Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaPeriodica"
StampaPeriodica ,
La successione alla carica di capo del governo . Il Villari , però , da questa sua messa a punto , trae una deduzione troppo facile e superficiale , ed errata , quindi , come vogliamo dimostrare . Secondo l ' articolista , la affermazione di cui sopra « vale a dimostrare che il Segretario del Partito è colui che in caso di vacanza deve presiedere al governo dello Stato » . Questa « dimostrazione » del Villari , in sé , può essere diversamente intesa . Essa può significare che appena si verifica la vacanza il Segretario del P.N.F. assuma di diritto l ' interim , e limitatamente al momento , della carica di Capo del Governo . E ciò non sarebbe possibile , né avrebbe senso e valore allo stato attuale della legislazione . Ma non è questa la tesi dell ' A . Oppure , essa si riferisce ad una vera e propria successione alla carica di Capo del Governo , appena si verifica la vacanza . Ed il Villari proprio questa tesi sostiene , come anche chiaramente si intende da quanto egli aggiunge subito sotto : « Concludendo , è possibile stabilirne anche in sede di teoria dello Stato fascista questa gerarchia : il Segretario del Partito è il futuro capo del Fascismo ( Duce in potenza ) , il Duce - Capo del Fascismo è il futuro Capo del Governo . Quando il Duce è Capo del Governo il Segretario del Partito è come il Vice Duce , vale a dire il Vice Capo del Governo » . Noi non siamo , in questa conclusione , affatto d ' accordo coll ' articolista di Fronte Unico ( fra parentesi , diremo che questa gerarchia che egli costruisce , parlando di un Duce in potenza e di un Vice Duce oltre che errata , non ci pare molto ... seria . Essa poi solleverebbe anche diverse questioni sostanziali ) . Non siamo d ' accordo col Villari , ed a lui , infatti controbattiamo richiamandoci alle positive disposizioni della legge fascista , e precisamente all ' art . 5 dello Statuto del P.N.F. anche da lui invocato , ma non rettamente , ci pare , inteso , all ' art . 2 della legge sulle Attribuzioni e Prerogative del Capo del Governo , del 24 dic . 1925 , ed infine all ' art . 13 della legge 9 dic . 1928 sul Gran Consiglio del Fascismo . Il capo del governo e il partito . Innanzi tutto , notiamo l ' art . 1 dello Statuto del Partito in cui si afferma che « Il Partito Nazionale Fascista è una milizia civile , agli ordini del Duce , al servizio dello Stato Fascista » . L ' art . 5 dice : « Il P.N.F. attraverso i gerarchi e gli organi collegiali , svolge la sua attività sotto la guida del Duce e secondo le direttive segnate dal Gran Consiglio » , e continua quindi con la lista dei Gerarchi e degli organi collegiali , in testa alla quale , Primo Gerarca , figura il Segretario del P.N.F. Ora , per valutare la figura giuridica del Segretario del P.N.F. , qualificato « primo gerarca » del Partito stesso , bisogna intenderci sul valore intrinseco del nome e della persona di Gerarca . Noi , tenendo presente che il P.N.F. è milizia agli ordini del Duce ; che la attività svolta dal Partito avviene sotto la guida del Duce , e i gerarchi , numerosi , sono solo gli esecutori è significativa la espressione , « attraverso i gerarchi e gli organi collegiali » dell ' art . 5 delle direttive del Duce e Capo del Governo ; ricordando ancora che per l ' art . 2 della legge 24 dic . 1925 , n . 2263 , è il Capo del Governo responsabile verso il Re dell ' indirizzo generale politico del Governo , mentre i Ministri sono responsabili verso il Re , sì , ma più immediatamente verso il Capo del Governo tenendo presente tutto ciò concludiamo che la figura del Segretario del Partito manca , di fronte al Gran Consiglio del Fascismo , alla Corona , alla Nazione , di quella autonomia di funzioni e di responsabilità e ancora a prescindere dall ' art . 13 della legge sul Gran Consiglio , pure chiaro in materia , e di cui diremo sotto che il Villari implicitamente afferma esistere , quando sostiene come abbiamo visto , che in caso di vacanza il Segretario del Partito è colui che deve presiedere al Governo dello Stato , e afferma , sotto , che « la riforma costituzionale dovrà tenere presente questa realtà non solo rivoluzionaria ma anche giuridica » . Si può dire subito in che consista l ' errore fondamentale del Villari . Egli ha confuso e male inteso elementi politici con elementi giuridici , senza considerare le positive disposizioni della legge fascista . Politicamente , la figura del Segretario del Partito nella vita della Nazione si pone certo con fondamentale importanza , per il fascio di attività cui egli si trova preposto , attività , quelle del Partito , che non solo investono tutti gli aspetti della vita sociale , ma sono anche in contatto con i nuovi e vecchi organi dello Stato . Ma giuridicamente , siamo lì : ci sono la legge sul Capo del Governo , lo Statuto del Partito , c ' è la legge sul Gran Consiglio la quale all ' art . 13 precisa e dispone : « Il Gran Consiglio ... forma e tiene aggiornata la lista dei nomi da presentare alla Corona in caso di vacanza per la nomina del Capo del Governo ... » . Il segretario del partito nazionale fascista . Secondo noi , dunque , la figura del Segretario del Partito non ha , soprattutto in senso giuridico , quella autonomia , quella personale rappresentatività del P.N.F. , di fronte al Capo dello Stato , che sarebbe innanzitutto intrinsecamente necessaria perché il Segretario del P.N.F. in caso di vacanza si ponesse come colui che deve presiedere al Governo dello Stato . Anche dal punto di vista della figura del primo gerarca del Partito noi vediamo delinearsi la fondamentale caratteristica dello Stato Fascista : quella del concentramento della direzione del Governo nella unica persona del Capo del Governo stesso . E su proposta di questi che i ministri vengono eletti . Egli ne dirige e coordina l ' opera , mentre egli solo è responsabile verso la Corona dell ' indirizzo politico del Governo . I Ministri , quindi , e così il Segretario del P.N.F. , Primo Gerarca del Partito stesso e Ministro , nel compimento del proprio mandato prima di tutto devono godere la fiducia del Capo del Governo , di fronte al quale sono responsabili . Il Capo del Governo resta Capo del Partito . Ed anche qui il Segretario del Partito è un suo fiduciario , di cui egli si serve nell ' opera attiva di direzione del Partito . Il Segretario del Partito non esprime in sé la forza del partito di fronte alla Corona , in caso di vacanza . Di questa forza , nel momento della successione al Capo del Governo , è portatore il Gran Consiglio del Fascismo , il quale infatti presenterà alla Corona la lista dei nomi per la nomina a Capo del Governo . Ed è questo il modo con cui il Partito Fascista si assicura l ' effettiva continuità di Governo dello Stato . Che il Segretario del Partito sia de jure Segretario del Gran Consiglio si capisce benissimo , e non è certo da questo fatto che si possono trarre le conclusioni cui arriva il Villari nel suo studio . In quanto il Segretario del Partito sia delegato a convocarlo e presiederlo , questa pure è una logica possibilità per la posizione , importante e di primaria fiducia da parte del Capo del Governo , in cui si trova il Segretario del Partito . Resta il caso di vacanza della carica . Che il Segretario del Partito in questa situazione delicata sia chiamato , di diritto , pare , a convocare e presiedere il Gran Consiglio , è , siamo d ' accordo , di estrema importanza . Vogliamo anche dire però che dato che il Gran Consiglio dev ' essere pure convocato e presieduto , è naturale che lo sia dal Segretario del Partito , sempre quale primo gerarca del Partito stesso . Ma questo fatto non ha alcuna conseguenza giuridica per quel che riguarda la successione . La successione alla carica di Capo del Governo è molto semplice avverrà secondo la legge già posta , secondo cioè l ' art . 13 della legge sul Gran Consiglio , organo costituzionale dello Stato . Che poi il Segretario del Partito sia uno dei designati della lista , questa sarà una possibilità come un ' altra . Notiamo anche che il fatto di presiedere , nel tempo di vacanza , il Gran Consiglio non influisce sulla composizione della lista . Né in senso giuridico , come abbiamo detto . E neppure in senso politico , in quanto che la lista non viene composta al tempo della vacanza della carica , ma il Gran Consiglio già prima la forma e tiene aggiornata . Il Villari discute a lungo sulla ragione della nomina a Ministro del Segretario del Partito . A noi essa sembra chiara e semplice , quanto profonda nel suo significato e nel suo valore . Intanto , per permettere la normale partecipazione del Segretario del Partito ai Consigli dei Ministri . Poi , ad esprimere , nel Segretario del Partito Nazionale Fascista , Ministro del Governo del Re , la conquista , politica e giuridica , dello Stato da parte del Partito . Il Partito Fascista , giunto al Governo , realizzò , per mezzo di leggi , una trasformazione della struttura dello Stato . L ' elemento politico è determinatore della realizzazione giuridica . Non solo . Ma la forza politica si concreta in realtà giuridica . Così , ecco il Partito Nazionale Fascista divenire elemento essenziale dello Stato Fascista , e il suo primo Gerarca essere nominato Ministro .
StampaPeriodica ,
Vogliamo riassumere in questa « rassegna della stampa » i notevoli contributi che Critica fascista ha portato nel corso di quest ' anno al problema dei giovani in quanto problema della formazione di una classe dirigente . Nel caso più fortunato questo problema è posto direttamente dal giovane ed allora non è semplicemente problema della « caccia » a qualche dignità nelle organizzazioni ; è problema di quelli « che intendono mettersi al centro stesso del mondo ideale creato dagli anziani , per rivederne carte ed orientamenti . Giudicano costoro , che i posti , le funzioni , le cariche , le responsabilità di comando in mano dei giovani sono meno che niente , se non servono a rinnovare esperienze , metodi , sistemi , impostazioni formali e sostanziali dei problemi , che sempre mutano nel volgere degli eventi e delle generazioni » . Ma per riuscire a questo la loro attività deve essere concreta , costruttiva « poiché è da stolti uscirsene fuori con un frondismo generico , allusivo , farcito di ammiccamenti caricaturali a questo o a quel tipo di gerarca pretenzioso , a questo o quel sedicente Padre Eterno della scienza » . Forse la ramanzina è troppo violenta perché si è portati nei primi passi , nel prendere cognizione del mondo che ci circonda , a questo atteggiamento , che diviene inconcludente solo in quanto sia fine a se stesso . Ma purtroppo la nostra storia ci insegna che troppo spesso uno sforzo generoso si è risolto in qualche insignificante « pasquinata » ! Ma se tutto il problema stesse qui , non ci si spiegherebbe quel certo che di stanco e di acre che lo accompagna sempre : il problema è più grave , poiché sono pochi i giovani che vanno incontro alle loro responsabilità . Molti , i più , trascorrono quieti , nel conformismo di una vita limitata , e perciò il problema dei giovani è più un problema di carenza , che ingigantisce allora fino a quello della formazione della classe dirigente . Formazione di una classe dirigente . Camillo Pellizzi , ricercando nella Critica fascista del 15-6-XV , un rimedio a questo stato di cose , si sente attratto verso i metodi dei colleges inglesi e vorrebbe associare alle scuole , dalle elementari all ' università , un complesso di esercitazioni . In esse il giovane dovrebbe educarsi « alla deliberazione responsabile , alla valutazione equa delle diverse opinioni , alla disciplina del dibattito » . Confessiamo che , per quanto questo ideale di dolce Accademia possa sedurci in qualche momento di nostalgia melanconica , non ci sentiamo di appoggiare una proposta che all ' atto pratico si ridurrebbe ad una mera classe di retorica o a qualche istituzione del tipo dei boy scouts . Ma , a parte la facile ironia , a cosa condurrebbe la proposta del Pellizzi ? Agostino Nasti , nella Critica fascista dell'1-7-XV , afferma che « quel sistema da sé solo , potrebbe essere , date le caratteristiche dell ' ingegno italiano ( brillantezza , facilità , attitudine alla retorica ) , un mezzo di esercizio della sola intelligenza e corruttore della personalità morale » . Si finirebbe così per cadere nuovamente in quella dittatura di funzionari , che Pellizzi ritiene essere « fenomeno di cui la storia ha vari esempi : e sono tutti esempi a ben guardare di decadenza » . Noi non vogliamo con questo spezzare la lancia contro la discussione , la libera discussione . Noi vogliamo soltanto mettere in guardia contro l ' abuso di essa , abuso che ci condurrebbe in questo caso ad una sterile , esangue ed organizzata esercitazione . In essa la borghesia , feconda soltanto di funzionari e di burocrati , diguazzerebbe contenta e soddisfatta , seguitando ad inquinare ed a monopolizzare la classe dirigente italiana . Il fondamentale problema è invece come dice Nasti quello di immettere nella classe dirigente italiana il popolo ed egli vorrebbe che il « Pellizzi chiarisse se è d ' accordo sulla necessità di questo rinsanguamento della classe politica italiana , sulla necessità , cioè , che questa sia apertissima , che si faciliti l ' ingresso in essa di uomini espressi dal popolo e che sia necessario quindi pensare al modo di preparare questi elementi popolari , che non sono preparati dall ' ambiente familiare e nemmeno nelle scuole , perché frequentano solo le elementari » . Sindacati e classe dirigente . Ma per la scelta di questi elementi egli non ritiene sufficiente la « scuola » sindacale e si chiede angosciato : « Dovremo sempre essere un popolo di prim ' ordine guidato da una mediocre classe dirigente ? » . Indubbiamente , pensando al modo con cui oggi funzionano i sindacati , non è possibile sperare che da essi si esprima facilmente questa nuova classe dirigente . Ma noi non condividiamo l ' estrema punta di angoscia del Nasti e pensiamo invece che lo sforzo nostro debba rivolgersi proprio verso l ' organizzazione sindacale . Essa ha molti difetti e tutti lo confessano . Longo , per es . , in Critica fascista dell'1-6-XV , insiste « sulla necessità ed urgenza di approfondire ed intensificare l ' opera di educazione sindacale delle masse lavoratrici » poiché « i giovani lavoratori , in genere , non si interessano abbastanza del sindacato e della vita sindacale » . Ma senza sperare in una formazione spontanea di questa classe dirigente attraverso i sindacati , noi crediamo che questa sia ancora l ' unica via e ce la indica la coscienza , che abbiamo della maturità dell ' operaio italiano , maturità fatta di cosciente responsabilità e di disciplinata decisione . Il nostro sforzo deve mirare a liberare da impacci burocratici ed organizzativi queste forze che sole ci permetteranno la formazione di quella classe dirigente unitaria che non porti più in sé « le conseguenze della divisione politica e non soltanto in senso territoriale che precedette l ' unificazione dell ' Italia » . Avviso agli universitari . E nel paragrafo precedente abbiamo parlato , a ragion veduta , del sindacato come dell ' unica via per la formazione della classe dirigente , poiché , se l ' universitario non vorrà morire nella burocrazia o nel frazionariato , egli dovrà finire collo spogliarsi di molte delle sue soprastrutture e dovrà soprattutto avvicinarsi alla classe operaia avvicinarlesi nel sindacato , nel gruppo rionale , nel dopolavoro . Ma egli è ancora molto distante da questo suo imprescindibile compito . Vediamo , infatti , i resoconti del Convegno di dottrina del fascismo , ai Littoriali di quest ' anno . In esso troppo si è teorizzato astrattamente e formalmente . Giancarlo Ballarati , Littore di quest ' anno , in Critica fascista dell'1-5-XV , chiama « negativo e sterile quell ' aspetto del convegno , che si è posto alla astratta ricerca della determinazione di una personalità ideale e di un concetto speculativo dello Stato , perché si compiva l ' opera vana della giustificazione del punto di partenza , rivendicando lo Stato come interiorità e spiritualità ciò che è presupposto ormai pacifico , e caratteristica propria anche a forme non fasciste di Stato » . Lasciamo da parte l ' invito , che credo imbarazzante , a tirar fuori quelle altre forme non fasciste di Stato e concordiamo senz ' altro nel ritenere sterile questo circolo vizioso della giustificazione del punto di partenza . Ma crede forse il camerata Ballarati che questo Stato interiore e spirituale sia presupposto ormai pacifico ? Se lo è per alcuno , lo sarà per gli ondivaghi filosofanti , per quelli che , come vedo riportato nel successivo articolo di Vincenzo Buonassisi « credono che l ' Impero esistesse entro di noi prima che disponessimo di un sol metro quadrato di territorio » . Noi crediamo invece che la discussione teorica sia utilissima e necessaria , purché esca dall ' esoterismo di questo Stato in interiore hominis . È l ' avviso che noi dobbiamo ricavare da questa lunga polemica e specie dalle parole di Nasti , è quello di rompere una buona volta col pacifico vivacchiare e profittare del « pane della scienza » . Si afferma l ' identità del pensare e del fare per poi solo pensare o meglio arzigogolare schemi .
OPERAI E UNIVERSITARI ( LUCCINI ETTORE , 1937 )
StampaPeriodica ,
Relazione di un esperimento . Quale documentazione dell ' articolo comparso nel numero ultimo « Universitari e operai » , pubblichiamo la relazione di conversazioni svoltesi al Dopo Lavoro Poligrafici « F . Corridoni » di Padova , di un gruppo di operai e un gruppo di fascisti universitari . Queste conversazioni sono state improntate dal massimo cameratismo . Entrambi i gruppi hanno voluto scambiarsi qualcosa ; gli universitari dare un ordine , una inquadratura ideale ai problemi politici e sociali che nascono nella classe operaia , perché essa acquisti una maggiore consapevolezza di se stessa , gli operai han voluto rimpolpare di vita concreta gli ideali e gli schemi portati dagli universitari , perché essi vivano un ' esperienza più aderente alla realtà . Le discussioni , sebbene calorose , sono state serene e obbiettive . Volutamente non è stato fissato un programma preciso ; ma di volta in volta sono stati proposti per la riunione successiva quei temi e quei problemi , che , nella discussione , si erano mostrati più interessanti . Il pretesto per iniziare le conversazioni è stato offerto dal pensiero politico e sociale del Mazzini . Questa prima riunione è stata particolarmente vivace ; si tratta di fare amicizia , di conoscersi reciprocamente e di superare i dissensi per poter giungere a una vera collaborazione . Obiezioni operaie . Gli operai , pur riconoscendo che sarebbe desiderabile il formarsi di una élite operaia che fosse educata alla responsabilità politica immessa nella classe dirigente , vollero far sentire agli universitari che il problema urta poi nella realtà contro difficoltà gravissime , e specialmente gli operai più anziani , che la vita politica di altri tempi aveva amareggiato , vollero , accentuando magari nel calore polemico le tinte , che i giovani universitari e gli operai si rendessero ben conto di esse e delle loro gravità . Ne risultarono osservazioni che possono sembrare improntate ad un amaro scetticismo , ma che volevano avere invece solo la funzione igienica e ritemprante di una doccia fredda ; e ciò risultò dalla stessa confessione dei critici più severi , e dal fatto che la fede dei più giovani non fu affatto turbata . In ogni modo fu obiettato innanzitutto che le prime difficoltà nascono proprio dalla stessa mentalità della classe operaia . L ' operaio cioè non sa diventare dirigente restando operaio . E ciò vale sia nel campo più precisamente tecnico che in quello politico . L ' operaio dotato di intelligenza e di qualità direttive tende non solo a differenziarsi dagli altri operai , ma a staccarsi da essi , tende a diventare borghese . Le cause fondamentali di questa mentalità sono da ricercarsi : sia nella vita che l ' operaio conduce , la quale per la sua durezza è tale da educarlo all ' egoismo anziché alla collaborazione ; sia nell ' ambiente sociale troppo gretto che diffida di ogni personalità che voglia elevarsi e la contrasta ; sia nella poca considerazione che in tale ambiente ha la cultura e nella reale difficoltà per un lavoratore di studiare e di orientarsi da solo ; e infine nella gelosia con cui l ' operaio che non fatica è asceso ai massimi limiti della sua categoria , difende le sue conquiste economiche e sociali ; gelosia tanto più viva quanto più lenta e difficile è tale ascensione . Per tutte queste difficoltà che sorgono in seno alla classe operaia è oltremodo difficile elevarla , ed è quasi impossibile anzi , poiché questa classe è destinata a perdere , man mano che in essa si formano i suoi elementi migliori che non formeranno l ' élite della classe operaia , ma passeranno nella diversa classe borghese della quale assumono colla più grande naturalezza la mentalità e che essi rinsanguano di continuo con nuove forze . Altre osservazioni mirano invece a dimostrare le difficoltà intrinseche che ostacolano una superiore educazione politica della classe operaia . Si faceva osservare che la causa è da ricercarsi non solo nella mentalità egoistica dell ' operaio , ma nella complessa struttura economica e sociale di una società che è tuttora prevalentemente borghese . In essa infatti il problema della classe dirigente è sentito essenzialmente come proprio , in modo quasi esclusivo , della classe borghese . Si richiedono infatti studi lunghi , complessi e non sempre utili che sono preclusi all ' operaio che ha scarsi mezzi economici ; la successione ai posti dirigenti è governata da un notevole automatismo per cui si stabilisce quasi una specie di eredità nella direzione ; la sempre crescente disciplina della vita economica costringe maggiormente l ' operaio nella sua categoria e in seno ad essa gli è preclusa ogni ascesa al di là di certi limiti molto ristretti . Queste difficoltà esteriori non sono infine l ' ultima ragione del formarsi di quella mentalità egoistica di cui sopra , e del poco amore dell ' operaio per la sua classe . Tutto ciò è causa ancora di una sempre più viva consapevolezza negli operai , e specialmente nei più dotati , di un dualismo di classe . Il fascismo ha superato la lotta di classe e tuttavia questo sentimento così vivo della dualità delle classi e del loro equilibrio di fatto genera un senso di disorientamento .
ARTISTI DEL G.U.F. ( E.L. , 1938 )
StampaPeriodica ,
La Mostra d ' Arte organizzata dal nostro G.U.F. ci fa conoscere due giovani artisti che sono qualche cosa di più di semplici « promesse » : Antonio Zancanaro e Arrigo Episcopi . Formatisi entrambi in modo indipendente da ogni indirizzo scolastico , rivelano una loro personalità precisa , una originalità che invano noi potremmo cercare in altri giovani . Lontani da ogni Accademia o Cenacolo essi esprimono con piena sincerità la loro visione del mondo e della vita , non costretti in alcuna formula , non snaturati da alcuna imitazione . Questa lode deve essere detta per entrambi sebbene la loro arte presenti aspetti del tutto contrastanti e sebbene molto diversi siano i valori che rappresentano . TONO ZANCANARO . Tono Zancanaro è il più maturo e completo . Egli è assolutamente un autodidatta . Viene da una famiglia di artigiani e del padre meccanico egli ha ereditato l ' amore appassionato al lavoro , la scrupolosa e faticosa ricerca della perfezione tecnica , l ' onestà più assoluta nel produrre , nel creare . Non si può certo rimproverare a Tono Zancanaro di lavorare poco ; questa mostra ospita più di cento opere in bianco e nero e un grandissimo numero di schizzi , di bozzetti , di studi , e il tutto è prodotto dal metodico lavoro di meno d ' un anno . E quello che più stupisce in tanta produzione è l ' alto livello di quasi tutte le opere , la continuità dell ' ispirazione , la scrupolosa rifinitura di ognuna . Questa onestà di lavoro è la prima virtù di Zancanaro ed è valida testimonianza della serietà e profondità del suo mondo morale ed artistico , e non a caso abbiamo voluto sottolinearla prima di passare ad una valutazione propriamente artistica , perché è questa stessa profondità morale che rende viva e vera la sua arte . Tono Zancanaro , oggi , quando come mai l ' arte italiana appare imprigionata in un formalismo vuoto di valori spirituali e schiavo dell ' artificio , offre a chi vuole intenderlo un ' arte che è l ' espressione vigorosa di una visione della vita sincera e profonda . La sofferenza che si legge nelle opere di Zancanaro non è quella che tormenta la maggior parte degli artisti moderni e si rivolge tutta alla ricerca di nuove espressioni formali o tecniche . La sua sofferenza è per la vita e per gli uomini che sono affaticati dal male e dal dolore . Da queste sue opere si capisce che per lui l ' essenziale è intendere le cose , penetrare la realtà e la vita ; il problema di esprimersi si risolve allora da solo : la tecnica nascerà spontaneamente , necessariamente anzi , e nuova e personale come nuova e personale è l ' interpretazione . In questa sincera ricerca Zancanaro esprime la sua dolorosa convinzione : che il male , il brutto , sono nella radice stessa della vita e deturpano ed avviliscono la bontà , la bellezza , la gioia . L ' uomo nella sua più intima essenza è fatto per il bene e per il bello , ma tutto è imperfezione attorno a lui e la sua vita non può per ciò non essere infelice . Zancanaro ci raffigura il più delle volte uomini o immersi nel sonno o guardanti lontano con l ' occhio assente . Ma quel sonno è piuttosto tristissimo abbandono , è la sofferenza di chi è vinto e privo insieme anche di quella pace e di quel riposo che pur consegue alla sconfitta . Questi dormienti esprimono un tormento senza fine come senza fine è l ' ansia della nostra natura per il bello ed il buono e senza risoluzione è la contraddizione che ci lega al male e al dolore . Nei paesaggi Zancanaro interpreta in modo analogo alla vita dell ' uomo la vita della città . Così preferisce la notte ; le vie silenziose , tutte contrasti di ombre densissime e di luci improvvise . L ' armonia degli elementi architettonici , delle masse dei muri e degli alberi si smarrisce nel mistero creato dalle ombre che si annidano dense nel fogliame e nei portici oscuri e profondi . Altre opere invece manifestano una vivace reazione , una aspra intolleranza di ciò che è o troppo brutto o assurdo , e l ' arte di Zancanaro si esprime allora in grotteschi di grande efficacia , ma a volte così permeati della personalità del loro autore che recano simboli probabilmente comprensibili a lui solo . È attraverso questo profondo e doloroso sentire che Zancanaro ha conquistato la sua stessa tecnica , onesta , vigorosa , sempre più espressiva e aderente al pensiero . Nessuna imitazione , nessuna corrente accademica . Se qualche cosa dai moderni artisti italiani egli ha appreso , è da Rosai ; ma non in modo estrinseco e servile . Da questo nostro pittore , che egli reputa suo maestro ha imparato onestà e purezza e la sincerità nel vedere e nell ' esprimersi . ARRIGO EPISCOPI . Con un ' arte del tutto diversa si presenta Arrigo Episcopi . Egli è molto più giovane , ma anche meno maturo di Tono Zancanaro , e tuttavia anche la sua pittura è caratterizzata dalla sincerità . Se di Zancanaro si potesse dire che vede tutto troppo sul serio , di Episcopi bisognerebbe affermare che nulla egli prenda sul serio . In questa scherzosità che rasenta a volte la presa in giro è del resto la sua originalità , la sua nota schiettamente personale . Episcopi non vuole penetrare oltre la corteccia la realtà , e ciò deliberatamente . Non è un superficiale pretenzioso che finga con veli letterari e retorici una commozione che non sente ; egli non vuol essere commosso , forse non sa commuoversi , e facilmente ride di ogni istrioneria , di ogni posa tragica o sentimentale . Molti suoi tratti caratteristici sono del resto propri di gran parte della nostra gioventù , che appare fredda , ipercritica , motteggiatrice . Egli volutamente respinge ogni solennità , ma esige che ciò che resta abbia i segni dell ' intelligenza e dell ' eleganza , appaghi con la grazia e con lo scherzo . Tra le cose sue che più lo rappresentano son certi quadretti acquarellati con molto buon gusto , popolati da infinite figurine disegnate con fresca spontaneità , spesso con umorismo facile e signorile . Ma vi sono quadri di maggiore respiro , e particolarmente notevoli sono i ritratti ; il nostro giovane artista sa cogliere ciò che vi è di caratteristico nei suoi modelli , con acume cui non va disgiunta una certa vena di composto e sereno umorismo che anche qui rivela il suo personalissimo carattere . È qui che Episcopi esprime col più bel garbo questa sua ferma volontà di restare alla superficie . Eleganza , ordine , equilibrio nel disegno e nelle tonalità , sono le doti di queste sue opere e sono in fondo la preoccupazione più viva del nostro giovane artista . Non vogliamo dire con ciò che egli cada in quel formalismo , in quel tecnicismo che più sopra abbiamo rimproverato a troppi dei giovani pittori italiani ; il suo spirito critico , la sua immediatezza lo trattengono da questa via facile . Episcopi , se scherza su tutto , l ' arte sua però la prende sul serio , ed egli va conquistando con sforzi assidui e con progressi continui la sua orginalità e la sua maturità d ' artista .
FINE O POTENZIAMENTO DEL SINDACATO? ( CURIEL EUGENIO , 1937 )
StampaPeriodica ,
C ' è stato quest ' anno un generale desiderio di rivedere le posizioni conquistate dal sindacato fascista : desiderio originato dalla nuova parola d ' ordine autarchica , che ha aumentato enormemente il potere delle corporazioni , originato anche dalla visione della enorme , seppur confusa , esperienza tedesca del Fronte del lavoro . Questa revisione era necessaria , come si è visto dalla molta confusione che ha originato e dalle diverse reazioni che ha provocato . Stato corporativo e sindacato . Il problema che si poneva era quello del significato del sindacato di fronte alle corporazioni . E si parlava del sindacato , avendo presente il complesso delle organizzazioni dei lavoratori , come quelle di più alto interesse politico . Il sindacalismo fascista , si dice , ha cessato di esistere da quando il regime ha istituito le corporazioni ; da esse il potere del sindacato è stato notevolmente diminuito . La legge del '34 ha portato un ' altra riduzione nel potere del sindacato ; attraverso a questa legge la corporazione ha acquistato un potere economico normativo , tale che ad essa deve essere demandata ogni autorità nella stipulazione dei contratti tra il capitale e il lavoro . Quest ' autorità è , infine , singolarmente accresciuta dalla parola d ' ordine dell ' autarchia , che ha trovato i suoi organi esecutivi nelle corporazioni . Che resta dunque del sindacato , si chiedono i numerosi teorici della liquidazione , i numerosi teorici che temono la vivace realtà delle masse e che vorrebbero la fine dell ' organismo che le rappresenta . Noi non vogliamo scendere nella discussione dei loro capziosi argomenti e vorremmo che essi si ponessero un ' altra domanda : cosa sarebbero le corporazioni , cosa sarebbe tutto lo Stato corporativo senza i sindacati ? Perché liquidare vasti organismi , passando le attribuzioni specifiche allo Stato per il tramite della corporazione , è cosa facile . E anche cosa comoda , perché permette di risolvere elegantemente profonde difficoltà teoriche , eliminando coraggiosamente una delle parti in causa . Permette , inoltre , di costruire belli schemi in cui graziosamente si armonizzano le varie attività politiche , economiche e sociali . Ma , quel che più conta , liquidare il sindacato significa poter risolvere gli infiniti problemi economici , senza contatti con l ' impura realtà degli interessi e delle necessità . E non si venga fuori adesso colla solita obiezione del superamento della lotta di classe . Che essa sia superata , lo sappiamo tutti , ma cosa vuol dire superarla non si sa troppo . C ' è chi sogna che il superamento della lotta di classe debba significare un placido mondo in cui l ' economia ha perso la sua crudezza vivace per diventare mansueta e delicata come nell ' età dell ' oro . No , superare la lotta di classe non significa come giustamente nota Arrigoni nel primo numero di Dottrina fascista « abolire la lotta , la competizione , il contrasto di interessi . Il corporativismo egli continua è per la collaborazione degli interessi in vista di un fine supremo , ma non per la loro identificazione » . Composizione dunque , non identificazione , ché identificazione non si avrebbe senza la violenta abolizione di una delle parti in causa , abolizione cui nessuno pensa , né penserà . Ma ritornando alla domanda che avevamo posta ai signori liquidatori , vediamo subito quali sarebbero le caratteristiche di questo Stato corporativo , privo della sua base sindacale . Tutte le attribuzioni relative ai contratti tra lavoro e capitale , tutte le forme di assistenza e di educazione professionale , tutte le forme di controllo sull ' applicazione dei contratti collettivi , la funzione di collocamento : tutto passa allo Stato . Esso organizzerà enormi apparati burocratici , frazionerà questi secondo i vari compiti ed aspetterà che funzionino . Ma essi non funzioneranno perché mancherà loro quella necessaria sensibilità rispetto alla vita economica e sociale che si ottiene attraverso ad un contatto reale ed immediato con la ridda degli interessi in competizione . Il loro carattere di organizzazione partente dall ' alto sminuzzerà la loro azione , frazionandola in tanti compartimenti stagni , senza la leggera e pronta aderenza alle diverse esigenze del momento . Funzioni e disfunzioni del sindacato . Ma credono proprio i liquidatori che il sindacato non abbia fatto nulla in questi ultimi anni e si sia ridotto ad una organizzazione mutualistico - organizzativa ? Hanno dimenticato che gli aumenti salariali del '36 e del '37 sono stati predisposti ed elaborati nel seno delle organizzazioni dei lavoratori ? Hanno dimenticato la funzione di educazione politica che rappresenta per le masse lavoratrici la vita sindacale ? Hanno dimenticato , infine , che il sindacato è il riconoscimento legale del principio associativo della massa lavoratrice , di quel principio per cui hanno lottato intere generazioni di lavoratori ? Ma la colpa dell ' averlo dimenticato non va tutta ai liquidatori , poiché una parte notevole di essa spetta anche al sindacato . Esso ha dato luogo a questa corrente di sfiducia per la frequente inosservanza dei suoi compiti specifici , esso non ha sempre funzionato e quando ha funzionato non lo ha fatto sempre bene . Al sindacato incombe un ' alta responsabilità nella vita nazionale : esso è l ' organo attraverso al quale masse ingenti di lavoratori sono rappresentate politicamente ed economicamente . Ad esso incombe l ' obbligo di adeguarsi sempre più alle esigenze dei suoi rappresentanti , di adeguarvisi secondo i princìpi di quella più alta giustizia sociale che pone il lavoro come soggetto dell ' economia e non come oggetto dell ' altalenante gioco dell ' economia liberistica . E i dirigenti sindacali dovrebbero fare un piccolo esame di coscienza e domandarsi : come funzionano i sindacati nelle campagne ? a che punto siamo con i fiduciari di fabbrica , di officina ? di quanto si riducono in media , nel procedimento conciliativo , le somme che il lavoratore pretende sulla base del contratto collettivo ? quanto durano in media le vertenze sull ' indennità di licenziamento ? come funziona l ' assistenza legale ? e come si adempie al compimento educativo professionale ? Così si pone il problema del sindacato , del potenziamento del sindacato e a coloro che si pongono dinnanzi l ' ordinamento tedesco del Fronte del lavoro , noi risponderemo , con Giusto Geremia ( Libro e moschetto dell'11-10-XVI ) che « il nostro corporativismo è e sarà sindacale » .
StampaPeriodica ,
Forse l ' unica bellezza del primo romanzo Memorie inutili lo scriveva appena ventenne di Alfredo Oriani è nel protagonista Ugo Olivieri , che , romantico in ritardo , si trova sperduto , con i suoi sogni permeati ad un tempo di idealismo e di materialismo , nel mondo borghese del secolo XIX declinante ; ma e sono convinto di non scoprire nulla di nuovo in Ugo Olivieri è tutto Alfredo Oriani giovane , o meglio , se vogliamo accontentare la sua mania d ' allora giovanile di firmarsi con uno pseudonimo , Ottone di Banzole , lanciante , fiero della sua gioventù e della sua genialità , la sua vana sfida al mondo : vana e dannosa , perché il romanzo non esce certo pur opera di un ventenne dalla mediocrità e perché questo suo altero dispregio per la società che lo circonda gli aliena subito , al suo primo apparire nell ' agone letterario , tutte le simpatie dei lettori , in maniera da non riuscire più lui vivo a riguadagnarsele . Infatti esaminando in alcune decise pagine con amoroso , appassionato studio , che fa già presentire il futuro storico , l ' aspetto delle classi sociali quali si presentavano in Roma , sul finire del Governo Pontificio , critica l ' aristocrazia morente , delinea con vigore il popolo che purtroppo gli sembra rinnovare la plebe del basso impero , cadente un giorno come il potere temporale allora , ma soprattutto disprezza , ironico e superbo , la borghesia : « ... provavo un forte disgusto per la borghesia . Victor Hugo scrive che il dire a uno " borghese " vale un insulto , e ha ragione » . Se Roma , dopo di averlo fatto fantasticare classicamente e romanticamente insieme , lo aveva reso scettico e annoiato , stanco del mondo e degli ideali , con il quadro disgustoso della sua modernità , l ' ambiente provinciale bolognese lo induce alla reazione . Non vale più la pena di chiedersi : « La vita è una lotta , De Vauvenargue ? E il premio sai dirmelo ? » , quando invece la vita sembra uno stagno in cui tutto imputridisce ancor prima di morire ; per questo nei capitoli dell ' « Al di là » la borghesia è descritta con ribellione e con repulsione , fino ad affermare che essa è « il trionfale aborto della nostra civiltà , il capolavoro del nostro buon senso cristiano e della nostra saggezza economica , del filosofismo liberale e delle rivoluzioni medievali e francesi » . E probabilmente proprio questo vivace contrasto con la realtà borghese , che non riesce a contenersi nell ' animo dell ' autore , ma ha bisogno di esprimersi con violenza , fa sì che i primi romanzi , sempre troppo autobiografici , ricchi di passione quanto di paradossi , trovino in loro stessi la loro condanna : e i lavori dello scrittore romagnolo migliorano quando va scomparendo questo egoistico , pretenzioso , continuo magnificare e parlare di se stesso , nel confronto , più o meno accentuato , con il mondo contemporaneo . Quindi nei romanzi migliori pare che l ' ardore del giovane si sia addormentato , quasi che l ' abitudine a quel mondo negativo ne abbia lenita l ' asprezza , affievolita la voce sonora ; si può addirittura obiettare che la borghesia sembra aver penetrato anche l ' animo dell ' autore , ma approfondendo l ' esame si sente sempre viva l ' intima opposizione fra i personaggi e il romanziere , che riesce a creare il capolavoro quando trascina il lettore a vivere figure terribilmente borghesemente umane , il cui dramma è in sostanza di agire , quasi come sotto l ' incubo di una condanna , pensare , tormentarsi , morire , sepolte nel mondo greve e soffocante di Madame Bovary . Mentre Carducci esorta retoricamente con le figure del tempo andato , mentre D ' Annunzio blandisce i sensi del secolo ormai stanco , Oriani lo flagella , lo perseguita , lo rimprovera rinfacciandogliene l ' anima misera , rappresentata particolarmente in Vortice e in Gelosia . E quando finalmente il suo animo storico ha il sopravvento , non manca di presagire la sconfitta della borghesia : « L ' aristocrazia non ama e non lavora , la borghesia lavora e non ama , la plebe ama e lavora ... perché l ' aristocrazia è morta , la borghesia è moribonda , la plebe è giovane e ha davanti a sé un avvenire » . Lo scrittore ha già di fronte a sé non più il problema spirituale della borghesia , ma quello politico e storico : se egli non giunge a negare che la borghesia abbia avuto una funzione storica nel nostro Risorgimento , tuttavia nella Rivolta Ideale la individua e la scolpisce nella sua terribile insufficienza : « La borghesia era la classe più colta , ricca e passionale ; capace di intendere la modernità di oltre alpe e di oltre mare , soffriva nell ' abiezione imposta dai governi paesani alla sua coscienza ; sognava la rivoluzione ma sapeva troppo bene la propria debolezza e l ' indifferenza del popolo per osare davvero . Lungamente il sogno oscillò fra federalismo e riformismo ; si voleva soltanto il più probabile per arrischiare il meno possibile ; sostanzialmente la resistenza dei governi era pressoché nulla , la protezione accordata loro dalle diplomazie estere poco più che formale : un moto generoso di sollevazione sarebbe bastato contro i loro eserciti di parata e di banditi arruolati nella gendarmeria . Però non ne fu nulla . La lunga abile viltà nazionale degli ultimi secoli suggeriva invece speranze di aiuti stranieri , artifici di transazioni , scuse e ragioni a tutte le inferiorità : quindi l ' avanguardia borghese dovette indietreggiare dalla rivoluzione di Mazzini disertando l ' epopea di Garibaldi per accordarsi ai pochi reggimenti di Vittorio Emanuele . Accettò di mutare la servitù dell ' Austria in un protettorato francese mal dissimulato da un ' alleanza , lasciò la monarchia mantenere Mazzini in esilio e fucilare Garibaldi ad Aspromonte , incamerò i beni delle fraterie , occupò Roma rimanendo cattolica in un liberalismo fatto di buon senso e di volgarità , di istinti novatori e di prudenze qualche volta profonde fino al genio » . Certamente dopo i risultati meravigliosi del '60 una politica moderata s ' imponeva all ' Italia per non perdere in mosse arditamente rivoluzionarie , ma scarsamente politiche , il frutto di anni di fatiche , di sangue e di martirio , e bisognava che l ' istinto rivoluzionario s ' accordasse col valore monarchico per rafforzare il governo italiano di fronte all ' Europa ; ma , in fondo , avendo mutato il dovere in diritto , quella che vuol essere una giustificazione si risolve in una completa accusa : dopo di non aver certo agevolato il Risorgimento , la borghesia voleva renderlo inutile , ché tal cosa significava arrestare l ' ascesa dell ' Italia per il volgare timore di perdere il già acquistato e credendo che il moto dell ' unità non avesse nessun altro fine . Certo la borghesia assicurò sodamente questa unità , ma questa fu funzione positiva soltanto per la sua negatività : questa classe che non aveva fatto la rivoluzione italiana , perché se anche i rivoluzionari vi erano nati , per agire avevano dovuto rinnegare i principi ed uscirne , conquistato con la rivoluzione il potere , se ne dimostrava indegna , perché chiamava il popolo al comando e scompariva frammista ad esso nello stato pseudo - democratico , morendo più vergognosamente dell ' aristocrazia . Così tutte le classi sono scomparse , poiché nessun limite le divide automaticamente : « non ve ne sono più » . Ma è rimasto , con la morte della borghesia , un più grande pericolo : « il suo spirito » , poiché il popolo , il popolo , che è sempre la base della vita della nazione , corre il pericolo di lasciarsi imborghesire , comprendendo più facilmente gli ideali se così si possono chiamare borghesi e ritenendo più facile , come del resto è effettivamente , la scalata alle posizioni di questa classe . E Alfredo Oriani prevede che nell ' ideale battaglia contro lo spirito borghese un ' ardita , giovanile schiera , guiderà il popolo verso il proprio miglioramento : sarà la « rivolta ideale » della « nuova aristocrazia » .
VECCHIO E NUOVO UMANISMO ( DELLA VOLPE GALVANO , 1940 )
StampaPeriodica ,
Aspetto capitale della grande rivoluzione in corso è la esaltazione del lavoro e della tecnica , che è quanto dire una nuova concezione etica , filosofica , della vita : un nuovo Umanismo addirittura . Il riflesso profondo di questo nella pedagogia , la italiana Carta della Scuola , coi suoi concetti , ad esempio , di lavoro manuale scolastico , di cultura del popolo e non di una determinata classe , di selezione e orientamento delle scolaresche al di là di ogni privilegio di casta cioè di censo , esige un discorso a parte . Che presuppone , peraltro , un concetto chiaro di quel che fosse il vecchio Umanismo . Quale esso fosse e in particolare la sua filosofia dell ' educazione ce lo riassume , meglio di ogni altro documento , qualche frammento ( che sottolineo ) di un notevole discorso , del 1922 , di Giovanni Gentile , intitolato Lavoro e cultura . « Io sento profondamente egli dice la differenza che c ' è fra la dignità del lavoro propriamente detto e la dignità del pensiero ... la differenza fra il lavoro delle mani e la cultura , che è il lavoro dello spirito , è una differenza che ha grande importanza nel sistema dei valori umani . Il quale non si può mantenere , né garantire , se non concorra la normalità dei suoi rapporti , la differenza degli elementi che vi concorrono ... Il concetto di questo valore prodotto dal lavoro , onde l ' uomo si rivolge alla natura e ne fa mezzo di appagamento dei propri bisogni , è un concetto meramente relativo ... Se noi soffocassimo dentro di noi questo bisogno che ci fa tendere la mano al frutto della terra , il frutto della terra non sarebbe mai colto ... Il vero , l ' assoluto valore conosce e sente chi vive raccolto nella vita del pensiero ... Il carattere dei valori economici ... non è la natura dei valori propriamente spirituali , corrispondenti ai bisogni veramente essenziali e costitutivi della nostra vita ... La poesia o l ' arte , in generale , e la verità , ciò che rappresenta un fine supremo dello spirito umano , questo è il valore assoluto ... A questa coltura superiore dobbiamo guardare ... ; di tutta la coltura ... il lavoratore ha bisogno per essere lavoratore e per essere uomo » . È , come si vede , con quel tanto di semplicismo intellettualistico che comporta , la concezione illuministico - hegeliana della cultura come regno della Ragione e dello Spirito ( maiuscoli ) , cui deve restar soggiogata la provincia del lavoro e della tecnica , cioè la zona dell ' economico , del bisogno ( del particolare o sentimento nella sua positività ) : col risultato , in pratica , di un calcolo o raziocinio utilitaristico sullo sfondo , beninteso , astratto e però retorico dell ' Etica e della Spiritualità : col risultato concreto , politico , insomma , del predominio di una classe quella « colta » e « elevata » sulle altre . Bisogna allora dire che l ' intellettuale degno di questo nome deve avere oggi il coraggio di guardare la verità fino in fondo : e che per la difesa della civiltà che sorge la civiltà antiborghese della tecnica deve sapere andare oltre le ragioni immediate o empiriche a favore della tecnica e del lavoro , e affrontare il problema o i problemi della nuova concezione laica della vita . Non basta soltanto , per intenderci , dire , come si è detto , che , se il meccanico esclude lo spirituale , il meccanico non è la tecnica , ma la sua preconcetta astrazione ; che tecnica e lavoro non escludono ma presuppongono un ' etica che può giungere fino al sacrificio e all ' ascesi ; che nel lavoro si attua la necessità di sentir battere il proprio cuore all ' unisono col resto dell ' umanità ; che c ' è la « gioia del lavoro » , la « fatica senza fatica » , e una spiritualità del lavoro finora insospettata ; che la tecnica è « tattica » e « teologia » , e via dicendo . ( Vedi gli autori citati in proposito nel Commento alla Carta della Scuola del Volpicelli ) . Non basta . Bisognerà , un giorno , coordinare e organizzare queste sparse verità e però saldarle a un qualche principio generale , necessariamente antitetico ai principi generali dell ' illuminismo hegeliano ( o « liberalismo dialettico » ) , tutt ' ora diffusi . E intanto , occorre acquistare una coscienza vieppiù chiara delle deficienze organiche di questi ultimi principi tradizionali , se ci si vuole avviare veramente a una comprensione seria del nuovo Umanismo , per il quale non già è vero che la cultura è lavoro , ma bensì che il lavoro è cultura . Sono d ' accordo col Volpicelli che l ' avvento della tecnica è il fatto più importante della cultura del mondo dopo il Cristianesimo , e che il gran paradosso è che la tecnica è stata resa possibile dalla cultura moderna , ma poi la cultura che ha creato la tecnica si è mostrata incapace di sentirne l ' umanità e il valore , e che , infine , le opposizioni alla tecnica non son basate che su rimpianti e negazioni , con un argomentare ben strano per una cultura « la cui fondamentale categoria dovrebbe essere la storicità » . Sono anche d ' accordo con un altro dei pochissimi studiosi serii di questi problemi : con Luca Pignato che , in un recente dibattito su cultura , tecnica e morale , dopo aver opposto ai nostri neohegeliani la profonda , e però attuale verità enunciata dal patriarca Kant , che , cioè , « è un dovere dell ' uomo verso se stesso di essere un membro utile del mondo , perché questo fa parte dell ' umanità » , sia poi esso operaio o negoziante o erudito ( « secondo il suo piacere » e « l ' apprezzamento delle proprie forze » ) , osserva che appunto , se una legge morale ci accomuna , dei minatori ad esempio a noi , ci troveremo veramente in una universalità : e che « solo questa legge ( universale ) è cultura » : il resto sarà o l ' estrazione dello zolfo o la traduzione dal greco ; restando a vedere , in sede di politica scolastica , « se convenga in generale imparare il greco e il latino o migliorare le condizioni dell ' estrazione dello zolfo » . E altrove , il Pignato , a rincalzo dell ' osservazione di Giuseppe Bottai , che nella vecchia scuola gli studi classici si erano ridotti a fenomeno tipicamente letterario , conclude molto giustamente che non ha senso porsi il problema : come il vecchio Umanismo possa costituire il nocciolo del nuovo ; giacché le cose restano come stavano se si sposta un pezzetto di grammatica da una classe ad un ' altra , e che insomma riconosciuto il nuovo principio della tecnica come valore spirituale ogni discussione che si faccia sulla Carta della Scuola « deve tenerne presente lo spirito rivoluzionario , in senso sociale e politico . Rivoluzionario e non riformistico » . Parole chiare , oneste . Dovrebbe esserne giunto il momento , anche in questo campo .
SCUOLA SOTTO ESAME ( Semeraro Scipione , 2000 )
StampaPeriodica ,
La scuola sembrava vivere passivamente , tra proteste , mugugni , fughe e disillusioni , l ' ondata di provvedimenti con cui il governo l ' ha investita negli ultimi anni . Invece la vicenda del concorso di merito per gli insegnanti sta segnando in questi giorni un punto di discontinuità . Lo sciopero più esteso degli ultimi anni ( malgrado che i sindacati tradizionali fossero dall ' altra parte ) una manifestazione imponente di insegnanti nelle strade di Roma e un vero assedio del palazzo di viale Trastevere riaprono una fase importante che va attentamente indagata . Prende forma e si concentra sulla questione degli insegnanti una vicenda più generale della scuola e della formazione nel nostro paese . È , o almeno potrebbe diventare , il primo movimento ( un po ' come Seattle ) che si oppone all ' ordine esistente , e all ' ideologia privatistica , non solo a difesa di una categoria minacciata nei suoi diritti , o di diritti conquistati per tutti in un contesto sociale e culturale passato , ma ponendo un problema , anzi forse il problema più importante dell ' epoca futura : la formazione dell ' uomo , della personalità e creatività di tutti . Ed è ( più che a Seattle ) un movimento che muove non solo su una tematica specifica e insieme di valore generale , ma ha radici in un soggetto sociale omogeneo , radicato in un territorio , con un peso politico rilevante e attivo ( come ha rivelato , ancor in un recente passato , l ' esperienza francese ) . E infatti ha già una breve storia , non solo sindacale : l ' opposizione al finanziariamento pubblico alla scuola privata ; la contrastata esperienza del decentramento ; il dibattito sulla riforma dei cicli ; alla fine il rifiuto del " concorsone " ( non come rifiuto della qualificazione continua o richiesta di un piatto egualitarismo , ma come rifiuto dei modi aberranti con cui si pretende di valutare quella qualificazione ) e di aumenti retributivi innestati su uno scandaloso generale regime di sottosalario e di contenimento dell ' investimento nella scuola . Perciò è uno dei pochi movimenti che non si scontra con un muro di ostilità dell ' opinione pubblica , si oppone con nettezza al governo di centro - sinistra fuori ma anche dentro i suoi confini . I suoi limiti stanno ancora nel fatto che non è riuscito a saldarsi con una ripresa di un movimento degli studenti , che gli è indispensabile , né è riuscito a esprimere un ' idea adeguata di linea alternativa ; ma sono limiti imputabili anzitutto alla sordità della politica e della cultura e alla crisi delle relative organizzazioni . Ma che , esso stesso , potrebbe smuovere . La riforma degli ordinamenti , o come più comunemente si dice , la riforma dei cicli scolastici , l ' autonomia scolastica , il ruolo manageriale dei capi d ' istituto , l ' avvio di un nuovo profilo degli insegnanti , la ' parificazione ' tra scuola pubblica e privata , un nodo di questioni complesse viene ormai al dunque . Un popolo di insegnanti democratici , dopo aver sperato che la sinistra rispondesse alla loro crisi e alla crisi della scuola , presenta il conto . Un conto delicato che intreccia questioni sindacali , culturali e professionali : l ' inizio di una fase nuova . Le riforme I cambiamenti sono ormai definiti dal punto di vista legislativo ed è possibile valutare in che modo l ' impatto di tali provvedimenti sta cambiando la scuola reale . Il segno prevalente che si coglie è quello di una progressiva " privatizzazione della scuola pubblica " . Il finanziamento delle scuole private e l ' obiettivo di costruire un " sistema integrato " della formazione tra pubblico e privato sono solo il punto più appariscente , quanto grave , di una tendenza più generale alla privatizzazione della scuola pubblica . Privatizzazione è innanzi tutto un progressivo disimpegno finanziario dello Stato nello sviluppo della scuola ; non si tratta di una modifica del regime giuridico della scuola pubblica , ma del mutamento della sua ragione sociale . La scuola della Repubblica , che dovrebbe essere garante del diritto di cittadinanza , strumento teso alla rimozione delle differenze culturali e sociali , si fa , invece , sempre più ' un ' opportunità ' per i cittadini clienti di un servizio a domanda . Non è mutamento da poco e va scandagliato attentamente . La nuova scuola non muta la struttura della scuola dell ' infanzia , quella rivolta ai bambini dai tre ai cinque anni . Rimane per questo livello formativo l ' assurdo di un servizio pubblico presente sul territorio solo per un 50% della popolazione infantile . Per il resto dei bambini esiste solo la possibilità di una scuola materna confessionale e privata . La scuola , nel suo segmento di scuola di base , si riduce di un anno . La scuola secondaria introduce un doppio canale formativo fin dal primo biennio . Sarà possibile sviluppare esperienze formative anche in situazioni non scolastiche , nella formazione professionale . Infine viene introdotto il cosiddetto obbligo formativo fino ai diciotto anni . I giovani , dopo il quindicesimo anno , potranno proseguire gli studi scolastici oppure optare ( e opteranno ovviamente le loro famiglie , con un processo inaccettabile di autoselezione secondo il reddito ) per un canale di formazione professionale . In buona sostanza la riduzione del tempo della scolarità risponde solo al principio della riduzione della spesa e dell ' allineamento della scuola italiana alle politiche europee " avare " e sempre più ispirate alle politiche di contrazione del welfare . La riforma produce una riduzione assoluta del tempo di scuola ; il tempo e la quantità non sono tutto nella scuola , ma sono la precondizione della qualità e soprattutto costituiscono l ' elemento determinante per sostenere i ritardi culturali . In pedagogia vale il principio che se vuoi risultati soddisfacenti per il complesso della popolazione giovanile , devi offrire più tempo a coloro che socialmente portano il segno di un ritardo di alfabetizzazione e di cultura . Inoltre , per paradosso , l ' aver fissato il completamento dell ' obbligo al quindicesimo anno d ' età può produrre un incentivo all ' abbandono precoce della scuola dopo l ' ottenimento del titolo . Ricordiamo che attualmente la frequenza del biennio della secondaria fino a sedici anni è molto ampia rispetto alla popolazione scolastica in età corrispondente . Una riforma che riduce il tempo assoluto della formazione di base e che rischia di ridurre il numero assoluto degli studenti non può essere considerata una buona riforma . Gli ordinamenti e la riforma dei cicli scolastici sono , come è evidente , solo la forma giuridica e organizzativa che la scuola prende sul piano legislativo . La riforma reale della scuola è faccenda più complessa e non può esaurirsi nella valutazione dei contenitori giuridici e organizzativi . Della proposta del governo bisogna dunque saper cogliere il contesto e il retroterra culturale e politico , al fine di vagliarli criticamente , ma soprattutto per avanzare delle proposte alternative . Il punto di vista più interessante per capire , mi sembra che consista in una ricerca e una ridefinizione di che cosa è oggi alfabetizzazione e , per altro verso , nell ' individuazione delle radici sociali della povertà culturale . La scuola italiana soffre di due livelli di selezione . La selezione ' storica ' ha agito con l ' esclusione classista : l ' evasione dalla scuola dell ' obbligo e ampie sacche di insuccesso non possono portarci a considerare di massa la scuola , soprattutto nei livelli superiori e universitari . La stessa persistenza della ciclicità dell ' istruzione è il sedimento di una scontata e ipocrita ammissione che non tutti avrebbero potuto completare l ' intero percorso degli studi . Ma vi è un rilievo più importante da fare su una forma " moderna " di selezione . Penso agli studi della Greenfield e altri , che notano come la forte esposizione dei bambini e dei giovani al sistema complesso dell ' informazione , all ' " eccedenza informativa " per lo più veicolata dai media , invece che una crescita di cultura , produce un " rumore di fondo " , una perdita di capacità critica . Si determina nella scuola un analfabetismo qualitativo , vissuto precocemente nella famiglia e nella società e difficilmente recuperabile . Tempi di vita e tempi della formazione Allora una riforma degli ordinamenti deve guardare altrove : mi pare che si debba partire da una riflessione su come nel nostro tempo si sono trasformate le età della vita , quale ritmo ha preso la crescita umana , quali peculiarità prendono oggi l ' infanzia , l ' adolescenza e la condizione giovanile . La scuola accompagna l ' organizzazione dei tempi di vita dei ragazzi e delle loro famiglie , è un punto di osservazione dell ' organizzazione complessiva della società . Quali bisogni è possibile leggere nell ' organizzazione dei tempi della nostra vita ? E come ci si può ad essi riferire per fare riforma della scuola ? L ' infanzia è il primo terreno di verifica . Il nostro è un secolo che ha giocato non a favore dell ' infanzia , ma per una progressiva marginalità dei bambini e delle bambine . L ' autonomia infantile è , ci pare , il punto su cui ragionare . Come può la scuola garantire un passaggio delicato tra la famiglia e l ' affidamento ad altri adulti , gli insegnanti , per la formazione del piccolo cittadino . La famiglia è una risorsa primaria , emotiva e educativa per i piccoli , ma l ' autonomia dal senso proprietario che inevitabilmente i genitori esercitano sui piccoli è un primo passo verso l ' acquisizione della cittadinanza . Con quali tempi del rapporto didattico , in quali anni , con quale scansione di orari si devono affidare i piccoli alla scuola ? Questo costituisce il primo problema della riforma . Pensando ad una scolarizzazione precoce si pensa erroneamente ad una precoce accelerazione degli apprendimenti cognitivi . Non deve essere così . Nei nidi e nella scuola dell ' infanzia il problema è la socializzazione e l ' innesto di esperienze di relazione , è la conduzione dei bambini e delle bambine in un universo di linguaggi più differenziato e più ricco di quello familiare . Nidi e scuola dell ' infanzia devono rimuovere le prime differenze e devono evitare i ritardi rispetto alla scuola che verrà , devono essere scuola educativa e non assistenza . Qui siamo al secondo aspetto della riforma , i suoi contenuti didattici . La scuola di base unitaria ci pare buona cosa , ma non è positiva la riduzione di un anno di scolarità . Penso che sia opportuno un ritmo più semplice di quanto propone il governo : un ciclo di quattro anni , da sei fino a nove anni , a tempo pieno , unitario nel progetto e nell ' impianto educativo . Il tempo pieno non è solo un modulo organizzativo , ma un ' occasione per i bambini per fare esperienze educative globali . La formazione della mente vive insieme alla formazione delle relazioni , al gioco , alla creatività . Penso poi ad un ulteriore ciclo di quattro anni , fino a tredici anni . Una scuola più individualizzata nei percorsi , più adattata alle differenze personali e culturali degli adolescenti . Una scuola delle ragazze e dei ragazzi , che tra apprendimento e esperienza sociale si danno gli strumenti per la formazione di un io personale solido . Una scuola in cui si insegna tramite laboratori , in cui le relazioni della classe si intrecciano con ritmi organizzativi più articolati , sia per i tempi e gli orari che per i contenuti . Il giudizio sulla proposta relativa alla scuola secondaria è più severo . Qui appare con forza una convinta adesione del governo alle idee portanti della Confindustria sulla formazione . Scuola della flessibilità , addestramento e orientamento precoce , scuola vagamente impostata sulle opportunità e senza garanzie di promozione culturale . Ma vediamo con ordine . Innanzi tutto la riduzione complessiva del ciclo degli studi . Un livello così basso di scolarità si arrende all ' ideologia confindustriale di una ' didattica breve ' in vista di una disponibilità al lavoro precario , saltuario , appunto alla flessibilità , nuova magia dei ceti imprenditoriali che non vedono altra possibilità per lo sviluppo . La secondaria dovrebbe invece avere un biennio obbligatorio e unitario , compatto nei contenuti e nelle finalità culturali . Dovrebbero essere semplificati i curricoli di apprendimento ; il lavoro , la società , la tecnica , i linguaggi e la conoscenza della natura devono essere oggetto critico della ricerca culturale dei giovani e non temi di addestramento subalterno . Questa ci pare l ' uscita positiva dall ' impostazione gentiliana della scuola . La scuola deve essere poi giocata , nel triennio successivo , tra studio e prime esperienze di avvicinamento al lavoro , in prospettiva una scuola obbligatoria fino a 18 anni . Questa è la scelta realistica di allineamento agli altri sistemi formativi europei . Una scuola che si riorganizza nei tempi , comincia a adattarsi per diventare il primo livello di un ulteriore passo della formazione , a carattere permanente , non più solo rivolta ai giovani , ma capace di offrire allo sviluppo delle persone , in ogni età della vita , un riferimento culturale e formativo . Sarebbe utile un terzo settore della formazione . Anche l ' obiettivo di una generale riduzione dell ' orario di lavoro ha in questa formazione ricorrente una possibilità . Tempi che si liberano dal lavoro e che si dedicano alla cura di sé e alla crescita culturale . Ma la riforma è soprattutto investimento di risorse , umane e economiche . Il governo di centrosinistra non ha cambiato strategia , non ha segnato una discontinuità rispetto ai governi di destra o a dominanza democristiana . Una ristrutturazione poderosa ha colpito i bilanci , colpisce la struttura materiale della scuola sul territorio , colpisce gli insegnanti . Una riforma senza risorse è pura propaganda . La riduzione del finanziamento pubblico della scuola è effetto di una strategia che va al di là del risanamento del debito pubblico . Si iscrive in un quadro di trasformazione della scuola in un sistema misto , pubblico e privato , convenzionato , in cui mercato e redditi familiari diventano il differenziale di qualità della scuola . Che fare dunque , per non rimanere nelle secche delle analisi ? Innanzi tutto risollevare nella scuola la partecipazione dei soggetti , studenti , insegnanti e cittadini . La fuga o la passività degli insegnanti nella scuola è motivata dall ' insicurezza sulla prospettiva del loro ruolo , da una profonda sfiducia che si possa cambiare qualcosa nel modo di imparare e di insegnare . La scuola potrebbe perdere una generazione professionale importante e pregiudicarsi così le possibilità di riforma . L ' insensibilità alla questione docente , come parte essenziale della riforma , è ancora il movente della proposta insensata del " concorsone " per la selezione professionale , che rende acuta la tensione nelle scuole e fa da catalizzatore della protesta . Cosa è questa ampia e generale reazione alle ' gare salariali ' , come ha efficacemente scritto il manifesto ? Non avveniva più da anni : gli insegnanti non accettano di sottoporsi ad una selezione per lo più fondata sull ' ideologia che nella scuola la qualità dipende dalla competizione premiata dagli incentivi salariali . Un ' ipotesi povera di analisi su questa professione , che non riesce a vedere nell ' insegnamento - come sostiene ampiamente anche Bruner in un suo testo importante sulla scuola americana - un ruolo sociale e politico particolare , considerandolo invece un semplice lavoro subordinato . L ' efficacia dell ' insegnamento dipende dalla condivisione dei fini emancipativi che nella scuola si attivano . Il modello aziendale , gerarchico e competitivo , non solo non funziona , ma allontana gli insegnanti , come già ampiamente avviene , dalla didattica quotidiana . Programmazione , progettazione didattica , innovazione didattica stanno diventando momenti autoreferenziali che impoveriscono la cultura e l ' azione professionale degli insegnanti . Contro la povertà di una selezione fatta con i quiz , con le simulazioni di lezione ( dove vanno a finire decenni di ricerca per superare nell ' insegnamento la sequenza della lezione , interrogazione , valutazione ? ) insorgono gli insegnanti , bloccati tra le certezze di un passato professionale che non funziona e le riforme che non convincono . L ' idea cattiva di autonomia Questo conflitto oggi si intreccia con il caos che si è determinato con un ' insensata politica dell ' autonomia del " fai da te " . La riforma dei cicli non può essere perciò separata dalla questione più corposa dell ' autonomia . L ' autonomia didattica è un grande valore : insieme con la dimensione cooperativa è la sostanza stessa della libertà d ' insegnamento garantita dalla Costituzione . Ma l ' attuazione dell ' autonomia sta stravolgendo tutto questo . Gli insegnanti e gli studenti , isolati , ridotti a rango di clienti , perdono poteri reali di influenza sulle scelte e sui fini per diventare soggetti passivi nella gestione del quotidiano . Il cittadino cliente naviga nel vuoto e perde ogni connotazione di soggetto collettivo nel rapportarsi al sistema dei diritti che dovrebbe alimentare ogni servizio sociale . Le nostre scuole dovrebbero essere più pubbliche e meno di mercato . Più strumenti di eguaglianza che luoghi inerti di convalida della differenziazione sociale . L ' introduzione di logiche di mercato distrugge la promozione dei diritti ; nel migliore dei casi riaffida alla scuola o una funzione giudicante e notarile dell ' avvenuta assuefazione al conformismo e alla differenza sociale , oppure dilata la dimensione familistica , ideologica , " etnica " dell ' identità giovanile . Il problema dell ' autonomia buona è lo sviluppo di poteri ' locali ' capaci di riformare la scuola dal basso , secondo linee generali di innovazione culturale e professionale di profilo culturale alto . Il problema dell ' autonomia della scuola è in ultima analisi un problema della democrazia e dei suoi strumenti . La libertà di insegnare e fare scienza All ' autonomia degli insegnanti e degli studenti dovrebbe spettare l ' assoluta decisione delle tracce educative per raggiungere i fini sociali e politici fissati dalle istanze democratiche di un paese . Insegnare è per eccellenza un ruolo pubblico , perché dovrebbe farsi guidare solo dalla libertà della scienza , della coscienza professionale e dalla Costituzione . Null ' altro dovrebbe influenzare il progetto educativo delle scuole . La Costituzione , nel suo andamento compromissorio affidò la responsabilità educativa alla famiglia e alla scuola dello Stato . Le politiche attuali rifluiscono verso il primato della famiglia e risolvono l ' ambiguità costituzionale a favore della riproduzione educativa familiare o della cultura locale ' leghista ' : la comunità naturale dunque , piuttosto che la società e la cultura nazionale . Questo rifluire produce enormi rischi morali e culturali , incide sul tessuto civile del paese . Torna il ruolo prevalente degli educatori come riproduttori passivi del senso comune ambientale , piuttosto che soggetti di una ricerca critica sullo stesso contesto sociale . È necessario invece pensare ad una scuola come libero spazio di una complessa dialettica tra valori e interessi diversi ; un luogo di proposta e anche di conflitto tra educatori e studenti , non più proprietà e investimento dei loro genitori , ma abitato da soggetti umani accomunati da un ' avventura morale e intellettuale che prepara alla cittadinanza . Si tratta di considerare la scuola e l ' educazione come un gioco difficile che non solo agisce , ma che , mentre è giocato , fissa le regole stesse del gioco . Un gioco su un piano inclinato , più complesso di un gioco con regole precostituite , in cui i giocatori , studenti e educatori , seguendo le regole date , ne inventano di nuove e rompono dinamicamente con il senso comune e le mentalità correnti . L ' autogoverno e la cooperazione Esiste oggi un lavoro scolastico che rassomigli a questo impegno ? In genere dobbiamo rispondere negativamente : prevalgono gli aspetti ripetitivi sulla creatività e l ' invenzione . Ma una traccia per ricostruire il tessuto di una ricerca esiste . La cooperazione e ducativa appartiene a pieno diritto alla riflessione della pedagogia democratica europea e italiana . Evidenzia con equilibrio la necessità di percorsi personali , individualizzati e creativi nell ' insegnamento . E si pone come interazione , quasi necessariamente conflittuale e pluralistica tra lavori l ' uno all ' altro trasparenti , nei percorsi e nei fini . Cooperare e cooperazione sono termini che richiamano solidarietà ottocentesche . Recuperarne il senso in un contesto moderno , legato alla definizione di nuove metodologie per la gestione del lavoro intellettuale , costituisce un ' operazione culturale ardita . Nelle organizzazioni a rete bisogna partire dall ' ipotesi concettuale e pratica che non si può eliminare il conflitto ; il conflitto deve essere considerato un elemento dinamico e produttivo . Come può essere controllato e razionalizzato ? Solo aumentando le informazioni circolanti nella rete , aumentando la partecipazione dei soggetti e chiarificando i fini e i valori . Lavorare cooperando significa accettare questa processualità . Per risolvere il conflitto bisogna cercare le vie che portano a stabilire patti , quando i patti entrano in crisi bisogna rinnovare il confronto tra i soggetti . Bisogna saper costruire un quadro di controllo del processo educativo che abbia il suo centro riformatore nel ruolo dei soggetti sociali interessati . Questa metodologia di controllo costante della didattica è l ' anima stessa della cooperazione , la trasparenza è la sua componente essenziale ; comporta un forte decentramento delle responsabilità , riduce il ruolo gerarchico . Il tutto funziona se c ' è questa assunzione reciproca di impegni responsabili . Patti d ' aula , patti d ' istituto , patti tra soggetti . Questo metodo difficilmente può coesistere con un ' organizzazione burocratica e gerarchica , anche tra studenti e insegnanti . Prendere decisioni in questo ambiente comunicativo comporta anche il mutamento dello stile di lavoro degli insegnanti . In genere nella struttura cooperativa è importante la trasparenza delle singole intenzioni , antagonista rispetto alla consuetudine di custodire individualisticamente il contenuto e il metodo del proprio lavoro . È importante comunicare con trasparenza perché questo riduce il conflitto : anche le più semplici procedure vengono trasformate da questo stile di comportamento . Un comportamento trasparente abbatte significativamente l ' insuccesso scolastico dei ragazzi ; l ' assenza di comunicazione aumenta il fallimento e l ' insuccesso . Ascoltare è difficile , ma è una metodologia interessante . Nella scuola bisognerebbe prevedere dei momenti istituzionalizzati dell ' ascolto , un meccanismo in cui si esprimono le crisi : momenti di autodiagnosi , potremmo dire . Cosa invece diventa oggi nella realtà quotidiana l ' autonomia ? Assenza di un campo generale di riflessione sulle finalità della scuola ; crescente asfissia della didattica costretta nelle procedure burocratiche ; frammentazione insensata , nelle singole scuole e per ogni singolo insegnante , della ricerca e della trasmissione culturale . Difficile scorgere sotto un fraseggio modernizzante ( crediti e debiti formativi , piani dell ' offerta formativa , competenze - conoscenze - capacità , funzioni - obiettivo , tutor , didattica breve , saperi minimi ecc . ) una sostanza riformatrice che cambia la scuola . Temo che si tratti di un linguaggio da nuovi chierici che copre un vuoto di ridefinizione degli assi culturali , un deficit di progettazione del futuro che le società moderne vivono drammaticamente . I giochi non sono chiusi , riprende attivamente un movimento . Mancano finora gli studenti , l ' altro asse decisivo della riforma ; ma ripartono gli insegnanti , forse perché essi sono più direttamente sottoposti a una duplice sollecitazione : l ' umiliazione della loro professione e la speranza di essere un settore sociale portante dello schieramento riformatore di questo paese . La sinistra di governo non ha capito e entra in rotta di collisione con un movimento ampio , non corporativo , esplicitamente riformatore . Nella palude delle logiche di Palazzo la scuola torna ad essere una questione sociale che chiede risposte alla politica . Ci sono momenti in cui sembra che le passioni democratiche e di cambiamento siano in totale riflusso , ma la realtà è a volte più ricca della nostra stessa speranza .
ROMANTICISMO ED ANTIROMANTICISMO ( PACI ENZO , 1941 )
StampaPeriodica ,
Ormai la polemica , nata dall ' intelligente articolo di Angioletti , ha dato più d ' un frutto , e non sembra acquetarsi . Il suo significato non è più soltanto letterario , ma culturale , sociale e , finalmente , filosofico , grazie , specialmente , alla decisa posizione antiromantica di Galvano della Volpe ( vedi « Antiromanticismo » in Primato del 15 maggio e « Da un programma antiromantico » in Studi filosofici n . 4 ) . Tutti noi sentiamo con Angioletti , che , « come un vento tiepido e leggero » qualcosa di nuovo nasce intorno a noi , ma di questo qualcosa di nuovo non sappiamo , e forse è un bene , dare una definizione . In ogni modo non a caso è stata pronunciata la parola « Romanticismo » . Essa indica , io credo , uno stato di malessere e di scontentezza , un senso di sfiducia e di sazietà verso atteggiamenti troppo controllati e troppo « distaccati » della nostra cultura . Un amore freddo e contenuto per la precisione di ciò che è intellettualmente perfetto ci trattiene da ogni abbandono , ed ora sentiamo il valore dell ' abbandono , la fecondità di certe ingenuità e di certi errori , ma un timore ci trattiene , ed è quello che non venga abbandonato troppo facilmente ciò che abbiamo conquistato , la disciplina su ogni forma di lirica intemperanza , quella precisione del senso della parola che è certo una delle conquiste più alte della letteratura e della poesia italiana contemporanea . La finitezza della parola è divenuta quasi il segno della moralità del letterato e dell ' uomo di cultura e , forse , qualcosa di più , il segno della moralità dell ' uomo , come una volontà di non falsare il valore della realtà e della vita , sempre concretamente finita e puntuale , sempre determinata , sempre richiedente una responsabilità ed una scelta , senza evasioni e senza fughe , appunto , romantiche . Ma , tale finitezza , ci appare ora come l ' estrema conquista , una conquista che presuppone tutto un passato e , in noi , tutto un lungo cammino o travaglio inespresso , di cui la parola è come la conclusione , il traguardo raggiunto . E scopriamo il valore di ciò che in noi è stato disciplinato , come se , senza quel profondo e scontento agitarsi di tutto il nostro destino , la parola perdesse ogni sua tensione , ogni sua moralità : è questa scoperta che ci fa parlare , oggi , di romanticismo . Romanticismo sì , ma romanticismo del finito , accettazione senza riserve del limite inerente alla vita ed alla cultura : la morte non è più un tema poetico , ma la condizione della nostra esistenza : non vogliamo falsare il senso del nostro esistere e trasportarlo nel mito di un egualitarismo liberale o di un illuministico storicismo in cui tutti i contendenti assolvono la loro eguale funzione storica : no , nella vita e nella storia ci sono vincitori e vinti , ogni epoca vive nel suo orizzonte e nega l ' altra : la civiltà europea non ci sembra più ottimisticamente svilupparsi nella linea di un mitico progresso . La nostra epoca rinuncia a soluzioni troppo facili ed ereditarie , ha la sua dura realtà da imporre e sa che la sua vita è legata alle sue possibilità di vittoria . Essa sa che la cultura aperta ed infinita è la fine di un ' Europa e sa che l ' Europa non esiterebbe più se non avesse il coraggio di rinunciare a ciò che finora si è chiamato europeo : essa vuol dimenticare l ' indulgenza dei vecchi , per cui ogni affermazione ha il suo diritto , e sa che bisogna saper non vedere , non giustificare , non accettare , vivere e morire per qualcosa di determinato e di finito , ingiusto forse , ma solo in nome di una astratta giustizia e di un ' astratta moralità . Non saprei non dar ragione , in tal senso , alla profonda rivalutazione del finito e del determinato , su cui tanto insiste , come filosofo e come uomo di cultura , Galvano della Volpe . No , la nostra epoca non deve e non può essere umanitaristica . Ed ha ragione Mario Alicata : è troppo equivoco il termine « simpatia umana » : « ridurre l ' amore ed il desiderio degli altri a ... caute possibilità di perdono , di soccorso ... non significa rischiare di nuovo la propria libertà spirituale in un accomodamento utilitario dei nostri rapporti umani , al servizio di un plebeo e farisaico demagogismo che cerchi di salvare , nella ottenuta e rimunerata comprensione degli altri verso noi , dei molti verso i pochi , la pigrizia morale e la fervida coscienza degli egoisti ? » ( Primato 15 giugno ) . Eppure , con tutto questo , l ' esigenza di Angioletti e di Lupinacci , conteneva forse più di quanto si è in essa voluto vedere e di quanto ha saputo dire . Gli uomini non si incontrano nella conclusione della loro esperienza . La disciplina della parola ci rimanda alle nostre inespresse vicende , tanto espresse invece dai romantici : la virile accettazione del finito , così nostra , ci rimanda ad una condizione comune di finitezza , ad una comprensione più profonda dove ognuno di noi comprende l ' altro proprio perché sa che il finito esclude ogni possibilità di assolutizzare , secondo il vecchio egocentrismo romantico , perché sa che ogni orizzonte è limitato , che ogni dogmatismo è una falsificazione di noi stessi e degli altri . L ' accettazione del finito come finito , il rifiuto di ogni evasione e di ogni fuga , non allontana gli uomini , ma , proprio , li riavvicina , nell ' unico riavvicinamento che è davvero possibile : il riconoscimento del limite del proprio destino e dell ' altrui , diverso , opposto al nostro . Il vecchio romanticismo credeva di poter raggiungere la possibilità di una comunicazione attraverso la fuga dalle precise condizioni della nostra esistenza o attraverso la mitica assolutizzazione ed universalizzazione di un ' esperienza fatalmente particolare e limitata : noi , nella nostra nuova esigenza romantica , sappiamo che possiamo davvero comprendere gli altri se sappiamo accettare la nostra condizione e non mitologizzare noi stessi . « Andare incontro agli altri » dice anche Mario Alicata . Ma gli altri li sapremo trovare solo sperimentando ed accettando il limite della nostra esperienza : così sapremo andare verso gli altri , anche se , per avventura , le condizioni finite della nostra vita ci porranno contro di loro : saremo allora , per ripetere ancora la parola di Karl Jaspers in comunicazione con loro . Il tramontante liberalismo aveva condotto l ' Europa all ' assolutizzazione del finito , il vecchio umanitarismo alla più ipocrita mancanza di umanità : proprie le nuove esperienze politiche ed ideologiche sapranno ritrovare l ' uomo , senza promettergli nessun mito , ma dandogli la vera libertà della sua condizione di uomo , inevitabilmente finita : da tale accettazione della finitezza e del destino , che tutti limita e circoscrive , nasce la nuova e concreta forma di solidarietà umana . Che è civiltà della tecnica e del lavoro proprio in quanto tecnica e lavoro abbandonano ogni liberale mitologia fordistica e tayloristica e diventano i termini essenziali di realizzazione , nel finito , dell ' esistenza dell ' uomo , con tutta la sua umanità . Nasce allora una nuova passione , la passione per il finito , per ciò che ci fa restare noi stessi . È antiromantica perché esclude ogni fuga , ma è profondamente romantica perché ci riavvicina alla fonte inesauribile di ciò che in noi è primordiale . Sentiamo per il finito e per la fatalità delle condizioni insostituibili dell ' esistenza lo stesso entusiasmo che i romantici provarono per l ' infinito e per la fuga dal mondo . E la nostra cultura vuol rimanere fedele all ' impossibilità di universalizzare i nostri orizzonti , una fedeltà che è fedeltà alla concretezza del nostro esistere , una fedeltà alla morte , se si vuol richiamare il termine di Heidegger , una fede , profonda come quella romantica , che solo il finito può testimoniare dell ' infinito , che la trascendenza si può a noi rivelare solo nell ' accettazione assoluta e totale delle condizioni della nostra immanenza , se si vuole , richiamandosi ancora all ' esistenzialismo , ricordare la posizione di Jaspers . Finitezza , destino , amor fati . L ' amico Della Volpe non si allarmi della nuova passione romantica , che come una bufera rinnovatrice , l ' esistenzialismo ha scatenato su tutta l ' Europa . Non s ' allarmi perché questa nuova passione è proprio per quel finito , per quel sensibile , per quel sentimento di cui la sua filosofia rivaluta , con tanta acutezza ed intelligenza , i diritti troppo sprezzati . E l ' amico G . M . Bertin , a cui sono riconoscente dell ' attenzione che ha prestato al mio pensiero ( Cfr . « Esistenzialismo romantico » , in Studi filosofici , n . 4 ) non si allarmi per il nuovo irrazionalismo che gli sembra minacciare la tradizione critica di Kant e di Hegel : proprio il nuovo romanticismo combatte ogni pretesa , questa davvero romantica nel vecchio senso della parola , di assolutizzare , infinitizzare , divinizzare l ' universo . E se riconosce i diritti dell ' irrazionale non è per degradare il pensiero a mito , o per abbassare ad empirico arbitrio la vita spirituale , ma invece per usare criticamente della ragione filosofica e per avvertire che ogni vita spirituale , che non presupponga le condizioni finite del nostro esistere e del nostro destino , è retorica . Ma so che Bertin mi comprende e sa che il mio romanticismo non è quello a cui tutti noi ci ribelliamo . La nuova atmosfera romantica è dunque la scoperta del valore del finito e dell ' esistenza . Dietro la nostra fredda disciplina per le parole ritornano la parola passione e la parola destino : e la nostra disciplina non sarà conquistata una volta per sempre , ma ci richiamerà ancora a noi stessi , alla continua tensione che ci conduce a riconquistarla senza posa , perché non si inaridisca in vuota forma ed in pretenziosa sufficienza di sé .
PESSIMISMO DI DUVIVIER ( ARISTARCO GUIDO , 1941 )
StampaPeriodica ,
Julien Duvivier è uno tra i pochissimi registi che riescono a dare all ' opera cinematografica un ' impronta di stile personale ed inconfondibile che difficilmente si dimentica . Più rigoroso di Chenal , più incisivo di Carné , più realistico di Feyder , più profondo di Renoir i capisaldi dell ' ultima regia francese è oggi indubbiamente il miglior regista di cui la Francia possa vantare . Non solo , ma appartiene anche a quell ' esiguo numero di mirabili narratori per immagini che va dai Vidor ai Flaherty , dai Capra ai Mamoulian , dai Borzage ai Ford . È uno dei pochissimi , insomma , che abbia compreso nella sua integrità il mezzo espressivo « cinema » compendiando in esso tutti quegli elementi che ne formano lo spettacolo d ' arte . Per questa sana comprensione che ogni regista degno di tal nome dovrebbe avere non farà mai , punto essenziale e fermo nel cinema , del teatro , se pur teatro finissimo , filmato . E il susseguirsi dei fotogrammi che parla in ogni sua pellicola : l ' immagine resta sempre alla base dell ' espressione di eventi e stati d ' animo : le sequenze sempre si susseguono alle sequenze , le angolazioni alle angolazioni , le inquadrature alle inquadrature : tutte accompagnate da un ritmo serrato e conciso , da un ' atmosfera viva , fusa , pittoresca . Gli attori parlano qualche volta con retorica ed enfasi , ma il dialogo non grava mai sull ' immagine , e l ' immagine per effetto delle lunghe chiacchierate , sull ' azione . E la narrazione procede ampia , magnifica , e nello stesso tempo semplice , sentita , genuina lontana da convenzionalismi e da luoghi comuni : mirante all ' essenziale e al particolare insieme . Non solo , poi , il Nostro ha una personalissima ed inconfondibile maniera d ' inquadrare , di muovere la macchina ( carrellate alla Duvivier ) , di narrare conformemente ai canoni fondamentali del cinema vero , ma ha pure un proprio punto di vista rispetto al contenuto e all ' intonazione del film . È quasi sempre la vita degli umili e dei reietti , dei perduti nel vizio e nell ' imbroglio , dell ' uomo della strada e del trivio , dell ' angiporto e del quartiere malfamato , che lo attrae e lo appassiona . Sono gli infiniti e multiformi drammi di questi : i loro casi singoli osservati dai fatti crudi , scarni , scheletrici di cronaca quotidiana che ritrae in ogni più piccolo particolare e in ogni minuta osservazione e sfumatura . Di fronte a questo materiale umano come quasi tutti i registi francesi d ' oggi Duvivier è un osservatore scettico e pessimista ; di uno scetticismo e di un pessimismo spesso malato e morboso , che giunge più volte anche a negare la vita come gioia di vivere , come libera espressione dell ' anima , come affermazione dell ' individuo . I personaggi che ama e predilige hanno tutti una propria fisionomia , un proprio sguardo , un ' impronta particolare : sono esseri senza sorte e senza speranza e , incapaci di dominarsi , trasportati dalla corrente verso un progressivo fallimento di loro stessi : dalla più torbida desolazione , fino al delitto e al suicidio . Per convincersi basta osservare le sue realizzazioni , dove insieme ad una stretta analogia di indagine umana e profonda , non manca mai uno scetticismo impressionante . E questo eccezione fatta per le opere a carattere religioso « Golgota » e « Credo » in ogni suo film . Sia che realizzi una vicenda eroica , « La Bandiera » ; o un intreccio musicale , « L ' uomo del giorno » ; o la storia drammatica di un bimbo incompreso « Pel di Carota » ; o la tumultuosa ed ardente vita di un fuori legge « Pepé le Moko » ; o la descrizione degli ultimi giorni di vecchi attori « I prigionieri del sogno » . Ma dove il pessimismo di Julien Duvivier raggiunge vertici di traboccante grigiore e malinconia è ne « La bella brigata » e in « Carnet de bal » . Entrambi questi film sembrano addirittura ispirati da un Schopenhauer e sceneggiati da un Leopardi nel loro momenti di più cupo abbandono . Nel primo , i sogni , le aspirazioni , tutte le cose belle di cinque operai svanite insieme alla stessa amicizia e solidarietà , ci fa vedere la vita atrocemente buia . Nel secondo : il crudo dramma di una donna non più giovane , che si illude di rincorrere il passato , per ritrovare gli amici di gioventù e riafferrare con essi le gioie non apprezzate , dipinge la vita con toni di morboso scetticismo . ( Morboso scetticismo che si tramuta alla fine nel surrealista « Carro fantasma » in fede , redenzione , luce irradiante ) . Affermare dopo tutto questo che Duvivier è uno scettico , sarebbe troppo poco . Per essere più precisi occorre dire che è un entusiasta del pessimismo . E l ' unico rimprovero che gli si può fare , tra i tanti elogi , è proprio questo : che la sua tecnica e la sua arte siano volutamente messe al servizio di soggetti mai sani ed irradianti luce ; ben sapendo purtuttavia che a nessuno , e neppure a noi , è permesso di voler far sostituire concetti ed intenzioni proprie a quelle dell ' artista . Comunque non si può condannare in Duvivier come alcuni hanno fatto l ' artista . Non è possibile stroncare un ' opera d ' arte in genere solamente perché è costruita su materia non sana . Occorre in questi casi saper distinguere il mondo etico da quello estetico . Se così non fosse , di arte ce ne sarebbe ben poca . Ecco la ragione per la quale non possiamo dissentire Duvivier quanto ad apprezzamenti puramente cinematografici ed artistici .