StampaPeriodica ,
Julien
Duvivier
è
uno
tra
i
pochissimi
registi
che
riescono
a
dare
all
'
opera
cinematografica
un
'
impronta
di
stile
personale
ed
inconfondibile
che
difficilmente
si
dimentica
.
Più
rigoroso
di
Chenal
,
più
incisivo
di
Carné
,
più
realistico
di
Feyder
,
più
profondo
di
Renoir
i
capisaldi
dell
'
ultima
regia
francese
è
oggi
indubbiamente
il
miglior
regista
di
cui
la
Francia
possa
vantare
.
Non
solo
,
ma
appartiene
anche
a
quell
'
esiguo
numero
di
mirabili
narratori
per
immagini
che
va
dai
Vidor
ai
Flaherty
,
dai
Capra
ai
Mamoulian
,
dai
Borzage
ai
Ford
.
È
uno
dei
pochissimi
,
insomma
,
che
abbia
compreso
nella
sua
integrità
il
mezzo
espressivo
«
cinema
»
compendiando
in
esso
tutti
quegli
elementi
che
ne
formano
lo
spettacolo
d
'
arte
.
Per
questa
sana
comprensione
che
ogni
regista
degno
di
tal
nome
dovrebbe
avere
non
farà
mai
,
punto
essenziale
e
fermo
nel
cinema
,
del
teatro
,
se
pur
teatro
finissimo
,
filmato
.
E
il
susseguirsi
dei
fotogrammi
che
parla
in
ogni
sua
pellicola
:
l
'
immagine
resta
sempre
alla
base
dell
'
espressione
di
eventi
e
stati
d
'
animo
:
le
sequenze
sempre
si
susseguono
alle
sequenze
,
le
angolazioni
alle
angolazioni
,
le
inquadrature
alle
inquadrature
:
tutte
accompagnate
da
un
ritmo
serrato
e
conciso
,
da
un
'
atmosfera
viva
,
fusa
,
pittoresca
.
Gli
attori
parlano
qualche
volta
con
retorica
ed
enfasi
,
ma
il
dialogo
non
grava
mai
sull
'
immagine
,
e
l
'
immagine
per
effetto
delle
lunghe
chiacchierate
,
sull
'
azione
.
E
la
narrazione
procede
ampia
,
magnifica
,
e
nello
stesso
tempo
semplice
,
sentita
,
genuina
lontana
da
convenzionalismi
e
da
luoghi
comuni
:
mirante
all
'
essenziale
e
al
particolare
insieme
.
Non
solo
,
poi
,
il
Nostro
ha
una
personalissima
ed
inconfondibile
maniera
d
'
inquadrare
,
di
muovere
la
macchina
(
carrellate
alla
Duvivier
)
,
di
narrare
conformemente
ai
canoni
fondamentali
del
cinema
vero
,
ma
ha
pure
un
proprio
punto
di
vista
rispetto
al
contenuto
e
all
'
intonazione
del
film
.
È
quasi
sempre
la
vita
degli
umili
e
dei
reietti
,
dei
perduti
nel
vizio
e
nell
'
imbroglio
,
dell
'
uomo
della
strada
e
del
trivio
,
dell
'
angiporto
e
del
quartiere
malfamato
,
che
lo
attrae
e
lo
appassiona
.
Sono
gli
infiniti
e
multiformi
drammi
di
questi
:
i
loro
casi
singoli
osservati
dai
fatti
crudi
,
scarni
,
scheletrici
di
cronaca
quotidiana
che
ritrae
in
ogni
più
piccolo
particolare
e
in
ogni
minuta
osservazione
e
sfumatura
.
Di
fronte
a
questo
materiale
umano
come
quasi
tutti
i
registi
francesi
d
'
oggi
Duvivier
è
un
osservatore
scettico
e
pessimista
;
di
uno
scetticismo
e
di
un
pessimismo
spesso
malato
e
morboso
,
che
giunge
più
volte
anche
a
negare
la
vita
come
gioia
di
vivere
,
come
libera
espressione
dell
'
anima
,
come
affermazione
dell
'
individuo
.
I
personaggi
che
ama
e
predilige
hanno
tutti
una
propria
fisionomia
,
un
proprio
sguardo
,
un
'
impronta
particolare
:
sono
esseri
senza
sorte
e
senza
speranza
e
,
incapaci
di
dominarsi
,
trasportati
dalla
corrente
verso
un
progressivo
fallimento
di
loro
stessi
:
dalla
più
torbida
desolazione
,
fino
al
delitto
e
al
suicidio
.
Per
convincersi
basta
osservare
le
sue
realizzazioni
,
dove
insieme
ad
una
stretta
analogia
di
indagine
umana
e
profonda
,
non
manca
mai
uno
scetticismo
impressionante
.
E
questo
eccezione
fatta
per
le
opere
a
carattere
religioso
«
Golgota
»
e
«
Credo
»
in
ogni
suo
film
.
Sia
che
realizzi
una
vicenda
eroica
,
«
La
Bandiera
»
;
o
un
intreccio
musicale
,
«
L
'
uomo
del
giorno
»
;
o
la
storia
drammatica
di
un
bimbo
incompreso
«
Pel
di
Carota
»
;
o
la
tumultuosa
ed
ardente
vita
di
un
fuori
legge
«
Pepé
le
Moko
»
;
o
la
descrizione
degli
ultimi
giorni
di
vecchi
attori
«
I
prigionieri
del
sogno
»
.
Ma
dove
il
pessimismo
di
Julien
Duvivier
raggiunge
vertici
di
traboccante
grigiore
e
malinconia
è
ne
«
La
bella
brigata
»
e
in
«
Carnet
de
bal
»
.
Entrambi
questi
film
sembrano
addirittura
ispirati
da
un
Schopenhauer
e
sceneggiati
da
un
Leopardi
nel
loro
momenti
di
più
cupo
abbandono
.
Nel
primo
,
i
sogni
,
le
aspirazioni
,
tutte
le
cose
belle
di
cinque
operai
svanite
insieme
alla
stessa
amicizia
e
solidarietà
,
ci
fa
vedere
la
vita
atrocemente
buia
.
Nel
secondo
:
il
crudo
dramma
di
una
donna
non
più
giovane
,
che
si
illude
di
rincorrere
il
passato
,
per
ritrovare
gli
amici
di
gioventù
e
riafferrare
con
essi
le
gioie
non
apprezzate
,
dipinge
la
vita
con
toni
di
morboso
scetticismo
.
(
Morboso
scetticismo
che
si
tramuta
alla
fine
nel
surrealista
«
Carro
fantasma
»
in
fede
,
redenzione
,
luce
irradiante
)
.
Affermare
dopo
tutto
questo
che
Duvivier
è
uno
scettico
,
sarebbe
troppo
poco
.
Per
essere
più
precisi
occorre
dire
che
è
un
entusiasta
del
pessimismo
.
E
l
'
unico
rimprovero
che
gli
si
può
fare
,
tra
i
tanti
elogi
,
è
proprio
questo
:
che
la
sua
tecnica
e
la
sua
arte
siano
volutamente
messe
al
servizio
di
soggetti
mai
sani
ed
irradianti
luce
;
ben
sapendo
purtuttavia
che
a
nessuno
,
e
neppure
a
noi
,
è
permesso
di
voler
far
sostituire
concetti
ed
intenzioni
proprie
a
quelle
dell
'
artista
.
Comunque
non
si
può
condannare
in
Duvivier
come
alcuni
hanno
fatto
l
'
artista
.
Non
è
possibile
stroncare
un
'
opera
d
'
arte
in
genere
solamente
perché
è
costruita
su
materia
non
sana
.
Occorre
in
questi
casi
saper
distinguere
il
mondo
etico
da
quello
estetico
.
Se
così
non
fosse
,
di
arte
ce
ne
sarebbe
ben
poca
.
Ecco
la
ragione
per
la
quale
non
possiamo
dissentire
Duvivier
quanto
ad
apprezzamenti
puramente
cinematografici
ed
artistici
.