Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaPeriodica"
PRENDETELI VIVI... ( - , 1942 )
StampaPeriodica ,
Caro " Vent ' anni " Il 26 marzo 1942 sul treno N . 10 che parte alle 11,35 da Roma , sulla linea Roma - Genova , al 2° turno del vagone ristorante tre uomini con distintivi fascisti ed una donna hanno consumato il pasto normale a 30 lire a testa . Senonché hanno consumato , oltre alla frutta , il formaggio , poi biscotti e liquori sino a far salire il conto da 120 lire normali a 230 . Conto che è poi stato messo in tasca per la presentazione ( evidentemente ) ed il rimborso spese . Si danno le indicazioni di cui sopra per l ' eventuale rintracciamento dei fascisti stessi . C ' era su quel treno anche un cons . naz . a cui il fatto fu riferito . Ma quando si vollero ricercare i quattro era troppo tardi . Tuo
A PROPOSITO DI NAZIONALISMO ( CIVITAS , 1923 )
StampaPeriodica ,
È di moda ormai il proclamare morta e sepolta l ' idea internazionalista , che nel suo concetto più esteso si spinge fino a quello che chiamano utopia , cioè alla aspirazione di un ' epoca nella quale i due dati storici e sociali umanità e civiltà si identificano ; e tutto l ' intellettualismo predominante si concentra oggi nella rivalorizzazione fino alla iperestesia dei concetto di nazione , posto a base necessaria ed unica , e quasi condizione esclusiva di esistenza , per gli Stati . Umanità e nazione sono così divenuti i due termini della tragica antitesi che domina l ' età nostra ; tanto che uno ha quasi vergogna e paura di passare , oltreché per antipatriota , anche per ignorante , se non accetta e non proclama la grande tesi moderna , non solo della nazione principio e fine di una coscienza evoluta , ma del conseguente ripudio del sogno umanitarista . Non si tratta però che di un grande errore , o meglio di un grande equivoco , contro il quale il pensiero sociologico ispirato dalla dottrina e dalla esperienza cristiana ha diritto e dovere di reagire . La verità è che non esiste conflitto fra l ' idea di nazionalità e quella di umanità , più di quel che possa esistere un conflitto fra l ' idea di patria e quella di famiglia . Per arrivare al concetto di umanità bisogna partire dal concetto di uomo : ma l ' uomo non ha vita se non nella società ; anzi in un sistema di società successive , le quali sono come altrettanti circoli concentrici , che dall ' uno si propagano appunto fino alla umanità . E ancora . Come il concetto di vita è inseparabile da quello di società , quello di società è inseparabile da quello di organizzazione : ogni società , a cominciare dalla domestica , è una organizzazione determinata da speciali bisogni , interessi e sentimenti . L ' umanità è l ' ultimo circolo , è la società più estesa ; ma , se essa come sentimento può sussistere quasi in forma di entità astratta , come realtà non può essere se non la risultante di tutte le entità intermedie nelle quali è organizzata la vita sociale dell ' uomo . Fissati questi principii di ordine generale che sono incontrovertibili , se ne deduce che lungi dal contrapporsi alla idea di umanità , l ' idea di nazione non può a meno di farvi riferimento : come le nazioni sono la somma di famiglie viventi sopra un suolo delimitato da confini naturali , e quindi aventi comunanza di beni , di lingua , di storia , di fede ; come gli Stati sono la somma di enti minori , regioni , provincie , comuni , ciascuno dei quali rappresenta una classificazione di esigenze sociali e di funzioni politiche ed amministrative ; così l ' umanità è e non può essere che la somma delle nazioni e degli Stati , che è quanto dire delle patrie ; né è lecito supporre che si radichi saldamente la coscienza di umanità in chi non abbia la coscienza di patria , più di quel che sia lecito ammettere buon patriota il cittadino che non sente la famiglia e il comune . La coesistenza nell ' uomo civile di tutte le idee graduate corrispondenti alle successive società nelle quali si organizza la sua vita , è naturalmente più o meno cosciente , più o meno pacifica , più o meno effettiva a seconda dello sviluppo della sua coltura e delle condizioni storiche e ambientali di civiltà . Onde non si può ammettere che nella coscienza dell ' uomo colto si delinei necessariamente un conflitto tra la idea di umanità e quella di nazionalità ; al contrario al maggior grado di coltura dovrebbe appunto corrispondere la eliminazione di tale conflitto ; quanto più l ' individuo allargherà i confini delle proprie cognizioni , tanto più facile gli riuscirà stabilire fra le due idee quella armonia e quella coordinazione in cui tutti riconosciamo doversi cercare la base di una più sicura e tranquilla convivenza degli uomini fra loro . Qualche teologo ha espresso il pensiero ( all ' estero si capisce , non in Italia , perché qui da noi il fascismo ha reso prudenti e cauti anche i teologi ) che il nazionalismo sarà l ' eresia che la Chiesa dovrà condannare nel secolo XX . C ' è della esagerazione , ma c ' è della verità ; a seconda che ci si intenda sul contenuto della parola . Quando si parla di nazionalismo non accettabile dalla dottrina della Chiesa cattolica , non si intende il complesso di attività dirette a valorizzare politicamente la nazione , a tenerne viva la coscienza , a permearla di un profondo e operativo spirito di solidarietà , di difesa , di emulazione ; no ; si intende il nazionalismo come sistema etico sociale , quale è venuto foggiandosi nel primo decennio del secolo attuale un po ' in tutti i paesi d ' Europa , ma specialmente pur con diversa fisionomia esteriore in Francia , in Italia , in Germania . Per vero , come sistema etico - sociale , il nazionalismo mette a base della sua dottrina la constatazione di un fatto ; il fatto cioè che i rapporti fra le nazioni , a differenza dei rapporti fra gli individui , sono regolati principalmente dalla forza , perché mentre l ' individuo può attendere la giustizia dallo Stato che è sopra di lui , la nazione , che non ha nessuno sopra di sé , non può attenderla che da sé stessa . Di qui la convinzione nei nazionalisti che la civiltà futura lungi dal recarci l ' abolizione della guerra , la renderà semplicemente più rara , ma appunto per questo più terribile ; e la conseguente affermazione che la nazione è al presente , sarà in avvenire come fu per il passato , dominata dalla ferrea necessità della lotta per la vita , per vincere la quale non può sperare se non nella sua forza . E quando dice forza , il nazionalismo intende armi . Stando così le cose è naturale , anche se non completamente logico o per lo meno non assolutamente necessario , che il nazionalismo passi alla apologia della guerra , in cui non ammette che ci siano soltanto la violenza e il dolore ; e proclama invece che essa può suscitare e ravvivare altissime virtù morali e purissime forze ideali , e riuscire perfino la fiamma purificatrice di un popolo che nella pace si corrompe e si estenua . Quindi il nazionalismo riprova il pacifismo ; e lo riprova pure nella sua forma ridotta , quando cioè si rassegna alla guerra come ad una necessità ; perché la guerra , così tollerata , si abbassa e si avvilisce , mentre essa deve rimanere nella coscienza del popolo come uno strumento il più valido di civiltà , e quando occorre , combattersi con entusiasmo . E non basta . Il nazionalismo si spinge più innanzi e cerca la giustificazione , anzi la glorificazione della guerra , oltreché nell ' utilità della nazione , nel vantaggio della società ; in quanto la pace per un popolo in aumento si traduce in miseria , in abbrutimento , in morte , mentre d ' altra parte il vero miglioramento umano si basa sulla selezione e sul sacrificio degli individui ; sul sacrificio cioè di quel che vive oggi a quel che vivrà domani ; cosicché la morale socialmente utile è quella di un popolo che tenda a conquistare per sé la massima quota di dominio , nel mondo : la morale per dirla col linguaggio di uno degli apostoli del nazionalismo imperialistica ; in una parola , quella morale suscitatrice di energia che il Sorel chiamava morale dei produttori , in contrapposto dell ' imbelle morale dei consumatori . Questa la struttura dottrinaria del nazionalismo ; e l ' averla sommariamente esposta basterà a ciascuno dei nostri lettori per chiarirne le inconciliabilità con parecchi dei principii fondamentali del cristianesimo . In altre questioni per esempio in quelle riflettenti la superiorità dell ' interesse nazionale sull ' interesse di classe , e la preminenza , per uno Stato , dei problemi esterni su quelli interni potremo coi nazionalisti essere spesso di accordo ; non certo nel riconoscere che la legge fra i popoli sia , istituzionalmente , la forza anziché il diritto , che la giustizia collettiva sia diversa da quella individuale , che lo stato di necessità si traduca in uno stato normale , che l ' individuo debba essere sacrificato alla specie , e che la civiltà consista nel dominio del più potente . Ecco perché , mentre noi non disconosceremo mai , anzi apprezzeremo sempre il valore di un elevato spirito nazionale inteso come propulsore di energie interne alla efficace tutela anche dei nostri interessi esterni , e come educatore alla dignità ed occorrendo al sacrificio per la patria , non potremmo senza dimenticare e misconoscere gli insegnamenti più nobili e più santi del cristianesimo che consideriamo come la legge della vera civiltà favorire un movimento , il quale , all ' infuori delle sue giustificazioni transeunti , tende a rimettere in onore i postulati di un positivismo di vecchia maniera , e va a confondersi , per altra via , nello stagno pestifero del materialismo storico , donde germinò già l ' infezione del socialismo .
StampaPeriodica ,
Leone XIII nella sua celebre enciclica del 15 maggio 1891 ( Rerum novarum ) con gesto per il suo tempo ardito e coraggioso , quasi a conclusione dell ' ampia disamina dottrinale compiuta intorno ai vari aspetti della questione operaia « quella che oggi maggiormente interessa il mondo » com ' egli stesso diceva , risollevava dalla polvere secolare un istituto o dimenticato o ricordato solo da pochi , quasi sempre con poca lode , se non con qualche infamia : la corporazione . Già nell ' introduzione della enciclica , prima di additare come causa del disagio degli operai l ' usura vorax e il monopolio della produzione e degli scambi onde un piccolo numero di ricchissimi « hanno imposto alla infinita moltitudine dei proletari un gioco poco men che servile » , egli aveva scritto : « Soppresse nel passato secolo le corporazioni di arti e mestieri , senza nulla sostituire in loro vece , nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano , avvenne che a poco a poco gli operai rimanessero soli ed indifesi , e in balia alla cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza » . E nell ' ultima parte dell ' Enciclica ritornava sul terna : segnalati i rimedii del male , prima nel ritorno alla religione e nella sommissione agli insegnamenti della Chiesa , poi nell ' intervento dello Stato a regolare la protezione del lavoro , vi aggiungeva poi quelli delle associazioni di assistenza e di collaborazione fra le classi , che additava tutte riassunte nella corporazione . « Tengono però il primo luogo sono le parole di Leone XIII e quasi tutte le altre contengono , le corporazioni di arti e mestieri ; manifestissimi furono presso i nostri maggiori i vantaggi di tali corporazioni ; e non solo a pro degli artieri , ma , come attestano monumenti in gran numero , ad onore e perfezionamento delle arti medesime : bensì , i progressi della coltura , le nuove costumanze e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni presenti : vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni siffatte , sia di soli operai , sia miste di operai e padroni ; ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità : dal passato possiamo non senza ragione preveder l ' avvenire : imperocché le umane generazioni si succedono ; ma le pagine della storia si rassomigliano grandemente , perché gli avvenimenti sono governati da quella Provvidenza superna , la quale volge e indirizza tutte le umane vicende a quel fine che ella si prefisse nella creazione dell ' umana famiglia » . Ma per comprendere bene che cosa la pontificia solenne riabilitazione del corporativismo significasse , gioverà rapidamente vedere attraverso le diverse fasi che esso ha avuto nel medio evo , nella età moderna e nel mondo nostro contemporaneo la evoluzione di un istituto già vagheggiato dai primi pionieri di una restaurazione sociale cattolica , come essenziale alla compagine della società in ogni suo grado di sviluppo economico ; gioverà cioè ricordare che cosa fu in passato quella corporazione che , avversata così aspramente dai socialisti , Leone XIII con autorità di maestro trentadue anni fa additava al mondo come meritevole di essere risollevata e rimessa in onore . Molto hanno disputato gli storici per sapere se le corporazioni medioevali di arti e mestieri siano sorte come trasformazione ultima di un istituto romano , come un prodotto spontaneo delle nuove condizioni politiche ed economiche in cui le città dello impero , alla sua decadenza e rovina , si trovarono : certo è che la corporazione si presenta come una associazione intimamente legata alla vita dei municipi , anzi indispensabile al retto funzionamento degli ordini nuovi : più che rivestita di quel doppio ufficio , politico ed economico , che gli scrittori sogliono attribuirle , essa si potrebbe definire un vero potere dello Stato , diretto al conseguimento di quell ' unico bene cittadino , nel quale si assommano gli interessi che male allora si sarebbero potuti distinguere , con linguaggio troppo moderno , in interessi politici , religiosi , economici , commerciali . Il Comune medioevale esaminato soprattutto nel suo tipo italiano era un organismo semplice e completo , nel quale ogni parte si è formata quasi da sé , non tanto per deliberazioni di maggioranze , quanto per consenso unanime e quasi per la necessità delle cose . Così è naturale che un istituto politico , dove i nobili ed il clero rappresentavano , perché organizzati , dei veri corpi capaci di rispondere alla parte loro spettante nella vita cittadina , il resto del popolo , che potremmo dire il popolo minuto , sentisse il bisogno di dare a sé stesso un ordinamento per cui esso pure fosse posto in grado di adempiere la parte sua nella economia pubblica , e che in pari tempo , dove fosse necessario , lo rendesse atto a difendere la propria influenza quando altri tentasse menomarla . Il bisogno della difesa è a credere però sia stato piuttosto un elemento di conservazione e di sviluppo delle associazioni popolari , che non la causa della loro origine : e se noi le troviamo nella forma di corporazioni d ' arti e mestieri , si è perché il genere di lavoro è l ' unica legittima distinzione nelle classi del popolo . Che a tutti gli esercitanti un ' arte fosse nel medioevo fatto obbligo di appartenere alla corrispondente corporazione , non risulta da nessun dato certo ; ma che tutti i cittadini vi appartenessero , non solo per vantaggio professionale , ma specialmente per la necessità che portava in quel tempo ogni uomo a dovere prendere un posto qualsiasi nella vita pubblica intimamente fusa con la privata , non è dubbio ; meno sicuro è invece il fatto che fosse uso dei nobili ( come si sa di Firenze ) di iscriversi in alcune corporazioni per partecipare a quelle funzioni politiche che le corporazioni stesse gradatamente poi assunsero . Benché accolta anche da storici autorevoli , deve dirsi pregiudizio infondato l ' opinione che le corporazioni medioevali avessero scopi gretti e quasi pericolosi alla società , scopi che il Cibrario , per esempio , riassumeva nei seguenti : 1 ) far nominare agli uffici il maggior numero di soci ; 2 ) far prevalere nei consigli la sentenza della società ; 3 ) vendicarsi d ' ogni benché lievissima offesa ricevuta nelle persone e negli averi dei proprii membri ; 4 ) sottrarre i ministri di quelle vendette alla punizione meritata . Questi non furono che difetti accidentali nel medioevo , e si accentuarono poi nelle corporazioni dell ' età successiva quand ' esse , col cadere dei regimi popolari , vennero a mancare di una funzione propria ed integrante nella vita del comune , e rimasero come semplici rappresentanze professionali . L ' evoluzione si operò logicamente e quasi insensibilmente : si cominciò col togliere loro il diritto di crearsi le proprie leggi , subordinandole a quelle che prima invece risultavano appunto dal complesso e dall ' attrito delle particolari ; poi si privarono virtualmente del diritto d ' esistere , facendo dipendere la loro personalità dal consenso del principe , il quale non è già che le volesse sopprimere , cosa impossibile date le condizioni del lavoro , dell ' industria e del commercio ; ma le voleva legate a sé interamente , perché non esercitassero altro ufficio che quello economico , e non se ne arrogassero più uno politico . Il principio che l ' ente intermedio tra lo Stato e l ' individuo non acquisti vita se non dal riconoscimento dello Stato stesso , questo principio , assolutamente sconosciuto nel medioevo e negli ordinamenti comunali , fu rassodato nel formarsi delle monarchie e delle signorie , e rimase come vera differenza specifica tra la corporazione medioevale e quella della età moderna . Dalla negata libertà a chiunque di associarsi per tutelare i propri diritti professionali , venne così l ' assolutismo che caratterizza le corporazioni dei seicento e del settecento ; gli esclusi dalla corporazione ufficiale non possono costituirsi in corpo e gareggiare coi corpi precedenti , sia pure se di loro più forti , perché lo Stato a cui non giova , lo impedisce : la legittima concorrenza nel lavoro vien meno , perché viene meno la libertà del lavoro ; la quale non è violata per sé dalle corporazioni , bensì dalle intromissioni dello Stato a riconoscerle o meno , ed a guastarne lo spirito . Per tale modo i loro statuti , man mano che ci avviciniamo alla fine del secolo XVIII , vanno moltiplicandosi con troppe riforme funzionali , e con una complicata giurisprudenza sulle frequentissime controversie ; e leggendoli si riporta l ' impressione che quanto più le corporazioni si chiudono nell ' ambito dei privilegi , tanto più si allontanano da quell ' ideale di associazione libera , forte , importante nella vita cittadina , che tutti intravvediamo nella corporazione medioevale . I privilegi , che costituiscono l ' essenza del diritto corporativo nel secolo XVIII , sono noti : basti il ricordare che , mentre nei secoli precedenti , e specie nei primi tre del secondo millennio , le corporazioni ebbero a ragione del loro essere la protezione del lavoro mediante l ' associazione di tutti i lavoratori , esse finirono coll ' assumere carattere di casta chiusa : molti dei loro benefici effetti , quali l ' infranamento della concorrenza , l ' equa determinazione dei salari e dei rapporti tra lavoranti e maestri , durarono , ma neutralizzati dallo spirito monopolizzatore che pareva avessero ereditato dallo Stato , dopo che questo si era attribuito il diritto di vita e di morte su di loro , ed aveva mostrato d ' altra parte di non apprezzarle se non come strumento fiscale , che accollandosi tutto l ' estimo fissato a carico di ciascuna professione , gli rendeva più semplice e più sicura l ' esazione dei tributi : di qui l ' impiego della corporazione ad esercitare una vigilanza rigorosa , perché nessuno elemento imponibile sfuggisse alla propria giurisdizione , e non potesse produrre e vendere se non chi pagasse ; di qui ancora l ' impegno dello Stato nel garantire alle sue agenzie esattrici i privilegi necessari a render possibile l ' adempimento dei loro obblighi . Nessuna meraviglia quindi se le corporazioni sulla fine del secolo XVIII , non furono in grado di resistere al movimento liberista della nuova scienza economica , e che i governi le poterono abolire senza contrasto , anzi in mezzo al plauso che pareva generale . Senonché a neppure un secolo di distanza per parte degli economisti che cominciavano a ribellarsi contro il liberalismo , venne la critica la quale si può riassumere nei termini seguenti . Coloro che operarono la soppressione radicale delle corporazioni dissero di voler togliere di mezzo il monopolio , per instaurare il regno della concorrenza e della libertà del lavoro ; ma essi non si accorsero che l ' istituto che abbattevano non era per sé la causa del monopolio , ma lo era soltanto perché degenerato dalla sua natura ; e che il correggerlo e il migliorarlo col togliergli le superfetazioni assolutiste , sarebbe stato il modo migliore per garantire e la concorrenza e la libertà del lavoro stesso ; le quali invece , affidate alla tutela di un sistema prettamente individualista , hanno concorso a creare una dolorosa situazione di conflitto fra capitale e lavoro , culminante nell ' abuso del diritto di coalizione , cioè di sciopero e di serrata . Infatti la stessa concorrenza sfrenata ha prodotto la speculazione disonesta e lo sfruttamento della mano d ' opera , ed ha resa irrisoria proprio la libertà di lavoro ; ha fatto sorgere il grande industrialismo , che è un monopolio più feroce dell ' antico , ha separato in due classi nemiche quegli ordini di cittadini che le corporazioni tenevano affratellati , cioè i detentori degli strumenti di lavoro e coloro che li usano , ed ha scritto , si può dire , la prima riga del programma del socialismo scientifico : socializzazione degli strumenti di lavoro . Inoltre , disgregando le rappresentanze professionali , ha tolto efficacia politica al lavoro , ed ha da una parte reso sempre più forte il potere centrale , dall ' altra sempre più deboli gli individui . Infine è questo un punto di vista speciale alla scuola sociale cattolica , che Leone XIII non poteva a meno di ammettere in luce particolare quando si pensi al carattere eminentemente religioso che il regime corporativo rivestiva , colle regole che imponevano il riposo festivo e i convegni periodici di tutti gli iscritti e speciali solennità religiose , si capisce quale potente elemento di moralità e di ordine sociale e quindi quale freno e quale regola all ' esuberanza dei desideri , all ' avidità dei guadagni , alla disonestà dei contratti e dei lavori , allo sfruttamento degli operai , sia stato tolto colla soppressione delle corporazioni . Dalla critica al programma il passo è breve ; onde è naturale che dai primi saggi di una ricostruzione sistematica di sociologia cristiana sia uscita formulata una tesi , che fu poi quasi universalmente accettata dagli studiosi cattolici , che trovò la sua definitiva sanzione nella parola pontificia ; che cioè il sistema corporativo sano sia pure colle modificazioni anche istituzionali reclamate dallo sviluppo moderno delle dottrine e dei fatti economici deve ritornare ad essere lo strumento di un migliore e più stabile assetto dell ' organismo sociale fondato sulla armonia degli interessi e sulla collaborazione dei ceti produttori . Una tale affermazione di massima messa innanzi primamente dai cattolici sociali di Germania , ha costituito poi per molti anni la base principale dell ' azione dei sociali cristiani francesi , e la Corporation appunto si intitolò l ' organo dell ' Oeuvre des cercles oeuvriers fondata dal De Mun e dal La Tour du Pin poco dopo il 1870; e fu ben presto accettata anche dalla scuola belga ; ma l ' impresa di ridare vita vera alla organizzazione corporativa era delle più ardue , e per certi rispetti appariva impossibile : vi ostavano il regime della grande industria colla applicazione sempre maggiore delle macchine e colla divisione del lavoro ; lo spirito liberale , anzi liberista , delle leggi e la tradizione giuridica formatasi dopo la rivoluzione francese e penetrata più o meno in tutte le legislazioni moderne ; il principio della laicità introdotto come postulato essenziale in tutti gli ordini civili , e per il quale sarebbe venuto a mancare quel cemento religioso che era stato fattore così poderoso di coesione e di disciplina nel regime corporativo antico ; e infine l ' opposizione del socialismo orientato definitivamente verso la lotta di classe , e nella concezione del quale le categorie non dovevano essere che i battaglioni d ' un grande esercito , il proletariato , movente alla conquista dei poteri pubblici , e quindi alla creazione di uno Stato che fosse espressione politica della collettività lavoratrice , e sopprimesse ogni gerarchia sociale ; solo più tardi sarebbe maturato in seno al socialismo il sindacalismo vero e proprio , il quale concepisce la ricostruzione politica non più secondo un tipo unitario ed egualitario , ma secondo un tipo di organismi professionali associati , e indipendenti da un potere politico vero e proprio . D ' altra parte i propugnatori della restaurazione corporativa a tipo cristiano non sempre erano concordi nel modo di arrivarvi o almeno di tendervi ; e furono vive le dispute fra quelli che volevano la corporazione obbligatoria , cioè imposta con legge e regolata da leggi , e quelli che la volevano libera , sebbene dallo Stato riconosciuta come persona giuridica e quindi dotata della facoltà di possedere ; così molto si scrisse dagli uni in favore della corporazione mista , cioè costituita da padroni e da operai insieme , come l ' unica che potesse realizzare l ' ideale della armonia fra capitale e lavoro , dagli altri in favore della corporazione pura o semplice , cioè composta o di soli padroni o di soli operai , in considerazione della evidente necessità che l ' ente non fosse minato nella sua funzione da opposizioni d ' interessi , ma ciascun gruppo d ' interessi curasse separatamente la propria difesa , e l ' armonia sorgesse così non da una fusione , ma da una collaborazione . Tutto questo movimento di idee , parallelo e per un certo riguardo concorrente con quello degli scrittori e degli organizzatori socialisti , mise capo in Francia alla legge del 21 marzo 1884 , la quale abrogando il decreto della costituente del 1791 autorizzava la istituzione dei sindacati semplici ; essa divenne il punto di partenza per coloro che dalla teoria fossero voluti passare alla pratica ; all ' infuori di qualche buon risultato nei Cercles oeuvriers di De Mun e in alcune iniziative belghe e del saggio mirabile offerto da Leone Harmel e Val de Bois , non si sarebbe nel vero dicendo che il successo abbia coronato l ' opera dei volenterosi ; e nella Francia stessa durava ancora nel 1891 , come durava in Italia , una corrente ostile al corporativismo , il quale non veniva ammesso neppur come lecito nella sua forma pura che è l ' unica possibile modernamente . La parola di Leone XIII non valse certo a rimuovere le enormi difficoltà pratiche che ostavano alla realizzazione dell ' ideale , ma essa , in questa come in altre controversie , ebbe un grande vantaggio di por termine alle discussioni , alle incertezze , ai dubbi , e di legittimare una ispirazione ed un indirizzo che avrebbero poi operato efficacemente orientando i cattolici verso un programma di democrazia sociale aperta e schietta . Se ben si guarda , sta qui la indiscutibile importanza storica della Rerum Novarum ; non chiedetene i frutti immediati ; come nella questione del corporativismo , così in tutte le altre da essa trattate e risolte , valse la certezza acquistata dai cattolici che nella dottrina e nella disciplina della Chiesa lungi dal trovare ostacoli alla loro espansione , avrebbero attinto invece da allora in avanti , incoraggiamento ed appoggio . Tale è del resto l ' ufficio dell ' autorità docente ben intesa ; quello cioè di intervenire in un momento opportuno , a discriminare la verità dall ' errore , il giusto dall ' ingiusto , e regolare con precise definizioni il materiale di studi e di esperienze accumulato dalla libera discussione e dall ' azione dei migliori , e fissare così una tappa nel cammino della civiltà , traducendo definitivamente in tesi la ipotesi che ne sia degna e concedendo la pienezza del diritto nella città e Dio alle opere degli uomini di buona volontà .
StampaPeriodica ,
Concediamo pure che la Germania abbia avuto grandi scrittori ma concedete che da qualche tempo non ne produce più . I tedeschi , però , se non sono modesti sono ingegnosi . Non potendo fabbricare i geni con la stessa facilità colla quale fabbricano le macchine elettriche e i soldatini di piombo , hanno pensato d ' importarli dall ' estero e hanno cominciato a covare i pulcini dell ' altre chioccie . Quando , in un paese vicino , c ' è qualche genio infelice , qualche scrittore poco noto , qualche ingegno non abbastanza apprezzato i tedeschi lo traducono , lo esaltano , lo applaudono , lo adottano come figlio e tentano di imporlo anche alla madre originaria . Cominciarono col conte di Gobineau il quale , ignoto in Francia , trovò in Germania ammiratori editori e strombazzatori e perfino un certo numero di persone che fondarono una Vereinigung in suo nome . Continuarono con Houston Chamberlain , un inglese che aveva scritto in francese , e che diventò celebre coi famosi Grundlage des XIX Jahrhunderts ; con Oscar Wilde del quale pubblicarono il De Profundis in tedesco prima che in inglese , di cui risuscitarono le commedie e tradussero tutte le opere , e ora stanno facendo lo stesso col bizzarro critico e commediografo inglese Bernard Shaw , l ' autore di Man and Superman . Neppure noi Italiani ci possiamo lamentare : Salvatore Farina , l ' onesto novelliere piemontese che ormai non leggono più neanche le maestrine di sobborgo , è stato innalzato agli onori della Universal Bibliothek di Reclam e passa per uno dei più grandi scrittori italiani . Un giovine affatto ignoto in Italia , Silvio Pagani , che alcuni anni fa pubblicava nella Gazzetta Letteraria alcune fantasie simboliche dialogate è stato tradotto in tedesco e rappresenta a Berlino la nostra giovine letteratura . La Germania impotente e infeconda , vuol allevare come suoi i figli disgraziati degli altri . Essa sta diventando il Brefotrofio intellettuale dell ' Europa e tutto il suo sforzo consiste nel volerci fare ammirare in caratteri gotici ciò che altri popoli più geniali non vollero leggere in caratteri latini .
StampaPeriodica ,
... A un certo punto , da un discorso ad un altro , non so come , Paolo vien fuori con questa domanda : - Ma insomma , ci spiega un po ’ lei chi è questo Mussolini ? Provo come una scossa , piacevolissima . Godo , intimamente , profondamente , di udire pronunziare questo nome quassù , in questa zona di silenzio dove si arresta e non penetra nemmeno l ' eco di tante fragorose e inutili celebrità . Ed io spiego chi è " questo " Mussolini . Le buone donne , l ' onesto famiglio , mi ascoltano con occhi intenti , bevono le mie parole avidi , sorridono di soddisfatta approvazione . Hanno riconosciuto subito uno dei loro , un figlio delle grandi altitudini sole : sa di corroborante aroma silvestre , riflette il puro inarcato cielo come la più alta fonte sotto il più alto macigno dell ' ultima cima . È un fratello , è il fratello straordinariamente dotato , che porta impressi nella carne e nell ' anima , certi , indubitabili , tremendi ai nemici , dolci a chi l ' ama , i segni della " più vasta orma . " Non ci sono che gli invidiosi o i dolci di sale che non vogliono o non sanno riconoscere questo grande fatto nuovo . Ma la gente sana , perfino i più semplici , i perfetti ignoranti , questi più di tutti , hanno compreso , ormai , perfettamente . Ne ho la riprova vedendo i miei ascoltatori annuenti e partecipi della mia commossa sincerità e confermati dalle mie parole nella loro volontà di persuadersi e di credere ...
DEMOCRAZIA E FASCISMO ( MOLTENI GIUSEPPE , 1924 )
StampaPeriodica ,
È conciliabile il fascismo con la democrazia ? vi è tra le due parole , e le due cose , antagonismo irriducibile , intimo e insanabile conflitto , insuperabile antitesi o è possibile concepire ed attuare tra questi due termini un modus vivendi durevole , un accordo pacifico ed operoso ? Se si ricordano certe sdegnose affermazioni del duce del fascismo , le sue sanguinose irrisioni a certi cadaveri quattriduani e a certe stolide ubbie che sarebbero appunto quei principii di libertà , di uguaglianza politica , di democrazia che furono il patrimonio ideale del secolo decimonono sul terreno politico - sociale ; se si osservano le molteplici e concordi affermazioni in merito della stampa e delle individualità più espressive del fascismo ; se si esamina , dal punto di vista dottrinale , quella che è stata in subiecta materia la prassi del fascismo , sia come azione di partito , sia come azione di governo , difficilmente si possono nutrire eccessive illusioni . Dopo un cinquantennio di entusiasmi democratici ingenuamente iperbolici , il fascismo non segnerebbe soltanto un tempo d ' arresto , ma rappresenterebbe realmente un movimento di reazione , l ' inizio di un periodo di antidemocratici furori . Questo problema , dei rapporti tra democrazia e fascismo , si è posto recentemente Eugenio Rignano , il noto direttore di Scientia ed appassionato cultore di problemi politici e sociali , in un succoso volumetto « Democrazia e fascismo » che ha visto la luce in quella « Biblioteca di coltura politica » diretta dall ' on . Franco Ciarlantini . Poiché habent sua fata libelli , a questo libro è capitato un caso abbastanza curioso : il Rignano è un simpatizzante del socialismo ; certe sue ardite proposte di riforma , in ispecie del diritto successorio , testimoniano di una mentalità tuttaltro che conservatrice . Ma per questo suo studio gli è occorso di vedersi citato dall ' on . Mussolini in persona , quasi come un cortigiano , in ritardo , del nuovo regime , convertitosi forse per celate aspirazioni al laticlavio ; mentre egli è persuaso di avere scritto il suo saggio precisamente con l ' intenzione di dimostrare al fascismo quanto sia superiore , moralmente e politicamente , la democrazia sul confronto di ogni altro sistema diverso e contrario di regime . Ma « fascista » è stato giudicato il libro anche da vecchi amici dell ' autore , di parte socialista , come Claudio Treves . Il Ciarlantini , meno reciso , si limita , presentando al pubblico lo studio del Rignano , ad avvertire ch ' esso serve ottimamente « per intendere lo stato d ' animo di tutta una vasta categoria di persone che pur senza aderire al fascismo nelle sue manifestazioni più vivaci e intransigenti , ne valutano con serietà la importanza storica e desidererebbero vederlo volgersi verso nuovi indirizzi che non possono essere a priori respinti da nessun spirito illuminato » . Poiché il Rignano dichiara che la sua massima aspirazione è quella di « contribuire , sia pure in minima parte , ad attutire l ' asprezza delle contese dei partiti e ad avviare il paese verso una maggiore pacificazione degli animi » , e poiché realmente è questo , oggi , per il nostro paese il massimo dei suoi bisogni , è ovvio che una simile aspirazione sia accompagnata dai migliori e più fervidi auguri , con la avvertenza per altro , che l ' invocata pacificazione non si risolva in un vano baiser de Lamourette , ma sbocchi davvero in un consenso libero e convinto di volontà consapevoli e spontanee . L ' augurio è lecito e doveroso anche se , pel momento almeno , esso sembri assai lontano , da qualsiasi probabilità di successo . Da una parte infatti ecco l ' on . Treves che , nella Critica sociale , fa una carica a fondo contro le opinioni , assai più fasciste che democratiche , del nostro autore scrivendo : « Il fatto è e siamo certi di colpire di stupore e di incredulità l ' Autore col rivelarglielo che il suo discorso è fascista ; fascista per l ' interpretazione che esso dà ai fenomeni ; fascista per l ' estimazione con cui accoglie i risultati della rivoluzione fascista . La sua « democrazia » si svia , evapora nelle buone intenzioni liberali . Ma se egli non ha riserve a fare sui « miracoli » compiuti dal fascismo al potere , se non ha il sospetto del sofisma post hoc ergo propter hoc onde attribuisce l ' ordine , la cessazione degli scioperi , la riduzione delle spese e del deficit dello Stato esclusivamente all ' azione fascista e non a certe cause naturali ( crisi economica , disoccupazione , vietata emigrazione , cessazione delle spese di guerra , allontanamento dei furori bellici , ecc . ) , se egli crede al « rinsaldarsi della compagine nazionale » dove altri , come i socialisti unitari , per i quali il Rignano ha simpatie , dicono nel loro Manifesto elettorale : una gente sta sull ' altra colle ginocchia sul petto ! e ne dà merito all ' azione fascistica ; egli è fuori di ogni coerenza quando , in nome della democrazia , reclama allargamenti liberali e restaurazioni parlamentari . Ma viva , viva il potere personale capace di così mirifiche cose ! La democrazia non è un fine , è un mezzo . Quando il suo contrario si dimostra con mezzi di tanto più efficaci , viva il suo contrario ! Che vale il Rignano conchiuda invocando con Stuart Mill uno stato che non rimpicciolisca i suoi uomini ? Questa proposizione si allaccia all ' idea del concorso , della gara libera di tutte le capacità . Ma se l ' evento avesse dimostrato , con l ' autorità del fatto compiuto , che tale gara è neutralizzatrice di capacità anzi che eccitatrice di grandezze , che un uomo solo , onnipotente può fare , anzi ha fatto , meglio di tutto ciò che si sarebbe potuto aspettare dal concorso , dalla gara , dal Parlamento , e persino dall ' azione della natura , ecc . , la causa sarebbe vinta per l ' antidemocrazia . In verità , coi fatti che il Rignano accetta , non ci crederemmo autorizzati come fa l ' Autore ad appellarci a Stuart Mill , ma a Tommaso Hobbes e , magari , a Giuseppe De Maistre . Dall ' altro lato ecco l ' on . Ciarlantini , se non proprio accusare un fin de non recevoir , esprimersi in modo non troppo confortante alla predicazione democratica che il Rignano , nuovo Daniele nella fossa dei leoni , fa ai fascisti , osservandogli con un sorriso lievemente ironico che è « esagerata la sua preoccupazione intorno alla limitazione della libertà di cui si renderebbe colpevole il governo fascista » e ribadendo il chiodo del governo « pedagogia per adulti » , aliena per necessità del momento dalle « forme della tradizionale blandizia » e improntata ad « energie e fermezza » . Per Ciarlantini « il governo di un paese è , in grande , come il governo di una scuola e di una famiglia » ; ma di una scuola si tratterebbe di sapere in cui è riabilitata la malfamata ferula del pedagogo , e di una famiglia in cui la patria potestà risuscita i poteri discrezionali delle XII Tavole ? Non possiamo seguire particolareggiatamente il Rignano nella sua trattazione ; accenneremo soltanto . Dopo avere definito la caratteristica del fenomeno democratico « nella tendenza di un numero sempre maggiore di componenti la società ad accedere alla società stessa , anziché per imposizione esterna , per libero assenso e consenso » , dopo avere rapidamente passato in rassegna i vantaggi della democrazia , le accuse spesso infondate che le si muovono e i pericoli che realmente possono insidiarla demagogismo , parlamentarismo , eccessivo frazionamento dei partiti , e concluso che il massimo pericolo è quello « che una data classe , forte per numero di aderenti , per organizzazione e coscienza collettiva , per la sua grande importanza sull ' economia nazionale , perda , in seguito ad errate dottrine divulgate e accettate , sia pure in buona fede nel proprio seno , il senso di solidarietà sociale che la lega a tutte le società restanti , ed elevando i propri antagonismi di classe al di sopra dell ' interesse generale , che è pur supremo interesse suo proprio , minacci il dissolvimento sociale » ; il Rignano identifica questo pericolo non col socialismo in genere , ma con quella sua forma particolare e antisociale che è il marxismo . Al marxismo si devono quei due caratteristici fenomeni che crearono , con la guerra , il bolscevismo ; la mentalità disfattista e la utopia della dittatura del proletariato . Entrambi questi fenomeni minacciano alla base la vita nazionale e internazionale dei diversi paesi d ' Europa ; da ciò un correre precipitoso ai ripari con un ritorno verso la direzione coercitiva autocratica ed antidemocratica , ritorno che in Italia si concretava appunto nel fascismo . La causa della democrazia fu coinvolta nella débacle del marxismo perché « socialismo e democrazia hanno scontato insieme la colpa , ad un tempo economica , morale e politica , di non avere sconfessato in tempo e di non avere mai combattuto con la dovuta energia le dottrine marxiste antisociali » . Nell ' esame dello svolgersi delle vicende politiche dell ' immediato dopo guerra il Rignano accoglie , per così dire , la versione fascista , la versione cioè che attribuisce al fascismo il merito principale e quasi esclusivo di avere organizzato e debellato il pericolo bolscevico in Italia . E qui ci sembra che la interpretazione dei fatti non risponda pienamente all ' esattezza . Certo il fascismo è stato , fin dal suo sorgere , antesignano della lotta antibolscevica ; ma è pure debito di giustizia il riconoscere che il bolscevismo aveva già da tempo , iniziata la sua curva discendente quando ancora il fascismo era , politicamente , una quantité negligeable . Nelle elezioni del 1919 , quando la minaccia era più urgente e grave , la barriera vera e reale opposta al dilagare delle onde sovversive fu rappresentata da quel partito popolare che mandava alla Camera cento deputati e la cui valutazione , da parte del Rignano , è improntata al solito clichet , altrettanto banale quanto ingiusto , limitandosi a rimproverargli le « eccessive esigenze » cagione di continue crisi ministeriali e disconoscendo o ignorando il vigore col quale aveva disimpegnato la sua funzione di baluardo di conservazione sociale , quando appunto nelle file dei molteplici gruppi e partiti liberali era penetrato il più profondo scoraggiamento consigliero delle più ampie rinuncie e delle fughe più precipitose . Questa benemerenza del P . P . di fronte al paese , che è stata riconosciuta da uomini equilibrati e non sospetti come gli onorevoli Bonomi e De Nicola , non avrebbe dovuto essere taciuta dal Rignano . Il quale anche non poteva ignorare che un processo di revisione e di reazione alla ubbriacatura bolscevica si era andato determinando nell ' interno stesso del partito socialista , con un ritmo forse troppo lento ( in confronto delle necessità dei tempi eccessivamente rapide e urgenti ) ma continuo e sicuro ; e se nel congresso di Bologna dove pure l ' onorevole Turati pronunciava quel suo discorso che fu un ammirevole atto di coraggio prevalse l ' infatuazione bombaccesca , a quello di Livorno si effettuava la scissione tra socialisti e comunisti , e a quello successivo di Milano l ' ulteriore scissione tra massimalisti e unitari . Altrettanti fenomeni politici che dimostravano non soltanto il decrescere dell ' infezione bolscevica , ma la scomparsa d ' ogni serio pericolo . Rinsavite in gran parte le masse socialiste , salde nella loro costituzione di partito essenzialmente d ' ordine le masse del nuovo partito popolare , animate da quei principii religiosi che il Rignano - infatuato nel suo positivismo biosociologico e afflitto da insanabile odium antiteologicum ha il torto di svalutare anche sotto l ' aspetto , pure innegabile , di grande forza morale e di energia plasmatrice del benessere sociale , vera « armonia di tutta la vita » assai più solida di quella , frutto dell ' evoluzione biologica in cui si assomma tutta la fede del nostro positivista ; la situazione politica del nostro paese avrebbe potuto avviarsi ad uno stabile e pacifico assetto , ad un equilibrio armonioso delle varie tendenze e dei diversi elementi in lotta pacifica e civile , solo che il partito liberale non avesse tradito la propria funzione e rinnegato le proprie tradizioni . Ma come prima , gettate le armi e lo scudo , s ' era dato a fuggire , pronto alle più vergognose dedizioni , così , appena scomparso e non per merito suo il pericolo , il liberalismo italiano non seppe resistere all ' acre voluttà di prendersi larga vendetta della paura sofferta e si buttò sulle tracce del fascismo come quello che gli parve più idoneo strumento di una tale vendetta . Ingenuo calcolo di chi troppo facilmente dimenticava la saggezza di certe nostre vecchie favolette . Il fascismo lungi dal piegarsi a fare da « bravo » alla borghesia liberale , consapevole ormai della sua forza di fronte alla debolezza altrui , ne approfittava tosto per dichiarare la bancarotta del liberalismo , per impadronirsi del governo , e per identificarsi addirittura con lo Stato , se pure non addirittura con la Nazione , come pure pretenderebbero alcuni , e non pochi , dei suoi . Questo ci pare , grosso modo , un curriculum degli avvenimenti più rispondente alla realtà di quello accolto e fatto proprio dal Rignano nella sua esposizione . Ma forse l ' autore ha creduto con ciò di propiziarsi meglio l ' uditorio al quale voleva porgere consiglio che prevedeva alquanto ostico . Non si può negare infatti che nel capitolo ultimo del suo libro « l ' antidemocraticismo fascista » l ' autore parli abbastanza chiaramente e con una commossa eloquenza per un ritorno del fascismo ai calpestati principii della democrazia , in favore della libertà di stampa e di associazione , per un regime costituzionale e contro la dittatura , per l ' abolizione di milizie organizzate non a servizio di tutta la nazione , ma di un determinato partito , per una vera e reale normalizzazione insomma , della nostra vita politica . « Se è vero conclude l ' autore che due sono oggi le correnti che si dibattono in seno al fascismo , l ' una rappresentata dal capo del governo e dai migliori uomini del partito che comprendono la necessità di questo auspicato ritorno graduale a condizioni completamente normali , e l ' altra più intransigente che vorrebbe perseverare magari con ancor maggiore risolutezza sulla china autoritaria assolutistica , carità di patria deve spingere a fare i più fervidi voti che prevalga la prima corrente sulla seconda » . Abbiamo già espresso , a proposito di questi voti , quale deve e non può non essere il pensiero di quanti pongono la patria al di sopra della fazione . In spe contra spem . È una speranza che non deve mai lasciarci anche se la vicenda del tempo e dei fatti sembra svolgersi non troppo propizia ad una sollecita realizzazione dei nostri voti .
ALTA TENSIONE ( SERGI GINO , 1924 )
StampaPeriodica ,
Non c ' è verso di metterci un po ' tranquilli . Se si deve credere alle frequenti dichiarazioni anche ufficiali degli organi fascisti , se si deve attendere alle manifestazioni quasi quotidiane di taluni dei maggiorenti e dello stesso duce del partito e capo del Governo , se si deve giudicare dalla strana ipersensibilità che anche nella Camera i dominatori manifestano , benché vi sia strabocchevole maggioranza , bisognerebbe concludere che siamo alla vigilia di Dio sa quali nuove coazioni politiche , e che ci minaccino le solite famose seconde o terze ondate . Eppure noi non crediamo che avverrà nulla di nulla : fra una quindicina di giorni si chiuderà la Camera , e le cose riprenderanno a camminare col ritmo al quale siamo abituati da ormai quasi due anni : cioè a suon di fanfare e di tamburi , in mezzo agli alalà per ogni stormir di fronda che riveli la presenza del nume ; di tanto in tanto qualche sparatoria per rompere la monotonia , qualche fuocherello appiccato a qualche tipografia per tenere accesi gli spiriti , poi un periodo di polemiche sulla normalizzazione e il relativo quos ego che rimette l ' ordine e il silenzio nei ranghi ; ma niente di più . In fondo c ' è troppa gente arrivata ed a posto , e chi sta bene non si muove , e ha la naturale tendenza ad essere disturbato meno che possibile nel suo possesso , anche se debba fare le viste di essere sempre sul qui vive a difendere quel che nessuno gli contende . Malgrado questo nostro ottimismo realistico , non possiamo negare che , come fenomeno politico per sé stante , è veramente singolare la pretesa del fascismo di impedire ai non consenzienti di fare la opposizione verbale : diciamo verbale , perché è risaputo che ad una opposizione d ' altra natura nessuno pensa né potrebbe pensare anche se lo volesse . Ogni oratore che alla Camera prende la parola per dire con una certa libertà quel che ha veduto , e per esporre il suo giudizio sulla situazione , è un provocatore ; la maggioranza non ammette che nessuno consegni alla storia ( a quando la soppressione degli Atti parlamentari ? ) informazioni ed apprezzamenti diversi da quelli ufficiali : importa poco che tutta Italia sappia de visu come si son fatte le elezioni ; non si deve dire : è dogma di fede che le elezioni sono state le più libere e le più sincere che mai siano avvenute nel mondo : chi osa ritenere il contrario è un eretico , un bestemmiatore della patria ; poco importa che dica e provi le ragioni del suo diverso opinamento : deve essere ridotto al silenzio . Noi non esitiamo ad esprimere il pensiero nostro ; che cioè le opposizioni alla Camera perdano il ranno ed il sapone nel voler insistere a fare il bucato in presenza del paese , il quale non ha proprio bisogno delle concioni parlamentari per giudicare delle cose e degli uomini : il paese è rassegnato a lasciar passare la storia , capisce che per il momento ogni sforzo di voler rientrare nel binario della vera e leale costituzionalità sarebbe vano , e che il meglio che rimanga a fare è lasciare indisturbati i detentori del potere e godersi il medesimo , in attesa che i fati si compiano : se è scritto che l ' Italia debba avere un mezzo secolo di dittatura , pazienza ; gli uomini liberi che non intendono piegare la testa ( e son tanti ! ) si tirino in disparte , e troveranno nel loro riserbo la dignità capace di dare soddisfazione alle loro anime ben più che non in uno sterile armeggio di proteste . Ma il pensiero nostro che non pretendiamo di vedere accolto da parecchi non toglie il carattere di enormità che ha in sé la sopraffazione della maggioranza di un Parlamento , la quale pone come base a tollerare la minoranza , la condizione che questa accetti , o almeno riconosca , il fatto compiuto . Già è un assurdo logico e storico il concetto di una minoranza destinata a rimanere tale in perpetuo : il duce ha riconfermato anche nell ' aula parlamentare discutendosi la convalidazione dei deputati da lui eletti a comporre la maggioranza , che se anche , per un assurdo , i comizi elettorali gli avessero manifestato la loro sfiducia , egli avrebbe ugualmente conservato il Governo : e si capisce : questo è il fascismo : ma questo è anche la negazione del principio fondamentale di ogni regime rappresentativo che non sia una burletta ; perché se non il popolo direttamente , il Re almeno dovrebbe avere il diritto di cambiare i suoi ministri quando lo crede . Ma lasciamo da parte queste fisime ; e basti aggiungere che pur accettando l ' assurdo logico e storico di cui sopra , si dovrebbero almeno ritenere libere le minoranze di pensare e parlare diversamente dalla maggioranza ; e di rimanere , come gli ebrei , nell ' eterna aspettazione del loro messia che non verrà mai , perché secondo il fascismo , esso è già venuto . E sia : ma anche i secoli più bui del medioevo , se hanno tenuti appartati per disprezzo gli ebrei , non hanno mai avuta la pretesa che essi accettassero il Vangelo . La maggioranza parlamentare potrebbe fare molte cose per assicurarsi il godimento senza molestie dell ' aula di Montecitorio ; modificare il regolamento in modo che sia rimosso qualsiasi pericolo di avere imbarazzi dalle minoranze ; vietare la pubblicazione del resoconto dei discorsi degli oppositori ; sopprimere ai deputati reprobi la indennità ; espellarli magari puramente e semplicemente ; ma ciò che non può fare , e che è ridicolo s ' affanni a reclamare , è imporre alle minoranze di rimanere prestando ossequio al Governo e alla sua maggioranza , rinunciando all ' esercizio della critica se non sia loro materialmente vietato , dando insomma il consenso a ciò da cui appunto perché minoranze dissentono . Qualcuno ci troverà paradossali , e che siamo fuori di carreggiata riducendo le cose a termini così semplicisti ; e dirà che si dovrebbe invece metterci tutti a persuadere il fascismo non essere nel suo tornaconto il perdurare in una incivile intolleranza che si traduce in vera e propria prepotenza , e che il suo bene inteso interesse ( lasciamo pure nella penna quello del paese ) sarebbe disarmare le opposizioni con un contegno ben diverso , dando cioè prova di larghezza d ' idee , di costumi cortesi e mostrando leale desiderio di riunire intorno a sé , senza stupide intransigenze , gli Italiani migliori . Fosse possibile ! Ma ormai troppe esperienze hanno dimostrato che questi sono sogni ; che il fascismo è quel che è , e che cesserebbe di essere se non fosse quel che è . Di fronte ad esso quindi noi non vediamo che un problema spirituale ; il problema della difesa del proprio io pensante per chi non trovi nella sua coscienza la forza di superare le ripugnanze ideali e morali a seguire il carro del trionfatore ; a metterglisi in coda , a bruciare sul tripode il granello di incenso propiziatore della grazia dei Numi . Ed è un problema abbastanza facile da risolversi : starsene fuori dalla rissa , e occuparsi d ' altro .
COMBATTENTI E COMBATTENTISMO ( MEDA LUIGI , 1925 )
StampaPeriodica ,
Si è discusso , specie in questi ultimi tempi , se i reduci di guerra come tali , debbano partecipare direttamene alla vita politica del paese . Logicamente si sarebbe infatti condotti a ritenere che la funzione politica degli individui emani dalla loro fisionomia di cittadini soggetti di uno stato e capaci di diritti e obbligati all ' osservanza di doveri comuni . Nessun particolare privilegio quindi si dovrebbe ritenere spettare al cittadino di uno stato dove vige la coscrizione obbligatoria , quando egli tale suo dovere compia anche in periodo di guerra . Ché infatti , un ragionamento diverso condurrebbe , sempre in via teorica , ad attribuire ad alcune norme regolatrici delle funzioni statali una caratteristica particolare che sarebbe in aperto contrasto alle ragioni di necessità e di opportunità che han dato origine alla fisionomia ed alla struttura sociale degli stati moderni . Né varrebbe nemmeno in tal senso , come tesi di critica , l ' asserzione che norme comuni possono in determinati momenti , in specifiche occasioni , rivestire un carattere di eccezionale gravità sì da assurgere a fatti di superiore importanza da quella stabilita dall ' ordinario corso degli avvenimenti . Al fenomeno del combattentismo divenuto movimento politico si dovrebbe quindi aprioristicamente negare la possibilità di esistenza . Tesi questa sostenuta negli anni scorsi dai socialisti ed ora dai fascisti , i quali d ' altronde però sembrano essersi troppo facilmente dimenticati di aver inizialmente fondato il loro programma politico appunto su un diritto dei reduci di guerra ad avere il primato nel governo dello Stato . I fascisti anzi erano nel 1922 giunti ad una forma esagerata di quella che proclamavano essere la loro concezione politica , coll ' affermare dovere la direzione dei pubblici interessi divenire esclusivamente monopolio dei cittadini che avevano combattuto . Programma questo che si volle avanzare come plausibile giustificazione alla Marcia su Roma ed alla conseguente instaurazione del fascismo al potere . Ma si accorse il fascismo , e perché le masse dei combattenti aderivano in proporzione assai ridotta al nuovo movimento politico e perché il partito era dominato da interessi e da uomini assolutamente in contrasto alle possibili realtà di una completa ed esclusiva rivalutazione economica e sociale degli ex combattenti , di non poter assolutamente svolgere il promesso piano di azione politica ; e così quel che doveva essere il governo dei reduci di guerra , finì col confondersi colle comuni , ma pur tanto tradizionalmente necessarie e proficue formazioni ministeriali . Non è nostra intenzione ora esaminare come poi il fascismo abbia condotta la sua opera di governo ; noi ci curiamo invece di dimostrare : primo , in linea generale , che la teorica della non ammissibilità di una specifica attività politica dei combattenti risulta in pratica norma inopportuna ; secondo , nei riguardi particolari dell ' attuale situazione , come i reduci di guerra possano e debbano interessarsi di quanto avviene in Italia e non omettere di usare della propria influenza per ripristinare nella loro interezza , i valori morali connessi agli insopprimibili principii di rispetto della giustizia e della libertà . Quando all ' inizio di questo nostro scritto affermavamo l ' intolleranza di una diretta ingerenza dei combattenti negli affari dello Stato , noi basavamo il nostro giudizio sull ' esistenza di una osservanza generale da parte di tutti i cittadini , dei doveri imposti dalle leggi . Nel caso della coscrizione origine questa del servizio militare , della possibilità di ulteriori richiami alle armi e dell ' uso bellico dei cittadini la formazione di una teoria in proposito , parte necessariamente dal presupposto che tutti gli obbligati adempiano integralmente alle mansioni che possono venir loro affidate , e sopportino lealmente il sacrificio che lo Stato a loro richiede . Se così avvenisse ogni cittadino si troverebbe in perfette condizioni di eguaglianza e di capacità di diritti nei confronti del cittadino cui la patria può avere imposto oneri più gravi in considerazione della sua efficienza fisica o della sua età . Ma viceversa è avvenuto ed avviene che la percentuale di coloro che si adattano spontaneamente alla sorte nazionale non è così alta come a tuttaprima si potrebbe credere . Non occorre che noi ricordiamo il fenomeno dell ' imboscamento per dimostrare che la recente guerra non è stata sopportata egualmente da tutti i cittadini nella misura che le leggi dello Stato esigevano . Il combattente , è doloroso rilevarlo , si poteva dividere in due grandi categorie : prima quella dei paria , dei soldati , cioè provenienti dalle classi più misere del popolo , specie dai contadini ( gli operai , era d ' altronde una necessità , dovevano rimanere per la maggior parte al loro posto nelle officine ) ; seconda quella formata dalla piccola e dalla media borghesia , dagli impiegati , dai professionisti sbalzati spesse volte , questi ultimi , da un ufficio al comando di reparti in posizioni dove si giocavano le sorti della guerra . Di contro a questi veri combattenti vivacchiavano poi le schiere di coloro ch ' erano riusciti con mezzi più o meno leciti , a trovarsi una nicchia sicura per evitare le noie e nel contempo avere la soddisfazione che provenivano dall ' indossare « l ' onorata divisa » grigio - verde . Non che noi vogliamo affermare che tutti i soldati si sarebbero dovuti trovare in prima linea . Le esigenze di un esercito moderno sono tali anzi da richiedere maggior impiego di uomini nelle retrovie che non nei reparti a diretto contatto col nemico ; solo che questa assegnazione di incarichi non avveniva sempre in base ad equi elementi di distribuzione ; onde spesse volte il giovane rimaneva al sicuro mentre l ’ anziano riempiva il posto rimasto vuoto in trincea . Il combattente pertanto veniva così sovente ad assumere l ' aspetto di un cireneo , ed in ogni caso poi poteva confrontare la sua posizione con quella di coloro che per occulte ragioni non gli erano compagni nel sacrificio . Confronto questo che ha condotto più di una volta il fante a delle considerazioni certo poco lusinghiere sulle varie gradazioni del sentimento del dovere patriottico . Cause e motivi quindi per i quali a guerra terminata , il combattente poté con diritto ritenere di aver soddisfatto a qualcosa di più del suo dovere non in considerazione di quello ch ' egli aveva fatto , ma nella osservazione di ciò che gli altri non avevano compiuto . È evidente pertanto che per tal somma di ragioni , il reduce dalla guerra possa aver nutrita la speranza di levare la sua voce non come un qualsiasi cittadino ma come un individuo cui competevano particolari , se pur assai modesti , privilegi . Ma questa aspirazione del combattente ritornato alla vita borghese non ebbe modo di esplicarsi negli anni dell ' immediato dopo guerra , occupato e preoccupato come fu il reduce di ricostruire le posizioni economiche distrutte nel tempo di guerra , di riassettare precarie situazioni familiari , di riprendere la pratica nelle professioni . A ciò si aggiunga la confusione creata dalla propaganda dei partiti sovversivi che erroneamente reputavano di poter sfruttare il malcontento , prodotto di un disagio economico , a vantaggio di utopistiche concezioni politiche alle quali non avrebbe mai potuto adattarsi , d ' altronde , la mentalità delle popolazioni latine . Solo all ' inizio del 1922 , quattro anni cioè dopo la fine della guerra ma solo due dalla completa smobilitazione , il periodo burrascoso si poteva dire avviato verso una reale ma pur sempre relativa calma . Non dobbiamo ora noi rifare la storia degli avvenimenti dal 1922 ad oggi . Sta di fatto però che ora risorge in pieno il problema del combattentismo . E non risorge così a caso ma determinato da ragioni profonde che richiamano la considerazione di chiunque voglia onestamente esaminare l ' odierna situazione politica . Parrà strano , è una osservazione che si prospetta a chi sia uso considerare le cose ed i fatti superficialmente , che proprio oggi risorga la questione della ingerenza politica dei combattenti quando agli affari dello Stato è preposto un governo che si proclama emanazione diretta dei reduci di guerra . Ma abbiamo già rilevata l ' infondatezza di una simile asserzione . Ora aggiungeremo poi che l ’ essere al governo degli individui che furono combattenti , non conduce all ' assioma che la politica svolta sia « combattentistica » . Oggi ad esempio si verifica perfettamente il contrario , dimostrandosi così come gli attuali reggitori della cosa pubblica ispirino le loro azioni al programma politico del loro partito , non praticando le considerazioni che possono scaturire dalla particolare mentalità che si è formata in coloro che hanno conosciuta la guerra e ne hanno sofferte tutte le conseguenze . Il fenomeno del « combattentismo » con espresse finalità politiche si può dire appunto che si concretizza in antitesi alla corrente politica oggi dominante nelle supreme gerarchie dello Stato , ed è precisamente una conseguenza di uno stato di fatto per cui i combattenti furono condotti a dover precisare la loro particolare posizione , le loro aspirazioni di fronte al paese . A null ' altro mirò infatti lo storico congresso di Assisi col famoso ordine del giorno Viola che poi all ' on . Mussolini non piacque . I combattenti , verso i quali si erano andate polarizzando la simpatia e la speranza della parte sana del popolo italiano , vollero con quella riunione nella terra di S . Francesco ricordare alla nazione che la guerra non poteva essere monopolio di alcun partito perché sacrificio di tutti gli italiani , ed ammonire così il capo dello Stato ed il capo del Governo che i combattenti come tali , forti del loro passato di devozione patriottica , non potevano più oltre rimanere indifferenti al perdurare di una situazione , che minacciava quell ' unità civica , quell ' eguaglianza civile , universalmente riconsacrate dalla guerra . A tale atteggiamento assunto dai reduci di guerra vien mossa , lo sappiamo , una obiezione : « o perché mai i combattenti si schierarono nel 1924 contro i fascisti mentre non si preoccuparono di levare la loro voce negli anni pur critici dell ' immediato dopo guerra ? » . Osservazione che potrebbe avere anche un fondamento se non esistesse il fatto che negli anni precedenti il 1922 il reduce di guerra , sotto tale sua specifica fisionomia , non apparve mai nella vita politica nazionale . I cittadini , ch ' erano stati soldati nelle trincee , dimenticarono , e questo sotto un certo aspetto fu un errore , la solidarietà contratta nel comune sacrificio , e ognuno seguì quella particolare tendenza politica che dimostrava di poter maggiormente dare assicurazioni di proteggere le impellenti rivendicazioni di carattere economico . Da null ' altra causa trasse origine la poderosa ripresa del socialismo aiutata indirettamente dal contegno delle classi più abbienti che non compresero o capirono troppo tardi la profonda evoluzione morale che la guerra aveva prodotto nel popolo . Oggi giorno il combattentismo risorge come movimento particolare ed autonomo per la ragione che i reduci di guerra non si sentono di farsi mallevadori delle azioni di un governo o di un partito che si sono proclamati , non avendone alcuna reale caratteristica , governo e partito dei combattenti . Ciò è necessario per delimitare le singole responsabilità nell ' interno del paese ; ciò è indispensabile per specificare di fronte all ' estero il vero e predominante pensiero dei combattenti . Dal che appare come l ' azione politica « combattentistica » sia frutto particolare di una specifica situazione , risoluta la quale il combattentismo , come oggi è inteso , non avrà più ragioni d ' essere . Ché noi riteniamo grave errore il perpetuarsi in condizioni normali di una politica combattentistica che diverrebbe azione di pochi valorizzata da una denominazione generica di base vastissima . Rimarranno sempre però i combattenti anche nell ' avvenire , una poderosa forza di riserva morale su cui il paese potrà contare nei momenti difficili , così come oggi avviene . Ed i cittadini che furono soldati e come tali seppero difendere attraverso i più duri sacrifici la libertà della patria dal pericolo dell ' affermarsi della prepotenza straniera , non si dorranno di ripetere la loro opera quando la libertà fosse minacciata entro quei confini che il sangue dei soldati ha segnato all ' Italia . Mirabile connubio della disciplina militare e dello spirito di civica dignità nel supremo sentimento del dovere nazionale .
StampaPeriodica ,
Sono almeno quindici anni che il movimento socialista in Italia è stato colpito da paralisi intellettuale . Gravissimo fenomeno di decadenza universalmente rilevato e di cui oggi stiamo scontando almeno indirettamente gli effetti . Mentre il corpo del partito si dilatava , il numero dei soci si moltiplicava , i seggi nei comuni e in Parlamento aumentavano , il livello culturale e il fervore di vita intellettuale venivano meno con un ritmo impressionante . Causa immediata , ma superficiale , fu l ' allontanarsi dal movimento socialista del favore delle nuove generazioni . Molti hanno cercato di spiegare il fenomeno , ma in verità nessuna delle ragioni addotte sembra soddisfacente . Sono profondamente convinto che una delle cause principali della crisi è da ricercarsi nella diffusione ( e particolarmente nel modo e nella direzione della diffusione ) della dottrina marxista in Italia . Volendo chiarire ulteriormente , direi che l ' errore più grave consistette nell ' assumere la dottrina marxista a pensiero ufficiale dei gruppi e partiti socialisti . Mi si chiederà : ma di quale marxismo intendete parlare ? Perché , oltre la marca originale , v ' è una marca kautskiana , bernsteiniana , soreliana , mondolfiana , per non citare che le più note . Ora , proprio in questa molteplicità di interpretazioni e riduzioni , che sarebbero segno di enorme vitalità e libertà di pensiero se si limitassero a distinguere diverse correnti in seno ad uno stesso movimento che tutte le comprenda e le superi , sta un altro fattore della crisi . Perché quella dottrina che veniva assunta a pensiero ufficiale del partito , a forza di venir corretta , annacquata , adulterata , o , più semplicemente , interpretata , finì per trasformarsi in qualche cosa di così vago ed incerto da poter ad un tempo servire ad ogni frazione , dalla più barricadiera alla più riformista ; per ogni problema , da quello più trascendentale a quello più concreto e materiale . A distanza di anni e di mesi gli stessi testi venivano usati , dalle diverse frazioni succedentisi al potere , in senso radicalmente diverso . Si ebbero così tutti i mali di una rigida codificazione autoritaria affidata in concreto alle edizioni delle opere del Marx , e tutti i mali della libera interpretazione , di fatto troppo spesso affidata al primo scriba che volesse ammannirti la centesima definitiva edizione del pensiero marxista . Nessuno , eccettuato forse il Bernstein , che in questa questione vide più acutamente d ' ogni altro , si propose di veder con chiarezza che cosa rimaneva , alla chiusa dei conti , dopo tutto il revisionismo di destra e di sinistra ( Pareto , Croce , Labriola , Bernstein , Turati , Merlino , Mondolfo , Leone , Sorel ... ) del corpo originario . Si trattava , e ancor oggi si tratta , di eseguire un vero e proprio bilancio teorico della dottrina marxista che , partendo da basi essenzialmente scientifiche e realistiche , collo scartare cioè tutto ciò che è in contraddizione coi fatti , o in contraddizione col generico indirizzo del partito e del movimento socialista , ci dicesse ciò che è vivo e ciò che è morto del marxismo . Tra l ' altro si verificò anche questo : che il partito , mentre rimaneva tenacemente attaccato alle vecchie tavole , si andava profondamente modificando , specie in ordine ai metodi della lotta . E , al pari del pigro imbianchino che applica il nuovo colore sul vecchio , cosicché avviene che questo , a distanza di tempo , intorbidi quello , così molti socialisti italiani , anziché riconoscere coraggiosamente che , dopo le numerosissime critiche anche da loro personalmente ed acutamente avanzate , meglio valeva far punto e da capo , rinunziando al biglietto d ' ingresso nel tempio marxista , si accontentarono di riverniciare a nuovo le pareti , di mutarne le porte e l ' impiantito . Infatti , dopo aver preso atto delle svariate e profondissime critiche che scalzavano sin dalle basi alcuni degli antichi principi , ci si continuò bellamente a professare marxisti , conchiudendo con un atto di fede ( segno troppo spesso di volgare pigrizia intellettuale ) ciò che doveva essere un atteggiamento fondato sulla pura ragione . Intanto la tara a peso lordo dell ' originaria dottrina , tara sempre sottintesa e mai dichiarata apertamente , venne facendosi sempre più imponente e radicale ; la scatola rimaneva e il contenuto scompariva lentamente . Lo spazio per un articolo è così breve , che io non mi propongo davvero di tentare un cotesto bilancio ; mi limiterò a darne sinteticamente i risultati , quei risultati meno contrastati e per nulla originali , che ognuno avrà agio di controllare personalmente , anche senza uscire dalla collezione della « Critica sociale » . Alla definitiva condanna della teoria del valore doveva seguire quella delle « crisi » , della « miseria crescente » , dell ' « accentramento capitalistico » , della « scomparsa delle classi medie » , della « dittatura del proletariato » , del troppo radicale « internazionalismo » , della « funzione della violenza » . In una parola : si respingeva tutto ciò che costituiva la parte positiva del socialismo marxista , un po ' frutto delle tendenze dell ' epoca , un po ' infelicissimo frutto della dialettica hegeliana , e una notevole parte del lato negativo in ordine alla critica della economia capitalistica . Si veniva così chiaramente delineando una distinzione tra l ' opera del Marx scienziato e l ' opera del Marx uomo di parte , di fede e di passione . Che cosa dunque rimaneva ? Io direi che rimanevano pressoché intatti i due caposaldi del pensiero marxista , i due piloni centrali : materialismo storico e lotta di classe . Questo è il monumento imperituro eretto alla memoria di Carlo Marx , anche se sono da rigettarsi la troppo larga estensione da lui data alla teoria ed alcune tendenze troppo piattamente materialistiche , per lo meno nelle espressioni usate . Ma nel frattempo , dal '73 al '923 , è intervenuto un fatto nuovo e rivoluzionatore . Tanto la teoria economica della storia , quanto la teoria della lotta di classe ( la quale in realtà non costituisce che un addentellato importantissimo della prima ) facevano , più o meno integralmente , più o meno chiaramente , il loro ingresso nel campo scientifico , indipendentemente da partiti e da chiese ; venivano sempre più considerati quali valori obbiettivi acquisiti alla coscienza moderna . Si può essere marxisti senza essere socialisti Liberali e nazionalisti , in parte gli stessi cattolici , già riconoscono il fatto lotta di classe e la verità del materialismo storico , sia pure con la limitazione crociana di canone di interpretazione ; filosofi idealisti , come il Croce , che così grande influsso ebbe ad esercitare sulla cultura italiana , furono tra i primi a riconoscere il grande valore del marxismo ; la nuova scuola storica , la cosiddetta scuola economico - giuridica , che annovera tra i suoi maggiori il Volpe ed il Salvemini , accetta questi due elementi del pensiero marxista come principi fondamentali di metodo storico . Basta d ' altronde aprire un giornale , sfogliare una rivista , intrattenersi con uno studioso di scienze sociali , intervistare il man in the street , per convincersi che molto sangue di Marx si è silenziosamente trasfuso nel cuore degli stessi più acerrimi nemici delle dottrine di lui . Quale trionfo più grandioso poteva attendersi da un ' opera affidata alle speranze di una classe insorgente , in scritti frammentari e troppo spesso contraddittori ? Ma con ciò non è detto che oggi l ' essere marxisti voglia dire essere socialisti . Il fatto che scrittori conservatori come il Pareto , dotato di profondo spirito critico , abbiano potuto accettare questa parte della dottrina marxista , conferma a chiare note che si può essere marxisti senza essere socialisti . Questo mi sembra un punto fondamentale sul quale è necessario insistere sino alla noia . Quello che di veramente positivo in senso socialista conteneva il pensiero marxista è unanimemente rigettato , o perché in troppo stridente contraddizione con la realtà , o perché in urto con le nuove tendenze liberali democratiche ; ma nessuno pensò di compiere questa elementare operazione di sottrazione e di interpretazione del risultato . Il marxismo ci appare oggi più come un principio metodico per l ' interpretazione della storia , che una vera e propria filosofia dell ' azione operaia . Principio metodico sempre più universalmente accettato quale verità obbiettiva . Ora è il caso di domandarsi : v ' è qualcuno che , parlando di geometria o di fisica , si professi seguace di Euclide o di Archimede , anche se diverse possono essere le opinioni sulla importanza relativa e sull ' originalità del loro contributo alla scienza ? Quelli stessi che sostengono la grandiosità del contributo non sentono davvero la necessità di assumere una tale etichetta . Perché la etichetta mi si passi la metafora serve generalmente a denotare una posizione di battaglia in difesa di principi cui siano contrapposti principi diversi , senza che sia possibile stabilire per il momento da qual lato stiano verità e ragione . Così oggi abbiamo i seguaci e gli oppositori di Einstein , ma non quelli di Galileo ; e il giorno in cui le affermazioni einsteiniane risultassero pienamente accertate , la scuola tramonterà e non vorrà richiamarsi al suo nome , che più non sarà simbolo di lotta e di divisione . Essere marxisti , oggi , non esprime dunque gran che , salvo che non si tratti di designare con quel nome quei socialisti , abbastanza numerosi tuttora , che di Marx assumono dogmaticamente verità ed errori , o che ne deformano l ' interpretazione riducendo tutta la sua filosofia della storia ad un volgare determinismo . V ' è infine un lato della questione , riguardante da presso i socialisti gradualisti , che rafforza grandemente questa tesi . I socialisti gradualisti e democratici sono in profondo contrasto con tutto lo spirito informatore dell ' opera marxistica . Per quanti tentativi di conciliazione si possano fare , la dimostrazione del contrario non è stata mai data né mai potrà darsi . Ma , se anche si riuscisse , attraverso inutili sforzi dialettici , a provare che il Marx fu in sostanza un socialista democratico e liberale e che il marxismo , nella sua parte positiva e socialistica , in nulla vi contrasta , allora davvero potremmo a buon diritto dire : poi che nel marxismo tutto è compreso , rivoluzionarismo e riformismo , materialismo e idealismo , dittatura e democrazia , liberalismo e tirannia , inutile riferirsi al marxismo ! Meglio , mille volte meglio , un sano empirismo all ' inglese piuttosto che questo cieco e tortuoso dogmatismo . Da tutto ciò balza evidente ed imperiosa la conclusione , che intanto non ha senso l ' affermazione essere il partito socialista un partito marxista , poi che il marxismo , per concorde riconoscimento , nel suo valore reale ed attuale non solo è diventato , o è sulla via di diventare , patrimonio universale , ma non indica neppure alcuna tendenza precisa in ordine al fine ed al metodo . E , se questo è vero , concesso che ad un partito non spetta mai l ' opera dello storico ma piuttosto quella di fare la storia , preparandone ed elaborandone la materia prima , risulta chiaro che i principî marxistici , fondamento essenziale per l ' interpretazione delle umane vicende , hanno da passare e passano automaticamente in seconda linea quando si tratti di agire in concreto e di assumere decisioni positive in ordine a problemi , che son diversi da paese a paese , e rapidamente mutevoli nel tempo . Esistono d ' altronde alcune cause , in parte costanti e in parte contingenti , che consigliano l ' abbandono di questa tendenza dogmatica del partito , di questa spesso inconscia ma continua subordinazione dell ' azione concreta d ' un movimento di masse ad una rigida teoria . Un partito ha bisogno di un grado estremo di elasticità , di una grande libertà di atteggiamenti , anche se è necessario che mantenga una chiara e coerente linea di condotta nel tempo . Un partito legato ad un corpo rigido di dottrine finisce per appesantirsi , per muoversi con una lentezza esasperante , sì che , attaccato da una tribù di veloci predatori , risponde a destra quando già l ' attacco si è spostato a sinistra . Questa immagine si presentò chiara alla mente dell ' osservatore , soprattutto nel dopo guerra , in ordine a due serie di avvenimenti : rivoluzione russa e lotta tra fascisti e socialisti . Si è dimostrato , con una meravigliosa abbondanza di citazioni , che la rivoluzione russa è in flagrante contraddizione con le previsioni del marxismo , e si è preteso dedurne che era vano attendere che in Russia si consolidasse il regime comunistico . Effettivamente la rivoluzione russa si è ribellata alle formule marxistiche , in quanto è scoppiata in un paese di civiltà arretrata e in un periodo in cui non c ' era certo sovrapproduzione . Ma se pure eran chiare ( e più son chiare oggi ) le ragioni per cui il comunismo integrale dei primi anni doveva fatalmente tramontare , è tuttavia certo che restano sempre da compiersi , nel solco di quella rivoluzione , sforzi utilissimi in senso socialista . Perché in certi momenti occorre accettare le condizioni ambientali nelle quali , per eventi difficilmente prevedibili e regolabili , ci si è venuti a trovare . L ' importante , dal punto di vista riformista , non sta nel differenziarsi in ordine alla interpretazione del fenomeno , prendendo atto via via nel caso citato della liquidazione fallimentare della rivoluzione e producendo le prove del sorgere del nuovo spirito capitalistico nella Repubblica dei Soviet , per concludere infine con un inno al marxismo ; ma nel differenziarsi chiaramente in ordine ad un fatto fondamentale : la dittatura che imperversa in Russia , l ' assenza di un regime democratico e liberale , senza peraltro mai dimenticare quelle che possono essere state le dolorose necessità storiche di un moto rivoluzionario in un paese come la Russia . Nel giudizio e nell ' atteggiamento riformista rispetto alla rivoluzione russa , la troppo stretta aderenza alle formule marxiste ha fatto sì che si condannasse aprioristicamente , quasi prima che nascesse , un fenomeno che conteneva e contiene tuttora in sé maravigliosi germi di vita e di rinnovamento . Dichiaro francamente che sarei felicissimo che le formule marxistiche risultassero erronee , purché la rivoluzione russa conducesse alla stabilizzazione di un regime gradualmente socialista . Riconosco che le probabilità attuali sono limitatissime ; ma il compito d ' un socialista sta non nel sabotare quel piccolo fattore di probabilità , ma al contrario , nel rafforzarlo . Il secondo avvenimento che dimostrò l ' impotenza socialista anche dal lato intellettuale fu la lotta tra fascisti e socialisti . Non si creda , per carità , che voglia arrecare a conforto della mia tesi il camaleontismo di Mussolini e dei suoi seguaci . Ma , tutto sommato , sembra che , tra quel camaleontismo e la rigidezza , la cecità , l ' abulica mummificazione serratiana , v ' era e v ' è tuttora la possibilità di un atteggiamento intermedio . Mentre gli uni pestavano , gli altri ( non tutti , s ' intende , per fortuna ) strillavano che non v ' era nulla da fare , che eravamo di fronte ad un fenomeno internazionale , ad una crisi fisiologica propria del mondo capitalistico , quasi che la disfatta risultasse in tal modo più onorevole e meno dolorosa , e come se in qualche Stato cotesta reazione non avesse dovuto avere il suo inizio isolato . Nell ' atteggiamento di molti socialisti , tra il 1919 e il 1922 , era troppo chiara l ' influenza di quel fatalismo cosiddetto marxista , che deriva da una erronea , per quanto spiegabilissima , interpretazione degli scritti più conosciuti di Marx . Sarebbe facile continuare coll ' esemplificazione ; ma è tempo di stringere le fila del discorso . Erronea funzione del marxismo in seno al movimento socialista L ' errore fu di assumere il marxismo a termine comune di partenza , di paragone , di arrivo . Si finì per muoversi in un campo intellettualmente chiuso . Tutto era orientato in un unico senso ; tutte le discussioni teoriche concludevano fatalmente con una interpretazione dell ' opera marxista . Ogni controversia , ogni questione , per quanto estranea all ' originario corpo dottrinale , ogni fatto , financo , che si ribellasse alle linee prevedute e volute dell ' evoluzione , veniva riportato , a forza di dialettica , nell ' angusto quadrato della teoria , o condannato e trascurato senz ' altro . Insensibilmente si andò creando una scuola e , più che una scuola , una setta , con una sua logica , disciplina , dialettica , munita del divino specifico buono per tutti i casi e che stava di casa nei cinque o sei volumi , editi dal1' « Avanti ! » , delle opere di Marx e di Engels . Una setta che ad ogni costo voleva ospitare nell ' antico edificio le nuove tendenze assolutamente inconciliabili con le antiche , che contorceva la realtà pur di collocarla nel gran quadro teorico . Una nuova Chiesa , insomma , colla sua pattuglia di filosofi scolastici , solo preoccupati di salvare la forma e il metodo a dispetto della sostanza . Nei congressi , anche nei periodi più dolorosi , anche sotto la sferza dei colpi e delle vittorie fasciste , non ci si batteva , no , sulle questioni concrete e veramente essenziali , a colpi di dati , di cifre , di fatti , ma a forza di citazioni , di interpretazioni , di sforzi esegetici . Si rileggano i discorsi tenuti nei congressi di Bologna , di Livorno , di Milano , e in tutti gli altri congressi prebellici . Libero scambio , suffragio universale , educazione popolare , sindacati , cooperative , politica estera in genere , problemi vitali che occorreva esaminare e risolvere con spirito realistico , strettamente adeguando l ' azione del partito a quelli che sono i concreti bisogni di una particolare collettività in un determinato momento storico , finirono per essere regolarmente trascurati , o semplicisticamente esaminati e risolti alla luce esclusiva dei principi marxistici . Si dimenticarono così il Mezzogiorno e troppi centri rurali ; la politica socialista fu talvolta la politica dei gruppi operai del Settentrione ; e ciò manifestamente anche per l ' influsso di ragioni teoriche . Era chiaro che , una volta che il socialismo poteva svilupparsi solo nei centri di avanzata civiltà capitalistica , e che tale civiltà capitalistica era una tappa necessaria nella evoluzione dei popoli , l ' unica politica era quella delle braccia incrociate . E intanto gli altri partiti , e il popolare in ispecie , mietevano . E il problema morale ? Non venne forse egualmente trascurato , direi anzi colposamente ignorato ? E quei pochi , in genere riformisti , che attivamente si adoprarono in tal senso , sanno quanto dovettero faticare per trionfare quando trionfarono della generale apatia . Col sorgere di questa nuova Chiesa , coi suoi miti , colle sue formule , coi suoi martiri , col suo profeta , anche gli individui più autonomi , dotati d ' ingegno originale e costruttivo e che in una atmosfera di libertà reale avrebbero potuto darci opere rivoluzionatrici , furono attratti nell ' atmosfera viziosa del dogma e della sua interpretazione , sì che , a forza di aggirarsi nella morta gora e di battagliare intorno alla prefazione del Per la critica dell ' economia politica e al Manifesto dei Comunisti , vennero progressivamente perdendo la loro originaria capacità . Molti si allontanarono dal movimento , altri si trassero in disparte . I giovani ebbero l ' impressione che l ' ingresso nel partito significasse indossare una terribile cappa di piombo annichilente ogni personalità , una preventiva rinunzia a qualunque libertà spirituale , il divieto di orientarsi verso direzioni nuove . L ' imposizione , in una parola , di un ritmo obbligato di pensiero e di azione . Ed oggi , nel nuovo partito , le cose sono veramente mutate ? Il marxismo occupa ufficialmente la posizione antica ? Dalla tessera , dove è riprodotto il programma del 1892 , quando ancora il revisionismo era di là da venire , e Bebel e Kautsky erano i capi spirituali del movimento socialista mondiale , e dal fatto che gli uomini che dirigono attualmente il movimento appartennero tutti al vecchio partito , dovremmo giudicare che nulla vi è di mutato , che nulla si vuol mutare ? Spero di no , credo di no ! Certo però che un legittimo dubbio rimane sino a che non ci si pronunzierà chiaramente intorno a queste questioni . Il fatto che i riformisti abbiano dovuto combattere tante e così aspre battaglie contro i loro colleghi massimal - comunisti per ottenere il diritto alla critica , il fatto che abbiano tanto insistito per porre in rilievo il nome del nuovo partito ( Unitario ) , affermando sin dall ' inizio di voler rispettare ed accogliere le frazioni dissidenti purché concordi genericamente , sono tutti sintomi confortanti . La stessa « Critica » da qualche mese a questa parte ha aperto largamente le sue colonne agli eretici . Ancora uno sforzo , un deciso mutamento di rotta in senso schiettamente liberale , e si potrà confidare nelle possibilità di un domani non lontano . In un articolo recente il Weiss si è dichiarato recisamente contrario alla vecchia politica dei blocchi per la libertà . Non ho capito bene se la critica voleva essere solo di metodo ( blocco ) o anche di fine ( lotta per la libertà ) . L ' articolista si augurava che un nuovo periodo revisionistico , serio e coraggioso , volto soprattutto alla formulazione di un programma minimo , si inaugurasse nel partito unitario . Ora io ritengo che le possibilità revisionistiche siano in relazione strettissima coll ' atmosfera di libertà intellettuale in seno al partito . Si tratta pur sempre di un problema di libertà , del trionfo cioè del metodo liberale , sia all ' interno che all ' esterno del partito . Quando all ' atteggiamento dogmatico succede l ' atteggiamento critico , il rinnovamento è già in atto . Sarebbe invece inutile voler accingersi alla compilazione di minuziosi ed elaborati programmi concreti , certamente indispensabili , come propone il Weiss , quando fa difetto quel largo spinto liberale cui sopra accennavo . Non occorre dunque trasformarsi tutti in accaniti volontaristi , o in empirici all ' inglese , o proporsi di creare una nuova filosofia ufficiale dell ' azione operaia . Che ognuno sia veramente libero , una volta che abbia genericamente accettati i metodi e gli scopi del partito , di pensare a suo modo . E , perché ciò avvenga ( ecco il punto ! ) e perché non si tratti di una frase retorica , occorre che il partito smetta le vecchie vesti , rifiuti la vecchia etichetta , sia non socialista marxista , ma semplicemente socialista . Si parla tanto della necessità di rinvigorirne le file coll ' immissione di nuovo sangue giovanile , e sono certo che ai discorsi corrisponde un desiderio preciso . Né mancano per fortuna , in vari centri , gruppi di giovani desiderosi di far confluire in un movimento di masse le loro aspirazioni ideali e la loro volontà di azione . Molti di essi fecero capo un giorno ai gruppi cosiddetti « salveminiani » ; oggi vivono in uno sdegnoso e fiero isolamento , tenacissimi avversari dei vincitori . Bisogna conquistarsi la simpatia di cotesti gruppi . Per quanto in numero limitato , essi costituiscono una grande forza in un paese così povero di élites come il nostro . Sono frequentemente sulla grande linea del pensiero democratico - socialista , ma ognuno ha il suo particolare carattere e , se volete , la sua particolare eresia . Non basta dir loro : entrate liberamente . Occorre , in un certo senso , andar loro incontro , dimostrando che l ' ambiente , l ' atmosfera , è radicalmente e definitivamente mutata . Non basta correggere la intestazione degli articoli di fondo , o il testo degli ordini del giorno nei comizi e in Parlamento , ma bisogna dimostrare che il cambiamento è avvenuto negli spiriti , nelle coscienze , che una diversa , più critica visione della vita e della lotta politica è subentrata . Basta coi dogmi , con le frasi fatte , con le vecchie formule . Mentre i marosi incalzano da ogni parte e il navicello traballa , una ferma volontà di sottoporsi ancora una volta al vaglio crivellatore della critica , di rivedere tanti postulati che sembrano intangibili , di fare un processo al passato onde evitare i medesimi errori per l ' avvenire , sarebbe prova di profondo rinnovamento .
StampaPeriodica ,
Il 7 novembre 1917 il piccolo nucleo dei rivoluzionari bolscevichi 2.000 in tutta la Russia riusciva con audacissima azione a impadronirsi del potere nel più grande Stato unitario della terra . Gli spalancò la via non tanto la forza delle armi , quanto il crollo del vecchio apparato statale zarista avvenuto nel marzo e l ' ansia di pace e di terra dei contadini soldati . È probabile che i bolscevichi fossero all ' epoca più gli interpreti che i creatori di una situazione . Ma essi seppero antivedere la direzione dell ' onda sociale formidabile che tutti poteva travolgere sul suo cammino , loro eccettuati ; loro che appunto in ragione di quella audacia riuscirono a riordinare le acque sconvolte , anzi a così solidamente arginarle da impedire anche le più lievi increspature . Sotto la dittatura grandi cose furono compiute in questi diciassette anni . Spezzata la controrivoluzione , spodestato il profitto e vinta la fame terribile degli inizi si costruì una grande industria di stato , si collettivizzarono le campagne , si educarono diecine di milioni di giovani . La stabilità insolente del regime sovietico , comunque si voglia giudicarlo , umilia il mondo borghese . Esso fornisce l ' alternativa , costituisce una sfida . E l ' alternativa , la sfida , la dialettica , dei principi e delle esperienze , furono e saranno sempre sorgenti di liberazione e di perfezionamento . Ma si attuò il socialismo ? Neppure i bolscevichi osano sostenerlo . La loro pretesa è che la via sulla quale si sono messi è la via buona , anzi l ' unica via che porti al socialismo . Si può discutere : non già perché la via sia durissima , ma perché troppo spesso costringe a marciare in una direzione contraria alle méta . Il socialismo non è dittatura , non è iper - Stato , non ammette il freddo sacrificio di più generazioni d ' uomini a piani imposti dall ' alto ; soprattutto non si concilia con l ' obbedienza passiva dei più . Nel migliore dei casi bisogna ammettere che si è ancora lontani , molto lontani dal socialismo in Russia . Il socialismo fu sempre concepito come l ' attuazione integrale del principio di libertà , come umanesimo totale . La violenza , le terribili discipline , le socializzazioni , i piani , si presentano , nei confronti del socialismo , come dei mezzi , alcuni indispensabili , altri discutibili , ma pur sempre dei mezzi da porsi al servizio dell ' uomo . Che cosa è allora un socialismo senza libertà , uno Stato socialista che non può vivere se non eternando la dittatura ? È un socialismo che dalle cose non è ancora passato nelle coscienze , che anzi per rivoluzionare le cose è costretto ad opprimere le coscienze : è uno Stato che , pur proponendosi di liberarla , schiaccia la società . Ecco perché noi , pur riconoscendo che la rivoluzione di ottobre di cui la Russia celebra in questi giorni l ' anniversario , è un evento che apre una epoca nuova nella storia dell ' umanità , pur affermando che la caduta del regime sovietico costituirebbe una tremenda jattura che dobbiamo concorrere ad evitare , e che la sua esperienza è decisiva per tutti i movimenti rivoluzionari , noi non riusciamo ad esaltarci nel ricordo esclusivo di Ottobre . Ciò che ci esalta , ciò che profondamente sentiamo , è invece la grande epopea della Rivoluzione Russa . Chi abbatté lo zarismo ? Chi ne minò le fondamenta morali e politiche ? Chi fece del proletariato di Mosca e di Pietroburgo l ' avanguardia della classe operaia mondiale ? Chi portò tra i contadini la speranza in un Millennio che dai cieli dei Popi si trasferiva sulle terre di questa terra ? Chi ? Il partito bolscevico ? È troppo poco . I bolscevichi raccolsero per tutti : forse era fatale che fosse così . Ma quanti prima di loro , con loro e anche dopo di loro , oggi dimenticati e magari diffamati , lavorarono e morirono per la Rivoluzione Russa ? Decembristi che col loro martirio provarono l ' utopia di una trasformazione liberale dell ' impero ; santi maledetti che si levarono soli , tra l ' indifferenza e l ' ostilità universali , a predicare il nuovo verbo , morendo negli esilii e nelle galere ; Herzen che da Londra faceva giungere il suono della sua Campana nella patria lontana , finché anche quel suono non fu più ascoltato ; Bakunin , cavaliere errante della rivoluzione ; Netchaieff e la lunga tragica serie dei terroristi impiccati , tra cui il fratello di Lenin , o seppelliti per venti anni consecutivi in galera , come la Figner ; la stupenda fioritura di scrittori che alla rivoluzione portarono il fermento e la consacrazione dell ' arte ; le migliaia di giovani che rinunciarono alla loro classe per « andare al popolo » ; gli operai , affratellati con gli intellettuali nei circoli segreti , che dopo il 1900 trascineranno la massa in epici scioperi , che nel 1905 si drizzeranno in piedi e saranno schiacciati , ma che proseguiranno la lotta e nel 1917 vivranno la breve illusione di una liberazione gioiosa e poi , a ottobre , dovranno rassegnarsi a recare un ordine duro e terribile nel caos minacciante affinché tutto non andasse perduto e tre generazioni di giovani non si fossero sacrificate invano . Tutto questo e molto più di questo è la Rivoluzione Russa . È questa Rivoluzione che noi vogliamo ricordata , che noi esaltiamo , non già in contrapposto alla rivoluzione di ottobre , ma oltre , più in alto di Ottobre , perché in essa , negli uomini e nei movimenti che la prepararono e la condussero a un primo inizio ritroviamo i nostri maestri e i motivi fondamentali che ci animano nella lotta . Siamo consapevoli della difficoltà , della complessità del nostro atteggiamento di fronte alla Russia Sovietica . Più semplice sarebbe esaltarla senza riserve , come fanno i comunisti . L ' adesione totale consente loro di appoggiarsi a uno Stato , assicura loro un grande potere di attrazione e di propaganda . Il loro programma , straordinariamente concreto , si riassume in una frase : fare altrove , fare in Italia ciò che fu fatto , ciò che si fa in Russia . Mai dei rivoluzionari furono tanto convincenti e realisti . Ma possono i rivoluzionari , nella fase di attacco , aderire senza discriminazioni , senza critiche a un ordine positivo e limitato così lontano dall ' ideale a cui si richiamano , a un ordine ancora fonte di tante ingiustizie ed errori ; a uno Stato , a una politica , a una diplomazia , a una ragion di Stato ? Porre la questione è risolverla . I rivoluzionari non possono fare della politica nel senso ordinario della parola ; non possono transigere sui principi e chiuder gli occhi sui mali esistenti . La forza di rovesciare un mondo , più che dalle esperienze positive altrui , viene dalla visione di un mondo ideale . Se quel mondo ideale lo si identifica in un mondo esistente e imperfetto , il potenziale rivoluzionario è destinato a cadere . Fare la rivoluzione russa in Italia ? Ma l 'U.R.S.S . è uno Stato che milioni di persone hanno visitato in lungo e in largo , toccando con mano pregi e difetti , grandezze e miserie . Dopo diciassette anni di esistenza , l 'U.R.S.S . non è più un ideale . Costituisce tutt ' al più un mito per le folle incolte e sofferenti , e un incoraggiamento per noi . Difatti Mussolini autorizza tranquillamente le edizioni italiane dei discorsi di Stalin , le storie del bolscevismo , la Vita di Trotzky , mentre i funzionari fascisti posano a filobolscevichi . Leviamoci dunque l ' illusione che si possa fare in Italia la copia , sia pure riveduta e corretta , della rivoluzione di ottobre . Nella storia del nostro paese , il giacobinismo fornisce già un esemplare infelice di rivoluzione ricalcata . La rivoluzione italiana provvederà per vie sue , secondo le necessità e le lotte italiane ed europee . La Russia , con la quale si stabiliranno certo rapporti fraterni , sarà per noi non un punto di arrivo ma di partenza ; sarà soprattutto un capitale di preziose esperienze . Sia ben chiaro che siamo mossi a dir questo non da una ridicola ambizione provinciale , da una assurda riedizione del mito del Primato italiano ; ma dal convincimento della originalità irriducibile di ogni rivoluzione e della necessaria autonomia della coscienza rivoluzionaria , la quale esige rottura integrale con ciò che è in nome di ciò che deve essere . Nel « deve essere » la Ceka , le masse deportate , i casi , piccoli o grandi che siano , Trotzky , Serge , Petrini , la meccanica dittatoriale , l ' oppressione burocratica , non rientrano . L ' imperativo categorico non si lascia mettere al condizionale . I comunisti , aderendo completamente alla realtà russa attuale , alienano senza avvedersene la loro spontaneità rivoluzionaria ; costretti a preoccuparsi più di riscuotere la fiducia di Mosca che la fiducia dell ' Italia , non riescono a dire una parola nuova e fresca ai giovani . Quanti tra loro sentono l ' assurdo di una lotta contro la dittatura fascista condotta in nome di un ' altra , anche se diversissima , dittatura ! Quanti vorrebbero spezzare il rigido quadro teorico e pratico per ristabilire un contatto semplice e umano coi fatti , con la realtà italiana , con la stessa realtà russa ! Ma non possono . L ' ostracismo che li minaccia , quando non ne fa dei ribelli , li piega . Tuttavia noi non sappiamo essere esclusivi ; non pretendiamo di possedere il monopolio del vero . Riconosciamo che l ' immensità della esperienza in corso nella Russia rende probabilmente inevitabile l ' esistenza di un forte partito comunista in Italia ; riconosciamo che esso si è battuto in questi anni con grande coraggio . Ma sosteniamo la necessità assoluta dell ' esistenza di un ' altra corrente rivoluzionaria , più aderente alla storia , alle esperienze , ai bisogni italiani e più libera nei suoi atteggiamenti verso la Russia . Non è detto che le due correnti debbano combattersi . Nell ' ora dell ' attacco marceranno unite .