StampaPeriodica ,
Il
mio
trattato
di
Estetica
ha
richiamato
,
pei
rapporti
che
stabilisce
tra
Filosofia
dell
'
arte
e
Filosofia
del
linguaggio
,
l
'
attenzione
degli
studiosi
del
linguaggio
.
Ciò
mi
fa
piacere
,
perché
contribuirà
a
trasportare
i
problemi
estetici
in
ambienti
di
cultura
e
di
scienza
,
togliendoli
dalle
mani
degli
sfaccendati
sin
oficio
ni
beneficio
(
assai
simili
a
quegli
hombres
honrados
,
che
Sancho
trovò
nell
'
isola
di
Barataria
)
,
i
quali
,
a
tempo
perso
,
si
mettono
a
cercare
"
che
cosa
è
il
Bello
"
.
Ed
essendo
il
mio
libro
uscito
quasi
contemporaneamente
alla
vasta
opera
del
Wundt
sul
linguaggio
non
è
maraviglia
che
sia
accaduto
come
un
urto
tra
l
'
indirizzo
del
Wundt
,
e
quello
,
assai
diverso
,
che
io
cerco
di
promuovere
.
Anche
ciò
non
mi
dispiace
:
l
'
urto
,
ossia
il
confronto
,
metterà
in
mostra
le
virtù
e
le
deficienze
dell
'
uno
e
dell
'
altro
indirizzo
.
Una
manifestazione
di
questo
contrasto
è
nell
'
esame
che
il
dr
.
O
.
Dittrich
(
autore
di
un
'
opera
:
Grundzüge
der
Sprachpsychologie
,
e
di
uno
scritto
:
Die
Grenzen
der
Sprachwissenschaft
)
ha
rivolto
testé
al
mio
libro
,
ai
due
volumetti
del
Vossler
e
all
'
opera
del
Wundt
,
nella
"
Zeitschrift
für
romanische
Philologie
"
.
Il
Dittrich
,
seguace
del
Wundt
,
riconosce
che
la
mia
trattazione
è
"
logisch
straffe
und
lückenlose
"
(
p
.
472
)
,
o
,
come
dice
anche
,
che
ha
una
"
innere
logische
Geschlossenheit
"
(
p
.
476
)
;
e
mi
risparmia
(
e
di
ciò
gli
sono
grato
)
quelle
critiche
di
particolari
,
che
spesso
si
fondano
su
fraintendimenti
.
Ma
egli
afferma
che
le
mie
tesi
riposano
sopra
una
"
psicologia
da
lungo
tempo
superata
"
,
e
sopra
"
una
teoria
del
valore
affatto
inadoprabile
"
(
p
.
473
)
;
e
,
per
queste
due
ragioni
,
stima
di
gran
lunga
preferibile
l
'
indirizzo
del
Wundt
.
Non
che
il
Dittrich
non
nutra
qualche
speranza
di
portare
a
un
certo
componimento
le
mie
teorie
con
la
"
Psicologia
moderna
"
(
p
.
476
)
.
Il
punto
di
unione
a
lui
sembra
che
ci
sia
:
è
il
mio
concetto
dell
'
espressione
,
che
egli
mette
in
rapporto
col
concetto
wundtiano
dell
'
appercezione
.
Per
il
Wundt
,
l
'
appercezione
è
appunto
"
quella
forma
di
sintesi
creatrice
nella
quale
,
con
l
'
attenzione
come
sintomo
soggettivo
,
viene
in
atto
la
chiarezza
e
distinzione
oggettiva
di
singoli
elementi
e
gruppi
di
elementi
di
un
'
unità
totale
associativa
che
riempie
il
momento
della
coscienza
"
.
Senonché
questo
concetto
del
Wundt
è
meramente
psicologico
;
e
se
il
Croce
(
dice
il
Dittrich
)
accetta
l
'
identificazione
di
esso
col
suo
concetto
dell
'
espressione
,
entra
sì
,
in
rapporto
col
"
sistema
della
Psicologia
moderna
"
,
ma
è
un
uomo
perduto
;
o
,
meglio
,
salvato
,
ma
la
cui
teoria
estetica
e
linguistica
è
totalmente
fallita
.
Infatti
(
come
il
Dittrich
prova
)
,
dato
il
carattere
psicologico
dell
'
appercezione
del
Wundt
,
non
si
può
più
sostenere
,
come
io
sostengo
,
che
il
valore
estetico
sia
il
fatto
stesso
della
sintesi
,
ma
così
per
i
fatti
estetici
come
per
quelli
logici
e
morali
bisogna
porre
valori
transubiettivi
,
in
conformità
della
moderna
teoria
dei
valori
.
"
Il
valore
,
come
si
attua
o
si
deve
attuare
nell
'
oggetto
che
si
valuta
esteticamente
,
logicamente
o
eticamente
,
e
la
legge
del
valore
,
giacciono
di
là
della
psiche
dell
'
individuo
valutatore
;
e
valore
e
legge
del
valore
hanno
da
fare
con
questa
psiche
solamente
in
quanto
debbono
venire
riconosciuti
da
essa
in
forma
di
sentimento
di
valore
,
al
fine
di
esistere
per
essa
.
Per
tal
modo
l
'
estetico
deve
stabilire
le
leggi
transubiettive
della
intuizione
pregevole
(
wertvolle
)
,
il
logico
quelle
del
concetto
pregevole
(
partendo
per
ciò
dal
giudizio
pregevole
)
,
e
l
'
etico
quelle
del
volere
pregevole
"
(
p
.
479
)
.
Determinato
così
il
rapporto
tra
Psicologia
ed
Estetica
,
e
fermato
il
principio
della
transubiettività
dei
valori
,
è
chiaro
che
cade
l
'
identificazione
da
me
affermata
di
Estetica
e
Filosofia
del
linguaggio
.
L
'
importanza
delle
mie
teorie
dunque
(
per
quel
che
pare
al
Dittrich
)
sta
nell
'
accentuare
la
parte
della
psichicità
e
spiritualità
nel
linguaggio
;
il
che
,
per
altro
,
aveva
già
fatto
il
Wundt
medesimo
con
la
sua
teoria
del
linguaggio
come
funzione
psicofisica
(
p
.
486
)
.
Per
ogni
altro
rispetto
,
quel
tanto
che
c
'
è
di
buono
nella
mia
Estetica
,
pubblicata
nel
1902
,
si
trova
già
nell
'
Estetica
di
Jonas
Kohn
,
pubblicata
nel
1901
.
Mi
libero
subito
da
quest
'
ultima
osservazione
col
controsservare
,
non
già
,
come
potrei
,
che
la
parte
teorica
della
mia
Estetica
fu
pubblicata
nel
1900
e
perciò
un
anno
innanzi
il
libro
del
Kohn
(
non
mi
è
gradevole
portare
la
questione
su
questo
terreno
)
;
ma
che
le
parti
,
in
cui
il
Kohn
e
io
siamo
d
'
accordo
,
non
sono
altro
che
alcune
tesi
kantiane
,
la
cui
data
è
il
1790
.
Quanto
al
resto
,
il
Dittrich
ragiona
benissimo
:
se
io
ammettessi
l
'
identificazione
della
mia
sintesi
espressiva
con
l
'
appercezione
del
Wundt
,
ne
verrebbero
tutte
le
conseguenze
che
egli
trae
,
e
io
sarei
un
uomo
esteticamente
e
linguisticamente
perduto
.
Ma
proprio
quella
identificazione
io
non
ammetto
,
perché
la
mia
sintesi
espressiva
ha
valore
gnoseologico
e
non
psicologico
.
Se
le
si
vuole
trovare
precedenti
,
bisogna
pensare
non
all
'
appercezione
wundtiana
,
ma
alla
kantiana
attività
sintetica
dello
spirito
:
concetto
,
com
'
è
noto
,
niente
affatto
psicologico
,
e
che
valse
a
stabilire
la
profonda
distinzione
tra
Filosofia
dello
spirito
e
Psicologia
.
La
mia
psicologia
è
poco
moderna
?
Non
direi
,
perché
,
per
essere
antiquata
o
moderna
,
dovrebbe
essere
,
anzitutto
,
psicologia
.
Il
Dittrich
,
se
non
se
n
'
era
avveduto
prima
,
intenderà
da
quello
che
dico
ora
che
io
non
mi
aggiro
nel
campo
della
Psicologia
,
ma
in
quello
della
Gnoseologia
e
della
Filosofia
dello
spirito
;
e
perciò
gli
annunzi
delle
"
novità
"
psicologiche
non
possono
recarmi
nessuna
sorpresa
piacevole
o
spiacevole
,
e
anzi
mi
lasciano
indifferente
.
Vediamo
,
invece
,
se
sia
poco
moderna
la
mia
teoria
del
valore
,
la
quale
è
antidualistica
,
fondata
sul
concetto
che
la
realtà
e
il
valore
sono
il
medesimo
.
Ho
esposto
con
le
parole
stesse
del
Dittrich
la
teoria
che
egli
le
contrappone
come
modernissima
,
e
che
consiste
nel
porre
i
valori
come
transubiettivi
.
I
valori
starebbero
fuori
dello
spirito
press
'
a
poco
(
ho
scritto
una
volta
in
un
momento
di
buon
umore
)
come
lo
stellone
caudato
,
che
accompagna
i
re
magi
nel
presepe
.
Questa
"
modernissima
"
teoria
è
dunque
la
dottrina
herbartiana
,
o
addirittura
quella
scolastica
.
Sono
sicuro
che
il
Dittrich
,
se
continuerà
a
meditarvi
intorno
,
si
avvedrà
della
stranezza
di
codesto
intrudere
nello
spirito
dell
'
uomo
valori
transubiettivi
e
trascendenti
;
e
,
per
fargli
animo
,
gli
confesserò
che
anch
'
io
,
da
giovane
,
seguivo
siffatto
modo
di
vedere
,
ma
dovetti
poi
abbandonarlo
,
perché
una
più
attenta
e
prolungata
meditazione
me
ne
dimostrò
le
contradizioni
e
l
'
impossibilità
.
Concludo
.
A
intendere
la
natura
del
linguaggio
e
dell
'
arte
occorre
filosofia
e
non
già
psicologia
;
e
il
Wundt
è
psicologo
.
Per
liberare
dalle
difficoltà
preliminari
la
tesi
dell
'
identità
del
linguaggio
con
l
'
arte
bisogna
concepire
dialetticamente
il
problema
del
bello
e
del
brutto
,
del
valore
e
del
disvalore
;
e
il
Wundt
è
intellettualista
,
non
dialettico
.
Per
fare
che
codesti
studî
progrediscano
è
necessario
risalire
alla
migliore
tradizione
del
pensiero
tedesco
;
e
il
Wundt
,
per
l
'
origine
e
pel
metodo
del
suo
lavoro
,
più
che
a
quello
si
congiunge
al
pensiero
empirico
inglese
e
americano
.
Non
è
stato
per
l
'
appunto
il
prof
.
Wundt
,
che
è
passato
sopra
con
iscarsa
reverenza
alle
teorie
linguistiche
del
geniale
Guglielmo
di
Humboldt
,
imitando
i
diportamenti
dell
'
americano
Whitney
?
E
non
sono
stato
io
(
in
questo
più
tedesco
di
lui
,
ma
tedesco
del
buon
vecchio
tempo
)
a
prendere
le
parti
dello
Humboldt
contro
l
'
americanizzante
professore
tedesco
?
Riuniti
ora
nel
volume
citato
:
Idealismo
e
positivismo
nella
scienza
del
linguaggio
(
Bari
,
Laterza
,
1908
)
.
Vol
.
XXX
,
1906
,
fasc
.
4
,
pp
.
472-487
.
-
il
VOSSLER
ha
risposto
,
per
la
parte
che
lo
concerne
,
nell
'
"
Archiv
für
das
Studium
der
neueren
Sprachen
und
Literaturen
"
,
CXVIII
,
pp
.
253-257
.
StampaPeriodica ,
L
'
idea
di
una
lingua
universale
è
la
sublimazione
del
falso
concetto
che
si
è
avuto
per
il
passato
e
si
ha
ancora
d
'
ordinario
circa
il
linguaggio
.
Questo
falso
concetto
consiste
nel
credere
che
il
linguaggio
sia
un
congegno
che
l
'
uomo
si
è
foggiato
per
comunicare
ai
suoi
simili
il
proprio
pensiero
.
Secondo
siffatto
modo
di
vedere
,
il
pensiero
starebbe
dapprima
,
nella
mente
dell
'
uomo
,
senza
linguaggio
:
il
linguaggio
gli
si
aggiungerebbe
poi
,
per
atto
pratico
,
in
vista
dell
'
utile
e
del
comodo
.
E
poiché
i
congegni
nascono
rozzi
e
si
perfezionano
via
via
nel
corso
dei
secoli
,
non
è
maraviglia
che
,
assimilato
a
essi
,
il
parlare
effettivo
degli
uomini
,
cioè
il
linguaggio
quale
si
è
storicamente
formato
,
appaia
quasi
un
lavorare
con
istrumenti
vecchi
o
addirittura
barbarici
,
riadattati
alla
meglio
ma
sempre
pesanti
e
incomodi
,
e
sorga
il
desiderio
di
sostituire
a
quei
vecchi
strumenti
o
di
possedere
accanto
a
quelli
uno
strumento
nuovo
,
costruito
di
sana
pianta
.
Pel
quale
si
farà
tesoro
,
sì
,
delle
esperienze
secolari
,
ma
ci
si
atterrà
a
criterî
razionali
che
permettano
di
raggiungere
più
facilmente
e
meglio
il
fine
della
comunicazione
.
I
fucili
a
ripetizione
hanno
sostituito
quelli
a
pietra
;
i
treni
-
lampo
le
vecchie
diligenze
:
perché
mai
il
linguaggio
ultimo
-
modello
non
sostituirebbe
il
rappezzato
neolatino
,
il
frondoso
tedesco
e
l
'
ibrido
inglese
?
Il
falso
concetto
del
linguaggio
è
evidente
in
tutti
i
vagheggiatori
e
promotori
di
una
lingua
universale
:
dal
Cartesio
e
dal
Leibniz
,
giù
giù
fino
al
dottor
Zamenhof
,
inventore
dell
'
Esperanto
,
e
ai
signori
Couturat
e
Léau
,
membri
della
"
Delegazione
per
l
'
adottamento
di
una
lingua
internazionale
ausiliare
"
e
autori
della
Histoire
de
la
langue
universelle
.
A
Cartesio
(
com
'
è
noto
)
pareva
cosa
agevole
foggiare
una
lingua
universale
,
nella
quale
si
avesse
un
modo
solo
di
declinare
,
di
coniugare
e
di
costruire
le
parole
,
e
non
fossero
verbi
difettivi
o
irregolari
,
"
qui
sont
toutes
choses
venues
de
la
corruption
de
l
'
usage
"
.
Il
dottor
Zamenhof
,
fin
dal
tempo
che
seguiva
gli
studi
letterarî
nel
ginnasio
di
Varsavia
,
si
persuase
che
"
la
complexité
des
grammaires
naturelles
était
une
richesse
vaine
et
encombrante
,
et
se
mit
à
élaborer
une
grammaire
simplifiée
"
.
I
signori
Couturat
e
Léau
accettano
in
proposito
la
conclusione
a
cui
pervenne
già
nel
1855
il
Renouvier
:
che
una
lingua
internazionale
debba
essere
"
empirique
par
son
vocabulaire
et
philosophique
(
c
'
est
-
à
-
dire
,
rationnelle
)
par
sa
grammaire
"
.
Ed
ecco
che
cosa
essi
pensano
dei
linguaggi
esistenti
:
"
toute
langue
littéraire
est
,
plus
ou
moins
,
artificielle
"
.
E
della
poesia
:
"
qu
'
y
a
-
t
-
il
de
plus
artificiel
,
en
tout
cas
,
que
la
poésie
?
et
dans
quel
pays
est
-
il
naturel
de
parler
en
vers
?
"
.
Dinanzi
a
codeste
affermazioni
si
rimane
sbalorditi
.
Che
Cartesio
e
Leibniz
non
avessero
ancora
inteso
la
natura
del
linguaggio
,
si
spiega
per
le
condizioni
del
pensiero
ai
tempi
loro
.
Ma
,
sulla
fine
del
secolo
decimonono
o
sui
principi
del
ventesimo
,
udire
ripetere
ancora
che
le
lingue
sono
irrazionali
,
che
contengono
elementi
inutili
,
che
possono
venir
semplificate
per
mezzo
della
logica
,
che
la
poesia
è
un
fatto
artificiale
,
è
cosa
non
sopportabile
.
I
moderni
dissertatori
intorno
al
linguaggio
universale
,
che
si
valgono
di
concetti
come
quelli
dei
quali
si
è
dato
saggio
,
dovrebbero
,
a
mio
parere
,
non
già
essere
ammessi
alla
discussione
,
ma
rimandati
puramente
e
semplicemente
a
studiare
che
cosa
il
linguaggio
sia
.
È
chiaro
che
sulla
Filosofia
del
linguaggio
non
debbono
aver
mai
meditato
sul
serio
.
L
'
hanno
creduta
facile
,
di
quelle
cognizioni
che
si
posseggono
come
per
buon
senso
naturale
;
ed
è
invece
difficile
e
di
faticoso
acquisto
.
I
promotori
della
lingua
universale
dichiarano
di
avere
ormai
affatto
abbandonato
l
'
antica
pretesa
di
una
lingua
filosofica
,
rispondente
ai
concetti
esattamente
determinati
delle
cose
:
quella
lingua
filosofica
della
quale
Cartesio
diceva
per
l
'
appunto
:
"
l
'
invention
de
cette
langue
dépend
de
la
vraye
philosophie
"
.
E
non
hanno
difficoltà
a
riconoscere
che
,
non
essendo
ancora
la
scienza
bella
e
fatta
,
e
mutando
anzi
di
continuo
,
una
lingua
di
tal
sorta
è
impossibile
.
Ma
con
ciò
non
si
è
superato
l
'
errore
,
il
quale
non
nasceva
già
dal
presupposto
della
scienza
perfetta
:
la
lingua
desiderata
sarebbe
stata
certamente
tanto
più
perfetta
quanto
più
perfetta
la
scienza
che
le
servisse
di
base
,
ma
avrebbe
,
anche
nell
'
ipotesi
di
una
scienza
imperfetta
,
rappresentato
pur
sempre
un
progresso
grande
rispetto
al
linguaggio
volgare
,
perché
la
scienza
degli
scienziati
,
imperfetta
che
sia
,
vale
sempre
meglio
delle
credenze
del
volgo
.
L
'
errore
,
invece
,
in
quella
idea
di
una
lingua
filosofica
era
né
più
né
meno
il
medesimo
in
cui
s
'
incorre
ora
con
l
'
idea
della
lingua
universale
;
vale
a
dire
,
concepire
il
linguaggio
come
qualcosa
d
'
estrinseco
e
di
fissabile
.
Questo
errore
non
è
stato
punto
superato
.
Supposti
due
individui
i
quali
abbiano
gli
stessissimi
pensieri
intorno
a
un
oggetto
,
non
per
ciò
essi
potranno
mai
parlare
una
lingua
comune
a
entrambi
,
identica
in
entrambi
.
Ciascuno
dei
due
parlerà
a
modo
suo
,
cioè
in
modo
corrispondente
al
proprio
animo
e
alla
propria
fantasia
;
ciascuno
con
certe
immagini
,
certi
suoni
,
certi
giri
di
periodi
,
certi
gesti
e
certe
enfasi
,
che
non
possono
essere
identici
alle
immagini
,
ai
suoni
,
ai
periodi
,
ai
gesti
e
alle
enfasi
,
con
cui
si
esprime
l
'
altro
.
Il
linguaggio
,
insomma
,
cioè
il
parlare
,
è
nella
sua
realtà
spontaneo
,
individuale
,
variabile
;
e
il
linguaggio
,
che
si
domandava
,
quel
linguaggio
comune
,
sarebbe
dovuto
essere
artificiale
,
universale
e
fisso
,
negando
così
la
natura
universale
del
linguaggio
,
contradicendo
con
l
'
aggettivo
il
sostantivo
.
E
(
si
noti
bene
)
la
diversità
del
parlare
secondo
gl
'
individui
e
le
.
situazioni
psicologiche
in
cui
ciascuno
di
essi
si
trova
,
non
esclude
il
reciproco
intendersi
;
perché
intendere
vuol
dire
appunto
adeguarsi
alla
psicologia
altrui
movendo
dalla
propria
e
a
questa
tornando
.
Se
gli
uomini
potessero
parlare
tutti
allo
stesso
modo
,
sarebbero
tutti
identici
;
con
che
non
s
'
intenderebbero
già
meglio
,
ma
si
scioglierebbero
tutti
insieme
nell
'
indistinto
,
e
il
mondo
non
esisterebbe
.
Per
le
ragioni
che
ho
esposte
o
ricordate
,
l
'
idea
di
una
lingua
universale
resterà
sempre
un
'
utopia
della
specie
più
stolta
,
perché
utopia
del
contradittorio
.
Essa
non
cesserà
di
esercitare
un
certo
fascino
su
qualche
spirito
irriflessivo
;
così
come
vi
sarà
sempre
taluno
che
si
domanderà
perché
mai
,
consistendo
la
musica
in
combinazioni
di
note
,
e
la
pittura
in
combinazioni
di
colori
,
e
la
poesia
in
combinazioni
di
parole
,
non
si
possono
ottenere
nuove
e
meravigliose
musiche
,
pitture
,
poesie
mercé
macchine
combinatorie
,
facendo
a
meno
di
quella
rara
e
costosa
materia
prima
,
che
si
chiama
la
genialità
dell
'
artista
.
E
come
vi
sarà
sempre
qualche
fanciullo
che
si
domanderà
perché
mai
i
popoli
facciano
le
guerre
distruggendo
pazzamente
vite
umane
e
ricchezze
con
tanta
fatica
prodotte
,
laddove
potrebbero
decidere
le
loro
contese
con
duelli
singolari
,
al
modo
di
quello
degli
Orazi
e
dei
Curiazi
e
degli
altri
,
che
non
poterono
avere
effetto
,
tra
Pietro
d
'
Aragona
e
Carlo
d
'
Angiò
,
tra
Francesco
I
e
Carlo
V
.
Ma
,
ai
giorni
nostri
,
sembra
che
la
ricerca
del
linguaggio
universale
abbia
mutato
carattere
.
Una
lingua
universale
,
o
,
come
volentieri
la
chiamano
,
una
"
lingua
internazionale
sussidiaria
"
,
viene
richiesta
da
politici
e
commercianti
,
da
scienziati
(
di
quelli
che
girano
per
tutti
i
congressi
)
,
da
logici
matematici
(
inventori
di
specifici
pel
retto
e
comodo
pensare
)
,
e
da
altri
di
simigliante
genìa
;
e
la
richiesta
è
confortata
dall
'
osservazione
di
certi
fatti
che
già
esistono
e
che
si
approssimano
a
quel
che
si
desidera
:
quali
sarebbero
le
lingue
franche
o
i
sabir
della
costa
mediterranea
e
di
altri
paesi
,
la
fortuna
e
la
diffusione
prima
del
Volapük
e
ora
dell
'
Esperanto
,
la
crescente
quantità
di
parole
comuni
che
si
osserva
nei
linguaggi
della
civiltà
europea
,
le
terminologie
e
notazioni
scientifiche
internazionali
;
e
altrettali
.
Perché
mai
un
autorevole
consesso
,
come
l
'
Accademia
delle
accademie
(
bel
nome
,
che
par
modellato
su
quello
del
Cantico
dei
cantici
)
,
o
altro
che
sia
,
composto
di
delegati
dei
varî
Stati
,
non
potrebbe
fissare
un
complesso
di
segni
fonici
,
scelti
con
pratico
buon
senso
,
e
agevolare
con
tale
deliberato
la
comunicazione
dei
pensieri
tra
persone
di
diverso
linguaggio
?
Qual
'
è
l
'
impossibilità
intrinseca
di
questo
desiderio
?
Non
si
vede
.
Senza
dubbio
,
l
'
enunciato
desiderio
non
ha
alcuna
impossibilità
intrinseca
,
e
anzi
si
è
già
in
parte
effettuato
e
si
potrà
effettuare
in
séguito
anche
più
largamente
.
Ma
,
in
ogni
caso
,
quel
che
si
ottiene
a
questo
modo
(
ecco
il
punto
importante
)
o
non
è
lingua
o
non
è
universale
.
Mettere
in
corrispondenza
certi
suoni
,
arbitrariamente
foggiati
,
con
certe
idee
ed
espressioni
non
è
propriamente
parlare
,
ma
formare
una
convenzione
.
Si
può
convenire
,
per
es
.
,
che
quel
che
gl
'
italiani
chiamano
"
pane
"
,
e
i
francesi
"
pain
"
,
e
i
tedeschi
"
brot
"
,
e
gl
'
inglesi
"
bread
"
,
sia
indicato
col
suono
"
puk
"
;
quel
che
si
dice
"
voglio
,
je
veux
,
ich
will
,
I
will
"
,
sia
indicato
col
suono
"
ro
"
;
onde
"
ro
puk
"
si
tradurrà
nelle
rispettive
lingue
:
"
io
voglio
un
pezzo
di
pane
"
.
Ma
con
questa
convenzione
non
si
è
data
vita
a
nessun
linguaggio
:
il
linguaggio
è
l
'
uomo
che
parla
,
nell
'
atto
che
parla
.
La
convenzione
può
avere
pretese
di
universalità
ed
essere
universalmente
imposta
o
universalmente
accettata
;
ma
l
'
aggettivo
"
universale
"
cerca
qui
invano
il
sostantivo
"
linguaggio
"
.
Perché
questo
sostantivo
sia
al
suo
posto
,
perché
si
abbia
linguaggio
,
è
necessario
che
i
vari
individui
,
che
compongono
l
'
ipotetica
società
aderente
alla
convenzione
,
prendano
a
parlare
,
dicendo
:
"
ro
puk
"
,
per
dire
che
vogliono
il
pane
.
Ma
,
non
appena
quella
convenzione
si
traduce
in
linguaggio
,
ecco
che
cessa
di
esser
convenzione
,
diventa
un
semplice
dato
naturale
,
un
'
impressione
,
un
fatto
psichico
,
che
lo
spirito
di
ciascun
parlante
risente
ed
elabora
a
suo
modo
:
un
dato
,
il
quale
è
entrato
con
altri
nella
psiche
del
parlante
,
che
lo
trasforma
in
linguaggio
vivo
,
facendone
la
sintesi
estetica
insieme
con
le
altre
impressioni
,
che
parimente
sono
entrate
in
lui
.
La
convenzione
cessa
per
tal
modo
di
essere
convenzione
,
perché
si
è
individualizzata
.
In
ciascun
individuo
,
e
in
ciascun
atto
del
parlare
,
quei
suoni
"
ro
puk
"
acquistano
un
particolare
significato
o
,
ch
'
è
lo
stesso
,
una
particolare
sfumatura
di
significato
.
Prima
si
aveva
l
'
universale
,
ma
non
la
lingua
;
ora
si
ha
bensì
la
lingua
,
ma
non
più
l
'
universale
.
Questa
obiezione
,
che
la
parola
convenuta
perda
la
sua
fissità
,
quando
entra
nell
'
uso
vivo
del
parlare
;
che
quel
solido
,
per
così
dire
,
caduto
nel
flusso
di
un
liquido
,
si
liquefaccia
anch
'
esso
;
-
è
stata
mossa
ai
sostenitori
della
lingua
universale
o
è
stata
in
qualche
modo
adombrata
,
quando
si
è
notato
che
la
lingua
universale
sarà
variamente
pronunciata
dai
vari
individui
,
e
che
sarà
alterata
dai
vari
popoli
secondo
le
tendenze
e
i
precedenti
di
ciascuno
e
secondo
tutte
le
circostanze
e
vicende
storiche
.
I
difensori
della
lingua
universale
,
non
avvertendo
forse
la
gravità
dell
'
obiezione
,
hanno
risposto
:
che
,
ammesso
pure
che
la
pronunzia
sia
causa
di
alterazioni
,
la
lingua
universale
resterà
sempre
utile
per
le
comunicazioni
scritte
;
che
le
alterazioni
temute
non
avranno
luogo
,
com
'
è
provato
da
esperienze
fatte
col
Volapüik
e
con
l
'
Esperanto
;
che
la
lingua
artificiale
non
sarà
sottomessa
agli
stessi
motivi
di
alterazione
,
operanti
nelle
lingue
storiche
,
perché
dovrà
servire
solo
per
certi
determinati
scambi
e
sarà
frenata
da
una
tradizione
e
da
una
letteratura
di
modelli
classici
;
che
le
mutazioni
,
riconosciute
opportune
,
potranno
essere
introdotte
,
cautamente
,
dall
'
autorità
medesima
,
costitutrice
di
quel
linguaggio
;
e
così
via
.
Ma
sono
tutte
risposte
le
quali
,
come
si
vede
,
non
giungono
a
eliminare
l
'
obiezione
in
quel
che
ha
di
sostanziale
.
Il
vero
è
che
nessuna
parola
è
qualcosa
di
fissabile
astrattamente
,
ma
ciascuna
attinge
significato
dalla
connessione
in
cui
si
trova
,
e
da
cui
non
è
separabile
se
non
per
violenta
mutilazione
.
E
quel
che
accade
per
le
parole
delle
così
dette
lingue
naturali
,
accade
del
pari
per
quelle
che
hanno
,
sì
,
il
loro
motivo
extralinguistico
in
una
convenzione
,
ma
il
cui
motivo
linguistico
è
,
come
per
tutte
le
altre
,
nella
spontaneità
e
naturalità
del
parlare
,
ritraente
le
svariate
e
mutabili
impressioni
dell
'
animo
umano
.
Non
si
tratta
,
dunque
,
di
quelle
sole
alterazioni
che
s
'
introdurrebbero
saltuariamente
e
accidentalmente
nel
corso
degli
anni
o
dei
secoli
;
ma
di
quelle
,
continue
,
che
s
'
introducono
a
ogni
attimo
.
La
mutabilità
incoercibile
del
linguaggio
,
e
della
convenzione
divenuta
che
sia
anch
'
essa
linguaggio
,
non
esclude
,
certamente
,
che
la
convenzione
,
tradotta
in
linguaggio
,
possa
avere
qualche
utilità
.
Per
certi
fini
pratici
,
quel
che
importa
è
non
la
fissità
rigorosa
,
ma
quella
approssimativa
,
nella
quale
si
trascurano
le
sfumature
e
si
considera
un
'
espressione
all
'
ingrosso
.
Epperò
l
'
Esperanto
,
e
altre
convenzioni
dello
stesso
genere
,
potranno
avere
la
loro
utilità
,
piccola
o
grande
che
sia
,
per
certi
tempi
e
per
certi
luoghi
.
Ridotta
la
cosa
in
questi
confini
,
essa
è
d
'
interesse
e
di
competenza
dei
pratici
,
alle
cure
dei
quali
bisogna
commetterla
e
lasciarla
.
Ma
,
sotto
l
'
aspetto
scientifico
,
conviene
insistere
nell
'
affermazione
che
la
così
detta
lingua
universale
si
risolve
in
un
processo
diviso
in
due
stadî
,
il
primo
dei
quali
(
convenzione
)
è
universale
ma
non
è
lingua
,
il
secondo
(
parlare
effettivo
)
è
lingua
ma
non
più
universale
.
Perché
,
al
filosofo
importa
che
l
'
umile
questione
pratica
di
un
possibile
espediente
atto
ad
agevolare
certi
generi
di
scambî
spirituali
non
faccia
sorgere
,
o
non
rafforzi
,
idee
false
(
e
già
troppe
ne
vanno
in
giro
)
intorno
alla
natura
del
linguaggio
.
Paris
,
Hachette
,
1903
,
8°
gr
.
,
pp
.
xxx-576
.
Op
.
cit
.
,
p
.
305
.
Op
.
cit
.
,
p
.
514
.
Op
.
cit
.
,
p
.
566
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
113-115
,
548
.
Purtroppo
il
gran
Leibniz
,
in
conseguenza
dei
suoi
errati
concetti
circa
il
linguaggio
,
fu
uno
di
questi
"
taluni
"
e
sognò
di
poter
comporre
con
metodo
infallibile
e
quasi
dimostrativo
poemi
e
canti
"
très
beaux
"
;
al
modo
stesso
che
un
predecessore
di
lui
,
il
padre
Kircher
,
nella
Musurgia
,
pretendeva
insegnare
l
'
arte
di
comporre
arie
senza
sapere
di
musica
.
Si
veda
La
logique
de
Leibniz
,
d
'
après
des
documents
inédits
,
par
L
.
COUTURAT
(
Paris
,
Alcan
,
1901
)
,
p
.
63
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559
e
565
.
Cfr
.
la
rivista
"
Leonardo
"
,
fasc
.
di
novembre
1904
,
p
.
37
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559-569
.
StampaPeriodica ,
Beh
?
chiese
stupita
la
ragazza
col
costumino
rosso
al
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
che
stava
coll
'
occhio
incollato
al
buco
della
cabina
Beh
?
Che
state
facendo
?
Il
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
si
alzò
.
Aveva
gambe
magre
e
pelose
(
volete
divenir
pelosi
in
pochi
giorni
?
Volete
avere
peli
lunghissimi
e
talvolta
superflui
?
Acqua
ossigenata
Pop
!
Ogni
goccia
un
ciuffetto
)
I
salti
mortali
!
rispose
calmissimo
e
ironico
.
Tacque
un
momento
fissando
la
ragazza
Ma
non
lo
vedete
?
Sto
guardando
da
questo
buco
.
Perché
...
seguitò
poi
vedendo
il
gesto
stizzito
della
ragazza
col
costumino
rosso
(
volete
divenir
rossi
?
Guantone
Pop
!
Uno
schiaffone
la
mattina
appena
alzati
vuoi
sulla
guancia
destra
,
vuoi
sulla
sinistra
!
Rossi
in
pochi
giorni
)
perché
,
vi
dà
fastidio
?
La
ragazza
col
costumino
rosso
batté
nervosamente
i
piedi
sulla
sabbia
(
sabbia
Pop
!
La
sola
che
tirata
negli
occhi
ti
renda
definitivamente
cieco
)
Che
razza
di
villano
mascalzone
cominciò
corrugando
le
sopracciglia
Mi
chiedete
anche
se
...
Vacce
piano
con
le
parole
,
vacce
piano
!
interruppe
il
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
Sennò
mannaggia
la
miseria
aggiunse
facendo
l
'
atto
di
darle
un
ceffone
(
ceffone
Pop
!
L
'
unico
che
,
una
volta
ricevuto
,
vi
faccia
sorridere
per
ore
e
ore
e
vi
faccia
mormorare
"
Datemi
del
fieno
!
"
)
.
La
ragazza
col
costumino
rosso
sbuffò
Bella
prodezza
!
Guardare
le
ragazze
dal
buco
della
cabina
!
Ripeto
,
siete
un
mascalzone
!
(
è
in
vendita
in
tutte
le
librerie
il
manuale
Pop
Come
si
diventa
mascalzone
.
In
meno
di
dieci
giorni
saprete
sputare
con
sicurezza
e
precisione
in
testa
a
signori
calvi
,
saprete
fare
cianchettoni
ai
cavalli
stanchi
e
assonnati
,
e
saprete
fare
pernacchie
agli
usignuoli
come
ricompensa
al
loro
canto
)
.
Ci
fu
una
pausa
,
Il
sole
era
tutto
oro
...
il
mare
calmo
con
qualche
fremito
di
sudore
...
la
sabbia
fina
fina
,
bianca
...
Poi
il
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
parlò
Ma
forse
voi
signorina
non
sapete
che
questo
buco
l
'
ho
fatto
io
...
Tacque
un
momento
guardando
la
ragazza
.
Io
,
col
trapano
Pop
!
La
ragazza
col
costumino
rosso
si
morse
un
dito
Ma
dite
la
verità
?
chiese
poi
dubbiosa
.
II
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
si
portò
una
mano
al
cuore
.
Allora
quand
'
è
così
seguitò
la
ragazza
un
poco
imbarazzata
quand
'
è
così
vado
subito
in
cabina
...
e
voi
guardate
!
Sulla
riva
un
bambino
completamente
rapato
guazzava
nell
'
acqua
.
Trapano
Pop
!
Quando
il
buco
è
fatto
col
trapano
Pop
,
farsi
guardare
signore
e
signorine
è
in
verità
un
piacere
senza
fine
!
StampaPeriodica ,
Il
Trombetti
pubblica
i
principali
risultati
del
lavoro
al
quale
attende
da
molti
anni
,
diretto
a
dimostrare
l
'
unità
d
'
origine
del
linguaggio
.
Ma
poiché
,
sia
per
il
premio
reale
dei
Lincei
conferito
nel
passato
anno
all
'
autore
,
e
per
il
gran
discorrere
che
ne
seguì
nei
giornali
,
e
per
la
cattedra
speciale
per
lui
istituita
,
sia
per
altre
cause
che
indicheremo
,
si
è
fatta
molta
confusione
intorno
alla
natura
,
al
significato
e
all
'
importanza
del
problema
che
il
Trombetti
si
è
proposto
,
a
noi
sembra
opportuno
(
prescindendo
qui
dal
valore
maggiore
o
minore
delle
sue
dimostrazioni
)
di
determinare
e
circoscrivere
il
valore
del
problema
stesso
.
E
diciamo
subito
che
si
tratta
di
un
problema
di
nessuna
importanza
filosofica
.
Pel
filosofo
,
domandare
se
il
linguaggio
abbia
avuto
una
o
più
origini
,
se
bisogni
tenere
per
la
monogenesi
o
per
la
poligenesi
,
non
ha
significato
.
Il
filosofo
sa
che
le
diversità
dei
linguaggi
sono
infinite
,
perché
infinite
sono
le
individuazioni
dello
spirito
.
Né
ammette
che
si
possa
discutere
dell
'
origine
storica
del
linguaggio
,
perché
il
linguaggio
non
è
fatto
storico
,
particolare
e
contingente
,
ma
categoria
.
Ciò
si
è
voluto
esprimere
nella
moderna
linguistica
e
filosofia
del
linguaggio
col
profondo
detto
,
che
il
problema
dell
'
origine
del
linguaggio
si
risolve
in
quello
della
sua
eterna
natura
.
Il
problema
del
Trombetti
è
nient
'
altro
che
una
ricerca
di
preistoria
.
Supponiamo
che
egli
sia
riuscito
a
provare
il
suo
assunto
dell
'
origine
di
tutti
i
linguaggi
esistenti
da
un
ceppo
comune
;
che
cosa
avrebbe
provato
?
Questo
:
che
le
società
ora
sparse
sulla
terra
,
delle
quali
la
lacunosa
e
assai
recente
tradizione
storica
non
ci
mostra
le
connessioni
,
dovettero
in
un
certo
tempo
(
=
tante
migliaia
d
'
anni
addietro
)
formare
un
'
unica
società
.
E
prima
di
quel
tempo
?
E
prima
di
prima
?
L
'
ulteriore
domanda
non
appartiene
al
tema
del
Trombetti
.
Se
la
potenza
romana
avesse
potuto
assorbire
o
distruggere
tutte
le
altre
società
esistenti
,
la
civiltà
presente
,
e
con
essa
i
suoi
linguaggi
,
non
avrebbero
altra
origine
che
Roma
.
Immaginiamo
un
antichissimo
gruppo
umano
,
il
quale
,
sostituendosi
a
esseri
inferiori
o
assorbendoli
,
si
sia
poi
diramato
per
tutta
la
terra
,
nell
'
Eurasia
,
nell
'
Africa
,
nell
'
Oceania
,
nelle
Americhe
;
e
avremo
la
costruzione
preistorica
,
giustificata
o
no
che
sia
,
rispondente
all
'
ipotesi
del
Trombetti
.
L
'
ipotesi
non
ha
nulla
d
'
impossibile
;
ma
,
ammessa
come
vera
,
non
tocca
nessuno
dei
grandi
problemi
che
interessano
lo
spirito
umano
.
Anzi
,
dirò
di
più
:
a
considerarla
nei
suoi
limiti
di
ricerca
preistorica
,
essa
ha
ben
modesto
interesse
,
perché
modesto
è
in
genere
l
'
interesse
della
preistoria
,
di
questa
scienza
analfabeta
(
come
il
Mommsen
scherzosamente
la
chiamava
)
,
la
quale
indaga
le
zone
grige
,
l
'
indistinto
,
il
rudimentale
,
il
povero
,
laddove
la
storia
ci
pone
di
fronte
ai
grandi
fatti
dello
svolgimento
umano
.
Credo
tutt
'
altro
che
trascurabili
le
ricerche
sulla
vascolaria
primitiva
;
ma
mi
permetto
di
reputare
alquanto
più
interessante
lo
studio
di
un
vaso
attico
,
di
un
piatto
di
mastro
Giorgio
o
di
una
porcellana
cinese
.
Se
l
'
interessamento
comune
sembra
testimoniare
del
contrario
e
si
accende
vivacissimo
innanzi
a
ogni
rivelazione
che
concerna
il
"
primitivo
"
,
ciò
accade
,
a
mio
parere
,
perché
nel
pensiero
comune
si
suole
scambiare
l
'
angusta
ricerca
preistorica
con
la
ricerca
filosofica
e
si
aspetta
dalla
prima
la
risposta
ai
problemi
della
seconda
.
Per
non
dire
che
talvolta
,
come
in
questo
caso
,
operano
in
quell
'
interessamento
motivi
religiosi
,
sonnecchianti
in
fondo
agli
animi
di
tutti
e
anche
di
molti
professionali
dell
'
irreligione
.
La
monogenesi
fa
pensare
,
confusamente
,
a
padre
Adamo
;
e
,
si
ha
voglia
a
essere
miscredenti
,
certe
cose
fanno
piacere
.
Di
qui
gran
parte
della
curiosità
che
ha
destata
,
e
della
popolarità
che
si
è
acquistata
fin
dal
primo
annunzio
,
la
così
detta
scoperta
del
Trombetti
.
Il
quale
,
purtroppo
,
non
si
è
saputo
guardare
esso
stesso
dall
'
esagerare
il
valore
della
sua
ricerca
e
dall
'
intorbidarne
l
'
indole
.
Il
Trombetti
crede
,
per
esempio
,
che
,
dimostrata
la
monogenesi
del
linguaggio
,
sarà
possibile
studiare
ben
altrimenti
"
quali
relazioni
intercedano
fra
il
segno
e
la
cosa
significata
"
(
p
.
VI
,
e
cfr
.
pp
.
41-3
)
;
si
dice
"
conscio
della
straordinaria
importanza
,
che
ha
l
'
affermazione
contenuta
nel
titolo
del
suo
libro
"
(
p
.
VI
)
;
asserisce
che
"
solo
con
l
'
unità
di
origine
del
linguaggio
sia
possibile
la
Glottologia
generale
comparativa
,
disciplina
la
quale
può
gettare
viva
luce
sulle
questioni
che
più
agitano
lo
spirito
umano
"
(
p
.
53
)
.
A
questo
modo
egli
mostra
di
possedere
concetti
poco
esatti
sul
rapporto
della
Glottologia
con
la
Filosofia
del
linguaggio
,
e
manchevole
intelligenza
di
quel
che
egli
chiama
segno
e
che
divide
dalla
cosa
significata
.
"
La
Glottologia
(
dice
altrove
,
p
.
VIII
)
,
avendo
per
oggetto
il
linguaggio
,
è
il
miglior
legame
tra
le
due
grandi
divisioni
in
cui
sta
ancora
ripartito
il
sapere
"
.
Né
ha
concetti
esatti
su
quel
che
sia
scienza
:
"
Scienza
vera
,
per
quel
che
riguarda
il
rigore
delle
dimostrazioni
,
ammessi
certi
postulati
,
è
soltanto
la
Matematica
:
le
altre
scienze
devono
tendere
ad
una
rappresentazione
matematica
o
simbolica
delle
cose
,
dalla
quale
però
sono
ancora
ben
lontane
"
(
p
.
10
)
.
Che
più
?
Egli
immagina
perfino
che
la
monogenesi
del
linguaggio
,
con
la
conseguente
monogenesi
degli
uomini
,
sia
atta
a
recare
consolazione
morale
.
"
La
scienza
e
l
'
arte
,
quando
non
siano
accompagnate
ad
un
ideale
di
bontà
,
sono
,
per
lo
meno
,
cose
imperfette
.
Perciò
richiamo
l
'
attenzione
su
certe
deduzioni
morali
,
che
vengono
spontanee
dall
'
esame
dei
fatti
;
ma
,
soprattutto
,
sulla
conclusione
generale
,
che
può
ricavarsi
in
favore
dell
'
unità
della
specie
umana
,
e
,
per
conseguenza
,
anche
in
favore
della
fratellanza
reale
degli
uomini
.
Tutti
i
buoni
debbono
augurarsi
che
non
abbiano
a
trionfare
le
teorie
,
messe
fuori
in
forma
dogmatica
,
sulla
pluralità
delle
specie
umane
,
e
che
,
piuttosto
,
anche
per
opera
della
scienza
,
venga
confermato
il
concetto
sublime
della
fratellanza
degli
uomini
,
frutto
della
intuizione
e
del
sentimento
,
religioso
o
altro
"
(
p
.
VIII
)
.
L
'
introduzione
del
libro
si
chiude
con
le
parole
:
"
Tutti
gli
uomini
appartengono
a
una
sola
specie
e
sono
realmente
fratelli
"
(
p
.
58
)
.
Come
se
gli
uomini
non
siano
fratelli
pel
fatto
stesso
che
sono
uomini
,
cioè
esseri
pensanti
;
o
come
se
l
'
asserita
preistoria
unitaria
dei
linguaggi
storici
abbia
virtù
d
'
ingenerare
un
sentimento
nuovo
e
più
efficace
di
fratellanza
,
impedendo
qualche
guerra
o
addolcendo
qualche
spietata
concorrenza
commerciale
.
Della
identità
e
dei
nessi
stabiliti
dal
Trombetti
tra
le
lingue
dell
'
Eurasia
,
dell
'
Africa
e
dell
'
Oceania
,
e
da
lui
presupposti
anche
per
le
lingue
d
'
America
,
discuteranno
i
competenti
.
Odo
insistentemente
susurrare
da
filologi
e
glottologi
che
nel
giudizio
circa
questa
parte
del
suo
lavoro
si
è
molto
esagerato
,
e
che
le
affermazioni
del
Trombetti
vanno
soggette
a
continue
riserve
.
Ma
l
'
esagerazione
,
che
si
potrà
dimostrare
per
questo
rispetto
,
sarà
sempre
minore
di
quella
che
si
è
fatta
col
falsare
,
come
abbiamo
veduto
,
il
significato
stesso
della
ricerca
.
Con
che
non
si
vuole
essere
severi
verso
il
Trombetti
,
il
quale
in
gran
parte
,
piuttosto
che
autore
,
è
stato
vittima
delle
esagerazioni
;
né
si
vuole
negargli
il
merito
che
gli
spetta
per
avere
consacrato
tutto
l
'
ardore
della
sua
laboriosa
giovinezza
a
una
ricerca
,
la
quale
,
se
ha
natura
diversa
e
importanza
assai
minore
di
quel
che
egli
ha
creduto
,
è
pur
sempre
ricerca
da
non
trascurare
.
ALFREDO
TROMBETTI
(
prof
.
ordin
.
nell
'
Università
di
Bologna
)
,
L
'
unità
d
'
origine
del
linguaggio
(
Bologna
,
Beltrami
,
1905
)
.
Mi
viene
a
mano
un
articolo
del
prof
.
A
.
MOCHI
,
intorno
al
libro
del
T
.
(
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
del
20
agosto
1905
)
,
che
mostra
aperta
la
confusione
da
me
lamentata
dell
'
ipotesi
del
T
.
coi
concetti
di
umanità
,
origine
dell
'
umanità
,
fratellanza
umana
,
ecc
.
:
"
Agli
argomenti
favorevoli
alla
dottrina
dell
'
originaria
fratellanza
di
tutti
gli
uomini
(
dice
il
M
.
)
se
ne
aggiunge
oggi
uno
capitale
:
la
primitiva
unità
del
linguaggio
.
La
vecchia
ed
ardente
questione
,
che
tenne
diviso
per
secoli
il
campo
scientifico
,
si
chiude
finalmente
per
merito
d
'
un
glottologo
.
È
perciò
che
l
'
opera
di
lui
assume
una
grande
importanza
anche
all
'
infuori
delle
discipline
linguistiche
e
richiama
l
'
attenzione
di
ogni
cultore
della
storia
umana
;
anzi
,
per
dir
meglio
,
di
tutti
gli
uomini
che
si
sono
posti
un
giorno
la
tormentosa
domanda
:
donde
veniamo
?
"
.
E
si
veda
anche
,
nello
stesso
"
Giornale
"
,
num
.
del
22
agosto
,
la
lettera
di
"
un
Cattolico
"
.
StampaPeriodica ,
Testé
ho
compiuto
la
lettura
di
parecchi
scritti
di
linguistica
e
mi
sono
rimesso
alquanto
al
corrente
in
questo
campo
di
studî
,
al
quale
da
circa
venti
anni
non
avevo
quasi
più
rivolto
l
'
occhio
,
occupato
com
'
ero
in
altri
problemi
e
indagini
.
E
ho
provato
il
compiacimento
di
notare
che
la
scienza
del
linguaggio
si
trova
adesso
in
piena
benefica
crisi
,
e
che
i
concetti
,
che
,
oltre
vent
'
anni
fa
,
io
avevo
sostenuti
in
tale
materia
,
sono
stati
tutti
confermati
o
riscoperti
da
recenti
studiosi
.
Non
già
che
quei
miei
concetti
non
avessero
precedenti
presso
gli
stessi
cultori
di
Linguistica
,
perché
i
dubbî
circa
la
validità
delle
cosidette
leggi
fonetiche
,
e
la
polemica
contro
i
neogrammatici
,
potevano
vantare
nomi
insigni
,
come
quelli
dell
'
Ascoli
e
dello
Schuchardt
.
Tali
dubbi
sono
poi
riapparsi
e
hanno
,
per
così
dire
,
esploso
nello
Gilliéron
e
nella
sua
scuola
,
operando
un
rivolgimento
nel
modo
di
studiare
la
storia
delle
parole
.
Ma
io
mi
avvidi
forse
per
il
primo
che
le
teorie
allora
correnti
nella
Lingusitica
erano
una
delle
forme
del
positivismo
e
dipendevano
dalla
concezione
meccanica
o
naturalistica
del
parlare
e
,
più
in
particolare
,
dalla
ignoranza
circa
il
concetto
della
creazione
poetica
e
la
natura
dell
'
arte
.
In
qual
modo
era
,
allora
,
considerata
la
Linguistica
dai
filosofi
,
e
non
da
quelli
volgari
ma
da
filosofi
di
molto
acume
e
dottrina
,
irretiti
nel
naturalismo
,
nel
determinismo
e
nello
psicologismo
?
Può
vedersi
in
una
pagina
della
importante
prelezione
,
che
nel
1887
il
mio
maestro
Antonio
Labriola
tenne
all
'
università
di
Roma
sui
problemi
della
filosofia
della
storia
.
Il
Labriola
guardava
alla
storia
delle
lingue
come
a
quella
parte
della
storia
che
s
'
era
innalzata
a
scienza
e
splendeva
quasi
faro
a
segnar
la
via
di
salvezza
alle
altre
parti
.
"
La
storiografia
tradizionale
(
egli
scriveva
)
,
che
usa
del
criterio
prospettico
della
successione
nel
tempo
per
dati
di
cronologia
uniforme
,
si
risolve
da
sé
come
in
tanti
processi
di
formazioni
specifiche
,
aventi
il
proprio
ritmo
,
e
indipendenti
dalle
divisioni
convenzionali
di
Oriente
e
Occidente
,
di
antico
,
di
medievale
e
di
moderno
,
o
come
altro
si
dicano
.
E
,
difatti
,
lo
studio
specifico
di
alcuno
degli
ordini
precisi
di
fatti
omogenei
e
graduati
,
ci
ha
dato
ai
nostri
tempi
i
primi
serî
tentativi
di
scienza
storica
;
e
se
non
in
tutte
le
maniere
di
studî
fu
sino
ad
ora
possibile
di
raggiungere
l
'
esattezza
della
Linguistica
,
e
specie
dell
'
ariana
,
non
è
improbabile
,
a
giudicare
dagli
avviamenti
,
che
il
medesimo
debba
accadere
di
altre
forme
e
di
altri
prodotti
dell
'
attività
umana
.
Con
questi
studî
,
come
con
vero
e
proprio
oggetto
di
scienza
il
filosofo
della
storia
deve
simpatizzare
,
se
non
vuole
che
le
sue
elucubrazioni
e
il
suo
insegnamento
divengano
presto
esercizio
di
rettorica
speculativa
"
.
Nel
rileggere
ora
questa
pagina
,
si
prova
l
'
impressione
di
assistere
a
una
delle
non
infrequenti
"
ironie
della
storia
"
.
Il
grande
edifizio
della
Linguistica
,
con
le
sue
esatte
leggi
fonetiche
,
è
ora
mezzo
in
rovina
;
e
i
linguisti
,
anziché
prestare
il
modello
alle
altre
parti
degli
studî
storici
,
chiedono
a
queste
la
regola
per
rinnovare
e
correggere
le
indagini
loro
proprie
.
È
stato
notato
che
la
crisi
è
sorta
non
tanto
nel
campo
della
grammatica
storica
,
quanto
in
quello
dell
'
etimologia
.
La
cosa
è
affatto
ovvia
.
La
legge
fonetica
,
che
prima
si
concepiva
come
legge
naturale
nel
senso
di
una
legge
"
reale
"
,
e
che
è
invece
naturalistica
e
astratta
,
scopre
la
sua
impotenza
o
i
suoi
limiti
innanzi
al
concreto
etimologizzare
,
cioè
al
problema
storico
effettivo
,
che
è
sempre
individuato
.
E
quando
lo
Gilliéron
intitola
uno
dei
suoi
scritti
:
"
La
faillité
de
l
'
Étymologie
phonétique
"
,
che
cosa
fa
egli
se
non
ripetere
la
formola
che
abbiamo
udito
risuonare
ogni
volta
che
qualche
parte
della
filosofia
o
della
storia
ripigliava
la
sua
libertà
di
movimenti
,
scotendo
via
la
brutale
violenza
procustea
del
positivismo
:
a
cominciare
da
una
certa
celebre
Banqueroute
de
la
Science
,
che
fu
annunziata
in
un
paese
in
cui
la
Science
aveva
avuto
,
forse
più
che
in
altri
,
senso
e
predominio
esclusivamente
positivistico
?
Per
questa
ragione
godo
che
alcuno
dei
recenti
linguisti
(
e
degli
italiani
ricordo
il
Bartoli
e
il
Bertoni
,
il
quale
più
di
ogni
altro
si
è
fatto
presso
di
noi
l
'
apostolo
del
nuovo
avviamento
)
abbiano
espressamente
riattaccato
le
loro
critiche
e
le
loro
indagini
ai
concetti
della
nuova
Estetica
e
della
nuova
Filosofia
dello
spirito
,
che
riporta
il
linguaggio
all
'
esprimersi
(
all
'
espressione
in
senso
teoretico
e
non
già
all
'
espressione
in
senso
pratico
,
che
è
mero
indizio
o
sintomo
)
e
,
per
questa
via
,
lo
identifica
con
la
poesia
e
con
l
'
arte
in
genere
,
e
tutti
i
problemi
del
linguaggio
ritrova
sostanzialmente
identici
a
quelli
teoretici
e
storici
della
poesia
e
dell
'
arte
.
Tale
ricongiungimento
al
metodico
e
sistematico
pensiero
filosofico
ha
il
vantaggio
non
solo
di
rendere
più
rigorose
e
perspicue
le
dottrine
,
ma
anche
d
'
impedire
le
esagerazioni
o
unilateralità
a
cui
facilmente
si
lasciano
andare
gli
specialisti
novatori
,
acuti
e
anche
geniali
,
ma
non
altrettanto
esperti
in
concetti
speculativi
.
Dei
quali
specialisti
io
riconosco
l
'
opera
utile
ed
efficace
,
e
li
preferisco
,
pur
coi
loro
eccessi
o
coi
loro
difetti
,
agli
astratti
filosofanti
,
e
ho
detto
più
volte
che
la
loro
audace
e
arrischiata
filosofia
,
nascente
dalla
considerazione
delle
cose
particolari
e
ritenente
qualcosa
di
particolare
e
contingente
,
vale
di
gran
lunga
più
di
quella
,
avveduta
e
assottigliata
ma
arida
,
di
molti
filosofi
di
mestiere
,
anzi
quella
vale
e
questa
non
vale
,
perché
quella
è
viva
e
questa
è
morta
.
Ma
ciò
non
toglie
che
il
meglio
sia
riunire
la
virtù
della
specialità
a
quella
dell
'
universalità
.
Parlo
qui
,
in
generale
,
della
presente
fase
degli
studî
sul
linguaggio
,
e
perciò
non
entro
in
un
esame
critico
delle
dottrine
che
ora
si
propugnano
:
esame
che
,
del
resto
,
altri
va
facendo
e
con
preparazione
specifica
migliore
della
mia
.
Ma
,
se
dovessi
dare
un
esempio
della
necessità
di
rendere
più
perspicui
certi
concetti
della
nuova
scuola
,
mi
fermerei
su
quello
di
etimologia
popolare
,
che
essa
adopera
con
molto
buon
frutto
,
ma
che
,
così
come
è
formulato
,
non
va
esente
da
dubbiezze
e
confusioni
.
"
Vous
travaillez
à
l
'
étymologie
(
dice
lo
Gilliéron
ai
suoi
uditori
)
,
mais
souvenez
-
vous
que
le
peuple
y
a
travaillé
avant
vous
"
.
Ora
quell
'
etimologizzare
onde
si
forma
la
nuova
parola
ossia
il
nuovo
significato
e
il
nuovo
fonema
non
è
altro
che
l
'
opera
stessa
della
fantasia
espressiva
,
la
quale
,
come
in
una
piccola
parola
o
piccola
frase
così
in
una
grande
opera
di
poesia
,
crea
sempre
sul
passato
,
e
perciò
volge
a
nuovo
uso
gli
elementi
del
passato
e
ne
dà
una
nuova
sintesi
in
cui
quel
passato
è
e
non
è
quello
di
prima
,
e
,
in
fondo
,
ha
ceduto
il
posto
al
presente
e
nuovo
.
Ma
l
'
etimologizzare
propriamente
detto
è
,
invece
,
l
'
opera
riflessa
dello
storico
,
che
ripercorre
criticamente
l
'
anzidetto
processo
formativo
.
E
,
se
dovessi
dare
un
esempio
delle
cautele
da
osservare
,
vorrei
mettere
in
guardia
contro
lo
spregio
delle
cosiddette
leggi
fonetiche
,
della
grammatica
storica
e
normativa
,
e
anche
dell
'
Académie
,
come
la
chiama
lo
Gilliéron
.
In
verità
,
le
leggi
fonetiche
sono
utili
in
quel
che
possono
,
come
tutte
le
leggi
empiriche
;
e
della
grammatica
normativa
e
dell
'
accademia
non
si
potrà
far
mai
di
meno
,
perché
sono
discipline
e
istituti
che
si
sforzano
a
serbare
o
a
far
muovere
lo
svolgimento
linguistico
in
un
certo
indirizzo
,
che
merita
di
essere
difeso
se
anche
non
deve
avere
,
e
non
ha
poi
mai
nel
fatto
,
prevalenza
assoluta
.
Quel
che
importa
combattere
non
è
quegli
istrumenti
d
'
indagine
o
di
scuola
,
ma
l
'
ibridismo
dei
metodi
che
si
tira
dietro
problemi
insolubili
o
soluzioni
immaginarie
,
e
talvolta
ridevoli
.
La
Linguistica
idealistica
,
o
meglio
la
nuova
filosofia
e
storia
del
parlare
,
sarà
tanto
più
consapevole
e
sicura
della
propria
verità
,
quanto
più
sarà
moderata
.
Colgo
l
'
occasione
per
manifestare
un
desiderio
.
Anni
sono
,
cercai
di
mettere
sotto
miglior
luce
gli
storici
e
filologi
,
ligi
all
'
antico
,
che
,
nella
prima
metà
del
secolo
decimonono
,
riluttavano
e
si
opponevano
violentemente
alle
teorie
e
ai
metodi
della
Linguistica
indoeuropea
,
e
additai
quel
che
di
ragionevole
mi
pareva
che
fosse
nella
loro
opposizione
.
Gioverebbe
meglio
lumeggiare
quelle
parti
del
loro
scetticismo
che
coglievano
nel
giusto
e
quelle
esigenze
legittime
che
essi
rappresentavano
.
A
questo
modo
non
solo
si
adempirebbe
un
dovere
di
pietà
,
ma
si
otterrebbe
qualche
istruzione
;
e
forse
,
talvolta
,
i
dotti
linguisti
odierni
si
rivedrebbero
innanzi
,
autenticati
dai
fatti
,
i
"
pareri
di
Perpetua
"
.
Ristampata
da
me
in
LABRIOLA
,
Scritti
varî
di
filosofia
e
politica
(
Bari
,
Laterza
,
1906
)
;
cfr
.
pp
.
211-2
.
Études
sur
la
défectivité
des
verbes
.
La
faillité
de
l
'
Étymologie
phonétique
.
Résumé
de
conférences
faites
à
I
'
École
pratique
des
hautes
études
par
J
.
GILLIÉRON
,
Neuveville
(
Berne
)
,
1919
.
A
proposito
di
queste
:
perché
mai
anche
il
MEYER
-
LÜBKE
,
Roman
.
Etym
.
Wörterb
,
n
.
1721
,
si
ostina
a
derivare
carosello
o
carrousel
,
con
fonetica
etimologia
,
da
carrum
,
quando
io
ho
dimostrato
che
l
'
origine
è
tutt
'
altra
e
assai
più
complicata
(
v
.
La
Spagna
nella
vita
italiana
durante
la
Rinascenza
,
pp
.
194-5
)
?
Per
quel
vocabolo
si
potrebbe
scrivere
una
divertente
storia
alla
Gilliéron
(
dove
forse
entrerebbe
,
ma
assai
tardi
,
anche
il
carrum
)
.
Della
quale
storia
delle
parole
come
storia
della
fantasia
voglio
segnare
qui
uno
spontaneo
avviamento
o
desiderio
che
ho
trovato
in
un
vecchio
scrittore
napoletano
,
nelle
annotazioni
(
1588
)
di
Tommaso
Costo
alla
Storia
di
Napoli
del
Collenuccio
.
Il
Costo
,
esaminando
la
disputata
etimologia
di
"
Terra
di
lavoro
"
(
dai
"
campi
leborini
"
o
leboriae
,
ovvero
da
"
lavoro
"
?
)
,
accetta
tutte
e
due
le
derivazioni
in
contrasto
e
osserva
:
"
Suole
spesso
accadere
che
si
darà
un
nome
ad
una
cosa
a
un
proposito
,
ed
in
processo
poi
di
tempo
succederà
qualche
accidente
di
così
strana
conformità
che
,
investendosi
dello
stesso
nome
,
lo
tira
ad
un
altro
proposito
assai
diverso
dal
primo
"
;
e
aggiunge
di
questo
processo
altri
esempi
:
"
Gravina
"
,
dalle
"
gravine
"
,
valloni
,
e
dal
grano
e
vino
onde
abbonda
;
"
Montevergine
"
,
da
"
Virgilio
"
e
da
Maria
Vergine
,
ecc
.
(
v
.
nell
'
ediz
.
della
Istoria
del
Collenuccio
,
Napoli
,
1771
,
I
,
12-13
)
.
V
.
ora
la
mia
Storia
della
storiografia
italiana
nel
secolo
XIX
,
I
,
58-60
,
218-19
.
StampaPeriodica ,
Il
libro
di
Edmondo
de
Amicis
è
l
'
ultima
manifestazione
letteraria
di
un
problema
che
ha
molto
occupato
le
menti
degli
italiani
attraverso
i
secoli
:
il
problema
della
lingua
.
Se
i
soli
eruditi
ricordano
i
periodi
più
remoti
di
quella
grande
controversia
(
dal
De
vulgari
eloquentia
alle
polemiche
cinquecentesche
,
e
giù
giù
ai
libri
del
Cesarotti
e
del
Napione
dell
'
ultimo
Settecento
,
e
a
quelli
del
Monti
e
del
Perticari
e
di
tanti
altri
dei
primi
dell
'
Ottocento
)
,
tutti
hanno
fresca
la
memoria
della
più
recente
guerra
provocata
dalla
lettera
del
Manzoni
al
Di
Broglio
,
e
variamente
combattuta
tra
manzoniani
,
antimanzoniani
e
moderati
.
Quelle
dispute
,
considerate
sotto
l
'
aspetto
rigorosamente
teorico
e
scientifico
,
non
mancano
di
pregio
e
d
'
importanza
.
Entrano
in
gruppo
con
altre
dispute
letterarie
(
sul
poema
epico
,
sulla
tragedia
,
sulla
tragicommedia
,
sul
melodramma
,
sulla
commedia
in
prosa
,
sulle
varie
forme
dello
stile
,
sull
'
imitazione
,
e
via
dicendo
)
,
che
nei
tempi
moderni
l
'
Italia
,
prima
di
ogni
altra
nazione
,
formolò
e
agitò
,
e
che
dall
'
Italia
passarono
agli
altri
paesi
neolatini
e
germanici
.
Senza
codeste
dispute
sulle
regole
e
sui
generi
della
poesia
e
della
letteratura
,
non
si
sarebbe
svolta
la
teoria
filosofica
della
poesia
e
dell
'
arte
che
si
disse
poi
Estetica
;
e
senza
le
dispute
intorno
alla
lingua
non
sarebbe
sorta
quella
che
si
disse
più
particolarmente
Filosofia
del
linguaggio
.
Nello
sforzo
per
dominare
col
pensiero
la
massa
dei
fatti
e
penetrarne
la
natura
,
la
mente
umana
non
può
non
urtare
e.impigliarsi
dapprima
nelle
comuni
e
volgari
classificazioni
,
e
provarsi
a
sistemarle
e
a
renderle
razionali
,
proponendosi
problemi
insolubili
;
fintanto
che
non
si
accorge
come
,
per
intendere
davvero
la
verità
dei
fatti
che
indaga
,
convenga
abbandonare
del
tutto
quelle
categorie
empiriche
,
e
collocarsi
in
un
punto
di
vista
affatto
diverso
.
Sarebbe
perciò
da
intelletti
superficiali
considerare
con
dispregio
quegli
sforzi
del
passato
,
i
quali
,
per
falliti
che
siano
,
rappresentano
uno
stadio
di
progresso
,
un
errore
in
cui
giovò
essersi
dibattuti
per
qualche
tempo
,
perché
ebbe
efficacia
esemplare
,
e
a
suo
modo
contribuì
all
'
avvenimento
della
verità
.
Dalla
contradizione
nasce
la
soluzione
;
dalla
indifferente
quiete
non
nasce
nulla
.
E
opportunamente
gl
'
indagatori
della
storia
delle
idee
vanno
rivolgendo
la
loro
attenzione
alle
dottrine
letterarie
e
grammaticali
italiane
dei
secoli
passati
,
le
quali
a
noi
sembrano
,
come
sono
in
effetto
,
pedantesche
,
ma
che
,
pur
con
la
loro
pedanteria
,
si
dimostrano
feconde
.
Quei
pedanti
furono
,
se
non
i
nostri
padri
,
certamente
i
nostri
antenati
spirituali
.
Riconosciuto
tutto
ciò
,
non
è
men
vero
che
così
le
dispute
sulla
lingua
come
quelle
sulle
regole
letterarie
,
hanno
perduto
da
lungo
tempo
ogni
valore
positivo
.
Il
sistema
delle
regole
letterarie
venne
rotto
e
spazzato
via
dal
moto
intellettuale
del
romanticismo
,
che
abbozzò
la
nuova
idea
della
poesia
e
dell
'
arte
;
e
il
suo
proprio
romanticismo
ebbe
anche
la
teoria
del
linguaggio
col
Vico
,
con
lo
Hamann
,
con
lo
Herder
,
con
lo
Humboldt
,
pensatori
dopo
i
quali
non
sarebbe
stato
più
lecito
ragionare
intorno
a
quella
materia
coi
vecchi
criterî
.
Sotto
questo
aspetto
,
la
posizione
manzoniana
del
problema
linguistico
non
può
non
apparire
anacronistica
e
retriva
,
perché
il
Manzoni
non
si
liberò
mai
,
nelle
sue
teorie
sul
linguaggio
,
da
certe
idee
da
intellettualista
ed
enciclopedista
del
secolo
decimottavo
:
come
si
può
desumere
in
ispecie
dai
frammenti
,
pubblicati
alcuni
anni
orsono
,
del
suo
libro
sulla
lingua
,
che
meriterebbero
di
essere
studiati
con
cura
.
Qual
'
era
la
fallacia
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
,
quale
il
contrasto
tra
esso
e
il
concetto
nuovo
,
formolato
o
almeno
adombrato
nei
filosofi
dei
quali
abbiamo
fatto
cenno
?
-
Si
potrebbe
delineare
questo
contrasto
brevemente
così
:
il
vecchio
concetto
considerava
il
linguaggio
come
segno
;
il
nuovo
lo
considera
come
rappresentazione
.
Secondo
la
prima
concezione
,
la
lingua
è
quasi
una
raccolta
di
utensili
che
ciascuno
adopera
a
volta
a
volta
per
comunicare
agli
altri
il
proprio
pensiero
;
secondo
la
concezione
nuova
,
la
lingua
non
è
già
mezzo
per
comunicare
le
idee
o
le
rappresentazioni
,
ma
è
l
'
idea
o
la
rappresentazione
stessa
,
qualcosa
che
non
si
può
concepire
mai
distinto
o
staccato
dal
moto
del
pensiero
.
Secondo
la
prima
,
bisogna
mettersi
alla
ricerca
della
lingua
ottima
,
concordare
segni
ben
definiti
,
di
significato
preciso
e
non
equivoco
,
costanti
per
tutti
gl
'
individui
della
comunione
linguistica
;
secondo
l
'
altra
,
siffatta
ricerca
è
vana
,
perché
ciascun
individuo
si
crea
,
volta
per
volta
,
la
sua
propria
lingua
,
e
quella
che
io
parlo
e
scrivo
oggi
non
è
quella
di
ieri
,
e
quella
che
conviene
a
me
,
non
conviene
ad
altri
.
Secondo
la
prima
,
è
possibile
giudicare
un
parlante
o
uno
scrivente
in
modo
oggettivo
,
confrontando
il
suo
parlare
e
scrivere
col
modello
linguistico
,
e
determinando
con
questo
confronto
se
egli
adoperi
lingua
buona
o
cattiva
;
secondo
l
'
altra
,
questo
giudizio
è
impossibile
,
perché
il
preteso
modello
linguistico
è
un
'
astrazione
,
e
ogni
prodotto
linguistico
ha
la
propria
legge
e
il
proprio
modello
in
sé
stesso
.
Tra
le
due
concezioni
chiunque
abbia
qualche
coscienza
del
modo
moderno
d
'
intendere
l
'
arte
,
non
esiterà
nel
prendere
partito
.
Ed
è
appena
necessario
soggiungere
che
,
accettando
che
alcuni
,
troppo
facili
a
confondersi
e
a
spaurirsi
,
temono
:
quasi
che
si
venga
ad
abolire
in
forza
di
essa
ogni
distinzione
tra
scriver
bene
e
scriver
male
,
parlar
bene
e
parlar
male
.
Il
parlare
bene
o
male
si
giudica
non
con
la
misura
estrinseca
della
lingua
oggettiva
,
ma
con
quella
intrinseca
e
affatto
intuitiva
del
gusto
.
Così
si
è
fatto
e
si
farà
sempre
:
da
che
il
mondo
è
mondo
,
vi
sono
stati
scrittori
buoni
,
scrittori
cattivi
e
scrittori
mediocri
,
e
sempre
vi
saranno
:
la
concezione
individualistica
o
estetica
del
linguaggio
non
cancella
la
loro
differenza
,
che
è
affatto
intuitiva
.
Scriver
bene
è
nient
'
altro
che
una
forma
d
'
intensità
spirituale
;
scriver
male
è
debolezza
spirituale
.
Le
questioni
intorno
alla
lingua
si
convertono
nelle
altre
intorno
alla
vivezza
e
coerenza
estetica
della
rappresentazione
,
guardata
nella
sua
individualità
.
Perciò
la
teoria
moderna
accetta
autori
e
modi
di
scrivere
che
i
vecchi
grammatici
e
critici
consideravano
ibridi
,
rozzi
,
scorretti
,
o
che
accettavano
collocandoli
nella
comoda
quanto
irrazionale
categoria
delle
eccezioni
.
Sotto
il
dominio
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
è
ancora
il
De
Amicis
.
Tutto
il
suo
libro
è
informato
al
pensiero
che
la
lingua
si
studî
o
,
com
'
egli
dice
,
che
non
basti
"
amare
"
la
lingua
del
proprio
paese
,
ma
convenga
"
studiarla
"
.
E
già
lo
stesso
amore
per
la
lingua
nazionale
è
in
lui
non
bene
ragionato
e
alquanto
rettoricamente
declamato
,
affermando
egli
che
si
ami
dagli
italiani
la
lingua
italiana
e
per
le
memorie
gloriose
che
reca
con
sé
e
perché
essa
è
bellissima
,
ricchissima
,
potentissima
,
e
altre
cose
siffatte
.
E
non
è
vero
:
io
sfido
a
trovare
un
uomo
che
ami
la
lingua
,
cioè
che
faccia
all
'
amore
con
un
'
astrazione
.
Ciò
che
si
ama
è
la
parola
nella
sua
concretezza
,
la
poesia
,
la
pagina
eloquente
.
Dante
,
Ariosto
,
Machiavelli
;
e
perciò
quest
'
amore
supera
i
limiti
della
regione
e
della
nazione
,
e
,
secondo
la
varia
cultura
di
cui
si
dispone
,
abbraccia
Orazio
o
Sofocle
,
Goethe
o
Shelley
,
la
lingua
latina
,
la
greca
,
la
tedesca
o
l
'
inglese
.
Ma
non
insisterò
su
questo
punto
,
perché
mi
preme
insistere
sull
'
altro
:
sulla
raccomandazione
di
studiare
la
lingua
.
Che
cosa
significa
studiare
la
lingua
?
L
'
uomo
intelligente
studia
quanto
aiuta
il
suo
svolgimento
mentale
e
morale
,
ma
non
ciò
che
gli
è
inutile
a
questo
fine
.
Il
De
Amicis
consiglia
d
'
imparare
i
nomi
di
tutte
le
cose
che
accade
ogni
giorno
di
vedere
o
adoperare
,
e
di
mandarli
a
mente
;
di
meditare
i
prontuarî
,
dove
sono
registrati
i
vocaboli
degli
oggetti
di
uso
domestico
;
di
fare
la
nomenclatura
della
roba
che
si
porta
addosso
,
per
passare
via
via
a
quella
degli
oggetti
che
si
maneggiano
,
ai
mobili
della
propria
camera
,
alla
mensa
,
allo
scrittorio
,
agli
arredi
e
utensili
di
tutta
la
casa
,
alle
varie
parti
della
casa
stessa
;
di
leggere
e
spogliare
il
vocabolario
.
E
rafforza
i
suoi
consigli
col
mostrare
quanto
sia
vasta
l
'
ignoranza
che
ordinariamente
si
trova
anche
nelle
persone
colte
intorno
alla
terminologia
esatta
delle
più
modeste
occupazioni
della
vita
:
per
es
.
,
del
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
.
Ma
ha
egli
pensato
che
cosa
importi
questo
consiglio
?
Ecco
un
giovane
nel
tempo
in
cui
il
suo
cuore
si
gonfia
di
passioni
gagliarde
e
la
sua
mente
si
viene
travagliando
sui
problemi
più
alti
della
vita
e
della
realtà
;
un
giovane
,
che
sarà
poeta
,
filosofo
,
uomo
d
'
azione
.
E
a
questo
giovane
,
che
ha
tanta
materia
di
lavoro
nel
suo
spirito
(
e
che
per
ciò
stesso
,
si
noti
bene
,
ha
tutto
il
linguaggio
che
gli
occorre
,
tutto
il
linguaggio
che
è
correlativo
a
quel
lavoro
,
non
essendo
concepibile
pensiero
senza
linguaggio
)
,
a
questo
poeta
,
filosofo
o
uomo
pratico
in
germe
e
in
formazione
,
si
vuole
imporre
,
o
almeno
consigliare
,
di
baloccarsi
a
imparare
le
cento
denominazioni
delle
cento
parti
di
un
vestito
,
e
le
dugento
della
stanza
da
studio
,
o
le
trenta
e
quaranta
delle
svariate
e
minute
operazioni
che
si
compiono
per
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
?
Che
cosa
interessa
a
quell
'
uomo
,
che
forse
infilerà
distrattamente
il
suo
soprabito
,
e
tracannerà
il
suo
vino
,
e
maneggerà
quasi
macchinalmente
gli
oggetti
del
suo
scrittorio
,
soffermarsi
col
pensiero
nella
contemplazione
e
nell
'
analisi
di
quelle
piccinerie
?
Se
alcuno
gliene
dice
i
vocaboli
,
li
ascolterà
con
fastidio
,
e
li
dimenticherà
poco
dopo
.
E
se
non
prova
fastidio
,
se
si
lascia
sedurre
dal
giochetto
,
cattivo
segno
:
segno
di
spirito
non
serio
,
non
concentrato
,
non
fervido
,
ma
frivolo
o
passivo
.
Leggere
il
vocabolario
,
è
"
passatempo
piacevole
"
(
ripete
ancora
una
volta
il
De
Amicis
)
.
Sarà
;
ma
è
anche
perditempo
.
C
'
è
di
meglio
da
fare
che
leggere
vocabolarî
e
imparare
a
mente
nomenclature
.
C
'
è
da
studiare
e
leggere
il
mondo
;
verba
sequentur
,
e
non
potranno
non
seguire
.
Il
sarto
o
chi
parli
del
mestiere
del
sarto
,
la
massaia
o
chi
descriva
un
cervello
di
massaia
,
un
servitore
che
spazzi
la
casa
o
chi
descriva
un
servitore
in
quell
'
operazione
,
si
rappresenteranno
insieme
le
parole
rispondenti
alle
cose
che
concernono
quei
vari
personaggi
:
le
parole
dei
vestiti
,
dei
fiaschi
di
vino
,
delle
parti
e
dei
mobili
della
stanza
.
Ma
è
un
'
idea
curiosa
voler
mutare
codesti
apprendimenti
incidentali
e
relativi
alle
condizioni
e
riflessioni
di
questo
o
quell
'
individuo
in
un
obbligo
di
cultura
:
quasi
al
modo
stesso
che
si
consiglia
lo
studio
della
poesia
e
della
storia
,
delle
matematiche
e
della
filosofia
,
per
ottenere
uno
svolgimento
mentale
completo
.
Il
De
Amicis
espone
,
non
senza
esagerazioni
,
i
molti
impacci
in
cui
si
càpita
quando
non
si
conoscono
le
parole
italiane
o
toscane
degli
oggetti
di
uso
domestico
:
viaggiando
,
cangiando
paese
,
c
'
è
rischio
di
non
essere
intesi
e
di
non
intendere
.
Ma
queste
difficoltà
sono
pur
delle
tante
nelle
quali
c
'
imbattiamo
nella
vita
;
e
l
'
ovviarvi
non
è
ufficio
di
educatore
.
Altrimenti
converrebbe
spendere
qualche
semestre
di
lezioni
per
insegnare
alla
gioventù
il
gergo
dei
cuochi
e
le
corrispondenti
voci
(
posto
che
vi
siano
)
italiane
o
toscane
,
affinché
non
accada
ciò
che
accade
spesso
a
me
(
e
certamente
a
molti
altri
uomini
letterati
)
,
che
quando
siedo
a
una
tavola
di
trattoria
e
do
i
miei
ordini
al
cameriere
sulla
carta
,
non
so
precisamente
che
cosa
sarà
per
essere
la
pietanza
di
cui
ho
indicato
il
titolo
,
avendo
un
'
idea
molto
approssimativa
di
quel
che
quel
titolo
significa
.
Ma
è
preferibile
,
di
certo
,
provar
di
tanto
in
tanto
qualche
delusione
gastronomica
all
'
improba
fatica
di
studiare
le
creazioni
linguistiche
dei
cuochi
.
Un
uomo
di
buon
senso
,
come
il
De
Amicis
,
non
avrebbe
sprecato
il
fiato
in
queste
raccomandazioni
,
ora
superflue
ora
puerili
,
circa
lo
studio
della
lingua
,
se
non
fosse
stato
,
come
dicevo
,
dominato
inconsapevolmente
dalla
vecchia
e
falsa
idea
che
il
parlare
e
scrivere
bene
abbia
per
condizione
il
possesso
completo
del
cosiddetto
arsenale
dei
cosiddetti
utensili
linguistici
:
cioè
,
se
non
avesse
creduto
che
la
lingua
sia
un
utensile
.
"
Ogni
vocabolo
che
s
'
impara
(
egli
dichiara
espressamente
)
è
come
uno
di
quegli
utensili
da
nulla
,
dei
quali
non
s
'
ha
bisogno
quasi
mai
,
ma
che
,
una
o
due
volte
in
molt
'
anni
,
son
necessarî
,
e
,
se
non
si
ritrovano
,
non
si
sa
che
pesci
pigliare
"
.
"
Quel
che
più
preme
,
per
riuscire
nell
'
uno
o
nell
'
altro
modo
,
nell
'
una
o
nell
'
altra
delle
due
forme
di
stile
a
scrivere
bene
,
è
che
tu
possegga
da
padrone
la
lingua
"
.
Le
tracce
di
questo
falso
concetto
si
osservano
quasi
in
ogni
parte
del
suo
libro
.
Così
egli
biasima
il
pudore
fuori
di
luogo
,
che
ci
trattiene
dall
'
adoperare
vocaboli
bellissimi
,
efficacissimi
e
toscanissimi
,
come
"
striminzire
"
,
"
spiaccicare
"
,
"
baluginare
"
,
"
stintignare
"
:
la
paura
del
ridicolo
che
ci
fa
codardi
nell
'
uso
della
"
buona
lingua
"
.
Ma
non
si
accorge
che
ciò
che
egli
chiama
falso
pudore
e
codardia
può
pur
essere
,
a
volte
,
un
sano
senso
estetico
,
che
ci
vieta
di
usare
vocaboli
i
quali
non
sarebbero
coerenti
con
la
nostra
personalità
,
con
la
nostra
psicologia
,
con
la
fisionomia
generale
del
nostro
parlare
.
Se
un
determinato
vocabolo
suona
spiccatamente
toscano
o
fiorentino
,
io
,
napoletano
,
non
posso
,
senza
sconcezza
,
incastrarlo
in
una
mia
prosa
spontaneamente
concepita
,
dalla
quale
la
mia
napoletanità
è
tanto
ineliminabile
quanto
la
patavinità
dalla
prosa
di
Livio
o
l
'
ibericità
da
quella
di
Seneca
.
Se
mi
ostino
a
incastrarvelo
,
la
più
manzoniana
delle
teorie
sulla
lingua
non
mi
salverà
dal
senso
che
provo
in
me
(
e
che
gli
altri
proveranno
di
me
)
di
essere
caduto
in
un
peccato
d
'
affettazione
.
Per
questa
ragione
,
nelle
scuole
,
poniamo
,
del
Napoletano
sorge
spontaneo
e
irrefrenabile
tra
gli
alunni
un
coro
di
canzonature
,
quando
un
loro
compagno
si
mette
a
toscaneggiare
:
il
vocabolo
"
toscaneggiare
"
è
per
sé
stesso
canzonatorio
.
Santa
canzonatura
,
che
a
me
non
è
stata
risparmiata
e
che
io
ricordo
di
avere
a
mia
volta
spietatamente
e
beneficamente
esercitata
sopra
i
miei
compagni
.
Come
questo
sentimento
di
ripugnanza
è
inesattamente
interpretato
e
biasimato
dal
De
Amicis
,
così
egli
non
si
rende
esatto
conto
del
valore
estetico
che
hanno
talvolta
quelle
che
a
lui
sembrano
inesattezze
e
povertà
di
lingua
e
che
sono
invece
indeterminazioni
di
pensiero
,
che
debbono
restare
così
:
di
pensieri
,
cioè
,
la
cui
determinazione
estetica
è
per
l
'
appunto
quella
indeterminazione
.
Allo
stesso
modo
un
pittore
accademico
trova
mal
disegnate
o
non
disegnate
le
figure
di
un
quadro
,
la
cui
bellezza
sta
proprio
in
quel
certo
che
di
vago
e
vaporoso
,
che
a
lui
sembra
difetto
:
in
quell
'
abbozzato
,
che
è
un
finito
,
e
che
diventerebbe
una
sconciatura
,
se
fosse
disegnato
minutamente
in
conformità
dei
canoni
accademici
.
La
lingua
approssimativa
può
essere
,
senza
dubbio
,
grave
errore
d
'
arte
,
ma
può
essere
,
anche
,
forza
d
'
arte
:
secondo
i
casi
.
Per
mio
conto
,
credo
che
a
volte
parli
benissimo
anche
chi
presenti
con
frequenza
i
varî
aspetti
delle
sue
percezioni
confusi
nel
vago
vocabolo
di
"
cose
"
:
il
"
signor
Coso
"
,
del
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
.
A
molti
,
in
certe
situazioni
,
accade
appunto
di
vedere
indistintamente
o
di
non
vedere
certi
oggetti
,
ai
quali
lo
spirito
non
s
'
interessa
,
tutto
ripiegato
com
'
è
su
sé
stesso
;
e
l
'
espressione
di
questo
disinteresse
tradirebbe
sé
stessa
,
se
si
effondesse
altrimenti
che
con
abbondanza
dell
'
indeterminato
"
cosa
"
.
Perfino
il
"
signor
La
Nuance
"
,
dell
'
altro
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
,
non
ha
tutti
i
torti
nel
sostenere
che
ogni
frase
francese
ha
una
nuance
,
che
non
si
trova
nella
corrispondente
italiana
.
Anzi
,
questa
è
appunto
la
rigorosa
verità
.
E
se
colui
aveva
appreso
a
far
l
'
amore
in
francese
,
quale
meraviglia
che
trovasse
poi
nell
'
"
au
revoir
"
una
dolcezza
,
che
non
trovava
nell
'
"
a
rivederci
"
italiano
?
Ed
è
serio
obbiettargli
che
l
'
"
au
revoir
"
è
tanto
poco
dolce
,
che
è
pieno
di
r
?
O
vogliamo
credere
ancora
all
'
onomatopea
e
all
'
armonia
imitativa
,
quali
le
concepivano
i
retori
?
Certamente
,
il
De
Amicis
conosce
criterî
più
retti
di
quelli
che
si
desumono
dai
luoghi
citati
e
da
altri
,
che
potrei
citare
.
Egli
è
scrittore
innamorato
della
sincerità
e
semplicità
:
è
manzoniano
,
non
solamente
nelle
idee
intorno
alla
lingua
,
ma
anche
in
talune
di
quelle
verità
,
che
gl
'
italiani
moderni
debbono
ad
Alessandro
Manzoni
;
e
nel
suo
libro
si
troveranno
sagge
avvertenze
sull
'
affettazione
,
sui
pericoli
dello
studiare
la
lingua
,
sul
modo
di
comporre
e
di
correggere
le
proprie
scritture
.
Vi
si
troveranno
,
perfino
,
teorie
che
sono
l
'
effettiva
negazione
di
quelle
da
noi
contrastate
,
come
:
"
Ecco
il
più
utile
dei
precetti
:
pensare
,
prima
di
mettersi
a
scrivere
"
.
Questi
criterî
,
operando
da
freno
,
hanno
evitato
che
il
libro
somministrasse
da
cima
a
fondo
una
dottrina
falsa
.
Chi
legge
i
capitoli
e
i
bozzetti
,
di
cui
esso
si
compone
,
incontra
molte
cose
alle
quali
è
portato
a
dare
pieno
assenso
;
e
altre
,
che
non
gli
paiono
accettabili
,
vede
nel
corso
stesso
del
libro
opportunamente
temperate
.
Senonché
questi
medesimi
criterî
retti
,
entrando
in
dissidio
col
criterio
generale
che
è
errato
,
hanno
impedito
che
l
'
Idioma
gentile
riuscisse
quel
che
si
dice
un
bel
libro
.
Gli
scritti
del
Manzoni
intorno
alla
lingua
sono
maraviglie
di
ragionamento
e
di
prosa
:
si
può
rifiutare
la
dottrina
,
si
ammira
lo
scrittore
,
che
sapeva
bene
quel
che
voleva
.
Ma
nel
libro
del
De
Amicis
si
sente
il
vuoto
.
"
Non
scrivo
un
trattato
(
dichiara
l
'
autore
)
:
non
scenderò
a
disquisizioni
grammaticali
minute
,
né
salirò
a
questioni
alte
di
filologia
...
Tratterò
la
materia
semplicemente
e
praticamente
...
"
E
sia
pure
.
Ma
,
se
non
quella
di
un
trattato
,
il
libro
dovrebbe
avere
un
'
altra
qualsiasi
connessione
di
idee
;
e
non
l
'
ha
.
L
'
autore
non
ha
saputo
essere
profondo
,
ma
non
ha
voluto
essere
pedante
.
E
non
vi
sono
se
non
gli
scrittori
profondi
,
o
i
pedanti
logici
e
in
buona
fede
,
che
riescano
attraenti
.
Il
"
limbo
dei
bambini
"
credo
che
non
sia
divertente
neppure
pei
bambini
.
Io
auguro
che
quest
'
ultima
manifestazione
della
questione
della
lingua
,
che
ci
è
data
dal
libro
del
De
Amicis
,
sia
anche
definitivamente
l
'
ultima
,
e
che
il
vecchio
e
vuoto
dibattito
muoia
con
l
'
Idioma
gentile
.
Morrebbe
così
tra
le
mani
di
uno
dei
nostri
più
amati
e
amabili
scrittori
.
Il
De
Amicis
nella
prefazione
alla
nuova
edizione
dell
'
Idioma
gentile
polemizza
,
senza
far
nomi
,
coi
suoi
critici
;
e
principalmente
contro
l
'
autore
del
presente
scritto
(
pubblicato
la
prima
volta
nel
"
Giornale
d
'
Italia
"
del
7
luglio
1905
)
.
Prendo
occasione
da
questa
polemica
per
aggiungere
un
'
avvertenza
,
che
dimenticai
nell
'
esame
del
libro
.
L
'
Idioma
gentile
,
oltre
a
fondarsi
sopra
un
concetto
errato
del
linguaggio
,
è
uno
schietto
prodotto
della
fissazione
linguaiola
,
triste
eredità
della
decadenza
italiana
,
e
della
decadenza
di
quella
regione
che
fu
il
cuore
dell
'
Italia
poetica
e
artistica
,
la
Toscana
.
La
fissazione
linguaiola
pone
un
interesse
esageratissimo
,
tutto
il
più
fervido
interesse
della
propria
anima
,
nel
dissertare
e
sottilizzare
sulle
denominazioni
delle
più
piccole
cose
e
più
materiali
;
e
fa
che
uno
si
reputi
letterariamente
disonorato
se
,
per
es
.
,
non
riesca
a
sapere
esattamente
come
si
dica
in
Toscana
,
o
nei
circoli
autorizzati
dei
ben
parlanti
,
la
"
granata
"
,
e
come
questa
si
denomini
variamente
secondo
che
sia
fatta
di
"
scopa
"
o
di
"
saggina
"
o
di
"
crine
di
cavallo
"
,
e
a
dare
in
ismanie
se
oda
un
napoletano
chiamare
tutte
queste
sorte
di
granate
,
indistintamente
,
"
scope
"
.
Par
che
caschi
il
mondo
!
In
compenso
,
poi
,
l
'
indifferenza
è
somma
per
quel
che
riguarda
le
distinzioni
dei
fatti
psicologici
e
morali
,
dei
concetti
filosofici
e
simili
.
Si
tratta
,
dunque
,
non
tanto
di
raffinamento
estetico
,
quanto
,
oso
dire
,
di
restringimento
mentale
.
Sulla
natura
e
la
genesi
di
questa
fissazione
ci
sarebbe
ancora
non
poco
da
notare
;
ma
i
lettori
non
avranno
forse
bisogno
delle
mie
osservazioni
e
dei
miei
ragionamenti
per
avvertire
quel
che
v
'
ha
di
comico
nelle
fatiche
e
ambasce
dei
linguai
.
All
'
effetto
del
chiarimento
ha
provveduto
lo
stesso
De
Amicis
col
promuovere
l
'
interminabile
dibattito
,
che
si
è
svolto
tra
l
'
ottobre
e
il
novembre
del
1906
nelle
colonne
del
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
sull
'
alta
,
grave
e
profonda
questione
della
migliore
parola
che
serva
a
esprimere
il
"
rumore
del
pan
fresco
"
.
A
una
conclusione
,
veramente
,
questa
volta
non
si
è
giunti
;
e
come
si
potrebbe
concludere
in
questioni
così
alte
,
così
gravi
e
così
profonde
?
Ma
non
voglio
scherzare
:
la
verità
è
che
io
,
nel
leggere
quelle
proposte
e
risposte
e
controrisposte
,
mi
vergognavo
non
poco
.
Tanta
mollezza
e
oziosità
mentale
c
'
è
dunque
ancora
in
Italia
?
.
StampaPeriodica ,
Nel
libro
del
De
Amicis
sono
affermazioni
e
sottintesi
che
,
a
mio
parere
,
si
fondano
sopra
un
vecchio
e
falso
concetto
del
linguaggio
.
E
poiché
quel
libro
,
pel
nome
del
suo
autore
,
era
destinato
a
molta
divulgazione
,
volli
mettere
in
guardia
i
lettori
,
contrapponendo
il
modo
in
cui
si
produce
l
'
arte
dagli
artisti
e
si
giudica
dagli
uomini
di
gusto
alle
viete
concezioni
dei
linguai
,
che
in
quel
libro
ricomparivano
non
certo
con
coerenza
sistematica
e
intolleranza
pedantesca
,
ma
in
forma
temperata
e
perciò
più
insinuante
.
Sono
lieto
che
il
Gargàno
(
al
quale
nessuno
vorrà
negare
gusto
di
poesia
e
finezza
di
giudizio
)
si
sia
manifestato
d
'
accordo
con
me
e
abbia
inteso
perfettamente
che
la
mia
protesta
era
mossa
in
nome
dell
'
arte
contro
coloro
che
esibiscono
parole
e
frasi
come
merciaiuoli
ambulanti
i
nastri
e
le
matassine
.
Nondimeno
ad
alcuno
è
sembrato
che
gli
scolaretti
negligenti
d
'
Italia
dovessero
promuovere
una
dimostrazione
di
gratitudine
verso
di
me
;
ad
altri
,
che
volessi
rendere
superflue
le
cattedre
d
'
italiano
,
col
relativo
personale
insegnante
;
altri
ancora
ha
gridato
all
'
anarchia
;
finanche
il
mio
venerato
amico
prof
.
D
'
Ancona
mi
ha
fatto
un
mezzo
rabuffo
:
"
La
lingua
non
è
una
metafisicheria
campata
in
aria
,
ad
apprender
la
quale
e
ad
usarla
bastino
dei
concetti
astratti
...
Chi
non
la
vuole
studiare
,
non
la
studî
;
ma
non
ambisca
al
vanto
di
scrittore
,
ecc
.
ecc
.
"
.
-
"
Pace
,
o
esacerbati
spiriti
fraterni
!
"
.
Se
volete
proporre
,
come
si
dice
,
uno
"
stringimento
di
freni
"
e
rendere
la
scuola
più
rigorosa
e
laboriosa
,
accoglietemi
,
vi
prego
,
tra
i
vostri
gregarî
.
Io
non
ho
pensato
niente
di
ciò
che
mi
attribuite
.
La
scuola
,
si
sa
,
non
può
procedere
se
non
con
le
leggi
stesse
dello
svolgimento
dello
spirito
umano
;
e
la
teoria
da
me
sostenuta
sarebbe
falsa
,
se
non
avesse
rispondenza
in
quel
che
ogni
bravo
insegnante
fa
da
sé
,
senz
'
aspettare
la
mia
parola
,
per
naturale
dirittura
di
mente
.
Ogni
bravo
insegnante
non
insegna
la
lingua
,
ma
fa
leggere
e
gustare
gli
scrittori
;
comunica
,
dunque
,
non
la
lingua
astratta
,
ma
la
lingua
incarnata
.
Non
corregge
sopra
un
modello
arbitrario
e
meccanicamente
gli
scritti
dei
suoi
alunni
,
ma
,
mettendosi
nello
spirito
di
ciascuno
,
mostra
a
ciascuno
quel
che
veramente
intendeva
dire
e
non
ha
detto
.
Non
uccide
l
'
individualità
degli
scolari
,
ma
fa
sì
che
ciascuno
ritrovi
veramente
sé
stesso
.
-
Mi
è
stato
domandato
:
deve
o
no
un
insegnante
correggere
una
parola
dialettale
che
sia
nello
scritto
di
un
suo
alunno
,
e
sostituirvi
la
parola
esatta
italiana
?
e
,
se
sì
,
ciò
non
contrasta
con
la
vostra
teoria
?
-
Che
cosa
debba
correggere
,
l
'
insegnante
intelligente
deve
saperlo
lui
,
caso
per
caso
:
"
vocabolo
dialettale
"
è
determinazione
troppo
vaga
perché
vi
si
possa
fondare
sopra
una
legge
:
sì
,
no
,
secondo
i
casi
.
Ecco
perché
quell
'
eventuale
"
correzione
"
addotta
in
esempio
non
sta
contro
la
tesi
che
io
sostengo
.
Quanto
agli
insegnanti
pedanti
per
fanatismo
o
per
comodo
(
essere
pedanti
è
talvolta
comodo
,
perché
risparmia
fatiche
d
'
indagini
)
,
quelli
,
senza
dubbio
,
le
stanno
contro
,
come
la
mia
tesi
sta
contro
di
loro
.
Ma
non
sarà
poi
da
dolersi
,
se
taluno
di
quegli
insegnanti
verrà
scosso
nel
suo
fanatismo
e
nella
sua
pigrizia
e
costretto
a
un
esame
di
coscienza
e
,
per
avventura
,
a
cangiare
strada
.
Pure
(
s
'
incalza
,
ed
è
questa
l
'
obiezione
che
sembra
assai
grave
)
,
nelle
scuole
non
si
può
far
di
meno
di
vocabolari
,
di
frasarî
,
di
nomenclature
;
bisogna
che
l
'
alunno
si
fornisca
di
una
certa
provvista
di
ricordi
linguistici
,
che
comporrà
il
fondo
della
sua
cultura
letteraria
.
-
E
qui
io
non
so
che
cosa
mi
dire
,
perché
ogni
qual
volta
(
e
sono
già
parecchie
)
ho
criticato
l
'
assurdità
teorica
della
Rettorica
,
della
Grammatica
,
delle
Istituzioni
letterarie
e
di
altrettali
formazioni
didascaliche
,
non
ho
lasciato
mai
di
avvertire
che
,
nel
rispetto
pratico
,
quelle
costruzioni
hanno
la
loro
buona
ragione
e
la
loro
utilità
;
che
non
se
ne
può
far
di
meno
come
validi
sussidî
.
alla
memoria
;
e
che
giovano
,
non
solamente
nella
scuola
,
ma
anche
fuori
di
essa
,
nella
vita
.
In
quali
proporzioni
e
modi
bisogni
usarne
nella
scuola
è
un
altro
problema
,
che
solamente
l
'
insegnante
intelligente
può
risolvere
e
,
sempre
,
caso
per
caso
.
Ma
ciò
che
è
sussidio
alla
memoria
dà
la
parte
,
per
così
dire
,
materiale
ed
estrinseca
dell
'
insegnamento
;
e
invece
il
nostro
discorso
si
aggirava
intorno
all
'
insegnamento
vero
e
proprio
.
Se
si
esce
dalla
questione
,
si
potrà
sostenere
perfino
(
e
non
si
sosterrà
poi
il
falso
)
che
per
l
'
insegnamento
dell
'
italiano
sia
necessario
che
gli
alunni
non
giungano
a
scuola
con
lo
stomaco
vuoto
.
Il
male
è
che
,
laddove
nessuno
(
salvo
forse
qualche
lombrosiano
)
pretende
giudicare
una
pagina
secondo
che
lo
scrittore
l
'
abbia
scritta
o
no
a
stomaco
digiuno
,
moltissimi
invece
,
per
confusione
mentale
,
si
fanno
a
cangiare
i
sussidî
meccanici
dell
'
apprendimento
in
criterî
di
produzione
e
in
giudizî
sull
'
arte
.
E
questo
è
il
nodo
,
molto
semplice
ma
molto
stretto
,
della
questione
.
Nel
"
Marzocco
"
del
23
e
del
30
luglio
1905
.
"
Rass
.
bibliogr
.
d
.
lett
.
ital
.
"
,
XIII
,
p
.
268
.
StampaPeriodica ,
Un
partito
politico
attivo
e
vitale
come
il
Partito
socialista
è
obbligato
a
pigliar
posizione
di
fronte
a
tutte
le
correnti
politiche
che
si
formano
nel
paese
.
Non
è
quindi
inopportuno
fissare
l
attenzione
dei
lettori
su
un
movimento
,
iniziato
a
Roma
da
un
giornale
settimanale
,
la
Terza
Italia
,
e
dalla
Federazione
mazziniana
di
Terni
,
allo
scopo
di
ricondurre
il
Partito
repubblicano
alla
tradizione
cosiddetta
intransigente
della
parte
mazziniana
.
Il
programma
di
questo
movimento
,
che
io
reputo
a
priori
capace
di
una
certa
diffusione
,
date
le
speciali
condizioni
politiche
del
paese
,
non
è
ben
definito
se
non
da
un
lato
solo
,
quello
negativo
,
essendo
esso
rivolto
contro
i
metodi
parlamentari
,
recentemente
adottati
dal
Partito
repubblicano
.
Non
esclusa
la
fisima
antiparlamentare
,
i
neo
-
mazziniani
di
oggi
non
valgono
più
di
quelli
di
ieri
:
non
sanno
quello
che
vogliono
.
Nel
che
sta
il
vero
pericolo
del
movimento
.
Ragionando
per
filo
di
ipotesi
più
o
meno
fondate
,
la
risurrezione
mazziniana
non
può
proporsi
che
uno
scopo
solo
:
far
proseliti
in
mezzo
al
Partito
repubblicano
ufficiale
.
Fuori
l
àmbito
di
questo
partito
gli
è
per
logica
naturale
di
cose
interdetta
ogni
possibile
diffusione
di
principi
.
Il
neo
-
movimento
mazziniano
,
essendo
in
fondo
una
semplice
critica
in
azione
del
Partito
repubblicano
ufficiale
,
non
può
vivere
che
su
di
questo
,
come
il
parassita
non
può
vivere
che
sull
organismo
da
esso
sfruttato
.
Non
applicandosi
la
critica
mazziniana
né
agli
altri
partiti
,
né
alla
generale
condizione
del
paese
,
essa
non
può
agire
,
ove
abbia
veramente
forza
diffusiva
il
che
è
possibile
,
entro
certo
limiti
,
anche
per
le
tradizioni
schiettamente
rivoluzionarie
dei
repubblicani
italiani
che
come
un
movimento
di
secessione
ed
un
tentativo
di
frazionamento
.
Perché
la
critica
mazziniana
non
si
applichi
alle
condizioni
del
paese
,
né
abbia
speranza
di
successo
in
mezzo
agli
altri
partiti
radicali
,
si
dirà
in
appresso
.
Quanto
al
pericolo
che
essa
operi
come
un
movimento
di
secessione
,
il
pericolo
è
già
evidente
passando
in
rassegna
i
pochi
numeri
sinora
pubblicati
della
Terza
Italia
.
Lasciando
stare
i
soliti
vanitosi
,
capricciosi
ed
inconcludenti
,
che
ad
ogni
nuova
pubblicazione
sentono
il
bisogno
di
notificare
ai
popoli
un
qualche
nuovo
progresso
del
loro
spirito
,
sta
in
fatto
che
una
tendenza
va
pronunciandosi
presso
alcune
frazioni
sin
qui
aderenti
al
Partito
repubblicano
ufficiale
,
di
proporre
in
seno
al
prossimo
congresso
del
partito
un
ritorno
ai
metodi
di
papa
Celestino
,
tanto
cari
ai
repubblicani
italiani
sino
al
1890
o
giù
di
lì
.
La
necessità
di
propugnare
il
ritorno
all
integrale
programma
di
Mazzini
è
consigliata
dalla
federazione
di
Terni
ai
mazziniani
aderenti
al
Partito
repubblicano
ufficiale
,
a
proposito
dell
imminente
congresso
del
partito
.
Ma
,
di
fronte
a
questo
congresso
,
la
federazione
di
Terni
serba
un
atteggiamento
anche
più
sprezzante
.
Essa
lo
considera
come
inutile
ai
fini
specifici
del
mazzinianismo
,
e
già
si
propone
di
indire
un
contro
-
congresso
.
Cosicché
è
alle
viste
la
costituzione
di
un
nuovo
partito
repubblicano
italiano
.
Troppa
grazia
!
È
questo
il
vero
pericolo
al
quale
accennavo
testé
.
Ma
è
bene
spiegarci
chiaramente
.
Che
,
essendovi
dei
mazziniani
nel
paese
,
questi
sentano
il
bisogno
di
unirsi
e
diffondere
le
loro
idee
,
è
cosa
perfettamente
naturale
e
della
quale
siamo
i
primi
a
rallegrarci
.
La
diffusione
di
qualsiasi
idea
,
per
quanto
falsa
o
giudicata
immorale
alla
stregua
della
moralità
del
tempo
,
non
può
riuscire
che
benefica
al
corso
generale
dell
evoluzione
di
un
paese
.
Politicamente
e
moralmente
noi
abbiamo
però
il
dovere
di
combattere
tutte
le
idee
e
tutte
le
correnti
che
giudichiamo
dannose
.
Nessun
altro
appello
deve
esser
fatto
in
questa
disputa
fuorché
alle
armi
della
ragione
.
È
indegno
di
servire
la
scienza
chiunque
in
una
disputa
teorica
fa
entrare
un
appello
alla
forza
del
governo
o
alla
violenza
personale
.
Ora
,
rompere
la
compagine
del
Partito
repubblicano
italiano
non
torna
dannoso
allo
sviluppo
di
tutti
gli
altri
partiti
popolari
?
Il
ritorno
all
anarchismo
mazziniano
,
rispetto
ai
metodi
,
quando
il
Partito
repubblicano
deve
i
suoi
successi
ad
un
metodo
opposto
,
non
è
creare
un
nuovo
ostacolo
all
evoluzione
degli
altri
partiti
popolari
,
spingendo
risolutamente
all
indietro
le
forze
di
uno
degli
alleati
?
Ed
a
vantaggio
di
che
si
fa
poi
questa
conversione
del
repubblicanismo
al
mazzinianismo
?
Su
di
una
cosa
i
neo
-
mazziniani
sono
perfettamente
in
chiaro
:
sulla
opportunità
di
respingere
l
uso
dei
mezzi
parlamentari
.
Ciò
che
essi
propugnano
in
modo
risoluto
ed
esplicito
è
l
astensione
dalle
lotte
elettorali
politiche
;
e
poiché
essi
sono
repubblicani
e
quindi
non
negano
,
come
gli
anarchici
,
il
male
indispensabile
dello
Stato
indispensabile
almeno
entro
limiti
di
tempo
abbastanza
ampi
ed
ammettono
pienamente
il
metodo
rappresentativo
,
il
loro
astensionismo
altro
non
è
se
non
legittimismo
repubblicano
.
In
fondo
,
chi
esamini
la
psicologia
intima
dell
astensionismo
elettorale
propugnato
dal
Mazzini
,
vi
riscontrerà
lo
sdegno
e
la
protesta
dell
antico
triumviro
,
sostituito
al
potere
da
un
usurpatore
.
L
amore
davvero
mistico
con
cui
il
Mazzini
circondò
il
nome
di
Roma
,
l
ardore
religioso
con
il
quale
seppe
vantarne
una
pretesa
missione
storica
,
e
la
pagina
insigne
,
scritta
col
sacrificio
di
tanti
,
nel
nome
repubblicano
dell
Urbe
degenere
,
conferirono
a
fargli
credere
legata
al
suo
nome
ed
a
quello
da
esso
inseparabile
della
futura
repubblica
italiana
le
sorti
di
Roma
.
Mazzini
considerò
la
dinastia
occupatrice
come
rea
di
usurpazione
.
Il
papa
laico
e
il
papa
cattolico
consigliarono
ai
fedeli
delle
due
chiese
la
stessa
condotta
:
l
astensione
dalle
lotte
politiche
.
L
astensionismo
mazziniano
era
una
protesta
,
tale
e
quale
come
quello
papalino
.
Mazzini
aveva
scritto
tante
volte
che
la
risurrezione
unitaria
dell
Italia
non
poteva
essere
se
non
repubblicana
,
e
,
quando
vide
che
i
fatti
lo
smentivano
,
non
volle
già
credere
ad
una
necessità
storica
operante
al
di
là
dei
disegni
volontari
della
mente
umana
,
ma
ad
un
intrigo
riuscito
per
la
forza
stessa
dell
inganno
.
La
sua
irreconciliabile
avversione
al
nuovo
regime
,
cui
credeva
di
poter
rimproverare
l
inganno
e
l
usurpazione
,
prese
corpo
e
sostanza
nella
costante
predicazione
dell
astensionismo
politico
,
ed
egli
si
illuse
di
poter
così
concorrere
a
demolire
quel
regime
.
Ma
,
uomo
del
resto
del
più
alto
senso
politico
,
capì
che
la
lotta
negativa
dell
astensione
non
bastava
,
ed
occorreva
attaccare
il
regime
combattuto
in
modo
più
diretto
.
Mazzini
fu
astensionista
dalle
lotte
elettorali
per
la
assai
semplice
ragione
che
egli
fu
cospiratore
.
Finché
il
Partito
repubblicano
si
fuse
e
si
confuse
con
il
mazzinianismo
,
la
cospirazione
fu
il
naturale
complemento
della
propaganda
pubblica
.
L
Alleanza
repubblicana
universale
,
istituita
dal
Mazzini
e
che
ebbe
esistenza
ufficiale
sin
verso
il
1890
,
benché
menasse
vita
stentata
e
poverissima
,
era
un
associazione
cospiratoria
a
molteplici
gradi
di
iniziazione
.
Lo
sfacelo
dell
Alleanza
,
avvenuto
per
processo
di
naturale
ed
intima
dissoluzione
,
senza
alcun
concorso
né
della
violenza
,
né
dell
inganno
governativo
,
è
la
miglior
critica
che
dei
metodi
cospiratori
possa
farsi
in
un
paese
che
,
anche
senza
possedere
una
libertà
di
stampa
,
di
riunione
e
di
associazione
molto
sicura
e
generale
,
si
regge
a
sistema
rappresentativo
.
Il
cospiratorismo
hoffenbacchiano
dell
Alleanza
,
durato
,
come
ho
detto
,
sino
a
data
recentissima
,
si
sfasciava
nella
incoerenza
della
propria
ragione
di
essere
.
Mazzini
,
naturalmente
,
non
è
responsabile
di
queste
assurdità
.
Egli
moriva
nel
1872
,
diciotto
mesi
dopo
l
entrata
in
Roma
della
monarchia
,
e
la
vicinanza
del
periodo
rivoluzionario
vero
e
proprio
poteva
ancora
persuadere
metodi
cospiratori
ed
insurrezionali
:
anzi
a
dire
la
verità
,
la
logica
era
tutta
dalla
parte
di
questi
metodi
.
Ma
chiuso
il
periodo
dell
agitazione
,
inauguratosi
il
periodo
dell
organizzazione
,
il
Partito
repubblicano
doveva
mutar
via
.
La
suggestione
e
la
superstizione
dei
vecchi
metodi
aduggiò
invece
il
campo
.
Ne
avvenne
quel
che
doveva
avvenire
.
Siccome
non
è
possibile
differire
all
infinito
la
realizzazione
di
un
fine
,
i
cui
mezzi
implichino
una
tensione
permanente
dei
nervi
,
come
il
metodo
cospiratorio
,
che
involge
un
pericolo
permanente
,
il
partito
si
sfasciò
.
L
astensionismo
e
la
cospirazione
lo
facevano
a
brandelli
.
La
salute
,
infatti
,
non
venne
che
dall
uso
del
metodo
opposto
,
e
questo
non
vedono
i
redattori
della
Terza
Italia
.
Dal
1885
al
1892
la
storia
del
Partito
repubblicano
italiano
è
la
storia
del
proprio
sfacelo
.
La
riforma
della
legge
elettorale
manda
alla
Camera
rinforzato
il
numero
dei
deputati
che
si
qualificano
repubblicani
;
ma
,
mentre
essi
svolgono
un
azione
qualunque
nella
Camera
,
sono
smentiti
dal
proprio
partito
organizzato
.
Le
Società
operaie
affratellate
,
sotto
il
qual
nome
è
compresa
l
organizzazione
pubblica
del
Partito
repubblicano
,
non
fanno
che
lacerarsi
in
lotte
intestine
.
Dopo
aver
descritto
fondo
all
universo
nei
loro
innumerevoli
congressi
,
non
sanno
mai
indicare
la
via
per
cui
le
cose
votate
si
hanno
da
applicare
.
L
assoluta
indipendenza
elettorale
delle
società
stesse
toglie
al
partito
ogni
fisionomia
di
partito
.
La
cospirazione
e
l
astensionismo
uccidono
,
nella
loro
evidente
incongruenza
,
un
partito
floridissimo
e
ricco
di
memorie
storiche
gloriose
.
La
risurrezione
cominciò
solo
quando
i
lombardi
indussero
il
partito
nelle
vie
elettorali
e
dell
agitazione
pubblica
.
Ora
si
può
anche
,
come
chi
scrive
,
non
essere
infetto
dalla
superstizione
parlamentare
,
non
dividere
per
i
metodi
sinceramente
rivoluzionari
tutto
l
orrore
evoluzionistico
e
scientifico
di
alcuni
compagni
nostri
,
e
tuttavia
scorgere
l
assurdo
della
posizione
entro
cui
si
dibatte
il
neo
-
mazzinianismo
.
Mazzini
almeno
era
logico
.
All
astensionismo
elettorale
egli
univa
la
cospirazione
politica
;
ma
poiché
l
epoca
nostra
è
manifestamente
ripugnante
,
per
necessità
di
cose
,
e
nello
stesso
interesse
dei
fini
rivoluzionari
,
dai
metodi
cospiratori
,
e
la
evidenza
di
questa
osservazione
non
può
non
imporsi
agli
stessi
mazziniani
,
ne
deriva
che
essi
sono
condannati
alla
impotenza
assai
più
facilmente
che
non
i
loro
predecessori
.
Dovendo
rinunziare
all
azione
cospiratoria
e
volendosi
interdire
quella
parlamentare
,
quali
mezzi
d
azione
restano
al
nuovo
partito
?
Non
quelli
della
legale
conquista
della
maggioranza
parlamentare
;
non
quelli
della
settaria
insurrezione
e
di
colpi
di
mano
;
dunque
soltanto
la
mistica
aspettazione
,
accompagnata
dalla
innocua
e
sterile
diffusione
di
principi
astratti
,
avulsi
dal
terreno
della
lotta
quotidiana
.
Che
per
tal
via
essi
possano
esercitare
un
azione
qualunque
sul
Partito
socialista
appare
impossibile
sin
da
principio
.
Noi
siamo
il
partito
dei
lavoratori
ed
abbiamo
la
responsabilità
della
difesa
dei
loro
interessi
quotidiani
.
Poiché
noi
non
pensiamo
attuabile
il
socialismo
,
ovverossia
la
generica
società
dell
eguaglianza
,
uno
ictu
,
ma
anzi
per
opera
di
successive
conquiste
,
sino
all
espropriazione
totale
e
definitiva
della
borghesia
,
ci
è
giuocoforza
ottenere
dai
parlamenti
borghesi
tutto
quel
massimo
di
riforme
di
cui
essi
sono
capaci
.
Anche
senza
essere
profondamente
ammalati
di
infatuamento
parlamentare
,
la
tattica
dei
parlamenti
ci
si
impone
per
necessità
di
cose
.
La
forma
della
setta
non
ci
si
addice
affatto
.
Ecco
perché
i
mazziniani
non
possono
sperare
di
esercitare
una
azione
qualunque
su
di
noi
.
E
allora
torniamo
al
punto
di
partenza
.
Il
neo
-
mazzinianismo
sarà
costretto
ad
esercitarsi
a
spesa
del
Partito
repubblicano
vero
e
proprio
,
di
cui
la
parte
meno
socialmente
definibile
,
e
più
portata
per
temperamento
ai
facili
entusiasmi
del
rivoluzionarismo
verbale
,
cadrà
nella
sfera
d
influenza
del
mazzinianismo
.
L
esistenza
di
due
partiti
repubblicani
quello
anarchico
e
quello
parlamentare
scomunicantisi
in
nome
della
stessa
idea
,
non
contribuirà
ad
accrescere
prestigio
alla
soluzione
repubblicana
.
L
epoca
della
confusione
propagandistica
risorgerà
ancora
una
volta
per
il
Partito
repubblicano
,
e
con
essa
le
conseguenze
dissolventi
di
un
tempo
.
Alberto
Mario
scrisse
una
volta
che
il
Partito
repubblicano
avrà
allora
forma
ed
importanza
veramente
politica
,
quando
la
tradizione
settaria
del
mazzinianismo
sarà
completamente
scomparsa
.
È
probabile
che
il
Mario
,
facile
alle
ire
polemiche
,
esagerasse
;
ma
non
è
negabile
che
,
in
tutto
il
periodo
posteriore
all
unificazione
d
Italia
,
la
tradizione
dei
metodi
mazziniani
non
è
stata
propizia
alle
sorti
del
Partito
repubblicano
.
Il
nuovo
tentativo
già
si
annunzia
gravido
di
dissensioni
.
Ecco
perché
io
penso
che
la
condotta
del
Partito
socialista
debba
essere
deliberatamente
ostile
di
fronte
all
iniziativa
della
Terza
Italia
e
della
federazione
di
Terni
.
StampaPeriodica ,
Verso
la
fine
del
quattrocento
grande
era
il
disordine
in
cui
s
'
aggirava
il
concetto
della
lingua
nostra
e
delle
lettere
,
che
da
un
lato
erano
declinanti
,
dall
'
altro
sentivano
se
stesse
per
anche
non
bene
mature
.
Da
noi
si
chiama
buon
secolo
della
lingua
nostra
quello
di
Dante
o
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
;
ma
gli
scrittori
in
quella
età
non
ebbero
tanta
fiducia
di
se
stessi
né
tanta
superbia
.
Il
che
si
dimostra
in
primo
luogo
dal
disputare
che
si
fece
subito
intorno
alla
lingua
,
la
quale
avendo
taccia
,
di
bassezza
non
era
,
autorevole
bastantemente
sulla
nazione
;
era
un
dialetto
venuto
su
quando
una
spinta
maravigliosa
fu
data
agli
ingegni
,
ma
senza
corredo
di
scienza
bastante
.
Sentìano
mancare
all
'
efficacia
della
lingua
l
'
arte
del
dire
;
in
quella
età
noi
cerchiamo
la
potenza
della
parola
e
della
frase
,
ma
non
vi
troviamo
bastante
evidenza
dei
costrutti
,
e
l
'
orditura
dei
periodi
si
dimostra
per
lo
più
timida
o
intralciata
.
Questo
sentivano
gli
scrittori
,
massimamente
poi
quando
ebbero
assaggiato
gli
autori
latini
:
Filippo
Villani
(
nel
Proemio
)
tace
di
Giovanni
,
e
di
Matteo
suo
padre
dice
avere
egli
usato
«
lo
stile
che
a
lui
fu
possibile
;
apparecchiando
materia
a
più
dilicati
ingegni
d
'
usare
più
felice
e
più
alto
stile
»
.
Né
avrebbe
il
Boccaccio
al
nostro
idioma
fatto
la
violenza
ch
'
egli
fece
,
so
non
avesse
egli
nella
prosa
creduto
trovarlo
come
giacente
e
da
cercare
altrove
i
modi
e
le
forme
a
dargli
grandezza
.
Le
varie
parti
della
coltura
non
avendo
le
uno
con
lo
altre
avuto
in
Italia
proporzione
sufficiente
,
quei
primi
sommi
parve
,
si
alzassero
come
giganti
per
virtù
propria
,
dopo
sé
lasciando
un
intervallo
per
cui
le
lettere
cominciassero
un
altro
corso
dove
i
primi
gradi
già
fossero
stati
con
inverso
ordine
preoccupati
.
Il
che
nelle
arti
belle
non
avvenne
,
e
quindi
poterono
esse
regolatamente
salire
alla
loro
perfezione
:
ma
le
lettere
invece
di
Giotto
ebbero
subito
Michelangelo
,
terrore
agli
altri
piuttosto
che
guida
;
ed
il
Boccaccio
avendo
trovato
la
lingua
già
bene
adulta
ma
inesperta
,
la
fece
andare
per
mala
via
:
il
solo
Petrarca
più
degli
altri
fortunato
,
lasciò
dietro
sé
lunga
e
prospera
discendenza
.
Avvenne
per
questa
mala
sorte
che
la
lingua
innanzi
di
farsi
e
di
tenersi
donna
e
madonna
come
si
conveniva
a
tali
uomini
ed
a
tale
popolo
,
non
bene
osasse
distaccarsi
dal
latino
che
stava
siccome
suo
legittimo
signore
,
talché
all
'
italiano
si
diede
per
grazia
l
'
umile
titolo
di
volgare
.
Né
questa
ignobile
appellazione
cessava
col
volger
dei
tempi
,
le
traduzioni
dal
latino
s
'
intitolavano
volgarizzamenti
ed
anche
oggi
quel
che
si
scrive
da
noi
letterati
diciamo
scrivere
in
volgare
,
Dio
ce
lo
perdoni
.
Ma
quando
pei
cercatori
dei
libri
classci
il
latino
fu
ogni
cosa
,
e
chi
non
facesse
di
quello
il
suo
unico
studio
ebbe
nome
d
'
uomo
senza
lettere
;
allora
alla
lingua
stata
compagna
,
dei
loro
affetti
mandarono
i
dotti
il
libello
del
ripudio
,
anzi
fu
cacciata
via
come
la
serva
quando
torna
la
matrona
.
Sarebbe
al
Poggio
ed
ai
suo
pari
sembrato
vergogna
scrivere
italiano
,
onde
egli
scriveva
latine
le
Istorie
dei
tempi
suoi
e
le
Lettere
e
perfino
le
Facezie
.
I
poveri
scritti
di
chi
aveva
narrato
le
cose
come
le
aveva
fatte
,
si
traducevano
in
latino
perché
si
acquistassero
un
poco
di
stima
.
Né
Pico
Della
Mirandola
fu
il
primo
che
dicesse
mancare
le
cose
al
Petrarca
e
a
Dante
le
parole
;
questi
era
stato
già
tempo
innanzi
vituperato
come
sciupatore
del
bello
classico
da
Niccolò
Niccoli
erudito
raccoglitore
di
vecchi
libri
,
che
lui
chiamava
(
così
almeno
lo
fanno
parlare
)
«
poeta
da
fornai
e
da
calzolaj
»
,
perché
non
seppe
né
bene
intendere
Virgilio
né
avviarsegli
dietro
pei
compi
floridi
della
poesia
(
Leonardi
Aretini
Dialog
.
I
Ad
Petrum
Istrum
.
Fu
già
stampato
a
Basilea
,
ed
è
manoscritto
nella
Laurenziana
)
.
Più
tardi
Cristoforo
Landino
,
che
fra
tutti
difese
la
lingua
toscana
e
la
usava
felicemente
,
sentenziò
pure
«
ch
era
mestieri
essere
latino
chi
vuole
essere
buono
toscano
»
(
Orazione
di
Cristoforo
Landino
,
Firenze
,
1853
)
.
Encomia
l
'
industria
che
Leon
Battista
Alberti
pose
a
trasferire
in
noi
l
'
eloquenza
dei
latini
;
né
certo
si
vuole
togliere
merito
a
siffatto
uomo
,
né
a
Matteo
Palmieri
né
ad
altri
lodati
con
lui
:
ma
fatto
è
poi
che
seguitare
nell
'
italiano
le
norme
latine
come
essi
fecero
,
tolse
loro
di
essere
letti
mai
popolarmente
,
così
che
si
giacquero
per
lungo
tempo
come
dimenticati
,
ed
oggi
guardandoli
a
fine
di
studio
ne
pare
di
leggere
una
lingua
morta
.
Cotesti
almeno
erano
uomini
educati
ai
buoni
studi
:
ve
n
'
erano
altri
d
'
ingegno
più
rozzo
,
i
quali
per
volere
essere
eloquenti
in
verso
ed
in
prosa
,
cercando
norme
all
'
italiano
fuori
di
se
stesso
,
facevano
certi
pasticci
di
lingua
,
né
latina
né
volgare
,
la
quale
usciva
come
per
singhiozzi
,
che
Dio
ce
ne
scampi
;
di
che
strani
esempi
potrei
allegare
se
fosse
qui
luogo
.
Ma
vale
fra
tutti
quello
di
Giovanni
Cavalcanti
,
autore
di
Storie
fiorentine
a
mezzo
il
quattrocento
:
non
fu
senza
ingegno
,
e
dove
narrando
le
cose
interne
della
repubblica
descrive
gli
umori
o
riferisce
i
parlari
dei
cittadini
,
dice
il
fatto
suo
con
evidenza
sovente
felice
;
ma
,
quando
vuol
essere
ornato
o
facondo
e
soprattutto
nelle
descrizioni
,
tenendo
dietro
agli
esempi
dei
latini
non
bene
letti
o
non
bene
intesi
,
diventa
oltremodo
fastidioso
per
lungaggini
e
peggio
ancora
per
l
'
ambizione
dei
falsi
colori
:
costui
che
avrebbe
potuto
essere
buon
cronista
,
fu
dall
'
abuso
dei
precetti
che
allora
correvano
condotto
ad
essere
malo
istorico
.
Così
andarono
le
cose
nella
repubblica
delle
lettere
fino
a
Lorenzo
dei
Medici
e
al
Poliziano
;
questi
certamente
mostrò
nelle
Stanze
scritte
da
lui
a
venticinque
anni
e
poi
non
finite
,
una
squisita
forma
di
poesia
che
annunziava
già
i
tempi
nuovi
di
cui
può
dirsi
prima
e
gentile
apparizione
.
Cionondimeno
quell
'
uomo
stesso
faceva
latini
poi
finché
visse
i
versi
e
le
prose
fino
al
racconto
della
Congiura
dei
Pazzi
,
fatto
domestico
e
tremendo
al
quale
era
stato
in
mezzo
e
che
tante
passioni
doveva
destargli
nell
'
animo
.
Nella
poesia
il
Poliziano
pareva
trovarsi
più
in
casa
sua
quando
scriveva
latino
:
più
imitatore
in
quelle
stanze
di
fina
bellezza
che
s
'
era
arrischiato
egli
a
scrivere
italiane
.
Lorenzo
dei
Medici
si
scusa
d
'
avere
in
lingua
volgare
commentato
i
suoi
Sonetti
,
tale
quale
come
Dante
se
n
'
era
scusato
dugent
'
anni
prima
.
Ma
nulla
dunque
si
era
fatto
in
quei
dugent
'
anni
quanto
all
'
uso
della
nostra
lingua
?
S
'
era
fatto
molto
ed
ogni
giorno
si
faceva
;
ma
il
male
stava
in
ciò
che
tale
uso
procedeva
bipartito
,
essendo
pel
naturale
andamento
suo
più
cólto
nei
popoli
ma
insieme
più
guasto
nei
libri
.
Un
assai
grande
numero
di
lettere
scritte
nel
quattrocento
furono
in
questi
anni
pubblicate
,
e
ne
abbiamo
noi
vedute
molte
manoscritte
;
e
molte
tratte
dagli
Archivi
di
Firenze
sono
allegate
nel
grande
Vocabolario
.
Ora
le
lettere
familiari
danno
sempre
l
'
espressione
più
naturale
e
più
immediata
del
vivo
parlare
,
e
chi
le
raffrontiad
altre
più
antiche
le
troverà
scritte
in
modo
che
annunzia
lingua
più
adulta
e
più
conforme
a
quella
che
poi
fu
la
moderna
italiana
lingua
.
Ma
nei
libri
stessi
umili
in
quel
secolo
,
sebbene
pallido
ne
sia
lo
stile
,
pure
il
discorso
procedeva
meglio
ordinato
e
più
finito
e
più
somigliante
ed
acuto
già
fatto
;
ma
non
però
bello
quanto
promettevano
le
grazie
e
il
fuoco
delle
età
prime
.
Io
pure
grido
,
studiamo
il
trecento
,
secolo
che
aveva
in
sé
certamente
quella
potenza
che
più
non
ebbe
la
lingua
nostra
;
ma
vero
è
poi
che
di
tutte
le
nazioni
gli
antichi
scrittori
si
riveriscono
come
vecchi
intanto
che
si
amano
come
fanciulli
;
si
ammirano
per
la
ingenuità
loro
e
per
la
forza
,
ma
non
si
saprebbe
né
si
vorrebbe
per
l
'
appunto
scrivere
a
quel
modo
.
Tuttociò
avviene
sempre
e
dappertutto
;
ma
fu
a
noi
tristo
privilegio
che
la
lingua
o
si
dovesse
o
si
credesse
dovere
attingere
dal
trecento
,
quasiché
in
essa
il
corso
del
tempo
facesse
il
vuoto
o
altro
non
avesse
fatto
che
guastarla
.
Negli
ultimi
anni
del
quattrocento
aveva
la
lingua
dunque
per
se
medesima
progredito
quanto
a
una
struttura
più
regolare
,
ma
dall
'
essere
usata
poco
e
trascuratamente
nei
libri
,
pareva
e
anche
oggi
a
noi
pare
,
in
fatto
essere
decaduta
da
ciò
che
ella
era
nel
secolo
precedente
.
Lorenzo
de
'
Medici
,
il
Landino
ed
altri
dicono
spesso
alla
lingua
nostra
essere
mancati
gli
uomini
e
lo
stile
di
chi
la
usasse
;
il
che
fu
vero
quanto
allo
scriverla
come
abbiamo
qui
sopra
notato
;
ma
fu
anche
vero
quanto
al
parlare
questa
lingua
in
modo
che
fosse
norma
ed
esempio
agli
scrittori
:
su
questo
punto
conviene
ora
,
un
poco
fermarsi
.
Mi
sovviene
avere
una
volta
udito
il
Foscolo
dire
nell
'
impeto
del
discorso
che
«
la
lingua
nostra
non
era
stata
mai
parlata
»
nella
quale
enfasi
di
parola
pare
a
me
stesse
il
germe
di
un
vero
che
ora
si
svolge
sotto
agli
occhi
nostri
.
Ma
il
campo
non
era
libero
a
quel
tempo
,
e
si
disputava
chi
avesse
ragione
se
il
Cesari
purista
,
o
il
Cesarotti
licenzioso
,
o
il
Perticari
con
quella
sua
lingua
che
stava
per
aria
.
Oggi
il
Manzoni
sgombrando
quel
campo
ha
dato
a
noi
terreno
fermo
col
fare
consistere
nell
uso
ogni
cosa
:
né
chi
voglia
uscire
da
quella
dottrina
può
stare
sul
vero
.
Ma
se
a
dire
lingua
si
dice
qualcosa
fuori
d
'
iena
,
semplice
nomenclatura
,
e
se
invece
si
tenga
essere
l
espressione
di
tutto
il
pensare
d
'
un
popolo
colto
,
certo
è
che
gli
usi
di
questa
lingua
sono
diversi
(
quanto
diverse
le
relazioni
cui
deve
servire
;
e
che
in
ciascuna
,
oltre
all
'
essere
disuguale
il
numero
delle
parole
che
si
adoprano
,
varia
è
anche
la
scelta
di
queste
parole
:
al
che
si
aggiunga
(
e
ciò
è
capitale
)
che
oltre
alle
parole
,
le
frasi
e
il
giro
e
i
collocamenti
di
esse
o
la
contestura
del
periodo
ed
in
certi
suoi
elementi
la
forma
di
tutto
il
discorso
che
sempre
ha
del
proprio
e
del
distinto
in
ogni
nazione
,
tutte
queste
cose
fanno
insieme
la
lingua
di
quella
nazione
.
So
che
la
lingua
in
tal
modo
intesa
dovrebbe
piuttosto
chiamarsi
linguaggio
,
ma
so
che
a
distinguere
con
secco
rigore
l
'
una
dall
'
altra
,
queste
due
parole
,
starebbe
la
lingua
tutta
intera
nei
vocabolari
dov
'
ella
si
giace
come
cosa
morta
.
Sotto
questo
aspetto
bisogna
pur
dire
che
la
lingua
che
si
parla
differisce
in
molte
sue
forme
dalla
lingua
che
si
scrive
,
secondo
che
variano
parlando
o
scrivendo
gli
intendimenti
,
le
volontà
ed
in
qualche
modo
lo
stato
degli
animi
in
chi
mette
fuori
il
suo
pensiero
,
e
in
chi
lo
ascolta
presente
o
deve
poi
da
sé
leggerlo
sulla
carta
.
Per
esempio
,
nella
rapidità
del
discorso
familiare
non
sempre
avviene
fare
periodi
che
stieno
in
gambe
come
suol
dirsi
,
perché
in
tal
caso
alla
intelligenza
molti
aiuti
provvedono
,
e
la
parola
come
alterata
da
una
concitazione
d
'
affetti
ne
diventa
spesso
più
efficace
.
Chiaro
esprimeva
questo
pensiero
Giovan
Battista
Gelli
nella
Prefazione
d
'
una
sua
Commedia
stampata
in
Firenze
l
'
anno
1550
:
«
Altra
lingua
è
quella
che
si
scrive
ne
le
cose
alte
e
leggiadre
,
e
altra
è
quella
che
si
parla
familiarmente
;
sì
che
non
sia
alcuno
che
creda
che
quella
nella
quale
scrisse
Tullio
,
sia
quella
che
egli
par
-
lava
giornalmente
»
,
questo
dice
il
Gelli
,
né
intendevano
del
comun
parlare
coloro
che
innanzi
di
lui
scrivevano
essere
mancati
gli
uomini
alla
lingua
(
Landino
,
Proemio
al
Commento
sulla
Divina
Commedia
)
Ma
se
poi
si
guardi
non
più
al
discorso
familiare
,
sibbene
a
quello
di
chi
parla
solo
ed
a
bell
'
agio
e
non
interrotto
,
in
faccia
ad
un
pubblico
o
ad
una
qualsiasi
radunanza
;
allora
il
linguaggio
s
'
avvicina
molto
allo
scrivere
,
di
cui
ben
fu
detto
non
essere
altro
che
un
pensato
parlare
:
nondimeno
chi
ponga
mente
per
non
dire
altro
al
tempo
elle
mette
generalmente
più
lungo
in
questo
pensare
l
'
uomo
che
scrive
di
colui
che
parla
,
non
che
al
discorso
che
n
'
esce
fuori
;
noterà
essere
delle
differenze
per
cui
la
parola
scritta
è
meno
viva
sempre
di
quella
ch
'
esce
parlando
quanto
mai
si
possa
pensatamente
.
Si
vede
nei
libri
quando
l
'
autore
poco
avvezzo
a
dire
le
cose
,
va
cercando
ed
esse
una
forma
che
si
adatti
ai
libri
:
nei
Greci
antichi
e
nei
Latini
ci
si
fa
innanzi
sempre
l
'
oratore
.
Imperocché
allo
scrivere
con
efficacia
è
grande
aiuto
l
'
uso
del
parlare
,
dove
uno
s
'
addestra
a
certo
artifizio
cui
più
di
rado
pervengono
le
scritture
,
dico
quella
distribuzione
sagace
di
concisione
e
di
abbondanza
e
di
facilità
e
di
sostenutezza
,
e
quei
colori
appropriati
a
'
luoghi
secondo
richiedono
i
varii
argomenti
e
le
diverse
parti
dell
'
orazione
:
s
'
imparano
queste
cose
dagli
effetti
che
in
altrui
produce
la
nostra
parola
.
Laonde
a
chi
scrive
manca
una
scuola
molto
essenziale
quando
egli
non
abbia
la
mente
già
instrutta
in
quelle
forme
per
cui
si
esprimono
parlando
le
cose
che
egli
vuole
scrivere
.
la
quale
mancanza
che
fu
in
Italia
,
dai
tempi
antichi
e
si
protrasse
poi
nei
moderni
,
ha
dato
spesso
ai
nostri
libri
certa
aridità
solenne
la
quale
ebbe
nome
di
stile
accademico
.
Da
questo
vizio
salvò
i
Francesi
la
conversazione
,
la
quale
fu
ad
essi
come
una
sorta
di
vita
pubblica
e
informò
lo
scrivere
in
ogni
qualsiasi
più
grave
argomento
;
talché
gli
scrittori
nel
tempo
medesimo
che
ne
acquistavano
maggior
vita
,
divennero
anche
più
facilmente
e
più
generalmente
popolari
,
così
da
esercitare
nella
lingua
qual
maestrato
il
quale
ha
bisogno
la
lingua
medesima
che
venga
dai
libri
.
Questa
,
sorta
di
maestrato
quale
si
sia
,
disse
tanto
bene
Vito
Fornari
in
un
recente
suo
libretto
,
chi
'
io
farei
torto
al
mio
concetto
se
non
lo
esprimessi
con
le
medesime
sue
parole
.
«
Se
egli
è
giusto
il
dire
che
il
linguaggio
non
istà
tutto
negli
scrittori
,
non
si
vorrà
per
questo
affermare
che
si
trovi
intero
fuori
degli
scrittori
.
Certi
fatti
mentali
,
e
certe
più
fine
relazioni
e
determinazioni
del
pensiero
,
non
si
vedono
distintamente
e
non
vengono
significate
,
se
non
quando
si
scrive
,
cosicché
alcuna
piccola
parte
de
'
vocaboli
o
molta
parte
de
'
modi
di
dire
o
de
'
costrutti
non
si
può
imparare
altrove
che
nelle
scritture
»
(
Lettera
stampata
nel
Propugnatore
,
Bologna
,
1869
)
.
Per
essere
in
questo
modo
imperfetta
la
lingua
nostra
poté
nel
secolo
di
cui
scriviamo
essere
accusata
«
di
viltà
e
non
capace
o
degna
di
alcuna
eccellente
materia
e
subietto
»
,
come
attesta
Lorenzo
de
'
Medici
in
quel
commento
del
quale
abbiamo
poc
'
anzi
discorso
.
Bene
egli
l
'
assolse
da
tale
accusa
,
con
argomenti
di
ragione
e
con
gli
esempi
di
Dante
e
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
.
Ma
quasi
non
fossero
per
sé
valevoli
quegli
esempi
,
afferma
al
suo
tempo
essere
la
lingua
«
tuttora
nella
adolescenza
perché
ognora
più
si
fa
elegante
e
gentile
.
E
potrebbe
facilmente
nella
gioventù
e
adulta
età
sua
venire
ancora
in
maggiore
perfezione
,
tanto
più
se
il
Fiorentino
impero
venisse
ad
ampliarsi
e
a
distendersi
maggiormente
»
(
Proemio
al
Commento
sulle
Canzoni
)
;
pensiero
nel
quale
stavano
adombrati
,
ma
certo
assai
timidamente
,
il
male
e
il
rimedio
.
Tali
erano
dunque
le
condizioni
di
questa
lingua
negli
ultimi
anni
del
quattrocento
;
l
'
abbiamo
veduta
per
l
'
andamento
suo
naturale
progredire
nelle
sue
più
familiari
ed
umili
forme
,
o
nella
opinione
dei
letterati
intanto
scadere
.
Ma
ricorrendo
ora
col
pensiero
per
tutto
quello
che
si
è
fin
qui
scritto
,
abbiamo
noi
ed
avrà
chi
legge
,
dovuto
accorgersi
che
il
discorso
nostro
non
v
'
era
mai
stato
caso
che
uscisse
fuori
dei
confini
della
Toscana
.
Di
ciò
cagione
fu
la
mancanza
non
dirò
intera
ma
poco
meno
,
di
libri
o
scritture
in
lingua
italiana
usciti
dalle
altre
provincie
d
'
Italia
.
Volere
discernere
se
dalla
cultura
dei
primi
Toscani
uscisse
la
lingua
o
dalla
lingua
la
colture
,
somiglierebbe
troppo
l
'
antica
lite
di
precedenza
che
fu
tra
l
'
ovo
e
la
gallina
;
poiché
la
lingua
essendo
una
materiale
determinazione
dei
pensieri
e
degli
affetti
che
si
produssero
dentro
a
quel
popolo
che
la
forma
,
diviene
strumento
che
rende
capace
quel
popolo
a
nuove
produzioni
del
pensiero
e
a
viepiù
estendere
la
sua
coltura
.
Oltrediché
una
lingua
è
monca
e
dappoco
finch
'
ella
non
abbia
la
sua
finitezza
negli
usi
letterarii
,
cioè
finché
non
sia
capace
ad
esprimere
le
cose
pensate
fuori
del
continuo
uso
e
prima
ordinate
dalla
lenta
opera
degli
intelletti
,
finché
non
abbia
insomma
prodotto
dei
libri
.
Ciò
avvenne
in
Toscana
subito
dopo
al
1230
,
prima
di
quel
tempo
dovendosi
credere
non
bene
compita
questa
moderna
favella
come
Dante
la
chiamava
.
Ma
ebbe
ad
un
tratto
scrittori
in
buon
numero
,
e
si
cominciò
a
tradurre
in
lingua
volgare
gli
autori
latini
;
tanta
fiducia
ebbe
acquistata
allora
il
pensiero
in
quella
sua
nuova
e
giovane
forma
.
E
furono
gli
anni
nei
quali
Firenze
,
divenuta
possente
ad
un
tratto
,
si
rivendicava
in
libertà
,
fondava
una
repubblica
popolare
,
pigliava
in
Italia
egemonia
delle
città
guelfe
,
diveniva
maestra
delle
Arti
e
produceva
il
libro
di
Dante
.
La
lingua
latina
come
noi
l
'
abbiamo
era
il
portato
di
una
solenne
elaborazione
del
pensiero
la
quale
si
fece
dentro
a
Roma
stessa
,
sovrapponendosi
alla
forma
latina
che
aveva
quivi
il
parlare
dei
greco
-
italici
:
nata
nel
fôro
e
nel
Senato
o
già
sovrana
sul
Campidoglio
,
si
distendeva
per
tutta
Italia
come
lingua
insieme
politica
e
letteraria
;
discesa
quindi
nelle
Basiliche
dei
cristiani
,
divenne
propria
della
religione
.
Nacque
il
volgare
nel
modo
stesso
ma
con
effetti
dissomiglianti
dentro
ad
un
popolo
d
'
artisti
,
ed
ebbe
tosto
una
letteratura
che
per
due
secoli
manteneva
l
'
impronta
in
se
stessa
.
della
città
che
l
'
avea
formata
.
In
quella
stavano
per
due
secoli
tutte
le
lettere
italiane
;
ma
perché
s
'
intenda
come
le
altre
provincie
nulla
a
quel
moto
partecipassero
,
vorremmo
che
studi
maggiori
si
facessero
sopra
i
vari
dialetti
d
'
Italia
,
mostrando
per
quali
più
lenti
passi
si
conducessero
anch
'
essi
ad
avere
scrittori
che
fossero
da
contare
oggi
tra
gli
Italiani
.
Allora
si
vedrebbe
fino
a
qual
punto
ciò
conseguissero
per
via
d
'
imprestiti
sopra
i
libri
d
'
autori
toscani
,
ma
né
potevano
questo
fare
né
il
farlo
sarebbe
stato
sufficiente
finché
i
dialetti
più
inferiori
avessero
tutta
serbata
l
'
antica
loro
povertà
.
E
rozzezza
.
Era
il
toscano
in
fine
dei
conti
un
italiano
più
compiuto
e
più
determinato
,
più
omogeneo
in
se
stesso
e
più
latino
,
perché
il
parlare
dell
'
antica
plebe
a
questo
più
affine
,
aveva
,
in
se
stesso
trovato
la
forma
della
lingua
nuova
a
cui
si
era
più
presto
condotto
.
Nello
altre
provincie
più
era
da
fare
,
e
quello
che
si
fece
,
rimase
dialetto
perché
le
misture
avevano
in
sé
troppo
forti
discordanze
;
i
suoni
,
gli
accenti
sempre
non
erano
italiani
.
A
mezzo
il
dugento
uno
scrittore
pugliese
Matteo
Spinelli
da
Giovinazzo
,
avrebbe
prima
dal
Malespini
in
una
sua
Cronaca
mostrato
esempio
di
lingua
italiana
che
poi
rimaneva
lungamente
solitario
.
Né
un
tale
fatto
io
seppi
mai
come
spiegarmi
:
se
non
che
adesso
da
un
erudito
tedesco
viene
accertato
,
la
Cronaca
del
pugliese
non
essere
altro
che
una
falsificazione
fatta
tre
secoli
dopo
;
il
che
era
facile
sospettare
dal
dettato
corrente
più
che
non
sia
quello
dell
'
ispido
Malespini
,
e
dove
si
scorge
sopra
una
forma
tutta
moderna
spruzzate
parole
e
desinenza
napoletane
da
chi
a
quel
gioco
s
'
era
dilettato
(
Bernardi
,
Dissertazione
,
ecc
.
,
Berlino
,
1868
)
.
Gran
tempo
corse
prima
e
uscissero
da
quello
provincie
e
meno
ancora
dalle
settentrionali
,
libi
di
prosa
scritti
in
una
lingua
la
quale
non
fosse
come
rinchiusa
nel
natio
dialetto
.
Ne
abbiamo
esempio
in
quella
vita
di
Cola
di
Rienzo
la
quale
fu
scritta
dal
romano
Fortifiocca
dopo
alla
metà
del
trecento
.
Qui
perché
siamo
nella
Italia
media
,
la
penna
corre
facile
e
sciolta
;
ma
tanto
è
ivi
del
romanesco
,
tanto
le
alterazioni
dei
suoni
e
quelle
che
a
tutto
il
resto
d
'
Italia
infino
d
'
allora
comparivano
brutture
,
da
porre
quel
libro
fuori
del
registro
dei
libri
italiani
.
Quanto
alle
letterefamiliari
un
maggiore
studio
sarebbe
da
farne
secondo
i
tempi
e
le
provincie
,
ma
,
per
via
d
'
esempio
,
quelle
clic
abbiamo
degli
Sforza
irte
e
stentate
,
fanno
contrasto
alle
bellissime
elle
allora
e
prima
scrivevano
l
'
Albizi
e
altri
Commissari
fiorentini
(
Commissioni
di
Rinaldo
degli
Albizzi
,
vol
.
I
,
2
,
Firenze
.
Il
terzo
è
in
corso
di
stampa
)
Le
cronache
in
lingua
italiana
ma
di
autori
non
toscani
che
si
hanno
dalla
metà
,
del
XIV
fino
verso
la
fine
del
XV
secolo
nulla
c
insegnano
di
quello
che
importi
al
nostro
proposito
,
perché
il
Muratori
che
lo
pubblicava
badando
ai
fatti
e
non
volendo
ml
oscurarli
con
le
rozzezze
dei
dialetti
,
né
tener
dietro
alle
ignoranze
dei
copisti
,
tradusse
(
com
'
egli
accennava
nelle
prefazioni
)
coteste
Cronache
nella
lingua
comune
al
suo
tempo
.
Generalmente
però
è
da
notare
che
appartengono
all
'
Italia
media
o
alla
Venezia
,
poche
estendendosi
verso
il
mezzogiorno
:
in
quelle
provincie
la
lingua
italiana
si
era
formata
più
(
l
'
accordo
con
se
stessa
per
la
maggiore
affinità
che
era
tra
'
popoli
primitivi
,
e
poté
quindi
salire
al
grado
di
lingua
scritta
più
presto
che
non
potessero
quelle
dov
'
erano
popoli
usciti
di
razza
celtica
od
iberica
.
Lo
versioni
dei
romanzi
di
cavalleria
generalmente
scritti
in
lingua
francese
,
dovrebbe
cercarsi
se
alle
volte
non
appartenessero
ai
luoghi
dov
'
ebbe
maggiore
entrata
questo
idioma
.
Tutto
ciò
vorrei
che
gli
eruditi
ci
dichiarassero
,
pigliando
esempio
dalla
non
mai
infingarda
curiosità
degli
uomini
tedeschi
.
Ma
si
tenga
a
monte
come
tra
l
'
uso
della
poesia
e
quello
della
prosa
le
cose
andassero
in
modo
diverso
.
La
poesia
lirica
fu
italiana
dai
suoi
primordi
e
si
mantenne
:
da
Ciullo
d
'
Alcamo
siciliano
al
Guinicelli
bolognese
ed
al
Petrarca
un
andamento
sempre
uniforme
la
conduceva
fino
al
sommo
della
perfezione
per
una
via
che
rimase
sempre
l
'
istessa
nel
corso
dei
secoli
.
Emancipatasi
dal
latino
prima
della
prosa
,
fa
in
essa
più
certo
l
'
uso
della
lingua
ed
ebbe
consenso
che
l
'
altra
non
ebbe
:
quindi
noi
troviamo
che
in
sulla
fine
del
quattrocento
v
'
era
una
lingua
nazionale
della
poesia
,
che
nulla
ha
per
noi
né
d
'
antiquato
né
di
provinciale
;
il
che
non
può
dirsi
dei
libri
di
prosa
.
Ma
quello
era
il
tempo
nel
quale
in
Europa
non
che
in
Italia
pareano
le
cose
pigliare
un
essere
tutto
nuovo
;
ciascuna
nazione
d
'
allora
in
poi
ebbe
la
propria
sua
lingua
più
o
meno
perfetta
,
ma
in
tutto
recata
a
foggia
moderna
.
Era
un
procedere
naturale
,
ma
che
in
Italia
più
vivo
che
altrove
,
doveva
estendersi
dappertutto
:
le
minori
città
meno
chiuse
in
se
medesime
poiché
avevano
perduto
ciascuna
,
la
fiera
indipendenza
municipale
,
si
aggregavano
alle
grandi
,
e
l
'
una
con
l
'
altra
più
si
mescolavano
;
la
vita
più
agiata
voleva
relazioni
più
frequenti
,
gli
Stati
col
farsi
più
vasti
creavano
nuovi
centri
di
cultura
,
le
corti
ambivano
essere
accademie
.
Intanto
lo
studio
classico
diffuso
per
tutta
l
'
Italia
valeva
molto
a
correggere
quei
volgari
ch
'
erano
rimasti
infino
allora
meno
latini
;
dal
fondo
di
ciascun
dialetto
cavava
lo
studio
dei
libri
classici
una
forma
,
la
quale
applicata
all
'
uso
colto
di
quei
dialetti
,
faceva
quest
uso
naturalmente
essere
più
italiano
e
più
capace
di
trarre
a
sé
quella
finitezza
che
prima
avevano
acquistata
i
soli
libri
dei
Toscani
:
venivano
i
suoni
a
farsi
più
molli
,
più
agevole
certa
speditezza
di
costrutti
;
molte
proprietà
di
lingua
che
i
Toscani
avevano
appreso
dall
'
uso
antico
tra
loro
,
gli
altri
imparavano
dal
latino
.
Notava
sapientemente
il
Tommaseo
come
le
etimologie
sieno
più
assai
che
non
si
crederebbe
mantenute
dall
'
uso
del
popolo
non
che
da
quello
dei
grandi
scrittori
:
ciò
era
in
Toscana
più
spesso
che
altrove
;
negli
altri
dialetti
gli
uomini
colti
le
ritrovavano
qualche
volta
per
lo
studio
dell
'
antico
latino
e
quindi
le
riconducevano
nei
libri
.
A
questo
modo
il
latino
ch
era
stato
impedimento
allo
scrivere
dei
Toscani
,
condusse
nelle
altre
provincie
i
dialetti
a
meglio
rendersi
italiani
.
In
questo
tempo
era
trovata
la
stampa
,
dal
che
la
parola
aveva
acquistato
come
un
nuovo
organo
a
diffondersi
.
In
tutti
i
tempi
fino
allora
ed
in
tutti
i
luoghi
chi
si
metteva
a
scrivere
un
libro
sapeva
bene
che
sarebbe
andato
in
mano
di
pochi
;
cercavano
quindi
il
loro
teatro
a
così
dire
nella
posterità
:
di
qui
è
che
i
libri
ne
uscivano
più
pensati
e
meno
curanti
di
essere
popolari
;
questo
vantaggio
hanno
i
libri
classici
e
quindi
più
servono
alla
disciplina
del
pensiero
.
Mia
lasciando
stare
queste
cose
,
gli
autori
toscani
,
eccetto
i
poeti
,
scrivevano
fino
allora
per
la
provincia
loro
,
né
credeano
essere
intesi
nelle
altre
:
quindi
è
che
i
libri
che
apparissero
meritevoli
venivano
tradotti
in
lingua
latina
per
dare
ad
essi
,
così
dicevano
,
maggiore
divulgazione
.
Quando
poi
si
cominciò
a
stampare
(
com
è
naturale
)
quei
libri
ch
erano
più
cercati
,
ebbe
il
Petrarca
la
prima
edizione
l
'
anno
1470
,
e
la
ebbe
il
Boccaccio
nel
tempo
medesimo
;
nel
1472
tre
non
delle
non
maggiori
città
d
'
Italia
si
onoravano
pubblicando
ciascuna
il
Poema
di
Dante
che
usciva
a
Napoli
poi
nel
1473
,
ed
aveva
ben
tosto
l
'
aggiunta
,
di
nuovi
commenti
,
ma
in
lingua
latina
.
D
'
altri
toscani
antichi
non
mi
pare
che
avesse
edizioni
in
quei
primi
anni
altri
che
il
Cavalca
sparsamente
per
l
'
Italia
ma
per
tutte
quasi
le
varie
sue
opere
;
e
oltre
lui
pochi
degli
ascetici
:
stamparono
questi
perché
erano
i
soli
elle
avessero
faina
allora
in
Italia
.
Nel
mentre
che
autori
delle
altre
provincie
pubblicavano
commentato
in
lingua
latina
il
libro
di
Dante
,
un
toscano
che
da
principio
soleva
scrivere
latina
ogni
cosa
,
Cristoforo
Landino
,
poneva
le
mani
a
stenderne
un
molto
ampio
commento
in
lingua
italiana
.
Di
già
i
vecchi
commentatori
del
trecento
pareano
a
lui
essere
un
poco
antiquati
ed
io
per
me
credo
che
senza
la
stampa
non
avrebbe
egli
pensato
un
lavoro
il
quale
intendeva
riuscisse
,
come
ora
si
direbbe
,
popolare
.
Lo
stesso
Landino
avea
pubblicato
l
'
anno
1476
una
versione
dell
'
Istoria
naturale
di
Plinio
,
dov
'
entra
un
numero
stragrande
di
voci
;
questa
ed
il
Commento
che
fu
stampato
nel
1481
io
credo
non
poco
servissero
agli
scrittori
tuttora
inesperti
che
ebbero
in
quei
libri
un
esemplare
di
lingua
vivente
ma
non
toscana
soverchiamente
,
perché
il
Landino
per
antico
abito
disdegnava
quei
modi
di
scrivere
che
a
lui
sapessero
di
plebeo
.
Nello
stesso
anno
1481
usciva
il
Morgante
di
Luigi
Pulci
,
e
insieme
i
tre
libri
non
poco
servirono
a
rendere
meglio
familiare
l
'
uso
dello
scrivere
in
lingua
comune
.
Imperocché
il
Pulci
che
sollevava
l
'
ottava
rima
dalla
pesantezza
del
Boccaccio
e
dalle
bassezze
degli
altri
,
scrittore
di
vena
copiosa
e
facile
,
ha
in
sé
qualcosa
quanto
alla
lingua
,
di
meglio
compito
nella
struttura
del
discorso
,
di
più
andante
nei
periodi
,
qualcosa
insomma
di
più
avanzato
e
più
universale
di
quello
che
fosse
generalmente
negli
autori
del
trecento
e
che
annunzia
maggiore
coltura
.
Lorenzo
de
'
Medici
e
Angiolo
Poliziano
ebbero
fama
e
non
del
tutto
immeritata
come
restauratori
del
buono
scrivere
italiano
.
Lorenzo
promosse
l
'
uso
di
questa
lingua
e
lo
difese
dandone
egli
stesso
in
verso
e
in
prosa
pregiati
esempi
.
Seguendo
il
genio
suo
nativo
che
lo
conduceva
bene
all
'
acquisto
della
grandezza
,
cercò
egli
essere
popolare
;
la
conversazione
lo
avea
formato
più
che
lo
studio
dei
libri
greci
e
de
'
latini
che
a
lui
erano
passatempo
:
si
atteneva
quindi
assai
di
buon
grado
all
'
uso
fiorentino
in
quelle
minori
poesie
,
le
quali
o
sacre
o
sollazzevoli
,
bramava
che
fossero
cantate
dal
popolo
;
facea
versi
anche
po
'
contadini
.
Per
tutto
questo
meritò
bene
della
lingua
più
ancora
che
non
facesse
il
classico
Poliziano
il
quale
insegnava
a
trarre
la
forma
della
poesia
italiana
dai
greci
autori
e
dai
latini
.
Finiva
il
secolo
,
e
la
lingua
toscana
pareva
che
già
s
'
avviasse
a
farsi
italiana
.
Alle
altre
provincie
secondo
che
divenivano
più
cólte
,
non
bastava
l
'
uso
di
quei
volgari
plebei
a
cui
rimase
nome
di
dialetti
;
perché
a
cotesto
uso
mancavano
spesso
non
che
le
voci
per
cui
si
esprimono
idee
non
pensate
dagli
uomini
rozzi
,
ma
più
ancora
le
frasi
o
locuzioni
e
il
giro
e
la
forma
di
quel
discorso
più
condensato
che
si
chiama
scelto
,
più
breve
e
rapido
perché
cerca
comprendere
un
maggior
numero
d
'
idee
;
forma
che
serve
generalmente
a
chi
si
mette
a
scrivere
un
libro
.
Non
so
che
i
dialetti
fossero
insegnati
nelle
scuole
,
né
che
si
pensasse
molto
a
coltivarli
come
lingua
letteraria
.
Ciò
tanto
è
vero
che
il
fare
libri
nel
dialetto
proprio
agli
autori
non
toscani
cominciò
tardi
e
fu
per
gioco
e
come
una
sorta
di
prova
non
tanto
facile
,
perché
lo
scrittore
deve
in
quel
suo
dialetto
cacciare
e
costringere
le
frasi
e
i
costrutti
ch
'
egli
era
solito
pigliare
da
un
uso
più
colto
e
più
universale
.
Ma
per
contrario
,
quando
nel
primo
tempo
l
'
autore
avvezzo
al
suo
dialetto
voleva
innalzarlo
fino
a
quella
lingua
,
ch
'
era
intesa
da
tutti
,
ne
aveva
in
sé
il
germe
che
la
coltura
vi
avea
già
posto
:
e
il
nuovo
processo
veniva
spontaneo
,
essendo
per
molta
parte
il
compimento
di
quell
'
antico
suo
parlare
.
È
stato
già
detto
che
a
scrivere
bene
in
lingua
italiana
,
la
meglio
è
cercarla
in
ciascuno
nel
fondo
del
suo
dialetto
,
perché
a
correggere
o
a
dirozzare
questo
si
vede
uscirne
fuori
quella
lingua
,
comune
di
cui
la
lingua
toscana
già
diede
agli
altri
dialetti
la
forma
e
che
n
'
è
il
fiore
e
la
perfezione
.
Ma
questi
dialetti
poiché
non
bastavano
a
quell
'
uso
più
ampio
e
più
scelto
,
chiunque
,
volesse
parlare
o
scrivere
in
tal
modo
,
non
poteva
pigliarne
le
forme
da
un
altro
dialetto
,
perché
non
s
'
intendono
questi
fra
loro
;
poteva
bene
da
quel
linguaggio
e
da
quell
'
uso
più
accettabile
universalmente
,
che
vivo
in
Toscana
corregge
da
per
tutto
i
plebei
parlari
perché
più
italiano
di
ciascuno
d
'
essi
.
Ciò
veramente
poteva
in
qualche
parte
dirsi
opera
di
traduzione
,
ma
non
di
quella
che
si
fa
pigliando
parole
e
forme
da
lingua
straniera
;
e
questo
fu
il
caso
di
quei
primi
non
toscani
,
i
quali
sul
finire
del
secolo
XV
cominciarono
a
scrivere
libri
in
lingua
toscana
.
Vorremmo
allegare
qui
alcuni
di
quelli
sparsi
documenti
che
a
noi
fu
lecito
di
raccogliere
da
varie
provincie
d
'
Italia
,
se
fosse
qui
luogo
a
minute
ricerche
o
se
quelle
che
abbiamo
fatte
ci
apparissero
comprendere
tutta
la
vasta
materia
.
Crediamo
però
che
i
pochi
esempi
sieno
conferma
di
quello
che
abbiamo
sopra
accennato
quanto
alla
difficoltà
che
avevano
maggiore
o
minore
le
altre
provincie
a
farsi
nello
scrivere
italiane
,
secondo
le
varie
qualità
delle
misture
ch
'
erano
entrate
in
ciascun
dialetto
.
Abbiamo
un
Testamento
politico
di
Ludovico
il
Moro
scritto
sulla
fine
del
quattrocento
in
lingua
milanese
che
vorrebb
'
essere
italiana
(
Documenti
di
storia
italiana
,
copiati
a
Parigi
da
G
.
Molini
,
tom
.
I
in
fine
)
;
e
nella
città
stessa
abbiamo
l
'
istoria
di
Bernardino
Corio
che
finisce
al
primo
entrare
del
secolo
susseguente
:
qui
sembra
il
dialetto
nascondersi
affatto
,
ma
lo
stile
duro
e
faticato
ha
proprio
l
aspetto
d
'
un
nuovo
e
non
sempre
felice
sforzo
che
l
'
autore
fece
usando
una
lingua
che
tutti
leggessero
.
Questa
,
e
l
'
istoria
napoletana
di
Pandolfo
Collenuccio
da
Pesaro
credo
sieno
i
primi
libri
dove
il
toscano
fosse
cercato
da
scrittori
non
toscani
:
il
Corio
di
molto
sopravanzò
l
'
altro
per
la
materia
,
ma
il
Pesarese
più
franco
e
sicuro
in
quanto
alla
lingua
,
scrive
anche
in
modo
assai
più
scorrevole
.
Generalmente
gli
uomini
più
meridionali
e
su
su
venendo
quelli
della
sponda
dell
'
Adriatico
,
si
erano
prima
fidati
più
degli
altri
al
natio
dialetto
così
da
usarlo
anche
nello
scrivere
.
I
Veneziani
,
etruschi
d
'
origine
,
come
hanno
dialetto
meno
degli
altri
discordante
,
così
lo
usarono
sebbene
con
qualche
temperamento
sino
al
finire
della
repubblica
nelle
arringhe
che
si
facevano
in
Senato
o
nella
sala
del
Gran
Consiglio
,
tanto
che
v
'
era
un
'
eloquenza
in
veneziano
,
quale
non
credo
che
fosse
nemmeno
in
Firenze
dove
il
Gran
Consiglio
durò
poco
e
prima
era
scarso
l
uso
del
parlare
in
modo
solenne
.
La
vita
e
la
lingua
qui
erano
nel
popolo
,
da
cui
venivano
come
a
scuola
gli
scrittori
quando
al
principio
del
cinquecento
l
'
urto
straniero
ci
ebbe
insegnato
a
rendere
cose
quanto
si
poteva
nazionali
,
la
vita
almeno
civile
e
la
lingua
.
Pochi
anni
prima
di
quel
tempo
Fra
Girolamo
Savonarola
venuto
giovane
da
Ferrara
dove
il
parlare
aveva
qualcosa
del
veneto
,
cominciò
in
Firenze
a
predicare
.
«
Da
principio
diceva
ti
e
mi
,
di
che
gli
altri
Frati
si
ridevano
»
(
Cambi
,
Storia
di
Firenze
,
anno
1498;
sta
nelle
Delizie
,
ecc
.
del
P
.
Ildefonso
)
.
Divenne
poi
grande
oratore
avendo
appreso
qui
la
correttezza
e
la
proprietà
della
favella
,
senza
mai
troppo
cercare
addentro
nell
'
uso
più
familiare
di
questo
popolo
Fiorentino
.
Dal
quale
poi
trasse
non
poco
un
altro
Ferrarese
,
l
'
Ariosto
,
ma
con
quel
fino
e
squisito
gusto
ch
'
era
a
lui
proprio
;
e
se
io
dovessi
dire
quali
autori
allora
o
poi
meglio
adoprassero
nelle
scritture
quell
'
idioma
che
solo
era
degno
di
essere
nazionale
,
porrei
senza
fallo
il
nome
dell
'
Ariosto
accanto
a
quelli
di
due
Toscani
,
che
sono
il
Berni
ed
il
Machiavelli
.
Lo
scrivere
andante
si
poteva
bene
imparare
anche
da
due
poeti
come
questi
,
perciò
infine
la
lingua
della
poesia
viene
dalla
lingua
della
prosa
,
di
cui
non
è
altro
che
un
uso
più
libero
.
Cosi
alla
fine
questo
volgare
che
aveva
data
ne
'
suoi
primordii
una
promessa
poco
attenuta
,
che
fu
negletto
per
oltre
un
secolo
,
o
rinnegato
da
chi
teneva
il
latino
essere
tuttavia
l
'
idioma
illustre
della
nazione
,
questo
volgare
divenne
allora
quel
che
non
era
ma
prima
stato
,
lingua
italiana
.
A
questo
effetto
andavano
tutte
insieme
le
cose
allora
in
Italia
:
già
la
coltura
diffondendosi
agguagliava
presso
a
poco
l
intera
nazione
ad
un
comune
livello
,
intantoché
le
armi
forestiere
distruggevano
in
un
con
le
forze
provinciali
e
cittadine
quanto
nei
piccoli
Stati
soleva
in
antico
essere
di
splendore
e
di
bellezza
;
l
'
idea
,
nazionale
che
allora
spuntava
cominciò
a
farsi
strada
nella
lingua
.
Ma
era
troppo
tardi
:
gli
ingegni
fiorivano
,
le
lettere
e
le
arti
toccavano
il
colmo
,
l
Italia
insegnava
alle
altre
nazioni
fino
alle
eleganze
e
alle
corruttele
della
vita
;
possedeva
una
esperienza
accumulata
d
uomini
e
di
cose
tale
che
una
piccola
città
italiana
aveva
in
corso
più
idee
che
non
fossero
allora
in
tutto
il
resto
d
'
Europa
;
di
scienza
politica
ve
n
'
era
anche
troppa
.
Ma
quando
poi
sopravvennero
i
tempi
duri
,
questo
tanto
sfoggiare
d
'
ingegni
non
approdò
a
nulla
,
perché
le
volontà
in
Italia
,
erano
o
guaste
o
consumate
dall
'
abuso
,
o
vôlte
a
male
.
Quegli
anni
che
diedero
i
grandi
scrittori
passarono
in
mezzo
a
guerre
straniere
dove
gli
Italiani
da
sé
nulla
fecero
,
nulla
impedirono
;
e
come
ne
uscisse
acconcia
l
'
Italia
non
occorre
dire
.
Dopo
le
guerre
o
dopo
i
primi
trent
'
anni
del
cinquecento
,
erano
i
tempi
ed
il
pensare
ed
il
sentire
di
questa
nazione
tanto
mutati
da
mostrare
il
vuoto
che
era
sotto
a
quella
civiltà
splendida
ma
incompiuta
;
da
quelli
anni
in
poi
calava
il
nostro
valore
specifico
(
se
dirlo
sia
lecito
)
,
e
il
nostro
livello
a
petto
alle
altre
nazioni
d
'
Europa
venne
a
discendere
ogni
giorno
.
Mancò
nel
pensiero
,
perché
era
mancato
prima
nella
vita
,
l
'
incitamento
ad
ogni
cosa
che
non
fosse
chiusa
dentro
ad
un
cerchio
molto
angusto
;
manco
la
fiducia
che
all
uomo
deriva
dall
aperto
consentire
insieme
di
molti
:
v
'
era
in
Italia
poco
da
fare
.
Né
ai
tanti
padroni
che
aveva
essa
dentro
andava
,
a
genio
che
si
facesse
,
ma
già
la
stanchezza
o
una
mala
sorta
d
'
incuranza
disperata
menavano
all
'
ozio
,
interrotto
solamente
da
quelle
passioni
che
non
hanno
scusa
nemmen
dal
motivo
;
la
conversazione
tra
gente
svogliata
o
avvilita
o
malcontenta
non
pigliava
vigore
né
ampiezza
dai
gravi
argomenti
;
i
libri
meno
che
per
l
innanzi
andavano
al
fondo
nelle
cose
della
vita
:
dice
il
Fornari
molto
bene
che
«
tra
'
letterati
e
lettori
non
v
'
era
in
Italia
quella
comunicazione
intima
e
piena
»
per
cui
la
vita
,
la
lingua
,
le
lettere
tra
loro
s
'
ajutano
.
Noi
crediamo
che
nei
libri
qualcosa
debba
essere
che
sia
imparata
fuori
dei
libri
,
perché
altrimenti
lo
scrivere
viene
quasi
a
pigliare
la
forma
d
'
un
gergo
necessariamente
arido
e
meno
efficace
,
da
cui
s
'
aliena
,
il
comune
dei
lettori
.
Ciò
avvenne
bentosto
in
Italia
,
e
fu
in
quel
tempo
quando
la
lingua
più
si
voleva
rendere
universale
e
n
'
era
essa
stessa
,
divenuta
più
capace
avendo
perdute
allora
le
asprezze
d
'
un
uso
ristretto
,
e
nel
diffondersi
la
coltura
avendo
acquistato
migliore
esercizio
nelle
arti
della
composizione
.
Ma
giusto
in
quel
tempo
questa
lingua
per
certi
rispetti
più
accuratamente
scritta
,
fu
meno
parlata
;
e
la
parola
meno
di
prima
fu
espressione
di
forti
pensieri
ed
autorevoli
e
accetti
a
molti
:
vennero
fuori
i
letterati
,
sparve
il
cittadino
;
scrivea
per
il
pubblico
chi
nella
,
vita
non
era
avvezzo
parlare
ad
altri
che
alla
sua
combriccola
:
quindi
l
'
eloquenza
cercò
appropriarsi
all
'
uso
delle
accademie
le
quali
erano
una
sorta
di
sparse
chiesuole
.
Mancò
alla
lingua
,
un
centro
comune
perché
mancava
alla
nazione
:
ne
avevano
entrambe
lo
stesso
bisogno
che
appunto
allora
cominciò
ad
essere
più
sentito
,
sebbene
in
modo
confuso
ed
incerto
;
nulla
si
poteva
quanto
alla
nazione
,
rimedii
alla
lingua
si
cercavano
in
più
modi
,
varii
,
discordanti
e
quasi
a
tentone
.
Un
snodo
semplice
vi
sarebbe
stato
,
ed
era
l
'
attingere
copiosamente
da
quel
dialetto
ch
'
era
il
più
finito
;
ma
questo
invece
di
tenere
sugli
altri
l
'
impero
,
vedeva
in
quel
tempo
scadere
non
poco
o
farsi
dubbia
,
l
'
autorità
sua
.
Al
solo
pregio
della
lingua
molti
sdegnavano
ubbidire
:
condizioni
tutte
differenti
sarebbonsi
allora
volute
in
Italia
perché
tante
voci
,
tante
locuzioni
,
tante
figure
con
l
acquistare
sanzione
solenne
potessero
farsi
moneta
corrente
pel
comune
uso
degli
scrittori
.
Avrebbe
la
sede
naturale
della
lingua
dovuto
almeno
stare
in
alto
cosicché
tutte
le
parti
d
'
Italia
a
quella
guardassero
,
e
che
al
toscano
fossero
toccate
lo
condizioni
dell
'
idioma
parigino
;
«
perché
il
toscano
(
dice
il
Manzoni
da
pari
suo
)
faceva
dei
discepoli
fuori
dei
suoi
confini
,
il
francese
si
creava
dei
sudditi
;
quello
era
offerto
,
questo
veniva
imposto
»
.
A
questo
modo
solamente
potea
l
'
ossequio
delle
altre
provincie
essere
necessario
o
inavvertito
,
perché
non
venissero
tra
'
letterati
a
sorgere
le
contese
che
nate
una
volta
non
hanno
mai
fine
.
Se
(
come
fu
detto
)
lo
stile
è
l
'
uomo
,
la
lingua
può
dirsi
che
sia
la
nazione
:
quindi
all
'
esservi
una
linguaggio
bisognava
,
ci
fosse
una
Italia
,
né
altrimenti
poteva
cessare
l
'
eterna
lagnanza
che
il
linguaggio
scritto
si
allontanasse
troppo
dai
modi
che
si
adoprano
favellando
;
né
bene
potesse
fare
sue
le
grazie
e
gli
ardimenti
del
volgar
nostro
,
il
quale
da
molti
ignorato
ebbe
anche
taccia
,
di
abbietto
e
triviale
(
Alcune
parole
di
questo
discorso
erano
scritte
fino
dal
1826
,
e
sono
stampate
negli
Atti
dell
Accademia
della
Crusca
)
.
Cotesta
accusa
molto
antica
tutti
parevano
confermare
contro
alla
povera
nostra
lingua
,
che
ci
avea
colpa
meno
di
tutti
.
Poco
badando
all
uso
vivo
,
nelle
scuole
di
lettere
insegnavano
per
tutta
Italia
dopo
ai
latini
quei
pochi
autori
toscani
che
allora
fossero
conosciuti
,
cercando
alla
meglio
di
mettere
insieme
su
questi
esemplari
una
sorta
di
linguaggio
comune
che
fosse
atto
alle
scritture
.
Un
letterato
molta
solenne
,
Gian
Giorgio
Trissino
da
Vicenza
,
poneva
in
credito
il
linguaggio
illustre
con
la
versione
da
lui
fatta
del
libro
De
Vulgari
Eloquio
;
Baldassarre
Castiglione
mantovano
,
uomo
e
scrittore
di
bella
fama
,
sebbene
dichiari
la
lingua
essere
una
consuetudine
,
biasima
l
'
andare
sulle
pedate
dei
toscani
sia
vecchi
,
sia
nuovi
:
sentenziò
il
Bembo
che
l
'
antica
lingua
stava
nel
Boccaccio
,
di
cui
gli
piacevano
le
grandi
cadenze
;
tutti
i
chiarissimi
dell
'
Italia
,
per
ben
tre
secoli
dopo
lui
accettarono
la
sentenza
.
Ma
della
comune
popolare
come
in
Firenze
si
parlava
e
si
scriveva
,
niuno
voleva
sapere
:
negli
anni
stessi
del
Bembo
,
cioè
verso
il
1530
,
Marino
Sanudo
scriveva
in
una
lettera
stampata
«
che
Leonardo
Aretino
trasse
(
l
'
Istoria
di
Firenze
)
da
un
Giovanni
Villani
il
quale
scrisse
in
lingua
rozza
,
toscana
»
(
Estratti
del
sig
.
Rawdon
Brown
,
Tomo
III
,
p
.
318
)
.
Il
Bembo
era
il
solo
autore
vivente
di
cui
s
'
innalzasse
non
contestata
l
autorità
:
basta
ciò
solo
a
dimostrare
come
si
vivesse
in
fatto
di
lettere
,
quando
gli
Spagnuoli
furono
rimasti
padroni
d
'
Italia
.
Al
Machiavelli
nella
sua
patri
istessa
nuoceva
la
vita
,
gli
nocque
più
tardi
,
quanto
al
numero
dei
lettori
,
l
'
essere
all
'
Indice
;
l
'
Istoria
,
del
Guicciardini
fu
lasciata
,
stampare
,
ed
anche
mutilata
,
solamente
nel
1561
,
due
anni
dopo
a
che
l
'
Italia
per
grande
accordo
tra
'
potentati
si
può
dire
fosse
bello
e
sotterrata
,
e
quando
la
voce
degli
italiani
ormai
più
non
faceva
,
paura
a
nessuno
(
Nel
1559
il
Trattato
di
Castel
Cambrese
aveva
finito
le
guerre
d
Italia
;
ma
in
quell
anno
stesso
dal
piè
delle
Alpi
si
preparava
il
1859
,
tre
secoli
tondi
e
date
che
importano
la
storia
della
lingua
)
.
Frattanto
era
disputa
più
volte
rinnovata
se
si
dovesse
dire
lingua
italiana
o
toscana
o
fiorentina
:
chi
affermava
la
lingua
essere
in
Firenze
facea
nondimeno
poca
stima
degli
autori
che
ivi
nascessero
;
in
certe
parole
recate
dal
Bembo
si
va
fino
a
dire
che
«
a
scrivere
bene
la
lingua
italiana
,
meglio
è
non
essere
fiorentino
»
.
E
in
questa
medesima
città
noi
vedemmo
quante
incuranze
o
quanti
dispregi
soffrisse
la
lingua
nei
più
eminenti
tra
'
suoi
cultori
:
la
Divina
Commedia
non
vi
ebbe
più
quasi
edizioni
,
e
verso
il
1520
certi
maestri
di
scuola
vietavano
agli
scolari
leggere
il
Petrarca
.
Questa
ed
altre
cose
che
stanno
a
dimostrare
la
confusione
dominante
tra
'
letterati
sono
a
disteso
esposte
in
un
libro
di
qualche
pregio
e
di
molta
noja
che
ha
per
titolo
l
'
Ercolano
;
autore
di
esso
fu
Benedetto
Varchi
il
quale
pel
vario
ingegno
non
ebbe
chi
lo
agguagliasse
dentro
a
quella
età
che
scendeva
.
In
quel
medesimo
suo
libro
si
vede
come
allora
molto
dominassero
i
grammatici
ai
quali
avviene
quel
che
ai
fisiologi
,
perché
entrambi
avvezzi
a
tenere
fermo
il
pensiero
sopra
le
minute
particelle
delle
cose
,
riescono
spesso
corti
o
disadatti
a
quelli
studj
più
comprensivi
che
bene
in
antico
nella
loro
massima
estensione
ebbero
nome
di
umanità
.
Consente
il
Varchi
prudenzialmente
al
Bembo
:
ma
solo
nelle
apparenze
;
confessa
la
lingua
in
Firenze
essere
trascurata
,
ma
vuole
si
cerchi
nel
fondo
dell
'
uso
,
mettendo
egli
fuori
per
via
,
d
'
esempi
gran
copia
di
voci
e
soprattutto
di
locuzioni
familiari
,
dovizie
nascoste
da
farne
a
chi
scrive
ricco
patrimonio
(
Varchi
,
Ercolano
,
Padova
,
1744
,
in
4°
,
pag
.
84
e
segg
.
357
e
segg
.
446
e
segg
.
508
e
in
molti
luoghi
)
.
In
questo
avrebbe
egli
dato
nel
segno
,
né
vi
è
anch
'
oggi
da
fare
di
meglio
,
tantoché
sarebbe
alla
unità
della
lingua
mezzo
utilissimo
un
Vocabolario
com
'
è
proposto
dal
Manzoni
.
Ma
il
guajo
stava
in
ciò
che
non
erano
i
più
di
quei
modi
entrati
abbastanza
nell
'
uso
comune
;
molti
erano
figure
che
un
tempo
ebbero
qualche
voga
,
capricci
d
'
un
popolo
arguto
e
faceto
,
e
spesso
allusioni
a
cose
locali
:
cotesti
Firenze
non
avea
diritto
d
'
imporre
all
'
Italia
.
Inoltre
non
era
,
più
questo
popolo
quello
che
aveva
creato
una
lingua
educatrice
di
tanti
ingegni
;
meno
operando
inventava
meno
,
e
fatto
più
inerte
anche
nell
'
animo
,
i
suoi
discorsi
andavano
spesso
a
cose
da
ridere
.
I
letterati
seguendo
in
queste
nuove
condizioni
l
'
antico
genio
popolare
e
avendo
qui
molto
in
uggia
il
sussiego
recato
dagli
Spagnuoli
,
si
dilettavano
oltre
al
giusto
di
certe
bassezze
da
essi
chiamalo
grazie
della
lingua
:
così
tra
le
bassezze
e
nobiltà
false
viveano
le
lettere
poi
tutto
quel
secolo
.
Ma
dentro
a
quegli
anni
nacque
Galileo
.
Le
scienze
matematiche
e
le
fisiche
hanno
questo
,
che
l
'
uomo
le
pensa
dentro
a
se
medesimo
,
si
tengono
fuori
dal
corso
vivo
degli
umani
eventi
,
e
vanno
da
sé
per
la
via
loro
qualunque
si
sieno
le
cose
all
'
intorno
.
Galileo
che
pure
in
mezzo
all
'
sperimentare
minuto
e
sottile
teneva
lo
sguardo
volto
all
'
universo
,
portò
nella
fisica
,
l
'
ampiezza
d
'
una
filosofia
,
degna
li
questo
nome
,
e
fu
in
secolo
di
decadenza
,
scrittore
sommo
,
perché
al
bell
'
ordine
del
discorso
unisce
la
copia
e
una
dignitosa
naturalezza
.
Continuava
da
cento
anni
in
Firenze
la
scuola
fondata
da
Galileo
e
di
sé
lasciava
traccie
indelebili
nelle
scienze
fisiche
;
da
quella
uscirono
anche
uomini
dotti
nelle
razionali
,
e
assai
le
lettere
se
ne
avvantaggiarono
nella
seconda
metà
del
seicento
.
Ma
quando
la
lingua
,
o
le
idee
francesi
predominarono
e
quando
poi
gli
eccitamenti
nuovi
destarono
gli
animi
degli
Italiani
a
cercare
almeno
in
fatto
di
lingua
l
'
unione
vietata
,
la
Toscana
sofferse
rimproveri
dalle
altre
provincie
quasi
ella
fosse
gelosa
,
ma
inutile
custoditrice
di
quel
tesoro
che
aveva
in
casa
ma
non
lo
adoprava
.
Più
grave
è
fatto
il
nostro
debito
ora
in
tempi
di
sorti
mutate
,
di
sorti
maggiori
ma
più
difficili
a
portare
;
noi
siamo
venuti
ad
esse
non
preparati
,
e
s
'
io
dovessi
quanto
alle
future
condizioni
della
lingua
fare
un
pronostico
,
direi
senz
'
altro
:
la
lingua
in
Italia
sarà
quello
che
sapranno
essere
gli
Italiani
.
StampaPeriodica ,
Non
ci
siamo
lasciati
senza
rammarico
;
lo
vidi
nascere
quel
Fanfulla
della
Domenica
e
mi
costò
,
nei
suoi
primi
giorni
specialmente
,
ogni
maniera
di
fatiche
e
di
angoscie
.
S
'
era
di
luglio
:
la
mia
Valdinievole
,
sorridente
tra
il
verde
delle
pinete
,
inaugurava
il
monumento
del
Giusti
e
me
aveva
prescelto
a
ricevere
le
deputazioni
,
a
sorvegliare
l
'
imbandigione
delle
tavole
e
a
dar
l
'
aire
ai
fuochi
d
'
artifizio
.
Forse
parve
alla
gente
che
io
compiessi
gli
uffici
o
solenni
o
modesti
con
assai
dignità
:
e
non
ero
che
un
uomo
scombussolato
;
pensavo
che
il
futuro
giornale
sarebbe
stato
il
Fanfulla
del
martedì
o
del
mercoledì
,
ma
della
domenica
no
di
certo
:
perché
nessuno
aveva
scritto
una
riga
,
ed
io
non
potevo
mandare
in
luce
il
foglio
,
candido
come
le
nevi
alpine
,
o
come
i
sogni
di
una
adolescente
.
Paragoni
che
non
erano
nuovi
lo
so
:
ma
chi
aveva
tempo
in
quel
brusio
,
in
quell
'
assillo
di
cercarne
dei
più
originali
?
E
poi
non
si
trattava
mica
di
stamparli
nel
primo
numero
!
...
La
sorella
del
poeta
morta
a
70
anni
giorni
or
sono
,
ultima
della
famiglia
non
si
sapeva
capacitare
che
ci
fossero
musi
lunghi
quando
la
presidenza
della
Camera
e
i
Lincei
si
muovevano
a
posta
da
Roma
per
fare
omaggio
alla
memoria
del
suo
Geppino
;
i
Lincei
segnatamente
le
avevano
ferito
la
fantasia
.
Vedendomi
pensieroso
a
quel
modo
mi
domandava
ogni
poco
colla
voce
lenta
e
sottile
:
Che
fa
?
È
stanco
?
Lo
credo
,
dopo
tutto
quello
che
ha
fatto
!
Ed
era
invece
il
non
aver
fatto
,
ciò
che
mi
impensieriva
!
Buona
signora
Ildegarde
!
Mi
sia
lecito
rammentarla
qui
col
rispetto
che
meritò
,
colla
affettuosa
melanconia
onde
ricordo
ogni
cosa
di
quel
tempo
pieno
di
trepidazioni
che
or
si
rinnovano
.
Parlando
di
lei
qui
,
mentre
son
calde
ancora
le
ceneri
sue
,
mi
par
quasi
di
invocare
il
patrocinio
del
suo
illustre
congiunto
sopra
queste
pagine
;
e
mi
dà
nuovi
vigori
il
desiderio
di
non
far
scomparire
per
me
quel
paesello
che
ci
fu
patria
comune
,
e
alla
cui
solitudine
tanto
più
vanamente
oggi
sospiro
quanto
più
cresce
il
dovere
e
la
necessità
del
lavoro
.
Era
una
donna
semplice
,
assai
più
meravigliata
che
persuasa
della
gloria
che
aveva
a
un
tratto
circondato
il
suo
nome
:
della
madre
,
bella
così
che
discorrendo
di
lei
i
pochi
decrepiti
i
quali
la
videro
mezzo
secolo
fa
si
accendono
ancora
di
fiamme
quasi
giovanili
,
non
aveva
né
l
'
ingegno
acuto
né
le
forme
opulente
;
mingherlina
,
asciutta
,
tirava
,
nel
fisico
,
dal
padre
:
ma
tanto
rimessa
e
pacifica
quant
'
egli
disinvolto
e
irrequieto
:
culto
,
scettico
,
arguto
:
peccatore
impenitente
sino
all
'
ultimo
,
ripicchiato
,
vago
di
gingilli
e
di
mode
,
che
morendo
lasciò
nel
guardaroba
centododici
paia
di
pantaloni
!
Ma
torniamo
al
giornale
.
Enrico
Panzacchi
aveva
promesso
due
cose
:
leggere
il
discorso
inaugurale
a
piè
della
statua
e
scrivere
un
articolo
per
il
giornale
nascituro
.
Capitò
all
'
alba
in
frac
e
cravatta
bianca
,
ricusò
una
tazza
di
caffè
e
chiese
una
penna
:
all
'
articolo
non
aveva
neppure
pensato
,
del
discorso
aveva
scritto
due
pagine
a
mala
pena
.
E
lì
nella
stanza
del
Sindaco
,
non
visitata
sino
a
quel
giorno
dalle
vergini
Muse
,
improvvisò
quello
studio
critico
che
avete
letto
(
No
?
leggetelo
e
ve
ne
troverete
bene
)
nel
volume
delle
Teste
quadre
.
La
orazione
parve
breve
a
tutti
,
a
me
eterna
;
avrei
voluto
che
l
'
amico
si
sbrigasse
;
due
periodi
più
,
due
meno
la
fama
del
Giusti
rimaneva
tal
quale
,
ma
senza
la
prosa
del
Panzacchi
il
giornale
non
veniva
alla
luce
.
Uscì
,
come
Dio
volle
,
e
le
angustie
si
fecero
anche
più
dure
.
Primo
,
ineffabile
strazio
i
consigli
.
Peuh
!
ammoniva
un
avvocato
semi
-
illustre
,
tra
una
sonata
e
l
'
altra
della
banda
municipale
in
piazza
Colonna
.
Peuh
!
Tentativi
,
nobili
tentativi
,
ma
tentativi
.
Conati
.
Il
mondo
,
caro
Martini
,
non
legge
più
;
ha
troppo
da
fare
.
Capisco
:
il
vostro
non
è
un
libro
,
è
un
giornale
,
ma
fa
lo
stesso
.
Oh
!
Ci
sarebbe
,
sicuro
,
da
farlo
un
giornale
;
ma
niente
letteratura
;
un
giornale
finanziario
a
un
soldo
;
s
'
incassano
50,000
lire
di
annunzi
per
anno
.
Piglio
io
l
'
appalto
.
Conati
,
amico
mio
.
Generosi
,
non
lo
nego
:
ma
conati
.
E
poi
,
chi
scriverà
?
Gli
italiani
son
pigri
.
Basta
,
provate
.
Cercate
i
migliori
,
e
forse
...
Associatevi
,
associatevi
,
date
retta
a
me
:
l
'
associazione
è
la
gran
forza
del
mondo
moderno
.
Cerea
.
Non
ho
mai
capito
perché
,
a
dare
il
buon
esempio
,
non
si
associava
lui
per
il
primo
.
Poi
veniva
il
giornalista
provetto
che
conosce
il
suo
pubblico
:
si
piantava
innanzi
a
me
,
colle
lenti
sul
naso
,
le
mani
in
tasca
e
alzava
la
testa
e
torceva
le
pupille
come
uno
strabico
per
darsi
il
gusto
,
lui
più
piccolo
,
di
guardarmi
dall
'
alto
in
basso
.
Amico
mio
,
quello
è
un
giornale
che
ti
muore
in
mano
fra
un
mese
.
Un
articolo
sul
Beccaria
?
Ma
ci
hai
pensato
?
Sul
Beccaria
?
Ma
come
si
fa
a
scovare
il
Beccaria
?
Neanche
a
farlo
apposta
.
E
poi
tre
colonne
e
mezzo
!
Io
,
lo
sai
,
son
vecchio
di
queste
cose
:
i
giornali
si
fanno
col
metro
.
«
Lei
mi
farà
trentacinque
centimetri
d
'
articolo
»
:
se
no
,
il
pubblico
non
legge
.
E
fa
'
metter
de
'
cartelloni
,
santo
Dio
!
sulle
cantonate
!
Pare
un
giornale
clandestino
.
E
nomi
,
nomi
,
nomi
.
E
articoli
brevi
,
e
roba
leggera
,
commovente
.
Pensa
alle
donne
e
il
Beccaria
lascialo
in
santa
pace
.
Quattro
cose
,
tienlo
bene
a
mente
:
le
donne
,
i
nomi
,
i
cartelloni
e
il
metro
.
Tò
!
un
endecasillabo
Le
donne
,
i
cavalier
,
l
'
armi
e
gli
amori
.
Ciao
.
Dopo
queste
due
cavatine
,
il
coro
.
Il
giornale
era
uggioso
,
era
peso
,
era
insopportabile
.
Non
si
adoperava
in
Italia
che
una
sola
forma
di
maledizione
:
che
tu
possa
leggere
il
Fanfulla
della
Domenica
!
Chi
ci
voleva
una
cosa
,
chi
un
'
altra
:
i
più
l
'
attualità
.
«
Non
muore
nessuno
,
non
muore
nessuno
»
smaniava
ogni
giorno
uno
dei
compilatori
invocando
l
'
attualità
dalla
biografia
d
'
un
illustre
defunto
.
Il
grand
'
uomo
non
si
risolse
a
morire
in
quel
subito
,
per
far
piacere
all
'
amico
:
ma
il
giornale
visse
.
Vita
,
mi
sia
conceduto
affermarlo
,
non
inonorata
né
inutile
.
Ed
oggi
,
daccapo
;
daccapo
cogli
stessi
intenti
,
colla
stessa
energia
,
colla
stessa
schiettezza
:
daccapo
quali
che
sieno
gl
'
impedimenti
che
ci
si
frappongano
o
la
sorte
che
ci
si
prepari
.
Già
,
la
sorte
di
noi
che
ci
affatichiamo
in
questa
tormentosa
opera
del
giornalismo
,
vuoi
politico
,
vuoi
letterario
,
è
una
sola
.
Dopo
aver
lavorato
ogni
giorno
e
nutriti
gli
altri
de
'
propri
studi
e
svagatili
colle
proprie
fantasie
,
ed
esserci
stillati
il
cervello
a
contentare
gli
incontentabili
;
dopo
aver
sofferto
le
calunnie
de
'
malvagi
e
i
dileggi
degli
sciolti
e
costretto
noi
stessi
a
serbare
nelle
pubbliche
polemiche
quella
pacatezza
di
cui
ci
saremmo
volentieri
liberati
nel
disputare
a
quattr
'
occhi
;
e
misurati
gli
atti
propri
e
le
proprie
parole
In
verbis
etiam
tenuis
cautusque
serendis
,
che
ci
resta
di
tanti
sopraccapi
,
di
così
assidua
fatica
,
di
così
difficile
pazienza
?
Uditeli
i
lamenti
di
quanti
più
famosi
salirono
ai
massimi
gradi
di
quest
'
arte
effimera
del
giornale
,
rumore
d
'
un
giorno
,
potenza
d
'
un
momento
.
Chi
tocca
più
,
se
non
forse
i
custodi
delle
biblioteche
per
spolverarli
ogni
tanto
,
i
settanta
volumi
delle
Nouvelles
de
la
Republique
des
lettres
?
E
Pietro
Bayle
fu
de
'
giornalisti
il
primo
e
il
più
grande
!
Quel
pezzo
di
foglio
sciagattato
,
stracciato
,
strascicato
per
le
tavole
dei
caffè
,
macchiato
di
birra
e
di
vino
,
ecco
l
'
opera
mia
e
la
mia
vita
e
la
mia
anima
e
il
mio
ingegno
,
e
le
lezioni
de
'
miei
maestri
,
il
mio
zelo
,
la
mia
ambizione
,
la
mia
fortuna
hic
jacent
.
E
gli
altri
scritti
più
gravi
muoiono
,
lo
so
;
ma
il
non
omnis
moriar
o
il
plaudite
cives
sono
felici
speranze
di
chi
compie
il
libro
o
dà
al
dramma
l
'
ultima
mano
;
inganno
non
consentito
a
noi
che
istilliamo
nell
'
opera
nostra
giorno
per
giorno
il
germe
dell
'
oblio
.
Giornalisti
e
trappisti
,
uno
stesso
ammonimento
e
una
stessa
divisa
:
fratelli
,
bisogna
morire
.
E
nondimeno
chi
entrò
in
questa
via
non
se
ne
ritrarrà
se
non
quando
abbia
logora
la
salute
e
infrante
le
membra
.
Chi
ha
la
testa
alle
melanconie
il
dì
de
'
conforti
?
E
bisogna
aver
fatto
un
giornale
dubitando
delle
sorti
sue
e
della
sua
vita
,
per
sapere
che
conforto
sieno
l
'
aiuto
e
la
simpatia
de
'
migliori
.
Bisogna
aver
annunziato
il
Fanfulla
della
Domenica
senza
un
'
ombra
di
manoscritto
per
capire
che
cosa
portassero
con
sé
,
quando
giunsero
,
uno
scritto
del
Carducci
,
una
novella
del
Guerrini
,
e
gli
articoli
del
Bartoli
,
del
Nencioni
,
del
Chiarini
,
del
De
Zerbi
,
degli
altri
che
allora
mi
soccorsero
ed
oggi
mi
seguono
;
bisogna
aver
sfogliato
,
trepido
,
tutta
quanta
la
raccolta
di
un
giornale
compilato
per
quattro
anni
con
amore
operoso
,
per
sapere
che
beato
orgoglio
si
senta
nel
ripetere
sicuri
a
se
stessi
:
posso
avere
sbagliato
,
ma
non
ho
mentito
mai
.
L
'
animo
s
'
invigorisce
,
le
forze
s
'
accrescono
preparate
ad
ogni
traversia
,
disposte
a
ogni
prova
più
ardua
:
e
ci
si
sente
il
coraggio
di
presentarsi
di
nuovo
ai
lettori
culti
ed
onesti
,
di
chieder
loro
anche
una
volta
la
confidenza
,
necessaria
perché
non
sia
inefficace
l
'
opera
che
continuiamo
e
a
cui
ci
consacriamo
risoluti
ed
interi
.
Roma
,
4
febbraio
1882
.