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FINE O POTENZIAMENTO DEL SINDACATO? ( CURIEL EUGENIO , 1937 )
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C ' è stato quest ' anno un generale desiderio di rivedere le posizioni conquistate dal sindacato fascista : desiderio originato dalla nuova parola d ' ordine autarchica , che ha aumentato enormemente il potere delle corporazioni , originato anche dalla visione della enorme , seppur confusa , esperienza tedesca del Fronte del lavoro . Questa revisione era necessaria , come si è visto dalla molta confusione che ha originato e dalle diverse reazioni che ha provocato . Stato corporativo e sindacato . Il problema che si poneva era quello del significato del sindacato di fronte alle corporazioni . E si parlava del sindacato , avendo presente il complesso delle organizzazioni dei lavoratori , come quelle di più alto interesse politico . Il sindacalismo fascista , si dice , ha cessato di esistere da quando il regime ha istituito le corporazioni ; da esse il potere del sindacato è stato notevolmente diminuito . La legge del '34 ha portato un ' altra riduzione nel potere del sindacato ; attraverso a questa legge la corporazione ha acquistato un potere economico normativo , tale che ad essa deve essere demandata ogni autorità nella stipulazione dei contratti tra il capitale e il lavoro . Quest ' autorità è , infine , singolarmente accresciuta dalla parola d ' ordine dell ' autarchia , che ha trovato i suoi organi esecutivi nelle corporazioni . Che resta dunque del sindacato , si chiedono i numerosi teorici della liquidazione , i numerosi teorici che temono la vivace realtà delle masse e che vorrebbero la fine dell ' organismo che le rappresenta . Noi non vogliamo scendere nella discussione dei loro capziosi argomenti e vorremmo che essi si ponessero un ' altra domanda : cosa sarebbero le corporazioni , cosa sarebbe tutto lo Stato corporativo senza i sindacati ? Perché liquidare vasti organismi , passando le attribuzioni specifiche allo Stato per il tramite della corporazione , è cosa facile . E anche cosa comoda , perché permette di risolvere elegantemente profonde difficoltà teoriche , eliminando coraggiosamente una delle parti in causa . Permette , inoltre , di costruire belli schemi in cui graziosamente si armonizzano le varie attività politiche , economiche e sociali . Ma , quel che più conta , liquidare il sindacato significa poter risolvere gli infiniti problemi economici , senza contatti con l ' impura realtà degli interessi e delle necessità . E non si venga fuori adesso colla solita obiezione del superamento della lotta di classe . Che essa sia superata , lo sappiamo tutti , ma cosa vuol dire superarla non si sa troppo . C ' è chi sogna che il superamento della lotta di classe debba significare un placido mondo in cui l ' economia ha perso la sua crudezza vivace per diventare mansueta e delicata come nell ' età dell ' oro . No , superare la lotta di classe non significa come giustamente nota Arrigoni nel primo numero di Dottrina fascista « abolire la lotta , la competizione , il contrasto di interessi . Il corporativismo egli continua è per la collaborazione degli interessi in vista di un fine supremo , ma non per la loro identificazione » . Composizione dunque , non identificazione , ché identificazione non si avrebbe senza la violenta abolizione di una delle parti in causa , abolizione cui nessuno pensa , né penserà . Ma ritornando alla domanda che avevamo posta ai signori liquidatori , vediamo subito quali sarebbero le caratteristiche di questo Stato corporativo , privo della sua base sindacale . Tutte le attribuzioni relative ai contratti tra lavoro e capitale , tutte le forme di assistenza e di educazione professionale , tutte le forme di controllo sull ' applicazione dei contratti collettivi , la funzione di collocamento : tutto passa allo Stato . Esso organizzerà enormi apparati burocratici , frazionerà questi secondo i vari compiti ed aspetterà che funzionino . Ma essi non funzioneranno perché mancherà loro quella necessaria sensibilità rispetto alla vita economica e sociale che si ottiene attraverso ad un contatto reale ed immediato con la ridda degli interessi in competizione . Il loro carattere di organizzazione partente dall ' alto sminuzzerà la loro azione , frazionandola in tanti compartimenti stagni , senza la leggera e pronta aderenza alle diverse esigenze del momento . Funzioni e disfunzioni del sindacato . Ma credono proprio i liquidatori che il sindacato non abbia fatto nulla in questi ultimi anni e si sia ridotto ad una organizzazione mutualistico - organizzativa ? Hanno dimenticato che gli aumenti salariali del '36 e del '37 sono stati predisposti ed elaborati nel seno delle organizzazioni dei lavoratori ? Hanno dimenticato la funzione di educazione politica che rappresenta per le masse lavoratrici la vita sindacale ? Hanno dimenticato , infine , che il sindacato è il riconoscimento legale del principio associativo della massa lavoratrice , di quel principio per cui hanno lottato intere generazioni di lavoratori ? Ma la colpa dell ' averlo dimenticato non va tutta ai liquidatori , poiché una parte notevole di essa spetta anche al sindacato . Esso ha dato luogo a questa corrente di sfiducia per la frequente inosservanza dei suoi compiti specifici , esso non ha sempre funzionato e quando ha funzionato non lo ha fatto sempre bene . Al sindacato incombe un ' alta responsabilità nella vita nazionale : esso è l ' organo attraverso al quale masse ingenti di lavoratori sono rappresentate politicamente ed economicamente . Ad esso incombe l ' obbligo di adeguarsi sempre più alle esigenze dei suoi rappresentanti , di adeguarvisi secondo i princìpi di quella più alta giustizia sociale che pone il lavoro come soggetto dell ' economia e non come oggetto dell ' altalenante gioco dell ' economia liberistica . E i dirigenti sindacali dovrebbero fare un piccolo esame di coscienza e domandarsi : come funzionano i sindacati nelle campagne ? a che punto siamo con i fiduciari di fabbrica , di officina ? di quanto si riducono in media , nel procedimento conciliativo , le somme che il lavoratore pretende sulla base del contratto collettivo ? quanto durano in media le vertenze sull ' indennità di licenziamento ? come funziona l ' assistenza legale ? e come si adempie al compimento educativo professionale ? Così si pone il problema del sindacato , del potenziamento del sindacato e a coloro che si pongono dinnanzi l ' ordinamento tedesco del Fronte del lavoro , noi risponderemo , con Giusto Geremia ( Libro e moschetto dell'11-10-XVI ) che « il nostro corporativismo è e sarà sindacale » .
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Forse l ' unica bellezza del primo romanzo Memorie inutili lo scriveva appena ventenne di Alfredo Oriani è nel protagonista Ugo Olivieri , che , romantico in ritardo , si trova sperduto , con i suoi sogni permeati ad un tempo di idealismo e di materialismo , nel mondo borghese del secolo XIX declinante ; ma e sono convinto di non scoprire nulla di nuovo in Ugo Olivieri è tutto Alfredo Oriani giovane , o meglio , se vogliamo accontentare la sua mania d ' allora giovanile di firmarsi con uno pseudonimo , Ottone di Banzole , lanciante , fiero della sua gioventù e della sua genialità , la sua vana sfida al mondo : vana e dannosa , perché il romanzo non esce certo pur opera di un ventenne dalla mediocrità e perché questo suo altero dispregio per la società che lo circonda gli aliena subito , al suo primo apparire nell ' agone letterario , tutte le simpatie dei lettori , in maniera da non riuscire più lui vivo a riguadagnarsele . Infatti esaminando in alcune decise pagine con amoroso , appassionato studio , che fa già presentire il futuro storico , l ' aspetto delle classi sociali quali si presentavano in Roma , sul finire del Governo Pontificio , critica l ' aristocrazia morente , delinea con vigore il popolo che purtroppo gli sembra rinnovare la plebe del basso impero , cadente un giorno come il potere temporale allora , ma soprattutto disprezza , ironico e superbo , la borghesia : « ... provavo un forte disgusto per la borghesia . Victor Hugo scrive che il dire a uno " borghese " vale un insulto , e ha ragione » . Se Roma , dopo di averlo fatto fantasticare classicamente e romanticamente insieme , lo aveva reso scettico e annoiato , stanco del mondo e degli ideali , con il quadro disgustoso della sua modernità , l ' ambiente provinciale bolognese lo induce alla reazione . Non vale più la pena di chiedersi : « La vita è una lotta , De Vauvenargue ? E il premio sai dirmelo ? » , quando invece la vita sembra uno stagno in cui tutto imputridisce ancor prima di morire ; per questo nei capitoli dell ' « Al di là » la borghesia è descritta con ribellione e con repulsione , fino ad affermare che essa è « il trionfale aborto della nostra civiltà , il capolavoro del nostro buon senso cristiano e della nostra saggezza economica , del filosofismo liberale e delle rivoluzioni medievali e francesi » . E probabilmente proprio questo vivace contrasto con la realtà borghese , che non riesce a contenersi nell ' animo dell ' autore , ma ha bisogno di esprimersi con violenza , fa sì che i primi romanzi , sempre troppo autobiografici , ricchi di passione quanto di paradossi , trovino in loro stessi la loro condanna : e i lavori dello scrittore romagnolo migliorano quando va scomparendo questo egoistico , pretenzioso , continuo magnificare e parlare di se stesso , nel confronto , più o meno accentuato , con il mondo contemporaneo . Quindi nei romanzi migliori pare che l ' ardore del giovane si sia addormentato , quasi che l ' abitudine a quel mondo negativo ne abbia lenita l ' asprezza , affievolita la voce sonora ; si può addirittura obiettare che la borghesia sembra aver penetrato anche l ' animo dell ' autore , ma approfondendo l ' esame si sente sempre viva l ' intima opposizione fra i personaggi e il romanziere , che riesce a creare il capolavoro quando trascina il lettore a vivere figure terribilmente borghesemente umane , il cui dramma è in sostanza di agire , quasi come sotto l ' incubo di una condanna , pensare , tormentarsi , morire , sepolte nel mondo greve e soffocante di Madame Bovary . Mentre Carducci esorta retoricamente con le figure del tempo andato , mentre D ' Annunzio blandisce i sensi del secolo ormai stanco , Oriani lo flagella , lo perseguita , lo rimprovera rinfacciandogliene l ' anima misera , rappresentata particolarmente in Vortice e in Gelosia . E quando finalmente il suo animo storico ha il sopravvento , non manca di presagire la sconfitta della borghesia : « L ' aristocrazia non ama e non lavora , la borghesia lavora e non ama , la plebe ama e lavora ... perché l ' aristocrazia è morta , la borghesia è moribonda , la plebe è giovane e ha davanti a sé un avvenire » . Lo scrittore ha già di fronte a sé non più il problema spirituale della borghesia , ma quello politico e storico : se egli non giunge a negare che la borghesia abbia avuto una funzione storica nel nostro Risorgimento , tuttavia nella Rivolta Ideale la individua e la scolpisce nella sua terribile insufficienza : « La borghesia era la classe più colta , ricca e passionale ; capace di intendere la modernità di oltre alpe e di oltre mare , soffriva nell ' abiezione imposta dai governi paesani alla sua coscienza ; sognava la rivoluzione ma sapeva troppo bene la propria debolezza e l ' indifferenza del popolo per osare davvero . Lungamente il sogno oscillò fra federalismo e riformismo ; si voleva soltanto il più probabile per arrischiare il meno possibile ; sostanzialmente la resistenza dei governi era pressoché nulla , la protezione accordata loro dalle diplomazie estere poco più che formale : un moto generoso di sollevazione sarebbe bastato contro i loro eserciti di parata e di banditi arruolati nella gendarmeria . Però non ne fu nulla . La lunga abile viltà nazionale degli ultimi secoli suggeriva invece speranze di aiuti stranieri , artifici di transazioni , scuse e ragioni a tutte le inferiorità : quindi l ' avanguardia borghese dovette indietreggiare dalla rivoluzione di Mazzini disertando l ' epopea di Garibaldi per accordarsi ai pochi reggimenti di Vittorio Emanuele . Accettò di mutare la servitù dell ' Austria in un protettorato francese mal dissimulato da un ' alleanza , lasciò la monarchia mantenere Mazzini in esilio e fucilare Garibaldi ad Aspromonte , incamerò i beni delle fraterie , occupò Roma rimanendo cattolica in un liberalismo fatto di buon senso e di volgarità , di istinti novatori e di prudenze qualche volta profonde fino al genio » . Certamente dopo i risultati meravigliosi del '60 una politica moderata s ' imponeva all ' Italia per non perdere in mosse arditamente rivoluzionarie , ma scarsamente politiche , il frutto di anni di fatiche , di sangue e di martirio , e bisognava che l ' istinto rivoluzionario s ' accordasse col valore monarchico per rafforzare il governo italiano di fronte all ' Europa ; ma , in fondo , avendo mutato il dovere in diritto , quella che vuol essere una giustificazione si risolve in una completa accusa : dopo di non aver certo agevolato il Risorgimento , la borghesia voleva renderlo inutile , ché tal cosa significava arrestare l ' ascesa dell ' Italia per il volgare timore di perdere il già acquistato e credendo che il moto dell ' unità non avesse nessun altro fine . Certo la borghesia assicurò sodamente questa unità , ma questa fu funzione positiva soltanto per la sua negatività : questa classe che non aveva fatto la rivoluzione italiana , perché se anche i rivoluzionari vi erano nati , per agire avevano dovuto rinnegare i principi ed uscirne , conquistato con la rivoluzione il potere , se ne dimostrava indegna , perché chiamava il popolo al comando e scompariva frammista ad esso nello stato pseudo - democratico , morendo più vergognosamente dell ' aristocrazia . Così tutte le classi sono scomparse , poiché nessun limite le divide automaticamente : « non ve ne sono più » . Ma è rimasto , con la morte della borghesia , un più grande pericolo : « il suo spirito » , poiché il popolo , il popolo , che è sempre la base della vita della nazione , corre il pericolo di lasciarsi imborghesire , comprendendo più facilmente gli ideali se così si possono chiamare borghesi e ritenendo più facile , come del resto è effettivamente , la scalata alle posizioni di questa classe . E Alfredo Oriani prevede che nell ' ideale battaglia contro lo spirito borghese un ' ardita , giovanile schiera , guiderà il popolo verso il proprio miglioramento : sarà la « rivolta ideale » della « nuova aristocrazia » .
VECCHIO E NUOVO UMANISMO ( DELLA VOLPE GALVANO , 1940 )
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Aspetto capitale della grande rivoluzione in corso è la esaltazione del lavoro e della tecnica , che è quanto dire una nuova concezione etica , filosofica , della vita : un nuovo Umanismo addirittura . Il riflesso profondo di questo nella pedagogia , la italiana Carta della Scuola , coi suoi concetti , ad esempio , di lavoro manuale scolastico , di cultura del popolo e non di una determinata classe , di selezione e orientamento delle scolaresche al di là di ogni privilegio di casta cioè di censo , esige un discorso a parte . Che presuppone , peraltro , un concetto chiaro di quel che fosse il vecchio Umanismo . Quale esso fosse e in particolare la sua filosofia dell ' educazione ce lo riassume , meglio di ogni altro documento , qualche frammento ( che sottolineo ) di un notevole discorso , del 1922 , di Giovanni Gentile , intitolato Lavoro e cultura . « Io sento profondamente egli dice la differenza che c ' è fra la dignità del lavoro propriamente detto e la dignità del pensiero ... la differenza fra il lavoro delle mani e la cultura , che è il lavoro dello spirito , è una differenza che ha grande importanza nel sistema dei valori umani . Il quale non si può mantenere , né garantire , se non concorra la normalità dei suoi rapporti , la differenza degli elementi che vi concorrono ... Il concetto di questo valore prodotto dal lavoro , onde l ' uomo si rivolge alla natura e ne fa mezzo di appagamento dei propri bisogni , è un concetto meramente relativo ... Se noi soffocassimo dentro di noi questo bisogno che ci fa tendere la mano al frutto della terra , il frutto della terra non sarebbe mai colto ... Il vero , l ' assoluto valore conosce e sente chi vive raccolto nella vita del pensiero ... Il carattere dei valori economici ... non è la natura dei valori propriamente spirituali , corrispondenti ai bisogni veramente essenziali e costitutivi della nostra vita ... La poesia o l ' arte , in generale , e la verità , ciò che rappresenta un fine supremo dello spirito umano , questo è il valore assoluto ... A questa coltura superiore dobbiamo guardare ... ; di tutta la coltura ... il lavoratore ha bisogno per essere lavoratore e per essere uomo » . È , come si vede , con quel tanto di semplicismo intellettualistico che comporta , la concezione illuministico - hegeliana della cultura come regno della Ragione e dello Spirito ( maiuscoli ) , cui deve restar soggiogata la provincia del lavoro e della tecnica , cioè la zona dell ' economico , del bisogno ( del particolare o sentimento nella sua positività ) : col risultato , in pratica , di un calcolo o raziocinio utilitaristico sullo sfondo , beninteso , astratto e però retorico dell ' Etica e della Spiritualità : col risultato concreto , politico , insomma , del predominio di una classe quella « colta » e « elevata » sulle altre . Bisogna allora dire che l ' intellettuale degno di questo nome deve avere oggi il coraggio di guardare la verità fino in fondo : e che per la difesa della civiltà che sorge la civiltà antiborghese della tecnica deve sapere andare oltre le ragioni immediate o empiriche a favore della tecnica e del lavoro , e affrontare il problema o i problemi della nuova concezione laica della vita . Non basta soltanto , per intenderci , dire , come si è detto , che , se il meccanico esclude lo spirituale , il meccanico non è la tecnica , ma la sua preconcetta astrazione ; che tecnica e lavoro non escludono ma presuppongono un ' etica che può giungere fino al sacrificio e all ' ascesi ; che nel lavoro si attua la necessità di sentir battere il proprio cuore all ' unisono col resto dell ' umanità ; che c ' è la « gioia del lavoro » , la « fatica senza fatica » , e una spiritualità del lavoro finora insospettata ; che la tecnica è « tattica » e « teologia » , e via dicendo . ( Vedi gli autori citati in proposito nel Commento alla Carta della Scuola del Volpicelli ) . Non basta . Bisognerà , un giorno , coordinare e organizzare queste sparse verità e però saldarle a un qualche principio generale , necessariamente antitetico ai principi generali dell ' illuminismo hegeliano ( o « liberalismo dialettico » ) , tutt ' ora diffusi . E intanto , occorre acquistare una coscienza vieppiù chiara delle deficienze organiche di questi ultimi principi tradizionali , se ci si vuole avviare veramente a una comprensione seria del nuovo Umanismo , per il quale non già è vero che la cultura è lavoro , ma bensì che il lavoro è cultura . Sono d ' accordo col Volpicelli che l ' avvento della tecnica è il fatto più importante della cultura del mondo dopo il Cristianesimo , e che il gran paradosso è che la tecnica è stata resa possibile dalla cultura moderna , ma poi la cultura che ha creato la tecnica si è mostrata incapace di sentirne l ' umanità e il valore , e che , infine , le opposizioni alla tecnica non son basate che su rimpianti e negazioni , con un argomentare ben strano per una cultura « la cui fondamentale categoria dovrebbe essere la storicità » . Sono anche d ' accordo con un altro dei pochissimi studiosi serii di questi problemi : con Luca Pignato che , in un recente dibattito su cultura , tecnica e morale , dopo aver opposto ai nostri neohegeliani la profonda , e però attuale verità enunciata dal patriarca Kant , che , cioè , « è un dovere dell ' uomo verso se stesso di essere un membro utile del mondo , perché questo fa parte dell ' umanità » , sia poi esso operaio o negoziante o erudito ( « secondo il suo piacere » e « l ' apprezzamento delle proprie forze » ) , osserva che appunto , se una legge morale ci accomuna , dei minatori ad esempio a noi , ci troveremo veramente in una universalità : e che « solo questa legge ( universale ) è cultura » : il resto sarà o l ' estrazione dello zolfo o la traduzione dal greco ; restando a vedere , in sede di politica scolastica , « se convenga in generale imparare il greco e il latino o migliorare le condizioni dell ' estrazione dello zolfo » . E altrove , il Pignato , a rincalzo dell ' osservazione di Giuseppe Bottai , che nella vecchia scuola gli studi classici si erano ridotti a fenomeno tipicamente letterario , conclude molto giustamente che non ha senso porsi il problema : come il vecchio Umanismo possa costituire il nocciolo del nuovo ; giacché le cose restano come stavano se si sposta un pezzetto di grammatica da una classe ad un ' altra , e che insomma riconosciuto il nuovo principio della tecnica come valore spirituale ogni discussione che si faccia sulla Carta della Scuola « deve tenerne presente lo spirito rivoluzionario , in senso sociale e politico . Rivoluzionario e non riformistico » . Parole chiare , oneste . Dovrebbe esserne giunto il momento , anche in questo campo .
SCUOLA SOTTO ESAME ( Semeraro Scipione , 2000 )
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La scuola sembrava vivere passivamente , tra proteste , mugugni , fughe e disillusioni , l ' ondata di provvedimenti con cui il governo l ' ha investita negli ultimi anni . Invece la vicenda del concorso di merito per gli insegnanti sta segnando in questi giorni un punto di discontinuità . Lo sciopero più esteso degli ultimi anni ( malgrado che i sindacati tradizionali fossero dall ' altra parte ) una manifestazione imponente di insegnanti nelle strade di Roma e un vero assedio del palazzo di viale Trastevere riaprono una fase importante che va attentamente indagata . Prende forma e si concentra sulla questione degli insegnanti una vicenda più generale della scuola e della formazione nel nostro paese . È , o almeno potrebbe diventare , il primo movimento ( un po ' come Seattle ) che si oppone all ' ordine esistente , e all ' ideologia privatistica , non solo a difesa di una categoria minacciata nei suoi diritti , o di diritti conquistati per tutti in un contesto sociale e culturale passato , ma ponendo un problema , anzi forse il problema più importante dell ' epoca futura : la formazione dell ' uomo , della personalità e creatività di tutti . Ed è ( più che a Seattle ) un movimento che muove non solo su una tematica specifica e insieme di valore generale , ma ha radici in un soggetto sociale omogeneo , radicato in un territorio , con un peso politico rilevante e attivo ( come ha rivelato , ancor in un recente passato , l ' esperienza francese ) . E infatti ha già una breve storia , non solo sindacale : l ' opposizione al finanziariamento pubblico alla scuola privata ; la contrastata esperienza del decentramento ; il dibattito sulla riforma dei cicli ; alla fine il rifiuto del " concorsone " ( non come rifiuto della qualificazione continua o richiesta di un piatto egualitarismo , ma come rifiuto dei modi aberranti con cui si pretende di valutare quella qualificazione ) e di aumenti retributivi innestati su uno scandaloso generale regime di sottosalario e di contenimento dell ' investimento nella scuola . Perciò è uno dei pochi movimenti che non si scontra con un muro di ostilità dell ' opinione pubblica , si oppone con nettezza al governo di centro - sinistra fuori ma anche dentro i suoi confini . I suoi limiti stanno ancora nel fatto che non è riuscito a saldarsi con una ripresa di un movimento degli studenti , che gli è indispensabile , né è riuscito a esprimere un ' idea adeguata di linea alternativa ; ma sono limiti imputabili anzitutto alla sordità della politica e della cultura e alla crisi delle relative organizzazioni . Ma che , esso stesso , potrebbe smuovere . La riforma degli ordinamenti , o come più comunemente si dice , la riforma dei cicli scolastici , l ' autonomia scolastica , il ruolo manageriale dei capi d ' istituto , l ' avvio di un nuovo profilo degli insegnanti , la ' parificazione ' tra scuola pubblica e privata , un nodo di questioni complesse viene ormai al dunque . Un popolo di insegnanti democratici , dopo aver sperato che la sinistra rispondesse alla loro crisi e alla crisi della scuola , presenta il conto . Un conto delicato che intreccia questioni sindacali , culturali e professionali : l ' inizio di una fase nuova . Le riforme I cambiamenti sono ormai definiti dal punto di vista legislativo ed è possibile valutare in che modo l ' impatto di tali provvedimenti sta cambiando la scuola reale . Il segno prevalente che si coglie è quello di una progressiva " privatizzazione della scuola pubblica " . Il finanziamento delle scuole private e l ' obiettivo di costruire un " sistema integrato " della formazione tra pubblico e privato sono solo il punto più appariscente , quanto grave , di una tendenza più generale alla privatizzazione della scuola pubblica . Privatizzazione è innanzi tutto un progressivo disimpegno finanziario dello Stato nello sviluppo della scuola ; non si tratta di una modifica del regime giuridico della scuola pubblica , ma del mutamento della sua ragione sociale . La scuola della Repubblica , che dovrebbe essere garante del diritto di cittadinanza , strumento teso alla rimozione delle differenze culturali e sociali , si fa , invece , sempre più ' un ' opportunità ' per i cittadini clienti di un servizio a domanda . Non è mutamento da poco e va scandagliato attentamente . La nuova scuola non muta la struttura della scuola dell ' infanzia , quella rivolta ai bambini dai tre ai cinque anni . Rimane per questo livello formativo l ' assurdo di un servizio pubblico presente sul territorio solo per un 50% della popolazione infantile . Per il resto dei bambini esiste solo la possibilità di una scuola materna confessionale e privata . La scuola , nel suo segmento di scuola di base , si riduce di un anno . La scuola secondaria introduce un doppio canale formativo fin dal primo biennio . Sarà possibile sviluppare esperienze formative anche in situazioni non scolastiche , nella formazione professionale . Infine viene introdotto il cosiddetto obbligo formativo fino ai diciotto anni . I giovani , dopo il quindicesimo anno , potranno proseguire gli studi scolastici oppure optare ( e opteranno ovviamente le loro famiglie , con un processo inaccettabile di autoselezione secondo il reddito ) per un canale di formazione professionale . In buona sostanza la riduzione del tempo della scolarità risponde solo al principio della riduzione della spesa e dell ' allineamento della scuola italiana alle politiche europee " avare " e sempre più ispirate alle politiche di contrazione del welfare . La riforma produce una riduzione assoluta del tempo di scuola ; il tempo e la quantità non sono tutto nella scuola , ma sono la precondizione della qualità e soprattutto costituiscono l ' elemento determinante per sostenere i ritardi culturali . In pedagogia vale il principio che se vuoi risultati soddisfacenti per il complesso della popolazione giovanile , devi offrire più tempo a coloro che socialmente portano il segno di un ritardo di alfabetizzazione e di cultura . Inoltre , per paradosso , l ' aver fissato il completamento dell ' obbligo al quindicesimo anno d ' età può produrre un incentivo all ' abbandono precoce della scuola dopo l ' ottenimento del titolo . Ricordiamo che attualmente la frequenza del biennio della secondaria fino a sedici anni è molto ampia rispetto alla popolazione scolastica in età corrispondente . Una riforma che riduce il tempo assoluto della formazione di base e che rischia di ridurre il numero assoluto degli studenti non può essere considerata una buona riforma . Gli ordinamenti e la riforma dei cicli scolastici sono , come è evidente , solo la forma giuridica e organizzativa che la scuola prende sul piano legislativo . La riforma reale della scuola è faccenda più complessa e non può esaurirsi nella valutazione dei contenitori giuridici e organizzativi . Della proposta del governo bisogna dunque saper cogliere il contesto e il retroterra culturale e politico , al fine di vagliarli criticamente , ma soprattutto per avanzare delle proposte alternative . Il punto di vista più interessante per capire , mi sembra che consista in una ricerca e una ridefinizione di che cosa è oggi alfabetizzazione e , per altro verso , nell ' individuazione delle radici sociali della povertà culturale . La scuola italiana soffre di due livelli di selezione . La selezione ' storica ' ha agito con l ' esclusione classista : l ' evasione dalla scuola dell ' obbligo e ampie sacche di insuccesso non possono portarci a considerare di massa la scuola , soprattutto nei livelli superiori e universitari . La stessa persistenza della ciclicità dell ' istruzione è il sedimento di una scontata e ipocrita ammissione che non tutti avrebbero potuto completare l ' intero percorso degli studi . Ma vi è un rilievo più importante da fare su una forma " moderna " di selezione . Penso agli studi della Greenfield e altri , che notano come la forte esposizione dei bambini e dei giovani al sistema complesso dell ' informazione , all ' " eccedenza informativa " per lo più veicolata dai media , invece che una crescita di cultura , produce un " rumore di fondo " , una perdita di capacità critica . Si determina nella scuola un analfabetismo qualitativo , vissuto precocemente nella famiglia e nella società e difficilmente recuperabile . Tempi di vita e tempi della formazione Allora una riforma degli ordinamenti deve guardare altrove : mi pare che si debba partire da una riflessione su come nel nostro tempo si sono trasformate le età della vita , quale ritmo ha preso la crescita umana , quali peculiarità prendono oggi l ' infanzia , l ' adolescenza e la condizione giovanile . La scuola accompagna l ' organizzazione dei tempi di vita dei ragazzi e delle loro famiglie , è un punto di osservazione dell ' organizzazione complessiva della società . Quali bisogni è possibile leggere nell ' organizzazione dei tempi della nostra vita ? E come ci si può ad essi riferire per fare riforma della scuola ? L ' infanzia è il primo terreno di verifica . Il nostro è un secolo che ha giocato non a favore dell ' infanzia , ma per una progressiva marginalità dei bambini e delle bambine . L ' autonomia infantile è , ci pare , il punto su cui ragionare . Come può la scuola garantire un passaggio delicato tra la famiglia e l ' affidamento ad altri adulti , gli insegnanti , per la formazione del piccolo cittadino . La famiglia è una risorsa primaria , emotiva e educativa per i piccoli , ma l ' autonomia dal senso proprietario che inevitabilmente i genitori esercitano sui piccoli è un primo passo verso l ' acquisizione della cittadinanza . Con quali tempi del rapporto didattico , in quali anni , con quale scansione di orari si devono affidare i piccoli alla scuola ? Questo costituisce il primo problema della riforma . Pensando ad una scolarizzazione precoce si pensa erroneamente ad una precoce accelerazione degli apprendimenti cognitivi . Non deve essere così . Nei nidi e nella scuola dell ' infanzia il problema è la socializzazione e l ' innesto di esperienze di relazione , è la conduzione dei bambini e delle bambine in un universo di linguaggi più differenziato e più ricco di quello familiare . Nidi e scuola dell ' infanzia devono rimuovere le prime differenze e devono evitare i ritardi rispetto alla scuola che verrà , devono essere scuola educativa e non assistenza . Qui siamo al secondo aspetto della riforma , i suoi contenuti didattici . La scuola di base unitaria ci pare buona cosa , ma non è positiva la riduzione di un anno di scolarità . Penso che sia opportuno un ritmo più semplice di quanto propone il governo : un ciclo di quattro anni , da sei fino a nove anni , a tempo pieno , unitario nel progetto e nell ' impianto educativo . Il tempo pieno non è solo un modulo organizzativo , ma un ' occasione per i bambini per fare esperienze educative globali . La formazione della mente vive insieme alla formazione delle relazioni , al gioco , alla creatività . Penso poi ad un ulteriore ciclo di quattro anni , fino a tredici anni . Una scuola più individualizzata nei percorsi , più adattata alle differenze personali e culturali degli adolescenti . Una scuola delle ragazze e dei ragazzi , che tra apprendimento e esperienza sociale si danno gli strumenti per la formazione di un io personale solido . Una scuola in cui si insegna tramite laboratori , in cui le relazioni della classe si intrecciano con ritmi organizzativi più articolati , sia per i tempi e gli orari che per i contenuti . Il giudizio sulla proposta relativa alla scuola secondaria è più severo . Qui appare con forza una convinta adesione del governo alle idee portanti della Confindustria sulla formazione . Scuola della flessibilità , addestramento e orientamento precoce , scuola vagamente impostata sulle opportunità e senza garanzie di promozione culturale . Ma vediamo con ordine . Innanzi tutto la riduzione complessiva del ciclo degli studi . Un livello così basso di scolarità si arrende all ' ideologia confindustriale di una ' didattica breve ' in vista di una disponibilità al lavoro precario , saltuario , appunto alla flessibilità , nuova magia dei ceti imprenditoriali che non vedono altra possibilità per lo sviluppo . La secondaria dovrebbe invece avere un biennio obbligatorio e unitario , compatto nei contenuti e nelle finalità culturali . Dovrebbero essere semplificati i curricoli di apprendimento ; il lavoro , la società , la tecnica , i linguaggi e la conoscenza della natura devono essere oggetto critico della ricerca culturale dei giovani e non temi di addestramento subalterno . Questa ci pare l ' uscita positiva dall ' impostazione gentiliana della scuola . La scuola deve essere poi giocata , nel triennio successivo , tra studio e prime esperienze di avvicinamento al lavoro , in prospettiva una scuola obbligatoria fino a 18 anni . Questa è la scelta realistica di allineamento agli altri sistemi formativi europei . Una scuola che si riorganizza nei tempi , comincia a adattarsi per diventare il primo livello di un ulteriore passo della formazione , a carattere permanente , non più solo rivolta ai giovani , ma capace di offrire allo sviluppo delle persone , in ogni età della vita , un riferimento culturale e formativo . Sarebbe utile un terzo settore della formazione . Anche l ' obiettivo di una generale riduzione dell ' orario di lavoro ha in questa formazione ricorrente una possibilità . Tempi che si liberano dal lavoro e che si dedicano alla cura di sé e alla crescita culturale . Ma la riforma è soprattutto investimento di risorse , umane e economiche . Il governo di centrosinistra non ha cambiato strategia , non ha segnato una discontinuità rispetto ai governi di destra o a dominanza democristiana . Una ristrutturazione poderosa ha colpito i bilanci , colpisce la struttura materiale della scuola sul territorio , colpisce gli insegnanti . Una riforma senza risorse è pura propaganda . La riduzione del finanziamento pubblico della scuola è effetto di una strategia che va al di là del risanamento del debito pubblico . Si iscrive in un quadro di trasformazione della scuola in un sistema misto , pubblico e privato , convenzionato , in cui mercato e redditi familiari diventano il differenziale di qualità della scuola . Che fare dunque , per non rimanere nelle secche delle analisi ? Innanzi tutto risollevare nella scuola la partecipazione dei soggetti , studenti , insegnanti e cittadini . La fuga o la passività degli insegnanti nella scuola è motivata dall ' insicurezza sulla prospettiva del loro ruolo , da una profonda sfiducia che si possa cambiare qualcosa nel modo di imparare e di insegnare . La scuola potrebbe perdere una generazione professionale importante e pregiudicarsi così le possibilità di riforma . L ' insensibilità alla questione docente , come parte essenziale della riforma , è ancora il movente della proposta insensata del " concorsone " per la selezione professionale , che rende acuta la tensione nelle scuole e fa da catalizzatore della protesta . Cosa è questa ampia e generale reazione alle ' gare salariali ' , come ha efficacemente scritto il manifesto ? Non avveniva più da anni : gli insegnanti non accettano di sottoporsi ad una selezione per lo più fondata sull ' ideologia che nella scuola la qualità dipende dalla competizione premiata dagli incentivi salariali . Un ' ipotesi povera di analisi su questa professione , che non riesce a vedere nell ' insegnamento - come sostiene ampiamente anche Bruner in un suo testo importante sulla scuola americana - un ruolo sociale e politico particolare , considerandolo invece un semplice lavoro subordinato . L ' efficacia dell ' insegnamento dipende dalla condivisione dei fini emancipativi che nella scuola si attivano . Il modello aziendale , gerarchico e competitivo , non solo non funziona , ma allontana gli insegnanti , come già ampiamente avviene , dalla didattica quotidiana . Programmazione , progettazione didattica , innovazione didattica stanno diventando momenti autoreferenziali che impoveriscono la cultura e l ' azione professionale degli insegnanti . Contro la povertà di una selezione fatta con i quiz , con le simulazioni di lezione ( dove vanno a finire decenni di ricerca per superare nell ' insegnamento la sequenza della lezione , interrogazione , valutazione ? ) insorgono gli insegnanti , bloccati tra le certezze di un passato professionale che non funziona e le riforme che non convincono . L ' idea cattiva di autonomia Questo conflitto oggi si intreccia con il caos che si è determinato con un ' insensata politica dell ' autonomia del " fai da te " . La riforma dei cicli non può essere perciò separata dalla questione più corposa dell ' autonomia . L ' autonomia didattica è un grande valore : insieme con la dimensione cooperativa è la sostanza stessa della libertà d ' insegnamento garantita dalla Costituzione . Ma l ' attuazione dell ' autonomia sta stravolgendo tutto questo . Gli insegnanti e gli studenti , isolati , ridotti a rango di clienti , perdono poteri reali di influenza sulle scelte e sui fini per diventare soggetti passivi nella gestione del quotidiano . Il cittadino cliente naviga nel vuoto e perde ogni connotazione di soggetto collettivo nel rapportarsi al sistema dei diritti che dovrebbe alimentare ogni servizio sociale . Le nostre scuole dovrebbero essere più pubbliche e meno di mercato . Più strumenti di eguaglianza che luoghi inerti di convalida della differenziazione sociale . L ' introduzione di logiche di mercato distrugge la promozione dei diritti ; nel migliore dei casi riaffida alla scuola o una funzione giudicante e notarile dell ' avvenuta assuefazione al conformismo e alla differenza sociale , oppure dilata la dimensione familistica , ideologica , " etnica " dell ' identità giovanile . Il problema dell ' autonomia buona è lo sviluppo di poteri ' locali ' capaci di riformare la scuola dal basso , secondo linee generali di innovazione culturale e professionale di profilo culturale alto . Il problema dell ' autonomia della scuola è in ultima analisi un problema della democrazia e dei suoi strumenti . La libertà di insegnare e fare scienza All ' autonomia degli insegnanti e degli studenti dovrebbe spettare l ' assoluta decisione delle tracce educative per raggiungere i fini sociali e politici fissati dalle istanze democratiche di un paese . Insegnare è per eccellenza un ruolo pubblico , perché dovrebbe farsi guidare solo dalla libertà della scienza , della coscienza professionale e dalla Costituzione . Null ' altro dovrebbe influenzare il progetto educativo delle scuole . La Costituzione , nel suo andamento compromissorio affidò la responsabilità educativa alla famiglia e alla scuola dello Stato . Le politiche attuali rifluiscono verso il primato della famiglia e risolvono l ' ambiguità costituzionale a favore della riproduzione educativa familiare o della cultura locale ' leghista ' : la comunità naturale dunque , piuttosto che la società e la cultura nazionale . Questo rifluire produce enormi rischi morali e culturali , incide sul tessuto civile del paese . Torna il ruolo prevalente degli educatori come riproduttori passivi del senso comune ambientale , piuttosto che soggetti di una ricerca critica sullo stesso contesto sociale . È necessario invece pensare ad una scuola come libero spazio di una complessa dialettica tra valori e interessi diversi ; un luogo di proposta e anche di conflitto tra educatori e studenti , non più proprietà e investimento dei loro genitori , ma abitato da soggetti umani accomunati da un ' avventura morale e intellettuale che prepara alla cittadinanza . Si tratta di considerare la scuola e l ' educazione come un gioco difficile che non solo agisce , ma che , mentre è giocato , fissa le regole stesse del gioco . Un gioco su un piano inclinato , più complesso di un gioco con regole precostituite , in cui i giocatori , studenti e educatori , seguendo le regole date , ne inventano di nuove e rompono dinamicamente con il senso comune e le mentalità correnti . L ' autogoverno e la cooperazione Esiste oggi un lavoro scolastico che rassomigli a questo impegno ? In genere dobbiamo rispondere negativamente : prevalgono gli aspetti ripetitivi sulla creatività e l ' invenzione . Ma una traccia per ricostruire il tessuto di una ricerca esiste . La cooperazione e ducativa appartiene a pieno diritto alla riflessione della pedagogia democratica europea e italiana . Evidenzia con equilibrio la necessità di percorsi personali , individualizzati e creativi nell ' insegnamento . E si pone come interazione , quasi necessariamente conflittuale e pluralistica tra lavori l ' uno all ' altro trasparenti , nei percorsi e nei fini . Cooperare e cooperazione sono termini che richiamano solidarietà ottocentesche . Recuperarne il senso in un contesto moderno , legato alla definizione di nuove metodologie per la gestione del lavoro intellettuale , costituisce un ' operazione culturale ardita . Nelle organizzazioni a rete bisogna partire dall ' ipotesi concettuale e pratica che non si può eliminare il conflitto ; il conflitto deve essere considerato un elemento dinamico e produttivo . Come può essere controllato e razionalizzato ? Solo aumentando le informazioni circolanti nella rete , aumentando la partecipazione dei soggetti e chiarificando i fini e i valori . Lavorare cooperando significa accettare questa processualità . Per risolvere il conflitto bisogna cercare le vie che portano a stabilire patti , quando i patti entrano in crisi bisogna rinnovare il confronto tra i soggetti . Bisogna saper costruire un quadro di controllo del processo educativo che abbia il suo centro riformatore nel ruolo dei soggetti sociali interessati . Questa metodologia di controllo costante della didattica è l ' anima stessa della cooperazione , la trasparenza è la sua componente essenziale ; comporta un forte decentramento delle responsabilità , riduce il ruolo gerarchico . Il tutto funziona se c ' è questa assunzione reciproca di impegni responsabili . Patti d ' aula , patti d ' istituto , patti tra soggetti . Questo metodo difficilmente può coesistere con un ' organizzazione burocratica e gerarchica , anche tra studenti e insegnanti . Prendere decisioni in questo ambiente comunicativo comporta anche il mutamento dello stile di lavoro degli insegnanti . In genere nella struttura cooperativa è importante la trasparenza delle singole intenzioni , antagonista rispetto alla consuetudine di custodire individualisticamente il contenuto e il metodo del proprio lavoro . È importante comunicare con trasparenza perché questo riduce il conflitto : anche le più semplici procedure vengono trasformate da questo stile di comportamento . Un comportamento trasparente abbatte significativamente l ' insuccesso scolastico dei ragazzi ; l ' assenza di comunicazione aumenta il fallimento e l ' insuccesso . Ascoltare è difficile , ma è una metodologia interessante . Nella scuola bisognerebbe prevedere dei momenti istituzionalizzati dell ' ascolto , un meccanismo in cui si esprimono le crisi : momenti di autodiagnosi , potremmo dire . Cosa invece diventa oggi nella realtà quotidiana l ' autonomia ? Assenza di un campo generale di riflessione sulle finalità della scuola ; crescente asfissia della didattica costretta nelle procedure burocratiche ; frammentazione insensata , nelle singole scuole e per ogni singolo insegnante , della ricerca e della trasmissione culturale . Difficile scorgere sotto un fraseggio modernizzante ( crediti e debiti formativi , piani dell ' offerta formativa , competenze - conoscenze - capacità , funzioni - obiettivo , tutor , didattica breve , saperi minimi ecc . ) una sostanza riformatrice che cambia la scuola . Temo che si tratti di un linguaggio da nuovi chierici che copre un vuoto di ridefinizione degli assi culturali , un deficit di progettazione del futuro che le società moderne vivono drammaticamente . I giochi non sono chiusi , riprende attivamente un movimento . Mancano finora gli studenti , l ' altro asse decisivo della riforma ; ma ripartono gli insegnanti , forse perché essi sono più direttamente sottoposti a una duplice sollecitazione : l ' umiliazione della loro professione e la speranza di essere un settore sociale portante dello schieramento riformatore di questo paese . La sinistra di governo non ha capito e entra in rotta di collisione con un movimento ampio , non corporativo , esplicitamente riformatore . Nella palude delle logiche di Palazzo la scuola torna ad essere una questione sociale che chiede risposte alla politica . Ci sono momenti in cui sembra che le passioni democratiche e di cambiamento siano in totale riflusso , ma la realtà è a volte più ricca della nostra stessa speranza .
ROMANTICISMO ED ANTIROMANTICISMO ( PACI ENZO , 1941 )
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Ormai la polemica , nata dall ' intelligente articolo di Angioletti , ha dato più d ' un frutto , e non sembra acquetarsi . Il suo significato non è più soltanto letterario , ma culturale , sociale e , finalmente , filosofico , grazie , specialmente , alla decisa posizione antiromantica di Galvano della Volpe ( vedi « Antiromanticismo » in Primato del 15 maggio e « Da un programma antiromantico » in Studi filosofici n . 4 ) . Tutti noi sentiamo con Angioletti , che , « come un vento tiepido e leggero » qualcosa di nuovo nasce intorno a noi , ma di questo qualcosa di nuovo non sappiamo , e forse è un bene , dare una definizione . In ogni modo non a caso è stata pronunciata la parola « Romanticismo » . Essa indica , io credo , uno stato di malessere e di scontentezza , un senso di sfiducia e di sazietà verso atteggiamenti troppo controllati e troppo « distaccati » della nostra cultura . Un amore freddo e contenuto per la precisione di ciò che è intellettualmente perfetto ci trattiene da ogni abbandono , ed ora sentiamo il valore dell ' abbandono , la fecondità di certe ingenuità e di certi errori , ma un timore ci trattiene , ed è quello che non venga abbandonato troppo facilmente ciò che abbiamo conquistato , la disciplina su ogni forma di lirica intemperanza , quella precisione del senso della parola che è certo una delle conquiste più alte della letteratura e della poesia italiana contemporanea . La finitezza della parola è divenuta quasi il segno della moralità del letterato e dell ' uomo di cultura e , forse , qualcosa di più , il segno della moralità dell ' uomo , come una volontà di non falsare il valore della realtà e della vita , sempre concretamente finita e puntuale , sempre determinata , sempre richiedente una responsabilità ed una scelta , senza evasioni e senza fughe , appunto , romantiche . Ma , tale finitezza , ci appare ora come l ' estrema conquista , una conquista che presuppone tutto un passato e , in noi , tutto un lungo cammino o travaglio inespresso , di cui la parola è come la conclusione , il traguardo raggiunto . E scopriamo il valore di ciò che in noi è stato disciplinato , come se , senza quel profondo e scontento agitarsi di tutto il nostro destino , la parola perdesse ogni sua tensione , ogni sua moralità : è questa scoperta che ci fa parlare , oggi , di romanticismo . Romanticismo sì , ma romanticismo del finito , accettazione senza riserve del limite inerente alla vita ed alla cultura : la morte non è più un tema poetico , ma la condizione della nostra esistenza : non vogliamo falsare il senso del nostro esistere e trasportarlo nel mito di un egualitarismo liberale o di un illuministico storicismo in cui tutti i contendenti assolvono la loro eguale funzione storica : no , nella vita e nella storia ci sono vincitori e vinti , ogni epoca vive nel suo orizzonte e nega l ' altra : la civiltà europea non ci sembra più ottimisticamente svilupparsi nella linea di un mitico progresso . La nostra epoca rinuncia a soluzioni troppo facili ed ereditarie , ha la sua dura realtà da imporre e sa che la sua vita è legata alle sue possibilità di vittoria . Essa sa che la cultura aperta ed infinita è la fine di un ' Europa e sa che l ' Europa non esiterebbe più se non avesse il coraggio di rinunciare a ciò che finora si è chiamato europeo : essa vuol dimenticare l ' indulgenza dei vecchi , per cui ogni affermazione ha il suo diritto , e sa che bisogna saper non vedere , non giustificare , non accettare , vivere e morire per qualcosa di determinato e di finito , ingiusto forse , ma solo in nome di una astratta giustizia e di un ' astratta moralità . Non saprei non dar ragione , in tal senso , alla profonda rivalutazione del finito e del determinato , su cui tanto insiste , come filosofo e come uomo di cultura , Galvano della Volpe . No , la nostra epoca non deve e non può essere umanitaristica . Ed ha ragione Mario Alicata : è troppo equivoco il termine « simpatia umana » : « ridurre l ' amore ed il desiderio degli altri a ... caute possibilità di perdono , di soccorso ... non significa rischiare di nuovo la propria libertà spirituale in un accomodamento utilitario dei nostri rapporti umani , al servizio di un plebeo e farisaico demagogismo che cerchi di salvare , nella ottenuta e rimunerata comprensione degli altri verso noi , dei molti verso i pochi , la pigrizia morale e la fervida coscienza degli egoisti ? » ( Primato 15 giugno ) . Eppure , con tutto questo , l ' esigenza di Angioletti e di Lupinacci , conteneva forse più di quanto si è in essa voluto vedere e di quanto ha saputo dire . Gli uomini non si incontrano nella conclusione della loro esperienza . La disciplina della parola ci rimanda alle nostre inespresse vicende , tanto espresse invece dai romantici : la virile accettazione del finito , così nostra , ci rimanda ad una condizione comune di finitezza , ad una comprensione più profonda dove ognuno di noi comprende l ' altro proprio perché sa che il finito esclude ogni possibilità di assolutizzare , secondo il vecchio egocentrismo romantico , perché sa che ogni orizzonte è limitato , che ogni dogmatismo è una falsificazione di noi stessi e degli altri . L ' accettazione del finito come finito , il rifiuto di ogni evasione e di ogni fuga , non allontana gli uomini , ma , proprio , li riavvicina , nell ' unico riavvicinamento che è davvero possibile : il riconoscimento del limite del proprio destino e dell ' altrui , diverso , opposto al nostro . Il vecchio romanticismo credeva di poter raggiungere la possibilità di una comunicazione attraverso la fuga dalle precise condizioni della nostra esistenza o attraverso la mitica assolutizzazione ed universalizzazione di un ' esperienza fatalmente particolare e limitata : noi , nella nostra nuova esigenza romantica , sappiamo che possiamo davvero comprendere gli altri se sappiamo accettare la nostra condizione e non mitologizzare noi stessi . « Andare incontro agli altri » dice anche Mario Alicata . Ma gli altri li sapremo trovare solo sperimentando ed accettando il limite della nostra esperienza : così sapremo andare verso gli altri , anche se , per avventura , le condizioni finite della nostra vita ci porranno contro di loro : saremo allora , per ripetere ancora la parola di Karl Jaspers in comunicazione con loro . Il tramontante liberalismo aveva condotto l ' Europa all ' assolutizzazione del finito , il vecchio umanitarismo alla più ipocrita mancanza di umanità : proprie le nuove esperienze politiche ed ideologiche sapranno ritrovare l ' uomo , senza promettergli nessun mito , ma dandogli la vera libertà della sua condizione di uomo , inevitabilmente finita : da tale accettazione della finitezza e del destino , che tutti limita e circoscrive , nasce la nuova e concreta forma di solidarietà umana . Che è civiltà della tecnica e del lavoro proprio in quanto tecnica e lavoro abbandonano ogni liberale mitologia fordistica e tayloristica e diventano i termini essenziali di realizzazione , nel finito , dell ' esistenza dell ' uomo , con tutta la sua umanità . Nasce allora una nuova passione , la passione per il finito , per ciò che ci fa restare noi stessi . È antiromantica perché esclude ogni fuga , ma è profondamente romantica perché ci riavvicina alla fonte inesauribile di ciò che in noi è primordiale . Sentiamo per il finito e per la fatalità delle condizioni insostituibili dell ' esistenza lo stesso entusiasmo che i romantici provarono per l ' infinito e per la fuga dal mondo . E la nostra cultura vuol rimanere fedele all ' impossibilità di universalizzare i nostri orizzonti , una fedeltà che è fedeltà alla concretezza del nostro esistere , una fedeltà alla morte , se si vuol richiamare il termine di Heidegger , una fede , profonda come quella romantica , che solo il finito può testimoniare dell ' infinito , che la trascendenza si può a noi rivelare solo nell ' accettazione assoluta e totale delle condizioni della nostra immanenza , se si vuole , richiamandosi ancora all ' esistenzialismo , ricordare la posizione di Jaspers . Finitezza , destino , amor fati . L ' amico Della Volpe non si allarmi della nuova passione romantica , che come una bufera rinnovatrice , l ' esistenzialismo ha scatenato su tutta l ' Europa . Non s ' allarmi perché questa nuova passione è proprio per quel finito , per quel sensibile , per quel sentimento di cui la sua filosofia rivaluta , con tanta acutezza ed intelligenza , i diritti troppo sprezzati . E l ' amico G . M . Bertin , a cui sono riconoscente dell ' attenzione che ha prestato al mio pensiero ( Cfr . « Esistenzialismo romantico » , in Studi filosofici , n . 4 ) non si allarmi per il nuovo irrazionalismo che gli sembra minacciare la tradizione critica di Kant e di Hegel : proprio il nuovo romanticismo combatte ogni pretesa , questa davvero romantica nel vecchio senso della parola , di assolutizzare , infinitizzare , divinizzare l ' universo . E se riconosce i diritti dell ' irrazionale non è per degradare il pensiero a mito , o per abbassare ad empirico arbitrio la vita spirituale , ma invece per usare criticamente della ragione filosofica e per avvertire che ogni vita spirituale , che non presupponga le condizioni finite del nostro esistere e del nostro destino , è retorica . Ma so che Bertin mi comprende e sa che il mio romanticismo non è quello a cui tutti noi ci ribelliamo . La nuova atmosfera romantica è dunque la scoperta del valore del finito e dell ' esistenza . Dietro la nostra fredda disciplina per le parole ritornano la parola passione e la parola destino : e la nostra disciplina non sarà conquistata una volta per sempre , ma ci richiamerà ancora a noi stessi , alla continua tensione che ci conduce a riconquistarla senza posa , perché non si inaridisca in vuota forma ed in pretenziosa sufficienza di sé .
PESSIMISMO DI DUVIVIER ( ARISTARCO GUIDO , 1941 )
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Julien Duvivier è uno tra i pochissimi registi che riescono a dare all ' opera cinematografica un ' impronta di stile personale ed inconfondibile che difficilmente si dimentica . Più rigoroso di Chenal , più incisivo di Carné , più realistico di Feyder , più profondo di Renoir i capisaldi dell ' ultima regia francese è oggi indubbiamente il miglior regista di cui la Francia possa vantare . Non solo , ma appartiene anche a quell ' esiguo numero di mirabili narratori per immagini che va dai Vidor ai Flaherty , dai Capra ai Mamoulian , dai Borzage ai Ford . È uno dei pochissimi , insomma , che abbia compreso nella sua integrità il mezzo espressivo « cinema » compendiando in esso tutti quegli elementi che ne formano lo spettacolo d ' arte . Per questa sana comprensione che ogni regista degno di tal nome dovrebbe avere non farà mai , punto essenziale e fermo nel cinema , del teatro , se pur teatro finissimo , filmato . E il susseguirsi dei fotogrammi che parla in ogni sua pellicola : l ' immagine resta sempre alla base dell ' espressione di eventi e stati d ' animo : le sequenze sempre si susseguono alle sequenze , le angolazioni alle angolazioni , le inquadrature alle inquadrature : tutte accompagnate da un ritmo serrato e conciso , da un ' atmosfera viva , fusa , pittoresca . Gli attori parlano qualche volta con retorica ed enfasi , ma il dialogo non grava mai sull ' immagine , e l ' immagine per effetto delle lunghe chiacchierate , sull ' azione . E la narrazione procede ampia , magnifica , e nello stesso tempo semplice , sentita , genuina lontana da convenzionalismi e da luoghi comuni : mirante all ' essenziale e al particolare insieme . Non solo , poi , il Nostro ha una personalissima ed inconfondibile maniera d ' inquadrare , di muovere la macchina ( carrellate alla Duvivier ) , di narrare conformemente ai canoni fondamentali del cinema vero , ma ha pure un proprio punto di vista rispetto al contenuto e all ' intonazione del film . È quasi sempre la vita degli umili e dei reietti , dei perduti nel vizio e nell ' imbroglio , dell ' uomo della strada e del trivio , dell ' angiporto e del quartiere malfamato , che lo attrae e lo appassiona . Sono gli infiniti e multiformi drammi di questi : i loro casi singoli osservati dai fatti crudi , scarni , scheletrici di cronaca quotidiana che ritrae in ogni più piccolo particolare e in ogni minuta osservazione e sfumatura . Di fronte a questo materiale umano come quasi tutti i registi francesi d ' oggi Duvivier è un osservatore scettico e pessimista ; di uno scetticismo e di un pessimismo spesso malato e morboso , che giunge più volte anche a negare la vita come gioia di vivere , come libera espressione dell ' anima , come affermazione dell ' individuo . I personaggi che ama e predilige hanno tutti una propria fisionomia , un proprio sguardo , un ' impronta particolare : sono esseri senza sorte e senza speranza e , incapaci di dominarsi , trasportati dalla corrente verso un progressivo fallimento di loro stessi : dalla più torbida desolazione , fino al delitto e al suicidio . Per convincersi basta osservare le sue realizzazioni , dove insieme ad una stretta analogia di indagine umana e profonda , non manca mai uno scetticismo impressionante . E questo eccezione fatta per le opere a carattere religioso « Golgota » e « Credo » in ogni suo film . Sia che realizzi una vicenda eroica , « La Bandiera » ; o un intreccio musicale , « L ' uomo del giorno » ; o la storia drammatica di un bimbo incompreso « Pel di Carota » ; o la tumultuosa ed ardente vita di un fuori legge « Pepé le Moko » ; o la descrizione degli ultimi giorni di vecchi attori « I prigionieri del sogno » . Ma dove il pessimismo di Julien Duvivier raggiunge vertici di traboccante grigiore e malinconia è ne « La bella brigata » e in « Carnet de bal » . Entrambi questi film sembrano addirittura ispirati da un Schopenhauer e sceneggiati da un Leopardi nel loro momenti di più cupo abbandono . Nel primo , i sogni , le aspirazioni , tutte le cose belle di cinque operai svanite insieme alla stessa amicizia e solidarietà , ci fa vedere la vita atrocemente buia . Nel secondo : il crudo dramma di una donna non più giovane , che si illude di rincorrere il passato , per ritrovare gli amici di gioventù e riafferrare con essi le gioie non apprezzate , dipinge la vita con toni di morboso scetticismo . ( Morboso scetticismo che si tramuta alla fine nel surrealista « Carro fantasma » in fede , redenzione , luce irradiante ) . Affermare dopo tutto questo che Duvivier è uno scettico , sarebbe troppo poco . Per essere più precisi occorre dire che è un entusiasta del pessimismo . E l ' unico rimprovero che gli si può fare , tra i tanti elogi , è proprio questo : che la sua tecnica e la sua arte siano volutamente messe al servizio di soggetti mai sani ed irradianti luce ; ben sapendo purtuttavia che a nessuno , e neppure a noi , è permesso di voler far sostituire concetti ed intenzioni proprie a quelle dell ' artista . Comunque non si può condannare in Duvivier come alcuni hanno fatto l ' artista . Non è possibile stroncare un ' opera d ' arte in genere solamente perché è costruita su materia non sana . Occorre in questi casi saper distinguere il mondo etico da quello estetico . Se così non fosse , di arte ce ne sarebbe ben poca . Ecco la ragione per la quale non possiamo dissentire Duvivier quanto ad apprezzamenti puramente cinematografici ed artistici .
« UMORI » DI BARTOLINI ( PASOLINI PIER PAOLO , 1942 )
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Non voglio qui parlare della poesia in versi di L . Bartolini , o delle sue acqueforti , ma limitare il discorso alla sua prosa , o , meglio , alle sue prose migliori . Chi pensi « Bartolini » non può pensare subito che ad un avvenimento eccezionale , direi quasi privato , che di giorno in giorno accade nella nostra odierna letteratura : ed è proprio in questo suo diuturno accadere che si è venuta costituendo , anzi , stratificando una prosa bartoliniana , staccata da qualsiasi intenzione o premeditazione ; e quindi serenamente scioltasi dal timore di una possibile decadenza , espresso dal De Robertis , quando , in uno scritto del '30 su Passeggiata con la ragazza , si era chiesto : « s ' accosterà un giorno ( Bartolini ) a temi più calmi , senza più quel tono improvviso , avventuroso , lirico a oltranza ? E troverà i mezzi adatti , quel tanto di riposo mentale necessario a opere mature ? » . Tutto questo è stato dal Nostro raggiunto , al di fuori di qualsiasi programma : e così , come il De Robertis rivendicò in quelle vecchie pagine del Bartolini un ' « aria di gioventù » , un « essere e parere giovani » , non come « uno dell ' ultima generazione » , ed in questo indicò la sua presenza prepotente nell ' « orto ben pettinato delle lettere » odierne , così noi ora ritroviamo il Nostro , intatto , fedele a se stesso , anche se al posto della sua sanguigna , scontrosa , ribelle gioventù , c ' è ora una maturità più attenta e sofferta , se non meno scontrosa e ribelle . E se « tra le tante sue facce » si fa « sempre più in luce quella del moralista » , non ce ne dispiace affatto , anzi , per questo , forse , lo abbiamo più caro . Bartolini non ha mai resistito alla tentazione di « scendere tra gli uomini » ; e se dopo , mettiamo , aver contemplato le vecchie al mercato ( « ... portano non meno di tre sottane : la esterna e la seconda che è di roba turchina con righette orizzontali per orlo , orlo listato da un palmo di velluto nero sino ... Alzano le vecchie donne la prima e la seconda sottana e , se uno sta ad osservare bene , si vedono , se per isbaglio la vecchia s ' alza un lembo della terza sottana , gambacce con le vene varicose e col « giudizio » , ossia il sudiciume al ginocchio ... » ) , dopo averle così contemplate , dunque , vuol trarne una sua morale ( « E così fanno perché sono al limitare dell ' esistenza : mettono da parte e tengono da conto per paura di perdere e non riavere ; giacché sanno , da natura , che più nulla avranno . Sono come le piante che hanno più radice che fiore » ) , tanto meglio , per il piacere che abbiamo tratto da questa morale , che non è un concetto , ma una descrizione : e commoventissima . Del resto il giudizio o morale bartoliniano non è che una specie di « finale » o di « presto » , strettamente unito , o sortito direttamente da quello che , più innanzi , chiamerò il suo « umore » . Così la prosa del Nostro , tutta affidata al proprio umore , alla luna buona o cattiva , all ' ilare o malo risveglio mattutino , si è venuta imponendo alla nostra attenzione , che si è , un po ' alla volta , tramutata in vero e proprio affetto . E nient ' altro che affetto , in noi , poteva corrispondere alla maschia confessione bartoliniana , uscita pudicamente , scontrosamente , dalla sua penna , quasi a denti stretti , talvolta ; altra volta , come nei suoi primi libri ( Passeggiata con la ragazza ) , gridata a voce alta e piena , sino a rivelarne il sangue o la carne , ma sempre con un sordo pudore , che , intervenuto nel discorso come un improvviso interrompimento , lo tramutava , lo accigliava , quasi accorandolo . In realtà , sempre , in fondo alla voce forte e burbera di Bartolini , trema un nodo di pianto : pianto umano , quasi fanciullesco . Si guardi « Morte di Umano » nel suo ultimo libro . E in questo fondo di pianto , niente affatto spleenetico o letterario e non nel senso generico di malinconia o tristezza , giace la parte più remota e forse meno nota di Bartolini : è da essa che risale alla superficie la gamma versicolore dell ' umor suo , tetro e bizzarro , come una sorta di alterna vittoria e sconfitta , astio e benignità , avvenuta nel suo intimo più segreto , ed emersa poi nella pagina scritta . Per questo , io credo , della sua prosa finora non è stata data una definizione critica , che , circoscrivendola , la ponga con sua vera luce nell ' ambito della nostra letteratura odierna . È tale definizione monca anche perché , dato il proprio modo di essere , il Nostro non ha in letteratura che nemici o amici : e sia gli uni che gli altri , per eccesso di vigore , non saranno in grado di studiarlo serenemente . Non basterà chiamare la scrittura bartoliniana semplicemente « prosa » , come si suole , in quanto non narrativo , ché questo sarebbe un porre la questione e non risolverla ; « capitolo » anche è fuori luogo per la pagina del Nostro , nata , è vero , nel pieno fiorimento di quello , e indubbiamente influenzatane , ché la prosa di Bartolini è tanto lontana dal capitolo cecchiano , quanto da uno è lontano altro stile . E se del vecchio racconto o abbozzo realistico , è inutile anche fare il solo nome , come invece avviene nella fascetta pubblicitaria del Cane scontento , d ' altra parte se l ' ispirazione bartoliniana è essenzialmente lirica , lo è al di fuori da ogni liricità in quanto purezza o essenziale perfezione : Bartolini ha bisogno del molteplice e del prosaico , seppur come un padrone ha bisogno del proprio schiavo . Così , se da una parte la sua poesia in versi sembra un inasprimento , una estrema conclusione della sua prosa , la sua prosa è sempre sostenuta e tesa da un frasario vigorosamente poetico : e in un periodo , in una pagina basta trovare « sinistra mano » invece di « mano sinistra » , perché tutto il senso ne sia stravolto e poetizzato . E allora vorrei riportarmi a quanto dicevo inizialmente , a quella foga di umori che , rinverginata di volta in volta dalla sua stessa condizione di umore , resta tutta chiusa , serrata e perfetta nella pagina che da essa nasce . Allora , infine , prendendo lo spunto da una vecchia frase del De Robertis ( « Quell ' umore che è , direi , il lievito all ' arte di Bartolini ... diventa una forza viva e operante , e i paesi , perfino una pianta , un fiore , un filo d ' erba ne son pieni , parlan per sé » ) , vorrei distinguere la pagina , il capitolo bartoliniano sotto il nome di « umore » , mutando , quasi in una sosta di solidificamento , il senso di questa parola . « Umore » che , in mezzo alla verità delle pagine , trova la sua unità di tono in quel fondo di pianto che dicevo ora domato ora vincitore , e , nell ' arco di queste vittorie e sconfitte la sua ammirevole quantità di forme , che , dalla collera amorosa alla tetra bizzarria , dalla benigna serenità alla strafottenza , cerca la sua estrema liberazione in un acerbo moraleggiare . L ' orso , ed altri amorosi capitoli è il migliore indice di questi umori : la lucidità della propria visione poetica vi è matura , e sicura la propria condizione etica ; nessun dubbio , nessun compromesso ; c ' è la certezza di sé , la potenza di sé con cui si costruiscono i capolavori . Ora , avrei voluto soffermarmi , esaminare qua e là questo bellissimo libro , ma , avendolo aperto , sopraffatto dal piacere dei ricordi e dal soverchiare delle postille , ho dovuto cedere e rimandare ad altra data un particolare discorso sopra di esso : vorrei solo dire , qui , che non soltanto nell ' arco ideale domina Passeggiata con la ragazza al Cane scontento ( che , pur contenendo cose bellissime , mi par opera di passaggio da una certezza e potenza di sé , ad un ' altra , più distesa , serena , paterna ) , esso , L ' orso , tiene un posto preminente e degno di lungo futuro .
VIRGILIO GUIDI ( GATTO ALFONSO , 1942 )
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Viene dalla pittura di Virgilio Guidi la forza di un ' insofferenza plastica esposta nel suo limite visibile alla pura dissoluzione della luce . L ' interna costruttività del disegno dalla sua vibrata eloquenza iniziale si spoglia d ' ogni peso e s ' acuisce a smagrire le forze in un colore reagente e inedito che è il segno critico dell ' artista . A ben giudicare la pittura di Guidi concorre la vigile e ardente ironia di cui ogni suo quadro tende insostenibilmente a accendersi dalla materia opaca e pregnante , ad alleggerirsi con fissità nella luce . Storicamente Guidi ha operato al di là dell ' irrigidimento formale del novecentismo per dare un tempo pittorico , una durevolezza consistente nel colore alla dissipazione luministica di Spadini , e riportarla criticamente nel segno . D ' un mondo ampliato ed espanso egli ha stretto in una smania nuova il movimento e la fisica architettura , lasciando sfuggire con finitezza nei piani luminosi l ' incisività acuta del proprio disegno sino a raggiungere nei casi più felici l ' assoluto stupore figurativo da cui altri , e particolarmente i novecentisti , partivano come da uno schema neoclassico . Di questo pittore , che tra i contemporanei ha l ' esperienza forse più dinamica e attiva , sempre affidata al lavoro in modo tale da non poter essere astratta in una legge o in un metodo , esiste una forza segreta e esemplare che in ogni opera trasale e rende le figure nuove in una proprietà umana antica , senza altra retorica . È questa una forza d ' arte che non si pesa e non si può nemmeno far consistere in un elemento solo del quadro : è la luce dell ' opera da esterna ridiventata intima e calda della propria sostanza . È lo specchio dell ' autentica solitudine con cui Guidi senz ' altro onore contemporaneo , merita la sua dignità di maestro .
RAGIONE DEL TITOLO ( - , 1935 )
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Lettore , Un titolo come Caratteri , che abbiamo scelto per questa Rassegna , potrà sembrare o troppo limitato o molto impegnativo . Ebbene ; è proprio per ciò che l ' abbiamo scelto . Se è pur vero che il carattere , nel suo significato più elementare e , diremmo , fisiologico , può essere inteso come un dono di natura , sì che qualsiasi uomo , anche il più disarmato ed ignavo ne paia fornito alla stessa stregua delle piante e dei minerali ; in un significato più alto , spirituale ed umano esso assume un valore di conquista morale , diviene qualcosa di singolarmente attivo , drammatico , esclusivo . È solo questo significato che noi accettiamo . La nostra rivista non vuole essere altro che un luogo d ' incontro di persone , di « caratteri » , ciascuno dei quali , secondo il proprio temperamento e le proprie preferenze , sappia riferire su queste pagine , personali scoperte e convinzioni , contribuendo a formare un clima comune , un fondo omogeneo di esperienze . Massima libertà di espressione , quindi . È bene dirlo subito . Il che non vuol dire atomismo o eclettismo , perché la scelta dei collaboratori è stata guidata da affinità più o meno appariscenti , ma irrefutabili , da gusti e predilezioni estremamente tendenziose e inconciliabili . Persuasi come siamo che nella letteratura , e non in questa soltanto , contino principalmente le opere individuali , ed esse tanto maggior influenza abbiano nei confronti degli altri , quanto più personali estreme ed incomparabili , noi abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di essere ciò che nei loro più intimi desideri non possono non aver desiderato di essere , e cioè se stessi , cioè dei caratteri . Le formule , gli schemi astratti non c ' interessano gran che , e se qualcuno vorrà farne uso e noi stessi ne faremo , sarà più per comodità di linguaggio che non per creare nuovi indirizzi filosofici o artistici . Il fine ultimo ? Servire con quanta maggior nobiltà e disinteresse possibili alla nostra arte e quindi al nostro costume , i quali non possono essere che italiani , nutriti di tutto ciò che forma l ' originalità e lo splendore della nostra arte passata , e insieme guidati dalla grande forza che ci viene dal rinnovamento spirituale operato in Italia dalla Rivoluzione Fascista . Il fine immediato ? Svegliare gli addormentati , che nel nostro campo sono oggi tronfissimi : invogliare i migliori alla riflessione e alla lettura , far conoscere , o far conoscere meglio , alcune figure di artisti che crediamo i più degni della nuova arte italiana , render fertile , infine , attraverso l ' incontro e la composizione di personalità varie e di esperienze consimili quel terriccio più fecondo alle opere d ' arte . In conclusione : riportare gli scrittori a quel senso gagliardo , esuberante , avventuroso ch ' è stato il carattere più propizio della nostra letteratura , violentata oggi troppo spesso da interferenze insopportabili di uomini privi di dignità , snervata , e sostituita , da interessi forse più urgenti ma non per questo più elevati necessari durevoli .
I PERSONAGGI DRAMMATICI DI MORAVIA ( BENEDETTI ARRIGO , 1935 )
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A chi capitò di leggere il primo romanzo di Moravia , non avendo ancor vent ' anni , va da sé come più volte in seguito gli sia accaduto di ritornar sul giudizio d ' allora , un giudizio che non era nemmeno un giudizio , ma piuttosto una impressione ; e piacque sì , ed impressionò , il modo non consueto di raccontare , ma alla fine anche quell ' insistere dell ' autore su di una indifferenza , che è spesso il mal comune della prima giovinezza . La prima giovinezza conduce alla scoperta di tante cose , ed anche a violenti contrasti per il momento insolubili : da una parte perdura nell ' animo giovanile un moralismo che arriva alla grettezza , dall ' altra come un ' aspirazione a qualcosa di più libero e di più sciolto , una disposizione di animo insieme , per cui si gode a veder nero ciò che appare invece pacificamente bianco ; un troppo di intelligenza , se si vuole . Forse è che proprio in quell ' età ci si avvede come si possa guardar il mondo ragionandoci su , da sottoporre così tutto ad una specie di revisione , con lo scartar le care credenze di cui all ' improvviso ci si vergogna , col proposito di esser implacabili nello sguardo , e di ostentare un piacevole cinismo . Ora non che i meriti degli Indifferenti siano tutti nell ' interpretazione che essi possono dare , perché scritti da narratore precoce e perché ebbero a protagonista un giovane non ancora uscito dalla più torbida giovinezza , di una età tanto più piena di contrasti ; in ogni modo fu proprio per quei suoi meriti che il romanzo ebbe a sembrarci , alla prima lettura , diverso da quello che oggi , rileggendolo , ci sembra . Quasi una rivendicazione a nome di tutti pareva , e si sa bene che difficilmente si sarebbe potuto spiegar rivendicazione di che cosa ; si ammirava il coraggio , che forse era poi il nostro medesimo coraggio , con la differenza che il nostro rimaneva personale turbamento , dove nel caso dello scrittore si dava una decisa presa di posizione ; e riguardo poi a quella che è l ' arte del romanziere le pagine più vistose colpivano , nemmeno disposti a cogliere quelli che erano i motivi più intimi di Moravia , più intimi e perciò gli unici che si sono ritrovati nei suoi migliori scritti che vennero dopo . Tuttavia dei racconti , che ora Moravia ha raccolto in volume nelle edizioni Caraffa , certo molti sono quelli che poco ci dicono , se si va a chiedergli un ' arte più matura nei rispetti del primo romanzo . Essi rimangono come prove , e l ' autore che ha voluto raccoglierli si pensa che abbia ambito a darci i segni della sua attività di narratore dal 1927 al 1933 , non quelli del suo crescere di artista . I motivi sono i medesimi degli Indifferenti , ma non sostenuti da quel fervore che , fra tante pagine spente del romanzo , era pur possibile trovare . Il titolo poi che l ' autore dà alla raccolta dice di per sé qualcosa : li chiama La bella vita , ed è ci sembra quel titolo quasi una diversa interpretazione morale della sua narrativa . Prima egli cercò di far risaltar l ' indifferenza morale di certa gente , oggi la smania del vivere in una diversa maniera di quella medesima gente , che non è né mondano né libertina , poiché alla fine la mondanità e il libertinaggio vogliono una mancanza di riflessione e una leggerezza ingenua d ' animo che manca a personaggi condotti ad aver sì dei miraggi , ma non mai delle contentezze . « Ed , in verità , io credo che non ci sia nulla di più bello che viaggiare e andare a vedere una città così piena di negozi e di divertimenti come Parigi ... ; » dice la ragazza scappata di casa al fratello che la va a ricercare nel racconto che dà il titolo al volume ; e Valdassori , nel racconto Lo snob : « ... tu sei intelligentissimo , sai dire le cose come pochi , in tuo confronto sono una bestia ... ; ma non proibirmi lo snobismo , croce e delizia della mia vita ... ; lasciami questo piacere , in fondo tanto innocente ... » . Si mira cioè sempre ad una felicità , che poi insieme ben si conosce come illusoria . Nei racconti ora raccolti parecchi Micheli , parecchie Carle , parecchie Maria Grazie , e Lei , e Lise si ritrovano , anche se in essi in primo piano stiano personaggi che assomigliano al primo , mentre quelli che fanno pensare agli altri rimangono di assai più in ombra . Si tratta quasi di appunti , di accenni ancor timidi a quei personaggi più evidenti nel romanzo , e che dei racconti ce ne siano molti che hanno data posteriore a quella degli Indifferenti che conta ? Conta semmai che essi quasi sempre , se si eccettui L ' Inverno di Malato e La Morte Improvvisa , poco aggiungono ad esso , non aprendo una visuale più vasta , facendo anzi di tutto per restringer ancor più l ' orizzonte . Ora qui non si accenna a quella che è la monotonia degli ambienti . I racconti di Moravia hanno per scena o camere da letto , o sale che della camera da letto possiedono la morbidezza e la lascivia : e in ciò può esservi sì un limite d ' arte , ma insieme non si deve affatto escludere la nascita di una particolare poesia anche su di un simile palcoscenico . Si deve augurar al narratore di uscir dai suoi chiusi ambienti ? Ne siamo incerti , e poi , per il momento , c ' interessa di segnar come le camere da letto , pur rimanendo camere da letto , si mutino . Quella che , nel 1927 , accoglieva quello sfiduciato amante della povera cortigiana Maria Teresa è assai diversa da quella che , nel 1935 , accoglie l ' architetto Sebastiani e Bosso e Marta e Nora , nel racconto ancora fuor di volume , apparso nel numero 2 di questa stessa rivista . La scena si è come schiarita , l ' occhio del descrittore ha smesso di frugar tutti i cantucci , acquistando una padronanza di descrizione che prima non conosceva , tanto che nel suo descrivere andava avanti pieno di cautela e di meticolosità : esso ha acquistato , ci verrebbe da dire , come una terza dimensione : la scena da cinematografica è diventata teatrale , e l ' acquisto ai fini dell ' arte se pur non definitivo non ci par trascurabile . In ogni modo rimane pur sempre quel senso di spettacolo che sempre avemmo dalla narrazione di Moravia . Parlar di cinematografo non è esatto ; se certi racconti di Moravia hanno del cinematografo la piattezza visiva , pure in essi si incontrano personaggi che , se anche talvolta rimangono ombre , sono diversi dalle ombre dello schermo . Le ombre dello schermo sono ombre di personaggi , e guai se volessero essere qualcosa di diverso ; ogni tentativo di maggior rilievo vien tutto a loro danno ; le ombre di Moravia denunziano forse un difetto d ' arte , ma racchiudono pur sempre una loro possibilità d ' arte . La quale poi se abbia da essere quella del narratore o quella dell ' uomo di teatro è un altro conto . Importa semmai che quelle possibilità si sviluppino , e uno sviluppo non può che condurre ad una via giusta . Ora l ' impressione che Moravia abbia talento teatrale ci venne al tempo della prima lettura degli Indifferenti , cinque o sei anni fa : nasceva essa da alcune pagine del romanzo : quelle che ci descrivono la cena , quelle dell ' arrivo di Michele in casa di Leo , e il suo goffo e tragico gesto , e il silenzio che ne segue , e l ' apparizione di Carla , e di nuovo un impaccio che è insieme una grande desolazione . L ' impaccio e la desolazione , dopo quello che altro non fu che una tempesta in un bicchier d ' acqua , spesso si ritrovano nei racconti di Moravia ; magari il più delle volte con lievi accenni , di rado con l ' intensità che troviamo nella scena , ( e scena è la parola più adatta ) di Michele , Carla e Leo , riuniti nell ' anticamera di quest ' ultimo . Qualcosa di simile si dà quando Girolamo , dopo la sua notte insonne , attende la burrasca del medico , mentre il medico viene ma non la burrasca : « e Girolamo guardava ( poiché l ' hanno condotto all ' aperto , per la cura del sole ) questo festoso paesaggio con gli occhi pieni di lacrime : nulla era successo , non avrebbe più rivisto né il Brambilla , né la piccola inglese ; era solo , e la guarigione sembrava ormai oltremodo lontana » . Forse la scena un poco prima era retta meccanicamente , e più che con altro con bravura , ( Michele che compra la rivoltella e , andando ad uccidere Leo , già pensa allucinato al processo che gli faranno ; oppure : l ' arrivo del medico che « incarnava abbastanza bene il tipo del medico moderno , non più sacerdote della scienza , ma abile e interessato sfruttatore al tempo stesso del proprio ingegno e della immensa credulità dei malati » ) ; invece ecco che si accalora , e sia pur di un assai tenue calore . È che i personaggi di Moravia sono teatrali nel senso meno vistoso della parola . Forse essi , fino ad oggi , non hanno recitato che di rado una vera commedia , avendo fatto , il più delle volte , delle prove . Sono personaggi che quasi si direbbe debban trovar ancora un loro canovaccio , ai quali tuttavia non manca un intimo senso drammatico . Moravia può darsi che abbia davanti a sé due strade : quella che già ha presa coi risultati notevoli che si sanno ; l ' altra più deliberatamente scenica . Scrittore moralista si pensa che possa trovar sul palcoscenico elementi di cui difetta la sua arte ; per esempio quell ' umiltà che non si trova spesso nei suoi racconti , dove ottime sono le parti , e anzi perfette , ma ahimè , fra loro scombinate . Si badi all ' ultimo suo racconto , apparso in Caratteri , dove le movenze dei personaggi han proprio della rappresentazione scenica , e dove una certa tempesta ha dell ' accompagnamento simbolico . Moravia proprio ambisce a qualcosa di simbolico che davvero ci par inconciliabile coi suoi propositi di narratore verista ; ma è forse che egli non si vuol accontentare di una sua realtà che gli par piatta e limitata , sicché gli occorre , in qualche modo , arricchirla . Ci sta bene la tempesta nel suo ultimo racconto ? Ci sta , e ci vuole ; eppur non mi par bene : l ' autore ne deve aver capito la necessità e l ' importanza , solo che nel tessuto della narrazione quel brontolio lontano e minaccioso , non raccontato con distacco , ma detto e suggerito al momento opportuno , appare espediente , quel che forse non accadrebbe su di un palcoscenico . Tuttavia rischia l ' arbitrio questo mio far supposizioni che si fondano su certe discordanze colte in alcuni racconti , le quali , d ' altra parte , sempre in racconti potrei domani ritrovar risolte con felicità ; e così la recensione corre il pericolo di diventar un pretesto per una esercitazione piacevole ma troppo letteraria ; e Moravia per primo può stupirsi che gli si venga a suggerire il teatro , al quale chissà se egli pensa . In ogni modo anche il paradosso , al quale non mi par di essere alla fine arrivato , può servir talvolta a mettere in un certo risalto alcune singolari qualità di uno scrittore .