StampaPeriodica ,
Le
obiezioni
al
disegno
di
legge
del
governo
sulla
disciplina
degli
spot
politici
sono
parecchie
.
Le
riassume
in
buona
parte
Andrea
Manzella
,
che
scrive
perentoriamente
così
:
«
L
'
iniziativa
del
governo
non
è
incostituzionale
.
È
soltanto
sbagliata
in
quattro
punti
»
.
Manzella
ha
ragione
sulla
incostituzionalità
:
non
c
'
è
.
Ma
sul
punto
principale
della
sua
critica
-
il
primo
dei
quattro
-
la
tesi
sbagliata
è
,
a
mio
vedere
,
la
tesi
di
Manzella
.
A
detta
del
Nostro
,
la
distinzione
tra
pubblicità
e
propaganda
sulla
quale
si
fonda
la
disciplina
proposta
dal
governo
è
una
«
distinzione
impossibile
»
.
Manzella
ne
è
sicuro
perché
«
gli
studiosi
che
si
sono
occupati
della
materia
(
come
Cesare
Pinelli
e
Antonella
Sciortino
)
avevano
avvertito
che
la
distinzione
non
poteva
reggere
dato
che
l
'
una
e
l
'
altra
forma
di
comunicazione
politica
utilizzano
le
stesse
tecniche
di
persuasione
e
di
semplificazione
del
linguaggio
»
.
Gli
studiosi
?
No
,
«
alcuni
»
studiosi
.
Vedi
caso
,
tra
gli
studiosi
dell
'
argomento
ci
sono
anche
io
(
me
ne
occupo
,
tra
l
'
altro
,
nella
Enciclopedia
del
Novecento
dell
'
Istituto
della
Enciclopedia
Italiana
,
e
dunque
in
una
sede
di
tutto
rispetto
)
e
la
mia
tesi
,
lì
e
altrove
,
è
che
la
distinzione
tra
pubblicità
e
propaganda
è
non
solo
possibile
ma
anche
necessaria
.
A
una
persona
esperta
di
mondo
e
smaliziata
come
Manzella
non
dovrebbe
sfuggire
,
tanto
per
cominciare
,
che
i
pubblicitari
sono
interessati
a
cancellare
la
distinzione
perché
a
loro
interessa
catturare
anche
il
mercato
della
politica
.
Per
loro
sono
tanti
quattrini
,
e
ai
pubblicitari
interessano
quasi
per
definizione
soltanto
i
quattrini
.
E
se
lei
,
senatore
Manzella
,
ha
mai
sentito
parlare
di
conflitto
di
interessi
,
allora
dovrebbe
stare
più
attento
alle
tesi
«
interessate
»
.
Tra
le
tante
differenze
tra
pubblicità
commerciale
e
propaganda
politica
mi
limito
qui
a
ricordare
che
la
prima
vende
beni
e
servizi
a
dei
consumatori
i
quali
,
consumando
,
bene
o
male
si
accorgono
se
un
bidone
è
un
bidone
.
La
propaganda
politica
vende
invece
promesse
(
parole
)
o
altrimenti
persone
.
Così
i
consumatori
della
propaganda
comunista
sono
stati
bidonati
per
settant
'
anni
,
e
chi
vota
(
compra
)
Berlusconi
non
lo
può
poi
mangiare
per
scoprire
se
è
un
buon
commestibile
.
La
stessa
cosa
,
senatore
Manzella
?
No
,
cose
diverse
.
E
ne
risulta
che
il
potenziale
di
imbroglio
e
di
dannosità
della
propaganda
politica
è
incommensurabilmente
maggiore
di
quello
della
pubblicità
commerciale
.
Pertanto
,
strabilio
nel
leggere
che
lei
raccomanda
di
«
lasciare
mano
libera
[...]
ai
pubblicitari
»
,
visto
che
questi
ultimi
sono
«
quelli
che
con
il
loro
mestiere
di
fantasia
riescono
a
leggere
e
rivelare
molta
più
politica
al
mondo
di
quanto
non
sia
più
capace
di
fare
la
politica
come
mestiere
»
.
Poveri
noi
,
e
povera
politica
.
Già
siamo
a
livelli
bassissimi
.
Con
l
'
aiuto
di
questa
raccomandazione
è
pressoché
sicuro
che
scenderà
a
livelli
ancor
più
bassi
.
Comunque
sia
,
l
'
argomento
di
Manzella
non
regge
in
punto
di
logica
.
In
buona
logica
una
distinzione
è
analiticamente
valida
se
individua
una
differenza
,
e
non
è
cancellata
dal
fatto
che
la
realtà
mescola
sempre
tutto
:
bene
e
male
,
bello
e
brutto
,
e
anche
,
appunto
,
propaganda
e
pubblicità
.
Domanda
:
se
nel
mondo
reale
bene
e
male
si
mescolano
,
ne
dobbiamo
forse
ricavare
che
sono
indistinguibili
?
Alla
stessa
stregua
,
anche
se
è
vero
che
i
pubblicitari
riducono
la
propaganda
politica
a
un
quissimile
della
vendita
di
un
dentifricio
,
è
lecito
ricavarne
che
sono
la
stessa
cosa
?
Ovviamente
no
.
Manzella
si
vanta
di
essere
«
strapaesano
»
(
vedi
«
Il
Foglio
»
del
31
luglio
)
e
sbeffeggia
i
poveretti
come
me
che
vanno
a
cercare
(
ma
nel
mio
caso
a
rifiutare
)
le
soluzioni
«
in
Australia
o
in
Israele
»
.
A
me
,
confesso
,
gli
strapaesani
fanno
paura
.
Se
Hitler
o
Mussolini
fossero
mai
stati
in
America
,
forse
si
sarebbero
fermati
.
Tornando
a
Manzella
,
non
so
se
gli
spot
statunitensi
lui
li
conosca
e
veda
.
Mi
sembra
di
no
.
Perché
se
li
vedesse
scoprirebbe
qual
è
la
china
dello
spot
politico
affidato
alla
«
fantasia
rivelatrice
»
dei
maghi
della
pubblicità
.
È
la
china
dello
spot
personale
,
puramente
negativo
ed
essenzialmente
diffamatorio
.
Un
candidato
attacca
l
'
altro
dicendo
che
ha
cornificato
la
moglie
,
che
discrimina
contro
gli
omosessuali
(
o
viceversa
)
e
che
in
gioventù
ha
sniffato
cocaina
.
A
Manzella
andrebbe
bene
così
?
Oppure
ritiene
anche
lui
che
questo
tipo
di
«
spottismo
»
non
è
solo
diverso
dalla
propaganda
politica
,
ma
che
ne
costituisce
una
degenerazione
inaccettabile
?
Il
punto
che
sfugge
in
questo
dibattito
è
che
finora
i
nostri
spot
sono
stati
decorosi
,
e
che
sono
stati
decorosi
perché
disciplinati
dalla
legge
del
1993
che
vietava
,
nei
trenta
giorni
prima
delle
elezioni
,
il
ricorso
a
messaggi
emotivi
e
spettacolari
e
consentiva
soltanto
l
'
esposizione
dei
programmi
politici
.
Ma
se
l
'
attacco
al
disegno
di
legge
del
governo
andrà
a
travolgere
,
come
Manzella
e
altri
fanno
temere
,
quei
limiti
,
allora
è
pressoché
sicuro
che
i
mercanti
della
pubblicità
di
casa
nostra
arriveranno
lestamente
agli
spot
negativi
tipo
Usa
.
Perché
nessuno
nega
che
lo
spot
negativo
sia
lo
spot
più
efficace
.
Il
punto
resta
se
vogliamo
ridurre
la
politica
a
un
bombardamento
di
escrementi
.