StampaPeriodica ,
La
successione
alla
carica
di
capo
del
governo
.
Il
Villari
,
però
,
da
questa
sua
messa
a
punto
,
trae
una
deduzione
troppo
facile
e
superficiale
,
ed
errata
,
quindi
,
come
vogliamo
dimostrare
.
Secondo
l
'
articolista
,
la
affermazione
di
cui
sopra
«
vale
a
dimostrare
che
il
Segretario
del
Partito
è
colui
che
in
caso
di
vacanza
deve
presiedere
al
governo
dello
Stato
»
.
Questa
«
dimostrazione
»
del
Villari
,
in
sé
,
può
essere
diversamente
intesa
.
Essa
può
significare
che
appena
si
verifica
la
vacanza
il
Segretario
del
P.N.F.
assuma
di
diritto
l
'
interim
,
e
limitatamente
al
momento
,
della
carica
di
Capo
del
Governo
.
E
ciò
non
sarebbe
possibile
,
né
avrebbe
senso
e
valore
allo
stato
attuale
della
legislazione
.
Ma
non
è
questa
la
tesi
dell
'
A
.
Oppure
,
essa
si
riferisce
ad
una
vera
e
propria
successione
alla
carica
di
Capo
del
Governo
,
appena
si
verifica
la
vacanza
.
Ed
il
Villari
proprio
questa
tesi
sostiene
,
come
anche
chiaramente
si
intende
da
quanto
egli
aggiunge
subito
sotto
:
«
Concludendo
,
è
possibile
stabilirne
anche
in
sede
di
teoria
dello
Stato
fascista
questa
gerarchia
:
il
Segretario
del
Partito
è
il
futuro
capo
del
Fascismo
(
Duce
in
potenza
)
,
il
Duce
-
Capo
del
Fascismo
è
il
futuro
Capo
del
Governo
.
Quando
il
Duce
è
Capo
del
Governo
il
Segretario
del
Partito
è
come
il
Vice
Duce
,
vale
a
dire
il
Vice
Capo
del
Governo
»
.
Noi
non
siamo
,
in
questa
conclusione
,
affatto
d
'
accordo
coll
'
articolista
di
Fronte
Unico
(
fra
parentesi
,
diremo
che
questa
gerarchia
che
egli
costruisce
,
parlando
di
un
Duce
in
potenza
e
di
un
Vice
Duce
oltre
che
errata
,
non
ci
pare
molto
...
seria
.
Essa
poi
solleverebbe
anche
diverse
questioni
sostanziali
)
.
Non
siamo
d
'
accordo
col
Villari
,
ed
a
lui
,
infatti
controbattiamo
richiamandoci
alle
positive
disposizioni
della
legge
fascista
,
e
precisamente
all
'
art
.
5
dello
Statuto
del
P.N.F.
anche
da
lui
invocato
,
ma
non
rettamente
,
ci
pare
,
inteso
,
all
'
art
.
2
della
legge
sulle
Attribuzioni
e
Prerogative
del
Capo
del
Governo
,
del
24
dic
.
1925
,
ed
infine
all
'
art
.
13
della
legge
9
dic
.
1928
sul
Gran
Consiglio
del
Fascismo
.
Il
capo
del
governo
e
il
partito
.
Innanzi
tutto
,
notiamo
l
'
art
.
1
dello
Statuto
del
Partito
in
cui
si
afferma
che
«
Il
Partito
Nazionale
Fascista
è
una
milizia
civile
,
agli
ordini
del
Duce
,
al
servizio
dello
Stato
Fascista
»
.
L
'
art
.
5
dice
:
«
Il
P.N.F.
attraverso
i
gerarchi
e
gli
organi
collegiali
,
svolge
la
sua
attività
sotto
la
guida
del
Duce
e
secondo
le
direttive
segnate
dal
Gran
Consiglio
»
,
e
continua
quindi
con
la
lista
dei
Gerarchi
e
degli
organi
collegiali
,
in
testa
alla
quale
,
Primo
Gerarca
,
figura
il
Segretario
del
P.N.F.
Ora
,
per
valutare
la
figura
giuridica
del
Segretario
del
P.N.F.
,
qualificato
«
primo
gerarca
»
del
Partito
stesso
,
bisogna
intenderci
sul
valore
intrinseco
del
nome
e
della
persona
di
Gerarca
.
Noi
,
tenendo
presente
che
il
P.N.F.
è
milizia
agli
ordini
del
Duce
;
che
la
attività
svolta
dal
Partito
avviene
sotto
la
guida
del
Duce
,
e
i
gerarchi
,
numerosi
,
sono
solo
gli
esecutori
è
significativa
la
espressione
,
«
attraverso
i
gerarchi
e
gli
organi
collegiali
»
dell
'
art
.
5
delle
direttive
del
Duce
e
Capo
del
Governo
;
ricordando
ancora
che
per
l
'
art
.
2
della
legge
24
dic
.
1925
,
n
.
2263
,
è
il
Capo
del
Governo
responsabile
verso
il
Re
dell
'
indirizzo
generale
politico
del
Governo
,
mentre
i
Ministri
sono
responsabili
verso
il
Re
,
sì
,
ma
più
immediatamente
verso
il
Capo
del
Governo
tenendo
presente
tutto
ciò
concludiamo
che
la
figura
del
Segretario
del
Partito
manca
,
di
fronte
al
Gran
Consiglio
del
Fascismo
,
alla
Corona
,
alla
Nazione
,
di
quella
autonomia
di
funzioni
e
di
responsabilità
e
ancora
a
prescindere
dall
'
art
.
13
della
legge
sul
Gran
Consiglio
,
pure
chiaro
in
materia
,
e
di
cui
diremo
sotto
che
il
Villari
implicitamente
afferma
esistere
,
quando
sostiene
come
abbiamo
visto
,
che
in
caso
di
vacanza
il
Segretario
del
Partito
è
colui
che
deve
presiedere
al
Governo
dello
Stato
,
e
afferma
,
sotto
,
che
«
la
riforma
costituzionale
dovrà
tenere
presente
questa
realtà
non
solo
rivoluzionaria
ma
anche
giuridica
»
.
Si
può
dire
subito
in
che
consista
l
'
errore
fondamentale
del
Villari
.
Egli
ha
confuso
e
male
inteso
elementi
politici
con
elementi
giuridici
,
senza
considerare
le
positive
disposizioni
della
legge
fascista
.
Politicamente
,
la
figura
del
Segretario
del
Partito
nella
vita
della
Nazione
si
pone
certo
con
fondamentale
importanza
,
per
il
fascio
di
attività
cui
egli
si
trova
preposto
,
attività
,
quelle
del
Partito
,
che
non
solo
investono
tutti
gli
aspetti
della
vita
sociale
,
ma
sono
anche
in
contatto
con
i
nuovi
e
vecchi
organi
dello
Stato
.
Ma
giuridicamente
,
siamo
lì
:
ci
sono
la
legge
sul
Capo
del
Governo
,
lo
Statuto
del
Partito
,
c
'
è
la
legge
sul
Gran
Consiglio
la
quale
all
'
art
.
13
precisa
e
dispone
:
«
Il
Gran
Consiglio
...
forma
e
tiene
aggiornata
la
lista
dei
nomi
da
presentare
alla
Corona
in
caso
di
vacanza
per
la
nomina
del
Capo
del
Governo
...
»
.
Il
segretario
del
partito
nazionale
fascista
.
Secondo
noi
,
dunque
,
la
figura
del
Segretario
del
Partito
non
ha
,
soprattutto
in
senso
giuridico
,
quella
autonomia
,
quella
personale
rappresentatività
del
P.N.F.
,
di
fronte
al
Capo
dello
Stato
,
che
sarebbe
innanzitutto
intrinsecamente
necessaria
perché
il
Segretario
del
P.N.F.
in
caso
di
vacanza
si
ponesse
come
colui
che
deve
presiedere
al
Governo
dello
Stato
.
Anche
dal
punto
di
vista
della
figura
del
primo
gerarca
del
Partito
noi
vediamo
delinearsi
la
fondamentale
caratteristica
dello
Stato
Fascista
:
quella
del
concentramento
della
direzione
del
Governo
nella
unica
persona
del
Capo
del
Governo
stesso
.
E
su
proposta
di
questi
che
i
ministri
vengono
eletti
.
Egli
ne
dirige
e
coordina
l
'
opera
,
mentre
egli
solo
è
responsabile
verso
la
Corona
dell
'
indirizzo
politico
del
Governo
.
I
Ministri
,
quindi
,
e
così
il
Segretario
del
P.N.F.
,
Primo
Gerarca
del
Partito
stesso
e
Ministro
,
nel
compimento
del
proprio
mandato
prima
di
tutto
devono
godere
la
fiducia
del
Capo
del
Governo
,
di
fronte
al
quale
sono
responsabili
.
Il
Capo
del
Governo
resta
Capo
del
Partito
.
Ed
anche
qui
il
Segretario
del
Partito
è
un
suo
fiduciario
,
di
cui
egli
si
serve
nell
'
opera
attiva
di
direzione
del
Partito
.
Il
Segretario
del
Partito
non
esprime
in
sé
la
forza
del
partito
di
fronte
alla
Corona
,
in
caso
di
vacanza
.
Di
questa
forza
,
nel
momento
della
successione
al
Capo
del
Governo
,
è
portatore
il
Gran
Consiglio
del
Fascismo
,
il
quale
infatti
presenterà
alla
Corona
la
lista
dei
nomi
per
la
nomina
a
Capo
del
Governo
.
Ed
è
questo
il
modo
con
cui
il
Partito
Fascista
si
assicura
l
'
effettiva
continuità
di
Governo
dello
Stato
.
Che
il
Segretario
del
Partito
sia
de
jure
Segretario
del
Gran
Consiglio
si
capisce
benissimo
,
e
non
è
certo
da
questo
fatto
che
si
possono
trarre
le
conclusioni
cui
arriva
il
Villari
nel
suo
studio
.
In
quanto
il
Segretario
del
Partito
sia
delegato
a
convocarlo
e
presiederlo
,
questa
pure
è
una
logica
possibilità
per
la
posizione
,
importante
e
di
primaria
fiducia
da
parte
del
Capo
del
Governo
,
in
cui
si
trova
il
Segretario
del
Partito
.
Resta
il
caso
di
vacanza
della
carica
.
Che
il
Segretario
del
Partito
in
questa
situazione
delicata
sia
chiamato
,
di
diritto
,
pare
,
a
convocare
e
presiedere
il
Gran
Consiglio
,
è
,
siamo
d
'
accordo
,
di
estrema
importanza
.
Vogliamo
anche
dire
però
che
dato
che
il
Gran
Consiglio
dev
'
essere
pure
convocato
e
presieduto
,
è
naturale
che
lo
sia
dal
Segretario
del
Partito
,
sempre
quale
primo
gerarca
del
Partito
stesso
.
Ma
questo
fatto
non
ha
alcuna
conseguenza
giuridica
per
quel
che
riguarda
la
successione
.
La
successione
alla
carica
di
Capo
del
Governo
è
molto
semplice
avverrà
secondo
la
legge
già
posta
,
secondo
cioè
l
'
art
.
13
della
legge
sul
Gran
Consiglio
,
organo
costituzionale
dello
Stato
.
Che
poi
il
Segretario
del
Partito
sia
uno
dei
designati
della
lista
,
questa
sarà
una
possibilità
come
un
'
altra
.
Notiamo
anche
che
il
fatto
di
presiedere
,
nel
tempo
di
vacanza
,
il
Gran
Consiglio
non
influisce
sulla
composizione
della
lista
.
Né
in
senso
giuridico
,
come
abbiamo
detto
.
E
neppure
in
senso
politico
,
in
quanto
che
la
lista
non
viene
composta
al
tempo
della
vacanza
della
carica
,
ma
il
Gran
Consiglio
già
prima
la
forma
e
tiene
aggiornata
.
Il
Villari
discute
a
lungo
sulla
ragione
della
nomina
a
Ministro
del
Segretario
del
Partito
.
A
noi
essa
sembra
chiara
e
semplice
,
quanto
profonda
nel
suo
significato
e
nel
suo
valore
.
Intanto
,
per
permettere
la
normale
partecipazione
del
Segretario
del
Partito
ai
Consigli
dei
Ministri
.
Poi
,
ad
esprimere
,
nel
Segretario
del
Partito
Nazionale
Fascista
,
Ministro
del
Governo
del
Re
,
la
conquista
,
politica
e
giuridica
,
dello
Stato
da
parte
del
Partito
.
Il
Partito
Fascista
,
giunto
al
Governo
,
realizzò
,
per
mezzo
di
leggi
,
una
trasformazione
della
struttura
dello
Stato
.
L
'
elemento
politico
è
determinatore
della
realizzazione
giuridica
.
Non
solo
.
Ma
la
forza
politica
si
concreta
in
realtà
giuridica
.
Così
,
ecco
il
Partito
Nazionale
Fascista
divenire
elemento
essenziale
dello
Stato
Fascista
,
e
il
suo
primo
Gerarca
essere
nominato
Ministro
.
StampaPeriodica ,
Vogliamo
riassumere
in
questa
«
rassegna
della
stampa
»
i
notevoli
contributi
che
Critica
fascista
ha
portato
nel
corso
di
quest
'
anno
al
problema
dei
giovani
in
quanto
problema
della
formazione
di
una
classe
dirigente
.
Nel
caso
più
fortunato
questo
problema
è
posto
direttamente
dal
giovane
ed
allora
non
è
semplicemente
problema
della
«
caccia
»
a
qualche
dignità
nelle
organizzazioni
;
è
problema
di
quelli
«
che
intendono
mettersi
al
centro
stesso
del
mondo
ideale
creato
dagli
anziani
,
per
rivederne
carte
ed
orientamenti
.
Giudicano
costoro
,
che
i
posti
,
le
funzioni
,
le
cariche
,
le
responsabilità
di
comando
in
mano
dei
giovani
sono
meno
che
niente
,
se
non
servono
a
rinnovare
esperienze
,
metodi
,
sistemi
,
impostazioni
formali
e
sostanziali
dei
problemi
,
che
sempre
mutano
nel
volgere
degli
eventi
e
delle
generazioni
»
.
Ma
per
riuscire
a
questo
la
loro
attività
deve
essere
concreta
,
costruttiva
«
poiché
è
da
stolti
uscirsene
fuori
con
un
frondismo
generico
,
allusivo
,
farcito
di
ammiccamenti
caricaturali
a
questo
o
a
quel
tipo
di
gerarca
pretenzioso
,
a
questo
o
quel
sedicente
Padre
Eterno
della
scienza
»
.
Forse
la
ramanzina
è
troppo
violenta
perché
si
è
portati
nei
primi
passi
,
nel
prendere
cognizione
del
mondo
che
ci
circonda
,
a
questo
atteggiamento
,
che
diviene
inconcludente
solo
in
quanto
sia
fine
a
se
stesso
.
Ma
purtroppo
la
nostra
storia
ci
insegna
che
troppo
spesso
uno
sforzo
generoso
si
è
risolto
in
qualche
insignificante
«
pasquinata
»
!
Ma
se
tutto
il
problema
stesse
qui
,
non
ci
si
spiegherebbe
quel
certo
che
di
stanco
e
di
acre
che
lo
accompagna
sempre
:
il
problema
è
più
grave
,
poiché
sono
pochi
i
giovani
che
vanno
incontro
alle
loro
responsabilità
.
Molti
,
i
più
,
trascorrono
quieti
,
nel
conformismo
di
una
vita
limitata
,
e
perciò
il
problema
dei
giovani
è
più
un
problema
di
carenza
,
che
ingigantisce
allora
fino
a
quello
della
formazione
della
classe
dirigente
.
Formazione
di
una
classe
dirigente
.
Camillo
Pellizzi
,
ricercando
nella
Critica
fascista
del
15-6-XV
,
un
rimedio
a
questo
stato
di
cose
,
si
sente
attratto
verso
i
metodi
dei
colleges
inglesi
e
vorrebbe
associare
alle
scuole
,
dalle
elementari
all
'
università
,
un
complesso
di
esercitazioni
.
In
esse
il
giovane
dovrebbe
educarsi
«
alla
deliberazione
responsabile
,
alla
valutazione
equa
delle
diverse
opinioni
,
alla
disciplina
del
dibattito
»
.
Confessiamo
che
,
per
quanto
questo
ideale
di
dolce
Accademia
possa
sedurci
in
qualche
momento
di
nostalgia
melanconica
,
non
ci
sentiamo
di
appoggiare
una
proposta
che
all
'
atto
pratico
si
ridurrebbe
ad
una
mera
classe
di
retorica
o
a
qualche
istituzione
del
tipo
dei
boy
scouts
.
Ma
,
a
parte
la
facile
ironia
,
a
cosa
condurrebbe
la
proposta
del
Pellizzi
?
Agostino
Nasti
,
nella
Critica
fascista
dell'1-7-XV
,
afferma
che
«
quel
sistema
da
sé
solo
,
potrebbe
essere
,
date
le
caratteristiche
dell
'
ingegno
italiano
(
brillantezza
,
facilità
,
attitudine
alla
retorica
)
,
un
mezzo
di
esercizio
della
sola
intelligenza
e
corruttore
della
personalità
morale
»
.
Si
finirebbe
così
per
cadere
nuovamente
in
quella
dittatura
di
funzionari
,
che
Pellizzi
ritiene
essere
«
fenomeno
di
cui
la
storia
ha
vari
esempi
:
e
sono
tutti
esempi
a
ben
guardare
di
decadenza
»
.
Noi
non
vogliamo
con
questo
spezzare
la
lancia
contro
la
discussione
,
la
libera
discussione
.
Noi
vogliamo
soltanto
mettere
in
guardia
contro
l
'
abuso
di
essa
,
abuso
che
ci
condurrebbe
in
questo
caso
ad
una
sterile
,
esangue
ed
organizzata
esercitazione
.
In
essa
la
borghesia
,
feconda
soltanto
di
funzionari
e
di
burocrati
,
diguazzerebbe
contenta
e
soddisfatta
,
seguitando
ad
inquinare
ed
a
monopolizzare
la
classe
dirigente
italiana
.
Il
fondamentale
problema
è
invece
come
dice
Nasti
quello
di
immettere
nella
classe
dirigente
italiana
il
popolo
ed
egli
vorrebbe
che
il
«
Pellizzi
chiarisse
se
è
d
'
accordo
sulla
necessità
di
questo
rinsanguamento
della
classe
politica
italiana
,
sulla
necessità
,
cioè
,
che
questa
sia
apertissima
,
che
si
faciliti
l
'
ingresso
in
essa
di
uomini
espressi
dal
popolo
e
che
sia
necessario
quindi
pensare
al
modo
di
preparare
questi
elementi
popolari
,
che
non
sono
preparati
dall
'
ambiente
familiare
e
nemmeno
nelle
scuole
,
perché
frequentano
solo
le
elementari
»
.
Sindacati
e
classe
dirigente
.
Ma
per
la
scelta
di
questi
elementi
egli
non
ritiene
sufficiente
la
«
scuola
»
sindacale
e
si
chiede
angosciato
:
«
Dovremo
sempre
essere
un
popolo
di
prim
'
ordine
guidato
da
una
mediocre
classe
dirigente
?
»
.
Indubbiamente
,
pensando
al
modo
con
cui
oggi
funzionano
i
sindacati
,
non
è
possibile
sperare
che
da
essi
si
esprima
facilmente
questa
nuova
classe
dirigente
.
Ma
noi
non
condividiamo
l
'
estrema
punta
di
angoscia
del
Nasti
e
pensiamo
invece
che
lo
sforzo
nostro
debba
rivolgersi
proprio
verso
l
'
organizzazione
sindacale
.
Essa
ha
molti
difetti
e
tutti
lo
confessano
.
Longo
,
per
es
.
,
in
Critica
fascista
dell'1-6-XV
,
insiste
«
sulla
necessità
ed
urgenza
di
approfondire
ed
intensificare
l
'
opera
di
educazione
sindacale
delle
masse
lavoratrici
»
poiché
«
i
giovani
lavoratori
,
in
genere
,
non
si
interessano
abbastanza
del
sindacato
e
della
vita
sindacale
»
.
Ma
senza
sperare
in
una
formazione
spontanea
di
questa
classe
dirigente
attraverso
i
sindacati
,
noi
crediamo
che
questa
sia
ancora
l
'
unica
via
e
ce
la
indica
la
coscienza
,
che
abbiamo
della
maturità
dell
'
operaio
italiano
,
maturità
fatta
di
cosciente
responsabilità
e
di
disciplinata
decisione
.
Il
nostro
sforzo
deve
mirare
a
liberare
da
impacci
burocratici
ed
organizzativi
queste
forze
che
sole
ci
permetteranno
la
formazione
di
quella
classe
dirigente
unitaria
che
non
porti
più
in
sé
«
le
conseguenze
della
divisione
politica
e
non
soltanto
in
senso
territoriale
che
precedette
l
'
unificazione
dell
'
Italia
»
.
Avviso
agli
universitari
.
E
nel
paragrafo
precedente
abbiamo
parlato
,
a
ragion
veduta
,
del
sindacato
come
dell
'
unica
via
per
la
formazione
della
classe
dirigente
,
poiché
,
se
l
'
universitario
non
vorrà
morire
nella
burocrazia
o
nel
frazionariato
,
egli
dovrà
finire
collo
spogliarsi
di
molte
delle
sue
soprastrutture
e
dovrà
soprattutto
avvicinarsi
alla
classe
operaia
avvicinarlesi
nel
sindacato
,
nel
gruppo
rionale
,
nel
dopolavoro
.
Ma
egli
è
ancora
molto
distante
da
questo
suo
imprescindibile
compito
.
Vediamo
,
infatti
,
i
resoconti
del
Convegno
di
dottrina
del
fascismo
,
ai
Littoriali
di
quest
'
anno
.
In
esso
troppo
si
è
teorizzato
astrattamente
e
formalmente
.
Giancarlo
Ballarati
,
Littore
di
quest
'
anno
,
in
Critica
fascista
dell'1-5-XV
,
chiama
«
negativo
e
sterile
quell
'
aspetto
del
convegno
,
che
si
è
posto
alla
astratta
ricerca
della
determinazione
di
una
personalità
ideale
e
di
un
concetto
speculativo
dello
Stato
,
perché
si
compiva
l
'
opera
vana
della
giustificazione
del
punto
di
partenza
,
rivendicando
lo
Stato
come
interiorità
e
spiritualità
ciò
che
è
presupposto
ormai
pacifico
,
e
caratteristica
propria
anche
a
forme
non
fasciste
di
Stato
»
.
Lasciamo
da
parte
l
'
invito
,
che
credo
imbarazzante
,
a
tirar
fuori
quelle
altre
forme
non
fasciste
di
Stato
e
concordiamo
senz
'
altro
nel
ritenere
sterile
questo
circolo
vizioso
della
giustificazione
del
punto
di
partenza
.
Ma
crede
forse
il
camerata
Ballarati
che
questo
Stato
interiore
e
spirituale
sia
presupposto
ormai
pacifico
?
Se
lo
è
per
alcuno
,
lo
sarà
per
gli
ondivaghi
filosofanti
,
per
quelli
che
,
come
vedo
riportato
nel
successivo
articolo
di
Vincenzo
Buonassisi
«
credono
che
l
'
Impero
esistesse
entro
di
noi
prima
che
disponessimo
di
un
sol
metro
quadrato
di
territorio
»
.
Noi
crediamo
invece
che
la
discussione
teorica
sia
utilissima
e
necessaria
,
purché
esca
dall
'
esoterismo
di
questo
Stato
in
interiore
hominis
.
È
l
'
avviso
che
noi
dobbiamo
ricavare
da
questa
lunga
polemica
e
specie
dalle
parole
di
Nasti
,
è
quello
di
rompere
una
buona
volta
col
pacifico
vivacchiare
e
profittare
del
«
pane
della
scienza
»
.
Si
afferma
l
'
identità
del
pensare
e
del
fare
per
poi
solo
pensare
o
meglio
arzigogolare
schemi
.
StampaPeriodica ,
Relazione
di
un
esperimento
.
Quale
documentazione
dell
'
articolo
comparso
nel
numero
ultimo
«
Universitari
e
operai
»
,
pubblichiamo
la
relazione
di
conversazioni
svoltesi
al
Dopo
Lavoro
Poligrafici
«
F
.
Corridoni
»
di
Padova
,
di
un
gruppo
di
operai
e
un
gruppo
di
fascisti
universitari
.
Queste
conversazioni
sono
state
improntate
dal
massimo
cameratismo
.
Entrambi
i
gruppi
hanno
voluto
scambiarsi
qualcosa
;
gli
universitari
dare
un
ordine
,
una
inquadratura
ideale
ai
problemi
politici
e
sociali
che
nascono
nella
classe
operaia
,
perché
essa
acquisti
una
maggiore
consapevolezza
di
se
stessa
,
gli
operai
han
voluto
rimpolpare
di
vita
concreta
gli
ideali
e
gli
schemi
portati
dagli
universitari
,
perché
essi
vivano
un
'
esperienza
più
aderente
alla
realtà
.
Le
discussioni
,
sebbene
calorose
,
sono
state
serene
e
obbiettive
.
Volutamente
non
è
stato
fissato
un
programma
preciso
;
ma
di
volta
in
volta
sono
stati
proposti
per
la
riunione
successiva
quei
temi
e
quei
problemi
,
che
,
nella
discussione
,
si
erano
mostrati
più
interessanti
.
Il
pretesto
per
iniziare
le
conversazioni
è
stato
offerto
dal
pensiero
politico
e
sociale
del
Mazzini
.
Questa
prima
riunione
è
stata
particolarmente
vivace
;
si
tratta
di
fare
amicizia
,
di
conoscersi
reciprocamente
e
di
superare
i
dissensi
per
poter
giungere
a
una
vera
collaborazione
.
Obiezioni
operaie
.
Gli
operai
,
pur
riconoscendo
che
sarebbe
desiderabile
il
formarsi
di
una
élite
operaia
che
fosse
educata
alla
responsabilità
politica
immessa
nella
classe
dirigente
,
vollero
far
sentire
agli
universitari
che
il
problema
urta
poi
nella
realtà
contro
difficoltà
gravissime
,
e
specialmente
gli
operai
più
anziani
,
che
la
vita
politica
di
altri
tempi
aveva
amareggiato
,
vollero
,
accentuando
magari
nel
calore
polemico
le
tinte
,
che
i
giovani
universitari
e
gli
operai
si
rendessero
ben
conto
di
esse
e
delle
loro
gravità
.
Ne
risultarono
osservazioni
che
possono
sembrare
improntate
ad
un
amaro
scetticismo
,
ma
che
volevano
avere
invece
solo
la
funzione
igienica
e
ritemprante
di
una
doccia
fredda
;
e
ciò
risultò
dalla
stessa
confessione
dei
critici
più
severi
,
e
dal
fatto
che
la
fede
dei
più
giovani
non
fu
affatto
turbata
.
In
ogni
modo
fu
obiettato
innanzitutto
che
le
prime
difficoltà
nascono
proprio
dalla
stessa
mentalità
della
classe
operaia
.
L
'
operaio
cioè
non
sa
diventare
dirigente
restando
operaio
.
E
ciò
vale
sia
nel
campo
più
precisamente
tecnico
che
in
quello
politico
.
L
'
operaio
dotato
di
intelligenza
e
di
qualità
direttive
tende
non
solo
a
differenziarsi
dagli
altri
operai
,
ma
a
staccarsi
da
essi
,
tende
a
diventare
borghese
.
Le
cause
fondamentali
di
questa
mentalità
sono
da
ricercarsi
:
sia
nella
vita
che
l
'
operaio
conduce
,
la
quale
per
la
sua
durezza
è
tale
da
educarlo
all
'
egoismo
anziché
alla
collaborazione
;
sia
nell
'
ambiente
sociale
troppo
gretto
che
diffida
di
ogni
personalità
che
voglia
elevarsi
e
la
contrasta
;
sia
nella
poca
considerazione
che
in
tale
ambiente
ha
la
cultura
e
nella
reale
difficoltà
per
un
lavoratore
di
studiare
e
di
orientarsi
da
solo
;
e
infine
nella
gelosia
con
cui
l
'
operaio
che
non
fatica
è
asceso
ai
massimi
limiti
della
sua
categoria
,
difende
le
sue
conquiste
economiche
e
sociali
;
gelosia
tanto
più
viva
quanto
più
lenta
e
difficile
è
tale
ascensione
.
Per
tutte
queste
difficoltà
che
sorgono
in
seno
alla
classe
operaia
è
oltremodo
difficile
elevarla
,
ed
è
quasi
impossibile
anzi
,
poiché
questa
classe
è
destinata
a
perdere
,
man
mano
che
in
essa
si
formano
i
suoi
elementi
migliori
che
non
formeranno
l
'
élite
della
classe
operaia
,
ma
passeranno
nella
diversa
classe
borghese
della
quale
assumono
colla
più
grande
naturalezza
la
mentalità
e
che
essi
rinsanguano
di
continuo
con
nuove
forze
.
Altre
osservazioni
mirano
invece
a
dimostrare
le
difficoltà
intrinseche
che
ostacolano
una
superiore
educazione
politica
della
classe
operaia
.
Si
faceva
osservare
che
la
causa
è
da
ricercarsi
non
solo
nella
mentalità
egoistica
dell
'
operaio
,
ma
nella
complessa
struttura
economica
e
sociale
di
una
società
che
è
tuttora
prevalentemente
borghese
.
In
essa
infatti
il
problema
della
classe
dirigente
è
sentito
essenzialmente
come
proprio
,
in
modo
quasi
esclusivo
,
della
classe
borghese
.
Si
richiedono
infatti
studi
lunghi
,
complessi
e
non
sempre
utili
che
sono
preclusi
all
'
operaio
che
ha
scarsi
mezzi
economici
;
la
successione
ai
posti
dirigenti
è
governata
da
un
notevole
automatismo
per
cui
si
stabilisce
quasi
una
specie
di
eredità
nella
direzione
;
la
sempre
crescente
disciplina
della
vita
economica
costringe
maggiormente
l
'
operaio
nella
sua
categoria
e
in
seno
ad
essa
gli
è
preclusa
ogni
ascesa
al
di
là
di
certi
limiti
molto
ristretti
.
Queste
difficoltà
esteriori
non
sono
infine
l
'
ultima
ragione
del
formarsi
di
quella
mentalità
egoistica
di
cui
sopra
,
e
del
poco
amore
dell
'
operaio
per
la
sua
classe
.
Tutto
ciò
è
causa
ancora
di
una
sempre
più
viva
consapevolezza
negli
operai
,
e
specialmente
nei
più
dotati
,
di
un
dualismo
di
classe
.
Il
fascismo
ha
superato
la
lotta
di
classe
e
tuttavia
questo
sentimento
così
vivo
della
dualità
delle
classi
e
del
loro
equilibrio
di
fatto
genera
un
senso
di
disorientamento
.
StampaPeriodica ,
La
Mostra
d
'
Arte
organizzata
dal
nostro
G.U.F.
ci
fa
conoscere
due
giovani
artisti
che
sono
qualche
cosa
di
più
di
semplici
«
promesse
»
:
Antonio
Zancanaro
e
Arrigo
Episcopi
.
Formatisi
entrambi
in
modo
indipendente
da
ogni
indirizzo
scolastico
,
rivelano
una
loro
personalità
precisa
,
una
originalità
che
invano
noi
potremmo
cercare
in
altri
giovani
.
Lontani
da
ogni
Accademia
o
Cenacolo
essi
esprimono
con
piena
sincerità
la
loro
visione
del
mondo
e
della
vita
,
non
costretti
in
alcuna
formula
,
non
snaturati
da
alcuna
imitazione
.
Questa
lode
deve
essere
detta
per
entrambi
sebbene
la
loro
arte
presenti
aspetti
del
tutto
contrastanti
e
sebbene
molto
diversi
siano
i
valori
che
rappresentano
.
TONO
ZANCANARO
.
Tono
Zancanaro
è
il
più
maturo
e
completo
.
Egli
è
assolutamente
un
autodidatta
.
Viene
da
una
famiglia
di
artigiani
e
del
padre
meccanico
egli
ha
ereditato
l
'
amore
appassionato
al
lavoro
,
la
scrupolosa
e
faticosa
ricerca
della
perfezione
tecnica
,
l
'
onestà
più
assoluta
nel
produrre
,
nel
creare
.
Non
si
può
certo
rimproverare
a
Tono
Zancanaro
di
lavorare
poco
;
questa
mostra
ospita
più
di
cento
opere
in
bianco
e
nero
e
un
grandissimo
numero
di
schizzi
,
di
bozzetti
,
di
studi
,
e
il
tutto
è
prodotto
dal
metodico
lavoro
di
meno
d
'
un
anno
.
E
quello
che
più
stupisce
in
tanta
produzione
è
l
'
alto
livello
di
quasi
tutte
le
opere
,
la
continuità
dell
'
ispirazione
,
la
scrupolosa
rifinitura
di
ognuna
.
Questa
onestà
di
lavoro
è
la
prima
virtù
di
Zancanaro
ed
è
valida
testimonianza
della
serietà
e
profondità
del
suo
mondo
morale
ed
artistico
,
e
non
a
caso
abbiamo
voluto
sottolinearla
prima
di
passare
ad
una
valutazione
propriamente
artistica
,
perché
è
questa
stessa
profondità
morale
che
rende
viva
e
vera
la
sua
arte
.
Tono
Zancanaro
,
oggi
,
quando
come
mai
l
'
arte
italiana
appare
imprigionata
in
un
formalismo
vuoto
di
valori
spirituali
e
schiavo
dell
'
artificio
,
offre
a
chi
vuole
intenderlo
un
'
arte
che
è
l
'
espressione
vigorosa
di
una
visione
della
vita
sincera
e
profonda
.
La
sofferenza
che
si
legge
nelle
opere
di
Zancanaro
non
è
quella
che
tormenta
la
maggior
parte
degli
artisti
moderni
e
si
rivolge
tutta
alla
ricerca
di
nuove
espressioni
formali
o
tecniche
.
La
sua
sofferenza
è
per
la
vita
e
per
gli
uomini
che
sono
affaticati
dal
male
e
dal
dolore
.
Da
queste
sue
opere
si
capisce
che
per
lui
l
'
essenziale
è
intendere
le
cose
,
penetrare
la
realtà
e
la
vita
;
il
problema
di
esprimersi
si
risolve
allora
da
solo
:
la
tecnica
nascerà
spontaneamente
,
necessariamente
anzi
,
e
nuova
e
personale
come
nuova
e
personale
è
l
'
interpretazione
.
In
questa
sincera
ricerca
Zancanaro
esprime
la
sua
dolorosa
convinzione
:
che
il
male
,
il
brutto
,
sono
nella
radice
stessa
della
vita
e
deturpano
ed
avviliscono
la
bontà
,
la
bellezza
,
la
gioia
.
L
'
uomo
nella
sua
più
intima
essenza
è
fatto
per
il
bene
e
per
il
bello
,
ma
tutto
è
imperfezione
attorno
a
lui
e
la
sua
vita
non
può
per
ciò
non
essere
infelice
.
Zancanaro
ci
raffigura
il
più
delle
volte
uomini
o
immersi
nel
sonno
o
guardanti
lontano
con
l
'
occhio
assente
.
Ma
quel
sonno
è
piuttosto
tristissimo
abbandono
,
è
la
sofferenza
di
chi
è
vinto
e
privo
insieme
anche
di
quella
pace
e
di
quel
riposo
che
pur
consegue
alla
sconfitta
.
Questi
dormienti
esprimono
un
tormento
senza
fine
come
senza
fine
è
l
'
ansia
della
nostra
natura
per
il
bello
ed
il
buono
e
senza
risoluzione
è
la
contraddizione
che
ci
lega
al
male
e
al
dolore
.
Nei
paesaggi
Zancanaro
interpreta
in
modo
analogo
alla
vita
dell
'
uomo
la
vita
della
città
.
Così
preferisce
la
notte
;
le
vie
silenziose
,
tutte
contrasti
di
ombre
densissime
e
di
luci
improvvise
.
L
'
armonia
degli
elementi
architettonici
,
delle
masse
dei
muri
e
degli
alberi
si
smarrisce
nel
mistero
creato
dalle
ombre
che
si
annidano
dense
nel
fogliame
e
nei
portici
oscuri
e
profondi
.
Altre
opere
invece
manifestano
una
vivace
reazione
,
una
aspra
intolleranza
di
ciò
che
è
o
troppo
brutto
o
assurdo
,
e
l
'
arte
di
Zancanaro
si
esprime
allora
in
grotteschi
di
grande
efficacia
,
ma
a
volte
così
permeati
della
personalità
del
loro
autore
che
recano
simboli
probabilmente
comprensibili
a
lui
solo
.
È
attraverso
questo
profondo
e
doloroso
sentire
che
Zancanaro
ha
conquistato
la
sua
stessa
tecnica
,
onesta
,
vigorosa
,
sempre
più
espressiva
e
aderente
al
pensiero
.
Nessuna
imitazione
,
nessuna
corrente
accademica
.
Se
qualche
cosa
dai
moderni
artisti
italiani
egli
ha
appreso
,
è
da
Rosai
;
ma
non
in
modo
estrinseco
e
servile
.
Da
questo
nostro
pittore
,
che
egli
reputa
suo
maestro
ha
imparato
onestà
e
purezza
e
la
sincerità
nel
vedere
e
nell
'
esprimersi
.
ARRIGO
EPISCOPI
.
Con
un
'
arte
del
tutto
diversa
si
presenta
Arrigo
Episcopi
.
Egli
è
molto
più
giovane
,
ma
anche
meno
maturo
di
Tono
Zancanaro
,
e
tuttavia
anche
la
sua
pittura
è
caratterizzata
dalla
sincerità
.
Se
di
Zancanaro
si
potesse
dire
che
vede
tutto
troppo
sul
serio
,
di
Episcopi
bisognerebbe
affermare
che
nulla
egli
prenda
sul
serio
.
In
questa
scherzosità
che
rasenta
a
volte
la
presa
in
giro
è
del
resto
la
sua
originalità
,
la
sua
nota
schiettamente
personale
.
Episcopi
non
vuole
penetrare
oltre
la
corteccia
la
realtà
,
e
ciò
deliberatamente
.
Non
è
un
superficiale
pretenzioso
che
finga
con
veli
letterari
e
retorici
una
commozione
che
non
sente
;
egli
non
vuol
essere
commosso
,
forse
non
sa
commuoversi
,
e
facilmente
ride
di
ogni
istrioneria
,
di
ogni
posa
tragica
o
sentimentale
.
Molti
suoi
tratti
caratteristici
sono
del
resto
propri
di
gran
parte
della
nostra
gioventù
,
che
appare
fredda
,
ipercritica
,
motteggiatrice
.
Egli
volutamente
respinge
ogni
solennità
,
ma
esige
che
ciò
che
resta
abbia
i
segni
dell
'
intelligenza
e
dell
'
eleganza
,
appaghi
con
la
grazia
e
con
lo
scherzo
.
Tra
le
cose
sue
che
più
lo
rappresentano
son
certi
quadretti
acquarellati
con
molto
buon
gusto
,
popolati
da
infinite
figurine
disegnate
con
fresca
spontaneità
,
spesso
con
umorismo
facile
e
signorile
.
Ma
vi
sono
quadri
di
maggiore
respiro
,
e
particolarmente
notevoli
sono
i
ritratti
;
il
nostro
giovane
artista
sa
cogliere
ciò
che
vi
è
di
caratteristico
nei
suoi
modelli
,
con
acume
cui
non
va
disgiunta
una
certa
vena
di
composto
e
sereno
umorismo
che
anche
qui
rivela
il
suo
personalissimo
carattere
.
È
qui
che
Episcopi
esprime
col
più
bel
garbo
questa
sua
ferma
volontà
di
restare
alla
superficie
.
Eleganza
,
ordine
,
equilibrio
nel
disegno
e
nelle
tonalità
,
sono
le
doti
di
queste
sue
opere
e
sono
in
fondo
la
preoccupazione
più
viva
del
nostro
giovane
artista
.
Non
vogliamo
dire
con
ciò
che
egli
cada
in
quel
formalismo
,
in
quel
tecnicismo
che
più
sopra
abbiamo
rimproverato
a
troppi
dei
giovani
pittori
italiani
;
il
suo
spirito
critico
,
la
sua
immediatezza
lo
trattengono
da
questa
via
facile
.
Episcopi
,
se
scherza
su
tutto
,
l
'
arte
sua
però
la
prende
sul
serio
,
ed
egli
va
conquistando
con
sforzi
assidui
e
con
progressi
continui
la
sua
orginalità
e
la
sua
maturità
d
'
artista
.
StampaPeriodica ,
C
'
è
stato
quest
'
anno
un
generale
desiderio
di
rivedere
le
posizioni
conquistate
dal
sindacato
fascista
:
desiderio
originato
dalla
nuova
parola
d
'
ordine
autarchica
,
che
ha
aumentato
enormemente
il
potere
delle
corporazioni
,
originato
anche
dalla
visione
della
enorme
,
seppur
confusa
,
esperienza
tedesca
del
Fronte
del
lavoro
.
Questa
revisione
era
necessaria
,
come
si
è
visto
dalla
molta
confusione
che
ha
originato
e
dalle
diverse
reazioni
che
ha
provocato
.
Stato
corporativo
e
sindacato
.
Il
problema
che
si
poneva
era
quello
del
significato
del
sindacato
di
fronte
alle
corporazioni
.
E
si
parlava
del
sindacato
,
avendo
presente
il
complesso
delle
organizzazioni
dei
lavoratori
,
come
quelle
di
più
alto
interesse
politico
.
Il
sindacalismo
fascista
,
si
dice
,
ha
cessato
di
esistere
da
quando
il
regime
ha
istituito
le
corporazioni
;
da
esse
il
potere
del
sindacato
è
stato
notevolmente
diminuito
.
La
legge
del
'34
ha
portato
un
'
altra
riduzione
nel
potere
del
sindacato
;
attraverso
a
questa
legge
la
corporazione
ha
acquistato
un
potere
economico
normativo
,
tale
che
ad
essa
deve
essere
demandata
ogni
autorità
nella
stipulazione
dei
contratti
tra
il
capitale
e
il
lavoro
.
Quest
'
autorità
è
,
infine
,
singolarmente
accresciuta
dalla
parola
d
'
ordine
dell
'
autarchia
,
che
ha
trovato
i
suoi
organi
esecutivi
nelle
corporazioni
.
Che
resta
dunque
del
sindacato
,
si
chiedono
i
numerosi
teorici
della
liquidazione
,
i
numerosi
teorici
che
temono
la
vivace
realtà
delle
masse
e
che
vorrebbero
la
fine
dell
'
organismo
che
le
rappresenta
.
Noi
non
vogliamo
scendere
nella
discussione
dei
loro
capziosi
argomenti
e
vorremmo
che
essi
si
ponessero
un
'
altra
domanda
:
cosa
sarebbero
le
corporazioni
,
cosa
sarebbe
tutto
lo
Stato
corporativo
senza
i
sindacati
?
Perché
liquidare
vasti
organismi
,
passando
le
attribuzioni
specifiche
allo
Stato
per
il
tramite
della
corporazione
,
è
cosa
facile
.
E
anche
cosa
comoda
,
perché
permette
di
risolvere
elegantemente
profonde
difficoltà
teoriche
,
eliminando
coraggiosamente
una
delle
parti
in
causa
.
Permette
,
inoltre
,
di
costruire
belli
schemi
in
cui
graziosamente
si
armonizzano
le
varie
attività
politiche
,
economiche
e
sociali
.
Ma
,
quel
che
più
conta
,
liquidare
il
sindacato
significa
poter
risolvere
gli
infiniti
problemi
economici
,
senza
contatti
con
l
'
impura
realtà
degli
interessi
e
delle
necessità
.
E
non
si
venga
fuori
adesso
colla
solita
obiezione
del
superamento
della
lotta
di
classe
.
Che
essa
sia
superata
,
lo
sappiamo
tutti
,
ma
cosa
vuol
dire
superarla
non
si
sa
troppo
.
C
'
è
chi
sogna
che
il
superamento
della
lotta
di
classe
debba
significare
un
placido
mondo
in
cui
l
'
economia
ha
perso
la
sua
crudezza
vivace
per
diventare
mansueta
e
delicata
come
nell
'
età
dell
'
oro
.
No
,
superare
la
lotta
di
classe
non
significa
come
giustamente
nota
Arrigoni
nel
primo
numero
di
Dottrina
fascista
«
abolire
la
lotta
,
la
competizione
,
il
contrasto
di
interessi
.
Il
corporativismo
egli
continua
è
per
la
collaborazione
degli
interessi
in
vista
di
un
fine
supremo
,
ma
non
per
la
loro
identificazione
»
.
Composizione
dunque
,
non
identificazione
,
ché
identificazione
non
si
avrebbe
senza
la
violenta
abolizione
di
una
delle
parti
in
causa
,
abolizione
cui
nessuno
pensa
,
né
penserà
.
Ma
ritornando
alla
domanda
che
avevamo
posta
ai
signori
liquidatori
,
vediamo
subito
quali
sarebbero
le
caratteristiche
di
questo
Stato
corporativo
,
privo
della
sua
base
sindacale
.
Tutte
le
attribuzioni
relative
ai
contratti
tra
lavoro
e
capitale
,
tutte
le
forme
di
assistenza
e
di
educazione
professionale
,
tutte
le
forme
di
controllo
sull
'
applicazione
dei
contratti
collettivi
,
la
funzione
di
collocamento
:
tutto
passa
allo
Stato
.
Esso
organizzerà
enormi
apparati
burocratici
,
frazionerà
questi
secondo
i
vari
compiti
ed
aspetterà
che
funzionino
.
Ma
essi
non
funzioneranno
perché
mancherà
loro
quella
necessaria
sensibilità
rispetto
alla
vita
economica
e
sociale
che
si
ottiene
attraverso
ad
un
contatto
reale
ed
immediato
con
la
ridda
degli
interessi
in
competizione
.
Il
loro
carattere
di
organizzazione
partente
dall
'
alto
sminuzzerà
la
loro
azione
,
frazionandola
in
tanti
compartimenti
stagni
,
senza
la
leggera
e
pronta
aderenza
alle
diverse
esigenze
del
momento
.
Funzioni
e
disfunzioni
del
sindacato
.
Ma
credono
proprio
i
liquidatori
che
il
sindacato
non
abbia
fatto
nulla
in
questi
ultimi
anni
e
si
sia
ridotto
ad
una
organizzazione
mutualistico
-
organizzativa
?
Hanno
dimenticato
che
gli
aumenti
salariali
del
'36
e
del
'37
sono
stati
predisposti
ed
elaborati
nel
seno
delle
organizzazioni
dei
lavoratori
?
Hanno
dimenticato
la
funzione
di
educazione
politica
che
rappresenta
per
le
masse
lavoratrici
la
vita
sindacale
?
Hanno
dimenticato
,
infine
,
che
il
sindacato
è
il
riconoscimento
legale
del
principio
associativo
della
massa
lavoratrice
,
di
quel
principio
per
cui
hanno
lottato
intere
generazioni
di
lavoratori
?
Ma
la
colpa
dell
'
averlo
dimenticato
non
va
tutta
ai
liquidatori
,
poiché
una
parte
notevole
di
essa
spetta
anche
al
sindacato
.
Esso
ha
dato
luogo
a
questa
corrente
di
sfiducia
per
la
frequente
inosservanza
dei
suoi
compiti
specifici
,
esso
non
ha
sempre
funzionato
e
quando
ha
funzionato
non
lo
ha
fatto
sempre
bene
.
Al
sindacato
incombe
un
'
alta
responsabilità
nella
vita
nazionale
:
esso
è
l
'
organo
attraverso
al
quale
masse
ingenti
di
lavoratori
sono
rappresentate
politicamente
ed
economicamente
.
Ad
esso
incombe
l
'
obbligo
di
adeguarsi
sempre
più
alle
esigenze
dei
suoi
rappresentanti
,
di
adeguarvisi
secondo
i
princìpi
di
quella
più
alta
giustizia
sociale
che
pone
il
lavoro
come
soggetto
dell
'
economia
e
non
come
oggetto
dell
'
altalenante
gioco
dell
'
economia
liberistica
.
E
i
dirigenti
sindacali
dovrebbero
fare
un
piccolo
esame
di
coscienza
e
domandarsi
:
come
funzionano
i
sindacati
nelle
campagne
?
a
che
punto
siamo
con
i
fiduciari
di
fabbrica
,
di
officina
?
di
quanto
si
riducono
in
media
,
nel
procedimento
conciliativo
,
le
somme
che
il
lavoratore
pretende
sulla
base
del
contratto
collettivo
?
quanto
durano
in
media
le
vertenze
sull
'
indennità
di
licenziamento
?
come
funziona
l
'
assistenza
legale
?
e
come
si
adempie
al
compimento
educativo
professionale
?
Così
si
pone
il
problema
del
sindacato
,
del
potenziamento
del
sindacato
e
a
coloro
che
si
pongono
dinnanzi
l
'
ordinamento
tedesco
del
Fronte
del
lavoro
,
noi
risponderemo
,
con
Giusto
Geremia
(
Libro
e
moschetto
dell'11-10-XVI
)
che
«
il
nostro
corporativismo
è
e
sarà
sindacale
»
.
StampaPeriodica ,
Forse
l
'
unica
bellezza
del
primo
romanzo
Memorie
inutili
lo
scriveva
appena
ventenne
di
Alfredo
Oriani
è
nel
protagonista
Ugo
Olivieri
,
che
,
romantico
in
ritardo
,
si
trova
sperduto
,
con
i
suoi
sogni
permeati
ad
un
tempo
di
idealismo
e
di
materialismo
,
nel
mondo
borghese
del
secolo
XIX
declinante
;
ma
e
sono
convinto
di
non
scoprire
nulla
di
nuovo
in
Ugo
Olivieri
è
tutto
Alfredo
Oriani
giovane
,
o
meglio
,
se
vogliamo
accontentare
la
sua
mania
d
'
allora
giovanile
di
firmarsi
con
uno
pseudonimo
,
Ottone
di
Banzole
,
lanciante
,
fiero
della
sua
gioventù
e
della
sua
genialità
,
la
sua
vana
sfida
al
mondo
:
vana
e
dannosa
,
perché
il
romanzo
non
esce
certo
pur
opera
di
un
ventenne
dalla
mediocrità
e
perché
questo
suo
altero
dispregio
per
la
società
che
lo
circonda
gli
aliena
subito
,
al
suo
primo
apparire
nell
'
agone
letterario
,
tutte
le
simpatie
dei
lettori
,
in
maniera
da
non
riuscire
più
lui
vivo
a
riguadagnarsele
.
Infatti
esaminando
in
alcune
decise
pagine
con
amoroso
,
appassionato
studio
,
che
fa
già
presentire
il
futuro
storico
,
l
'
aspetto
delle
classi
sociali
quali
si
presentavano
in
Roma
,
sul
finire
del
Governo
Pontificio
,
critica
l
'
aristocrazia
morente
,
delinea
con
vigore
il
popolo
che
purtroppo
gli
sembra
rinnovare
la
plebe
del
basso
impero
,
cadente
un
giorno
come
il
potere
temporale
allora
,
ma
soprattutto
disprezza
,
ironico
e
superbo
,
la
borghesia
:
«
...
provavo
un
forte
disgusto
per
la
borghesia
.
Victor
Hugo
scrive
che
il
dire
a
uno
"
borghese
"
vale
un
insulto
,
e
ha
ragione
»
.
Se
Roma
,
dopo
di
averlo
fatto
fantasticare
classicamente
e
romanticamente
insieme
,
lo
aveva
reso
scettico
e
annoiato
,
stanco
del
mondo
e
degli
ideali
,
con
il
quadro
disgustoso
della
sua
modernità
,
l
'
ambiente
provinciale
bolognese
lo
induce
alla
reazione
.
Non
vale
più
la
pena
di
chiedersi
:
«
La
vita
è
una
lotta
,
De
Vauvenargue
?
E
il
premio
sai
dirmelo
?
»
,
quando
invece
la
vita
sembra
uno
stagno
in
cui
tutto
imputridisce
ancor
prima
di
morire
;
per
questo
nei
capitoli
dell
'
«
Al
di
là
»
la
borghesia
è
descritta
con
ribellione
e
con
repulsione
,
fino
ad
affermare
che
essa
è
«
il
trionfale
aborto
della
nostra
civiltà
,
il
capolavoro
del
nostro
buon
senso
cristiano
e
della
nostra
saggezza
economica
,
del
filosofismo
liberale
e
delle
rivoluzioni
medievali
e
francesi
»
.
E
probabilmente
proprio
questo
vivace
contrasto
con
la
realtà
borghese
,
che
non
riesce
a
contenersi
nell
'
animo
dell
'
autore
,
ma
ha
bisogno
di
esprimersi
con
violenza
,
fa
sì
che
i
primi
romanzi
,
sempre
troppo
autobiografici
,
ricchi
di
passione
quanto
di
paradossi
,
trovino
in
loro
stessi
la
loro
condanna
:
e
i
lavori
dello
scrittore
romagnolo
migliorano
quando
va
scomparendo
questo
egoistico
,
pretenzioso
,
continuo
magnificare
e
parlare
di
se
stesso
,
nel
confronto
,
più
o
meno
accentuato
,
con
il
mondo
contemporaneo
.
Quindi
nei
romanzi
migliori
pare
che
l
'
ardore
del
giovane
si
sia
addormentato
,
quasi
che
l
'
abitudine
a
quel
mondo
negativo
ne
abbia
lenita
l
'
asprezza
,
affievolita
la
voce
sonora
;
si
può
addirittura
obiettare
che
la
borghesia
sembra
aver
penetrato
anche
l
'
animo
dell
'
autore
,
ma
approfondendo
l
'
esame
si
sente
sempre
viva
l
'
intima
opposizione
fra
i
personaggi
e
il
romanziere
,
che
riesce
a
creare
il
capolavoro
quando
trascina
il
lettore
a
vivere
figure
terribilmente
borghesemente
umane
,
il
cui
dramma
è
in
sostanza
di
agire
,
quasi
come
sotto
l
'
incubo
di
una
condanna
,
pensare
,
tormentarsi
,
morire
,
sepolte
nel
mondo
greve
e
soffocante
di
Madame
Bovary
.
Mentre
Carducci
esorta
retoricamente
con
le
figure
del
tempo
andato
,
mentre
D
'
Annunzio
blandisce
i
sensi
del
secolo
ormai
stanco
,
Oriani
lo
flagella
,
lo
perseguita
,
lo
rimprovera
rinfacciandogliene
l
'
anima
misera
,
rappresentata
particolarmente
in
Vortice
e
in
Gelosia
.
E
quando
finalmente
il
suo
animo
storico
ha
il
sopravvento
,
non
manca
di
presagire
la
sconfitta
della
borghesia
:
«
L
'
aristocrazia
non
ama
e
non
lavora
,
la
borghesia
lavora
e
non
ama
,
la
plebe
ama
e
lavora
...
perché
l
'
aristocrazia
è
morta
,
la
borghesia
è
moribonda
,
la
plebe
è
giovane
e
ha
davanti
a
sé
un
avvenire
»
.
Lo
scrittore
ha
già
di
fronte
a
sé
non
più
il
problema
spirituale
della
borghesia
,
ma
quello
politico
e
storico
:
se
egli
non
giunge
a
negare
che
la
borghesia
abbia
avuto
una
funzione
storica
nel
nostro
Risorgimento
,
tuttavia
nella
Rivolta
Ideale
la
individua
e
la
scolpisce
nella
sua
terribile
insufficienza
:
«
La
borghesia
era
la
classe
più
colta
,
ricca
e
passionale
;
capace
di
intendere
la
modernità
di
oltre
alpe
e
di
oltre
mare
,
soffriva
nell
'
abiezione
imposta
dai
governi
paesani
alla
sua
coscienza
;
sognava
la
rivoluzione
ma
sapeva
troppo
bene
la
propria
debolezza
e
l
'
indifferenza
del
popolo
per
osare
davvero
.
Lungamente
il
sogno
oscillò
fra
federalismo
e
riformismo
;
si
voleva
soltanto
il
più
probabile
per
arrischiare
il
meno
possibile
;
sostanzialmente
la
resistenza
dei
governi
era
pressoché
nulla
,
la
protezione
accordata
loro
dalle
diplomazie
estere
poco
più
che
formale
:
un
moto
generoso
di
sollevazione
sarebbe
bastato
contro
i
loro
eserciti
di
parata
e
di
banditi
arruolati
nella
gendarmeria
.
Però
non
ne
fu
nulla
.
La
lunga
abile
viltà
nazionale
degli
ultimi
secoli
suggeriva
invece
speranze
di
aiuti
stranieri
,
artifici
di
transazioni
,
scuse
e
ragioni
a
tutte
le
inferiorità
:
quindi
l
'
avanguardia
borghese
dovette
indietreggiare
dalla
rivoluzione
di
Mazzini
disertando
l
'
epopea
di
Garibaldi
per
accordarsi
ai
pochi
reggimenti
di
Vittorio
Emanuele
.
Accettò
di
mutare
la
servitù
dell
'
Austria
in
un
protettorato
francese
mal
dissimulato
da
un
'
alleanza
,
lasciò
la
monarchia
mantenere
Mazzini
in
esilio
e
fucilare
Garibaldi
ad
Aspromonte
,
incamerò
i
beni
delle
fraterie
,
occupò
Roma
rimanendo
cattolica
in
un
liberalismo
fatto
di
buon
senso
e
di
volgarità
,
di
istinti
novatori
e
di
prudenze
qualche
volta
profonde
fino
al
genio
»
.
Certamente
dopo
i
risultati
meravigliosi
del
'60
una
politica
moderata
s
'
imponeva
all
'
Italia
per
non
perdere
in
mosse
arditamente
rivoluzionarie
,
ma
scarsamente
politiche
,
il
frutto
di
anni
di
fatiche
,
di
sangue
e
di
martirio
,
e
bisognava
che
l
'
istinto
rivoluzionario
s
'
accordasse
col
valore
monarchico
per
rafforzare
il
governo
italiano
di
fronte
all
'
Europa
;
ma
,
in
fondo
,
avendo
mutato
il
dovere
in
diritto
,
quella
che
vuol
essere
una
giustificazione
si
risolve
in
una
completa
accusa
:
dopo
di
non
aver
certo
agevolato
il
Risorgimento
,
la
borghesia
voleva
renderlo
inutile
,
ché
tal
cosa
significava
arrestare
l
'
ascesa
dell
'
Italia
per
il
volgare
timore
di
perdere
il
già
acquistato
e
credendo
che
il
moto
dell
'
unità
non
avesse
nessun
altro
fine
.
Certo
la
borghesia
assicurò
sodamente
questa
unità
,
ma
questa
fu
funzione
positiva
soltanto
per
la
sua
negatività
:
questa
classe
che
non
aveva
fatto
la
rivoluzione
italiana
,
perché
se
anche
i
rivoluzionari
vi
erano
nati
,
per
agire
avevano
dovuto
rinnegare
i
principi
ed
uscirne
,
conquistato
con
la
rivoluzione
il
potere
,
se
ne
dimostrava
indegna
,
perché
chiamava
il
popolo
al
comando
e
scompariva
frammista
ad
esso
nello
stato
pseudo
-
democratico
,
morendo
più
vergognosamente
dell
'
aristocrazia
.
Così
tutte
le
classi
sono
scomparse
,
poiché
nessun
limite
le
divide
automaticamente
:
«
non
ve
ne
sono
più
»
.
Ma
è
rimasto
,
con
la
morte
della
borghesia
,
un
più
grande
pericolo
:
«
il
suo
spirito
»
,
poiché
il
popolo
,
il
popolo
,
che
è
sempre
la
base
della
vita
della
nazione
,
corre
il
pericolo
di
lasciarsi
imborghesire
,
comprendendo
più
facilmente
gli
ideali
se
così
si
possono
chiamare
borghesi
e
ritenendo
più
facile
,
come
del
resto
è
effettivamente
,
la
scalata
alle
posizioni
di
questa
classe
.
E
Alfredo
Oriani
prevede
che
nell
'
ideale
battaglia
contro
lo
spirito
borghese
un
'
ardita
,
giovanile
schiera
,
guiderà
il
popolo
verso
il
proprio
miglioramento
:
sarà
la
«
rivolta
ideale
»
della
«
nuova
aristocrazia
»
.
StampaPeriodica ,
Aspetto
capitale
della
grande
rivoluzione
in
corso
è
la
esaltazione
del
lavoro
e
della
tecnica
,
che
è
quanto
dire
una
nuova
concezione
etica
,
filosofica
,
della
vita
:
un
nuovo
Umanismo
addirittura
.
Il
riflesso
profondo
di
questo
nella
pedagogia
,
la
italiana
Carta
della
Scuola
,
coi
suoi
concetti
,
ad
esempio
,
di
lavoro
manuale
scolastico
,
di
cultura
del
popolo
e
non
di
una
determinata
classe
,
di
selezione
e
orientamento
delle
scolaresche
al
di
là
di
ogni
privilegio
di
casta
cioè
di
censo
,
esige
un
discorso
a
parte
.
Che
presuppone
,
peraltro
,
un
concetto
chiaro
di
quel
che
fosse
il
vecchio
Umanismo
.
Quale
esso
fosse
e
in
particolare
la
sua
filosofia
dell
'
educazione
ce
lo
riassume
,
meglio
di
ogni
altro
documento
,
qualche
frammento
(
che
sottolineo
)
di
un
notevole
discorso
,
del
1922
,
di
Giovanni
Gentile
,
intitolato
Lavoro
e
cultura
.
«
Io
sento
profondamente
egli
dice
la
differenza
che
c
'
è
fra
la
dignità
del
lavoro
propriamente
detto
e
la
dignità
del
pensiero
...
la
differenza
fra
il
lavoro
delle
mani
e
la
cultura
,
che
è
il
lavoro
dello
spirito
,
è
una
differenza
che
ha
grande
importanza
nel
sistema
dei
valori
umani
.
Il
quale
non
si
può
mantenere
,
né
garantire
,
se
non
concorra
la
normalità
dei
suoi
rapporti
,
la
differenza
degli
elementi
che
vi
concorrono
...
Il
concetto
di
questo
valore
prodotto
dal
lavoro
,
onde
l
'
uomo
si
rivolge
alla
natura
e
ne
fa
mezzo
di
appagamento
dei
propri
bisogni
,
è
un
concetto
meramente
relativo
...
Se
noi
soffocassimo
dentro
di
noi
questo
bisogno
che
ci
fa
tendere
la
mano
al
frutto
della
terra
,
il
frutto
della
terra
non
sarebbe
mai
colto
...
Il
vero
,
l
'
assoluto
valore
conosce
e
sente
chi
vive
raccolto
nella
vita
del
pensiero
...
Il
carattere
dei
valori
economici
...
non
è
la
natura
dei
valori
propriamente
spirituali
,
corrispondenti
ai
bisogni
veramente
essenziali
e
costitutivi
della
nostra
vita
...
La
poesia
o
l
'
arte
,
in
generale
,
e
la
verità
,
ciò
che
rappresenta
un
fine
supremo
dello
spirito
umano
,
questo
è
il
valore
assoluto
...
A
questa
coltura
superiore
dobbiamo
guardare
...
;
di
tutta
la
coltura
...
il
lavoratore
ha
bisogno
per
essere
lavoratore
e
per
essere
uomo
»
.
È
,
come
si
vede
,
con
quel
tanto
di
semplicismo
intellettualistico
che
comporta
,
la
concezione
illuministico
-
hegeliana
della
cultura
come
regno
della
Ragione
e
dello
Spirito
(
maiuscoli
)
,
cui
deve
restar
soggiogata
la
provincia
del
lavoro
e
della
tecnica
,
cioè
la
zona
dell
'
economico
,
del
bisogno
(
del
particolare
o
sentimento
nella
sua
positività
)
:
col
risultato
,
in
pratica
,
di
un
calcolo
o
raziocinio
utilitaristico
sullo
sfondo
,
beninteso
,
astratto
e
però
retorico
dell
'
Etica
e
della
Spiritualità
:
col
risultato
concreto
,
politico
,
insomma
,
del
predominio
di
una
classe
quella
«
colta
»
e
«
elevata
»
sulle
altre
.
Bisogna
allora
dire
che
l
'
intellettuale
degno
di
questo
nome
deve
avere
oggi
il
coraggio
di
guardare
la
verità
fino
in
fondo
:
e
che
per
la
difesa
della
civiltà
che
sorge
la
civiltà
antiborghese
della
tecnica
deve
sapere
andare
oltre
le
ragioni
immediate
o
empiriche
a
favore
della
tecnica
e
del
lavoro
,
e
affrontare
il
problema
o
i
problemi
della
nuova
concezione
laica
della
vita
.
Non
basta
soltanto
,
per
intenderci
,
dire
,
come
si
è
detto
,
che
,
se
il
meccanico
esclude
lo
spirituale
,
il
meccanico
non
è
la
tecnica
,
ma
la
sua
preconcetta
astrazione
;
che
tecnica
e
lavoro
non
escludono
ma
presuppongono
un
'
etica
che
può
giungere
fino
al
sacrificio
e
all
'
ascesi
;
che
nel
lavoro
si
attua
la
necessità
di
sentir
battere
il
proprio
cuore
all
'
unisono
col
resto
dell
'
umanità
;
che
c
'
è
la
«
gioia
del
lavoro
»
,
la
«
fatica
senza
fatica
»
,
e
una
spiritualità
del
lavoro
finora
insospettata
;
che
la
tecnica
è
«
tattica
»
e
«
teologia
»
,
e
via
dicendo
.
(
Vedi
gli
autori
citati
in
proposito
nel
Commento
alla
Carta
della
Scuola
del
Volpicelli
)
.
Non
basta
.
Bisognerà
,
un
giorno
,
coordinare
e
organizzare
queste
sparse
verità
e
però
saldarle
a
un
qualche
principio
generale
,
necessariamente
antitetico
ai
principi
generali
dell
'
illuminismo
hegeliano
(
o
«
liberalismo
dialettico
»
)
,
tutt
'
ora
diffusi
.
E
intanto
,
occorre
acquistare
una
coscienza
vieppiù
chiara
delle
deficienze
organiche
di
questi
ultimi
principi
tradizionali
,
se
ci
si
vuole
avviare
veramente
a
una
comprensione
seria
del
nuovo
Umanismo
,
per
il
quale
non
già
è
vero
che
la
cultura
è
lavoro
,
ma
bensì
che
il
lavoro
è
cultura
.
Sono
d
'
accordo
col
Volpicelli
che
l
'
avvento
della
tecnica
è
il
fatto
più
importante
della
cultura
del
mondo
dopo
il
Cristianesimo
,
e
che
il
gran
paradosso
è
che
la
tecnica
è
stata
resa
possibile
dalla
cultura
moderna
,
ma
poi
la
cultura
che
ha
creato
la
tecnica
si
è
mostrata
incapace
di
sentirne
l
'
umanità
e
il
valore
,
e
che
,
infine
,
le
opposizioni
alla
tecnica
non
son
basate
che
su
rimpianti
e
negazioni
,
con
un
argomentare
ben
strano
per
una
cultura
«
la
cui
fondamentale
categoria
dovrebbe
essere
la
storicità
»
.
Sono
anche
d
'
accordo
con
un
altro
dei
pochissimi
studiosi
serii
di
questi
problemi
:
con
Luca
Pignato
che
,
in
un
recente
dibattito
su
cultura
,
tecnica
e
morale
,
dopo
aver
opposto
ai
nostri
neohegeliani
la
profonda
,
e
però
attuale
verità
enunciata
dal
patriarca
Kant
,
che
,
cioè
,
«
è
un
dovere
dell
'
uomo
verso
se
stesso
di
essere
un
membro
utile
del
mondo
,
perché
questo
fa
parte
dell
'
umanità
»
,
sia
poi
esso
operaio
o
negoziante
o
erudito
(
«
secondo
il
suo
piacere
»
e
«
l
'
apprezzamento
delle
proprie
forze
»
)
,
osserva
che
appunto
,
se
una
legge
morale
ci
accomuna
,
dei
minatori
ad
esempio
a
noi
,
ci
troveremo
veramente
in
una
universalità
:
e
che
«
solo
questa
legge
(
universale
)
è
cultura
»
:
il
resto
sarà
o
l
'
estrazione
dello
zolfo
o
la
traduzione
dal
greco
;
restando
a
vedere
,
in
sede
di
politica
scolastica
,
«
se
convenga
in
generale
imparare
il
greco
e
il
latino
o
migliorare
le
condizioni
dell
'
estrazione
dello
zolfo
»
.
E
altrove
,
il
Pignato
,
a
rincalzo
dell
'
osservazione
di
Giuseppe
Bottai
,
che
nella
vecchia
scuola
gli
studi
classici
si
erano
ridotti
a
fenomeno
tipicamente
letterario
,
conclude
molto
giustamente
che
non
ha
senso
porsi
il
problema
:
come
il
vecchio
Umanismo
possa
costituire
il
nocciolo
del
nuovo
;
giacché
le
cose
restano
come
stavano
se
si
sposta
un
pezzetto
di
grammatica
da
una
classe
ad
un
'
altra
,
e
che
insomma
riconosciuto
il
nuovo
principio
della
tecnica
come
valore
spirituale
ogni
discussione
che
si
faccia
sulla
Carta
della
Scuola
«
deve
tenerne
presente
lo
spirito
rivoluzionario
,
in
senso
sociale
e
politico
.
Rivoluzionario
e
non
riformistico
»
.
Parole
chiare
,
oneste
.
Dovrebbe
esserne
giunto
il
momento
,
anche
in
questo
campo
.
StampaPeriodica ,
La
scuola
sembrava
vivere
passivamente
,
tra
proteste
,
mugugni
,
fughe
e
disillusioni
,
l
'
ondata
di
provvedimenti
con
cui
il
governo
l
'
ha
investita
negli
ultimi
anni
.
Invece
la
vicenda
del
concorso
di
merito
per
gli
insegnanti
sta
segnando
in
questi
giorni
un
punto
di
discontinuità
.
Lo
sciopero
più
esteso
degli
ultimi
anni
(
malgrado
che
i
sindacati
tradizionali
fossero
dall
'
altra
parte
)
una
manifestazione
imponente
di
insegnanti
nelle
strade
di
Roma
e
un
vero
assedio
del
palazzo
di
viale
Trastevere
riaprono
una
fase
importante
che
va
attentamente
indagata
.
Prende
forma
e
si
concentra
sulla
questione
degli
insegnanti
una
vicenda
più
generale
della
scuola
e
della
formazione
nel
nostro
paese
.
È
,
o
almeno
potrebbe
diventare
,
il
primo
movimento
(
un
po
'
come
Seattle
)
che
si
oppone
all
'
ordine
esistente
,
e
all
'
ideologia
privatistica
,
non
solo
a
difesa
di
una
categoria
minacciata
nei
suoi
diritti
,
o
di
diritti
conquistati
per
tutti
in
un
contesto
sociale
e
culturale
passato
,
ma
ponendo
un
problema
,
anzi
forse
il
problema
più
importante
dell
'
epoca
futura
:
la
formazione
dell
'
uomo
,
della
personalità
e
creatività
di
tutti
.
Ed
è
(
più
che
a
Seattle
)
un
movimento
che
muove
non
solo
su
una
tematica
specifica
e
insieme
di
valore
generale
,
ma
ha
radici
in
un
soggetto
sociale
omogeneo
,
radicato
in
un
territorio
,
con
un
peso
politico
rilevante
e
attivo
(
come
ha
rivelato
,
ancor
in
un
recente
passato
,
l
'
esperienza
francese
)
.
E
infatti
ha
già
una
breve
storia
,
non
solo
sindacale
:
l
'
opposizione
al
finanziariamento
pubblico
alla
scuola
privata
;
la
contrastata
esperienza
del
decentramento
;
il
dibattito
sulla
riforma
dei
cicli
;
alla
fine
il
rifiuto
del
"
concorsone
"
(
non
come
rifiuto
della
qualificazione
continua
o
richiesta
di
un
piatto
egualitarismo
,
ma
come
rifiuto
dei
modi
aberranti
con
cui
si
pretende
di
valutare
quella
qualificazione
)
e
di
aumenti
retributivi
innestati
su
uno
scandaloso
generale
regime
di
sottosalario
e
di
contenimento
dell
'
investimento
nella
scuola
.
Perciò
è
uno
dei
pochi
movimenti
che
non
si
scontra
con
un
muro
di
ostilità
dell
'
opinione
pubblica
,
si
oppone
con
nettezza
al
governo
di
centro
-
sinistra
fuori
ma
anche
dentro
i
suoi
confini
.
I
suoi
limiti
stanno
ancora
nel
fatto
che
non
è
riuscito
a
saldarsi
con
una
ripresa
di
un
movimento
degli
studenti
,
che
gli
è
indispensabile
,
né
è
riuscito
a
esprimere
un
'
idea
adeguata
di
linea
alternativa
;
ma
sono
limiti
imputabili
anzitutto
alla
sordità
della
politica
e
della
cultura
e
alla
crisi
delle
relative
organizzazioni
.
Ma
che
,
esso
stesso
,
potrebbe
smuovere
.
La
riforma
degli
ordinamenti
,
o
come
più
comunemente
si
dice
,
la
riforma
dei
cicli
scolastici
,
l
'
autonomia
scolastica
,
il
ruolo
manageriale
dei
capi
d
'
istituto
,
l
'
avvio
di
un
nuovo
profilo
degli
insegnanti
,
la
'
parificazione
'
tra
scuola
pubblica
e
privata
,
un
nodo
di
questioni
complesse
viene
ormai
al
dunque
.
Un
popolo
di
insegnanti
democratici
,
dopo
aver
sperato
che
la
sinistra
rispondesse
alla
loro
crisi
e
alla
crisi
della
scuola
,
presenta
il
conto
.
Un
conto
delicato
che
intreccia
questioni
sindacali
,
culturali
e
professionali
:
l
'
inizio
di
una
fase
nuova
.
Le
riforme
I
cambiamenti
sono
ormai
definiti
dal
punto
di
vista
legislativo
ed
è
possibile
valutare
in
che
modo
l
'
impatto
di
tali
provvedimenti
sta
cambiando
la
scuola
reale
.
Il
segno
prevalente
che
si
coglie
è
quello
di
una
progressiva
"
privatizzazione
della
scuola
pubblica
"
.
Il
finanziamento
delle
scuole
private
e
l
'
obiettivo
di
costruire
un
"
sistema
integrato
"
della
formazione
tra
pubblico
e
privato
sono
solo
il
punto
più
appariscente
,
quanto
grave
,
di
una
tendenza
più
generale
alla
privatizzazione
della
scuola
pubblica
.
Privatizzazione
è
innanzi
tutto
un
progressivo
disimpegno
finanziario
dello
Stato
nello
sviluppo
della
scuola
;
non
si
tratta
di
una
modifica
del
regime
giuridico
della
scuola
pubblica
,
ma
del
mutamento
della
sua
ragione
sociale
.
La
scuola
della
Repubblica
,
che
dovrebbe
essere
garante
del
diritto
di
cittadinanza
,
strumento
teso
alla
rimozione
delle
differenze
culturali
e
sociali
,
si
fa
,
invece
,
sempre
più
'
un
'
opportunità
'
per
i
cittadini
clienti
di
un
servizio
a
domanda
.
Non
è
mutamento
da
poco
e
va
scandagliato
attentamente
.
La
nuova
scuola
non
muta
la
struttura
della
scuola
dell
'
infanzia
,
quella
rivolta
ai
bambini
dai
tre
ai
cinque
anni
.
Rimane
per
questo
livello
formativo
l
'
assurdo
di
un
servizio
pubblico
presente
sul
territorio
solo
per
un
50%
della
popolazione
infantile
.
Per
il
resto
dei
bambini
esiste
solo
la
possibilità
di
una
scuola
materna
confessionale
e
privata
.
La
scuola
,
nel
suo
segmento
di
scuola
di
base
,
si
riduce
di
un
anno
.
La
scuola
secondaria
introduce
un
doppio
canale
formativo
fin
dal
primo
biennio
.
Sarà
possibile
sviluppare
esperienze
formative
anche
in
situazioni
non
scolastiche
,
nella
formazione
professionale
.
Infine
viene
introdotto
il
cosiddetto
obbligo
formativo
fino
ai
diciotto
anni
.
I
giovani
,
dopo
il
quindicesimo
anno
,
potranno
proseguire
gli
studi
scolastici
oppure
optare
(
e
opteranno
ovviamente
le
loro
famiglie
,
con
un
processo
inaccettabile
di
autoselezione
secondo
il
reddito
)
per
un
canale
di
formazione
professionale
.
In
buona
sostanza
la
riduzione
del
tempo
della
scolarità
risponde
solo
al
principio
della
riduzione
della
spesa
e
dell
'
allineamento
della
scuola
italiana
alle
politiche
europee
"
avare
"
e
sempre
più
ispirate
alle
politiche
di
contrazione
del
welfare
.
La
riforma
produce
una
riduzione
assoluta
del
tempo
di
scuola
;
il
tempo
e
la
quantità
non
sono
tutto
nella
scuola
,
ma
sono
la
precondizione
della
qualità
e
soprattutto
costituiscono
l
'
elemento
determinante
per
sostenere
i
ritardi
culturali
.
In
pedagogia
vale
il
principio
che
se
vuoi
risultati
soddisfacenti
per
il
complesso
della
popolazione
giovanile
,
devi
offrire
più
tempo
a
coloro
che
socialmente
portano
il
segno
di
un
ritardo
di
alfabetizzazione
e
di
cultura
.
Inoltre
,
per
paradosso
,
l
'
aver
fissato
il
completamento
dell
'
obbligo
al
quindicesimo
anno
d
'
età
può
produrre
un
incentivo
all
'
abbandono
precoce
della
scuola
dopo
l
'
ottenimento
del
titolo
.
Ricordiamo
che
attualmente
la
frequenza
del
biennio
della
secondaria
fino
a
sedici
anni
è
molto
ampia
rispetto
alla
popolazione
scolastica
in
età
corrispondente
.
Una
riforma
che
riduce
il
tempo
assoluto
della
formazione
di
base
e
che
rischia
di
ridurre
il
numero
assoluto
degli
studenti
non
può
essere
considerata
una
buona
riforma
.
Gli
ordinamenti
e
la
riforma
dei
cicli
scolastici
sono
,
come
è
evidente
,
solo
la
forma
giuridica
e
organizzativa
che
la
scuola
prende
sul
piano
legislativo
.
La
riforma
reale
della
scuola
è
faccenda
più
complessa
e
non
può
esaurirsi
nella
valutazione
dei
contenitori
giuridici
e
organizzativi
.
Della
proposta
del
governo
bisogna
dunque
saper
cogliere
il
contesto
e
il
retroterra
culturale
e
politico
,
al
fine
di
vagliarli
criticamente
,
ma
soprattutto
per
avanzare
delle
proposte
alternative
.
Il
punto
di
vista
più
interessante
per
capire
,
mi
sembra
che
consista
in
una
ricerca
e
una
ridefinizione
di
che
cosa
è
oggi
alfabetizzazione
e
,
per
altro
verso
,
nell
'
individuazione
delle
radici
sociali
della
povertà
culturale
.
La
scuola
italiana
soffre
di
due
livelli
di
selezione
.
La
selezione
'
storica
'
ha
agito
con
l
'
esclusione
classista
:
l
'
evasione
dalla
scuola
dell
'
obbligo
e
ampie
sacche
di
insuccesso
non
possono
portarci
a
considerare
di
massa
la
scuola
,
soprattutto
nei
livelli
superiori
e
universitari
.
La
stessa
persistenza
della
ciclicità
dell
'
istruzione
è
il
sedimento
di
una
scontata
e
ipocrita
ammissione
che
non
tutti
avrebbero
potuto
completare
l
'
intero
percorso
degli
studi
.
Ma
vi
è
un
rilievo
più
importante
da
fare
su
una
forma
"
moderna
"
di
selezione
.
Penso
agli
studi
della
Greenfield
e
altri
,
che
notano
come
la
forte
esposizione
dei
bambini
e
dei
giovani
al
sistema
complesso
dell
'
informazione
,
all
'
"
eccedenza
informativa
"
per
lo
più
veicolata
dai
media
,
invece
che
una
crescita
di
cultura
,
produce
un
"
rumore
di
fondo
"
,
una
perdita
di
capacità
critica
.
Si
determina
nella
scuola
un
analfabetismo
qualitativo
,
vissuto
precocemente
nella
famiglia
e
nella
società
e
difficilmente
recuperabile
.
Tempi
di
vita
e
tempi
della
formazione
Allora
una
riforma
degli
ordinamenti
deve
guardare
altrove
:
mi
pare
che
si
debba
partire
da
una
riflessione
su
come
nel
nostro
tempo
si
sono
trasformate
le
età
della
vita
,
quale
ritmo
ha
preso
la
crescita
umana
,
quali
peculiarità
prendono
oggi
l
'
infanzia
,
l
'
adolescenza
e
la
condizione
giovanile
.
La
scuola
accompagna
l
'
organizzazione
dei
tempi
di
vita
dei
ragazzi
e
delle
loro
famiglie
,
è
un
punto
di
osservazione
dell
'
organizzazione
complessiva
della
società
.
Quali
bisogni
è
possibile
leggere
nell
'
organizzazione
dei
tempi
della
nostra
vita
?
E
come
ci
si
può
ad
essi
riferire
per
fare
riforma
della
scuola
?
L
'
infanzia
è
il
primo
terreno
di
verifica
.
Il
nostro
è
un
secolo
che
ha
giocato
non
a
favore
dell
'
infanzia
,
ma
per
una
progressiva
marginalità
dei
bambini
e
delle
bambine
.
L
'
autonomia
infantile
è
,
ci
pare
,
il
punto
su
cui
ragionare
.
Come
può
la
scuola
garantire
un
passaggio
delicato
tra
la
famiglia
e
l
'
affidamento
ad
altri
adulti
,
gli
insegnanti
,
per
la
formazione
del
piccolo
cittadino
.
La
famiglia
è
una
risorsa
primaria
,
emotiva
e
educativa
per
i
piccoli
,
ma
l
'
autonomia
dal
senso
proprietario
che
inevitabilmente
i
genitori
esercitano
sui
piccoli
è
un
primo
passo
verso
l
'
acquisizione
della
cittadinanza
.
Con
quali
tempi
del
rapporto
didattico
,
in
quali
anni
,
con
quale
scansione
di
orari
si
devono
affidare
i
piccoli
alla
scuola
?
Questo
costituisce
il
primo
problema
della
riforma
.
Pensando
ad
una
scolarizzazione
precoce
si
pensa
erroneamente
ad
una
precoce
accelerazione
degli
apprendimenti
cognitivi
.
Non
deve
essere
così
.
Nei
nidi
e
nella
scuola
dell
'
infanzia
il
problema
è
la
socializzazione
e
l
'
innesto
di
esperienze
di
relazione
,
è
la
conduzione
dei
bambini
e
delle
bambine
in
un
universo
di
linguaggi
più
differenziato
e
più
ricco
di
quello
familiare
.
Nidi
e
scuola
dell
'
infanzia
devono
rimuovere
le
prime
differenze
e
devono
evitare
i
ritardi
rispetto
alla
scuola
che
verrà
,
devono
essere
scuola
educativa
e
non
assistenza
.
Qui
siamo
al
secondo
aspetto
della
riforma
,
i
suoi
contenuti
didattici
.
La
scuola
di
base
unitaria
ci
pare
buona
cosa
,
ma
non
è
positiva
la
riduzione
di
un
anno
di
scolarità
.
Penso
che
sia
opportuno
un
ritmo
più
semplice
di
quanto
propone
il
governo
:
un
ciclo
di
quattro
anni
,
da
sei
fino
a
nove
anni
,
a
tempo
pieno
,
unitario
nel
progetto
e
nell
'
impianto
educativo
.
Il
tempo
pieno
non
è
solo
un
modulo
organizzativo
,
ma
un
'
occasione
per
i
bambini
per
fare
esperienze
educative
globali
.
La
formazione
della
mente
vive
insieme
alla
formazione
delle
relazioni
,
al
gioco
,
alla
creatività
.
Penso
poi
ad
un
ulteriore
ciclo
di
quattro
anni
,
fino
a
tredici
anni
.
Una
scuola
più
individualizzata
nei
percorsi
,
più
adattata
alle
differenze
personali
e
culturali
degli
adolescenti
.
Una
scuola
delle
ragazze
e
dei
ragazzi
,
che
tra
apprendimento
e
esperienza
sociale
si
danno
gli
strumenti
per
la
formazione
di
un
io
personale
solido
.
Una
scuola
in
cui
si
insegna
tramite
laboratori
,
in
cui
le
relazioni
della
classe
si
intrecciano
con
ritmi
organizzativi
più
articolati
,
sia
per
i
tempi
e
gli
orari
che
per
i
contenuti
.
Il
giudizio
sulla
proposta
relativa
alla
scuola
secondaria
è
più
severo
.
Qui
appare
con
forza
una
convinta
adesione
del
governo
alle
idee
portanti
della
Confindustria
sulla
formazione
.
Scuola
della
flessibilità
,
addestramento
e
orientamento
precoce
,
scuola
vagamente
impostata
sulle
opportunità
e
senza
garanzie
di
promozione
culturale
.
Ma
vediamo
con
ordine
.
Innanzi
tutto
la
riduzione
complessiva
del
ciclo
degli
studi
.
Un
livello
così
basso
di
scolarità
si
arrende
all
'
ideologia
confindustriale
di
una
'
didattica
breve
'
in
vista
di
una
disponibilità
al
lavoro
precario
,
saltuario
,
appunto
alla
flessibilità
,
nuova
magia
dei
ceti
imprenditoriali
che
non
vedono
altra
possibilità
per
lo
sviluppo
.
La
secondaria
dovrebbe
invece
avere
un
biennio
obbligatorio
e
unitario
,
compatto
nei
contenuti
e
nelle
finalità
culturali
.
Dovrebbero
essere
semplificati
i
curricoli
di
apprendimento
;
il
lavoro
,
la
società
,
la
tecnica
,
i
linguaggi
e
la
conoscenza
della
natura
devono
essere
oggetto
critico
della
ricerca
culturale
dei
giovani
e
non
temi
di
addestramento
subalterno
.
Questa
ci
pare
l
'
uscita
positiva
dall
'
impostazione
gentiliana
della
scuola
.
La
scuola
deve
essere
poi
giocata
,
nel
triennio
successivo
,
tra
studio
e
prime
esperienze
di
avvicinamento
al
lavoro
,
in
prospettiva
una
scuola
obbligatoria
fino
a
18
anni
.
Questa
è
la
scelta
realistica
di
allineamento
agli
altri
sistemi
formativi
europei
.
Una
scuola
che
si
riorganizza
nei
tempi
,
comincia
a
adattarsi
per
diventare
il
primo
livello
di
un
ulteriore
passo
della
formazione
,
a
carattere
permanente
,
non
più
solo
rivolta
ai
giovani
,
ma
capace
di
offrire
allo
sviluppo
delle
persone
,
in
ogni
età
della
vita
,
un
riferimento
culturale
e
formativo
.
Sarebbe
utile
un
terzo
settore
della
formazione
.
Anche
l
'
obiettivo
di
una
generale
riduzione
dell
'
orario
di
lavoro
ha
in
questa
formazione
ricorrente
una
possibilità
.
Tempi
che
si
liberano
dal
lavoro
e
che
si
dedicano
alla
cura
di
sé
e
alla
crescita
culturale
.
Ma
la
riforma
è
soprattutto
investimento
di
risorse
,
umane
e
economiche
.
Il
governo
di
centrosinistra
non
ha
cambiato
strategia
,
non
ha
segnato
una
discontinuità
rispetto
ai
governi
di
destra
o
a
dominanza
democristiana
.
Una
ristrutturazione
poderosa
ha
colpito
i
bilanci
,
colpisce
la
struttura
materiale
della
scuola
sul
territorio
,
colpisce
gli
insegnanti
.
Una
riforma
senza
risorse
è
pura
propaganda
.
La
riduzione
del
finanziamento
pubblico
della
scuola
è
effetto
di
una
strategia
che
va
al
di
là
del
risanamento
del
debito
pubblico
.
Si
iscrive
in
un
quadro
di
trasformazione
della
scuola
in
un
sistema
misto
,
pubblico
e
privato
,
convenzionato
,
in
cui
mercato
e
redditi
familiari
diventano
il
differenziale
di
qualità
della
scuola
.
Che
fare
dunque
,
per
non
rimanere
nelle
secche
delle
analisi
?
Innanzi
tutto
risollevare
nella
scuola
la
partecipazione
dei
soggetti
,
studenti
,
insegnanti
e
cittadini
.
La
fuga
o
la
passività
degli
insegnanti
nella
scuola
è
motivata
dall
'
insicurezza
sulla
prospettiva
del
loro
ruolo
,
da
una
profonda
sfiducia
che
si
possa
cambiare
qualcosa
nel
modo
di
imparare
e
di
insegnare
.
La
scuola
potrebbe
perdere
una
generazione
professionale
importante
e
pregiudicarsi
così
le
possibilità
di
riforma
.
L
'
insensibilità
alla
questione
docente
,
come
parte
essenziale
della
riforma
,
è
ancora
il
movente
della
proposta
insensata
del
"
concorsone
"
per
la
selezione
professionale
,
che
rende
acuta
la
tensione
nelle
scuole
e
fa
da
catalizzatore
della
protesta
.
Cosa
è
questa
ampia
e
generale
reazione
alle
'
gare
salariali
'
,
come
ha
efficacemente
scritto
il
manifesto
?
Non
avveniva
più
da
anni
:
gli
insegnanti
non
accettano
di
sottoporsi
ad
una
selezione
per
lo
più
fondata
sull
'
ideologia
che
nella
scuola
la
qualità
dipende
dalla
competizione
premiata
dagli
incentivi
salariali
.
Un
'
ipotesi
povera
di
analisi
su
questa
professione
,
che
non
riesce
a
vedere
nell
'
insegnamento
-
come
sostiene
ampiamente
anche
Bruner
in
un
suo
testo
importante
sulla
scuola
americana
-
un
ruolo
sociale
e
politico
particolare
,
considerandolo
invece
un
semplice
lavoro
subordinato
.
L
'
efficacia
dell
'
insegnamento
dipende
dalla
condivisione
dei
fini
emancipativi
che
nella
scuola
si
attivano
.
Il
modello
aziendale
,
gerarchico
e
competitivo
,
non
solo
non
funziona
,
ma
allontana
gli
insegnanti
,
come
già
ampiamente
avviene
,
dalla
didattica
quotidiana
.
Programmazione
,
progettazione
didattica
,
innovazione
didattica
stanno
diventando
momenti
autoreferenziali
che
impoveriscono
la
cultura
e
l
'
azione
professionale
degli
insegnanti
.
Contro
la
povertà
di
una
selezione
fatta
con
i
quiz
,
con
le
simulazioni
di
lezione
(
dove
vanno
a
finire
decenni
di
ricerca
per
superare
nell
'
insegnamento
la
sequenza
della
lezione
,
interrogazione
,
valutazione
?
)
insorgono
gli
insegnanti
,
bloccati
tra
le
certezze
di
un
passato
professionale
che
non
funziona
e
le
riforme
che
non
convincono
.
L
'
idea
cattiva
di
autonomia
Questo
conflitto
oggi
si
intreccia
con
il
caos
che
si
è
determinato
con
un
'
insensata
politica
dell
'
autonomia
del
"
fai
da
te
"
.
La
riforma
dei
cicli
non
può
essere
perciò
separata
dalla
questione
più
corposa
dell
'
autonomia
.
L
'
autonomia
didattica
è
un
grande
valore
:
insieme
con
la
dimensione
cooperativa
è
la
sostanza
stessa
della
libertà
d
'
insegnamento
garantita
dalla
Costituzione
.
Ma
l
'
attuazione
dell
'
autonomia
sta
stravolgendo
tutto
questo
.
Gli
insegnanti
e
gli
studenti
,
isolati
,
ridotti
a
rango
di
clienti
,
perdono
poteri
reali
di
influenza
sulle
scelte
e
sui
fini
per
diventare
soggetti
passivi
nella
gestione
del
quotidiano
.
Il
cittadino
cliente
naviga
nel
vuoto
e
perde
ogni
connotazione
di
soggetto
collettivo
nel
rapportarsi
al
sistema
dei
diritti
che
dovrebbe
alimentare
ogni
servizio
sociale
.
Le
nostre
scuole
dovrebbero
essere
più
pubbliche
e
meno
di
mercato
.
Più
strumenti
di
eguaglianza
che
luoghi
inerti
di
convalida
della
differenziazione
sociale
.
L
'
introduzione
di
logiche
di
mercato
distrugge
la
promozione
dei
diritti
;
nel
migliore
dei
casi
riaffida
alla
scuola
o
una
funzione
giudicante
e
notarile
dell
'
avvenuta
assuefazione
al
conformismo
e
alla
differenza
sociale
,
oppure
dilata
la
dimensione
familistica
,
ideologica
,
"
etnica
"
dell
'
identità
giovanile
.
Il
problema
dell
'
autonomia
buona
è
lo
sviluppo
di
poteri
'
locali
'
capaci
di
riformare
la
scuola
dal
basso
,
secondo
linee
generali
di
innovazione
culturale
e
professionale
di
profilo
culturale
alto
.
Il
problema
dell
'
autonomia
della
scuola
è
in
ultima
analisi
un
problema
della
democrazia
e
dei
suoi
strumenti
.
La
libertà
di
insegnare
e
fare
scienza
All
'
autonomia
degli
insegnanti
e
degli
studenti
dovrebbe
spettare
l
'
assoluta
decisione
delle
tracce
educative
per
raggiungere
i
fini
sociali
e
politici
fissati
dalle
istanze
democratiche
di
un
paese
.
Insegnare
è
per
eccellenza
un
ruolo
pubblico
,
perché
dovrebbe
farsi
guidare
solo
dalla
libertà
della
scienza
,
della
coscienza
professionale
e
dalla
Costituzione
.
Null
'
altro
dovrebbe
influenzare
il
progetto
educativo
delle
scuole
.
La
Costituzione
,
nel
suo
andamento
compromissorio
affidò
la
responsabilità
educativa
alla
famiglia
e
alla
scuola
dello
Stato
.
Le
politiche
attuali
rifluiscono
verso
il
primato
della
famiglia
e
risolvono
l
'
ambiguità
costituzionale
a
favore
della
riproduzione
educativa
familiare
o
della
cultura
locale
'
leghista
'
:
la
comunità
naturale
dunque
,
piuttosto
che
la
società
e
la
cultura
nazionale
.
Questo
rifluire
produce
enormi
rischi
morali
e
culturali
,
incide
sul
tessuto
civile
del
paese
.
Torna
il
ruolo
prevalente
degli
educatori
come
riproduttori
passivi
del
senso
comune
ambientale
,
piuttosto
che
soggetti
di
una
ricerca
critica
sullo
stesso
contesto
sociale
.
È
necessario
invece
pensare
ad
una
scuola
come
libero
spazio
di
una
complessa
dialettica
tra
valori
e
interessi
diversi
;
un
luogo
di
proposta
e
anche
di
conflitto
tra
educatori
e
studenti
,
non
più
proprietà
e
investimento
dei
loro
genitori
,
ma
abitato
da
soggetti
umani
accomunati
da
un
'
avventura
morale
e
intellettuale
che
prepara
alla
cittadinanza
.
Si
tratta
di
considerare
la
scuola
e
l
'
educazione
come
un
gioco
difficile
che
non
solo
agisce
,
ma
che
,
mentre
è
giocato
,
fissa
le
regole
stesse
del
gioco
.
Un
gioco
su
un
piano
inclinato
,
più
complesso
di
un
gioco
con
regole
precostituite
,
in
cui
i
giocatori
,
studenti
e
educatori
,
seguendo
le
regole
date
,
ne
inventano
di
nuove
e
rompono
dinamicamente
con
il
senso
comune
e
le
mentalità
correnti
.
L
'
autogoverno
e
la
cooperazione
Esiste
oggi
un
lavoro
scolastico
che
rassomigli
a
questo
impegno
?
In
genere
dobbiamo
rispondere
negativamente
:
prevalgono
gli
aspetti
ripetitivi
sulla
creatività
e
l
'
invenzione
.
Ma
una
traccia
per
ricostruire
il
tessuto
di
una
ricerca
esiste
.
La
cooperazione
e
ducativa
appartiene
a
pieno
diritto
alla
riflessione
della
pedagogia
democratica
europea
e
italiana
.
Evidenzia
con
equilibrio
la
necessità
di
percorsi
personali
,
individualizzati
e
creativi
nell
'
insegnamento
.
E
si
pone
come
interazione
,
quasi
necessariamente
conflittuale
e
pluralistica
tra
lavori
l
'
uno
all
'
altro
trasparenti
,
nei
percorsi
e
nei
fini
.
Cooperare
e
cooperazione
sono
termini
che
richiamano
solidarietà
ottocentesche
.
Recuperarne
il
senso
in
un
contesto
moderno
,
legato
alla
definizione
di
nuove
metodologie
per
la
gestione
del
lavoro
intellettuale
,
costituisce
un
'
operazione
culturale
ardita
.
Nelle
organizzazioni
a
rete
bisogna
partire
dall
'
ipotesi
concettuale
e
pratica
che
non
si
può
eliminare
il
conflitto
;
il
conflitto
deve
essere
considerato
un
elemento
dinamico
e
produttivo
.
Come
può
essere
controllato
e
razionalizzato
?
Solo
aumentando
le
informazioni
circolanti
nella
rete
,
aumentando
la
partecipazione
dei
soggetti
e
chiarificando
i
fini
e
i
valori
.
Lavorare
cooperando
significa
accettare
questa
processualità
.
Per
risolvere
il
conflitto
bisogna
cercare
le
vie
che
portano
a
stabilire
patti
,
quando
i
patti
entrano
in
crisi
bisogna
rinnovare
il
confronto
tra
i
soggetti
.
Bisogna
saper
costruire
un
quadro
di
controllo
del
processo
educativo
che
abbia
il
suo
centro
riformatore
nel
ruolo
dei
soggetti
sociali
interessati
.
Questa
metodologia
di
controllo
costante
della
didattica
è
l
'
anima
stessa
della
cooperazione
,
la
trasparenza
è
la
sua
componente
essenziale
;
comporta
un
forte
decentramento
delle
responsabilità
,
riduce
il
ruolo
gerarchico
.
Il
tutto
funziona
se
c
'
è
questa
assunzione
reciproca
di
impegni
responsabili
.
Patti
d
'
aula
,
patti
d
'
istituto
,
patti
tra
soggetti
.
Questo
metodo
difficilmente
può
coesistere
con
un
'
organizzazione
burocratica
e
gerarchica
,
anche
tra
studenti
e
insegnanti
.
Prendere
decisioni
in
questo
ambiente
comunicativo
comporta
anche
il
mutamento
dello
stile
di
lavoro
degli
insegnanti
.
In
genere
nella
struttura
cooperativa
è
importante
la
trasparenza
delle
singole
intenzioni
,
antagonista
rispetto
alla
consuetudine
di
custodire
individualisticamente
il
contenuto
e
il
metodo
del
proprio
lavoro
.
È
importante
comunicare
con
trasparenza
perché
questo
riduce
il
conflitto
:
anche
le
più
semplici
procedure
vengono
trasformate
da
questo
stile
di
comportamento
.
Un
comportamento
trasparente
abbatte
significativamente
l
'
insuccesso
scolastico
dei
ragazzi
;
l
'
assenza
di
comunicazione
aumenta
il
fallimento
e
l
'
insuccesso
.
Ascoltare
è
difficile
,
ma
è
una
metodologia
interessante
.
Nella
scuola
bisognerebbe
prevedere
dei
momenti
istituzionalizzati
dell
'
ascolto
,
un
meccanismo
in
cui
si
esprimono
le
crisi
:
momenti
di
autodiagnosi
,
potremmo
dire
.
Cosa
invece
diventa
oggi
nella
realtà
quotidiana
l
'
autonomia
?
Assenza
di
un
campo
generale
di
riflessione
sulle
finalità
della
scuola
;
crescente
asfissia
della
didattica
costretta
nelle
procedure
burocratiche
;
frammentazione
insensata
,
nelle
singole
scuole
e
per
ogni
singolo
insegnante
,
della
ricerca
e
della
trasmissione
culturale
.
Difficile
scorgere
sotto
un
fraseggio
modernizzante
(
crediti
e
debiti
formativi
,
piani
dell
'
offerta
formativa
,
competenze
-
conoscenze
-
capacità
,
funzioni
-
obiettivo
,
tutor
,
didattica
breve
,
saperi
minimi
ecc
.
)
una
sostanza
riformatrice
che
cambia
la
scuola
.
Temo
che
si
tratti
di
un
linguaggio
da
nuovi
chierici
che
copre
un
vuoto
di
ridefinizione
degli
assi
culturali
,
un
deficit
di
progettazione
del
futuro
che
le
società
moderne
vivono
drammaticamente
.
I
giochi
non
sono
chiusi
,
riprende
attivamente
un
movimento
.
Mancano
finora
gli
studenti
,
l
'
altro
asse
decisivo
della
riforma
;
ma
ripartono
gli
insegnanti
,
forse
perché
essi
sono
più
direttamente
sottoposti
a
una
duplice
sollecitazione
:
l
'
umiliazione
della
loro
professione
e
la
speranza
di
essere
un
settore
sociale
portante
dello
schieramento
riformatore
di
questo
paese
.
La
sinistra
di
governo
non
ha
capito
e
entra
in
rotta
di
collisione
con
un
movimento
ampio
,
non
corporativo
,
esplicitamente
riformatore
.
Nella
palude
delle
logiche
di
Palazzo
la
scuola
torna
ad
essere
una
questione
sociale
che
chiede
risposte
alla
politica
.
Ci
sono
momenti
in
cui
sembra
che
le
passioni
democratiche
e
di
cambiamento
siano
in
totale
riflusso
,
ma
la
realtà
è
a
volte
più
ricca
della
nostra
stessa
speranza
.
StampaPeriodica ,
Ormai
la
polemica
,
nata
dall
'
intelligente
articolo
di
Angioletti
,
ha
dato
più
d
'
un
frutto
,
e
non
sembra
acquetarsi
.
Il
suo
significato
non
è
più
soltanto
letterario
,
ma
culturale
,
sociale
e
,
finalmente
,
filosofico
,
grazie
,
specialmente
,
alla
decisa
posizione
antiromantica
di
Galvano
della
Volpe
(
vedi
«
Antiromanticismo
»
in
Primato
del
15
maggio
e
«
Da
un
programma
antiromantico
»
in
Studi
filosofici
n
.
4
)
.
Tutti
noi
sentiamo
con
Angioletti
,
che
,
«
come
un
vento
tiepido
e
leggero
»
qualcosa
di
nuovo
nasce
intorno
a
noi
,
ma
di
questo
qualcosa
di
nuovo
non
sappiamo
,
e
forse
è
un
bene
,
dare
una
definizione
.
In
ogni
modo
non
a
caso
è
stata
pronunciata
la
parola
«
Romanticismo
»
.
Essa
indica
,
io
credo
,
uno
stato
di
malessere
e
di
scontentezza
,
un
senso
di
sfiducia
e
di
sazietà
verso
atteggiamenti
troppo
controllati
e
troppo
«
distaccati
»
della
nostra
cultura
.
Un
amore
freddo
e
contenuto
per
la
precisione
di
ciò
che
è
intellettualmente
perfetto
ci
trattiene
da
ogni
abbandono
,
ed
ora
sentiamo
il
valore
dell
'
abbandono
,
la
fecondità
di
certe
ingenuità
e
di
certi
errori
,
ma
un
timore
ci
trattiene
,
ed
è
quello
che
non
venga
abbandonato
troppo
facilmente
ciò
che
abbiamo
conquistato
,
la
disciplina
su
ogni
forma
di
lirica
intemperanza
,
quella
precisione
del
senso
della
parola
che
è
certo
una
delle
conquiste
più
alte
della
letteratura
e
della
poesia
italiana
contemporanea
.
La
finitezza
della
parola
è
divenuta
quasi
il
segno
della
moralità
del
letterato
e
dell
'
uomo
di
cultura
e
,
forse
,
qualcosa
di
più
,
il
segno
della
moralità
dell
'
uomo
,
come
una
volontà
di
non
falsare
il
valore
della
realtà
e
della
vita
,
sempre
concretamente
finita
e
puntuale
,
sempre
determinata
,
sempre
richiedente
una
responsabilità
ed
una
scelta
,
senza
evasioni
e
senza
fughe
,
appunto
,
romantiche
.
Ma
,
tale
finitezza
,
ci
appare
ora
come
l
'
estrema
conquista
,
una
conquista
che
presuppone
tutto
un
passato
e
,
in
noi
,
tutto
un
lungo
cammino
o
travaglio
inespresso
,
di
cui
la
parola
è
come
la
conclusione
,
il
traguardo
raggiunto
.
E
scopriamo
il
valore
di
ciò
che
in
noi
è
stato
disciplinato
,
come
se
,
senza
quel
profondo
e
scontento
agitarsi
di
tutto
il
nostro
destino
,
la
parola
perdesse
ogni
sua
tensione
,
ogni
sua
moralità
:
è
questa
scoperta
che
ci
fa
parlare
,
oggi
,
di
romanticismo
.
Romanticismo
sì
,
ma
romanticismo
del
finito
,
accettazione
senza
riserve
del
limite
inerente
alla
vita
ed
alla
cultura
:
la
morte
non
è
più
un
tema
poetico
,
ma
la
condizione
della
nostra
esistenza
:
non
vogliamo
falsare
il
senso
del
nostro
esistere
e
trasportarlo
nel
mito
di
un
egualitarismo
liberale
o
di
un
illuministico
storicismo
in
cui
tutti
i
contendenti
assolvono
la
loro
eguale
funzione
storica
:
no
,
nella
vita
e
nella
storia
ci
sono
vincitori
e
vinti
,
ogni
epoca
vive
nel
suo
orizzonte
e
nega
l
'
altra
:
la
civiltà
europea
non
ci
sembra
più
ottimisticamente
svilupparsi
nella
linea
di
un
mitico
progresso
.
La
nostra
epoca
rinuncia
a
soluzioni
troppo
facili
ed
ereditarie
,
ha
la
sua
dura
realtà
da
imporre
e
sa
che
la
sua
vita
è
legata
alle
sue
possibilità
di
vittoria
.
Essa
sa
che
la
cultura
aperta
ed
infinita
è
la
fine
di
un
'
Europa
e
sa
che
l
'
Europa
non
esiterebbe
più
se
non
avesse
il
coraggio
di
rinunciare
a
ciò
che
finora
si
è
chiamato
europeo
:
essa
vuol
dimenticare
l
'
indulgenza
dei
vecchi
,
per
cui
ogni
affermazione
ha
il
suo
diritto
,
e
sa
che
bisogna
saper
non
vedere
,
non
giustificare
,
non
accettare
,
vivere
e
morire
per
qualcosa
di
determinato
e
di
finito
,
ingiusto
forse
,
ma
solo
in
nome
di
una
astratta
giustizia
e
di
un
'
astratta
moralità
.
Non
saprei
non
dar
ragione
,
in
tal
senso
,
alla
profonda
rivalutazione
del
finito
e
del
determinato
,
su
cui
tanto
insiste
,
come
filosofo
e
come
uomo
di
cultura
,
Galvano
della
Volpe
.
No
,
la
nostra
epoca
non
deve
e
non
può
essere
umanitaristica
.
Ed
ha
ragione
Mario
Alicata
:
è
troppo
equivoco
il
termine
«
simpatia
umana
»
:
«
ridurre
l
'
amore
ed
il
desiderio
degli
altri
a
...
caute
possibilità
di
perdono
,
di
soccorso
...
non
significa
rischiare
di
nuovo
la
propria
libertà
spirituale
in
un
accomodamento
utilitario
dei
nostri
rapporti
umani
,
al
servizio
di
un
plebeo
e
farisaico
demagogismo
che
cerchi
di
salvare
,
nella
ottenuta
e
rimunerata
comprensione
degli
altri
verso
noi
,
dei
molti
verso
i
pochi
,
la
pigrizia
morale
e
la
fervida
coscienza
degli
egoisti
?
»
(
Primato
15
giugno
)
.
Eppure
,
con
tutto
questo
,
l
'
esigenza
di
Angioletti
e
di
Lupinacci
,
conteneva
forse
più
di
quanto
si
è
in
essa
voluto
vedere
e
di
quanto
ha
saputo
dire
.
Gli
uomini
non
si
incontrano
nella
conclusione
della
loro
esperienza
.
La
disciplina
della
parola
ci
rimanda
alle
nostre
inespresse
vicende
,
tanto
espresse
invece
dai
romantici
:
la
virile
accettazione
del
finito
,
così
nostra
,
ci
rimanda
ad
una
condizione
comune
di
finitezza
,
ad
una
comprensione
più
profonda
dove
ognuno
di
noi
comprende
l
'
altro
proprio
perché
sa
che
il
finito
esclude
ogni
possibilità
di
assolutizzare
,
secondo
il
vecchio
egocentrismo
romantico
,
perché
sa
che
ogni
orizzonte
è
limitato
,
che
ogni
dogmatismo
è
una
falsificazione
di
noi
stessi
e
degli
altri
.
L
'
accettazione
del
finito
come
finito
,
il
rifiuto
di
ogni
evasione
e
di
ogni
fuga
,
non
allontana
gli
uomini
,
ma
,
proprio
,
li
riavvicina
,
nell
'
unico
riavvicinamento
che
è
davvero
possibile
:
il
riconoscimento
del
limite
del
proprio
destino
e
dell
'
altrui
,
diverso
,
opposto
al
nostro
.
Il
vecchio
romanticismo
credeva
di
poter
raggiungere
la
possibilità
di
una
comunicazione
attraverso
la
fuga
dalle
precise
condizioni
della
nostra
esistenza
o
attraverso
la
mitica
assolutizzazione
ed
universalizzazione
di
un
'
esperienza
fatalmente
particolare
e
limitata
:
noi
,
nella
nostra
nuova
esigenza
romantica
,
sappiamo
che
possiamo
davvero
comprendere
gli
altri
se
sappiamo
accettare
la
nostra
condizione
e
non
mitologizzare
noi
stessi
.
«
Andare
incontro
agli
altri
»
dice
anche
Mario
Alicata
.
Ma
gli
altri
li
sapremo
trovare
solo
sperimentando
ed
accettando
il
limite
della
nostra
esperienza
:
così
sapremo
andare
verso
gli
altri
,
anche
se
,
per
avventura
,
le
condizioni
finite
della
nostra
vita
ci
porranno
contro
di
loro
:
saremo
allora
,
per
ripetere
ancora
la
parola
di
Karl
Jaspers
in
comunicazione
con
loro
.
Il
tramontante
liberalismo
aveva
condotto
l
'
Europa
all
'
assolutizzazione
del
finito
,
il
vecchio
umanitarismo
alla
più
ipocrita
mancanza
di
umanità
:
proprie
le
nuove
esperienze
politiche
ed
ideologiche
sapranno
ritrovare
l
'
uomo
,
senza
promettergli
nessun
mito
,
ma
dandogli
la
vera
libertà
della
sua
condizione
di
uomo
,
inevitabilmente
finita
:
da
tale
accettazione
della
finitezza
e
del
destino
,
che
tutti
limita
e
circoscrive
,
nasce
la
nuova
e
concreta
forma
di
solidarietà
umana
.
Che
è
civiltà
della
tecnica
e
del
lavoro
proprio
in
quanto
tecnica
e
lavoro
abbandonano
ogni
liberale
mitologia
fordistica
e
tayloristica
e
diventano
i
termini
essenziali
di
realizzazione
,
nel
finito
,
dell
'
esistenza
dell
'
uomo
,
con
tutta
la
sua
umanità
.
Nasce
allora
una
nuova
passione
,
la
passione
per
il
finito
,
per
ciò
che
ci
fa
restare
noi
stessi
.
È
antiromantica
perché
esclude
ogni
fuga
,
ma
è
profondamente
romantica
perché
ci
riavvicina
alla
fonte
inesauribile
di
ciò
che
in
noi
è
primordiale
.
Sentiamo
per
il
finito
e
per
la
fatalità
delle
condizioni
insostituibili
dell
'
esistenza
lo
stesso
entusiasmo
che
i
romantici
provarono
per
l
'
infinito
e
per
la
fuga
dal
mondo
.
E
la
nostra
cultura
vuol
rimanere
fedele
all
'
impossibilità
di
universalizzare
i
nostri
orizzonti
,
una
fedeltà
che
è
fedeltà
alla
concretezza
del
nostro
esistere
,
una
fedeltà
alla
morte
,
se
si
vuol
richiamare
il
termine
di
Heidegger
,
una
fede
,
profonda
come
quella
romantica
,
che
solo
il
finito
può
testimoniare
dell
'
infinito
,
che
la
trascendenza
si
può
a
noi
rivelare
solo
nell
'
accettazione
assoluta
e
totale
delle
condizioni
della
nostra
immanenza
,
se
si
vuole
,
richiamandosi
ancora
all
'
esistenzialismo
,
ricordare
la
posizione
di
Jaspers
.
Finitezza
,
destino
,
amor
fati
.
L
'
amico
Della
Volpe
non
si
allarmi
della
nuova
passione
romantica
,
che
come
una
bufera
rinnovatrice
,
l
'
esistenzialismo
ha
scatenato
su
tutta
l
'
Europa
.
Non
s
'
allarmi
perché
questa
nuova
passione
è
proprio
per
quel
finito
,
per
quel
sensibile
,
per
quel
sentimento
di
cui
la
sua
filosofia
rivaluta
,
con
tanta
acutezza
ed
intelligenza
,
i
diritti
troppo
sprezzati
.
E
l
'
amico
G
.
M
.
Bertin
,
a
cui
sono
riconoscente
dell
'
attenzione
che
ha
prestato
al
mio
pensiero
(
Cfr
.
«
Esistenzialismo
romantico
»
,
in
Studi
filosofici
,
n
.
4
)
non
si
allarmi
per
il
nuovo
irrazionalismo
che
gli
sembra
minacciare
la
tradizione
critica
di
Kant
e
di
Hegel
:
proprio
il
nuovo
romanticismo
combatte
ogni
pretesa
,
questa
davvero
romantica
nel
vecchio
senso
della
parola
,
di
assolutizzare
,
infinitizzare
,
divinizzare
l
'
universo
.
E
se
riconosce
i
diritti
dell
'
irrazionale
non
è
per
degradare
il
pensiero
a
mito
,
o
per
abbassare
ad
empirico
arbitrio
la
vita
spirituale
,
ma
invece
per
usare
criticamente
della
ragione
filosofica
e
per
avvertire
che
ogni
vita
spirituale
,
che
non
presupponga
le
condizioni
finite
del
nostro
esistere
e
del
nostro
destino
,
è
retorica
.
Ma
so
che
Bertin
mi
comprende
e
sa
che
il
mio
romanticismo
non
è
quello
a
cui
tutti
noi
ci
ribelliamo
.
La
nuova
atmosfera
romantica
è
dunque
la
scoperta
del
valore
del
finito
e
dell
'
esistenza
.
Dietro
la
nostra
fredda
disciplina
per
le
parole
ritornano
la
parola
passione
e
la
parola
destino
:
e
la
nostra
disciplina
non
sarà
conquistata
una
volta
per
sempre
,
ma
ci
richiamerà
ancora
a
noi
stessi
,
alla
continua
tensione
che
ci
conduce
a
riconquistarla
senza
posa
,
perché
non
si
inaridisca
in
vuota
forma
ed
in
pretenziosa
sufficienza
di
sé
.
StampaPeriodica ,
Julien
Duvivier
è
uno
tra
i
pochissimi
registi
che
riescono
a
dare
all
'
opera
cinematografica
un
'
impronta
di
stile
personale
ed
inconfondibile
che
difficilmente
si
dimentica
.
Più
rigoroso
di
Chenal
,
più
incisivo
di
Carné
,
più
realistico
di
Feyder
,
più
profondo
di
Renoir
i
capisaldi
dell
'
ultima
regia
francese
è
oggi
indubbiamente
il
miglior
regista
di
cui
la
Francia
possa
vantare
.
Non
solo
,
ma
appartiene
anche
a
quell
'
esiguo
numero
di
mirabili
narratori
per
immagini
che
va
dai
Vidor
ai
Flaherty
,
dai
Capra
ai
Mamoulian
,
dai
Borzage
ai
Ford
.
È
uno
dei
pochissimi
,
insomma
,
che
abbia
compreso
nella
sua
integrità
il
mezzo
espressivo
«
cinema
»
compendiando
in
esso
tutti
quegli
elementi
che
ne
formano
lo
spettacolo
d
'
arte
.
Per
questa
sana
comprensione
che
ogni
regista
degno
di
tal
nome
dovrebbe
avere
non
farà
mai
,
punto
essenziale
e
fermo
nel
cinema
,
del
teatro
,
se
pur
teatro
finissimo
,
filmato
.
E
il
susseguirsi
dei
fotogrammi
che
parla
in
ogni
sua
pellicola
:
l
'
immagine
resta
sempre
alla
base
dell
'
espressione
di
eventi
e
stati
d
'
animo
:
le
sequenze
sempre
si
susseguono
alle
sequenze
,
le
angolazioni
alle
angolazioni
,
le
inquadrature
alle
inquadrature
:
tutte
accompagnate
da
un
ritmo
serrato
e
conciso
,
da
un
'
atmosfera
viva
,
fusa
,
pittoresca
.
Gli
attori
parlano
qualche
volta
con
retorica
ed
enfasi
,
ma
il
dialogo
non
grava
mai
sull
'
immagine
,
e
l
'
immagine
per
effetto
delle
lunghe
chiacchierate
,
sull
'
azione
.
E
la
narrazione
procede
ampia
,
magnifica
,
e
nello
stesso
tempo
semplice
,
sentita
,
genuina
lontana
da
convenzionalismi
e
da
luoghi
comuni
:
mirante
all
'
essenziale
e
al
particolare
insieme
.
Non
solo
,
poi
,
il
Nostro
ha
una
personalissima
ed
inconfondibile
maniera
d
'
inquadrare
,
di
muovere
la
macchina
(
carrellate
alla
Duvivier
)
,
di
narrare
conformemente
ai
canoni
fondamentali
del
cinema
vero
,
ma
ha
pure
un
proprio
punto
di
vista
rispetto
al
contenuto
e
all
'
intonazione
del
film
.
È
quasi
sempre
la
vita
degli
umili
e
dei
reietti
,
dei
perduti
nel
vizio
e
nell
'
imbroglio
,
dell
'
uomo
della
strada
e
del
trivio
,
dell
'
angiporto
e
del
quartiere
malfamato
,
che
lo
attrae
e
lo
appassiona
.
Sono
gli
infiniti
e
multiformi
drammi
di
questi
:
i
loro
casi
singoli
osservati
dai
fatti
crudi
,
scarni
,
scheletrici
di
cronaca
quotidiana
che
ritrae
in
ogni
più
piccolo
particolare
e
in
ogni
minuta
osservazione
e
sfumatura
.
Di
fronte
a
questo
materiale
umano
come
quasi
tutti
i
registi
francesi
d
'
oggi
Duvivier
è
un
osservatore
scettico
e
pessimista
;
di
uno
scetticismo
e
di
un
pessimismo
spesso
malato
e
morboso
,
che
giunge
più
volte
anche
a
negare
la
vita
come
gioia
di
vivere
,
come
libera
espressione
dell
'
anima
,
come
affermazione
dell
'
individuo
.
I
personaggi
che
ama
e
predilige
hanno
tutti
una
propria
fisionomia
,
un
proprio
sguardo
,
un
'
impronta
particolare
:
sono
esseri
senza
sorte
e
senza
speranza
e
,
incapaci
di
dominarsi
,
trasportati
dalla
corrente
verso
un
progressivo
fallimento
di
loro
stessi
:
dalla
più
torbida
desolazione
,
fino
al
delitto
e
al
suicidio
.
Per
convincersi
basta
osservare
le
sue
realizzazioni
,
dove
insieme
ad
una
stretta
analogia
di
indagine
umana
e
profonda
,
non
manca
mai
uno
scetticismo
impressionante
.
E
questo
eccezione
fatta
per
le
opere
a
carattere
religioso
«
Golgota
»
e
«
Credo
»
in
ogni
suo
film
.
Sia
che
realizzi
una
vicenda
eroica
,
«
La
Bandiera
»
;
o
un
intreccio
musicale
,
«
L
'
uomo
del
giorno
»
;
o
la
storia
drammatica
di
un
bimbo
incompreso
«
Pel
di
Carota
»
;
o
la
tumultuosa
ed
ardente
vita
di
un
fuori
legge
«
Pepé
le
Moko
»
;
o
la
descrizione
degli
ultimi
giorni
di
vecchi
attori
«
I
prigionieri
del
sogno
»
.
Ma
dove
il
pessimismo
di
Julien
Duvivier
raggiunge
vertici
di
traboccante
grigiore
e
malinconia
è
ne
«
La
bella
brigata
»
e
in
«
Carnet
de
bal
»
.
Entrambi
questi
film
sembrano
addirittura
ispirati
da
un
Schopenhauer
e
sceneggiati
da
un
Leopardi
nel
loro
momenti
di
più
cupo
abbandono
.
Nel
primo
,
i
sogni
,
le
aspirazioni
,
tutte
le
cose
belle
di
cinque
operai
svanite
insieme
alla
stessa
amicizia
e
solidarietà
,
ci
fa
vedere
la
vita
atrocemente
buia
.
Nel
secondo
:
il
crudo
dramma
di
una
donna
non
più
giovane
,
che
si
illude
di
rincorrere
il
passato
,
per
ritrovare
gli
amici
di
gioventù
e
riafferrare
con
essi
le
gioie
non
apprezzate
,
dipinge
la
vita
con
toni
di
morboso
scetticismo
.
(
Morboso
scetticismo
che
si
tramuta
alla
fine
nel
surrealista
«
Carro
fantasma
»
in
fede
,
redenzione
,
luce
irradiante
)
.
Affermare
dopo
tutto
questo
che
Duvivier
è
uno
scettico
,
sarebbe
troppo
poco
.
Per
essere
più
precisi
occorre
dire
che
è
un
entusiasta
del
pessimismo
.
E
l
'
unico
rimprovero
che
gli
si
può
fare
,
tra
i
tanti
elogi
,
è
proprio
questo
:
che
la
sua
tecnica
e
la
sua
arte
siano
volutamente
messe
al
servizio
di
soggetti
mai
sani
ed
irradianti
luce
;
ben
sapendo
purtuttavia
che
a
nessuno
,
e
neppure
a
noi
,
è
permesso
di
voler
far
sostituire
concetti
ed
intenzioni
proprie
a
quelle
dell
'
artista
.
Comunque
non
si
può
condannare
in
Duvivier
come
alcuni
hanno
fatto
l
'
artista
.
Non
è
possibile
stroncare
un
'
opera
d
'
arte
in
genere
solamente
perché
è
costruita
su
materia
non
sana
.
Occorre
in
questi
casi
saper
distinguere
il
mondo
etico
da
quello
estetico
.
Se
così
non
fosse
,
di
arte
ce
ne
sarebbe
ben
poca
.
Ecco
la
ragione
per
la
quale
non
possiamo
dissentire
Duvivier
quanto
ad
apprezzamenti
puramente
cinematografici
ed
artistici
.