radici
del
monte
di
Cicala
,
in
casa
di
Gioan
Bruno
,
trenta
iviomi
sieno
perfetti
colti
,
e
diecesette
cadano
scalmati
in
terra
,
quindici
siano
rosi
da
'
vermi
;
che
Nasta
,
moglie
d
'
Albenzio
,
mentre
si
vuole
increspar
li
capegli
de
le
tempie
,
vegna
,
per
aver
troppo
scaldato
il
ferro
,
a
bruciarsene
cinquantasette
,
ma
che
non
si
scotte
la
testa
,
e
per
questa
volta
non
biastemi
quando
sentirà
il
puzzo
,
ma
con
pazienza
la
passe
;
che
dal
sterco
del
suo
bove
nascano
dugento
cinquanta
doi
scarafoni
,
de
'
quali
quattordici
sieno
calpestati
e
uccisi
per
il
pie
'
di
Albenzio
,
vinti
sei
muojano
di
rinversato
,
vinti
doi
vivano
in
caverna
,
ottanta
vadano
in
peregrinaggio
per
il
cortile
,
quaranta
doi
si
retirino
a
vivere
sotto
quel
ceppo
vicino
a
la
porta
,
sedici
vadano
isvoltando
le
pallotte
per
dove
meglio
li
vien
comodo
,
il
resto
corra
a
la
fortuna
...
Che
Ambrogio
ne
la
centesima
e
duodecima
spinta
abbia
spaccio
et
ispedito
il
negozio
con
la
mogliera
,
e
che
non
la
ingravide
per
questa
volta
,
ma
ne
l
'
altra
volta
,
con
quel
seme
in
cui
si
convertisce
quel
porro
cotto
che
mangia
al
presente
con
sapa
e
pane
miglio
.
E
questo
per
dimostrare
a
Sofia
che
s
'
inganna
se
pensa
che
ai
celesti
non
sieno
a
cura
così
le
cose
minime
,
come
le
più
grandi
.
Come
si
chiama
questo
?
Dice
di
sé
Giordano
nell
'
Antiprologo
del
Candelajo
:
L
'
autore
,
se
voi
lo
conoscete
,
direste
ch
'
have
una
fisionomia
smarrita
;
par
che
sempre
sia
in
contemplazione
de
le
pene
de
l
'
inferno
;
par
sia
stato
a
la
pressa
,
come
le
barrette
;
un
che
ride
,
sol
per
far
come
fan
gli
altri
.
Per
il
più
lo
vedrete
fastidito
,
restio
e
bizzarro
:
non
si
contenta
di
nulla
,
ritroso
come
un
vecchio
d
'
ottant
'
anni
,
fantastico
come
un
cane
.
E
Dedalo
si
chiama
circa
gli
abiti
dell
'
intelletto
nella
proemiale
epistola
al
De
l
'
infinito
Universo
et
Mondi
,
e
come
Momo
,
dio
del
riso
,
s
'
introduce
nello
Spaccio
.
Lo
stile
del
Bruno
,
osserva
nel
suo
studio
mirabile
su
Tre
commedie
italiane
nel
Cinquecento
il
Graf
(
vedi
in
Studii
drammatici
,
Torino
,
Loescher
,
1878;
le
tre
commedie
sono
La
Calandria
,
La
Mandragola
,
Il
Candelajo
)
lo
stile
del
Bruno
è
l
'
immagine
viva
della
mente
onde
muove
.
Ad
un
'
amplissima
varietà
di
forme
,
di
figurazioni
e
di
processi
,
s
'
accoppia
in
esso
un
'
efficacia
impareggiabile
.
Pien
di
vitale
fervore
esso
non
si
adagia
ne
'
simmetrici
spartimenti
retorici
,
ma
si
devolve
per
effluente
,
organica
funzione
.
Di
natura
proteiforme
,
con
pari
agevolezza
s
'
adegua
al
più
arduo
pensiero
della
mente
disquisitiva
,
e
al
più
volgar
sentimento
di
un
'
anima
abjetta
.
Le
parole
vi
si
affrontano
in
riscontri
impensati
,
e
dal
cozzar
loro
erompe
sfavillando
nuova
luce
d
'
idee
.
Esso
è
un
vivo
fermento
di
peregrini
concetti
,
d
'
immagini
epifaniche
,
di
clausole
feconde
.
La
lingua
copiosa
,
proporzionata
alla
varietà
e
al
numero
delle
cose
che
per
essa
si
debbono
significare
,
non
conosce
,
o
disprezza
,
i
ritegni
e
le
leggi
dell
'
accademica
purità
,
e
s
'
impingua
di
elementi
tratti
così
da
'
ripositorii
più
augusti
dell
'
eloquenza
classica
,
come
dagli
ultimi
fondi
della
parlata
vernacola
.
Un
istrumento
sì
fatto
era
necessario
ad
un
ingegno
che
,
senza
smarrire
mai
l
'
equilibrio
,
trascorre
tutti
i
gradi
dell
'
essere
,
dagli
imi
termini
del
reale
ai
supremi
dell
'
ideale
.
Sia
che
raffronti
,
e
associi
o
sceveri
i
termini
del
pensiero
,
sia
che
narri
o
descriva
,
la
virtù
sua
rimane
sempre
uguale
a
sé
stessa
(
Certe
tropologie
del
Bruno
sono
di
un
'
efficacia
senza
pari
;
così
,
quando
di
un
inetto
ragionatore
dice
che
è
venuto
armato
di
parole
e
scommi
che
si
muojono
di
fame
e
di
freddo
.
Certe
comparazioni
scolpiscono
,
come
là
dove
di
due
presuntuosi
sapienti
dice
che
l
'
uno
parea
il
conestabile
de
la
gigantessa
dell
'
orco
,
l
'
altro
l
'
amostante
de
la
dea
reputazione
.
Nella
Cabala
del
Cavallo
Pegaseo
così
è
descritto
Don
Cocchiarone
,
mistiriarca
filosofo
:
Don
Cocchiarone
pien
d
'
infinita
e
nobil
meraviglia
sen
va
per
il
largo
de
la
sua
sala
,
dove
rimosso
dal
rude
ed
ignobil
volgo
,
se
la
spasseggia
,
e
rimenando
or
quinci
or
quindi
de
la
litteraria
sua
toga
le
fimbrie
,
rimenando
or
questo
or
quell
'
altro
piede
,
rigettando
or
verso
il
destro
or
verso
il
sinistro
fianco
il
petto
,
con
il
testo
commento
sotto
l
'
ascella
,
e
con
gesto
di
voler
buttar
quel
pulce
ch
'
ha
tra
le
due
prime
dita
,
in
terra
,
con
la
rugata
fronte
cogitabondo
,
con
erte
ciglia
et
occhi
arrotondati
,
in
gesto
d
'
un
uomo
fortemente
maravigliato
,
conchiudendola
con
un
grave
et
enfatico
sospiro
,
farà
pervenire
a
l
'
orecchio
de
'
circostanti
questa
sentenza
:
Hucusque
alii
Philosophi
non
pervenerunt
)
.
Le
contradizioni
innegabili
che
il
Graf
in
questo
suo
studio
scopre
nella
mente
del
filosofo
panteista
,
per
cui
confessa
di
non
intendere
come
si
generi
in
essa
il
momento
del
riso
si
spiegano
,
secondo
me
,
perfettamente
con
quell
'
intimo
e
particolar
processo
psicologico
in
cui
consiste
appunto
l
'
umorismo
e
che
implica
per
sé
stesso
queste
e
tant
'
altre
contradizioni
.
Del
resto
,
il
Graf
stesso
soggiunge
:
Può
darsi
che
la
contradizione
tragga
la
origine
da
una
certa
disformità
preesistente
fra
l
'
intelletto
e
l
'
indole
da
una
parte
,
e
fra
la
virtù
apprensiva
e
la
raziocinativa
da
un
'
altra
.
Ma
io
non
posso
indugiarmi
a
discorrere
su
ogni
scrittore
che
mi
avvenga
di
nominare
in
questa
rapida
corsa
.
Debbo
limitarmi
a
fuggevoli
accenni
,
rimandando
a
miglior
tempo
uno
studio
compiuto
e
un
'
antologia
degli
umoristi
italiani
,
che
qui
,
dato
il
mio
compito
,
sarebbe
fuor
di
luogo
.
Basterà
porre
in
vista
alcuni
pochi
nomi
;
e
due
ne
abbiamo
già
citati
di
sommi
,
e
un
terzo
di
più
modesto
scrittore
,
che
fu
di
popolo
e
artigiano
,
uso
,
come
disse
egli
stesso
tutto
il
giorno
a
combattere
con
la
forbice
e
con
l
'
ago
:
cose
che
se
bene
sono
strumenti
da
donne
,
e
le
muse
son
donne
,
non
si
legge
però
ch
'
elle
fussino
mai
adoperate
da
loro
:
Giambattista
Gelli
,
voglio
dire
,
che
nei
giardini
del
Rucellai
si
pascolò
di
filosofia
e
diede
fuori
quella
Circe
e
quei
Capricci
di
Giusto
Bottajo
,
che
ripeto
chi
sa
che
capolavori
d
'
umorismo
sembrerebbero
,
se
scritti
in
inglese
,
da
scrittore
inglese
.
Ma
sul
serio
,
se
son
considerati
umoristi
in
Inghilterra
il
Congreve
,
lo
Steele
,
il
Prior
,
il
Gay
,
non
troveremo
noi
nella
letteratura
nostra
da
contrapporre
altri
nomi
di
scrittori
,
che
noi
,
per
conto
nostro
,
non
ci
siamo
mai
sognati
di
chiamare
umoristi
,
anche
del
Settecento
,
e
anche
di
due
e
di
tre
secoli
innanzi
?
Ma
quanti
bizzarri
e
gaj
ingegni
tra
quei
bajoni
nostri
del
Cinquecento
!
E
il
Cellini
?
Sul
serio
,
se
ci
vediamo
porre
innanzi
The
Dunciad
del
Pope
,
non
abbiamo
da
prendere
a
piene
mani
,
per
seppellirla
,
tutta
una
letteratura
,
di
cui
sogliamo
vergognarci
,
a
cominciar
dai
Mattaccini
del
Caro
?
Mancassero
guerre
d
'
inchiostro
tra
i
letterati
nostri
d
'
ogni
tempo
,
giù
giù
dai
sonetti
di
Cecco
Angiolieri
contro
Dante
,
all
'
Atlantide
di
Mario
Rapisardi
!
Riso
anche
questo
,
sicuro
,
gajezza
mala
,
umore
,
cioè
fiele
,
collera
fredda
e
secca
,
come
la
chiama
Brunetto
Latini
,
o
malinconia
nel
senso
originario
della
parola
:
la
malinconia
appunto
dello
Swift
libellista
.
Penso
al
Franco
,
all
'
Aretino
e
,
più
qua
,
a
quel
terribile
monsignor
Lodovico
Sergardi
.
A
questi
soltanto
?
Ma
a
ben
più
d
'
uno
è
forza
ch
'
io
riguardi
,
Il
qual
mi
grida
e
di
lontano
accenna
E
priega
ch
'
io
noi
lasci
nella
penna
,
vedendo
con
quanta
larghezza
gli
altri
imbarchino
scrittori
su
questo
Narrenschiff
dell
'
umorismo
!
Ma
sì
,
perché
no
?
anche
tu
,
Ortensio
Lando
,
se
pur
volontariamente
non
pazzeggi
come
Bruto
per
aver
diritto
di
vivere
e
di
parlare
con
libertà
,
come
disse
Carlo
Tenca
;
monta
anche
tu
,
autore
dei
Paradossi
e
del
Commentario
delle
cose
mostruose
d
'
Italia
e
d
'
altri
luoghi
,
tu
che
,
non
foss
'
altro
,
avesti
il
coraggio
di
dare
ai
tuoi
dì
dell
'
animalaccio
ad
Aristotile
.
Io
,
per
me
,
ti
lascerei
a
terra
con
tutti
gli
altri
,
a
terra
col
Doni
,
a
terra
col
Boccalini
,
Tacito
proconsolo
nell
'
isola
di
Lesbo
,
a
terra
col
Dotti
,
a
terra
con
tanti
prima
e
dopo
di
te
,
il
Caporali
e
il
Lippi
e
il
Passeroni
;
ma
non
vorrei
essere
io
solo
così
rigoroso
,
massime
quando
vedo
dalla
barca
uno
che
ha
il
diritto
di
starvi
,
incontestabile
,
Lorenzo
Sterne
,
far
cenni
e
invitar
quell
'
ultimo
dei
nostri
che
ho
nominati
,
a
montarvi
.
E
Alessandro
Tassoni
?
si
deve
lasciare
a
terra
anche
lui
?
Nelle
recenti
feste
in
suo
onore
,
parecchi
han
voluto
veder
stoffa
d
'
umorista
vero
in
questo
acuto
e
acerbo
derisore
,
anzi
disprezzatone
del
suo
tempo
.
Se
fosse
inglese
o
tedesco
,
sarebbe
già
da
un
pezzo
nella
barca
anche
lui
e
degno
di
starvi
a
giudizio
de
'
savi
universale
.
Siamo
sempre
lì
:
in
che
senso
si
deve
intendere
l
'
umorismo
?
L
'
Arcoleo
,
su
la
fine
della
sua
seconda
conferenza
,
dichiara
dì
non
essere
incline
a
quella
critica
che
,
rispetto
a
forme
letterarie
,
dispensa
facilmente
scomuniche
e
ostracismi
;
e
dice
che
non
sono
molto
complesse
le
ragioni
per
le
quali
in
Italia
ebbe
poca
vita
la
forma
umoristica
,
e
che
egli
non
vuol
profanare
quest
'
argomento
che
merita
studio
speciale
.
Quali
sieno
queste
ragioni
molto
complesse
,
che
al
lume
degli
stessi
esempii
recati
dall
'
Arcoleo
appajono
qua
e
là
contradittorie
,
abbiamo
già
veduto
:
da
noi
non
c
'
è
spirito
d
'
osservazione
né
intimità
di
stile
,
siamo
pedanti
e
accademici
,
siamo
scettici
e
indifferenti
,
non
aspiriamo
a
nulla
.
Contro
queste
accuse
,
noi
abbiamo
citato
parecchi
nomi
,
che
mai
,
neppure
in
un
lampo
,
sono
sorti
in
mente
all
'
Arcoleo
.
Una
sola
volta
,
parlando
del
Heine
in
fin
di
vita
,
che
ride
del
suo
dolore
,
pensa
,
per
combinazione
,
al
Leopardi
che
si
sentiva
anche
lui
un
tronco
che
pena
e
vive
e
al
Brighenti
scriveva
:
Io
sto
qui
deriso
,
sputacchiato
,
preso
a
calci
da
tutti
,
di
maniera
che
se
vi
penso
mi
fa
raccapricciare
.
Tuttavia
mi
avvezzo
a
ridere
e
ci
riesco
.
Sì
,
ma
restò
lirico
,
osserva
,
l
'
educazione
classica
non
gli
permise
di
essere
umorista
!
Ma
scrisse
anche
certi
dialoghi
,
se
non
c
'
inganniamo
,
e
certe
altre
prosette
...
Restò
lirico
anche
lì
?
L
'
educazione
classica
...
Ma
almeno
la
tendenza
romantica
avrà
permesso
al
Manzoni
di
essere
umorista
?
Che
!
Il
suo
don
Abbondio
non
aspira
a
nulla
,
litiga
tra
il
dovere
e
la
paura
;
è
ridicolo
senz
'
altro
.
Non
è
questo
un
modo
abbastanza
spiccio
di
giudicare
e
mandare
?
Ma
questo
modo
,
veramente
,
tiene
l
'
Arcoleo
dal
principio
alla
fine
delle
due
conferenze
:
l
'
argomento
è
trattato
così
,
a
sprazzi
,
per
sentenze
inappellabili
.
Umorismo
:
fuoco
d
'
artifizio
di
scoppiettanti
definizioni
;
poi
,
prima
fase
:
dubbio
e
scetticismo
ridere
del
proprio
pensiero
Amleto
;
seconda
fase
,
lotta
e
adattamento
ridere
del
proprio
dolore
Don
Giovanni
.
E
tra
gli
umoristi
della
prima
fase
son
citati
due
francesi
,
Rabelais
e
Montaigne
,
e
due
inglesi
,
Swift
e
Sterne
;
tra
gli
umoristi
della
seconda
,
due
tedeschi
,
Richter
e
Heine
,
tre
inglesi
,
Carlyle
,
Dickens
,
Thackeray
e
poi
...
Marco
Twain
.
Come
si
vede
,
nessun
italiano
.
E
dire
che
arriviamo
fino
a
Marco
Twain
!
L
'
Arcoleo
conclude
così
:
Lo
spirito
comico
rimase
avviluppato
nell
'
embrione
della
commedia
dell
'
arte
o
nella
poesia
dialettale
;
e
molto
e
ricco
sviluppo
ebbero
invece
e
in
poesia
e
in
prosa
,
in
poemi
,
novelle
,
romanzi
e
saggi
,
l
'
ironia
e
la
satira
.
Basta
confondere
con
queste
forme
l
'
humour
,
perché
n
'
esca
giudizio
opposto
al
mio
,
o
perché
io
sembri
esagerato
e
ingiusto
.
Non
intendo
parlare
di
tentativi
o
abbozzi
;
si
trovano
facilmente
in
ogni
storia
artistica
e
di
ogni
forma
:
ma
io
non
so
vedere
fra
noi
una
letteratura
umoristica
e
all
'
uopo
non
avrei
che
a
fare
un
paragone
tra
l
'
Ariosto
e
Cervantes
.
Questo
paragone
l
'
abbiamo
fatto
noi
,
e
con
un
giudizio
non
opposto
a
quello
ch
'
egli
avrebbe
dato
,
se
avesse
fatto
il
paragone
.
Tra
parentesi
però
,
Cervantes
-
come
Rabelais
,
come
Montaigne
è
un
latino
;
e
non
crediamo
che
la
Riforma
propriamente
in
Spagna
...
Lasciamo
andare
!
Veniamo
in
Italia
.
Noi
non
vogliamo
affatto
confondere
lo
spirito
comico
,
l
'
ironia
,
la
satira
con
l
'
umorismo
:
tutt
'
altro
!
Ma
non
si
deve
neanche
confondere
l
'
umorismo
vero
e
proprio
con
l
'
humour
inglese
,
cioè
con
quel
tipico
modo
di
ridere
o
umore
che
,
come
tutti
gli
altri
popoli
,
hanno
anche
gl
'
Inglesi
.
Non
si
pretenderà
,
che
gl
'
Italiani
o
i
Francesi
abbiano
l
'
humour
inglese
;
come
non
si
può
pretendere
che
gl
'
Inglesi
ridano
a
modo
nostro
o
facciano
dello
spirito
come
i
Francesi
.
L
'
avranno
magari
fatto
,
qualche
volta
;
ma
ciò
non
vuol
dire
.
L
'
umorismo
vero
e
proprio
è
un
'
altra
cosa
,
ed
è
anche
per
gl
'
Inglesi
un
'
eccentricità
di
stile
.
Basta
confondere
l
'
una
cosa
e
l
'
altra
-
diciamo
anche
noi
a
nostra
volta
perché
si
venga
a
riconoscere
una
letteratura
umoristica
a
un
popolo
e
a
negarla
a
un
altro
.
Ma
una
letteratura
umoristica
si
può
avere
a
questo
solo
patto
,
cioè
di
far
questa
confusione
;
e
allora
ogni
popolo
avrà
la
sua
,
assommando
tutte
le
opere
in
cui
questo
tipico
umore
si
esprime
nei
più
bizzarri
modi
;
e
noi
potremmo
cominciar
la
nostra
,
ad
esempio
,
con
Cecco
Angiolieri
,
come
gl
'
Inglesi
la
cominciano
col
Chaucer
,
e
non
direi
che
la
comincino
bene
,
non
per
il
valore
del
poeta
,
ma
perché
egli
mostra
di
aver
mescolato
alla
bevanda
nazionale
un
po
'
del
vino
che
si
vendemmia
nel
paese
del
sole
.
Altrimenti
,
una
letteratura
umoristica
vera
e
propria
non
è
possibile
,
presso
nessun
popolo
:
si
possono
avere
umoristi
,
cioè
pochi
e
rari
scrittori
in
cui
per
natural
disposizione
avviene
quel
complicato
e
speciosissimo
processo
psicologico
che
si
chiama
umorismo
.
Quanti
ne
cita
l
'
Arcoleo
?
Certamente
,
l
'
umorismo
nasce
da
uno
speciale
stato
d
'
animo
,
che
può
,
più
o
meno
,
diffondersi
.
Quando
un
'
espressione
d
'
arte
riesce
a
conquistare
l
'
attenzione
del
pubblico
,
questo
si
dà
subito
a
pensare
e
a
parlare
e
a
scrivere
secondo
le
impressioni
che
ne
ha
ricevuto
;
di
modo
che
quella
espressione
,
sorta
dapprima
dalla
particolare
intuizione
d
'
uno
scrittore
,
penetrata
rapidamente
nel
pubblico
,
è
poi
da
questo
variamente
trasformata
e
diretta
.
Così
avvenne
per
il
romanticismo
,
così
per
il
naturalismo
:
diventarono
le
idee
del
tempo
,
quasi
un
'
atmosfera
ideale
;
e
molti
fecero
per
moda
i
romantici
o
i
naturalisti
,
come
molti
per
moda
fecero
gli
umoristi
in
Inghilterra
nel
sec
.
'
XVIII
,
e
molti
furon
degli
umidi
nel
Cinquecento
in
Italia
,
e
degli
arcadi
nel
Settecento
.
Uno
stato
d
'
animo
si
può
creare
in
noi
e
divenir
coerente
o
rimaner
fittizio
,
secondo
che
risponda
o
no
alla
speciale
fisionomia
dell
'
organismo
psichico
.
Ma
poi
le
idee
del
tempo
mutano
,
cangia
la
moda
,
i
pòmpili
seguaci
si
mettono
appresso
ad
altre
navi
.
Chi
resta
?
Restano
quei
pochi
,
da
contar
su
le
dita
,
quei
pochi
che
ebbero
,
primi
,
l
'
intuizione
straordinaria
,
o
in
cui
quello
speciale
stato
d
'
animo
divenne
così
coerente
,
che
poteron
creare
un
'
opera
organica
,
resistente
al
tempo
e
alla
moda
.
Sul
serio
poi
l
'
Arcoleo
crede
che
nella
nostra
letteratura
dialettale
non
ci
sia
altro
che
spirito
comico
?
Egli
è
siciliano
,
e
certamente
ha
letto
il
Meli
,
e
sa
quanto
sia
ingiusto
il
giudizio
di
arcadia
superiore
dato
della
poesia
di
lui
,
che
non
fu
sonata
soltanto
su
la
zampogna
pastorale
,
ma
ebbe
anche
tutte
le
corde
della
lira
e
si
espresse
in
tutte
le
forme
.
Non
c
'
è
vero
e
proprio
umorismo
in
tanta
parte
della
poesia
del
Meli
?
Ma
basterebbe
citar
soltanto
La
cutuliata
per
dimostrarlo
!
Tic
tic
...
chi
fu
?
Cutuliata
.
E
non
c
'
è
umorismo
,
vero
e
proprio
umorismo
,
in
tanti
e
tanti
sonetti
del
Belli
?
E
senza
parlare
delle
figure
del
Maggi
,
il
Giovannin
Bongee
,
il
Marchionn
di
gamb
avert
di
Carlo
Porta
non
son
due
capolavori
d
'
umorismo
?
E
,
poiché
si
parla
di
tipi
rimasti
imperituri
,
il
Monsù
Travet
del
Bersezio
,
Il
Nobilomo
Vidal
del
Gallina
?
E
un
altro
scrittore
dialettale
abbiamo
,
finora
quasi
del
tutto
ignoto
,
grandissimo
:
umorista
vero
,
se
mai
ce
ne
fu
,
e
a
farlo
apposta
meridionalissimo
,
di
Reggio
Calabria
:
Giovanni
Merlino
,
rivelato
or
son
parecchi
anni
,
in
una
conferenza
da
Giuseppe
Mantica
(
vedi
Giovanni
Merlino
,
umorista
,
Napoli
,
Pierro
,
1898
)
,
suo
conterraneo
,
che
sarebbe
stato
anche
lui
un
forte
scrittore
umorista
se
,
nel
breve
corso
della
sua
esistenza
,
la
politica
non
lo
avesse
troppo
presto
distratto
dalle
lettere
.
Scrisse
il
Merlino
i
suoi
libri
per
55
lettori
,
che
nomina
uno
per
uno
e
divide
in
quattro
categorie
,
imponendo
a
ciascuna
di
esse
alcuni
speciali
obblighi
in
ricompensa
del
piacere
loro
procurato
.
Uno
de
'
suoi
volumi
,
ancora
tutti
inediti
,
è
detto
:
Miscellanea
di
varie
cose
sconnesse
e
piacevoli
,
fatta
per
coloro
che
,
avendo
poco
cervello
,
vogliono
istruirsi
sul
modo
più
acconcio
per
perderlo
interamente
;
gli
altri
sono
Memorie
utili
ed
inutili
ai
posteri
,
ossia
la
vita
di
Giovanni
Merlino
del
quondam
Antonino
di
Reggio
,
principiata
a
27
decembre
1789
e
proseguita
fino
al
1850
,
composta
di
sette
volumi
.
Vorrei
poter
citare
per
disteso
il
lungo
Dialogo
alla
calabrese
tra
Domine
Dio
e
Giovanni
Merlino
o
il
Conto
con
Domine
Dio
per
dimostrare
che
umorista
fosse
il
Merlino
.
Nell
'
attesa
che
gli
eredi
lo
rendano
a
tutti
noto
pubblicando
i
volumi
,
rimando
alla
pubblicazione
che
il
Mantica
fece
di
questi
due
impareggiabili
Dialoghi
,
con
la
traduzione
a
fronte
.
Questo
,
per
la
letteratura
dialettale
.
Non
scopre
poi
sul
serio
altro
che
ironia
e
satira
l
'
Arcoleo
negli
scrittori
italiani
?
Io
penso
a
un
certo
Socrate
immaginario
d
'
un
certo
abbate
del
Settecento
;
penso
al
Didimo
chierico
del
Foscolo
;
ad
alcune
volate
in
prosa
del
Baretti
;
penso
ai
Promessi
Sposi
del
Manzoni
,
tutto
infuso
di
genuino
umorismo
(
vedi
nella
seconda
parte
la
dimostrazione
dell
'
umorismo
di
don
Abfiondio
,
che
all
'
Arcoleo
sembra
una
figura
ridicola
o
comica
senz
'
altro
)
;
penso
al
Sant
'
Ambrogio
del
Giusti
,
vera
poesia
umoristica
,
unica
forse
tra
le
tante
satiriche
o
sentimentali
;
penso
a
quei
certi
dialoghi
e
a
quelle
certe
prosette
del
Leopardi
;
penso
all
'
Asino
e
al
Buco
nel
muro
del
Guerrazzi
;
penso
al
Fanfulla
del
D
'
Azeglio
;
penso
a
Carlo
Bini
;
penso
a
quella
tal
cucina
nel
castello
di
Fratta
delle
Confessioni
d
'
un
ottuagenario
del
Nievo
;
penso
a
Camillo
De
Meis
,
al
Revere
;
e
,
poiché
l
'
Arcoleo
arriva
fino
a
Marco
Twain
,
penso
al
Re
umorista
,
al
Demonio
dello
stile
,
all
'
Altalena
delle
antipatie
,
al
Pietro
e
Paola
,
a
Scaricalasino
,
all
'
Illustrissimo
del
Cantoni
;
al
Demetrio
Pianelli
del
De
Marchi
;
penso
ai
poeti
della
scapigliatura
lombarda
e
a
tante
note
di
schietto
e
profondo
umorismo
nelle
liriche
del
Carducci
e
del
Graf
;
penso
ai
tanti
personaggi
umoristici
che
popolano
i
romanzi
e
le
novelle
del
Fogazzaro
,
del
Farina
,
del
Capuana
,
del
Fucini
,
e
anche
ad
alcune
opere
di
più
giovani
scrittori
,
da
Luigi
Antonio
Villari
all
'
Albertazzi
,
al
Panzini
...
ed
ecco
,
la
Lanterna
di
Diogene
di
quest
'
ultimo
vorrei
porre
in
una
mano
all
'
Arcoleo
e
nell
'
altra
la
candela
del
Candelajo
del
Bruno
:
son
sicuro
che
parecchi
scrittori
umoristi
scoprirebbe
nella
letteratura
italiana
antica
e
nuova
.
Parte
seconda
.
ESSENZA
,
CARATTERI
E
MATERIA
DELL
'
UMORISMO
I
.
Che
cosa
è
l
'
umorismo
?
Se
volessimo
tener
conto
di
tutte
le
risposte
che
si
son
date
a
questa
domanda
,
di
tutte
le
definizioni
che
autori
e
critici
han
tentato
,
potremmo
riempire
parecchie
e
parecchie
pagine
,
e
probabilmente
alla
fine
,
confusi
tra
tanti
pareri
e
dispareri
,
non
riusciremmo
ad
altro
che
a
ripetere
la
domanda
:
-
Ma
,
in
somma
,
che
cos
'
è
l
'
umorismo
?
Abbiamo
già
detto
che
tutti
coloro
,
i
quali
,
o
di
proposito
o
per
incidenza
,
ne
han
parlato
,
in
una
cosa
sola
si
accordano
,
nel
dichiarare
che
è
difficilissimo
dire
che
cosa
sia
veramente
,
perché
esso
ha
infinite
varietà
e
tante
caratteristiche
che
,
a
volerlo
descrivere
in
generale
,
si
rischia
sempre
di
dimenticarne
qualcuna
.
Questo
è
vero
;
ma
è
vero
altresì
che
da
un
pezzo
ormai
avrebbe
dovuto
capirsi
che
partire
da
queste
caratteristiche
non
è
la
via
migliore
per
arrivare
a
intendere
la
vera
essenza
dell
'
umorismo
,
poiché
sempre
avviene
che
una
se
ne
assuma
per
fondamentale
,
quella
che
si
è
riscontrata
comune
a
parecchie
opere
o
a
parecchi
scrittori
studiati
con
predilezione
;
di
modo
che
tante
definizioni
si
vengono
infine
ad
avere
dell
'
umorismo
,
quante
sono
le
caratteristiche
riscontrate
,
e
tutte
naturalmente
hanno
una
parte
di
vero
,
e
nessuna
è
la
vera
.
Certamente
,
dalla
somma
di
tutte
queste
varie
caratteristiche
e
delle
conseguenti
definizioni
si
può
arrivare
a
comprendere
,
così
,
in
generale
,
che
cosa
sia
l
'
umorismo
;
ma
se
ne
avrà
sempre
una
conoscenza
sommaria
ed
esteriore
,
appunto
perché
fondata
su
queste
sommarie
ed
esteriori
determinazioni
.
La
caratteristica
,
ad
esempio
,
di
quella
tale
peculiar
bonarietà
o
benevola
indulgenza
che
scoprono
alcuni
nell
'
umorismo
,
già
definito
dal
Richter
malinconia
d
'
un
animo
superiore
che
giunge
a
divertirsi
finanche
di
ciò
che
lo
rattrista
,
quel
tranquillo
,
giocondo
e
riflesso
sguardo
su
le
cose
,
quel
modo
d
'
accogliere
gli
spettacoli
divertenti
,
che
sembra
,
nella
sua
moderazione
,
soddisfare
il
senso
del
ridicolo
e
domandar
perdono
di
ciò
che
v
'
è
di
poco
delicato
in
tal
compiacimento
,
quella
tale
espansione
degli
spiriti
dall
'
interno
all
'
esterno
incontrata
e
ritardata
dalla
corrente
contraria
d
'
una
specie
di
benevolenza
pensosa
,
di
cui
parla
il
Sully
nel
suo
Essai
sur
le
rire
(
Paris
,
Alcan
,
1904
,
pag
.
276
)
,
non
si
trovano
in
tutti
gli
umoristi
.
Alcuni
di
questi
tratti
,
che
al
critico
francese
,
e
non
a
lui
soltanto
,
pajono
principali
dell
'
umorismo
,
si
troveranno
in
alcuni
,
in
altri
no
;
e
in
certuni
anzi
si
troverà
il
contrario
,
come
ad
esempio
nello
Swift
,
che
è
malinconico
nel
senso
originario
della
parola
,
cioè
pieno
di
fiele
;
e
del
resto
noi
vedremo
un
po
'
più
innanzi
,
parlando
del
don
Abbondio
del
Manzoni
,
a
che
cosa
in
fondo
si
riduca
quella
peculiar
bonarietà
o
simpatica
indulgenza
.
Al
contrario
,
quella
acre
disposizione
a
scoprire
ed
esprimere
il
ridicolo
del
serio
e
il
serio
del
ridicolo
umano
,
di
cui
parla
il
Bonghi
,
calzerà
allo
Swift
e
a
umoristi
al
pari
di
lui
beffardi
e
mordaci
;
non
calzerà
ad
altri
;
né
del
resto
,
come
osserva
il
Lipps
,
opponendosi
alla
teoria
del
Lazzarus
,
che
considera
anch
'
esso
l
'
umorismo
soltanto
come
una
disposizione
d
'
animo
,
questo
modo
di
considerarlo
è
compiuto
.
Né
compiuto
sarà
quello
del
Hegel
che
lo
dice
attitudine
speciale
d
'
intelletto
e
di
animo
onde
l
'
artista
si
pone
lui
stesso
al
posto
delle
cose
,
definizione
che
,
a
non
porsi
bene
a
guardare
da
quel
solo
lato
da
cui
lo
Hegel
lo
guarda
,
ha
tutta
l
'
aria
d
'
un
rebus
.
Caratteristiche
più
comuni
,
e
però
più
generalmente
osservate
,
sono
la
contradizione
fondamentale
,
a
cui
si
suol
dare
per
causa
principale
il
disaccordo
che
il
sentimento
e
la
meditazione
scoprono
o
fra
la
vita
reale
e
l
'
ideale
umano
o
fra
le
nostre
aspirazioni
e
le
nostre
debolezze
e
miserie
,
e
per
principale
effetto
quella
tal
perplessità
tra
il
pianto
e
il
riso
;
poi
lo
scetticismo
,
di
cui
si
colora
ogni
osservazione
,
ogni
pittura
umoristica
,
e
in
fine
il
suo
procedere
minuziosamente
e
anche
maliziosamente
analitico
.
Dalla
somma
,
ripeto
,
di
tutte
queste
caratteristiche
e
conseguenti
definizioni
si
può
arrivare
a
comprendere
,
così
,
in
generale
,
che
cosa
sia
l
'
umorismo
,
ma
nessuno
negherà
che
non
ne
risulti
una
conoscenza
troppo
sommaria
.
Che
se
accanto
ad
alcune
determinazioni
affatto
incompiute
,
come
abbiamo
veduto
,
altre
ve
ne
sono
indubbiamente
più
comuni
,
l
'
intima
ragione
di
esse
non
è
poi
veduta
affatto
con
precisione
né
spiegata
.
Rinunzieremo
noi
a
vederla
con
precisione
e
a
spiegarla
,
accettando
l
'
opinione
di
Benedetto
Croce
che
nel
Jouurnal
of
comparative
Literature
(
fasc
.
III
,
1903
)
dichiarò
indefinibile
l
'
umorismo
come
tutti
gli
stati
psicologici
,
e
nel
libro
dell
'
Estetica
lo
annoverò
tra
i
tanti
concetti
dell
'
estetica
del
simpatico
?
.
L
'
indagine
dei
filosofi
egli
dice
si
è
a
lungo
travagliata
intorno
a
questi
fatti
,
e
specialmente
intorno
ad
alcuni
di
essi
,
come
,
in
prima
linea
,
il
comico
,
e
poi
il
sublime
,
il
tragico
,
l
'
umoristico
e
il
grazioso
.
Ma
bisogna
evitar
l
'
errore
di
considerarli
come
sentimenti
speciali
,
note
del
sentimento
,
ammettendo
così
delle
distinzioni
e
classi
di
sentimenti
,
laddove
il
sentimento
organico
per
sé
stesso
non
può
dar
luogo
a
classi
;
e
bisogna
chiarire
in
che
senso
possano
dirsi
fatti
misti
.
Essi
dan
luogo
a
concetti
complessi
,
ossia
di
complessi
di
fatti
,
nei
quali
entrano
sentimenti
organici
di
piacere
e
dispiacere
(
o
anche
sentimenti
spirituali
-
organici
)
,
e
date
circostanze
esterne
che
forniscono
a
quei
sentimenti
meramente
organici
o
spirituali
-
organici
un
determinato
contenuto
.
Il
modo
di
definizione
di
questi
concetti
è
il
genetico
:
Posto
l
'
organismo
nella
situazione
a
,
sopravvenendo
la
circostanza
b
,
si
ha
il
fatto
c
.
Questo
e
simili
processi
non
hanno
col
fatto
estetico
nessun
contatto
:
salvo
quello
generale
che
tutti
essi
,
in
quanto
costituiscono
la
materia
o
la
realtà
,
possono
essere
rappresentati
dall
'
arte
;
e
l
'
altro
,
accidentale
,
che
in
questi
processi
entrino
talvolta
dei
fatti
estetici
,
come
nel
caso
dell
'
impressione
di
sublime
che
può
produrre
l
'
opera
di
un
artista
titano
,
di
un
Dante
o
di
uno
Shakespeare
,
o
di
quella
comica
del
conato
di
un
imbrattatele
o
di
un
imbrattacarte
.
Anche
in
questi
casi
il
processo
è
estrinseco
al
fatto
estetico
:
al
quale
non
si
lega
se
non
il
sentimento
del
piacere
e
dispiacere
,
del
valore
e
disvalore
estetico
,
del
bello
e
del
brutto
.
Innanzi
tutto
,
perché
sono
indefinibili
gli
stati
psicologici
?
Saranno
forse
indefinibili
per
un
filosofo
,
ma
l
'
artista
,
in
fondo
,
non
fa
altro
che
definire
e
rappresentare
stati
psicologici
.
E
poi
se
l
'
umorismo
è
un
processo
o
un
fatto
che
dà
luogo
a
concetti
complessi
,
ossia
complessi
di
fatti
,
come
diventa
poi
esso
un
concetto
?
Concetto
sarà
quello
a
cui
l
'
umorismo
dà
luogo
,
non
l
'
umorismo
.
Certamente
se
per
fatto
estetico
deve
intendersi
quel
che
intende
il
Croce
,
tutto
diviene
estrinseco
ad
esso
,
non
che
questo
processo
.
Ma
noi
abbiamo
dimostrato
altrove
e
anche
nel
corso
di
questo
lavoro
,
che
il
fatto
estetico
non
è
né
può
essere
quel
che
il
Croce
intende
.
E
,
del
resto
,
che
significa
la
concessione
che
questo
e
simili
processi
non
hanno
col
fatto
estetico
nessun
contatto
,
salvo
quello
generale
che
tutti
essi
,
in
quanto
costituiscono
la
materia
o
la
realtà
,
possono
essere
rappresentati
dall
'
arte
?
L
'
arte
può
rappresentare
questo
processo
che
dà
luogo
al
concetto
di
umorismo
.
Ora
,
come
potrò
io
,
critico
,
rendermi
conto
di
questa
rappresentazione
artistica
,
se
non
mi
rendo
conto
del
processo
da
cui
risulta
?
E
in
che
consisterebbe
allora
la
critica
estetica
?
Se
un
'
opera
d
'
arte
,
osserva
il
Cesareo
nel
suo
saggio
su
La
critica
estetica
appunto
,
ha
da
provocare
uno
stato
d
'
animo
,
appar
manifesto
che
tanto
più
pieno
sarà
l
'
effetto
finale
,
quanto
più
intense
e
concordi
vi
coopereranno
tutte
le
singole
determinazioni
.
Anche
in
estetica
la
somma
è
in
ragion
delle
poste
.
L
'
esame
di
tutte
a
una
a
una
le
particolari
espressioni
ci
darà
la
misura
dell
'
espressione
totale
.
Or
come
la
perfetta
riproduzione
d
'
uno
stato
d
'
animo
,
in
cui
per
l
'
appunto
consiste
la
bellezza
estetica
,
è
un
fatto
emozionale
che
può
risultare
soltanto
dalla
somma
d
'
alcune
rappresentazioni
sentimentali
,
così
l
'
analisi
psicologica
d
'
un
'
opera
di
poesia
è
il
necessario
fondamento
di
qualsiasi
valutazione
estetica
.
Parlando
di
questo
mio
saggio
su
la
sua
rivista
La
Critica
(
vol
.
VII
,
a
.
1909
,
pagg
.
219-23
)
,
il
Croce
,
a
proposito
dello
studio
del
Baldensperger
Les
definitions
de
l
'
humour
(
in
Études
d
'
histoire
littéraire
,
Paris
,
Hachette
,
1907
)
,
Si
compiace
di
dire
che
il
Baldensperger
ricorda
anche
le
ricerche
del
Cazamian
,
edite
nella
Revue
germanique
del
1906
:
Pourquoi
nous
ne
pouvons
definir
l
'
humour
,
in
cui
l
'
autore
,
seguace
del
Bergson
,
sostiene
che
l
'
umorismo
sfugge
alla
scienza
,
perché
gli
elementi
caratteristici
e
costanti
di
esso
sono
in
piccolo
numero
e
sopra
tutto
negativi
,
laddove
gli
elementi
variabili
sono
in
numero
indeterminato
.
Per
cui
,
il
compito
della
critica
è
di
studiare
il
contenuto
e
il
tono
di
ogni
umore
,
e
cioè
,
la
personalità
di
ciascun
umorista
.
Il
ny
a
pas
d
'
humour
,
il
ny
a
que
des
humouristes
,
dice
il
signor
Baldensperger
.
E
il
Croce
s
'
affretta
a
concludere
:
La
questione
è
così
esaurita
.
Esaurita
?
Torniamo
e
torneremo
sempre
a
domandare
come
mai
,
se
l
'
umorismo
non
c
'
è
,
né
si
sa
,
né
si
può
dire
che
cosa
sia
,
ci
sieno
poi
scrittori
,
di
cui
si
possa
sapere
e
dire
che
sono
umoristi
.
In
base
a
che
cosa
si
saprà
e
si
potrà
dire
?
L
'
umorismo
non
c
'
è
;
ci
sono
scrittori
umoristi
.
Il
comico
non
c
'
è
;
ci
sono
scrittori
comici
.
Benissimo
!
E
se
un
tale
,
sbagliando
,
afferma
che
un
tale
scrittore
umorista
è
un
comico
,
come
farò
io
a
chiarirgli
lo
sbaglio
,
a
dimostrargli
che
è
un
umorista
e
non
un
comico
?
Il
Croce
pone
innanzi
la
pregiudiziale
metodica
circa
la
possibilità
di
definire
un
concetto
.
Io
gli
pongo
innanzi
questo
caso
,
e
gli
domando
come
potrebbe
egli
dimostrare
,
per
esempio
,
all
'
Arcoleo
,
il
quale
afferma
che
il
personaggio
di
don
Abbondio
è
comico
,
che
invece
no
,
quel
personaggio
è
umoristico
,
se
non
avesse
ben
chiaro
in
mente
che
cosa
sia
e
che
debba
intendersi
per
umorismo
.
Ma
egli
dice
,
in
fondo
,
di
non
muover
guerra
alle
definizioni
,
e
che
anzi
il
suo
modo
di
rifiutarle
tutte
,
filosoficamente
,
è
l
'
accettarle
tutte
,
empiricamente
.
Anche
la
mia
;
che
del
resto
non
è
,
né
vuol
essere
una
definizione
,
ma
piuttosto
la
spiegazione
di
quell
'
intimo
processo
che
avviene
,
e
che
non
può
non
avvenire
,
in
tutti
quegli
scrittori
che
si
dicono
umoristi
.
L
'
Estetica
del
Croce
è
così
astratta
e
negativa
,
che
applicarla
alla
critica
non
è
assolutamente
possibile
,
se
non
a
patto
di
negarla
di
continuo
,
com
'
egli
stesso
fa
,
accettando
questi
così
detti
concetti
empirici
che
,
cacciati
dalla
porta
,
gli
rientrano
dalla
finestra
.
Ah
,
una
bella
soddisfazione
,
la
filosofia
!
II
Vediamo
dunque
,
senz
'
altro
,
qual
è
il
processo
da
cui
risulta
quella
particolar
rappresentazione
che
si
suoi
chiamare
umoristica
;
se
questa
ha
peculiari
caratteri
che
la
distinguono
,
e
da
che
derivano
:
se
vi
è
un
particolar
modo
di
considerare
il
mondo
,
che
costituisce
appunto
la
materia
e
la
ragione
dell
'
umorismo
.
Ordinariamente
,
ho
già
detto
altrove
(
vedi
nel
mio
volume
già
citato
Arte
e
scienza
il
saggio
Un
critico
fantastico
)
,
e
qui
m
'
è
forza
ripetere
l
'
opera
d
'
arte
è
creata
dal
libero
movimento
della
vita
interiore
che
organa
le
idee
e
le
immagini
in
una
forma
armoniosa
,
di
cui
tutti
gli
elementi
han
corrispondenza
tra
loro
e
con
l
'
idea
-
madre
che
le
coordina
.
La
riflessione
,
durante
la
concezione
,
come
durante
l
'
esecuzione
dell
'
opera
d
'
arte
,
non
resta
certamente
inattiva
:
assiste
al
nascere
e
al
crescere
dell
'
opera
,
ne
segue
le
fasi
progressive
e
ne
gode
,
raccosta
i
varii
elementi
,
li
coordina
,
li
compara
.
La
coscienza
non
rischiara
tutto
lo
spirito
;
segnatamente
per
l
'
artista
essa
non
è
un
lume
distinto
dal
pensiero
,
che
permetta
alla
volontà
di
attingere
in
lei
come
in
un
tesoro
d
'
immagini
e
d
'
idee
.
La
coscienza
,
in
somma
,
non
è
una
potenza
creatrice
,
ma
lo
specchio
interiore
in
cui
il
pensiero
si
rimira
;
si
può
dire
anzi
ch
'
essa
sia
il
pensiero
che
vede
sé
stesso
,
assistendo
a
quello
che
esso
fa
spontaneamente
.
E
,
d
'
ordinario
,
nell
'
artista
,
nel
momento
della
concezione
,
la
riflessione
si
nasconde
,
resta
,
per
casi
dire
,
invisibile
:
è
,
quasi
,
per
l
'
artista
una
forma
del
sentimento
.
Man
mano
che
l
'
opera
si
fa
,
essa
la
critica
,
non
freddamente
,
come
farebbe
un
giudice
spassionato
,
analizzandola
;
ma
d
'
un
tratto
,
mercé
l
'
impressione
che
ne
riceve
.
Questo
,
ordinariamente
.
Vediamo
adesso
se
,
per
la
natural
disposizione
d
'
animo
di
quegli
scrittori
che
si
chiamano
umoristi
e
per
il
particolar
modo
che
essi
hanno
di
intuire
e
di
considerar
gli
uomini
e
la
vita
,
questo
stesso
procedimento
avviene
nella
concezione
delle
loro
opere
;
se
cioè
la
riflessione
vi
tenga
la
parte
che
abbiamo
or
ora
descritto
,
o
non
vi
assuma
piuttosto
una
speciale
attività
.
Ebbene
,
noi
vedremo
che
nella
concezione
di
ogni
opera
umoristica
,
la
riflessione
non
si
nasconde
,
non
resta
invisibile
,
non
resta
cioè
quasi
una
forma
del
sentimento
,
quasi
uno
specchio
in
cui
il
sentimento
si
rimira
;
ma
gli
si
pone
innanzi
,
da
giudice
;
lo
analizza
,
spassionandosene
;
ne
scompone
l
'
immagine
;
da
questa
analisi
però
,
da
questa
scomposizione
,
un
altro
sentimento
sorge
o
spira
:
quello
che
potrebbe
chiamarsi
,
e
che
io
difatti
chiamo
il
sentimento
del
contrario
.
Vedo
una
vecchia
signora
,
coi
capelli
ritinti
,
tutti
unti
non
si
sa
di
quale
orribile
manteca
,
e
poi
tutta
goffamente
imbellettata
e
parata
d
'
abiti
giovanili
.
Mi
metto
a
ridere
.
Avverto
che
quella
vecchia
signora
è
il
contrario
di
ciò
che
una
vecchia
rispettabile
signora
dovrebbe
essere
.
Posso
così
,
a
prima
giunta
e
superficialmente
,
arrestarmi
a
questa
impressione
comica
.
Il
comico
è
appunto
un
avvertimento
del
contrario
.
Ma
se
ora
interviene
in
me
la
riflessione
,
e
mi
suggerisce
che
quella
vecchia
signora
non
prova
forse
nessun
piacere
a
pararsi
così
come
un
pappagallo
,
ma
che
forse
ne
soffre
e
lo
fa
soltanto
perché
pietosamente
s
'
inganna
che
,
parata
così
,
nascondendo
così
le
rughe
e
la
canizie
,
riesca
a
trattenere
a
sé
l
'
amore
del
marito
molto
più
giovane
di
lei
,
ecco
che
io
non
posso
più
riderne
come
prima
,
perché
appunto
la
riflessione
,
lavorando
in
me
,
mi
ha
fatto
andar
oltre
a
quel
primo
avvertimento
,
o
piuttosto
,
più
addentro
:
da
quel
primo
avvertimento
del
contrario
mi
ha
fatto
passare
a
questo
sentimento
del
contrario
.
Ed
è
tutta
qui
la
differenza
tra
il
comico
e
l
'
umoristico
.
Signore
,
signore
!
oh
!
signore
,
forse
,
come
gli
altri
,
voi
stimate
ridicolo
tutto
questo
;
forse
vi
annojo
raccontandovi
questi
stupidi
e
miserabili
particolari
della
mia
vita
domestica
:
ma
per
me
non
è
ridicolo
,
perché
io
sento
tutto
ciò
...
Così
grida
Marmeladoff
nell
'
osteria
,
in
Delitto
e
Castigo
del
Dostojevski
,
a
Raskolnikoff
tra
le
risate
degli
avventori
ubriachi
.
E
questo
grido
è
appunto
la
protesta
dolorosa
ed
esasperata
d
'
un
personaggio
umoristico
contro
chi
,
di
fronte
a
lui
,
si
ferma
a
un
primo
avvertimento
superficiale
e
non
riesce
a
vederne
altro
che
la
comicità
.
Ed
ecco
qua
un
terzo
esempio
,
che
per
la
sua
lampante
chiarezza
,
si
potrebbe
dir
tipico
.
Un
poeta
,
il
Giusti
,
entra
un
giorno
nella
chiesa
di
Sant
'
Ambrogio
a
Milano
,
e
vi
trova
un
pieno
di
soldati
,
Di
que
'
soldati
settentrionali
,
Come
sarebbe
boemi
e
croati
,
Messi
qui
nella
vigna
a
far
da
pali
...
Il
suo
primo
sentimento
è
d
'
odio
:
quei
soldatacci
ispidi
e
duri
son
lì
a
ricordargli
la
patria
schiava
.
Ma
ecco
levarsi
nel
tempio
il
suono
dell
'
organo
:
poi
quel
cantico
tedesco
lento
lento
,
D
'
un
suono
grave
,
flebile
,
solenne
che
è
preghiera
e
pare
lamento
.
Ebbene
,
questo
suono
determina
a
un
tratto
una
disposizione
insolita
nel
poeta
,
avvezzo
a
usare
il
flagello
della
satira
politica
e
civile
:
determina
in
lui
la
disposizione
propriamente
umoristica
:
cioè
,
lo
dispone
a
quella
particolar
riflessione
che
,
spassionandosi
del
primo
sentimento
,
dell
'
odio
suscitato
dalla
vista
di
quei
soldati
;
genera
appunto
il
sentimento
del
contrario
.
Il
poeta
ha
sentito
nell
'
inno
la
dolcezza
amara
Dei
canti
uditi
da
fanciullo
:
il
core
,
Che
da
voce
domestica
gl
'
impara
,
Ce
li
ripete
i
giorni
del
dolore
.
Un
pensier
mesto
della
madre
cara
,
Un
desiderio
di
pace
e
d
'
amore
,
Uno
sgomento
di
lontano
esilio
...
E
riflette
che
quei
soldati
,
strappati
ai
loro
tetti
da
un
re
pauroso
,
A
dura
vita
,
a
dura
disciplina
,
Muti
,
derisi
,
solitari
stanno
,
Strumenti
ciechi
d
'
occhiuta
rapina
,
Che
lor
non
tocca
e
che
forse
non
sanno
.
Ed
ecco
il
contrario
dell
'
odio
di
prima
:
Povera
gente
!
lontana
da
'
suoi
,
In
un
paese
qui
che
le
vuol
male
...
Il
poeta
è
costretto
a
fuggir
dalla
chiesa
perché
Qui
,
se
non
fuggo
,
abbraccio
un
caporale
,
Colla
su
'
brava
mazza
di
nocciuolo
Duro
e
piantato
li
come
un
piuolo
.
Notando
questo
,
avvertendo
cioè
questo
sentimento
del
contrario
che
nasce
da
una
speciale
attività
della
riflessione
,
io
non
esco
affatto
dal
campo
della
critica
estetica
e
psicologica
.
L
'
analisi
psicologica
di
questa
poesia
è
il
necessario
fondamento
della
valutazione
estetica
di
essa
.
Io
non
posso
intenderne
la
bellezza
,
se
non
intendo
il
processo
psicologico
da
cui
risulta
la
perfetta
riproduzione
di
quello
stato
d
'
animo
che
il
poeta
voleva
suscitare
,
nella
quale
consiste
appunto
la
bellezza
estetica
.
Vediamo
ora
un
esempio
più
complesso
,
nel
quale
la
speciale
attività
della
riflessione
non
si
scopre
casi
a
prima
giunta
;
prendiamo
un
libro
di
cui
abbiamo
già
discorso
:
il
Don
Quijote
del
Cervantes
.
Vogliamo
giudicarne
il
valore
estetico
.
Che
faremo
?
Dopo
la
prima
lettura
e
la
prima
impressione
che
ne
avremo
ricevuto
,
terremo
conto
anche
qui
dello
stato
d
'
animo
che
l
'
autore
ha
voluto
suscitare
.
Qual
è
questo
stato
d
'
animo
?
Noi
vorremmo
ridere
di
tutto
quanto
c
'
è
di
comico
nella
rappresentazione
di
questo
povero
alienato
che
maschera
della
sua
follia
sé
stesso
e
gli
altri
e
tutte
le
cose
;
vorremmo
ridere
,
ma
il
riso
non
ci
viene
alle
labbra
schietto
e
facile
;
sentiamo
che
qualcosa
ce
lo
turba
e
ce
l
'
ostacola
;
è
un
senso
di
commiserazione
,
di
pena
e
anche
d
'
ammirazione
,
si
,
perché
se
le
eroiche
avventure
di
questo
povero
hidalgo
sono
ridicolissime
,
pur
non
v
'
ha
dubbio
che
egli
nella
sua
ridicolaggine
è
veramente
eroico
.
Noi
abbiamo
una
rappresentazione
comica
,
ma
spira
da
questa
un
sentimento
che
ci
impedisce
di
ridere
o
ci
turba
il
riso
della
comicità
rappresentata
;
ce
lo
rende
amaro
.
Attraverso
il
comico
stesso
,
abbiamo
anche
qui
il
sentimento
del
contrario
.
L
'
autore
l
'
ha
destato
in
noi
perché
s
'
è
destato
in
lui
,
e
noi
ne
abbiamo
già
veduto
le
ragioni
.
Ebbene
,
perché
non
si
scopre
qui
la
speciale
attività
della
riflessione
?
Ma
perché
essa
frutto
della
tristissima
esperienza
della
vita
,
esperienza
che
ha
determinato
la
disposizione
umoristica
nel
poeta
s
i
era
già
esercitata
sul
sentimento
di
lui
,
su
quel
sentimento
che
lo
aveva
armato
cavaliere
della
fede
a
Lepanto
.
Spassionandosi
di
questo
sentimento
e
ponendovisi
contro
,
da
giudice
,
nella
oscura
carcere
della
Mancha
,
ed
analizzandolo
con
amara
freddezza
,
la
riflessione
aveva
già
destato
nel
poeta
il
sentimento
del
contrario
,
e
frutto
di
esso
è
appunto
il
Don
Quijote
:
è
questo
,
sentimento
del
contrario
oggettivato
.
Il
poeta
non
ha
rappresentato
la
causa
del
processo
come
il
Giusti
nella
sua
poesia
ne
ha
rappresentato
soltanto
l
'
effetto
,
e
però
il
sentimento
del
contrario
spira
attraverso
la
comicità
della
rappresentazione
;
questa
comicità
è
frutto
del
sentimento
del
contrario
generato
nel
poeta
dalla
speciale
attività
della
riflessione
sul
primo
sentimento
tenuto
nascosto
.
Ora
,
che
bisogno
ho
io
d
'
assegnare
un
qualsiasi
valore
etico
a
questo
sentimento
del
contrario
,
come
fa
Theodor
Lipps
nel
suo
libro
Komik
und
Humor
?
Cioè
intendiamoci
bene
al
Lipps
veramente
non
si
affaccia
mai
questo
sentimento
del
contrario
.
Egli
,
da
un
canto
,
non
vede
che
una
specie
di
meccanismo
così
del
comico
come
dell
'
umore
:
quello
stesso
che
il
Croce
nella
sua
Estetica
cita
come
un
esempio
di
spiegazione
accettabile
di
siffatti
concetti
:
Posto
l
'
organismo
nella
situazione
a
,
sopravvenendo
la
circostanza
b
,
si
ha
il
fatto
c
.
E
,
dall
'
altro
canto
,
s
'
impaccia
di
continuo
di
valori
etici
,
poiché
per
lui
ogni
godimento
artistico
ed
estetico
in
genere
è
godimento
di
qualcosa
che
ha
valore
etico
:
non
già
come
elemento
di
un
complesso
,
ma
come
oggetto
dell
'
intuizione
estetica
.
E
tira
continuamente
in
ballo
il
valore
etico
della
personalità
umana
,
e
parla
di
positivo
umano
e
di
negazione
di
esso
.
Egli
dice
:
Dass
durch
die
Negation
,
,
die
am
positiv
Menschlichen
geschieht
,
dies
positiv
Menschliche
uns
näher
gebracht
,
in
seinem
Wert
offenbarer
und
fühlbarer
gemacht
wird
,
darin
besteht
,
wie
wir
sahen
,
das
allgemeinste
Wesen
der
Tragik
.
Ebendarin
besteht
auch
das
allgemeinste
Wesen
des
Humors
.
Nur
dass
hier
die
Negation
anderer
Art
ist
als
dort
,
nämlich
komische
Negation
.
Ich
sagte
vom
Naivkomischen
,
dass
es
auf
dem
Wege
liege
von
der
Komik
zum
Humor
.
Dies
heisst
nicht
:
die
naive
Komik
ist
Humor
.
Vielmehr
ist
auchhier
die
Komik
als
solche
das
Gegenteil
des
Humors
.
Die
naive
Komik
entsteht
,
indem
das
vom
Standpunkte
der
naiven
Persönlichkeit
aus
Berechtigte
,
Gute
,
Kluge
von
unserem
Standpunkte
aus
im
gegenteiligen
Lichte
erscheint
.
Der
Humor
entsteht
umgekehrt
,
indem
jenes
relativ
Berechtigte
,
Gute
,
Kluge
aus
dem
Prozess
der
komischen
Vernichtung
wiederum
emportaucht
,
und
nun
erst
recht
in
seinem
Werte
einleuchtet
und
genossen
wird
.
E
poco
più
oltre
:
Der
eigentliche
Grund
und
Kern
des
Humors
ist
überall
und
jederzeit
das
relativ
Gute
,
Schöne
,
Vernünftige
,
das
auch
da
sich
findet
,
wo
es
nach
unseren
gewöhnlichen
Begriffen
nicht
vorhanden
,
ja
geflissentlich
negiert
erscheint
.
Dice
anche
:
in
der
Komik
nicht
nur
das
Komische
in
nichts
zergeht
,
sondern
auch
wir
in
gewisser
Weise
,
mit
unserer
Erwartung
,
unserem
Glauben
an
eine
Erhabenheit
oder
Grösse
,
den
Regeln
oder
Gewohnheiten
unserer
Denkens
u
.
s
.
w
.
"
zu
nichte
"
werden
.
Über
dieses
eigene
Zunichtewerden
erhebt
sich
der
Humor
.
Dieser
Humor
,
der
Humor
,
den
wir
angesichts
des
Komischen
haben
,
besteht
schliesslich
ebenso
wie
derjenige
,
den
der
Träger
des
bewusst
humoristischen
Geschehens
hat
,
in
der
Geistesfreiheit
,
der
Gewissheit
des
eigenen
Selbst
und
des
Vernünftigen
,
Guten
und
Erhabenen
in
der
Welt
,
die
bei
aller
objektiven
und
eigenen
Nichtigkeit
bestehen
bleibt
,
oder
eben
darin
zur
Geltung
kommt
.
Ma
è
poi
costretto
a
riconoscere
egli
stesso
che
nicht
jeder
Humor
diese
höchste
Stufe
erreicht
e
che
vi
ha
neben
dem
versöhnten
,
einen
entzweiten
Humor
.
Ma
che
bisogno
ho
io
,
ripeto
,
di
dare
un
qualsiasi
valore
etico
a
quello
che
ho
chiamato
il
sentimento
del
contrario
,
o
di
determinarlo
a
priori
in
alcun
modo
?
Esso
si
determinerà
da
sé
,
volta
per
volta
,
secondo
la
personalità
del
poeta
o
l
'
oggetto
della
rappresentazione
.
Che
importa
a
me
,
critico
estetico
,
di
sapere
in
chi
o
dove
stia
la
ragion
relativa
e
il
giusto
e
il
bene
?
Io
non
voglio
né
debbo
uscire
dal
campo
della
fantasia
pura
:
Io
mi
pongo
dinanzi
qualunque
rappresentazione
artistica
,
e
mi
propongo
soltanto
di
giudicarne
il
valore
estetico
.
Per
questo
giudizio
,
ho
bisogno
innanzi
tutto
di
sapere
lo
stato
d
'
animo
che
quella
rappresentazione
artistica
vuol
suscitare
:
lo
saprò
dall
'
impressione
che
ne
ho
ricevuto
.
Questo
stato
d
'
animo
,
ogni
qual
volta
mi
trovo
innanzi
a
una
rappresentazione
veramente
umoristica
,
è
di
perplessità
:
io
mi
sento
come
tenuto
tra
due
:
vorrei
ridere
,
rido
,
ma
il
riso
mi
è
turbato
e
ostacolato
da
qualcosa
che
spira
dalla
rappresentazione
stessa
.
Ne
cerco
la
ragione
.
Per
trovarla
,
non
ho
affatto
bisogno
di
sciogliere
l
'
espressione
fantastica
in
un
rapporto
etico
,
di
tirare
in
ballo
il
valore
etico
della
personalità
umana
e
via
dicendo
.
Trovo
questo
sentimento
del
contrario
,
qualunque
esso
sia
,
che
spira
in
tanti
modi
dalla
rappresentazione
stessa
,
costantemente
in
tutte
le
rappresentazioni
che
soglio
chiamare
umoristiche
.
Perché
limitarne
eticamente
la
causa
,
oppure
astrattamente
,
attribuendola
,
ad
esempio
,
al
disaccordo
che
il
sentimento
e
la
meditazione
scoprono
fra
la
vita
reale
e
l
'
ideale
umano
o
fra
le
nostre
aspirazioni
e
le
nostre
debolezze
e
miserie
?
Nascerà
anche
da
questo
,
come
da
tantissime
altre
cause
indeterminabili
a
priori
.
A
noi
preme
soltanto
accertare
che
questo
sentimento
del
contrario
nasce
,
e
che
nasce
da
una
speciale
attività
che
assume
nella
concezione
di
siffatte
opere
d
'
arte
la
riflessione
.
III
Teniamoci
a
questo
;
seguiamo
questa
attività
speciale
della
riflessione
,
e
vediamo
se
essa
non
ci
spiega
a
una
a
una
le
varie
caratteristiche
,
che
si
possono
riscontrare
in
ogni
opera
umoristica
.
Abbiamo
detto
che
,
ordinariamente
,
nella
concezione
d
'
un
'
opera
d
'
arte
,
la
riflessione
è
quasi
una
forma
del
sentimento
,
quasi
uno
specchio
in
cui
il
sentimento
si
rimira
.
Volendo
seguitar
quest
'
immagine
,
si
potrebbe
dire
che
,
nella
concezione
umoristica
,
la
riflessione
è
,
sì
,
come
uno
specchio
,
ma
d
'
acqua
diaccia
,
in
cui
la
fiamma
del
sentimento
non
si
rimira
soltanto
,
ma
si
tuffa
e
si
smorza
:
il
friggere
dell
'
acqua
è
il
riso
che
suscita
l
'
umorista
;
il
vapore
che
n
'
esala
è
la
fantasia
spesso
un
po
'
fumosa
dell
'
opera
umoristica
.
A
questo
mondo
c
'
è
giustizia
finalmente
!
grida
Renzo
,
il
promesso
sposo
,
appassionato
e
rivoltato
.
Tant
'
è
vero
che
un
uomo
sopraffatto
dal
dolore
non
sa
più
quel
che
si
dica
,
commenta
il
Manzoni
.
Ecco
la
fiamma
là
del
sentimento
,
che
si
tuffa
qua
e
si
smorza
nell
'
acqua
diaccia
della
riflessione
.
La
riflessione
,
assumendo
quella
sua
speciale
attività
,
viene
a
turbare
,
a
interrompere
il
movimento
spontaneo
che
organa
le
idee
e
le
immagini
in
una
forma
armoniosa
.
E
stato
tante
volte
notato
che
le
opere
umoristiche
sono
scomposte
,
interrotte
,
intramezzate
di
continue
digressioni
.
Anche
in
un
'
opera
così
armonica
nel
suo
complesso
come
I
Promessi
Sposi
,
è
stato
notato
qualche
difetto
di
composizione
,
una
soverchia
minuzia
qua
e
là
e
il
frequente
interrompersi
della
rappresentazione
o
per
richiami
al
famoso
Anonimo
o
per
l
'
arguta
intrusione
dell
'
autore
stesso
.
Questo
,
che
ai
critici
nostri
è
sembrato
un
eccesso
per
un
verso
,
un
difetto
per
l
'
altro
,
è
poi
la
caratteristica
più
evidente
di
tutti
i
libri
umoristici
.
Basta
citare
il
Tristram
Shandy
dello
Sterne
,
che
è
tutto
quanto
un
viluppo
di
variazioni
e
digressioni
,
non
ostante
che
l
'
autobiografo
si
proponga
di
narrar
tutto
ab
ovo
,
punto
per
punto
,
e
cominci
dall
'
alvo
di
sua
madre
e
dalla
pendola
che
il
signor
Shandy
padre
soleva
puntualmente
caricare
.
Ma
se
questa
caratteristica
è
stata
notata
,
non
se
ne
son
vedute
chiaramente
le
ragioni
.
Questa
scompostezza
,
queste
digressioni
,
queste
variazioni
non
derivano
già
dal
bizzarro
arbitrio
o
dal
capriccio
degli
scrittori
,
ma
sono
appunto
necessaria
e
inovviabile
conseguenza
del
turbamento
e
delle
interruzioni
del
movimento
organatore
delle
immagini
per
opera
della
riflessione
attiva
,
la
quale
suscita
un
'
associazione
per
contrarci
:
le
immagini
cioè
,
anziché
associate
per
similazione
o
per
contiguità
,
si
presentano
in
contrasto
:
ogni
immagine
,
ogni
gruppo
d
'
immagini
desta
e
richiama
le
contrarie
,
che
naturalmente
dividono
lo
spirito
,
il
quale
,
irrequieto
,
s
'
ostina
a
trovare
o
a
stabilir
tra
loro
le
relazioni
più
impensate
.
Ogni
vero
umorista
non
è
soltanto
poeta
,
è
anche
critico
,
ma
si
badi
-
un
critico
sui
generis
,
un
critico
fantastico
:
e
dico
fantastico
non
solamente
nel
senso
di
bizzarro
o
di
capriccioso
,
ma
anche
nel
senso
estetico
della
parola
,
quantunque
possa
sembrare
a
prima
giunta
una
contradizione
in
termini
.
Ma
è
proprio
così
;
e
però
ho
sempre
parlato
di
una
speciale
attività
della
riflessione
.
Questo
apparirà
chiaro
quando
si
pensi
che
se
,
indubbiamente
,
una
innata
o
ereditata
malinconia
,
le
tristi
vicende
,
un
'
amara
esperienza
della
vita
,
o
anche
un
pessimismo
o
uno
scetticismo
acquisito
con
lo
studio
e
con
la
considerazione
su
le
sorti
dell
'
umana
esistenza
,
sul
destino
degli
uomini
,
ecc
.
possono
determinare
quella
particolar
disposizione
d
'
animo
che
si
suol
chiamare
umoristica
,
questa
disposizione
poi
,
da
sola
,
non
basta
a
creare
un
'
opera
d
'
arte
.
Essa
non
è
altro
che
il
terreno
preparato
:
l
'
opera
d
'
arte
è
il
germe
che
cadrà
in
questo
terreno
,
e
sorgerà
,
e
si
svilupperà
nutrendosi
dell
'
umore
di
esso
,
togliendo
cioè
da
esso
condizione
e
qualità
.
Ma
la
nascita
e
lo
sviluppo
di
questa
pianta
debbono
essere
spontanei
.
Apposta
il
germe
non
cade
se
non
nel
terreno
preparato
a
riceverlo
,
ove
meglio
cioè
può
germogliare
.
La
creazione
dell
'
arte
è
spontanea
:
non
è
composizione
esteriore
,
per
addizione
d
'
elementi
di
cui
si
siano
studiati
i
rapporti
:
di
membra
sparse
non
si
compone
un
corpo
vivo
,
innestando
,
combinando
.
Un
'
opera
d
'
arte
,
in
somma
,
è
,
in
quanto
è
ingenua
;
non
può
essere
il
risultato
della
riflessione
cosciente
.
La
riflessione
,
dunque
,
di
cui
io
parlo
,
non
è
un
'
opposizione
del
cosciente
verso
lo
spontaneo
;
è
una
specie
di
projezione
della
stessa
attività
fantastica
:
nasce
dal
fantasma
,
come
l
'
ombra
dal
corpo
;
ha
tutti
i
caratteri
della
ingenuità
o
natività
spontanea
;
è
nel
germe
stesso
della
creazione
,
e
spira
in
fatti
da
essa
ciò
che
ho
chiamato
il
sentimento
del
contrario
.
Ben
per
questo
ho
soggiunto
che
l
'
umorismo
potrebbe
dirsi
un
fenomeno
di
sdoppiamento
nell
'
atto
della
concezione
.
La
concezione
dell
'
opera
d
'
arte
non
è
altro
,
in
fondo
,
che
una
forma
dell
'
organamento
delle
immagini
.
L
'
idea
dell
'
artista
non
è
un
'
idea
astratta
;
è
un
sentimento
,
che
divien
centro
della
vita
interiore
,
si
impadronisce
dello
spirito
,
l
'
agita
e
,
agitandolo
,
tende
a
crearsi
un
corpo
d
'
immagini
.
Quando
un
sentimento
scuote
violentemente
lo
spirito
,
d
'
ordinario
,
si
svegliano
tutte
le
idee
,
tutte
le
immagini
che
son
con
esso
in
accordo
:
qui
,
invece
,
per
la
riflessione
inserta
nel
germe
del
sentimento
,
come
un
vischio
maligno
,
si
sveglian
le
idee
e
le
immagini
in
contrasto
.
E
la
condizione
,
è
la
qualità
che
prende
il
germe
,
cadendo
nel
terreno
che
abbiamo
più
su
descritto
:
gli
s
'
inserisce
il
vischio
della
riflessione
;
e
la
pianta
sorge
e
si
veste
d
'
un
verde
estraneo
e
pur
con
essa
connaturato
.
A
questo
punto
si
fa
avanti
il
Croce
con
tutta
la
forza
della
sua
logica
raccolta
in
un
cosicché
,
per
inferire
da
quanto
ho
detto
più
su
,
ch
'
io
contrappongo
arte
e
umorismo
.
E
si
domanda
:
Vuol
egli
dire
che
l
'
umorismo
non
è
arte
,
o
che
esso
è
più
che
arte
?
E
,
in
questo
caso
,
che
cosa
è
mai
?
Riflessione
sull
'
arte
,
e
cioè
critica
d
'
arte
?
Riflessione
sulla
vita
,
e
cioè
filosofia
della
vita
?
O
una
forma
sui
generis
dello
spirito
,
che
i
filosofi
,
finora
,
non
hanno
conosciuta
?
Il
P
.
,
se
l
'
ha
scoperta
lui
,
avrebbe
dovuto
,
a
ogni
modo
,
dimostrarla
,
assegnarle
un
posto
,
dedurla
e
farne
intendere
la
connessione
con
le
altre
forme
dello
spirito
.
Il
che
non
ha
fatto
,
limitandosi
ad
affermare
che
l
'
umorismo
è
l
'
opposto
dell
'
arte
.
Io
mi
guardo
attorno
sbalordito
.
Ma
dove
,
ma
quando
mai
ho
affermato
questo
?
Qui
sta
tra
due
:
o
io
non
so
scrivere
,
o
il
Croce
non
sa
leggere
.
Come
c
'
entra
la
riflessione
sull
'
arte
che
è
critica
d
'
arte
,
e
la
riflessione
sulla
vita
che
è
filosofia
della
vita
?
Io
ho
detto
che
ordinariamente
,
in
generale
,
nella
concezione
d
'
un
'
opera
d
'
arte
,
cioè
mentre
uno
scrittore
la
concepisce
,
la
riflessione
ha
un
ufficio
che
ho
cercato
di
determinare
,
per
poi
venire
a
determinare
quale
speciale
attività
essa
assuma
,
non
già
sull
'
opera
d
'
arte
,
ma
in
quella
speciale
opera
d
'
arte
che
si
chiama
umoristica
.
Ebbene
,
perciò
l
'
umorismo
non
è
arte
,
o
è
più
che
arte
?
Chi
lo
dice
?
Lo
dice
lui
,
il
Croce
,
perché
vuol
dirlo
,
non
perché
io
non
mi
sia
espresso
chiaramente
,
dimostrando
.
che
è
arte
con
questo
particolar
carattere
,
e
chiarendo
da
che
cosa
le
provenga
,
cioè
da
questa
speciale
attività
della
riflessione
,
la
quale
scompone
l
'
immagine
creata
da
un
primo
sentimento
per
far
sorgere
da
questa
scomposizione
e
presentarne
un
altro
contrario
,
come
appunto
s
'
è
veduto
dagli
esempii
recati
e
da
tutti
gli
altri
che
avrei
potuto
recare
,
esaminando
a
una
a
una
le
più
celebrate
opere
umoristiche
.
Non
vorrei
ammettere
un
'
ipotesi
quanto
mai
ingiuriosa
per
il
Croce
,
che
cioè
egli
creda
che
un
'
opera
d
'
arte
si
componga
come
un
qualunque
pasticcio
con
tanto
d
'
uova
,
tanto
di
farina
,
tanto
di
questo
o
di
quell
'
altro
ingrediente
,
che
si
potrebbe
anche
mettere
o
lasciar
fuori
.
Ma
pur
troppo
mi
vedo
costretto
da
lui
stesso
ad
ammettere
una
siffatta
ipotesi
,
quand
'
egli
per
farmi
toccare
con
mano
che
l
'
umorismo
come
arte
non
si
può
distinguere
dalla
restante
arte
pone
questi
due
casi
circa
alla
riflessione
,
di
cui
io
secondo
lui
vorrei
fare
carattere
distintivo
dell
'
arte
umoristica
,
quasi
che
fosse
lo
stesso
dire
così
,
in
generale
,
la
riflessione
e
parlare
com
'
io
faccio
,
d
'
una
speciale
attività
della
riflessione
,
più
come
processo
intimo
,
immancabile
nell
'
atto
della
concezione
e
della
creazione
di
tali
opere
,
che
come
carattere
distintivo
che
per
forza
debba
mostrarsi
.
Ma
lasciamo
andare
.
Pone
,
dicevo
,
questi
due
casi
:
che
cioè
,
la
riflessione
o
entra
come
componente
nella
materia
dell
'
opera
dell
'
arte
e
,
in
questo
caso
,
tra
l
'
umorismo
e
la
commedia
(
o
la
tragedia
o
la
lirica
,
e
via
dicendo
)
,
non
vi
ha
differenza
alcuna
,
giacché
in
tutte
le
opere
d
'
arte
entra
,
o
può
entrare
,
il
pensiero
e
la
riflessione
;
ovvero
rimane
estrinseca
all
'
opera
d
'
arte
,
e
allora
si
avrà
critica
e
non
mai
arte
,
e
neppure
arte
umoristica
.
È
chiaro
.
Il
pasticcio
!
Recipe
:
tanto
di
fantasia
,
tanto
di
sentimento
,
tanto
di
riflessione
;
impasta
e
avrai
una
qualunque
opera
d
'
arte
,
perché
nella
composizione
di
una
qualunque
opera
d
'
arte
possono
entrare
tutti
quegli
ingredienti
,
e
anche
altri
.
Ma
domando
io
:
come
c
'
entra
questo
pasticcio
,
questa
composizione
d
'
elementi
come
materia
dell
'
opera
d
'
arte
,
qualunque
e
comunque
sia
,
con
quello
che
io
ho
detto
più
su
e
che
ho
fatto
vedere
,
punto
per
punto
,
parlando
per
esempio
del
Sant
'
Ambrogio
del
Giusti
,
quando
ho
mostrato
come
la
riflessione
,
inserendosi
come
un
vischio
nel
primo
sentimento
del
poeta
,
che
è
d
'
odio
verso
quei
soldatacci
stranieri
,
generò
a
poco
a
poco
il
contrario
del
sentimento
di
prima
?
E
forse
perché
questa
riflessione
,
sempre
vigile
e
specchiante
in
ogni
artista
durante
la
creazione
,
non
segue
qua
il
primo
sentimento
,
ma
a
un
certo
punto
gli
s
'
oppone
,
diventa
perciò
estrinseca
all
'
opera
d
'
arte
,
diventa
perciò
critica
?
Io
parlo
d
'
una
attività
intrinseca
della
riflessione
,
e
non
della
riflessione
come
materia
componente
dell
'
opera
d
'
arte
.
È
chiaro
!
E
non
è
credibile
che
il
Croce
non
l
'
intenda
.
Non
vuole
intenderlo
.
E
ne
è
prova
quel
suo
voler
far
credere
che
siano
imprecise
le
mie
distinzioni
e
che
io
le
ripeta
e
le
modifichi
e
le
temperi
di
continuo
e
che
,
quando
altro
non
sappia
,
ricorra
alle
immagini
;
mentre
invece
negli
esempii
ch
'
egli
cita
di
queste
mie
pretese
ripetizioni
e
modificazioni
e
soccorrevoli
immagini
,
sfido
chiunque
a
scoprire
il
minimo
disaccordo
,
la
minima
modificazione
,
il
minimo
temperamento
della
prima
asserzione
,
e
non
piuttosto
una
più
chiara
spiegazione
,
una
più
precisa
immagine
;
sfido
chiunque
a
riconoscere
con
lui
il
mio
imbarazzo
,
poiché
i
concetti
,
a
suo
dire
,
mi
si
sformano
tra
mano
quando
li
prendo
per
porgerli
altrui
.
Tutto
questo
è
veramente
pietoso
.
Ma
tanto
può
sul
Croce
ciò
che
una
volta
egli
s
'
è
lasciato
dire
:
che
cioè
dell
'
umorismo
non
si
debba
,
né
si
possa
parlare
.
Andiamo
avanti
.
IV
Per
spiegarci
la
ragione
del
contrasto
tra
la
riflessione
e
il
sentimento
,
dobbiamo
penetrar
nel
terreno
in
cui
il
germe
cade
,
voglio
dire
nello
spirito
dello
scrittore
umorista
.
Che
se
la
disposizione
umoristica
per
sé
sola
non
basta
,
perché
ci
vuole
il
germe
della
creazione
,
questo
germe
poi
si
nutre
dell
'
umore
che
trova
.
Lo
stesso
Lipps
che
vede
tre
modi
d
'
essere
dell
'
umore
,
cioè
:
a
)
l
'
umore
,
come
disposizione
,
o
modo
di
considerar
le
cose
;
b
)
l
'
umore
,
come
rappresentazione
;
c
)
l
'
umore
obiettivo
;
conclude
poi
che
in
verità
l
'
umore
è
soltanto
in
chi
lo
ha
:
soggettivismo
e
oggettivismo
non
sono
altro
che
un
diverso
atteggiamento
dello
spirito
nell
'
atto
della
rappresentazione
.
La
rappresentazione
cioè
dell
'
umore
,
che
è
sempre
in
chi
lo
ha
,
può
essere
atteggiata
in
due
modi
:
subiettivamente
od
obiettivamente
.
Quei
tre
modi
d
'
essere
si
presentano
al
Lipps
perché
egli
limita
e
determina
eticamente
la
ragione
dell
'
umorismo
,
il
quale
è
per
lui
,
come
abbiamo
già
veduto
,
superamento
del
comico
attraverso
il
comico
stesso
.
Sappiamo
che
cosa
egli
intenda
per
superamento
.
Io
,
secondo
lui
,
ho
umore
,
quando
:
ich
selbst
bin
der
Erhabene
,
der
sich
Behauptende
,
der
Träger
des
Vernünftigen
oder
Sittlichen
.
Als
dieser
Erhabene
,
oder
im
Lichte
dieses
Erhabenen
betrachte
ich
die
Welt
.
Ich
finde
in
ihr
Komisches
und
gehe
betrachtend
in
die
Komik
ein
.
Ich
gewinne
aber
schliesslich
mich
selbst
,
oder
das
Erhabene
in
mir
,
erhöht
,
befestigt
,
gesteigert
wieder
.
Ora
questa
per
noi
è
una
considerazione
assolutamente
estranea
,
prima
di
tutto
,
e
poi
anche
unilaterale
.
Togliendo
alla
formula
il
valore
etico
,
l
'
umorismo
poi
con
essa
riman
considerato
,
se
mai
,
nel
suo
effetto
,
non
nella
causa
.
Per
noi
tanto
il
comico
quanto
il
suo
contrario
,
sono
nella
disposizione
d
'
animo
stessa
ed
insiti
nel
processo
che
ne
risulta
.
Nella
sua
anormalità
,
non
può
esser
che
amaramente
comica
la
condizione
d
'
un
uomo
che
si
trova
ad
esser
sempre
quasi
fuori
di
chiave
,
ad
essere
a
un
tempo
violino
e
contrabbasso
;
d
'
un
uomo
a
cui
un
pensiero
non
può
nascere
,
che
subito
non
gliene
nasca
un
altro
opposto
,
contrario
;
a
cui
per
una
ragione
ch
'
egli
abbia
di
dir
sì
,
subito
un
'
altra
e
due
e
tre
non
ne
sorgano
che
lo
costringono
a
dir
no
;
e
tra
il
sì
e
il
no
lo
tengan
sospeso
,
perplesso
,
per
tutta
la
vita
;
d
'
un
uomo
che
non
può
abbandonarsi
a
un
sentimento
,
senza
avvertir
subito
qualcosa
dentro
che
gli
fa
una
smorfia
e
lo
turba
e
lo
sconcerta
e
lo
indispettisce
.
Questo
stesso
contrasto
,
che
è
nella
disposizione
dell
'
animo
,
si
scorge
nelle
cose
e
passa
nella
rappresentazione
.
È
una
speciale
fisionomia
psichica
,
a
cui
è
assolutamente
arbitrario
attribuire
una
causa
determinante
;
può
esser
frutto
d
'
una
esperienza
amara
della
vita
e
degli
uomini
,
d
'
una
esperienza
che
se
,
da
un
canto
,
non
permette
più
al
sentimento
ingenuo
di
metter
le
ali
e
di
levarsi
come
un
'
allodola
perché
lanci
un
trillo
nel
sole
,
senza
ch
'
essa
la
trattenga
per
la
coda
nell
'
atto
di
spiccare
il
volo
,
dall
'
altro
induce
a
riflettere
che
la
tristizia
degli
uomini
si
deve
spesso
alla
tristezza
della
vita
,
ai
mali
di
cui
essa
è
piena
e
che
non
tutti
sanno
o
possono
sopportare
;
induce
a
riflettere
che
la
vita
,
non
avendo
fatalmente
per
la
ragione
umana
un
fine
chiaro
e
determinato
,
bisogna
che
,
per
non
brancolar
nel
vuoto
,
ne
abbia
uno
particolare
,
fittizio
,
illusorio
,
per
ciascun
uomo
,
o
basso
o
alto
;
poco
importa
,
giacché
non
è
,
né
può
essere
il
fine
vero
,
che
tutti
cercano
affannosamente
e
nessuno
trova
,
forse
perché
non
esiste
.
Quel
che
importa
è
che
si
dia
importanza
a
qualche
cosa
,
e
sia
pur
vana
:
varrà
quanto
un
'
altra
stimata
seria
,
perché
in
fondo
né
l
'
una
né
l
'
altra
daranno
soddisfazione
:
tanto
è
vero
che
durerà
sempre
ardentissima
la
sete
di
sapere
,
non
si
estinguerà
mai
la
facoltà
di
desiderare
,
e
non
è
detto
pur
troppo
che
nel
progresso
consista
la
felicità
degli
uomini
.
Tutte
le
finzioni
dell
'
anima
,
tutte
le
creazioni
del
sentimento
vedremo
esser
materia
dell
'
umorismo
,
vedremo
cioè
la
riflessione
diventar
come
un
demonietto
che
smonta
il
congegno
d
'
ogni
immagine
,
d
'
ogni
fantasma
messo
su
dal
sentimento
;
smontarlo
per
veder
com
'
è
fatto
;
scaricarne
la
molla
,
e
tutto
il
congegno
striderne
,
convulso
.
Può
darsi
che
questo
faccia
talvolta
con
quella
simpatica
indulgenza
di
cui
parlan
coloro
che
vedono
soltanto
un
umorismo
bonario
.
Ma
non
c
'
è
da
fidarsene
,
perché
se
la
disposizione
umoristica
ha
talvolta
questo
di
particolare
,
cioè
questa
indulgenza
,
questo
compatimento
o
anche
questa
pietà
,
bisogna
pensare
che
esse
son
frutto
della
riflessione
che
si
è
esercitata
sul
sentimento
opposto
;
sono
un
sentimento
del
contrario
nato
dalla
riflessione
su
quei
casi
,
su
quei
sentimenti
,
su
quegli
uomini
,
che
provocano
nello
stesso
tempo
lo
sdegno
,
il
dispetto
,
l
'
irrisione
dell
'
umorista
,
il
quale
è
tanto
sincero
in
questo
dispetto
,
in
questa
irrisione
,
in
questo
sdegno
,
quanto
in
quell
'
indulgenza
,
in
quel
compatimento
,
in
quella
pietà
.
Se
così
non
fosse
,
si
avrebbe
non
più
l
'
umorismo
vero
e
proprio
,
ma
l
'
ironia
,
che
deriva
come
abbiamo
veduto
da
una
contradizione
soltanto
verbale
,
da
un
infingimento
retorico
,
affatto
contrario
alla
natura
dello
schietto
umorismo
.
Ogni
sentimento
,
ogni
pensiero
,
ogni
moto
che
sorga
nell
'
umorista
si
sdoppia
subito
nel
suo
contrario
:
ogni
sì
in
un
no
,
che
viene
in
fine
ad
assumere
lo
stesso
valore
del
sì
.
Magari
può
fingere
talvolta
l
'
umorista
di
tenere
soltanto
da
una
parte
:
dentro
intanto
gli
parla
l
'
altro
sentimento
che
pare
non
abbia
il
coraggio
di
rivelarsi
in
prima
;
gli
parla
e
comincia
a
muovere
ora
una
timida
scusa
,
ora
un
'
attenuante
,
che
smorzano
il
calore
del
primo
sentimento
,
ora
un
'
arguta
riflessione
che
ne
smonta
la
serietà
e
induce
a
ridere
.
Così
avviene
che
noi
dovremmo
tutti
provar
disprezzo
e
indignazione
per
don
Abbondio
,
per
esempio
,
e
stimar
ridicolissimo
e
spesso
un
matto
da
legare
Don
Quijote
;
eppure
siamo
indotti
al
compatimento
,
finanche
alla
simpatia
per
quello
,
e
ad
ammirare
con
infinita
tenerezza
le
ridicolaggini
di
questo
,
nobilitate
da
un
ideale
così
alto
e
puro
.
Dove
sta
il
sentimento
del
poeta
?
Nel
disprezzo
o
nel
compatimento
per
don
Abbondio
?
Il
Manzoni
ha
un
ideale
astratto
,
nobilissimo
della
missione
del
sacerdote
su
la
terra
,
e
incarna
questo
ideale
in
Federigo
Borromeo
.
Ma
ecco
la
riflessione
,
frutto
della
disposizione
umoristica
,
suggerire
al
poeta
che
questo
ideale
astratto
soltanto
per
una
rarissima
eccezione
può
incarnarsi
e
che
le
debolezze
umane
sono
pur
tante
.
Se
il
Manzoni
avesse
ascoltato
solamente
la
voce
di
quell
'
ideale
astratto
,
avrebbe
rappresentato
don
Abbondio
in
modo
che
tutti
avrebbero
dovuto
provar
per
lui
odio
e
disprezzo
,
ma
egli
ascolta
entro
di
sé
anche
la
voce
delle
debolezze
umane
.
Per
la
naturale
disposizione
dello
spirito
,
per
l
'
esperienza
della
vita
,
che
gliel
'
ha
determinata
,
il
Manzoni
non
può
non
sdoppiare
in
germe
la
concezione
di
quell
'
idealità
religiosa
,
sacerdotale
:
e
tra
le
due
fiamme
accese
di
Fra
Cristoforo
e
del
Cardinal
Federigo
vede
,
terra
terra
,
guardinga
e
mogia
,
allungarsi
l
'
ombra
di
don
Abbondio
.
E
si
compiace
a
un
certo
punto
di
porre
a
fronte
,
in
contrasto
,
il
sentimento
attivo
,
positivo
,
e
la
riflessione
negativa
;
la
fiaccola
accesa
del
sentimento
e
l
'
acqua
diaccia
della
riflessione
;
la
predicazione
alata
,
astratta
,
dell
'
altruismo
,
per
veder
come
sì
smorzi
nelle
ragioni
pedestri
e
concrete
dell
'
egoismo
.
Federigo
Borromeo
domanda
a
don
Abbondio
:
E
quando
vi
siete
presentato
alla
Chiesa
per
addossarvi
codesto
ministero
,
v
'
ha
essa
fatto
sicurtà
della
vita
?
V
'
ha
detto
che
i
doveri
annessi
al
ministero
fossero
liberi
da
ogni
ostacolo
,
immuni
da
ogni
pericolo
?
O
v
'
ha
detto
forse
che
dove
cominciasse
il
pericolo
,
ivi
cesserebbe
il
dovere
?
O
non
v
'
ha
espressamente
detto
il
contrario
?
Non
v
'
ha
avvertito
che
vi
mandava
come
un
agnello
tra
i
lupi
?
Non
sapevate
voi
che
c
'
eran
de
'
violenti
,
a
cui
potrebbe
dispiacere
ciò
che
a
voi
sarebbe
comandato
?
Quello
da
Cui
abbiam
la
dottrina
e
l
'
esempio
,
ad
imitazione
di
Cui
ci
lasciam
nominare
e
ci
nominiamo
pastori
,
venendo
in
terra
a
esercitarne
l
'
uffizio
,
mise
forse
per
condizione
d
'
aver
salva
la
vita
?
E
per
salvarla
,
per
conservarla
,
dico
,
qualche
giorno
di
più
sulla
terra
,
a
spese
della
carità
e
del
dovere
,
c
'
era
bisogno
dell
'
unzione
santa
,
della
imposizion
delle
mani
,
della
grazia
del
sacerdozio
?
Basta
il
mondo
a
dar
questa
virtù
,
a
insegnar
questa
dottrina
.
Che
dico
?
oh
vergogna
!
il
mondo
stesso
la
rifiuta
:
il
mondo
fa
anch
'
esso
le
sue
leggi
,
che
prescrivono
il
male
come
il
bene
;
ha
il
suo
vangelo
anch
'
esso
,
un
vangelo
di
superbia
e
d
'
odio
;
e
non
vuol
che
si
dica
che
l
'
amore
della
vita
sia
una
ragione
per
trasgredire
i
comandamenti
.
Non
lo
vuole
ed
è
ubbidito
!
E
noi
!
noi
figli
e
annunziatori
della
promessa
!
Che
sarebbe
la
Chiesa
se
codesto
vostro
linguaggio
fosse
quello
di
tuttii
vostri
confratelli
?
Dove
sarebbe
,
se
fosse
comparsa
nel
mondo
con
codeste
dottrine
?
.
Don
Abbondio
ascolta
questa
lunga
e
animosa
predica
a
capo
basso
.
Il
Manzoni
dice
che
lo
spirito
di
lui
si
trovava
tra
quegli
argomenti
,
come
un
pulcino
negli
artigli
del
falco
,
che
lo
tengono
sollevato
in
una
regione
sconosciuta
,
in
un
'
aria
che
non
ha
mai
respirata
.
Il
paragone
è
bello
,
quantunque
a
qualcuno
l
'
idea
di
rapacità
e
di
fierezza
che
è
nel
falco
sia
sembrata
poco
conveniente
al
Cardinal
Federigo
.
L
'
errore
,
secondo
me
,
non
è
tanto
nella
maggiore
o
minor
convenienza
del
paragone
,
quanto
nel
paragone
stesso
,
per
amore
del
quale
il
Manzoni
,
volendo
rifar
la
tavoletta
d
'
Esiodo
,
s
'
è
forse
lasciato
andare
a
dir
quello
che
non
doveva
.
Si
trovava
don
Abbondio
veramente
sollevato
in
una
regione
sconosciuta
tra
quegli
argomenti
del
Cardinal
Borromeo
?
Ma
il
paragone
dell
'
agnello
tra
i
lupi
si
legge
nel
Vangelo
di
Luca
,
dove
Cristo
dice
appunto
agli
apostoli
:
Ecco
,
io
mando
voi
come
agnelli
tra
i
lupi
.
E
chi
sa
quante
volte
dunque
don
Abbondio
lo
aveva
letto
;
come
in
altri
libri
chi
sa
quante
volte
aveva
letto
quegli
ammonimenti
austeri
;
quelle
considerazioni
elevate
.
E
diciamo
di
più
:
forse
lo
stesso
don
Abbondio
,
in
astratto
,
parlando
,
predicando
della
missione
del
sacerdote
,
avrebbe
detto
su
per
giù
le
stesse
cose
.
Tanto
vero
che
,
in
astratto
,
egli
le
intende
benissimo
:
Monsignore
illustrissimo
,
avrò
torto
,
risponde
infatti
;
ma
s
'
affretta
a
soggiungere
:
Quando
la
vita
non
si
deve
contare
,
non
so
cosa
mi
dire
.
E
allorché
il
Cardinale
insiste
:
E
non
sapete
voi
che
il
soffrire
per
la
giustizia
è
il
nostro
vincere
?
E
se
non
sapete
questo
,
che
cosa
predicate
?
di
che
siete
maestro
?
qual
è
la
buona
nuova
che
annunziate
ai
poveri
?
Chi
pretende
da
voi
che
vinciate
la
forza
con
la
forza
?
Certo
non
vi
sarà
domandato
,
un
giorno
,
se
abbiate
saputo
fare
stare
a
dovere
i
potenti
;
ché
a
questo
non
vi
fu
dato
né
missione
,
né
modo
.
Ma
vi
sarà
ben
domandato
se
avrete
adoprati
i
mezzi
ch
'
erano
in
vostra
mano
per
far
ciò
che
v
'
era
prescritto
,
anche
quando
avessero
la
temerità
di
proibirvelo
.
Anche
questi
santi
son
curiosi
,
pensa
don
Abbondio
:
in
sostanza
,
a
spremerne
il
sugo
,
gli
stanno
più
a
cuore
gli
amori
di
due
giovani
,
che
la
vita
d
'
un
povero
sacerdote
.
E
poiché
il
cardinale
è
rimasto
in
atto
di
chi
aspetti
una
risposta
,
risponde
:
Torno
a
dire
,
monsignore
,
che
avrò
torto
io
...
Il
coraggio
,
uno
non
se
lo
può
dare
.
Il
che
significa
appunto
:
Sissignore
,
ragionando
astrattamente
,
la
ragione
è
dalla
parte
di
Vossignoria
Illustrissima
;
il
torto
sarà
mio
.
Però
Vossignoria
Illustrissima
parla
bene
,
ma
quelle
facce
le
ho
viste
io
,
le
ho
sentite
io
quelle
parole
.
E
perché
dunque
,
gli
domanda
in
fine
il
Cardinale
,
vi
siete
voi
impegnato
in
un
ministero
che
v
'
impone
di
stare
in
guerra
con
le
passioni
del
secolo
?
Oh
,
il
perché
noi
lo
sappiamo
bene
:
il
Manzoni
stesso
ce
l
'
ha
detto
fin
da
principio
;
ce
l
'
ha
voluto
dire
e
poteva
anche
farne
a
meno
:
don
Abbondio
,
non
nobile
,
non
ricco
,
coraggioso
ancor
meno
,
s
'
era
accorto
,
prima
quasi
di
toccare
gli
anni
della
discrezione
,
d
'
essere
,
in
quella
società
,
come
un
vaso
di
terra
cotta
costretto
a
viaggiare
in
compagnia
di
molti
vasi
di
ferro
.
Aveva
quindi
,
assai
di
buon
grado
,
ubbidito
ai
parenti
,
che
lo
vollero
prete
.
Per
dir
la
verità
,
non
aveva
gran
fatto
pensato
agli
obblighi
e
ai
nobili
fini
del
ministero
al
quale
si
dedicava
:
procacciarsi
di
che
vivere
con
qualche
agio
e
mettersi
in
una
classe
privilegiata
e
forte
,
gli
eran
sembrate
due
ragioni
più
che
sufficienti
per
una
tale
scelta
.
In
lotta
dunque
con
le
passioni
del
secolo
?
Ma
se
egli
s
'
è
fatto
prete
per
guardarsi
appunto
dagli
urti
di
quelle
passioni
e
col
suo
sistema
particolare
di
scansar
tutti
i
contrasti
!
Bisogna
pure
ascoltare
,
signori
miei
,
le
ragioni
del
coniglio
!
Io
immaginai
una
volta
che
alla
tana
della
volpe
,
o
di
Messer
Renardo
,
com
'
essa
si
suol
chiamare
nel
mondo
delle
favole
,
accorressero
a
una
a
una
tutte
le
bestie
per
la
notizia
che
tra
loro
s
'
era
sparsa
di
certe
controfavole
che
la
volpe
avesse
in
animo
di
comporre
in
risposta
a
tutte
quelle
che
da
tempo
immemorabile
gli
uomini
compongono
,
e
da
cui
esse
bestie
han
forse
motivo
di
sentirsi
calunniate
.
E
tra
le
altre
alla
tana
di
Messer
Renardo
veniva
il
coniglio
a
protestare
contro
gli
uomini
che
lo
chiamano
pauroso
,
e
diceva
:
Ma
ben
vi
so
dire
per
conto
mio
,
Messer
Renardo
,
che
topi
e
lucertole
e
uccelli
e
grilli
e
tant
'
altre
bestiole
ho
sempre
messo
in
fuga
,
le
quali
,
se
voi
domandaste
loro
che
concetto
abbiano
di
me
,
chi
sa
che
cosa
vi
risponderebbero
,
non
certo
che
io
sia
una
bestia
paurosa
.
a
che
forse
pretenderebbero
gli
uomini
che
al
loro
cospetto
io
mi
rizzassi
su
due
piedi
e
movessi
loro
incontro
per
farmi
prendere
e
uccidere
?
Io
credo
veramente
,
Messer
Renardo
,
che
per
gli
uomini
non
debba
correre
alcuna
differenza
tra
eroismo
e
imbecillità
!
Ora
,
io
non
nego
,
don
Abbondio
è
un
coniglio
.
Ma
noi
sappiamo
che
Don
Rodrigo
,
se
minacciava
,
non
minacciava
invano
,
sappiamo
che
pur
di
spuntare
l
'
impegno
egli
era
veramente
capace
di
tutto
;
sappiamo
che
tempi
eran
quelli
,
e
possiamo
benissimo
immaginare
che
a
don
Abbondio
,
se
avesse
sposato
Renzo
e
Lucia
,
una
schioppettata
non
gliel
'
avrebbe
di
certo
levata
nessuno
,
e
che
forse
Lucia
,
sposa
soltanto
di
nome
,
sarebbe
stata
rapita
,
uscendo
dalla
chiesa
,
e
Renzo
anch
'
egli
ucciso
.
A
che
giovano
l
'
intervento
,
il
suggerimento
di
Fra
Cristoforo
?
Non
è
rapita
Lucia
dal
monastero
di
Monza
?
C
'
è
la
lega
dei
birboni
,
come
dice
Renzo
.
Per
scioglier
quella
matassa
ci
vuol
la
mano
di
Dio
;
non
per
modo
di
dire
,
la
mano
di
Dio
propriamente
.
Che
poteva
fare
un
povero
prete
?
Pauroso
,
sissignori
,
don
Abbondio
;
e
il
De
Sanctis
ha
dettato
alcune
pagine
meravigliose
esaminando
il
sentimento
della
paura
nel
povero
curato
;
ma
non
ha
tenuto
conto
di
questo
,
perbacco
:
che
il
pauroso
è
ridicolo
,
è
comico
,
quando
si
crea
rischi
e
pericoli
immaginarci
:
ma
quando
un
pauroso
ha
veramente
ragione
d
'
aver
paura
,
quando
vediamo
preso
,
impigliato
in
un
contrasto
terribile
,
uno
che
per
natura
e
per
sistema
vuole
scansar
tutti
i
contrasti
,
anche
i
più
lievi
,
e
che
in
quel
contrasto
terribile
per
suo
dovere
sacrosanto
dovrebbe
starci
,
questo
pauroso
non
è
più
comico
soltanto
.
Per
quella
situazione
non
basta
neanche
un
eroe
come
Fra
Cristoforo
,
che
va
ad
affrontare
il
nemico
nel
suo
stesso
palazzotto
!
Don
Abbondio
non
ha
il
coraggio
del
proprio
dovere
;
ma
questo
dovere
,
dalla
nequizia
altrui
,
è
reso
difficilissimo
,
e
però
quel
coraggio
è
tutt
'
altro
che
facile
;
per
compierlo
ci
vorrebbe
un
eroe
.
Al
posto
d
'
un
eroe
troviamo
don
Abbondio
.
Noi
non
possiamo
,
se
non
astrattamente
,
sdegnarci
di
lui
,
cioè
se
in
astratto
consideriamo
il
ministero
del
sacerdote
.
Avremmo
certamente
ammirato
un
sacerdote
eroe
che
,
al
posto
di
don
Abbondio
,
non
avesse
tenuto
conto
della
minaccia
e
del
pericolo
e
avesse
adempiuto
il
dovere
del
suo
ministero
.
Ma
non
possiamo
non
compatire
don
Abbondio
,
che
non
è
l
'
eroe
che
ci
sarebbe
voluto
al
suo
posto
,
che
non
solo
non
ha
il
grandissimo
coraggio
che
ci
voleva
;
ma
non
ne
ha
né
punto
né
poco
;
e
il
coraggio
,
uno
non
se
lo
può
dare
!
Un
osservatore
superficiale
terrà
conto
del
riso
che
nasce
dalla
comicità
esteriore
degli
atti
,
dei
gesti
,
delle
frasi
reticenti
ecc
.
di
don
Abbondio
,
e
lo
chiamerà
ridicolo
senz
'
altro
,
o
una
figura
semplicemente
comica
.
Ma
chi
non
si
contenta
di
queste
superficialità
e
sa
veder
più
a
fondo
,
sente
che
il
riso
qui
scaturisce
da
ben
altro
,
e
non
è
soltanto
quello
della
comicità
.
Don
Abbondio
è
quel
che
si
trova
in
luogo
di
quello
che
ci
sarebbe
voluto
.
Ma
il
poeta
non
si
sdegna
di
questa
realtà
che
trova
,
perché
,
pur
avendo
,
come
abbiamo
detto
,
un
ideale
altissimo
della
missione
del
sacerdote
su
la
terra
,
ha
pure
in
sé
la
riflessione
che
gli
suggerisce
che
quest
'
ideale
non
si
incarna
se
non
per
rarissima
eccezione
,
e
però
lo
obbliga
a
limitare
quell
'
ideale
,
come
osserva
il
De
Sanctis
.
Ma
questa
limitazione
dell
'
ideale
che
cos
'
è
?
è
l
'
effetto
appunto
della
riflessione
che
,
esercitandosi
su
quest
'
ideale
,
ha
suggerito
al
poeta
il
sentimento
del
contrario
.
E
don
Abbondio
è
appunto
questo
sentimento
del
contrario
oggettivato
e
vivente
;
e
però
non
è
comico
soltanto
,
ma
schiettamente
e
profondamente
umoristico
.
Bonarietà
?
Simpatica
indulgenza
?
Andiamo
adagio
:
lasciamo
star
codeste
considerazioni
,
che
sono
in
fondo
estranee
e
superficiali
,
e
che
,
a
volerle
approfondire
,
c
'
è
il
rischio
che
ci
facciano
anche
qui
scoprire
il
contrario
.
Vogliamo
vederlo
?
Sì
,
ha
compatimento
il
Manzoni
per
questo
pover
'
uomo
di
don
Abbondio
;
ma
è
un
compatimento
,
signori
miei
,
che
nello
stesso
tempo
ne
fa
strazio
,
necessariamente
.
In
fatti
,
solo
a
patto
di
riderne
e
di
far
rider
di
lui
,
egli
può
compatirlo
e
farlo
compatire
,
commiserarlo
e
farlo
commiserare
.
Ma
,
ridendo
di
lui
e
compatendolo
nello
stesso
tempo
,
il
poeta
viene
anche
a
ridere
amaramente
di
questa
povera
natura
umana
inferma
di
tante
debolezze
;
e
quanto
più
le
considerazioni
pietose
si
stringono
a
proteggere
il
povero
curato
,
tanto
più
attorno
a
lui
s
'
allarga
il
discredito
del
valore
umano
.
Il
poeta
,
in
somma
,
ci
induce
ad
aver
compatimento
del
povero
curato
,
facendoci
riconoscere
che
è
pur
umano
,
di
tutti
noi
,
quel
che
costui
sente
e
prova
,
a
passarci
bene
la
mano
su
la
coscienza
.
E
che
ne
segue
?
Ne
segue
che
se
,
per
sua
stessa
virtù
,
questo
particolare
divien
generale
,
se
questo
sentimento
misto
di
riso
o
di
pianto
,
quanto
più
si
stringe
e
determina
in
don
Abbondio
,
tanto
più
si
allarga
e
quasi
vapora
in
una
tristezza
infinita
,
.
ne
segue
,
dicevamo
,
che
a
voler
considerare
da
questo
lato
la
rappresentazione
del
curato
manzoniano
,
noi
non
sappiamo
più
riderne
.
Quella
pietà
,
in
fondo
,
è
spietata
:
la
simpatica
indulgenza
non
è
così
bonaria
come
sembra
a
tutta
prima
.
Gran
cosa
come
si
vede
,
avere
un
ideale
religioso
,
come
il
Manzoni
;
cavalleresco
,
come
il
Cervantes
per
vederselo
poi
ridurre
dalla
riflessione
in
don
Abbondio
e
in
Don
Quijote
!
Il
Manzoni
se
ne
consola
,
creando
accanto
al
curato
di
villaggio
Fra
Cristoforo
e
il
Cardinal
Borromeo
;
ma
è
pur
vero
che
,
essendo
egli
sopra
tutto
umorista
,
la
creatura
sua
più
viva
è
quell
'
altra
,
quella
cioè
in
cui
il
sentimento
del
contrario
s
'
è
incarnato
.
Il
Cervantes
non
può
consolarsi
in
alcun
modo
perché
,
nella
carcere
della
Mancha
,
con
Don
Quijote
come
egli
stesso
dice
genera
qualcuno
che
gli
somiglia
.
V
È
un
considerar
superficialmente
,
abbiamo
detto
,
e
da
un
lato
solo
l
'
umorismo
,
il
vedere
in
esso
un
particolar
contrasto
tra
l
'
ideale
e
la
realtà
.
Un
ideale
può
esserci
,
ripetiamo
;
questo
dipende
dalla
personalità
del
poeta
;
ma
se
c
'
è
,
ecco
,
è
per
vedersi
decomposto
,
limitato
,
rappresentato
a
questo
modo
.
Certamente
,
come
tutti
gli
altri
elementi
costitutivi
dello
spirito
d
'
un
poeta
,
esso
entra
e
si
fa
sentire
nell
'
opera
umoristica
,
le
dà
un
particolar
carattere
,
un
particolar
sapore
;
ma
non
è
condizione
imprescindibile
:
tutt
'
altro
!
ché
anzi
è
proprio
dell
'
umorista
,
per
la
speciale
attività
che
assume
in
lui
la
riflessione
,
generando
il
sentimento
del
contrario
,
il
non
saper
più
da
qual
parte
tenere
,
la
perplessità
,
lo
stato
irresoluto
della
coscienza
.
E
quest
'
appunto
distingue
nettamente
l
'
umorista
dal
comico
,
dall
'
ironico
,
dal
satirico
.
Non
nasce
in
questi
altri
il
sentimento
del
contrario
;
se
nascesse
,
sarebbe
reso
amaro
,
cioè
non
più
comico
,
il
riso
provocato
nel
primo
dall
'
avvertimento
di
una
qualsiasi
anormalità
;
la
contradizione
che
nel
secondo
è
soltanto
verbale
,
tra
quel
che
si
dice
e
quel
che
si
vuole
sia
inteso
,
diventerebbe
effettiva
,
sostanziale
,
e
dunque
non
più
ironica
;
e
cesserebbe
lo
sdegno
o
,
comunque
,
l
'
avversione
della
realtà
che
è
ragione
d
'
ogni
satira
.
Non
che
all
'
umorista
però
piaccia
la
realtà
!
Basterebbe
questo
soltanto
,
che
per
poco
gli
piacesse
,
perché
,
esercitandosi
la
riflessione
su
questo
suo
piacere
,
glielo
guastasse
.
Questa
riflessione
s
'
insinua
acuta
e
sottile
da
per
tutto
e
tutto
scompone
:
ogni
immagine
del
sentimento
,
ogni
finzione
ideale
,
ogni
apparenza
della
realtà
,
ogni
illusione
.
Il
pensiero
dell
'
uomo
,
diceva
Guy
de
Maupassant
tourne
comme
une
mouche
dans
une
bouteille
.
Tutti
i
fenomeni
,
o
sono
illusorii
,
o
la
ragione
di
essi
ci
sfugge
,
inesplicabile
.
Manca
affatto
alla
nostra
conoscenza
del
mondo
e
di
noi
stessi
quel
valore
obiettivo
che
comunemente
presumiamo
di
attribuirle
.
È
una
costruzione
illusoria
continua
.
Vogliamo
assistere
alla
lotta
tra
l
'
illusione
,
che
s
'
insinua
anch
'
essa
da
per
tutto
e
costruisce
a
suo
modo
;
e
la
riflessione
umoristica
che
scompone
a
una
a
una
quelle
costruzioni
?
Cominciamo
da
quella
che
l
'
illusione
fa
a
ciascuno
di
noi
,
dalla
costruzione
cioè
che
ciascuno
per
opera
dell
'
illusione
si
fa
di
sé
stesso
.
Ci
vediamo
noi
nella
nostra
vera
e
schietta
realtà
,
quali
siamo
,
o
non
piuttosto
quali
vorremmo
essere
?
Per
uno
spontaneo
artificio
interiore
,
frutto
di
segrete
tendenze
o
d
'
incosciente
imitazione
,
non
ci
crediamo
noi
in
buona
fede
diversi
da
quel
che
sostanzialmente
siamo
?
E
pensiamo
,
operiamo
,
viviamo
secondo
questa
interpretazione
fittizia
e
pur
sincera
di
noi
stessi
.
Ora
la
riflessione
,
si
,
può
scoprire
tanto
al
comico
e
al
satirico
quanto
all
'
umorista
questa
costruzione
illusoria
.
Ma
il
comico
ne
riderà
solamente
,
contentandosi
di
sgonfiar
questa
metafora
di
noi
stessi
messa
su
dall
'
illusione
spontanea
;
il
satirico
se
ne
sdegnerà
;
l
'
umorista
,
no
:
attraverso
il
ridicolo
di
questa
scoperta
vedrà
il
lato
serio
e
doloroso
;
smonterà
questa
costruzione
,
ma
non
per
riderne
solamente
;
e
in
luogo
di
sdegnarsene
,
magari
,
ridendo
,
compatirà
.
Il
comico
e
il
satirico
sanno
dalla
riflessione
quanta
bava
tragga
dalla
vita
sociale
il
ragno
dell
'
esperienza
per
comporre
la
ragna
della
mentalità
in
questo
e
in
quell
'
individuo
,
e
come
in
questa
ragna
resti
spesso
avviluppato
ciò
che
si
chiama
il
senso
morale
.
Che
cosa
sono
,
in
fondo
,
i
rapporti
sociali
della
così
detta
convenienza
?
Considerazioni
di
calcolo
,
nelle
quali
la
moralità
è
quasi
sempre
sacrificata
.
L
'
umorista
va
più
addentro
,
e
ride
senza
sdegnarsi
scoprendo
come
,
anche
ingenuamente
,
con
la
massima
buona
fede
,
per
opera
d
'
una
finzione
spontanea
,
noi
siamo
indotti
a
interpretar
come
vero
riguardo
,
come
vero
sentimento
morale
,
in
sé
,
ciò
che
non
è
altro
,
in
realtà
,
se
non
riguardo
o
sentimento
di
convenienza
,
cioè
di
calcolo
.
E
va
anche
più
in
là
,
e
scopre
che
può
diventar
convenzionale
finanche
il
bisogno
d
'
apparir
peggiori
di
quello
che
si
è
realmente
,
se
l
'
essere
aggregati
a
un
qualsiasi
gruppo
sociale
importi
che
si
manifestino
idealità
e
sentimenti
che
sono
proprii
a
quel
gruppo
,
e
che
tuttavia
a
chi
vi
partecipa
appariscono
contrarii
e
inferiori
al
proprio
intimo
sentimento
(
mi
avvalgo
qui
di
alcune
acute
considerazioni
contenute
nel
libro
di
Giovanni
Marchesini
,
Le
finzioni
dell
'
anima
,
Bari
,
Gius
.
Laterza
e
figli
,
1905
)
.
La
conciliazione
delle
tendenze
stridenti
,
dei
sentimenti
ripugnanti
,
delle
opinioni
contrarie
,
sembra
più
attuabile
su
le
basi
d
'
una
comune
menzogna
,
che
non
su
la
esplicita
e
dichiarata
tolleranza
del
dissenso
e
del
contrasto
;
sembra
,
in
somma
,
che
la
menzogna
debba
ritenersi
più
vantaggiosa
della
veracità
,
in
quanto
quella
può
unire
,
laddove
questa
divide
;
il
che
non
impedisce
che
,
mentre
la
menzogna
è
tacitamente
scoperta
e
riconosciuta
,
si
assuma
poi
a
garanzia
della
sua
efficacia
associatrice
la
veracità
stessa
,
facendosi
apparire
come
sincerità
l
'
ipocrisia
.
La
ritenutezza
,
il
riserbo
,
il
lasciar
credere
più
di
quanto
si
dica
o
si
faccia
,
il
silenzio
stesso
non
scompagnato
dalla
sapienza
dei
segni
che
lo
giustifichi
oh
,
indimenticabile
Conte
Zio
del
Consiglio
segreto
,
sono
arti
che
si
usano
di
frequente
nella
pratica
della
vita
;
e
cosa
pure
il
non
dare
occasione
che
si
osservi
ciò
che
si
pensa
,
il
lasciar
credere
che
si
pensi
meno
di
quanto
si
pensa
effettivamente
,
il
pretendere
di
essere
creduti
differenti
da
ciò
che
in
fondo
si
è
:
Un
parlare
ambiguo
,
un
tacere
significativo
,
un
restare
a
mezzo
,
uno
stringere
d
'
occhi
che
esprimeva
:
non
posso
parlare
;
un
lusingare
senza
promettere
,
un
minacciar
in
cerimonia
;
tutto
era
diretto
a
quel
fine
;
e
tutto
,
o
più
o
meno
,
tornava
in
prò
.
A
segno
che
fino
un
:
io
non
posso
niente
in
questo
affare
,
detto
talvolta
per
la
pura
verità
,
ma
detto
in
modo
che
non
gli
era
creduto
,
serviva
ad
accrescere
il
concetto
,
e
quindi
la
realtà
,
del
suo
potere
:
come
quelle
scatole
che
si
vedono
ancora
in
qualche
bottega
di
speziale
,
con
su
certe
parole
arabe
,
e
dentro
non
c
'
è
nulla
:
ma
servono
per
mantenere
il
credito
alla
bottega
.
Notava
il
Rousseau
nell
'
Émile
:
Si
può
fare
ciò
che
si
è
fatto
e
non
si
doveva
fare
.
Poiché
un
interesse
maggiore
può
far
sì
che
si
violi
una
promessa
che
si
era
fatta
per
un
interesse
minore
,
ciò
che
importa
è
che
la
violazione
avvenga
impunemente
.
Il
mezzo
a
questo
fine
è
la
menzogna
,
che
può
essere
di
due
specie
,
potendo
riguardare
il
passato
,
onde
ci
si
dichiara
autori
di
ciò
che
in
realtà
non
facemmo
,
o
essendone
autori
dichiariamo
di
non
essere
;
e
potendo
riguardare
il
futuro
,
come
avviene
quando
ci
facciamo
promesse
che
si
ha
in
animo
di
non
mantenere
.
E
evidente
che
la
menzogna
,
nell
'
uno
e
nell
'
altro
caso
,
sorge
dai
rapporti
della
convenienza
,
come
mezzo
a
conservar
l
'
altrui
benevolenza
e
ad
accaparrarsi
l
'
altrui
soccorso
.
Quanto
più
difficile
è
la
lotta
per
la
vita
,
e
più
è
sentita
in
questa
lotta
la
propria
debolezza
,
tanto
maggiore
si
fa
poi
il
bisogno
del
reciproco
inganno
.
La
simulazione
della
forza
,
dell
'
onestà
,
della
simpatia
,
della
prudenza
,
in
somma
,
d
'
ogni
virtù
massima
della
veracità
,
è
una
forma
d
'
adattamento
,
un
abile
strumento
di
lotta
.
L
'
umorista
coglie
subito
queste
varie
simulazioni
per
la
lotta
della
vita
;
si
diverte
a
smascherarle
;
non
se
n
'
indigna
:
è
così
!
E
mentre
il
sociologo
descrive
la
vita
sociale
qual
'
essa
risulta
dalle
osservazioni
esterne
,
l
'
umorista
armato
del
suo
arguto
intuito
dimostra
,
rivela
come
le
apparenze
siano
profondamente
diverse
dall
'
essere
intimo
della
coscienza
degli
associati
.
Eppure
si
mentisce
psicologicamente
come
si
mentisce
socialmente
.
E
il
mentire
a
noi
stessi
,
vivendo
coscientemente
solo
la
superficie
del
nostro
essere
psichico
,
è
un
effetto
del
mentire
sociale
.
L
'
anima
che
riflette
sé
stessa
è
un
'
anima
solitaria
;
ma
non
è
mai
tanta
la
solitudine
interiore
che
non
penetrino
nella
coscienza
le
suggestioni
della
vita
comune
,
con
gl
'
infingimenti
e
le
arti
trasfigurative
che
la
caratterizzano
.
Vive
nell
'
anima
nostra
l
'
anima
della
razza
o
della
collettività
di
cui
siamo
parte
;
e
la
pressione
dell
'
altrui
modo
di
giudicare
,
dell
'
altrui
modo
di
sentire
e
di
operare
,
è
risentita
da
noi
inconsciamente
:
e
come
dominano
nel
mondo
sociale
la
simulazione
e
la
dissimulazione
,
tanto
meno
avvertite
quanto
più
sono
divenute
abituali
,
così
simuliamo
e
dissimuliamo
con
noi
medesimi
,
sdoppiandoci
e
spesso
anche
moltiplicandoci
.
Risentiamo
noi
stessi
quella
vanità
di
parer
diversi
da
ciò
che
si
è
,
che
è
forma
consustanziata
nella
vita
sociale
;
e
rifuggiamo
da
quell
'
analisi
che
,
svelando
la
vanità
,
ecciterebbe
il
morso
della
coscienza
e
ci
umilierebbe
di
fronte
a
noi
stessi
.
Ma
quest
'
analisi
la
fa
per
noi
l
'
umorista
,
che
si
può
dar
pure
l
'
ufficio
di
smascherare
tutte
le
vanità
,
e
di
rappresentar
la
società
,
come
fa
appunto
il
Thackeray
,
quale
una
Vanity
Fair
(
lo
stesso
ufficio
si
dà
il
Thackeray
anche
nel
Libro
degli
Snobs
e
in
quella
Novella
senza
eroi
,
o
vanità
illuminate
con
le
candele
stesse
dell
'
autore
)
.
E
l
'
umorista
sa
bene
che
anche
la
pretesa
della
logicità
supera
spesso
di
gran
lunga
in
noi
la
reale
coerenza
logica
,
e
che
se
ci
fingiamo
logici
teoreticamente
,
la
logica
dell
'
azione
può
smentire
quella
del
pensiero
,
dimostrando
che
è
una
finzione
il
credere
alla
sua
sincerità
assoluta
.
L
'
abitudine
,
l
'
imitazione
incosciente
,
la
pigrizia
mentale
concorrono
a
crear
l
'
equivoco
.
E
quand
'
anche
poi
alla
ragione
rigorosamente
logica
si
aderisca
,
poniamo
,
col
rispetto
e
l
'
amore
verso
determinati
ideali
,
è
sempre
sincero
il
riferimento
che
facciamo
di
essi
alla
ragione
?
E
sempre
nella
ragione
pura
,
disinteressata
,
la
sorgente
vera
e
unica
della
scelta
degli
ideali
e
della
perseveranza
nel
coltivarli
?
O
invece
non
è
più
conforme
alla
realtà
il
sospettare
che
essi
siano
talora
giudicati
non
già
con
un
criterio
obiettivo
e
razionale
,
ma
piuttosto
a
seconda
di
speciali
impulsi
affettivi
e
di
oscure
tendenze
?
Le
barriere
,
i
limiti
che
noi
poniamo
alla
nostra
coscienza
,
sono
anch
'
essi
illusioni
,
sono
le
condizioni
dell
'
apparir
della
nostra
individualità
relativa
;
ma
,
nella
realtà
,
quei
limiti
non
esistono
punto
.
Non
soltanto
noi
,
quali
ora
siamo
,
viviamo
in
noi
stessi
,
ma
anche
noi
,
quali
fummo
in
altro
tempo
,
viviamo
tuttora
e
sentiamo
e
ragioniamo
con
pensieri
e
affetti
già
da
un
lungo
oblio
oscurati
,
cancellati
,
spenti
nella
nostra
coscienza
presente
,
ma
che
a
un
urto
,
a
un
tumulto
improvviso
dello
spirito
,
possono
ancora
dar
prova
di
vita
,
mostrando
vivo
in
noi
un
altro
essere
insospettato
.
I
limiti
della
nostra
memoria
personale
e
cosciente
non
sono
limiti
assoluti
.
Di
là
da
quella
linea
vi
sono
memorie
,
vi
sono
percezioni
e
ragionamenti
.
Ciò
che
noi
conosciamo
di
noi
stessi
,
non
è
che
una
parte
,
forse
una
piccolissima
parte
di
quello
che
noi
siamo
(
vedi
nel
libro
di
Alfredo
Binet
Les
altérations
de
la
personnalité
quella
rassegna
di
meravigliosi
esperimenti
psico
-
fisiologici
,
da
cui
queste
e
tant
'
altre
considerazioni
si
possono
trarre
,
come
notava
già
G
.
Negri
nel
libro
Segni
dei
tempi
)
.
E
tante
e
tante
cose
,
in
certi
momenti
eccezionali
,
noi
sorprendiamo
in
noi
stessi
,
percezioni
,
ragionamenti
,
stati
di
coscienza
,
che
son
veramente
oltre
i
limiti
relativi
della
nostra
esistenza
normale
e
cosciente
.
Certi
ideali
che
crediamo
ormai
tramontati
in
noi
e
non
più
capaci
d
'
alcuna
azione
nel
nostro
pensiero
,
su
i
nostri
affetti
,
sui
nostri
atti
,
forse
persistono
tuttavia
,
se
non
più
nella
forma
intellettuale
,
pura
,
nel
rostrato
loro
,
costituito
dalle
tendenze
affettive
e
pratiche
.
E
possono
essere
motivi
reali
di
azione
certe
tendenze
da
cui
ci
crediamo
liberati
,
e
non
aver
per
l
'
opposto
efficacia
pratica
in
noi
,
se
non
illusoria
,
credenze
nuove
che
riteniamo
di
possedere
veramente
,
intimamente
.
E
appunto
le
varie
tendenze
che
contrassegnano
la
personalità
fanno
pensare
sul
serio
che
non
sia
una
l
'
anima
individuale
.
Come
affermarla
una
,
difatti
,
se
passione
e
ragione
,
istinto
e
volontà
,
tendenze
e
idealità
,
costituiscono
in
certo
modo
altrettanti
sistemi
distinti
e
mobili
,
che
fanno
si
che
l
'
individuo
,
vivendo
ora
l
'
uno
ora
l
'
altro
di
essi
,
ora
qualche
compromesso
fra
due
o
più
orientamenti
psichici
,
apparisca
come
se
veramente
in
lui
fossero
più
anime
diverse
e
perfino
opposte
,
più
e
opposte
personalità
?
Non
c
'
è
uomo
,
osservò
il
Pascal
,
che
differisca
più
da
un
altro
che
da
sé
stesso
nella
successione
del
tempo
.
La
semplicità
dell
'
anima
contradice
al
concetto
storico
dell
'
anima
umana
.
La
sua
vita
è
equilibrio
mobile
;
è
un
risorgere
e
un
assopirsi
continuo
di
affetti
,
di
tendenze
,
di
idee
;
un
fluttuare
incessante
fra
termini
contradittorii
,
e
un
oscillare
fra
poli
opposti
,
come
la
speranza
e
la
paura
,
il
vero
e
il
falso
,
il
bello
e
il
brutto
,
il
giusto
e
l
'
ingiusto
e
via
dicendo
.
Se
d
'
un
tratto
si
disegna
nell
'
immagine
oscura
dell
'
avvenire
un
luminoso
disegno
d
'
azione
,
o
vagamente
brilla
il
fiore
del
godimento
,
non
tarda
ad
apparire
,
vindice
dei
diritti
dell
'
esperienza
,
il
pensiero
del
passato
,
non
di
rado
cupo
e
triste
;
o
interviene
a
infrenare
la
briosa
fantasia
il
senso
riottoso
del
presente
.
Questa
lotta
di
ricordi
,
di
speranze
,
di
presentimenti
,
di
percezioni
,
d
'
idealità
,
può
raffigurarsi
come
una
lotta
d
'
anime
fra
loro
,
che
si
contrastino
il
dominio
definitivo
e
pieno
della
personalità
.
Ecco
un
alto
funzionario
,
che
si
crede
,
ed
è
,
poveretto
,
in
verità
,
un
galantuomo
.
Domina
in
lui
l
'
anima
morale
.
Ma
un
bel
giorno
,
l
'
anima
istintiva
,
che
è
come
la
bestia
originaria
acquattata
in
fondo
a
ciascuno
di
noi
,
spara
un
calcio
all
'
anima
morale
,
e
quel
galantuomo
ruba
.
Oh
,
egli
stesso
,
poveretto
,
egli
per
il
primo
,
poco
dopo
,
ne
prova
stupore
,
piange
,
domanda
a
sé
stesso
,
disperato
:
Come
,
come
mai
ho
potuto
far
questo
?
Ma
,
sissignori
,
ha
rubato
.
E
quell
'
altro
là
?
Uomo
dabbene
,
anzi
dabbenissimo
:
sissignori
,
ha
ucciso
.
L
'
idealità
morale
costituiva
nella
personalità
di
lui
un
'
anima
che
contrastava
con
l
'
anima
istintiva
e
pure
in
parte
con
quella
affettiva
o
passionale
;
costituiva
un
'
anima
acquisita
che
lottava
con
l
'
anima
ereditaria
,
la
quale
,
lasciata
per
un
po
'
libera
a
sé
stessa
,
è
riuscita
'
d
'
improvviso
al
furto
,
al
delitto
.
La
vita
è
un
flusso
continuo
che
noi
cerchiamo
d
'
arrestare
,
di
fissare
in
forme
stabili
e
determinate
,
dentro
e
fuori
di
noi
,
perché
noi
già
siamo
forme
fissate
,
forme
che
si
muovono
in
mezzo
ad
altre
immobili
,
e
che
però
possono
seguire
il
flusso
della
vita
,
fino
a
tanto
che
,
irrigidendosi
man
mano
,
il
movimento
,
già
a
poco
a
poco
rallentato
,
non
cessi
.
Le
forme
,
in
cui
cerchiamo
d
'
arrestare
,
di
fissare
in
noi
questo
flusso
continuo
,
sono
i
concetti
,
sono
gli
ideali
a
cui
vorremmo
serbarci
coerenti
,
tutte
le
finzioni
che
ci
creiamo
,
le
condizioni
,
lo
stato
in
cui
tendiamo
a
stabilirci
.
Ma
dentro
di
noi
stessi
,
in
ciò
che
noi
chiamiamo
anima
,
e
che
è
la
vita
in
noi
,
il
flusso
continua
,
indistinto
,
sotto
gli
argini
,
oltre
i
limiti
che
noi
imponiamo
,
componendoci
una
coscienza
,
costruendoci
una
personalità
.
In
certi
momenti
tempestosi
,
investite
dal
flusso
,
tutte
quelle
nostre
forme
fittizie
crollano
miseramente
;
e
anche
quello
che
non
scorre
sotto
gli
argini
e
oltre
i
limiti
,
ma
che
si
scopre
a
noi
distinto
e
che
noi
abbiamo
con
cura
incanalato
nei
nostri
affetti
,
nei
doveri
che
ci
siamo
imposti
,
nelle
abitudini
che
ci
siamo
tracciate
,
in
certi
momenti
di
piena
straripa
e
sconvolge
tutto
.
Vi
sono
anime
irrequiete
,
quasi
in
uno
stato
di
fusione
continua
,
che
sdegnano
di
rapprendersi
,
d
'
irrigidirsi
in
questa
o
in
quella
forma
di
personalità
.
Ma
anche
per
quelle
più
quiete
,
che
si
sono
adagiate
in
una
o
in
un
'
altra
forma
,
la
fusione
è
sempre
possibile
:
il
flusso
della
vita
è
in
tutti
.
E
per
tutti
però
può
rappresentare
talvolta
una
tortura
,
rispetto
all
'
anima
che
si
muove
e
si
fonde
,
il
nostro
stesso
corpo
fissato
per
sempre
in
fattezze
immutabili
.
Oh
perché
proprio
dobbiamo
essere
così
,
noi
?
ci
domandiamo
talvolta
allo
specchio
,
con
questa
faccia
,
con
questo
corpo
?
Alziamo
una
mano
,
nell
'
incoscienza
;
e
il
gesto
ci
resta
sospeso
.
Ci
pare
strano
che
l
'
abbiamo
fatto
noi
.
Ci
vediamo
vivere
.
Con
quel
gesto
sospeso
possiamo
assomigliarci
a
una
statua
;
a
quella
statua
d
'
antico
oratore
,
per
esempio
,
che
si
vede
in
una
nicchia
,
salendo
per
la
scalinata
del
Quirinale
.
Con
un
rotolo
di
carta
in
mano
,
e
l
'
altra
mano
protesa
a
un
sobrio
gesto
,
come
pare
afflitto
e
meravigliato
quell
'
oratore
antico
d
'
esser
rimasto
lì
,
di
pietra
,
per
tutti
i
secoli
,
sospeso
in
quell
'
atteggiamento
,
dinanzi
a
tanta
gente
che
è
salita
,
che
sale
e
salirà
per
quella
scalinata
!
In
certi
momenti
di
silenzio
interiore
,
in
cui
l
'
anima
nostra
si
spoglia
di
tutte
le
finzioni
abituali
,
e
gli
occhi
nostri
diventano
più
acuti
e
più
penetranti
,
noi
vediamo
noi
stessi
nella
vita
,
e
in
sé
stessa
la
vita
,
quasi
in
una
nudità
arida
,
inquietante
;
ci
sentiamo
assaltare
da
una
strana
impressione
,
come
se
,
in
un
baleno
,
ci
si
chiarisse
una
realtà
diversa
da
quella
che
normalmente
percepiamo
,
una
realtà
vivente
oltre
la
vista
umana
,
fuori
delle
forme
dell
'
umana
ragione
.
Lucidissimamente
allora
la
compagine
dell
'
esistenza
quotidiana
,
quasi
sospesa
nel
vuoto
di
quel
nostro
silenzio
interiore
,
ci
appare
priva
di
senso
,
priva
di
scopo
;
e
quella
realtà
diversa
ci
appare
orrida
nella
sua
crudezza
impassibile
e
misteriosa
,
poiché
tutte
le
nostre
fittizie
relazioni
consuete
di
sentimenti
e
d
'
immagini
si
sono
scisse
e
disgregate
in
essa
.
Il
vuoto
interno
si
allarga
,
varca
i
limiti
del
nostro
corpo
,
diventa
vuoto
intorno
a
noi
,
un
vuoto
strano
,
come
un
arresto
del
tempo
e
della
vita
,
come
se
il
nostro
silenzio
interiore
si
sprofondasse
negli
abissi
del
mistero
.
Con
uno
sforzo
supremo
cerchiamo
allora
di
riacquistar
la
coscienza
normale
delle
cose
,
di
riallacciar
con
esse
le
consuete
relazioni
,
di
riconnetter
le
idee
,
di
risentirci
vivi
come
per
l
'
innanzi
,
al
modo
solito
.
Ma
a
questa
coscienza
normale
,
a
queste
idee
riconnesse
,
a
questo
sentimento
solito
della
vita
non
possiamo
più
prestar
fede
,
perché
sappiamo
ormai
che
sono
un
nostro
inganno
per
vivere
e
che
sotto
c
'
è
qualcos
'
altro
,
a
cui
l
'
uomo
non
può
affacciarsi
,
se
non
a
costo
di
morire
o
d
'
impazzire
.
È
stato
un
attimo
;
ma
dura
a
lungo
in
noi
l
'
impressione
di
esso
,
come
di
vertigine
,
con
la
quale
contrasta
la
stabilità
,
pur
così
vana
,
delle
cose
:
ambiziose
o
misere
apparenze
.
La
vita
,
allora
,
che
s
'
aggira
piccola
,
solita
,
fra
queste
apparenze
ci
sembra
quasi
che
non
sia
più
per
davvero
,
che
sia
come
una
fantasmagoria
meccanica
.
E
come
darle
importanza
?
come
portarle
rispetto
?
Oggi
siamo
,
domani
no
.
Che
faccia
ci
hanno
dato
per
rappresentar
la
parte
del
vivo
?
Un
brutto
naso
?
Che
pena
doversi
portare
a
spasso
un
brutto
naso
per
tutta
la
vita
...
Fortuna
che
,
a
lungo
andare
,
non
ce
n
'
accorgiamo
più
.
Se
ne
accorgono
gli
altri
,
è
vero
,
quando
noi
siamo
finanche
arrivati
a
credere
d
'
avere
un
bel
naso
;
e
allora
non
sappiamo
più
spiegarci
perché
gli
altri
ridano
,
guardandoci
.
Sono
tanti
sciocchi
!
Consoliamoci
guardando
che
orecchi
ha
quello
e
che
labbra
quell
'
altro
;
i
quali
non
se
n
'
accorgono
nemmeno
e
hanno
il
coraggio
di
ridere
di
noi
.
Maschere
,
maschere
...
Un
soffio
e
passano
,
per
dar
posto
ad
altre
.
Quel
povero
zoppetto
là
...
Chi
è
?
Correre
alla
morte
con
la
stampella
...
La
vita
,
qua
,
schiaccia
il
piede
a
uno
;
cava
là
un
occhio
a
un
altro
...
Gamba
di
legno
,
occhio
di
vetro
,
e
avanti
!
Ciascuno
si
racconcia
la
maschera
come
può
la
maschera
esteriore
.
Perché
dentro
poi
c
'
è
l
'
altra
,
che
spesso
non
s
'
accorda
con
quella
di
fuori
.
E
niente
è
vero
!
Vero
il
mare
,
sì
,
vera
la
montagna
;
vero
il
sasso
;
vero
un
filo
d
'
erba
;
ma
l
'
uomo
?
Sempre
mascherato
,
senza
volerlo
,
senza
saperlo
,
di
quella
tal
cosa
ch
'
egli
in
buona
fede
si
figura
d
'
essere
:
bello
,
buono
,
grazioso
,
generoso
,
infelice
,
ecc
.
ecc
.
E
questo
fa
tanto
ridere
,
a
pensarci
.
Sì
,
perché
un
cane
,
poniamo
,
quando
gli
sia
passata
la
prima
febbre
della
vita
,
che
fa
?
mangia
e
dorme
:
vive
come
può
vivere
,
come
deve
vivere
;
chiude
gli
occhi
,
paziente
,
e
lascia
che
il
tempo
passi
,
freddo
se
freddo
,
caldo
se
caldo
;
e
se
gli
dànno
un
calcio
se
lo
prende
,
perché
è
segno
che
gli
tocca
anche
questo
.
Ma
l
'
uomo
?
Anche
da
vecchio
,
sempre
con
la
febbre
:
delira
e
non
se
n
'
avvede
;
non
può
fare
a
meno
d
'
atteggiarsi
,
anche
davanti
a
sé
stesso
,
in
qualche
modo
,
e
si
figura
tante
cose
che
ha
bisogno
di
creder
vere
e
di
prendere
sul
serio
.
L
'
ajuta
in
questo
una
certa
macchinetta
infernale
che
la
natura
volle
regalargli
,
aggiustandogliela
dentro
,
per
dargli
una
prova
segnalata
della
sua
benevolenza
.
Gli
uomini
,
per
la
loro
salute
,
avrebbero
dovuto
tutti
lasciarla
irrugginire
,
non
muoverla
,
non
toccarla
mai
.
Ma
sì
!
Certuni
si
sono
mostrati
così
orgogliosi
e
stimati
così
felici
di
possederla
,
che
si
son
messi
subito
a
perfezionarla
,
con
zelo
accanito
.
E
Aristotile
ci
scrisse
sopra
finanche
un
libro
,
un
leggiadro
trattatello
che
si
adotta
ancora
nelle
scuole
,
perché
i
fanciulli
imparino
presto
e
bene
a
baloccarcisi
.
E
una
specie
di
pompa
a
filtro
che
mette
in
comunicazione
il
cervello
col
cuore
.
La
chiamano
LOGICA
i
signori
filosofi
.
Il
cervello
pompa
con
essa
i
sentimenti
dal
cuore
,
e
ne
cava
idee
.
Attraverso
il
filtro
,
il
sentimento
lascia
quanto
ha
in
sé
di
caldo
,
di
torbido
:
si
refrigera
,
si
purifica
,
si
i
-
de
-
a
-
liz
-
za
.
Un
povero
sentimento
,
così
,
destato
da
un
caso
particolare
,
da
una
contingenza
qualsiasi
,
spesso
dolorosa
,
pompato
e
filtrato
dal
cervello
per
mezzo
di
quella
macchinetta
,
diviene
idea
astratta
generale
;
e
che
ne
segue
?
Ne
segue
che
noi
non
dobbiamo
affliggerci
soltanto
di
quel
caso
particolare
,
di
quella
contingenza
passeggera
;
ma
dobbiamo
anche
attossicarci
la
vita
con
l
'
estratto
concentrato
,
col
sublimato
corrosivo
della
deduzione
logica
.
E
molti
disgraziati
credono
di
guarire
così
di
tutti
i
mali
di
cui
il
mondo
è
pieno
,
e
pompano
e
filtrano
,
pompano
e
filtrano
,
finché
il
loro
cuore
non
resti
arido
come
un
pezzo
di
sughero
e
il
loro
cervello
non
sia
come
uno
stipetto
di
farmacia
pieno
di
quei
barattolini
che
portano
su
l
'
etichetta
nera
un
teschio
fra
due
stinchi
in
croce
e
la
leggenda
:
VELENO
.
L
'
uomo
non
ha
della
vita
un
'
idea
,
una
nozione
assoluta
,
bensì
un
sentimento
mutabile
e
vario
,
secondo
i
tempi
,
i
casi
,
la
fortuna
.
Ora
la
logica
,
astraendo
dai
sentimenti
le
idee
,
tende
appunto
a
fissare
quel
che
è
mobile
,
mutabile
,
fluida
;
tende
a
dare
un
valore
assoluto
a
ciò
che
è
relativo
.
E
aggrava
un
male
già
grave
per
sé
stesso
.
Perché
la
prima
radice
del
nostro
male
è
appunto
in
questo
sentimento
che
noi
abbiamo
della
vita
.
L
'
albero
vive
e
non
si
sente
:
per
lui
la
terra
,
il
sole
,
l
'
aria
,
la
luce
,
il
vento
,
la
pioggia
,
non
sono
cose
che
esso
non
sia
.
All
'
uomo
,
invece
,
nascendo
è
toccato
questo
triste
privilegio
di
,
sentirsi
vivere
,
con
la
bella
illusione
che
ne
risulta
:
di
prendere
cioè
come
una
realtà
fuori
di
sé
questo
suo
interno
sentimento
della
vita
,
mutabile
e
vario
.
Gli
antichi
favoleggiarono
che
Prometeo
rapi
una
favilla
al
sole
per
farne
dono
agli
uomini
.
Orbene
,
il
sentimento
che
noi
abbiamo
della
vita
è
appunto
questa
favilla
prometèa
favoleggiata
.
Essa
ci
fa
vedere
sperduti
su
la
terra
;
essa
projetta
tutt
'
intorno
a
noi
un
cerchio
più
o
meno
ampio
di
luce
,
di
là
dal
quale
è
l
'
ombra
nera
,
l
'
ombra
paurosa
che
non
esisterebbe
,
se
la
favilla
non
fosse
accesa
in
noi
;
ombra
che
noi
però
dobbiamo
purtroppo
creder
vera
,
fintanto
che
quella
ci
si
mantiene
viva
in
petto
.
Spenta
alla
fine
dal
soffio
della
morte
,
ci
accoglierà
davvero
quell
'
ombra
fittizia
,
ci
accoglierà
la
notte
perpetua
dopo
il
giorno
fumoso
della
nostra
illusione
,
o
non
rimarremo
noi
piuttosto
alla
mercé
dell
'
Essere
,
che
avrà
rotto
soltanto
le
vane
forme
della
ragione
umana
?
Tutta
quell
'
ombra
,
l
'
enorme
mistero
,
che
tanti
e
tanti
filosofi
hanno
invano
speculato
e
che
ora
la
scienza
,
pur
rinunziando
all
'
indagine
di
esso
,
non
esclude
,
non
sarà
forse
in
fondo
un
inganno
come
un
altro
,
un
inganno
della
nostra
mente
,
una
fantasia
che
non
si
colora
?
Se
tutto
questo
mistero
,
in
somma
,
non
esistesse
fuori
di
noi
,
ma
soltanto
in
noi
,
e
necessariamente
,
per
il
famoso
privilegio
del
sentimento
che
noi
abbiamo
della
vita
?
Se
la
morte
fosse
soltanto
il
soffio
che
spegne
in
noi
questo
sentimento
penoso
,
pauroso
,
perché
limitato
,
definito
da
questo
cerchio
d
'
ombra
fittizia
oltre
il
breve
àmbito
dello
scarso
lume
che
ci
projettiamo
attorno
,
e
in
cui
la
vita
nostra
rimane
come
imprigionata
,
come
esclusa
per
alcun
tempo
dalla
vita
universale
,
eterna
,
nella
quale
ci
sembra
che
dovremo
un
giorno
rientrare
,
mentre
già
ci
siamo
e
sempre
vi
rimarremo
,
ma
senza
più
questo
sentimento
di
esilio
che
ci
angoscia
?
Non
è
anche
qui
illusorio
il
limite
,
e
relativo
al
poco
lume
nostro
,
della
nostra
individualità
?
Forse
abbiamo
sempre
vissuto
,
sempre
vivremo
con
l
'
universo
;
anche
ora
,
in
questa
forma
nostra
,
partecipiamo
a
tutte
le
manifestazioni
dell
'
universo
;
non
lo
sappiamo
,
non
lo
vediamo
,
perché
purtroppo
quella
favilla
che
Prometeo
ci
volle
donare
ci
fa
vedere
soltanto
quel
poco
a
cui
essa
arriva
.
E
domani
un
umorista
potrebbe
raffigurar
Prometeo
sul
Caucaso
in
atto
di
considerare
malinconicamente
la
sua
fiaccola
accesa
e
di
scorgere
in
essa
alla
fine
la
causa
fatale
del
suo
supplizio
infinito
.
Egli
s
'
è
finalmente
accorto
che
Giove
non
è
altro
che
un
suo
vano
fantasma
,
un
miserevole
inganno
,
l
'
ombra
del
suo
stesso
corpo
che
si
projetta
gigantesca
nel
cielo
,
a
causa
appunto
della
fiaccola
ch
'
egli
tiene
accesa
in
mano
.
A
un
solo
patto
Giove
potrebbe
sparire
,
a
patto
che
Prometeo
spegnesse
la
candela
,
cioè
la
sua
fiaccola
.
Ma
egli
non
sa
,
non
vuole
,
non
può
;
e
quell
'
ombra
rimane
,
paurosa
e
tiranna
,
per
tutti
gli
uomini
che
non
riescono
a
rendersi
conto
del
fatale
inganno
.
Così
il
contrasto
ci
si
dimostra
inovviabile
,
inscindibile
,
come
l
'
ombra
dal
corpo
.
Noi
l
'
abbiamo
veduto
,
in
questa
rapida
visione
umoristica
,
allargarsi
man
mano
,
varcare
i
limiti
del
nostro
essere
individuale
,
ov
'
ha
radice
,
ed
estendersi
intorno
.
Lo
ha
scoperto
la
riflessione
,
che
vede
in
tutto
una
costruzione
o
illusoria
o
finta
o
fittizia
del
sentimento
e
con
arguta
,
sottile
e
minuta
analisi
la
smonta
e
la
scompone
.
Uno
dei
più
grandi
umoristi
,
senza
saperlo
,
fu
Copernico
,
che
smontò
non
propriamente
la
macchina
dell
'
universo
,
ma
l
'
orgogliosa
immagine
che
ce
n
'
eravamo
fatta
.
Si
legga
quel
dialogo
del
Leopardi
che
s
'
intitola
appunto
dal
canonico
polacco
.
Ci
diede
il
colpo
di
grazia
la
scoperta
del
telescopio
:
altra
macchinetta
infernale
,
che
può
fare
il
pajo
con
quella
che
volle
regalarci
la
natura
.
Ma
questa
l
'
abbiamo
inventata
noi
,
per
non
esser
da
meno
.
Mentre
l
'
occhio
guarda
di
sotto
,
dalla
lente
più
piccola
,
e
vede
grande
ciò
che
la
natura
provvidenzialmente
aveva
voluto
farci
veder
piccolo
,
l
'
anima
nostra
,
che
fa
?
salta
a
guardar
di
sopra
,
dalla
lente
più
grande
,
e
il
telescopio
allora
diventa
un
terribile
strumento
,
che
subissa
la
terra
e
l
'
uomo
e
tutte
le
nostre
glorie
e
grandezze
.
Fortuna
che
è
proprio
della
riflessione
umoristica
il
provocare
il
sentimento
del
contrario
;
il
quale
,
in
questo
caso
,
dice
:
Ma
è
poi
veramente
così
piccolo
l
'
uomo
,
come
il
telescopio
rivoltato
ce
lo
fa
vedere
?
Se
egli
può
intendere
e
concepire
l
'
infinita
sua
piccolezza
,
vuol
dire
ch
'
egli
intende
e
concepisce
l
'
infinita
grandezza
dell
'
universo
.
E
come
si
può
dir
piccolo
dunque
l
'
uomo
?
Ma
è
anche
vero
che
se
poi
egli
si
sente
grande
e
un
umorista
viene
a
saperlo
,
gli
può
capitare
come
a
Gulliver
,
gigante
a
Lilliput
e
balocco
tra
le
mani
dei
giganti
di
Brobdingnag
.
VI
Da
quanto
abbiamo
detto
finora
intorno
alla
speciale
attività
della
riflessione
nell
'
umorista
,
appare
chiaramente
quale
dell
'
arte
umoristica
necessariamente
sia
l
'
intimo
processo
.
Anch
'
essa
l
'
arte
,
come
tutte
le
costruzioni
ideali
o
illusorie
,
tende
a
fissar
la
vita
:
la
fissa
in
un
momento
o
in
varii
momenti
determinati
:
la
statua
in
un
gesto
,
il
paesaggio
in
un
aspetto
temporaneo
,
immutabile
.
Ma
,
e
la
perpetua
mobilità
degli
aspetti
successivi
?
e
la
fusione
continua
in
cui
le
anime
si
trovano
?
L
'
arte
in
genere
astrae
e
concentra
,
coglie
cioè
e
rappresenta
così
degli
individui
come
delle
cose
,
l
'
idealità
essenziale
e
caratteristica
.
Ora
pare
all
'
umorista
che
tutto
ciò
semplifichi
troppo
la
natura
e
tenda
a
rendere
troppo
ragionevole
o
almeno
troppo
coerente
la
vita
.
Gli
pare
che
delle
cause
,
delle
cause
vere
che
muovono
spesso
questa
povera
anima
umana
agli
atti
più
inconsulti
,
assolutamente
imprevedibili
,
l
'
arte
in
genere
non
tenga
quel
conto
che
secondo
lui
dovrebbe
.
Per
l
'
umorista
le
cause
,
nella
vita
,
non
sono
mai
così
logiche
,
così
ordinate
,
come
nelle
nostre
comuni
opere
d
'
arte
,
in
cui
tutto
è
,
in
fondo
,
combinato
,
congegnato
,
ordinato
ai
fini
che
lo
scrittore
s
'
è
proposto
.
L
'
ordine
?
la
coerenza
?
Ma
se
noi
abbiamo
dentro
quattro
,
cinque
anime
in
lotta
fra
loro
:
l
'
anima
istintiva
,
l
'
anima
morale
,
l
'
anima
affettiva
,
l
'
anima
sociale
?
E
secondo
che
domina
questa
o
quella
,
s
'
atteggia
la
nostra
coscienza
;
e
noi
riteniamo
valida
e
sincera
quella
interpretazione
fittizia
di
noi
medesimi
,
del
nostro
essere
interiore
che
ignoriamo
,
perché
non
si
manifesta
mai
tutt
'
intero
,
ma
ora
in
un
modo
,
ora
in
un
altro
,
come
volgano
i
casi
della
vita
.
Sì
,
un
poeta
epico
o
drammatico
può
rappresentare
un
suo
eroe
,
in
cui
si
mostrino
in
lotta
elementi
opposti
e
repugnanti
;
ma
egli
di
questi
elementi
comporrà
un
carattere
,
e
vorrà
coglierlo
coerente
in
ogni
suo
atto
.
Ebbene
,
l
'
umorista
fa
proprio
l
'
inverso
:
egli
scompone
il
carattere
nei
suoi
elementi
;
e
mentre
quegli
cura
di
coglierlo
coerente
in
ogni
atto
,
questi
si
diverte
a
rappresentarlo
nelle
sue
incongruenze
.
L
'
umorista
non
riconosce
eroi
;
o
meglio
,
lascia
che
li
rappresentino
gli
altri
,
gli
eroi
;
egli
,
per
conto
suo
,
sa
che
cosa
è
la
leggenda
e
come
si
forma
,
che
cosa
è
la
storia
e
come
si
forma
:
composizioni
tutte
,
più
o
meno
ideali
,
e
tanto
più
ideali
forse
,
quanto
pio
mostrare
pretesa
di
realtà
:
composizioni
ch
'
egli
si
diverte
a
scomporre
;
né
si
può
dir
che
sia
un
divertimento
piacevole
.
Il
mondo
,
lui
,
se
non
propriamente
nudo
,
lo
vede
,
per
così
dire
,
in
camicia
:
in
camicia
il
re
,
che
vi
fa
così
bella
impressione
a
vederlo
composto
nella
maestà
d
'
un
trono
con
lo
scettro
e
la
corona
e
il
manto
di
porpora
e
d
'
ermellino
;
e
non
componete
con
troppa
pompa
nelle
camere
ardenti
su
catafalchi
i
morti
,
perché
egli
è
capace
di
non
rispettar
neppure
questa
composizione
,
tutto
questo
apparato
;
è
capace
di
sorprendere
,
per
esempio
,
in
mezzo
alla
compunzione
degli
astanti
,
in
quel
morto
lì
,
freddo
e
duro
,
ma
decorato
e
in
marsina
,
un
qualche
borboglio
lugubre
nel
ventre
,
e
d
'
esclamare
(
poiché
certe
cose
si
dicono
meglio
in
latino
)
:
-
Digestio
post
mortem
.
Anche
quei
soldatacci
austriaci
della
poesia
del
Giusti
,
di
cui
ci
siamo
occupati
in
principio
,
son
veduti
in
fine
dal
poeta
come
tanti
poveri
uomini
in
camicia
:
sono
spogliati
cioè
di
quelle
loro
uniformi
odiose
,
nelle
quali
il
poeta
vede
un
simbolo
della
schiavitù
della
patria
.
Quelle
uniformi
compongono
nell
'
animo
del
poeta
una
rappresentazione
ideale
,
della
patria
schiava
;
la
riflessione
scompone
questa
rappresentazione
,
spoglia
quei
soldati
e
vede
in
essi
una
torma
di
poveretti
addogliati
e
derisi
.
L
'
uomo
è
un
animale
vestito
dice
il
Carlyle
nel
suo
Sartor
Resartus
la
società
ha
per
base
il
vestiario
.
E
il
vestiario
compone
anch
'
esso
,
compone
e
nasconde
:
due
cose
che
l
'
umorismo
non
può
soffrire
.
La
vita
nuda
,
la
natura
senz
'
ordine
almeno
apparente
,
irta
di
contradizioni
,
pare
all
'
umorista
lontanissima
dal
congegno
ideale
delle
comuni
concezioni
artistiche
,
in
cui
tutti
gli
elementi
,
visibilmente
,
si
tengono
a
vicenda
e
a
vicenda
cooperano
.
Nella
realtà
vera
le
azioni
che
mettono
in
rilievo
un
carattere
si
stagliano
su
un
fondo
di
vicende
ordinarie
,
di
particolari
comuni
.
Ebbene
,
gli
scrittori
,
in
genere
,
non
se
n
'
avvalgono
,
o
poco
se
ne
curano
,
come
se
queste
vicende
,
questi
particolari
non
abbiano
alcun
valore
e
siano
inutili
e
trascurabili
.
Ne
fa
tesoro
invece
l
'
umorista
.
L
'
oro
,
in
natura
,
non
si
trova
frammisto
alla
terra
?
Ebbene
,
gli
scrittori
ordinariamente
buttano
via
la
terra
e
presentano
l
'
oro
in
zecchini
nuovi
,
ben
colato
,
ben
fuso
,
ben
pesato
e
con
la
loro
marca
e
il
loro
stemma
bene
impressi
.
Ma
l
'
umorista
sa
che
le
vicende
ordinarie
,
i
particolari
comuni
,
la
materialità
della
vita
in
somma
,
così
varia
e
complessa
,
contradicono
poi
aspramente
quelle
semplificazioni
ideali
,
costringono
ad
azioni
,
ispirano
pensieri
e
sentimenti
contrarii
a
tutta
quella
logica
armoniosa
dei
fatti
e
dei
caratteri
concepiti
dagli
scrittori
ordinarii
.
E
l
'
impreveduto
che
è
nella
vita
?
E
l
'
abisso
che
è
nelle
anime
?
Non
ci
sentiamo
guizzar
dentro
,
spesso
,
pensieri
strani
,
quasi
lampi
di
follia
,
pensieri
inconseguenti
,
inconfessabili
finanche
a
noi
stessi
,
come
sorti
davvero
da
un
'
anima
diversa
da
quella
che
normalmente
ci
riconosciamo
?
Di
qui
,
nell
'
umorismo
,
tutta
quella
ricerca
dei
particolari
più
intimi
e
minuti
,
che
possono
anche
parer
volgari
e
triviali
se
si
raffrontano
con
le
sintesi
idealizzatrici
dell
'
arte
in
genere
,
e
quella
ricerca
dei
contrasti
e
delle
contradizioni
,
su
cui
l
'
opera
sua
si
fonda
,
in
opposizione
alla
coerenza
cercata
dagli
altri
;
di
qui
quel
che
di
scomposto
,
di
slegato
,
di
capriccioso
,
tutte
quelle
digressioni
che
si
notano
nell
'
opera
umoristica
,
in
opposizione
al
congegno
ordinato
,
alla
composizione
dell
'
opera
d
'
arte
in
genere
.
Sono
il
frutto
della
riflessione
che
scompone
.
Se
il
naso
di
Cleopatra
fosse
stato
più
lungo
,
chi
sa
quali
altre
vicende
avrebbe
avuto
il
mondo
.
E
questo
se
,
questa
minuscola
particella
che
si
può
appuntare
,
inserire
come
un
cuneo
in
tutte
le
vicende
,
quante
e
quali
disgregazioni
può
produrre
,
di
quanta
scomposizione
può
esser
causa
,
in
mano
d
'
un
umorista
come
,
ad
esempio
,
lo
Sterne
,
che
dall
'
infinitamente
piccolo
vede
regolato
tutto
il
mondo
!
Riassumendo
:
l
'
umorismo
consiste
nel
sentimento
del
contrario
,
provocato
dalla
speciale
attività
della
riflessione
che
non
si
cela
,
che
non
diventa
,
come
ordinariamente
nell
'
arte
,
una
forma
del
sentimento
,
ma
il
suo
contrario
,
pur
seguendo
passo
passo
il
sentimento
come
l
'
ombra
segue
il
corpo
.
L
'
artista
ordinario
bada
al
corpo
solamente
:
l
'
umorista
bada
al
corpo
e
all
'
ombra
,
e
talvolta
più
all
'
ombra
che
al
corpo
;
nota
tutti
gli
scherzi
di
quest
'
ombra
,
com
'
esca
ora
s
'
allunghi
ed
ora
s
'
intozzi
,
quasi
a
far
le
smorfie
al
corpo
,
che
intanto
non
la
calcola
e
non
se
ne
cura
.
Nelle
rappresentazioni
comiche
medievali
del
diavolo
,
troviamo
uno
scolare
che
per
farsi
beffe
di
lui
gli
dà
ad
acchiappare
la
propria
ombra
sul
muro
.
Chi
rappresentò
questo
diavolo
non
era
certamente
un
umorista
.
Quanto
valga
un
'
ombra
l
'
umorista
sa
bene
:
il
Peter
Schlemihl
di
Chamisso
informi
.