StampaPeriodica ,
C
'
è
stato
quest
'
anno
un
generale
desiderio
di
rivedere
le
posizioni
conquistate
dal
sindacato
fascista
:
desiderio
originato
dalla
nuova
parola
d
'
ordine
autarchica
,
che
ha
aumentato
enormemente
il
potere
delle
corporazioni
,
originato
anche
dalla
visione
della
enorme
,
seppur
confusa
,
esperienza
tedesca
del
Fronte
del
lavoro
.
Questa
revisione
era
necessaria
,
come
si
è
visto
dalla
molta
confusione
che
ha
originato
e
dalle
diverse
reazioni
che
ha
provocato
.
Stato
corporativo
e
sindacato
.
Il
problema
che
si
poneva
era
quello
del
significato
del
sindacato
di
fronte
alle
corporazioni
.
E
si
parlava
del
sindacato
,
avendo
presente
il
complesso
delle
organizzazioni
dei
lavoratori
,
come
quelle
di
più
alto
interesse
politico
.
Il
sindacalismo
fascista
,
si
dice
,
ha
cessato
di
esistere
da
quando
il
regime
ha
istituito
le
corporazioni
;
da
esse
il
potere
del
sindacato
è
stato
notevolmente
diminuito
.
La
legge
del
'34
ha
portato
un
'
altra
riduzione
nel
potere
del
sindacato
;
attraverso
a
questa
legge
la
corporazione
ha
acquistato
un
potere
economico
normativo
,
tale
che
ad
essa
deve
essere
demandata
ogni
autorità
nella
stipulazione
dei
contratti
tra
il
capitale
e
il
lavoro
.
Quest
'
autorità
è
,
infine
,
singolarmente
accresciuta
dalla
parola
d
'
ordine
dell
'
autarchia
,
che
ha
trovato
i
suoi
organi
esecutivi
nelle
corporazioni
.
Che
resta
dunque
del
sindacato
,
si
chiedono
i
numerosi
teorici
della
liquidazione
,
i
numerosi
teorici
che
temono
la
vivace
realtà
delle
masse
e
che
vorrebbero
la
fine
dell
'
organismo
che
le
rappresenta
.
Noi
non
vogliamo
scendere
nella
discussione
dei
loro
capziosi
argomenti
e
vorremmo
che
essi
si
ponessero
un
'
altra
domanda
:
cosa
sarebbero
le
corporazioni
,
cosa
sarebbe
tutto
lo
Stato
corporativo
senza
i
sindacati
?
Perché
liquidare
vasti
organismi
,
passando
le
attribuzioni
specifiche
allo
Stato
per
il
tramite
della
corporazione
,
è
cosa
facile
.
E
anche
cosa
comoda
,
perché
permette
di
risolvere
elegantemente
profonde
difficoltà
teoriche
,
eliminando
coraggiosamente
una
delle
parti
in
causa
.
Permette
,
inoltre
,
di
costruire
belli
schemi
in
cui
graziosamente
si
armonizzano
le
varie
attività
politiche
,
economiche
e
sociali
.
Ma
,
quel
che
più
conta
,
liquidare
il
sindacato
significa
poter
risolvere
gli
infiniti
problemi
economici
,
senza
contatti
con
l
'
impura
realtà
degli
interessi
e
delle
necessità
.
E
non
si
venga
fuori
adesso
colla
solita
obiezione
del
superamento
della
lotta
di
classe
.
Che
essa
sia
superata
,
lo
sappiamo
tutti
,
ma
cosa
vuol
dire
superarla
non
si
sa
troppo
.
C
'
è
chi
sogna
che
il
superamento
della
lotta
di
classe
debba
significare
un
placido
mondo
in
cui
l
'
economia
ha
perso
la
sua
crudezza
vivace
per
diventare
mansueta
e
delicata
come
nell
'
età
dell
'
oro
.
No
,
superare
la
lotta
di
classe
non
significa
come
giustamente
nota
Arrigoni
nel
primo
numero
di
Dottrina
fascista
«
abolire
la
lotta
,
la
competizione
,
il
contrasto
di
interessi
.
Il
corporativismo
egli
continua
è
per
la
collaborazione
degli
interessi
in
vista
di
un
fine
supremo
,
ma
non
per
la
loro
identificazione
»
.
Composizione
dunque
,
non
identificazione
,
ché
identificazione
non
si
avrebbe
senza
la
violenta
abolizione
di
una
delle
parti
in
causa
,
abolizione
cui
nessuno
pensa
,
né
penserà
.
Ma
ritornando
alla
domanda
che
avevamo
posta
ai
signori
liquidatori
,
vediamo
subito
quali
sarebbero
le
caratteristiche
di
questo
Stato
corporativo
,
privo
della
sua
base
sindacale
.
Tutte
le
attribuzioni
relative
ai
contratti
tra
lavoro
e
capitale
,
tutte
le
forme
di
assistenza
e
di
educazione
professionale
,
tutte
le
forme
di
controllo
sull
'
applicazione
dei
contratti
collettivi
,
la
funzione
di
collocamento
:
tutto
passa
allo
Stato
.
Esso
organizzerà
enormi
apparati
burocratici
,
frazionerà
questi
secondo
i
vari
compiti
ed
aspetterà
che
funzionino
.
Ma
essi
non
funzioneranno
perché
mancherà
loro
quella
necessaria
sensibilità
rispetto
alla
vita
economica
e
sociale
che
si
ottiene
attraverso
ad
un
contatto
reale
ed
immediato
con
la
ridda
degli
interessi
in
competizione
.
Il
loro
carattere
di
organizzazione
partente
dall
'
alto
sminuzzerà
la
loro
azione
,
frazionandola
in
tanti
compartimenti
stagni
,
senza
la
leggera
e
pronta
aderenza
alle
diverse
esigenze
del
momento
.
Funzioni
e
disfunzioni
del
sindacato
.
Ma
credono
proprio
i
liquidatori
che
il
sindacato
non
abbia
fatto
nulla
in
questi
ultimi
anni
e
si
sia
ridotto
ad
una
organizzazione
mutualistico
-
organizzativa
?
Hanno
dimenticato
che
gli
aumenti
salariali
del
'36
e
del
'37
sono
stati
predisposti
ed
elaborati
nel
seno
delle
organizzazioni
dei
lavoratori
?
Hanno
dimenticato
la
funzione
di
educazione
politica
che
rappresenta
per
le
masse
lavoratrici
la
vita
sindacale
?
Hanno
dimenticato
,
infine
,
che
il
sindacato
è
il
riconoscimento
legale
del
principio
associativo
della
massa
lavoratrice
,
di
quel
principio
per
cui
hanno
lottato
intere
generazioni
di
lavoratori
?
Ma
la
colpa
dell
'
averlo
dimenticato
non
va
tutta
ai
liquidatori
,
poiché
una
parte
notevole
di
essa
spetta
anche
al
sindacato
.
Esso
ha
dato
luogo
a
questa
corrente
di
sfiducia
per
la
frequente
inosservanza
dei
suoi
compiti
specifici
,
esso
non
ha
sempre
funzionato
e
quando
ha
funzionato
non
lo
ha
fatto
sempre
bene
.
Al
sindacato
incombe
un
'
alta
responsabilità
nella
vita
nazionale
:
esso
è
l
'
organo
attraverso
al
quale
masse
ingenti
di
lavoratori
sono
rappresentate
politicamente
ed
economicamente
.
Ad
esso
incombe
l
'
obbligo
di
adeguarsi
sempre
più
alle
esigenze
dei
suoi
rappresentanti
,
di
adeguarvisi
secondo
i
princìpi
di
quella
più
alta
giustizia
sociale
che
pone
il
lavoro
come
soggetto
dell
'
economia
e
non
come
oggetto
dell
'
altalenante
gioco
dell
'
economia
liberistica
.
E
i
dirigenti
sindacali
dovrebbero
fare
un
piccolo
esame
di
coscienza
e
domandarsi
:
come
funzionano
i
sindacati
nelle
campagne
?
a
che
punto
siamo
con
i
fiduciari
di
fabbrica
,
di
officina
?
di
quanto
si
riducono
in
media
,
nel
procedimento
conciliativo
,
le
somme
che
il
lavoratore
pretende
sulla
base
del
contratto
collettivo
?
quanto
durano
in
media
le
vertenze
sull
'
indennità
di
licenziamento
?
come
funziona
l
'
assistenza
legale
?
e
come
si
adempie
al
compimento
educativo
professionale
?
Così
si
pone
il
problema
del
sindacato
,
del
potenziamento
del
sindacato
e
a
coloro
che
si
pongono
dinnanzi
l
'
ordinamento
tedesco
del
Fronte
del
lavoro
,
noi
risponderemo
,
con
Giusto
Geremia
(
Libro
e
moschetto
dell'11-10-XVI
)
che
«
il
nostro
corporativismo
è
e
sarà
sindacale
»
.
StampaPeriodica ,
Forse
l
'
unica
bellezza
del
primo
romanzo
Memorie
inutili
lo
scriveva
appena
ventenne
di
Alfredo
Oriani
è
nel
protagonista
Ugo
Olivieri
,
che
,
romantico
in
ritardo
,
si
trova
sperduto
,
con
i
suoi
sogni
permeati
ad
un
tempo
di
idealismo
e
di
materialismo
,
nel
mondo
borghese
del
secolo
XIX
declinante
;
ma
e
sono
convinto
di
non
scoprire
nulla
di
nuovo
in
Ugo
Olivieri
è
tutto
Alfredo
Oriani
giovane
,
o
meglio
,
se
vogliamo
accontentare
la
sua
mania
d
'
allora
giovanile
di
firmarsi
con
uno
pseudonimo
,
Ottone
di
Banzole
,
lanciante
,
fiero
della
sua
gioventù
e
della
sua
genialità
,
la
sua
vana
sfida
al
mondo
:
vana
e
dannosa
,
perché
il
romanzo
non
esce
certo
pur
opera
di
un
ventenne
dalla
mediocrità
e
perché
questo
suo
altero
dispregio
per
la
società
che
lo
circonda
gli
aliena
subito
,
al
suo
primo
apparire
nell
'
agone
letterario
,
tutte
le
simpatie
dei
lettori
,
in
maniera
da
non
riuscire
più
lui
vivo
a
riguadagnarsele
.
Infatti
esaminando
in
alcune
decise
pagine
con
amoroso
,
appassionato
studio
,
che
fa
già
presentire
il
futuro
storico
,
l
'
aspetto
delle
classi
sociali
quali
si
presentavano
in
Roma
,
sul
finire
del
Governo
Pontificio
,
critica
l
'
aristocrazia
morente
,
delinea
con
vigore
il
popolo
che
purtroppo
gli
sembra
rinnovare
la
plebe
del
basso
impero
,
cadente
un
giorno
come
il
potere
temporale
allora
,
ma
soprattutto
disprezza
,
ironico
e
superbo
,
la
borghesia
:
«
...
provavo
un
forte
disgusto
per
la
borghesia
.
Victor
Hugo
scrive
che
il
dire
a
uno
"
borghese
"
vale
un
insulto
,
e
ha
ragione
»
.
Se
Roma
,
dopo
di
averlo
fatto
fantasticare
classicamente
e
romanticamente
insieme
,
lo
aveva
reso
scettico
e
annoiato
,
stanco
del
mondo
e
degli
ideali
,
con
il
quadro
disgustoso
della
sua
modernità
,
l
'
ambiente
provinciale
bolognese
lo
induce
alla
reazione
.
Non
vale
più
la
pena
di
chiedersi
:
«
La
vita
è
una
lotta
,
De
Vauvenargue
?
E
il
premio
sai
dirmelo
?
»
,
quando
invece
la
vita
sembra
uno
stagno
in
cui
tutto
imputridisce
ancor
prima
di
morire
;
per
questo
nei
capitoli
dell
'
«
Al
di
là
»
la
borghesia
è
descritta
con
ribellione
e
con
repulsione
,
fino
ad
affermare
che
essa
è
«
il
trionfale
aborto
della
nostra
civiltà
,
il
capolavoro
del
nostro
buon
senso
cristiano
e
della
nostra
saggezza
economica
,
del
filosofismo
liberale
e
delle
rivoluzioni
medievali
e
francesi
»
.
E
probabilmente
proprio
questo
vivace
contrasto
con
la
realtà
borghese
,
che
non
riesce
a
contenersi
nell
'
animo
dell
'
autore
,
ma
ha
bisogno
di
esprimersi
con
violenza
,
fa
sì
che
i
primi
romanzi
,
sempre
troppo
autobiografici
,
ricchi
di
passione
quanto
di
paradossi
,
trovino
in
loro
stessi
la
loro
condanna
:
e
i
lavori
dello
scrittore
romagnolo
migliorano
quando
va
scomparendo
questo
egoistico
,
pretenzioso
,
continuo
magnificare
e
parlare
di
se
stesso
,
nel
confronto
,
più
o
meno
accentuato
,
con
il
mondo
contemporaneo
.
Quindi
nei
romanzi
migliori
pare
che
l
'
ardore
del
giovane
si
sia
addormentato
,
quasi
che
l
'
abitudine
a
quel
mondo
negativo
ne
abbia
lenita
l
'
asprezza
,
affievolita
la
voce
sonora
;
si
può
addirittura
obiettare
che
la
borghesia
sembra
aver
penetrato
anche
l
'
animo
dell
'
autore
,
ma
approfondendo
l
'
esame
si
sente
sempre
viva
l
'
intima
opposizione
fra
i
personaggi
e
il
romanziere
,
che
riesce
a
creare
il
capolavoro
quando
trascina
il
lettore
a
vivere
figure
terribilmente
borghesemente
umane
,
il
cui
dramma
è
in
sostanza
di
agire
,
quasi
come
sotto
l
'
incubo
di
una
condanna
,
pensare
,
tormentarsi
,
morire
,
sepolte
nel
mondo
greve
e
soffocante
di
Madame
Bovary
.
Mentre
Carducci
esorta
retoricamente
con
le
figure
del
tempo
andato
,
mentre
D
'
Annunzio
blandisce
i
sensi
del
secolo
ormai
stanco
,
Oriani
lo
flagella
,
lo
perseguita
,
lo
rimprovera
rinfacciandogliene
l
'
anima
misera
,
rappresentata
particolarmente
in
Vortice
e
in
Gelosia
.
E
quando
finalmente
il
suo
animo
storico
ha
il
sopravvento
,
non
manca
di
presagire
la
sconfitta
della
borghesia
:
«
L
'
aristocrazia
non
ama
e
non
lavora
,
la
borghesia
lavora
e
non
ama
,
la
plebe
ama
e
lavora
...
perché
l
'
aristocrazia
è
morta
,
la
borghesia
è
moribonda
,
la
plebe
è
giovane
e
ha
davanti
a
sé
un
avvenire
»
.
Lo
scrittore
ha
già
di
fronte
a
sé
non
più
il
problema
spirituale
della
borghesia
,
ma
quello
politico
e
storico
:
se
egli
non
giunge
a
negare
che
la
borghesia
abbia
avuto
una
funzione
storica
nel
nostro
Risorgimento
,
tuttavia
nella
Rivolta
Ideale
la
individua
e
la
scolpisce
nella
sua
terribile
insufficienza
:
«
La
borghesia
era
la
classe
più
colta
,
ricca
e
passionale
;
capace
di
intendere
la
modernità
di
oltre
alpe
e
di
oltre
mare
,
soffriva
nell
'
abiezione
imposta
dai
governi
paesani
alla
sua
coscienza
;
sognava
la
rivoluzione
ma
sapeva
troppo
bene
la
propria
debolezza
e
l
'
indifferenza
del
popolo
per
osare
davvero
.
Lungamente
il
sogno
oscillò
fra
federalismo
e
riformismo
;
si
voleva
soltanto
il
più
probabile
per
arrischiare
il
meno
possibile
;
sostanzialmente
la
resistenza
dei
governi
era
pressoché
nulla
,
la
protezione
accordata
loro
dalle
diplomazie
estere
poco
più
che
formale
:
un
moto
generoso
di
sollevazione
sarebbe
bastato
contro
i
loro
eserciti
di
parata
e
di
banditi
arruolati
nella
gendarmeria
.
Però
non
ne
fu
nulla
.
La
lunga
abile
viltà
nazionale
degli
ultimi
secoli
suggeriva
invece
speranze
di
aiuti
stranieri
,
artifici
di
transazioni
,
scuse
e
ragioni
a
tutte
le
inferiorità
:
quindi
l
'
avanguardia
borghese
dovette
indietreggiare
dalla
rivoluzione
di
Mazzini
disertando
l
'
epopea
di
Garibaldi
per
accordarsi
ai
pochi
reggimenti
di
Vittorio
Emanuele
.
Accettò
di
mutare
la
servitù
dell
'
Austria
in
un
protettorato
francese
mal
dissimulato
da
un
'
alleanza
,
lasciò
la
monarchia
mantenere
Mazzini
in
esilio
e
fucilare
Garibaldi
ad
Aspromonte
,
incamerò
i
beni
delle
fraterie
,
occupò
Roma
rimanendo
cattolica
in
un
liberalismo
fatto
di
buon
senso
e
di
volgarità
,
di
istinti
novatori
e
di
prudenze
qualche
volta
profonde
fino
al
genio
»
.
Certamente
dopo
i
risultati
meravigliosi
del
'60
una
politica
moderata
s
'
imponeva
all
'
Italia
per
non
perdere
in
mosse
arditamente
rivoluzionarie
,
ma
scarsamente
politiche
,
il
frutto
di
anni
di
fatiche
,
di
sangue
e
di
martirio
,
e
bisognava
che
l
'
istinto
rivoluzionario
s
'
accordasse
col
valore
monarchico
per
rafforzare
il
governo
italiano
di
fronte
all
'
Europa
;
ma
,
in
fondo
,
avendo
mutato
il
dovere
in
diritto
,
quella
che
vuol
essere
una
giustificazione
si
risolve
in
una
completa
accusa
:
dopo
di
non
aver
certo
agevolato
il
Risorgimento
,
la
borghesia
voleva
renderlo
inutile
,
ché
tal
cosa
significava
arrestare
l
'
ascesa
dell
'
Italia
per
il
volgare
timore
di
perdere
il
già
acquistato
e
credendo
che
il
moto
dell
'
unità
non
avesse
nessun
altro
fine
.
Certo
la
borghesia
assicurò
sodamente
questa
unità
,
ma
questa
fu
funzione
positiva
soltanto
per
la
sua
negatività
:
questa
classe
che
non
aveva
fatto
la
rivoluzione
italiana
,
perché
se
anche
i
rivoluzionari
vi
erano
nati
,
per
agire
avevano
dovuto
rinnegare
i
principi
ed
uscirne
,
conquistato
con
la
rivoluzione
il
potere
,
se
ne
dimostrava
indegna
,
perché
chiamava
il
popolo
al
comando
e
scompariva
frammista
ad
esso
nello
stato
pseudo
-
democratico
,
morendo
più
vergognosamente
dell
'
aristocrazia
.
Così
tutte
le
classi
sono
scomparse
,
poiché
nessun
limite
le
divide
automaticamente
:
«
non
ve
ne
sono
più
»
.
Ma
è
rimasto
,
con
la
morte
della
borghesia
,
un
più
grande
pericolo
:
«
il
suo
spirito
»
,
poiché
il
popolo
,
il
popolo
,
che
è
sempre
la
base
della
vita
della
nazione
,
corre
il
pericolo
di
lasciarsi
imborghesire
,
comprendendo
più
facilmente
gli
ideali
se
così
si
possono
chiamare
borghesi
e
ritenendo
più
facile
,
come
del
resto
è
effettivamente
,
la
scalata
alle
posizioni
di
questa
classe
.
E
Alfredo
Oriani
prevede
che
nell
'
ideale
battaglia
contro
lo
spirito
borghese
un
'
ardita
,
giovanile
schiera
,
guiderà
il
popolo
verso
il
proprio
miglioramento
:
sarà
la
«
rivolta
ideale
»
della
«
nuova
aristocrazia
»
.
StampaPeriodica ,
Aspetto
capitale
della
grande
rivoluzione
in
corso
è
la
esaltazione
del
lavoro
e
della
tecnica
,
che
è
quanto
dire
una
nuova
concezione
etica
,
filosofica
,
della
vita
:
un
nuovo
Umanismo
addirittura
.
Il
riflesso
profondo
di
questo
nella
pedagogia
,
la
italiana
Carta
della
Scuola
,
coi
suoi
concetti
,
ad
esempio
,
di
lavoro
manuale
scolastico
,
di
cultura
del
popolo
e
non
di
una
determinata
classe
,
di
selezione
e
orientamento
delle
scolaresche
al
di
là
di
ogni
privilegio
di
casta
cioè
di
censo
,
esige
un
discorso
a
parte
.
Che
presuppone
,
peraltro
,
un
concetto
chiaro
di
quel
che
fosse
il
vecchio
Umanismo
.
Quale
esso
fosse
e
in
particolare
la
sua
filosofia
dell
'
educazione
ce
lo
riassume
,
meglio
di
ogni
altro
documento
,
qualche
frammento
(
che
sottolineo
)
di
un
notevole
discorso
,
del
1922
,
di
Giovanni
Gentile
,
intitolato
Lavoro
e
cultura
.
«
Io
sento
profondamente
egli
dice
la
differenza
che
c
'
è
fra
la
dignità
del
lavoro
propriamente
detto
e
la
dignità
del
pensiero
...
la
differenza
fra
il
lavoro
delle
mani
e
la
cultura
,
che
è
il
lavoro
dello
spirito
,
è
una
differenza
che
ha
grande
importanza
nel
sistema
dei
valori
umani
.
Il
quale
non
si
può
mantenere
,
né
garantire
,
se
non
concorra
la
normalità
dei
suoi
rapporti
,
la
differenza
degli
elementi
che
vi
concorrono
...
Il
concetto
di
questo
valore
prodotto
dal
lavoro
,
onde
l
'
uomo
si
rivolge
alla
natura
e
ne
fa
mezzo
di
appagamento
dei
propri
bisogni
,
è
un
concetto
meramente
relativo
...
Se
noi
soffocassimo
dentro
di
noi
questo
bisogno
che
ci
fa
tendere
la
mano
al
frutto
della
terra
,
il
frutto
della
terra
non
sarebbe
mai
colto
...
Il
vero
,
l
'
assoluto
valore
conosce
e
sente
chi
vive
raccolto
nella
vita
del
pensiero
...
Il
carattere
dei
valori
economici
...
non
è
la
natura
dei
valori
propriamente
spirituali
,
corrispondenti
ai
bisogni
veramente
essenziali
e
costitutivi
della
nostra
vita
...
La
poesia
o
l
'
arte
,
in
generale
,
e
la
verità
,
ciò
che
rappresenta
un
fine
supremo
dello
spirito
umano
,
questo
è
il
valore
assoluto
...
A
questa
coltura
superiore
dobbiamo
guardare
...
;
di
tutta
la
coltura
...
il
lavoratore
ha
bisogno
per
essere
lavoratore
e
per
essere
uomo
»
.
È
,
come
si
vede
,
con
quel
tanto
di
semplicismo
intellettualistico
che
comporta
,
la
concezione
illuministico
-
hegeliana
della
cultura
come
regno
della
Ragione
e
dello
Spirito
(
maiuscoli
)
,
cui
deve
restar
soggiogata
la
provincia
del
lavoro
e
della
tecnica
,
cioè
la
zona
dell
'
economico
,
del
bisogno
(
del
particolare
o
sentimento
nella
sua
positività
)
:
col
risultato
,
in
pratica
,
di
un
calcolo
o
raziocinio
utilitaristico
sullo
sfondo
,
beninteso
,
astratto
e
però
retorico
dell
'
Etica
e
della
Spiritualità
:
col
risultato
concreto
,
politico
,
insomma
,
del
predominio
di
una
classe
quella
«
colta
»
e
«
elevata
»
sulle
altre
.
Bisogna
allora
dire
che
l
'
intellettuale
degno
di
questo
nome
deve
avere
oggi
il
coraggio
di
guardare
la
verità
fino
in
fondo
:
e
che
per
la
difesa
della
civiltà
che
sorge
la
civiltà
antiborghese
della
tecnica
deve
sapere
andare
oltre
le
ragioni
immediate
o
empiriche
a
favore
della
tecnica
e
del
lavoro
,
e
affrontare
il
problema
o
i
problemi
della
nuova
concezione
laica
della
vita
.
Non
basta
soltanto
,
per
intenderci
,
dire
,
come
si
è
detto
,
che
,
se
il
meccanico
esclude
lo
spirituale
,
il
meccanico
non
è
la
tecnica
,
ma
la
sua
preconcetta
astrazione
;
che
tecnica
e
lavoro
non
escludono
ma
presuppongono
un
'
etica
che
può
giungere
fino
al
sacrificio
e
all
'
ascesi
;
che
nel
lavoro
si
attua
la
necessità
di
sentir
battere
il
proprio
cuore
all
'
unisono
col
resto
dell
'
umanità
;
che
c
'
è
la
«
gioia
del
lavoro
»
,
la
«
fatica
senza
fatica
»
,
e
una
spiritualità
del
lavoro
finora
insospettata
;
che
la
tecnica
è
«
tattica
»
e
«
teologia
»
,
e
via
dicendo
.
(
Vedi
gli
autori
citati
in
proposito
nel
Commento
alla
Carta
della
Scuola
del
Volpicelli
)
.
Non
basta
.
Bisognerà
,
un
giorno
,
coordinare
e
organizzare
queste
sparse
verità
e
però
saldarle
a
un
qualche
principio
generale
,
necessariamente
antitetico
ai
principi
generali
dell
'
illuminismo
hegeliano
(
o
«
liberalismo
dialettico
»
)
,
tutt
'
ora
diffusi
.
E
intanto
,
occorre
acquistare
una
coscienza
vieppiù
chiara
delle
deficienze
organiche
di
questi
ultimi
principi
tradizionali
,
se
ci
si
vuole
avviare
veramente
a
una
comprensione
seria
del
nuovo
Umanismo
,
per
il
quale
non
già
è
vero
che
la
cultura
è
lavoro
,
ma
bensì
che
il
lavoro
è
cultura
.
Sono
d
'
accordo
col
Volpicelli
che
l
'
avvento
della
tecnica
è
il
fatto
più
importante
della
cultura
del
mondo
dopo
il
Cristianesimo
,
e
che
il
gran
paradosso
è
che
la
tecnica
è
stata
resa
possibile
dalla
cultura
moderna
,
ma
poi
la
cultura
che
ha
creato
la
tecnica
si
è
mostrata
incapace
di
sentirne
l
'
umanità
e
il
valore
,
e
che
,
infine
,
le
opposizioni
alla
tecnica
non
son
basate
che
su
rimpianti
e
negazioni
,
con
un
argomentare
ben
strano
per
una
cultura
«
la
cui
fondamentale
categoria
dovrebbe
essere
la
storicità
»
.
Sono
anche
d
'
accordo
con
un
altro
dei
pochissimi
studiosi
serii
di
questi
problemi
:
con
Luca
Pignato
che
,
in
un
recente
dibattito
su
cultura
,
tecnica
e
morale
,
dopo
aver
opposto
ai
nostri
neohegeliani
la
profonda
,
e
però
attuale
verità
enunciata
dal
patriarca
Kant
,
che
,
cioè
,
«
è
un
dovere
dell
'
uomo
verso
se
stesso
di
essere
un
membro
utile
del
mondo
,
perché
questo
fa
parte
dell
'
umanità
»
,
sia
poi
esso
operaio
o
negoziante
o
erudito
(
«
secondo
il
suo
piacere
»
e
«
l
'
apprezzamento
delle
proprie
forze
»
)
,
osserva
che
appunto
,
se
una
legge
morale
ci
accomuna
,
dei
minatori
ad
esempio
a
noi
,
ci
troveremo
veramente
in
una
universalità
:
e
che
«
solo
questa
legge
(
universale
)
è
cultura
»
:
il
resto
sarà
o
l
'
estrazione
dello
zolfo
o
la
traduzione
dal
greco
;
restando
a
vedere
,
in
sede
di
politica
scolastica
,
«
se
convenga
in
generale
imparare
il
greco
e
il
latino
o
migliorare
le
condizioni
dell
'
estrazione
dello
zolfo
»
.
E
altrove
,
il
Pignato
,
a
rincalzo
dell
'
osservazione
di
Giuseppe
Bottai
,
che
nella
vecchia
scuola
gli
studi
classici
si
erano
ridotti
a
fenomeno
tipicamente
letterario
,
conclude
molto
giustamente
che
non
ha
senso
porsi
il
problema
:
come
il
vecchio
Umanismo
possa
costituire
il
nocciolo
del
nuovo
;
giacché
le
cose
restano
come
stavano
se
si
sposta
un
pezzetto
di
grammatica
da
una
classe
ad
un
'
altra
,
e
che
insomma
riconosciuto
il
nuovo
principio
della
tecnica
come
valore
spirituale
ogni
discussione
che
si
faccia
sulla
Carta
della
Scuola
«
deve
tenerne
presente
lo
spirito
rivoluzionario
,
in
senso
sociale
e
politico
.
Rivoluzionario
e
non
riformistico
»
.
Parole
chiare
,
oneste
.
Dovrebbe
esserne
giunto
il
momento
,
anche
in
questo
campo
.
StampaPeriodica ,
La
scuola
sembrava
vivere
passivamente
,
tra
proteste
,
mugugni
,
fughe
e
disillusioni
,
l
'
ondata
di
provvedimenti
con
cui
il
governo
l
'
ha
investita
negli
ultimi
anni
.
Invece
la
vicenda
del
concorso
di
merito
per
gli
insegnanti
sta
segnando
in
questi
giorni
un
punto
di
discontinuità
.
Lo
sciopero
più
esteso
degli
ultimi
anni
(
malgrado
che
i
sindacati
tradizionali
fossero
dall
'
altra
parte
)
una
manifestazione
imponente
di
insegnanti
nelle
strade
di
Roma
e
un
vero
assedio
del
palazzo
di
viale
Trastevere
riaprono
una
fase
importante
che
va
attentamente
indagata
.
Prende
forma
e
si
concentra
sulla
questione
degli
insegnanti
una
vicenda
più
generale
della
scuola
e
della
formazione
nel
nostro
paese
.
È
,
o
almeno
potrebbe
diventare
,
il
primo
movimento
(
un
po
'
come
Seattle
)
che
si
oppone
all
'
ordine
esistente
,
e
all
'
ideologia
privatistica
,
non
solo
a
difesa
di
una
categoria
minacciata
nei
suoi
diritti
,
o
di
diritti
conquistati
per
tutti
in
un
contesto
sociale
e
culturale
passato
,
ma
ponendo
un
problema
,
anzi
forse
il
problema
più
importante
dell
'
epoca
futura
:
la
formazione
dell
'
uomo
,
della
personalità
e
creatività
di
tutti
.
Ed
è
(
più
che
a
Seattle
)
un
movimento
che
muove
non
solo
su
una
tematica
specifica
e
insieme
di
valore
generale
,
ma
ha
radici
in
un
soggetto
sociale
omogeneo
,
radicato
in
un
territorio
,
con
un
peso
politico
rilevante
e
attivo
(
come
ha
rivelato
,
ancor
in
un
recente
passato
,
l
'
esperienza
francese
)
.
E
infatti
ha
già
una
breve
storia
,
non
solo
sindacale
:
l
'
opposizione
al
finanziariamento
pubblico
alla
scuola
privata
;
la
contrastata
esperienza
del
decentramento
;
il
dibattito
sulla
riforma
dei
cicli
;
alla
fine
il
rifiuto
del
"
concorsone
"
(
non
come
rifiuto
della
qualificazione
continua
o
richiesta
di
un
piatto
egualitarismo
,
ma
come
rifiuto
dei
modi
aberranti
con
cui
si
pretende
di
valutare
quella
qualificazione
)
e
di
aumenti
retributivi
innestati
su
uno
scandaloso
generale
regime
di
sottosalario
e
di
contenimento
dell
'
investimento
nella
scuola
.
Perciò
è
uno
dei
pochi
movimenti
che
non
si
scontra
con
un
muro
di
ostilità
dell
'
opinione
pubblica
,
si
oppone
con
nettezza
al
governo
di
centro
-
sinistra
fuori
ma
anche
dentro
i
suoi
confini
.
I
suoi
limiti
stanno
ancora
nel
fatto
che
non
è
riuscito
a
saldarsi
con
una
ripresa
di
un
movimento
degli
studenti
,
che
gli
è
indispensabile
,
né
è
riuscito
a
esprimere
un
'
idea
adeguata
di
linea
alternativa
;
ma
sono
limiti
imputabili
anzitutto
alla
sordità
della
politica
e
della
cultura
e
alla
crisi
delle
relative
organizzazioni
.
Ma
che
,
esso
stesso
,
potrebbe
smuovere
.
La
riforma
degli
ordinamenti
,
o
come
più
comunemente
si
dice
,
la
riforma
dei
cicli
scolastici
,
l
'
autonomia
scolastica
,
il
ruolo
manageriale
dei
capi
d
'
istituto
,
l
'
avvio
di
un
nuovo
profilo
degli
insegnanti
,
la
'
parificazione
'
tra
scuola
pubblica
e
privata
,
un
nodo
di
questioni
complesse
viene
ormai
al
dunque
.
Un
popolo
di
insegnanti
democratici
,
dopo
aver
sperato
che
la
sinistra
rispondesse
alla
loro
crisi
e
alla
crisi
della
scuola
,
presenta
il
conto
.
Un
conto
delicato
che
intreccia
questioni
sindacali
,
culturali
e
professionali
:
l
'
inizio
di
una
fase
nuova
.
Le
riforme
I
cambiamenti
sono
ormai
definiti
dal
punto
di
vista
legislativo
ed
è
possibile
valutare
in
che
modo
l
'
impatto
di
tali
provvedimenti
sta
cambiando
la
scuola
reale
.
Il
segno
prevalente
che
si
coglie
è
quello
di
una
progressiva
"
privatizzazione
della
scuola
pubblica
"
.
Il
finanziamento
delle
scuole
private
e
l
'
obiettivo
di
costruire
un
"
sistema
integrato
"
della
formazione
tra
pubblico
e
privato
sono
solo
il
punto
più
appariscente
,
quanto
grave
,
di
una
tendenza
più
generale
alla
privatizzazione
della
scuola
pubblica
.
Privatizzazione
è
innanzi
tutto
un
progressivo
disimpegno
finanziario
dello
Stato
nello
sviluppo
della
scuola
;
non
si
tratta
di
una
modifica
del
regime
giuridico
della
scuola
pubblica
,
ma
del
mutamento
della
sua
ragione
sociale
.
La
scuola
della
Repubblica
,
che
dovrebbe
essere
garante
del
diritto
di
cittadinanza
,
strumento
teso
alla
rimozione
delle
differenze
culturali
e
sociali
,
si
fa
,
invece
,
sempre
più
'
un
'
opportunità
'
per
i
cittadini
clienti
di
un
servizio
a
domanda
.
Non
è
mutamento
da
poco
e
va
scandagliato
attentamente
.
La
nuova
scuola
non
muta
la
struttura
della
scuola
dell
'
infanzia
,
quella
rivolta
ai
bambini
dai
tre
ai
cinque
anni
.
Rimane
per
questo
livello
formativo
l
'
assurdo
di
un
servizio
pubblico
presente
sul
territorio
solo
per
un
50%
della
popolazione
infantile
.
Per
il
resto
dei
bambini
esiste
solo
la
possibilità
di
una
scuola
materna
confessionale
e
privata
.
La
scuola
,
nel
suo
segmento
di
scuola
di
base
,
si
riduce
di
un
anno
.
La
scuola
secondaria
introduce
un
doppio
canale
formativo
fin
dal
primo
biennio
.
Sarà
possibile
sviluppare
esperienze
formative
anche
in
situazioni
non
scolastiche
,
nella
formazione
professionale
.
Infine
viene
introdotto
il
cosiddetto
obbligo
formativo
fino
ai
diciotto
anni
.
I
giovani
,
dopo
il
quindicesimo
anno
,
potranno
proseguire
gli
studi
scolastici
oppure
optare
(
e
opteranno
ovviamente
le
loro
famiglie
,
con
un
processo
inaccettabile
di
autoselezione
secondo
il
reddito
)
per
un
canale
di
formazione
professionale
.
In
buona
sostanza
la
riduzione
del
tempo
della
scolarità
risponde
solo
al
principio
della
riduzione
della
spesa
e
dell
'
allineamento
della
scuola
italiana
alle
politiche
europee
"
avare
"
e
sempre
più
ispirate
alle
politiche
di
contrazione
del
welfare
.
La
riforma
produce
una
riduzione
assoluta
del
tempo
di
scuola
;
il
tempo
e
la
quantità
non
sono
tutto
nella
scuola
,
ma
sono
la
precondizione
della
qualità
e
soprattutto
costituiscono
l
'
elemento
determinante
per
sostenere
i
ritardi
culturali
.
In
pedagogia
vale
il
principio
che
se
vuoi
risultati
soddisfacenti
per
il
complesso
della
popolazione
giovanile
,
devi
offrire
più
tempo
a
coloro
che
socialmente
portano
il
segno
di
un
ritardo
di
alfabetizzazione
e
di
cultura
.
Inoltre
,
per
paradosso
,
l
'
aver
fissato
il
completamento
dell
'
obbligo
al
quindicesimo
anno
d
'
età
può
produrre
un
incentivo
all
'
abbandono
precoce
della
scuola
dopo
l
'
ottenimento
del
titolo
.
Ricordiamo
che
attualmente
la
frequenza
del
biennio
della
secondaria
fino
a
sedici
anni
è
molto
ampia
rispetto
alla
popolazione
scolastica
in
età
corrispondente
.
Una
riforma
che
riduce
il
tempo
assoluto
della
formazione
di
base
e
che
rischia
di
ridurre
il
numero
assoluto
degli
studenti
non
può
essere
considerata
una
buona
riforma
.
Gli
ordinamenti
e
la
riforma
dei
cicli
scolastici
sono
,
come
è
evidente
,
solo
la
forma
giuridica
e
organizzativa
che
la
scuola
prende
sul
piano
legislativo
.
La
riforma
reale
della
scuola
è
faccenda
più
complessa
e
non
può
esaurirsi
nella
valutazione
dei
contenitori
giuridici
e
organizzativi
.
Della
proposta
del
governo
bisogna
dunque
saper
cogliere
il
contesto
e
il
retroterra
culturale
e
politico
,
al
fine
di
vagliarli
criticamente
,
ma
soprattutto
per
avanzare
delle
proposte
alternative
.
Il
punto
di
vista
più
interessante
per
capire
,
mi
sembra
che
consista
in
una
ricerca
e
una
ridefinizione
di
che
cosa
è
oggi
alfabetizzazione
e
,
per
altro
verso
,
nell
'
individuazione
delle
radici
sociali
della
povertà
culturale
.
La
scuola
italiana
soffre
di
due
livelli
di
selezione
.
La
selezione
'
storica
'
ha
agito
con
l
'
esclusione
classista
:
l
'
evasione
dalla
scuola
dell
'
obbligo
e
ampie
sacche
di
insuccesso
non
possono
portarci
a
considerare
di
massa
la
scuola
,
soprattutto
nei
livelli
superiori
e
universitari
.
La
stessa
persistenza
della
ciclicità
dell
'
istruzione
è
il
sedimento
di
una
scontata
e
ipocrita
ammissione
che
non
tutti
avrebbero
potuto
completare
l
'
intero
percorso
degli
studi
.
Ma
vi
è
un
rilievo
più
importante
da
fare
su
una
forma
"
moderna
"
di
selezione
.
Penso
agli
studi
della
Greenfield
e
altri
,
che
notano
come
la
forte
esposizione
dei
bambini
e
dei
giovani
al
sistema
complesso
dell
'
informazione
,
all
'
"
eccedenza
informativa
"
per
lo
più
veicolata
dai
media
,
invece
che
una
crescita
di
cultura
,
produce
un
"
rumore
di
fondo
"
,
una
perdita
di
capacità
critica
.
Si
determina
nella
scuola
un
analfabetismo
qualitativo
,
vissuto
precocemente
nella
famiglia
e
nella
società
e
difficilmente
recuperabile
.
Tempi
di
vita
e
tempi
della
formazione
Allora
una
riforma
degli
ordinamenti
deve
guardare
altrove
:
mi
pare
che
si
debba
partire
da
una
riflessione
su
come
nel
nostro
tempo
si
sono
trasformate
le
età
della
vita
,
quale
ritmo
ha
preso
la
crescita
umana
,
quali
peculiarità
prendono
oggi
l
'
infanzia
,
l
'
adolescenza
e
la
condizione
giovanile
.
La
scuola
accompagna
l
'
organizzazione
dei
tempi
di
vita
dei
ragazzi
e
delle
loro
famiglie
,
è
un
punto
di
osservazione
dell
'
organizzazione
complessiva
della
società
.
Quali
bisogni
è
possibile
leggere
nell
'
organizzazione
dei
tempi
della
nostra
vita
?
E
come
ci
si
può
ad
essi
riferire
per
fare
riforma
della
scuola
?
L
'
infanzia
è
il
primo
terreno
di
verifica
.
Il
nostro
è
un
secolo
che
ha
giocato
non
a
favore
dell
'
infanzia
,
ma
per
una
progressiva
marginalità
dei
bambini
e
delle
bambine
.
L
'
autonomia
infantile
è
,
ci
pare
,
il
punto
su
cui
ragionare
.
Come
può
la
scuola
garantire
un
passaggio
delicato
tra
la
famiglia
e
l
'
affidamento
ad
altri
adulti
,
gli
insegnanti
,
per
la
formazione
del
piccolo
cittadino
.
La
famiglia
è
una
risorsa
primaria
,
emotiva
e
educativa
per
i
piccoli
,
ma
l
'
autonomia
dal
senso
proprietario
che
inevitabilmente
i
genitori
esercitano
sui
piccoli
è
un
primo
passo
verso
l
'
acquisizione
della
cittadinanza
.
Con
quali
tempi
del
rapporto
didattico
,
in
quali
anni
,
con
quale
scansione
di
orari
si
devono
affidare
i
piccoli
alla
scuola
?
Questo
costituisce
il
primo
problema
della
riforma
.
Pensando
ad
una
scolarizzazione
precoce
si
pensa
erroneamente
ad
una
precoce
accelerazione
degli
apprendimenti
cognitivi
.
Non
deve
essere
così
.
Nei
nidi
e
nella
scuola
dell
'
infanzia
il
problema
è
la
socializzazione
e
l
'
innesto
di
esperienze
di
relazione
,
è
la
conduzione
dei
bambini
e
delle
bambine
in
un
universo
di
linguaggi
più
differenziato
e
più
ricco
di
quello
familiare
.
Nidi
e
scuola
dell
'
infanzia
devono
rimuovere
le
prime
differenze
e
devono
evitare
i
ritardi
rispetto
alla
scuola
che
verrà
,
devono
essere
scuola
educativa
e
non
assistenza
.
Qui
siamo
al
secondo
aspetto
della
riforma
,
i
suoi
contenuti
didattici
.
La
scuola
di
base
unitaria
ci
pare
buona
cosa
,
ma
non
è
positiva
la
riduzione
di
un
anno
di
scolarità
.
Penso
che
sia
opportuno
un
ritmo
più
semplice
di
quanto
propone
il
governo
:
un
ciclo
di
quattro
anni
,
da
sei
fino
a
nove
anni
,
a
tempo
pieno
,
unitario
nel
progetto
e
nell
'
impianto
educativo
.
Il
tempo
pieno
non
è
solo
un
modulo
organizzativo
,
ma
un
'
occasione
per
i
bambini
per
fare
esperienze
educative
globali
.
La
formazione
della
mente
vive
insieme
alla
formazione
delle
relazioni
,
al
gioco
,
alla
creatività
.
Penso
poi
ad
un
ulteriore
ciclo
di
quattro
anni
,
fino
a
tredici
anni
.
Una
scuola
più
individualizzata
nei
percorsi
,
più
adattata
alle
differenze
personali
e
culturali
degli
adolescenti
.
Una
scuola
delle
ragazze
e
dei
ragazzi
,
che
tra
apprendimento
e
esperienza
sociale
si
danno
gli
strumenti
per
la
formazione
di
un
io
personale
solido
.
Una
scuola
in
cui
si
insegna
tramite
laboratori
,
in
cui
le
relazioni
della
classe
si
intrecciano
con
ritmi
organizzativi
più
articolati
,
sia
per
i
tempi
e
gli
orari
che
per
i
contenuti
.
Il
giudizio
sulla
proposta
relativa
alla
scuola
secondaria
è
più
severo
.
Qui
appare
con
forza
una
convinta
adesione
del
governo
alle
idee
portanti
della
Confindustria
sulla
formazione
.
Scuola
della
flessibilità
,
addestramento
e
orientamento
precoce
,
scuola
vagamente
impostata
sulle
opportunità
e
senza
garanzie
di
promozione
culturale
.
Ma
vediamo
con
ordine
.
Innanzi
tutto
la
riduzione
complessiva
del
ciclo
degli
studi
.
Un
livello
così
basso
di
scolarità
si
arrende
all
'
ideologia
confindustriale
di
una
'
didattica
breve
'
in
vista
di
una
disponibilità
al
lavoro
precario
,
saltuario
,
appunto
alla
flessibilità
,
nuova
magia
dei
ceti
imprenditoriali
che
non
vedono
altra
possibilità
per
lo
sviluppo
.
La
secondaria
dovrebbe
invece
avere
un
biennio
obbligatorio
e
unitario
,
compatto
nei
contenuti
e
nelle
finalità
culturali
.
Dovrebbero
essere
semplificati
i
curricoli
di
apprendimento
;
il
lavoro
,
la
società
,
la
tecnica
,
i
linguaggi
e
la
conoscenza
della
natura
devono
essere
oggetto
critico
della
ricerca
culturale
dei
giovani
e
non
temi
di
addestramento
subalterno
.
Questa
ci
pare
l
'
uscita
positiva
dall
'
impostazione
gentiliana
della
scuola
.
La
scuola
deve
essere
poi
giocata
,
nel
triennio
successivo
,
tra
studio
e
prime
esperienze
di
avvicinamento
al
lavoro
,
in
prospettiva
una
scuola
obbligatoria
fino
a
18
anni
.
Questa
è
la
scelta
realistica
di
allineamento
agli
altri
sistemi
formativi
europei
.
Una
scuola
che
si
riorganizza
nei
tempi
,
comincia
a
adattarsi
per
diventare
il
primo
livello
di
un
ulteriore
passo
della
formazione
,
a
carattere
permanente
,
non
più
solo
rivolta
ai
giovani
,
ma
capace
di
offrire
allo
sviluppo
delle
persone
,
in
ogni
età
della
vita
,
un
riferimento
culturale
e
formativo
.
Sarebbe
utile
un
terzo
settore
della
formazione
.
Anche
l
'
obiettivo
di
una
generale
riduzione
dell
'
orario
di
lavoro
ha
in
questa
formazione
ricorrente
una
possibilità
.
Tempi
che
si
liberano
dal
lavoro
e
che
si
dedicano
alla
cura
di
sé
e
alla
crescita
culturale
.
Ma
la
riforma
è
soprattutto
investimento
di
risorse
,
umane
e
economiche
.
Il
governo
di
centrosinistra
non
ha
cambiato
strategia
,
non
ha
segnato
una
discontinuità
rispetto
ai
governi
di
destra
o
a
dominanza
democristiana
.
Una
ristrutturazione
poderosa
ha
colpito
i
bilanci
,
colpisce
la
struttura
materiale
della
scuola
sul
territorio
,
colpisce
gli
insegnanti
.
Una
riforma
senza
risorse
è
pura
propaganda
.
La
riduzione
del
finanziamento
pubblico
della
scuola
è
effetto
di
una
strategia
che
va
al
di
là
del
risanamento
del
debito
pubblico
.
Si
iscrive
in
un
quadro
di
trasformazione
della
scuola
in
un
sistema
misto
,
pubblico
e
privato
,
convenzionato
,
in
cui
mercato
e
redditi
familiari
diventano
il
differenziale
di
qualità
della
scuola
.
Che
fare
dunque
,
per
non
rimanere
nelle
secche
delle
analisi
?
Innanzi
tutto
risollevare
nella
scuola
la
partecipazione
dei
soggetti
,
studenti
,
insegnanti
e
cittadini
.
La
fuga
o
la
passività
degli
insegnanti
nella
scuola
è
motivata
dall
'
insicurezza
sulla
prospettiva
del
loro
ruolo
,
da
una
profonda
sfiducia
che
si
possa
cambiare
qualcosa
nel
modo
di
imparare
e
di
insegnare
.
La
scuola
potrebbe
perdere
una
generazione
professionale
importante
e
pregiudicarsi
così
le
possibilità
di
riforma
.
L
'
insensibilità
alla
questione
docente
,
come
parte
essenziale
della
riforma
,
è
ancora
il
movente
della
proposta
insensata
del
"
concorsone
"
per
la
selezione
professionale
,
che
rende
acuta
la
tensione
nelle
scuole
e
fa
da
catalizzatore
della
protesta
.
Cosa
è
questa
ampia
e
generale
reazione
alle
'
gare
salariali
'
,
come
ha
efficacemente
scritto
il
manifesto
?
Non
avveniva
più
da
anni
:
gli
insegnanti
non
accettano
di
sottoporsi
ad
una
selezione
per
lo
più
fondata
sull
'
ideologia
che
nella
scuola
la
qualità
dipende
dalla
competizione
premiata
dagli
incentivi
salariali
.
Un
'
ipotesi
povera
di
analisi
su
questa
professione
,
che
non
riesce
a
vedere
nell
'
insegnamento
-
come
sostiene
ampiamente
anche
Bruner
in
un
suo
testo
importante
sulla
scuola
americana
-
un
ruolo
sociale
e
politico
particolare
,
considerandolo
invece
un
semplice
lavoro
subordinato
.
L
'
efficacia
dell
'
insegnamento
dipende
dalla
condivisione
dei
fini
emancipativi
che
nella
scuola
si
attivano
.
Il
modello
aziendale
,
gerarchico
e
competitivo
,
non
solo
non
funziona
,
ma
allontana
gli
insegnanti
,
come
già
ampiamente
avviene
,
dalla
didattica
quotidiana
.
Programmazione
,
progettazione
didattica
,
innovazione
didattica
stanno
diventando
momenti
autoreferenziali
che
impoveriscono
la
cultura
e
l
'
azione
professionale
degli
insegnanti
.
Contro
la
povertà
di
una
selezione
fatta
con
i
quiz
,
con
le
simulazioni
di
lezione
(
dove
vanno
a
finire
decenni
di
ricerca
per
superare
nell
'
insegnamento
la
sequenza
della
lezione
,
interrogazione
,
valutazione
?
)
insorgono
gli
insegnanti
,
bloccati
tra
le
certezze
di
un
passato
professionale
che
non
funziona
e
le
riforme
che
non
convincono
.
L
'
idea
cattiva
di
autonomia
Questo
conflitto
oggi
si
intreccia
con
il
caos
che
si
è
determinato
con
un
'
insensata
politica
dell
'
autonomia
del
"
fai
da
te
"
.
La
riforma
dei
cicli
non
può
essere
perciò
separata
dalla
questione
più
corposa
dell
'
autonomia
.
L
'
autonomia
didattica
è
un
grande
valore
:
insieme
con
la
dimensione
cooperativa
è
la
sostanza
stessa
della
libertà
d
'
insegnamento
garantita
dalla
Costituzione
.
Ma
l
'
attuazione
dell
'
autonomia
sta
stravolgendo
tutto
questo
.
Gli
insegnanti
e
gli
studenti
,
isolati
,
ridotti
a
rango
di
clienti
,
perdono
poteri
reali
di
influenza
sulle
scelte
e
sui
fini
per
diventare
soggetti
passivi
nella
gestione
del
quotidiano
.
Il
cittadino
cliente
naviga
nel
vuoto
e
perde
ogni
connotazione
di
soggetto
collettivo
nel
rapportarsi
al
sistema
dei
diritti
che
dovrebbe
alimentare
ogni
servizio
sociale
.
Le
nostre
scuole
dovrebbero
essere
più
pubbliche
e
meno
di
mercato
.
Più
strumenti
di
eguaglianza
che
luoghi
inerti
di
convalida
della
differenziazione
sociale
.
L
'
introduzione
di
logiche
di
mercato
distrugge
la
promozione
dei
diritti
;
nel
migliore
dei
casi
riaffida
alla
scuola
o
una
funzione
giudicante
e
notarile
dell
'
avvenuta
assuefazione
al
conformismo
e
alla
differenza
sociale
,
oppure
dilata
la
dimensione
familistica
,
ideologica
,
"
etnica
"
dell
'
identità
giovanile
.
Il
problema
dell
'
autonomia
buona
è
lo
sviluppo
di
poteri
'
locali
'
capaci
di
riformare
la
scuola
dal
basso
,
secondo
linee
generali
di
innovazione
culturale
e
professionale
di
profilo
culturale
alto
.
Il
problema
dell
'
autonomia
della
scuola
è
in
ultima
analisi
un
problema
della
democrazia
e
dei
suoi
strumenti
.
La
libertà
di
insegnare
e
fare
scienza
All
'
autonomia
degli
insegnanti
e
degli
studenti
dovrebbe
spettare
l
'
assoluta
decisione
delle
tracce
educative
per
raggiungere
i
fini
sociali
e
politici
fissati
dalle
istanze
democratiche
di
un
paese
.
Insegnare
è
per
eccellenza
un
ruolo
pubblico
,
perché
dovrebbe
farsi
guidare
solo
dalla
libertà
della
scienza
,
della
coscienza
professionale
e
dalla
Costituzione
.
Null
'
altro
dovrebbe
influenzare
il
progetto
educativo
delle
scuole
.
La
Costituzione
,
nel
suo
andamento
compromissorio
affidò
la
responsabilità
educativa
alla
famiglia
e
alla
scuola
dello
Stato
.
Le
politiche
attuali
rifluiscono
verso
il
primato
della
famiglia
e
risolvono
l
'
ambiguità
costituzionale
a
favore
della
riproduzione
educativa
familiare
o
della
cultura
locale
'
leghista
'
:
la
comunità
naturale
dunque
,
piuttosto
che
la
società
e
la
cultura
nazionale
.
Questo
rifluire
produce
enormi
rischi
morali
e
culturali
,
incide
sul
tessuto
civile
del
paese
.
Torna
il
ruolo
prevalente
degli
educatori
come
riproduttori
passivi
del
senso
comune
ambientale
,
piuttosto
che
soggetti
di
una
ricerca
critica
sullo
stesso
contesto
sociale
.
È
necessario
invece
pensare
ad
una
scuola
come
libero
spazio
di
una
complessa
dialettica
tra
valori
e
interessi
diversi
;
un
luogo
di
proposta
e
anche
di
conflitto
tra
educatori
e
studenti
,
non
più
proprietà
e
investimento
dei
loro
genitori
,
ma
abitato
da
soggetti
umani
accomunati
da
un
'
avventura
morale
e
intellettuale
che
prepara
alla
cittadinanza
.
Si
tratta
di
considerare
la
scuola
e
l
'
educazione
come
un
gioco
difficile
che
non
solo
agisce
,
ma
che
,
mentre
è
giocato
,
fissa
le
regole
stesse
del
gioco
.
Un
gioco
su
un
piano
inclinato
,
più
complesso
di
un
gioco
con
regole
precostituite
,
in
cui
i
giocatori
,
studenti
e
educatori
,
seguendo
le
regole
date
,
ne
inventano
di
nuove
e
rompono
dinamicamente
con
il
senso
comune
e
le
mentalità
correnti
.
L
'
autogoverno
e
la
cooperazione
Esiste
oggi
un
lavoro
scolastico
che
rassomigli
a
questo
impegno
?
In
genere
dobbiamo
rispondere
negativamente
:
prevalgono
gli
aspetti
ripetitivi
sulla
creatività
e
l
'
invenzione
.
Ma
una
traccia
per
ricostruire
il
tessuto
di
una
ricerca
esiste
.
La
cooperazione
e
ducativa
appartiene
a
pieno
diritto
alla
riflessione
della
pedagogia
democratica
europea
e
italiana
.
Evidenzia
con
equilibrio
la
necessità
di
percorsi
personali
,
individualizzati
e
creativi
nell
'
insegnamento
.
E
si
pone
come
interazione
,
quasi
necessariamente
conflittuale
e
pluralistica
tra
lavori
l
'
uno
all
'
altro
trasparenti
,
nei
percorsi
e
nei
fini
.
Cooperare
e
cooperazione
sono
termini
che
richiamano
solidarietà
ottocentesche
.
Recuperarne
il
senso
in
un
contesto
moderno
,
legato
alla
definizione
di
nuove
metodologie
per
la
gestione
del
lavoro
intellettuale
,
costituisce
un
'
operazione
culturale
ardita
.
Nelle
organizzazioni
a
rete
bisogna
partire
dall
'
ipotesi
concettuale
e
pratica
che
non
si
può
eliminare
il
conflitto
;
il
conflitto
deve
essere
considerato
un
elemento
dinamico
e
produttivo
.
Come
può
essere
controllato
e
razionalizzato
?
Solo
aumentando
le
informazioni
circolanti
nella
rete
,
aumentando
la
partecipazione
dei
soggetti
e
chiarificando
i
fini
e
i
valori
.
Lavorare
cooperando
significa
accettare
questa
processualità
.
Per
risolvere
il
conflitto
bisogna
cercare
le
vie
che
portano
a
stabilire
patti
,
quando
i
patti
entrano
in
crisi
bisogna
rinnovare
il
confronto
tra
i
soggetti
.
Bisogna
saper
costruire
un
quadro
di
controllo
del
processo
educativo
che
abbia
il
suo
centro
riformatore
nel
ruolo
dei
soggetti
sociali
interessati
.
Questa
metodologia
di
controllo
costante
della
didattica
è
l
'
anima
stessa
della
cooperazione
,
la
trasparenza
è
la
sua
componente
essenziale
;
comporta
un
forte
decentramento
delle
responsabilità
,
riduce
il
ruolo
gerarchico
.
Il
tutto
funziona
se
c
'
è
questa
assunzione
reciproca
di
impegni
responsabili
.
Patti
d
'
aula
,
patti
d
'
istituto
,
patti
tra
soggetti
.
Questo
metodo
difficilmente
può
coesistere
con
un
'
organizzazione
burocratica
e
gerarchica
,
anche
tra
studenti
e
insegnanti
.
Prendere
decisioni
in
questo
ambiente
comunicativo
comporta
anche
il
mutamento
dello
stile
di
lavoro
degli
insegnanti
.
In
genere
nella
struttura
cooperativa
è
importante
la
trasparenza
delle
singole
intenzioni
,
antagonista
rispetto
alla
consuetudine
di
custodire
individualisticamente
il
contenuto
e
il
metodo
del
proprio
lavoro
.
È
importante
comunicare
con
trasparenza
perché
questo
riduce
il
conflitto
:
anche
le
più
semplici
procedure
vengono
trasformate
da
questo
stile
di
comportamento
.
Un
comportamento
trasparente
abbatte
significativamente
l
'
insuccesso
scolastico
dei
ragazzi
;
l
'
assenza
di
comunicazione
aumenta
il
fallimento
e
l
'
insuccesso
.
Ascoltare
è
difficile
,
ma
è
una
metodologia
interessante
.
Nella
scuola
bisognerebbe
prevedere
dei
momenti
istituzionalizzati
dell
'
ascolto
,
un
meccanismo
in
cui
si
esprimono
le
crisi
:
momenti
di
autodiagnosi
,
potremmo
dire
.
Cosa
invece
diventa
oggi
nella
realtà
quotidiana
l
'
autonomia
?
Assenza
di
un
campo
generale
di
riflessione
sulle
finalità
della
scuola
;
crescente
asfissia
della
didattica
costretta
nelle
procedure
burocratiche
;
frammentazione
insensata
,
nelle
singole
scuole
e
per
ogni
singolo
insegnante
,
della
ricerca
e
della
trasmissione
culturale
.
Difficile
scorgere
sotto
un
fraseggio
modernizzante
(
crediti
e
debiti
formativi
,
piani
dell
'
offerta
formativa
,
competenze
-
conoscenze
-
capacità
,
funzioni
-
obiettivo
,
tutor
,
didattica
breve
,
saperi
minimi
ecc
.
)
una
sostanza
riformatrice
che
cambia
la
scuola
.
Temo
che
si
tratti
di
un
linguaggio
da
nuovi
chierici
che
copre
un
vuoto
di
ridefinizione
degli
assi
culturali
,
un
deficit
di
progettazione
del
futuro
che
le
società
moderne
vivono
drammaticamente
.
I
giochi
non
sono
chiusi
,
riprende
attivamente
un
movimento
.
Mancano
finora
gli
studenti
,
l
'
altro
asse
decisivo
della
riforma
;
ma
ripartono
gli
insegnanti
,
forse
perché
essi
sono
più
direttamente
sottoposti
a
una
duplice
sollecitazione
:
l
'
umiliazione
della
loro
professione
e
la
speranza
di
essere
un
settore
sociale
portante
dello
schieramento
riformatore
di
questo
paese
.
La
sinistra
di
governo
non
ha
capito
e
entra
in
rotta
di
collisione
con
un
movimento
ampio
,
non
corporativo
,
esplicitamente
riformatore
.
Nella
palude
delle
logiche
di
Palazzo
la
scuola
torna
ad
essere
una
questione
sociale
che
chiede
risposte
alla
politica
.
Ci
sono
momenti
in
cui
sembra
che
le
passioni
democratiche
e
di
cambiamento
siano
in
totale
riflusso
,
ma
la
realtà
è
a
volte
più
ricca
della
nostra
stessa
speranza
.
StampaPeriodica ,
Ormai
la
polemica
,
nata
dall
'
intelligente
articolo
di
Angioletti
,
ha
dato
più
d
'
un
frutto
,
e
non
sembra
acquetarsi
.
Il
suo
significato
non
è
più
soltanto
letterario
,
ma
culturale
,
sociale
e
,
finalmente
,
filosofico
,
grazie
,
specialmente
,
alla
decisa
posizione
antiromantica
di
Galvano
della
Volpe
(
vedi
«
Antiromanticismo
»
in
Primato
del
15
maggio
e
«
Da
un
programma
antiromantico
»
in
Studi
filosofici
n
.
4
)
.
Tutti
noi
sentiamo
con
Angioletti
,
che
,
«
come
un
vento
tiepido
e
leggero
»
qualcosa
di
nuovo
nasce
intorno
a
noi
,
ma
di
questo
qualcosa
di
nuovo
non
sappiamo
,
e
forse
è
un
bene
,
dare
una
definizione
.
In
ogni
modo
non
a
caso
è
stata
pronunciata
la
parola
«
Romanticismo
»
.
Essa
indica
,
io
credo
,
uno
stato
di
malessere
e
di
scontentezza
,
un
senso
di
sfiducia
e
di
sazietà
verso
atteggiamenti
troppo
controllati
e
troppo
«
distaccati
»
della
nostra
cultura
.
Un
amore
freddo
e
contenuto
per
la
precisione
di
ciò
che
è
intellettualmente
perfetto
ci
trattiene
da
ogni
abbandono
,
ed
ora
sentiamo
il
valore
dell
'
abbandono
,
la
fecondità
di
certe
ingenuità
e
di
certi
errori
,
ma
un
timore
ci
trattiene
,
ed
è
quello
che
non
venga
abbandonato
troppo
facilmente
ciò
che
abbiamo
conquistato
,
la
disciplina
su
ogni
forma
di
lirica
intemperanza
,
quella
precisione
del
senso
della
parola
che
è
certo
una
delle
conquiste
più
alte
della
letteratura
e
della
poesia
italiana
contemporanea
.
La
finitezza
della
parola
è
divenuta
quasi
il
segno
della
moralità
del
letterato
e
dell
'
uomo
di
cultura
e
,
forse
,
qualcosa
di
più
,
il
segno
della
moralità
dell
'
uomo
,
come
una
volontà
di
non
falsare
il
valore
della
realtà
e
della
vita
,
sempre
concretamente
finita
e
puntuale
,
sempre
determinata
,
sempre
richiedente
una
responsabilità
ed
una
scelta
,
senza
evasioni
e
senza
fughe
,
appunto
,
romantiche
.
Ma
,
tale
finitezza
,
ci
appare
ora
come
l
'
estrema
conquista
,
una
conquista
che
presuppone
tutto
un
passato
e
,
in
noi
,
tutto
un
lungo
cammino
o
travaglio
inespresso
,
di
cui
la
parola
è
come
la
conclusione
,
il
traguardo
raggiunto
.
E
scopriamo
il
valore
di
ciò
che
in
noi
è
stato
disciplinato
,
come
se
,
senza
quel
profondo
e
scontento
agitarsi
di
tutto
il
nostro
destino
,
la
parola
perdesse
ogni
sua
tensione
,
ogni
sua
moralità
:
è
questa
scoperta
che
ci
fa
parlare
,
oggi
,
di
romanticismo
.
Romanticismo
sì
,
ma
romanticismo
del
finito
,
accettazione
senza
riserve
del
limite
inerente
alla
vita
ed
alla
cultura
:
la
morte
non
è
più
un
tema
poetico
,
ma
la
condizione
della
nostra
esistenza
:
non
vogliamo
falsare
il
senso
del
nostro
esistere
e
trasportarlo
nel
mito
di
un
egualitarismo
liberale
o
di
un
illuministico
storicismo
in
cui
tutti
i
contendenti
assolvono
la
loro
eguale
funzione
storica
:
no
,
nella
vita
e
nella
storia
ci
sono
vincitori
e
vinti
,
ogni
epoca
vive
nel
suo
orizzonte
e
nega
l
'
altra
:
la
civiltà
europea
non
ci
sembra
più
ottimisticamente
svilupparsi
nella
linea
di
un
mitico
progresso
.
La
nostra
epoca
rinuncia
a
soluzioni
troppo
facili
ed
ereditarie
,
ha
la
sua
dura
realtà
da
imporre
e
sa
che
la
sua
vita
è
legata
alle
sue
possibilità
di
vittoria
.
Essa
sa
che
la
cultura
aperta
ed
infinita
è
la
fine
di
un
'
Europa
e
sa
che
l
'
Europa
non
esiterebbe
più
se
non
avesse
il
coraggio
di
rinunciare
a
ciò
che
finora
si
è
chiamato
europeo
:
essa
vuol
dimenticare
l
'
indulgenza
dei
vecchi
,
per
cui
ogni
affermazione
ha
il
suo
diritto
,
e
sa
che
bisogna
saper
non
vedere
,
non
giustificare
,
non
accettare
,
vivere
e
morire
per
qualcosa
di
determinato
e
di
finito
,
ingiusto
forse
,
ma
solo
in
nome
di
una
astratta
giustizia
e
di
un
'
astratta
moralità
.
Non
saprei
non
dar
ragione
,
in
tal
senso
,
alla
profonda
rivalutazione
del
finito
e
del
determinato
,
su
cui
tanto
insiste
,
come
filosofo
e
come
uomo
di
cultura
,
Galvano
della
Volpe
.
No
,
la
nostra
epoca
non
deve
e
non
può
essere
umanitaristica
.
Ed
ha
ragione
Mario
Alicata
:
è
troppo
equivoco
il
termine
«
simpatia
umana
»
:
«
ridurre
l
'
amore
ed
il
desiderio
degli
altri
a
...
caute
possibilità
di
perdono
,
di
soccorso
...
non
significa
rischiare
di
nuovo
la
propria
libertà
spirituale
in
un
accomodamento
utilitario
dei
nostri
rapporti
umani
,
al
servizio
di
un
plebeo
e
farisaico
demagogismo
che
cerchi
di
salvare
,
nella
ottenuta
e
rimunerata
comprensione
degli
altri
verso
noi
,
dei
molti
verso
i
pochi
,
la
pigrizia
morale
e
la
fervida
coscienza
degli
egoisti
?
»
(
Primato
15
giugno
)
.
Eppure
,
con
tutto
questo
,
l
'
esigenza
di
Angioletti
e
di
Lupinacci
,
conteneva
forse
più
di
quanto
si
è
in
essa
voluto
vedere
e
di
quanto
ha
saputo
dire
.
Gli
uomini
non
si
incontrano
nella
conclusione
della
loro
esperienza
.
La
disciplina
della
parola
ci
rimanda
alle
nostre
inespresse
vicende
,
tanto
espresse
invece
dai
romantici
:
la
virile
accettazione
del
finito
,
così
nostra
,
ci
rimanda
ad
una
condizione
comune
di
finitezza
,
ad
una
comprensione
più
profonda
dove
ognuno
di
noi
comprende
l
'
altro
proprio
perché
sa
che
il
finito
esclude
ogni
possibilità
di
assolutizzare
,
secondo
il
vecchio
egocentrismo
romantico
,
perché
sa
che
ogni
orizzonte
è
limitato
,
che
ogni
dogmatismo
è
una
falsificazione
di
noi
stessi
e
degli
altri
.
L
'
accettazione
del
finito
come
finito
,
il
rifiuto
di
ogni
evasione
e
di
ogni
fuga
,
non
allontana
gli
uomini
,
ma
,
proprio
,
li
riavvicina
,
nell
'
unico
riavvicinamento
che
è
davvero
possibile
:
il
riconoscimento
del
limite
del
proprio
destino
e
dell
'
altrui
,
diverso
,
opposto
al
nostro
.
Il
vecchio
romanticismo
credeva
di
poter
raggiungere
la
possibilità
di
una
comunicazione
attraverso
la
fuga
dalle
precise
condizioni
della
nostra
esistenza
o
attraverso
la
mitica
assolutizzazione
ed
universalizzazione
di
un
'
esperienza
fatalmente
particolare
e
limitata
:
noi
,
nella
nostra
nuova
esigenza
romantica
,
sappiamo
che
possiamo
davvero
comprendere
gli
altri
se
sappiamo
accettare
la
nostra
condizione
e
non
mitologizzare
noi
stessi
.
«
Andare
incontro
agli
altri
»
dice
anche
Mario
Alicata
.
Ma
gli
altri
li
sapremo
trovare
solo
sperimentando
ed
accettando
il
limite
della
nostra
esperienza
:
così
sapremo
andare
verso
gli
altri
,
anche
se
,
per
avventura
,
le
condizioni
finite
della
nostra
vita
ci
porranno
contro
di
loro
:
saremo
allora
,
per
ripetere
ancora
la
parola
di
Karl
Jaspers
in
comunicazione
con
loro
.
Il
tramontante
liberalismo
aveva
condotto
l
'
Europa
all
'
assolutizzazione
del
finito
,
il
vecchio
umanitarismo
alla
più
ipocrita
mancanza
di
umanità
:
proprie
le
nuove
esperienze
politiche
ed
ideologiche
sapranno
ritrovare
l
'
uomo
,
senza
promettergli
nessun
mito
,
ma
dandogli
la
vera
libertà
della
sua
condizione
di
uomo
,
inevitabilmente
finita
:
da
tale
accettazione
della
finitezza
e
del
destino
,
che
tutti
limita
e
circoscrive
,
nasce
la
nuova
e
concreta
forma
di
solidarietà
umana
.
Che
è
civiltà
della
tecnica
e
del
lavoro
proprio
in
quanto
tecnica
e
lavoro
abbandonano
ogni
liberale
mitologia
fordistica
e
tayloristica
e
diventano
i
termini
essenziali
di
realizzazione
,
nel
finito
,
dell
'
esistenza
dell
'
uomo
,
con
tutta
la
sua
umanità
.
Nasce
allora
una
nuova
passione
,
la
passione
per
il
finito
,
per
ciò
che
ci
fa
restare
noi
stessi
.
È
antiromantica
perché
esclude
ogni
fuga
,
ma
è
profondamente
romantica
perché
ci
riavvicina
alla
fonte
inesauribile
di
ciò
che
in
noi
è
primordiale
.
Sentiamo
per
il
finito
e
per
la
fatalità
delle
condizioni
insostituibili
dell
'
esistenza
lo
stesso
entusiasmo
che
i
romantici
provarono
per
l
'
infinito
e
per
la
fuga
dal
mondo
.
E
la
nostra
cultura
vuol
rimanere
fedele
all
'
impossibilità
di
universalizzare
i
nostri
orizzonti
,
una
fedeltà
che
è
fedeltà
alla
concretezza
del
nostro
esistere
,
una
fedeltà
alla
morte
,
se
si
vuol
richiamare
il
termine
di
Heidegger
,
una
fede
,
profonda
come
quella
romantica
,
che
solo
il
finito
può
testimoniare
dell
'
infinito
,
che
la
trascendenza
si
può
a
noi
rivelare
solo
nell
'
accettazione
assoluta
e
totale
delle
condizioni
della
nostra
immanenza
,
se
si
vuole
,
richiamandosi
ancora
all
'
esistenzialismo
,
ricordare
la
posizione
di
Jaspers
.
Finitezza
,
destino
,
amor
fati
.
L
'
amico
Della
Volpe
non
si
allarmi
della
nuova
passione
romantica
,
che
come
una
bufera
rinnovatrice
,
l
'
esistenzialismo
ha
scatenato
su
tutta
l
'
Europa
.
Non
s
'
allarmi
perché
questa
nuova
passione
è
proprio
per
quel
finito
,
per
quel
sensibile
,
per
quel
sentimento
di
cui
la
sua
filosofia
rivaluta
,
con
tanta
acutezza
ed
intelligenza
,
i
diritti
troppo
sprezzati
.
E
l
'
amico
G
.
M
.
Bertin
,
a
cui
sono
riconoscente
dell
'
attenzione
che
ha
prestato
al
mio
pensiero
(
Cfr
.
«
Esistenzialismo
romantico
»
,
in
Studi
filosofici
,
n
.
4
)
non
si
allarmi
per
il
nuovo
irrazionalismo
che
gli
sembra
minacciare
la
tradizione
critica
di
Kant
e
di
Hegel
:
proprio
il
nuovo
romanticismo
combatte
ogni
pretesa
,
questa
davvero
romantica
nel
vecchio
senso
della
parola
,
di
assolutizzare
,
infinitizzare
,
divinizzare
l
'
universo
.
E
se
riconosce
i
diritti
dell
'
irrazionale
non
è
per
degradare
il
pensiero
a
mito
,
o
per
abbassare
ad
empirico
arbitrio
la
vita
spirituale
,
ma
invece
per
usare
criticamente
della
ragione
filosofica
e
per
avvertire
che
ogni
vita
spirituale
,
che
non
presupponga
le
condizioni
finite
del
nostro
esistere
e
del
nostro
destino
,
è
retorica
.
Ma
so
che
Bertin
mi
comprende
e
sa
che
il
mio
romanticismo
non
è
quello
a
cui
tutti
noi
ci
ribelliamo
.
La
nuova
atmosfera
romantica
è
dunque
la
scoperta
del
valore
del
finito
e
dell
'
esistenza
.
Dietro
la
nostra
fredda
disciplina
per
le
parole
ritornano
la
parola
passione
e
la
parola
destino
:
e
la
nostra
disciplina
non
sarà
conquistata
una
volta
per
sempre
,
ma
ci
richiamerà
ancora
a
noi
stessi
,
alla
continua
tensione
che
ci
conduce
a
riconquistarla
senza
posa
,
perché
non
si
inaridisca
in
vuota
forma
ed
in
pretenziosa
sufficienza
di
sé
.
StampaPeriodica ,
Julien
Duvivier
è
uno
tra
i
pochissimi
registi
che
riescono
a
dare
all
'
opera
cinematografica
un
'
impronta
di
stile
personale
ed
inconfondibile
che
difficilmente
si
dimentica
.
Più
rigoroso
di
Chenal
,
più
incisivo
di
Carné
,
più
realistico
di
Feyder
,
più
profondo
di
Renoir
i
capisaldi
dell
'
ultima
regia
francese
è
oggi
indubbiamente
il
miglior
regista
di
cui
la
Francia
possa
vantare
.
Non
solo
,
ma
appartiene
anche
a
quell
'
esiguo
numero
di
mirabili
narratori
per
immagini
che
va
dai
Vidor
ai
Flaherty
,
dai
Capra
ai
Mamoulian
,
dai
Borzage
ai
Ford
.
È
uno
dei
pochissimi
,
insomma
,
che
abbia
compreso
nella
sua
integrità
il
mezzo
espressivo
«
cinema
»
compendiando
in
esso
tutti
quegli
elementi
che
ne
formano
lo
spettacolo
d
'
arte
.
Per
questa
sana
comprensione
che
ogni
regista
degno
di
tal
nome
dovrebbe
avere
non
farà
mai
,
punto
essenziale
e
fermo
nel
cinema
,
del
teatro
,
se
pur
teatro
finissimo
,
filmato
.
E
il
susseguirsi
dei
fotogrammi
che
parla
in
ogni
sua
pellicola
:
l
'
immagine
resta
sempre
alla
base
dell
'
espressione
di
eventi
e
stati
d
'
animo
:
le
sequenze
sempre
si
susseguono
alle
sequenze
,
le
angolazioni
alle
angolazioni
,
le
inquadrature
alle
inquadrature
:
tutte
accompagnate
da
un
ritmo
serrato
e
conciso
,
da
un
'
atmosfera
viva
,
fusa
,
pittoresca
.
Gli
attori
parlano
qualche
volta
con
retorica
ed
enfasi
,
ma
il
dialogo
non
grava
mai
sull
'
immagine
,
e
l
'
immagine
per
effetto
delle
lunghe
chiacchierate
,
sull
'
azione
.
E
la
narrazione
procede
ampia
,
magnifica
,
e
nello
stesso
tempo
semplice
,
sentita
,
genuina
lontana
da
convenzionalismi
e
da
luoghi
comuni
:
mirante
all
'
essenziale
e
al
particolare
insieme
.
Non
solo
,
poi
,
il
Nostro
ha
una
personalissima
ed
inconfondibile
maniera
d
'
inquadrare
,
di
muovere
la
macchina
(
carrellate
alla
Duvivier
)
,
di
narrare
conformemente
ai
canoni
fondamentali
del
cinema
vero
,
ma
ha
pure
un
proprio
punto
di
vista
rispetto
al
contenuto
e
all
'
intonazione
del
film
.
È
quasi
sempre
la
vita
degli
umili
e
dei
reietti
,
dei
perduti
nel
vizio
e
nell
'
imbroglio
,
dell
'
uomo
della
strada
e
del
trivio
,
dell
'
angiporto
e
del
quartiere
malfamato
,
che
lo
attrae
e
lo
appassiona
.
Sono
gli
infiniti
e
multiformi
drammi
di
questi
:
i
loro
casi
singoli
osservati
dai
fatti
crudi
,
scarni
,
scheletrici
di
cronaca
quotidiana
che
ritrae
in
ogni
più
piccolo
particolare
e
in
ogni
minuta
osservazione
e
sfumatura
.
Di
fronte
a
questo
materiale
umano
come
quasi
tutti
i
registi
francesi
d
'
oggi
Duvivier
è
un
osservatore
scettico
e
pessimista
;
di
uno
scetticismo
e
di
un
pessimismo
spesso
malato
e
morboso
,
che
giunge
più
volte
anche
a
negare
la
vita
come
gioia
di
vivere
,
come
libera
espressione
dell
'
anima
,
come
affermazione
dell
'
individuo
.
I
personaggi
che
ama
e
predilige
hanno
tutti
una
propria
fisionomia
,
un
proprio
sguardo
,
un
'
impronta
particolare
:
sono
esseri
senza
sorte
e
senza
speranza
e
,
incapaci
di
dominarsi
,
trasportati
dalla
corrente
verso
un
progressivo
fallimento
di
loro
stessi
:
dalla
più
torbida
desolazione
,
fino
al
delitto
e
al
suicidio
.
Per
convincersi
basta
osservare
le
sue
realizzazioni
,
dove
insieme
ad
una
stretta
analogia
di
indagine
umana
e
profonda
,
non
manca
mai
uno
scetticismo
impressionante
.
E
questo
eccezione
fatta
per
le
opere
a
carattere
religioso
«
Golgota
»
e
«
Credo
»
in
ogni
suo
film
.
Sia
che
realizzi
una
vicenda
eroica
,
«
La
Bandiera
»
;
o
un
intreccio
musicale
,
«
L
'
uomo
del
giorno
»
;
o
la
storia
drammatica
di
un
bimbo
incompreso
«
Pel
di
Carota
»
;
o
la
tumultuosa
ed
ardente
vita
di
un
fuori
legge
«
Pepé
le
Moko
»
;
o
la
descrizione
degli
ultimi
giorni
di
vecchi
attori
«
I
prigionieri
del
sogno
»
.
Ma
dove
il
pessimismo
di
Julien
Duvivier
raggiunge
vertici
di
traboccante
grigiore
e
malinconia
è
ne
«
La
bella
brigata
»
e
in
«
Carnet
de
bal
»
.
Entrambi
questi
film
sembrano
addirittura
ispirati
da
un
Schopenhauer
e
sceneggiati
da
un
Leopardi
nel
loro
momenti
di
più
cupo
abbandono
.
Nel
primo
,
i
sogni
,
le
aspirazioni
,
tutte
le
cose
belle
di
cinque
operai
svanite
insieme
alla
stessa
amicizia
e
solidarietà
,
ci
fa
vedere
la
vita
atrocemente
buia
.
Nel
secondo
:
il
crudo
dramma
di
una
donna
non
più
giovane
,
che
si
illude
di
rincorrere
il
passato
,
per
ritrovare
gli
amici
di
gioventù
e
riafferrare
con
essi
le
gioie
non
apprezzate
,
dipinge
la
vita
con
toni
di
morboso
scetticismo
.
(
Morboso
scetticismo
che
si
tramuta
alla
fine
nel
surrealista
«
Carro
fantasma
»
in
fede
,
redenzione
,
luce
irradiante
)
.
Affermare
dopo
tutto
questo
che
Duvivier
è
uno
scettico
,
sarebbe
troppo
poco
.
Per
essere
più
precisi
occorre
dire
che
è
un
entusiasta
del
pessimismo
.
E
l
'
unico
rimprovero
che
gli
si
può
fare
,
tra
i
tanti
elogi
,
è
proprio
questo
:
che
la
sua
tecnica
e
la
sua
arte
siano
volutamente
messe
al
servizio
di
soggetti
mai
sani
ed
irradianti
luce
;
ben
sapendo
purtuttavia
che
a
nessuno
,
e
neppure
a
noi
,
è
permesso
di
voler
far
sostituire
concetti
ed
intenzioni
proprie
a
quelle
dell
'
artista
.
Comunque
non
si
può
condannare
in
Duvivier
come
alcuni
hanno
fatto
l
'
artista
.
Non
è
possibile
stroncare
un
'
opera
d
'
arte
in
genere
solamente
perché
è
costruita
su
materia
non
sana
.
Occorre
in
questi
casi
saper
distinguere
il
mondo
etico
da
quello
estetico
.
Se
così
non
fosse
,
di
arte
ce
ne
sarebbe
ben
poca
.
Ecco
la
ragione
per
la
quale
non
possiamo
dissentire
Duvivier
quanto
ad
apprezzamenti
puramente
cinematografici
ed
artistici
.
StampaPeriodica ,
Non
voglio
qui
parlare
della
poesia
in
versi
di
L
.
Bartolini
,
o
delle
sue
acqueforti
,
ma
limitare
il
discorso
alla
sua
prosa
,
o
,
meglio
,
alle
sue
prose
migliori
.
Chi
pensi
«
Bartolini
»
non
può
pensare
subito
che
ad
un
avvenimento
eccezionale
,
direi
quasi
privato
,
che
di
giorno
in
giorno
accade
nella
nostra
odierna
letteratura
:
ed
è
proprio
in
questo
suo
diuturno
accadere
che
si
è
venuta
costituendo
,
anzi
,
stratificando
una
prosa
bartoliniana
,
staccata
da
qualsiasi
intenzione
o
premeditazione
;
e
quindi
serenamente
scioltasi
dal
timore
di
una
possibile
decadenza
,
espresso
dal
De
Robertis
,
quando
,
in
uno
scritto
del
'30
su
Passeggiata
con
la
ragazza
,
si
era
chiesto
:
«
s
'
accosterà
un
giorno
(
Bartolini
)
a
temi
più
calmi
,
senza
più
quel
tono
improvviso
,
avventuroso
,
lirico
a
oltranza
?
E
troverà
i
mezzi
adatti
,
quel
tanto
di
riposo
mentale
necessario
a
opere
mature
?
»
.
Tutto
questo
è
stato
dal
Nostro
raggiunto
,
al
di
fuori
di
qualsiasi
programma
:
e
così
,
come
il
De
Robertis
rivendicò
in
quelle
vecchie
pagine
del
Bartolini
un
'
«
aria
di
gioventù
»
,
un
«
essere
e
parere
giovani
»
,
non
come
«
uno
dell
'
ultima
generazione
»
,
ed
in
questo
indicò
la
sua
presenza
prepotente
nell
'
«
orto
ben
pettinato
delle
lettere
»
odierne
,
così
noi
ora
ritroviamo
il
Nostro
,
intatto
,
fedele
a
se
stesso
,
anche
se
al
posto
della
sua
sanguigna
,
scontrosa
,
ribelle
gioventù
,
c
'
è
ora
una
maturità
più
attenta
e
sofferta
,
se
non
meno
scontrosa
e
ribelle
.
E
se
«
tra
le
tante
sue
facce
»
si
fa
«
sempre
più
in
luce
quella
del
moralista
»
,
non
ce
ne
dispiace
affatto
,
anzi
,
per
questo
,
forse
,
lo
abbiamo
più
caro
.
Bartolini
non
ha
mai
resistito
alla
tentazione
di
«
scendere
tra
gli
uomini
»
;
e
se
dopo
,
mettiamo
,
aver
contemplato
le
vecchie
al
mercato
(
«
...
portano
non
meno
di
tre
sottane
:
la
esterna
e
la
seconda
che
è
di
roba
turchina
con
righette
orizzontali
per
orlo
,
orlo
listato
da
un
palmo
di
velluto
nero
sino
...
Alzano
le
vecchie
donne
la
prima
e
la
seconda
sottana
e
,
se
uno
sta
ad
osservare
bene
,
si
vedono
,
se
per
isbaglio
la
vecchia
s
'
alza
un
lembo
della
terza
sottana
,
gambacce
con
le
vene
varicose
e
col
«
giudizio
»
,
ossia
il
sudiciume
al
ginocchio
...
»
)
,
dopo
averle
così
contemplate
,
dunque
,
vuol
trarne
una
sua
morale
(
«
E
così
fanno
perché
sono
al
limitare
dell
'
esistenza
:
mettono
da
parte
e
tengono
da
conto
per
paura
di
perdere
e
non
riavere
;
giacché
sanno
,
da
natura
,
che
più
nulla
avranno
.
Sono
come
le
piante
che
hanno
più
radice
che
fiore
»
)
,
tanto
meglio
,
per
il
piacere
che
abbiamo
tratto
da
questa
morale
,
che
non
è
un
concetto
,
ma
una
descrizione
:
e
commoventissima
.
Del
resto
il
giudizio
o
morale
bartoliniano
non
è
che
una
specie
di
«
finale
»
o
di
«
presto
»
,
strettamente
unito
,
o
sortito
direttamente
da
quello
che
,
più
innanzi
,
chiamerò
il
suo
«
umore
»
.
Così
la
prosa
del
Nostro
,
tutta
affidata
al
proprio
umore
,
alla
luna
buona
o
cattiva
,
all
'
ilare
o
malo
risveglio
mattutino
,
si
è
venuta
imponendo
alla
nostra
attenzione
,
che
si
è
,
un
po
'
alla
volta
,
tramutata
in
vero
e
proprio
affetto
.
E
nient
'
altro
che
affetto
,
in
noi
,
poteva
corrispondere
alla
maschia
confessione
bartoliniana
,
uscita
pudicamente
,
scontrosamente
,
dalla
sua
penna
,
quasi
a
denti
stretti
,
talvolta
;
altra
volta
,
come
nei
suoi
primi
libri
(
Passeggiata
con
la
ragazza
)
,
gridata
a
voce
alta
e
piena
,
sino
a
rivelarne
il
sangue
o
la
carne
,
ma
sempre
con
un
sordo
pudore
,
che
,
intervenuto
nel
discorso
come
un
improvviso
interrompimento
,
lo
tramutava
,
lo
accigliava
,
quasi
accorandolo
.
In
realtà
,
sempre
,
in
fondo
alla
voce
forte
e
burbera
di
Bartolini
,
trema
un
nodo
di
pianto
:
pianto
umano
,
quasi
fanciullesco
.
Si
guardi
«
Morte
di
Umano
»
nel
suo
ultimo
libro
.
E
in
questo
fondo
di
pianto
,
niente
affatto
spleenetico
o
letterario
e
non
nel
senso
generico
di
malinconia
o
tristezza
,
giace
la
parte
più
remota
e
forse
meno
nota
di
Bartolini
:
è
da
essa
che
risale
alla
superficie
la
gamma
versicolore
dell
'
umor
suo
,
tetro
e
bizzarro
,
come
una
sorta
di
alterna
vittoria
e
sconfitta
,
astio
e
benignità
,
avvenuta
nel
suo
intimo
più
segreto
,
ed
emersa
poi
nella
pagina
scritta
.
Per
questo
,
io
credo
,
della
sua
prosa
finora
non
è
stata
data
una
definizione
critica
,
che
,
circoscrivendola
,
la
ponga
con
sua
vera
luce
nell
'
ambito
della
nostra
letteratura
odierna
.
È
tale
definizione
monca
anche
perché
,
dato
il
proprio
modo
di
essere
,
il
Nostro
non
ha
in
letteratura
che
nemici
o
amici
:
e
sia
gli
uni
che
gli
altri
,
per
eccesso
di
vigore
,
non
saranno
in
grado
di
studiarlo
serenemente
.
Non
basterà
chiamare
la
scrittura
bartoliniana
semplicemente
«
prosa
»
,
come
si
suole
,
in
quanto
non
narrativo
,
ché
questo
sarebbe
un
porre
la
questione
e
non
risolverla
;
«
capitolo
»
anche
è
fuori
luogo
per
la
pagina
del
Nostro
,
nata
,
è
vero
,
nel
pieno
fiorimento
di
quello
,
e
indubbiamente
influenzatane
,
ché
la
prosa
di
Bartolini
è
tanto
lontana
dal
capitolo
cecchiano
,
quanto
da
uno
è
lontano
altro
stile
.
E
se
del
vecchio
racconto
o
abbozzo
realistico
,
è
inutile
anche
fare
il
solo
nome
,
come
invece
avviene
nella
fascetta
pubblicitaria
del
Cane
scontento
,
d
'
altra
parte
se
l
'
ispirazione
bartoliniana
è
essenzialmente
lirica
,
lo
è
al
di
fuori
da
ogni
liricità
in
quanto
purezza
o
essenziale
perfezione
:
Bartolini
ha
bisogno
del
molteplice
e
del
prosaico
,
seppur
come
un
padrone
ha
bisogno
del
proprio
schiavo
.
Così
,
se
da
una
parte
la
sua
poesia
in
versi
sembra
un
inasprimento
,
una
estrema
conclusione
della
sua
prosa
,
la
sua
prosa
è
sempre
sostenuta
e
tesa
da
un
frasario
vigorosamente
poetico
:
e
in
un
periodo
,
in
una
pagina
basta
trovare
«
sinistra
mano
»
invece
di
«
mano
sinistra
»
,
perché
tutto
il
senso
ne
sia
stravolto
e
poetizzato
.
E
allora
vorrei
riportarmi
a
quanto
dicevo
inizialmente
,
a
quella
foga
di
umori
che
,
rinverginata
di
volta
in
volta
dalla
sua
stessa
condizione
di
umore
,
resta
tutta
chiusa
,
serrata
e
perfetta
nella
pagina
che
da
essa
nasce
.
Allora
,
infine
,
prendendo
lo
spunto
da
una
vecchia
frase
del
De
Robertis
(
«
Quell
'
umore
che
è
,
direi
,
il
lievito
all
'
arte
di
Bartolini
...
diventa
una
forza
viva
e
operante
,
e
i
paesi
,
perfino
una
pianta
,
un
fiore
,
un
filo
d
'
erba
ne
son
pieni
,
parlan
per
sé
»
)
,
vorrei
distinguere
la
pagina
,
il
capitolo
bartoliniano
sotto
il
nome
di
«
umore
»
,
mutando
,
quasi
in
una
sosta
di
solidificamento
,
il
senso
di
questa
parola
.
«
Umore
»
che
,
in
mezzo
alla
verità
delle
pagine
,
trova
la
sua
unità
di
tono
in
quel
fondo
di
pianto
che
dicevo
ora
domato
ora
vincitore
,
e
,
nell
'
arco
di
queste
vittorie
e
sconfitte
la
sua
ammirevole
quantità
di
forme
,
che
,
dalla
collera
amorosa
alla
tetra
bizzarria
,
dalla
benigna
serenità
alla
strafottenza
,
cerca
la
sua
estrema
liberazione
in
un
acerbo
moraleggiare
.
L
'
orso
,
ed
altri
amorosi
capitoli
è
il
migliore
indice
di
questi
umori
:
la
lucidità
della
propria
visione
poetica
vi
è
matura
,
e
sicura
la
propria
condizione
etica
;
nessun
dubbio
,
nessun
compromesso
;
c
'
è
la
certezza
di
sé
,
la
potenza
di
sé
con
cui
si
costruiscono
i
capolavori
.
Ora
,
avrei
voluto
soffermarmi
,
esaminare
qua
e
là
questo
bellissimo
libro
,
ma
,
avendolo
aperto
,
sopraffatto
dal
piacere
dei
ricordi
e
dal
soverchiare
delle
postille
,
ho
dovuto
cedere
e
rimandare
ad
altra
data
un
particolare
discorso
sopra
di
esso
:
vorrei
solo
dire
,
qui
,
che
non
soltanto
nell
'
arco
ideale
domina
Passeggiata
con
la
ragazza
al
Cane
scontento
(
che
,
pur
contenendo
cose
bellissime
,
mi
par
opera
di
passaggio
da
una
certezza
e
potenza
di
sé
,
ad
un
'
altra
,
più
distesa
,
serena
,
paterna
)
,
esso
,
L
'
orso
,
tiene
un
posto
preminente
e
degno
di
lungo
futuro
.
StampaPeriodica ,
Viene
dalla
pittura
di
Virgilio
Guidi
la
forza
di
un
'
insofferenza
plastica
esposta
nel
suo
limite
visibile
alla
pura
dissoluzione
della
luce
.
L
'
interna
costruttività
del
disegno
dalla
sua
vibrata
eloquenza
iniziale
si
spoglia
d
'
ogni
peso
e
s
'
acuisce
a
smagrire
le
forze
in
un
colore
reagente
e
inedito
che
è
il
segno
critico
dell
'
artista
.
A
ben
giudicare
la
pittura
di
Guidi
concorre
la
vigile
e
ardente
ironia
di
cui
ogni
suo
quadro
tende
insostenibilmente
a
accendersi
dalla
materia
opaca
e
pregnante
,
ad
alleggerirsi
con
fissità
nella
luce
.
Storicamente
Guidi
ha
operato
al
di
là
dell
'
irrigidimento
formale
del
novecentismo
per
dare
un
tempo
pittorico
,
una
durevolezza
consistente
nel
colore
alla
dissipazione
luministica
di
Spadini
,
e
riportarla
criticamente
nel
segno
.
D
'
un
mondo
ampliato
ed
espanso
egli
ha
stretto
in
una
smania
nuova
il
movimento
e
la
fisica
architettura
,
lasciando
sfuggire
con
finitezza
nei
piani
luminosi
l
'
incisività
acuta
del
proprio
disegno
sino
a
raggiungere
nei
casi
più
felici
l
'
assoluto
stupore
figurativo
da
cui
altri
,
e
particolarmente
i
novecentisti
,
partivano
come
da
uno
schema
neoclassico
.
Di
questo
pittore
,
che
tra
i
contemporanei
ha
l
'
esperienza
forse
più
dinamica
e
attiva
,
sempre
affidata
al
lavoro
in
modo
tale
da
non
poter
essere
astratta
in
una
legge
o
in
un
metodo
,
esiste
una
forza
segreta
e
esemplare
che
in
ogni
opera
trasale
e
rende
le
figure
nuove
in
una
proprietà
umana
antica
,
senza
altra
retorica
.
È
questa
una
forza
d
'
arte
che
non
si
pesa
e
non
si
può
nemmeno
far
consistere
in
un
elemento
solo
del
quadro
:
è
la
luce
dell
'
opera
da
esterna
ridiventata
intima
e
calda
della
propria
sostanza
.
È
lo
specchio
dell
'
autentica
solitudine
con
cui
Guidi
senz
'
altro
onore
contemporaneo
,
merita
la
sua
dignità
di
maestro
.
StampaPeriodica ,
Lettore
,
Un
titolo
come
Caratteri
,
che
abbiamo
scelto
per
questa
Rassegna
,
potrà
sembrare
o
troppo
limitato
o
molto
impegnativo
.
Ebbene
;
è
proprio
per
ciò
che
l
'
abbiamo
scelto
.
Se
è
pur
vero
che
il
carattere
,
nel
suo
significato
più
elementare
e
,
diremmo
,
fisiologico
,
può
essere
inteso
come
un
dono
di
natura
,
sì
che
qualsiasi
uomo
,
anche
il
più
disarmato
ed
ignavo
ne
paia
fornito
alla
stessa
stregua
delle
piante
e
dei
minerali
;
in
un
significato
più
alto
,
spirituale
ed
umano
esso
assume
un
valore
di
conquista
morale
,
diviene
qualcosa
di
singolarmente
attivo
,
drammatico
,
esclusivo
.
È
solo
questo
significato
che
noi
accettiamo
.
La
nostra
rivista
non
vuole
essere
altro
che
un
luogo
d
'
incontro
di
persone
,
di
«
caratteri
»
,
ciascuno
dei
quali
,
secondo
il
proprio
temperamento
e
le
proprie
preferenze
,
sappia
riferire
su
queste
pagine
,
personali
scoperte
e
convinzioni
,
contribuendo
a
formare
un
clima
comune
,
un
fondo
omogeneo
di
esperienze
.
Massima
libertà
di
espressione
,
quindi
.
È
bene
dirlo
subito
.
Il
che
non
vuol
dire
atomismo
o
eclettismo
,
perché
la
scelta
dei
collaboratori
è
stata
guidata
da
affinità
più
o
meno
appariscenti
,
ma
irrefutabili
,
da
gusti
e
predilezioni
estremamente
tendenziose
e
inconciliabili
.
Persuasi
come
siamo
che
nella
letteratura
,
e
non
in
questa
soltanto
,
contino
principalmente
le
opere
individuali
,
ed
esse
tanto
maggior
influenza
abbiano
nei
confronti
degli
altri
,
quanto
più
personali
estreme
ed
incomparabili
,
noi
abbiamo
chiesto
ai
nostri
collaboratori
di
essere
ciò
che
nei
loro
più
intimi
desideri
non
possono
non
aver
desiderato
di
essere
,
e
cioè
se
stessi
,
cioè
dei
caratteri
.
Le
formule
,
gli
schemi
astratti
non
c
'
interessano
gran
che
,
e
se
qualcuno
vorrà
farne
uso
e
noi
stessi
ne
faremo
,
sarà
più
per
comodità
di
linguaggio
che
non
per
creare
nuovi
indirizzi
filosofici
o
artistici
.
Il
fine
ultimo
?
Servire
con
quanta
maggior
nobiltà
e
disinteresse
possibili
alla
nostra
arte
e
quindi
al
nostro
costume
,
i
quali
non
possono
essere
che
italiani
,
nutriti
di
tutto
ciò
che
forma
l
'
originalità
e
lo
splendore
della
nostra
arte
passata
,
e
insieme
guidati
dalla
grande
forza
che
ci
viene
dal
rinnovamento
spirituale
operato
in
Italia
dalla
Rivoluzione
Fascista
.
Il
fine
immediato
?
Svegliare
gli
addormentati
,
che
nel
nostro
campo
sono
oggi
tronfissimi
:
invogliare
i
migliori
alla
riflessione
e
alla
lettura
,
far
conoscere
,
o
far
conoscere
meglio
,
alcune
figure
di
artisti
che
crediamo
i
più
degni
della
nuova
arte
italiana
,
render
fertile
,
infine
,
attraverso
l
'
incontro
e
la
composizione
di
personalità
varie
e
di
esperienze
consimili
quel
terriccio
più
fecondo
alle
opere
d
'
arte
.
In
conclusione
:
riportare
gli
scrittori
a
quel
senso
gagliardo
,
esuberante
,
avventuroso
ch
'
è
stato
il
carattere
più
propizio
della
nostra
letteratura
,
violentata
oggi
troppo
spesso
da
interferenze
insopportabili
di
uomini
privi
di
dignità
,
snervata
,
e
sostituita
,
da
interessi
forse
più
urgenti
ma
non
per
questo
più
elevati
necessari
durevoli
.
StampaPeriodica ,
A
chi
capitò
di
leggere
il
primo
romanzo
di
Moravia
,
non
avendo
ancor
vent
'
anni
,
va
da
sé
come
più
volte
in
seguito
gli
sia
accaduto
di
ritornar
sul
giudizio
d
'
allora
,
un
giudizio
che
non
era
nemmeno
un
giudizio
,
ma
piuttosto
una
impressione
;
e
piacque
sì
,
ed
impressionò
,
il
modo
non
consueto
di
raccontare
,
ma
alla
fine
anche
quell
'
insistere
dell
'
autore
su
di
una
indifferenza
,
che
è
spesso
il
mal
comune
della
prima
giovinezza
.
La
prima
giovinezza
conduce
alla
scoperta
di
tante
cose
,
ed
anche
a
violenti
contrasti
per
il
momento
insolubili
:
da
una
parte
perdura
nell
'
animo
giovanile
un
moralismo
che
arriva
alla
grettezza
,
dall
'
altra
come
un
'
aspirazione
a
qualcosa
di
più
libero
e
di
più
sciolto
,
una
disposizione
di
animo
insieme
,
per
cui
si
gode
a
veder
nero
ciò
che
appare
invece
pacificamente
bianco
;
un
troppo
di
intelligenza
,
se
si
vuole
.
Forse
è
che
proprio
in
quell
'
età
ci
si
avvede
come
si
possa
guardar
il
mondo
ragionandoci
su
,
da
sottoporre
così
tutto
ad
una
specie
di
revisione
,
con
lo
scartar
le
care
credenze
di
cui
all
'
improvviso
ci
si
vergogna
,
col
proposito
di
esser
implacabili
nello
sguardo
,
e
di
ostentare
un
piacevole
cinismo
.
Ora
non
che
i
meriti
degli
Indifferenti
siano
tutti
nell
'
interpretazione
che
essi
possono
dare
,
perché
scritti
da
narratore
precoce
e
perché
ebbero
a
protagonista
un
giovane
non
ancora
uscito
dalla
più
torbida
giovinezza
,
di
una
età
tanto
più
piena
di
contrasti
;
in
ogni
modo
fu
proprio
per
quei
suoi
meriti
che
il
romanzo
ebbe
a
sembrarci
,
alla
prima
lettura
,
diverso
da
quello
che
oggi
,
rileggendolo
,
ci
sembra
.
Quasi
una
rivendicazione
a
nome
di
tutti
pareva
,
e
si
sa
bene
che
difficilmente
si
sarebbe
potuto
spiegar
rivendicazione
di
che
cosa
;
si
ammirava
il
coraggio
,
che
forse
era
poi
il
nostro
medesimo
coraggio
,
con
la
differenza
che
il
nostro
rimaneva
personale
turbamento
,
dove
nel
caso
dello
scrittore
si
dava
una
decisa
presa
di
posizione
;
e
riguardo
poi
a
quella
che
è
l
'
arte
del
romanziere
le
pagine
più
vistose
colpivano
,
nemmeno
disposti
a
cogliere
quelli
che
erano
i
motivi
più
intimi
di
Moravia
,
più
intimi
e
perciò
gli
unici
che
si
sono
ritrovati
nei
suoi
migliori
scritti
che
vennero
dopo
.
Tuttavia
dei
racconti
,
che
ora
Moravia
ha
raccolto
in
volume
nelle
edizioni
Caraffa
,
certo
molti
sono
quelli
che
poco
ci
dicono
,
se
si
va
a
chiedergli
un
'
arte
più
matura
nei
rispetti
del
primo
romanzo
.
Essi
rimangono
come
prove
,
e
l
'
autore
che
ha
voluto
raccoglierli
si
pensa
che
abbia
ambito
a
darci
i
segni
della
sua
attività
di
narratore
dal
1927
al
1933
,
non
quelli
del
suo
crescere
di
artista
.
I
motivi
sono
i
medesimi
degli
Indifferenti
,
ma
non
sostenuti
da
quel
fervore
che
,
fra
tante
pagine
spente
del
romanzo
,
era
pur
possibile
trovare
.
Il
titolo
poi
che
l
'
autore
dà
alla
raccolta
dice
di
per
sé
qualcosa
:
li
chiama
La
bella
vita
,
ed
è
ci
sembra
quel
titolo
quasi
una
diversa
interpretazione
morale
della
sua
narrativa
.
Prima
egli
cercò
di
far
risaltar
l
'
indifferenza
morale
di
certa
gente
,
oggi
la
smania
del
vivere
in
una
diversa
maniera
di
quella
medesima
gente
,
che
non
è
né
mondano
né
libertina
,
poiché
alla
fine
la
mondanità
e
il
libertinaggio
vogliono
una
mancanza
di
riflessione
e
una
leggerezza
ingenua
d
'
animo
che
manca
a
personaggi
condotti
ad
aver
sì
dei
miraggi
,
ma
non
mai
delle
contentezze
.
«
Ed
,
in
verità
,
io
credo
che
non
ci
sia
nulla
di
più
bello
che
viaggiare
e
andare
a
vedere
una
città
così
piena
di
negozi
e
di
divertimenti
come
Parigi
...
;
»
dice
la
ragazza
scappata
di
casa
al
fratello
che
la
va
a
ricercare
nel
racconto
che
dà
il
titolo
al
volume
;
e
Valdassori
,
nel
racconto
Lo
snob
:
«
...
tu
sei
intelligentissimo
,
sai
dire
le
cose
come
pochi
,
in
tuo
confronto
sono
una
bestia
...
;
ma
non
proibirmi
lo
snobismo
,
croce
e
delizia
della
mia
vita
...
;
lasciami
questo
piacere
,
in
fondo
tanto
innocente
...
»
.
Si
mira
cioè
sempre
ad
una
felicità
,
che
poi
insieme
ben
si
conosce
come
illusoria
.
Nei
racconti
ora
raccolti
parecchi
Micheli
,
parecchie
Carle
,
parecchie
Maria
Grazie
,
e
Lei
,
e
Lise
si
ritrovano
,
anche
se
in
essi
in
primo
piano
stiano
personaggi
che
assomigliano
al
primo
,
mentre
quelli
che
fanno
pensare
agli
altri
rimangono
di
assai
più
in
ombra
.
Si
tratta
quasi
di
appunti
,
di
accenni
ancor
timidi
a
quei
personaggi
più
evidenti
nel
romanzo
,
e
che
dei
racconti
ce
ne
siano
molti
che
hanno
data
posteriore
a
quella
degli
Indifferenti
che
conta
?
Conta
semmai
che
essi
quasi
sempre
,
se
si
eccettui
L
'
Inverno
di
Malato
e
La
Morte
Improvvisa
,
poco
aggiungono
ad
esso
,
non
aprendo
una
visuale
più
vasta
,
facendo
anzi
di
tutto
per
restringer
ancor
più
l
'
orizzonte
.
Ora
qui
non
si
accenna
a
quella
che
è
la
monotonia
degli
ambienti
.
I
racconti
di
Moravia
hanno
per
scena
o
camere
da
letto
,
o
sale
che
della
camera
da
letto
possiedono
la
morbidezza
e
la
lascivia
:
e
in
ciò
può
esservi
sì
un
limite
d
'
arte
,
ma
insieme
non
si
deve
affatto
escludere
la
nascita
di
una
particolare
poesia
anche
su
di
un
simile
palcoscenico
.
Si
deve
augurar
al
narratore
di
uscir
dai
suoi
chiusi
ambienti
?
Ne
siamo
incerti
,
e
poi
,
per
il
momento
,
c
'
interessa
di
segnar
come
le
camere
da
letto
,
pur
rimanendo
camere
da
letto
,
si
mutino
.
Quella
che
,
nel
1927
,
accoglieva
quello
sfiduciato
amante
della
povera
cortigiana
Maria
Teresa
è
assai
diversa
da
quella
che
,
nel
1935
,
accoglie
l
'
architetto
Sebastiani
e
Bosso
e
Marta
e
Nora
,
nel
racconto
ancora
fuor
di
volume
,
apparso
nel
numero
2
di
questa
stessa
rivista
.
La
scena
si
è
come
schiarita
,
l
'
occhio
del
descrittore
ha
smesso
di
frugar
tutti
i
cantucci
,
acquistando
una
padronanza
di
descrizione
che
prima
non
conosceva
,
tanto
che
nel
suo
descrivere
andava
avanti
pieno
di
cautela
e
di
meticolosità
:
esso
ha
acquistato
,
ci
verrebbe
da
dire
,
come
una
terza
dimensione
:
la
scena
da
cinematografica
è
diventata
teatrale
,
e
l
'
acquisto
ai
fini
dell
'
arte
se
pur
non
definitivo
non
ci
par
trascurabile
.
In
ogni
modo
rimane
pur
sempre
quel
senso
di
spettacolo
che
sempre
avemmo
dalla
narrazione
di
Moravia
.
Parlar
di
cinematografo
non
è
esatto
;
se
certi
racconti
di
Moravia
hanno
del
cinematografo
la
piattezza
visiva
,
pure
in
essi
si
incontrano
personaggi
che
,
se
anche
talvolta
rimangono
ombre
,
sono
diversi
dalle
ombre
dello
schermo
.
Le
ombre
dello
schermo
sono
ombre
di
personaggi
,
e
guai
se
volessero
essere
qualcosa
di
diverso
;
ogni
tentativo
di
maggior
rilievo
vien
tutto
a
loro
danno
;
le
ombre
di
Moravia
denunziano
forse
un
difetto
d
'
arte
,
ma
racchiudono
pur
sempre
una
loro
possibilità
d
'
arte
.
La
quale
poi
se
abbia
da
essere
quella
del
narratore
o
quella
dell
'
uomo
di
teatro
è
un
altro
conto
.
Importa
semmai
che
quelle
possibilità
si
sviluppino
,
e
uno
sviluppo
non
può
che
condurre
ad
una
via
giusta
.
Ora
l
'
impressione
che
Moravia
abbia
talento
teatrale
ci
venne
al
tempo
della
prima
lettura
degli
Indifferenti
,
cinque
o
sei
anni
fa
:
nasceva
essa
da
alcune
pagine
del
romanzo
:
quelle
che
ci
descrivono
la
cena
,
quelle
dell
'
arrivo
di
Michele
in
casa
di
Leo
,
e
il
suo
goffo
e
tragico
gesto
,
e
il
silenzio
che
ne
segue
,
e
l
'
apparizione
di
Carla
,
e
di
nuovo
un
impaccio
che
è
insieme
una
grande
desolazione
.
L
'
impaccio
e
la
desolazione
,
dopo
quello
che
altro
non
fu
che
una
tempesta
in
un
bicchier
d
'
acqua
,
spesso
si
ritrovano
nei
racconti
di
Moravia
;
magari
il
più
delle
volte
con
lievi
accenni
,
di
rado
con
l
'
intensità
che
troviamo
nella
scena
,
(
e
scena
è
la
parola
più
adatta
)
di
Michele
,
Carla
e
Leo
,
riuniti
nell
'
anticamera
di
quest
'
ultimo
.
Qualcosa
di
simile
si
dà
quando
Girolamo
,
dopo
la
sua
notte
insonne
,
attende
la
burrasca
del
medico
,
mentre
il
medico
viene
ma
non
la
burrasca
:
«
e
Girolamo
guardava
(
poiché
l
'
hanno
condotto
all
'
aperto
,
per
la
cura
del
sole
)
questo
festoso
paesaggio
con
gli
occhi
pieni
di
lacrime
:
nulla
era
successo
,
non
avrebbe
più
rivisto
né
il
Brambilla
,
né
la
piccola
inglese
;
era
solo
,
e
la
guarigione
sembrava
ormai
oltremodo
lontana
»
.
Forse
la
scena
un
poco
prima
era
retta
meccanicamente
,
e
più
che
con
altro
con
bravura
,
(
Michele
che
compra
la
rivoltella
e
,
andando
ad
uccidere
Leo
,
già
pensa
allucinato
al
processo
che
gli
faranno
;
oppure
:
l
'
arrivo
del
medico
che
«
incarnava
abbastanza
bene
il
tipo
del
medico
moderno
,
non
più
sacerdote
della
scienza
,
ma
abile
e
interessato
sfruttatore
al
tempo
stesso
del
proprio
ingegno
e
della
immensa
credulità
dei
malati
»
)
;
invece
ecco
che
si
accalora
,
e
sia
pur
di
un
assai
tenue
calore
.
È
che
i
personaggi
di
Moravia
sono
teatrali
nel
senso
meno
vistoso
della
parola
.
Forse
essi
,
fino
ad
oggi
,
non
hanno
recitato
che
di
rado
una
vera
commedia
,
avendo
fatto
,
il
più
delle
volte
,
delle
prove
.
Sono
personaggi
che
quasi
si
direbbe
debban
trovar
ancora
un
loro
canovaccio
,
ai
quali
tuttavia
non
manca
un
intimo
senso
drammatico
.
Moravia
può
darsi
che
abbia
davanti
a
sé
due
strade
:
quella
che
già
ha
presa
coi
risultati
notevoli
che
si
sanno
;
l
'
altra
più
deliberatamente
scenica
.
Scrittore
moralista
si
pensa
che
possa
trovar
sul
palcoscenico
elementi
di
cui
difetta
la
sua
arte
;
per
esempio
quell
'
umiltà
che
non
si
trova
spesso
nei
suoi
racconti
,
dove
ottime
sono
le
parti
,
e
anzi
perfette
,
ma
ahimè
,
fra
loro
scombinate
.
Si
badi
all
'
ultimo
suo
racconto
,
apparso
in
Caratteri
,
dove
le
movenze
dei
personaggi
han
proprio
della
rappresentazione
scenica
,
e
dove
una
certa
tempesta
ha
dell
'
accompagnamento
simbolico
.
Moravia
proprio
ambisce
a
qualcosa
di
simbolico
che
davvero
ci
par
inconciliabile
coi
suoi
propositi
di
narratore
verista
;
ma
è
forse
che
egli
non
si
vuol
accontentare
di
una
sua
realtà
che
gli
par
piatta
e
limitata
,
sicché
gli
occorre
,
in
qualche
modo
,
arricchirla
.
Ci
sta
bene
la
tempesta
nel
suo
ultimo
racconto
?
Ci
sta
,
e
ci
vuole
;
eppur
non
mi
par
bene
:
l
'
autore
ne
deve
aver
capito
la
necessità
e
l
'
importanza
,
solo
che
nel
tessuto
della
narrazione
quel
brontolio
lontano
e
minaccioso
,
non
raccontato
con
distacco
,
ma
detto
e
suggerito
al
momento
opportuno
,
appare
espediente
,
quel
che
forse
non
accadrebbe
su
di
un
palcoscenico
.
Tuttavia
rischia
l
'
arbitrio
questo
mio
far
supposizioni
che
si
fondano
su
certe
discordanze
colte
in
alcuni
racconti
,
le
quali
,
d
'
altra
parte
,
sempre
in
racconti
potrei
domani
ritrovar
risolte
con
felicità
;
e
così
la
recensione
corre
il
pericolo
di
diventar
un
pretesto
per
una
esercitazione
piacevole
ma
troppo
letteraria
;
e
Moravia
per
primo
può
stupirsi
che
gli
si
venga
a
suggerire
il
teatro
,
al
quale
chissà
se
egli
pensa
.
In
ogni
modo
anche
il
paradosso
,
al
quale
non
mi
par
di
essere
alla
fine
arrivato
,
può
servir
talvolta
a
mettere
in
un
certo
risalto
alcune
singolari
qualità
di
uno
scrittore
.