StampaPeriodica ,
Roma
.
Seicento
secondi
,
tra
le
nove
e
cinque
e
le
nove
e
quindici
di
giovedì
16
marzo
.
E
il
tempo
servito
alle
Brigate
Rosse
per
uccidere
cinque
agenti
di
scorta
,
rapire
il
presidente
della
DC
Aldo
Moro
,
far
perdere
le
proprie
tracce
e
assestare
un
colpo
allo
stomaco
della
fragile
Repubblica
italiana
.
Senza
commettere
un
solo
errore
,
con
una
perfezione
tecnica
che
ha
prodotto
nell
'
opinione
pubblica
un
disorientamento
forse
maggiore
di
quello
causato
dal
sequestro
di
Moro
in
sé
.
L
'
operazione
scatta
poco
prima
dell
'
alba
,
in
via
Brunetti
,
una
piccola
strada
vicino
a
piazza
del
Popolo
.
Qui
un
gruppo
di
«
sconosciuti
»
squarcia
le
quattro
ruote
del
pulmino
appartenente
al
fioraio
Antonio
Spiriticchio
.
Scopo
dell
'
azione
impedire
al
fioraio
di
andare
,
come
ogni
mattina
,
a
vendere
tulipani
e
mimose
all
'
angolo
tra
via
Stresa
e
via
Fani
.
Al
suo
posto
ci
sarà
uno
dei
dodici
brigatisti
(
la
donna
)
,
che
farà
da
palo
ai
rapitori
del
presidente
democristiano
.
Altri
quattro
,
travestiti
da
steward
delle
linee
aeree
,
si
nasconderanno
davanti
al
bar
Olivetti
,
da
mesi
chiuso
perché
fallito
.
Gli
altri
sette
saranno
sulle
cinque
automobili
e
sulla
Honda
che
subito
dopo
il
fulmineo
attacco
porteranno
i
terroristi
lontano
dal
luogo
del
rapimento
.
Alle
nove
e
quattro
compare
in
cima
a
via
Fani
l
'
automobile
su
cui
viaggia
Moro
,
seguita
a
pochi
metri
dalla
vettura
di
scorta
.
Il
leader
democristiano
,
diretto
alla
breve
messa
mattutina
cui
assiste
ogni
giorno
,
sta
sfogliando
i
giornali
seduto
sul
sedile
posteriore
.
Il
suo
taccuino
prevede
una
giornata
molto
importante
:
alla
Camera
si
discute
il
varo
del
governo
nato
dal
suo
lento
lavorio
durato
cinquantaquattro
giorni
.
Moro
continua
a
leggere
i
giornali
.
La
scorta
è
tranquilla
in
entrambe
le
vetture
.
Dopo
qualche
attimo
le
due
vetture
sono
superate
dall
'
automobile
dei
brigatisti
,
targata
corpo
diplomatico
;
questa
,
appena
giunta
davanti
al
bar
chiuso
frena
bruscamente
provocando
un
tamponamento
tra
la
macchina
di
Moro
e
quella
della
scorta
.
Quel
che
accade
nelle
frazioni
di
secondo
successive
non
è
ancora
stato
ricostruito
con
precisione
;
di
certo
si
sa
solo
che
i
brigatisti
hanno
colpito
uno
ad
uno
gli
uomini
della
scorta
(
solo
un
agente
è
riuscito
ad
uscire
dalla
macchina
e
a
sparare
tre
colpi
di
pistola
prima
di
essere
centrato
da
un
proiettile
in
fronte
)
,
afferrano
Moro
e
si
dileguano
per
via
Stresa
e
via
Trionfale
.
Di
lì
,
almeno
una
parte
di
loro
si
dirige
in
via
Belli
,
una
stradina
privata
per
accedere
alla
quale
è
necessario
tagliare
con
un
tronchese
una
catenella
,
poi
in
via
Massimi
e
infine
in
via
Licinio
Calvo
,
un
'
altra
piccola
strada
destinata
a
passare
alla
storia
come
simbolo
dell
'
inefficienza
della
polizia
italiana
.
Qui
,
infatti
,
alle
nove
e
venticinque
del
16
marzo
i
brigatisti
lasciano
una
sola
macchina
;
qualche
ora
dopo
ne
porteranno
un
'
altra
e
due
giorni
dopo
una
terza
.
Il
tutto
sotto
lo
sguardo
di
polizia
e
autorità
inquirenti
.
Quelle
stesse
autorità
inquirenti
che
intanto
fanno
trasmettere
per
TV
20
foto
di
«
brigatisti
»
la
metà
delle
quali
non
sono
di
brigatisti
,
due
sono
della
stessa
persona
e
altre
due
di
persone
già
in
prigione
da
tempo
.
Ma
queste
non
sono
le
sole
prove
di
inadeguatezza
e
smarrimento
offerte
dagli
inquirenti
in
questa
settimana
.
La
mattina
di
quel
giovedì
di
passione
,
politici
e
sindacalisti
avevano
tenuto
i
nervi
abbastanza
saldi
.
Certo
,
l
'
emozione
aveva
provocato
qualche
sbandamento
:
Carlo
Donat
Cattin
imputava
quant
'
era
accaduto
all
'
accordo
con
i
comunisti
per
dar
vita
al
nuovo
governo
Andreotti
,
Ugo
La
Malfa
chiedeva
l
'
introduzione
della
pena
di
morte
,
il
senatore
Giuseppe
Saragat
suggeriva
di
impiegare
i
paracadutisti
nella
guerra
alle
Brigate
Rosse
,
alcuni
deputati
DC
suggerivano
al
ministro
dell
'
Interno
Francesco
Cossiga
di
dimettersi
,
altri
erano
sopraffatti
da
crisi
di
pianto
.
Ma
nel
complesso
la
reazione
politica
(
scioperi
e
manifestazioni
convocati
a
metà
mattina
,
edizioni
straordinarie
dei
giornali
di
partito
)
era
riuscita
ad
arginare
la
paura
e
gli
isterismi
che
si
manifestavano
qua
e
là
nella
popolazione
(
accaparramento
di
generi
alimentari
e
rintanamento
nelle
case
ne
erano
apparsi
i
segnali
più
vistosi
)
.
La
proclamazione
dello
sciopero
generale
,
ripopolando
le
piazze
,
contribuì
a
sbloccare
queste
psicosi
.
Inizialmente
nel
Partito
comunista
qualcuno
,
come
Giancarlo
Pajetta
,
aveva
giudicato
sbagliata
la
decisione
di
Lama
,
Benvenuto
e
Macario
di
indire
lo
sciopero
.
Ma
doveva
ricredersi
quando
alle
Botteghe
Oscure
cominciarono
ad
arrivare
le
notizie
dalle
fabbriche
:
quasi
dappertutto
gli
operai
,
spesso
prima
ancora
delle
direttive
delle
confederazioni
,
avevano
incrociato
spontaneamente
le
braccia
.
Se
lo
sciopero
non
fosse
stato
indetto
,
si
sarebbe
verificato
un
clamoroso
caso
di
scavalcamento
.
Nel
pomeriggio
però
la
classe
politica
commise
i
primi
errori
:
il
dibattito
parlamentare
per
il
precipitoso
(
anche
se
giustificato
)
varo
del
governo
fu
trasmesso
in
televisione
senza
un
'
adeguata
chiave
di
lettura
,
col
risultato
che
buona
parte
dei
telespettatori
o
si
sentivano
disorientati
,
o
sospettarono
che
si
trattasse
d
'
un
diversivo
dal
vero
,
tragico
problema
del
momento
.
Lo
stesso
presidente
del
Consiglio
Giulio
Andreotti
,
forse
stremato
dalla
tensione
(
fra
l
'
esposizione
del
programma
alla
Camera
e
quella
al
Senato
fu
costretto
a
cambiare
l
'
abito
inzuppato
dal
sudore
e
fu
paralizzato
da
conati
di
vomito
)
,
non
offrì
ai
parlamentari
e
al
pubblico
quel
che
ci
si
attendeva
da
lui
:
un
chiaro
,
esauriente
punto
sulla
situazione
.
Emozione
e
urgenza
erano
comunque
buone
attenuanti
,
in
quei
primi
errori
.
Più
tardi
,
cioè
nei
giorni
immediatamente
successivi
,
non
lo
potevano
più
essere
.
I
giorni
successivi
sono
stati
occupati
da
tutti
i
partiti
in
un
estenuante
susseguirsi
di
vertici
che
portavano
a
risultati
poco
vistosi
.
Fu
senz
'
altro
una
consolazione
veder
seduti
a
uno
stesso
tavolo
Berlinguer
,
Zaccagnini
,
Craxi
,
Biasini
e
Romita
.
Ma
la
cosa
non
produsse
effetti
di
gran
rilievo
.
Lunghe
discussioni
sull
'
eventualità
di
mettere
una
taglia
da
un
miliardo
sui
rapitori
di
Moro
(
si
è
deciso
di
no
)
,
sull
'
opportunità
di
impiegare
l
'
esercito
nella
ricerca
dei
terroristi
(
si
è
deciso
di
sì
,
dopo
due
giorni
)
,
sulla
proclamazione
dello
stato
di
pericolo
pubblico
(
si
è
deciso
di
no
)
,
sull
'
istituzione
di
un
fermo
di
polizia
di
quattro
giorni
(
si
è
deciso
di
no
)
,
sul
potenziamento
delle
tecniche
e
dei
mezzi
(
si
è
rimasti
nel
generico
)
.
E
dopo
questa
sequela
di
esclusioni
e
rinvii
quali
misure
si
sono
adottate
?
Il
governo
ha
riesumato
i
provvedimenti
previsti
dall
'
accordo
del
luglio
scorso
.
Nel
frattempo
la
mobilitazione
popolare
cominciava
a
venir
meno
,
il
transatlantico
di
Montecitorio
iniziava
a
svuotarsi
(
sabato
e
domenica
è
rimasto
come
sempre
deserto
)
e
il
sequestro
di
Moro
stava
diventando
un
affare
di
normale
amministrazione
.
Intanto
cominciavano
a
parlare
gli
«
esegeti
»
.
Qualcuno
(
il
deputato
comunista
Antonello
Trombadori
,
il
democristiano
Andrea
Borruso
,
il
neoministro
del
Lavoro
Vincenzo
Scotti
)
ha
intravisto
in
ciò
che
è
successo
alla
fine
della
scorsa
settimana
quasi
una
prova
generale
in
vista
di
un
colpo
di
Stato
,
nessuno
di
loro
si
è
avventurato
alla
ricerca
di
chi
potrebbe
tentare
oggi
un
golpe
nel
nostro
paese
,
«
ma
bisogna
stare
ugualmente
attenti
perché
quando
lo
straordinario
diventa
ordinario
»
ha
detto
Scotti
parafrasando
un
motto
di
Che
Guevara
,
«
qualcuno
può
tentare
un
colpo
di
Stato
»
.
Quasi
a
suggerire
che
tra
non
molto
tempo
anche
il
rapimento
Moro
potrà
essere
considerato
come
un
fatto
ordinario
,
uno
tra
i
tanti
segnali
della
crisi
endemica
della
società
italiana
.
Se
e
quando
accadrà
,
quello
sarà
il
segno
che
l
'
Italia
è
entrata
in
una
di
quelle
fasi
della
storia
(
come
furono
la
crisi
della
Repubblica
di
Weimar
in
Germania
,
l
'
assassinio
di
Dollfuss
nel
'34
in
Austria
,
l
'
ondata
di
terrorismo
in
Spagna
alla
metà
degli
anni
Trenta
,
per
non
parlare
di
ciò
che
è
accaduto
in
quasi
tutta
l
'
America
latina
tra
gli
anni
Sessanta
e
l
'
inizio
degli
anni
Settanta
)
che
sfociano
nella
guerra
civile
,
nel
colpo
di
Stato
o
in
tutti
e
due
.
In
questo
senso
è
altrettanto
sintomatica
e
inquietante
la
comparsa
a
Milano
di
un
primo
«
squadrone
della
morte
»
(
uccisione
a
freddo
di
due
giovani
d
'
estrema
sinistra
a
Milano
)
.
Così
come
inquietante
è
il
modo
con
cui
stampa
,
televisione
,
partiti
sembrano
sperare
che
la
soluzione
dei
problemi
venuti
alla
luce
col
rapimento
di
Moro
possa
venire
indagando
meglio
su
che
tipo
di
«
testina
Ibm
»
abbia
battuto
il
messaggio
delle
Brigate
Rosse
,
o
ispezionando
con
maggiore
accuratezza
via
Licinio
Calvo
.
Fino
a
questo
momento
,
non
sembra
probabile
che
polizia
,
o
carabinieri
,
o
guardia
di
finanza
,
o
l
'
esercito
,
o
tecnici
inviati
dalla
Germania
federale
troveranno
la
«
prigione
del
popolo
»
in
cui
l
'
onorevole
Moro
è
rinchiuso
e
«
processato
»
.
Se
anche
ci
riuscissero
-
come
tutti
sperano
-
i
problemi
posti
da
questo
parossistico
acutizzarsi
della
violenza
politica
in
forme
nuove
e
terribilmente
efficaci
non
sarebbero
risolti
.
Andrebbero
affrontati
con
un
dibattito
approfondito
,
e
un
coinvolgimento
del
paese
senza
precedenti
:
prima
che
l
'
adozione
di
leggi
super
repressive
,
imposte
dal
succedersi
degli
eventi
prima
ancora
che
dalla
scelta
del
Parlamento
,
appaia
come
l
'
unica
via
praticabile
.
Intanto
,
al
processo
di
Torino
,
Curcio
e
suoi
amici
annunciano
il
processo
ad
Aldo
Moro
,
parlando
come
se
fossero
i
presidenti
di
un
«
controtribunale
»
.
E
il
presidente
del
tribunale
vero
,
mette
a
verbale
.