StampaPeriodica ,
Caro
"
Vent
'
anni
"
Il
26
marzo
1942
sul
treno
N
.
10
che
parte
alle
11,35
da
Roma
,
sulla
linea
Roma
-
Genova
,
al
2°
turno
del
vagone
ristorante
tre
uomini
con
distintivi
fascisti
ed
una
donna
hanno
consumato
il
pasto
normale
a
30
lire
a
testa
.
Senonché
hanno
consumato
,
oltre
alla
frutta
,
il
formaggio
,
poi
biscotti
e
liquori
sino
a
far
salire
il
conto
da
120
lire
normali
a
230
.
Conto
che
è
poi
stato
messo
in
tasca
per
la
presentazione
(
evidentemente
)
ed
il
rimborso
spese
.
Si
danno
le
indicazioni
di
cui
sopra
per
l
'
eventuale
rintracciamento
dei
fascisti
stessi
.
C
'
era
su
quel
treno
anche
un
cons
.
naz
.
a
cui
il
fatto
fu
riferito
.
Ma
quando
si
vollero
ricercare
i
quattro
era
troppo
tardi
.
Tuo
StampaPeriodica ,
È
di
moda
ormai
il
proclamare
morta
e
sepolta
l
'
idea
internazionalista
,
che
nel
suo
concetto
più
esteso
si
spinge
fino
a
quello
che
chiamano
utopia
,
cioè
alla
aspirazione
di
un
'
epoca
nella
quale
i
due
dati
storici
e
sociali
umanità
e
civiltà
si
identificano
;
e
tutto
l
'
intellettualismo
predominante
si
concentra
oggi
nella
rivalorizzazione
fino
alla
iperestesia
dei
concetto
di
nazione
,
posto
a
base
necessaria
ed
unica
,
e
quasi
condizione
esclusiva
di
esistenza
,
per
gli
Stati
.
Umanità
e
nazione
sono
così
divenuti
i
due
termini
della
tragica
antitesi
che
domina
l
'
età
nostra
;
tanto
che
uno
ha
quasi
vergogna
e
paura
di
passare
,
oltreché
per
antipatriota
,
anche
per
ignorante
,
se
non
accetta
e
non
proclama
la
grande
tesi
moderna
,
non
solo
della
nazione
principio
e
fine
di
una
coscienza
evoluta
,
ma
del
conseguente
ripudio
del
sogno
umanitarista
.
Non
si
tratta
però
che
di
un
grande
errore
,
o
meglio
di
un
grande
equivoco
,
contro
il
quale
il
pensiero
sociologico
ispirato
dalla
dottrina
e
dalla
esperienza
cristiana
ha
diritto
e
dovere
di
reagire
.
La
verità
è
che
non
esiste
conflitto
fra
l
'
idea
di
nazionalità
e
quella
di
umanità
,
più
di
quel
che
possa
esistere
un
conflitto
fra
l
'
idea
di
patria
e
quella
di
famiglia
.
Per
arrivare
al
concetto
di
umanità
bisogna
partire
dal
concetto
di
uomo
:
ma
l
'
uomo
non
ha
vita
se
non
nella
società
;
anzi
in
un
sistema
di
società
successive
,
le
quali
sono
come
altrettanti
circoli
concentrici
,
che
dall
'
uno
si
propagano
appunto
fino
alla
umanità
.
E
ancora
.
Come
il
concetto
di
vita
è
inseparabile
da
quello
di
società
,
quello
di
società
è
inseparabile
da
quello
di
organizzazione
:
ogni
società
,
a
cominciare
dalla
domestica
,
è
una
organizzazione
determinata
da
speciali
bisogni
,
interessi
e
sentimenti
.
L
'
umanità
è
l
'
ultimo
circolo
,
è
la
società
più
estesa
;
ma
,
se
essa
come
sentimento
può
sussistere
quasi
in
forma
di
entità
astratta
,
come
realtà
non
può
essere
se
non
la
risultante
di
tutte
le
entità
intermedie
nelle
quali
è
organizzata
la
vita
sociale
dell
'
uomo
.
Fissati
questi
principii
di
ordine
generale
che
sono
incontrovertibili
,
se
ne
deduce
che
lungi
dal
contrapporsi
alla
idea
di
umanità
,
l
'
idea
di
nazione
non
può
a
meno
di
farvi
riferimento
:
come
le
nazioni
sono
la
somma
di
famiglie
viventi
sopra
un
suolo
delimitato
da
confini
naturali
,
e
quindi
aventi
comunanza
di
beni
,
di
lingua
,
di
storia
,
di
fede
;
come
gli
Stati
sono
la
somma
di
enti
minori
,
regioni
,
provincie
,
comuni
,
ciascuno
dei
quali
rappresenta
una
classificazione
di
esigenze
sociali
e
di
funzioni
politiche
ed
amministrative
;
così
l
'
umanità
è
e
non
può
essere
che
la
somma
delle
nazioni
e
degli
Stati
,
che
è
quanto
dire
delle
patrie
;
né
è
lecito
supporre
che
si
radichi
saldamente
la
coscienza
di
umanità
in
chi
non
abbia
la
coscienza
di
patria
,
più
di
quel
che
sia
lecito
ammettere
buon
patriota
il
cittadino
che
non
sente
la
famiglia
e
il
comune
.
La
coesistenza
nell
'
uomo
civile
di
tutte
le
idee
graduate
corrispondenti
alle
successive
società
nelle
quali
si
organizza
la
sua
vita
,
è
naturalmente
più
o
meno
cosciente
,
più
o
meno
pacifica
,
più
o
meno
effettiva
a
seconda
dello
sviluppo
della
sua
coltura
e
delle
condizioni
storiche
e
ambientali
di
civiltà
.
Onde
non
si
può
ammettere
che
nella
coscienza
dell
'
uomo
colto
si
delinei
necessariamente
un
conflitto
tra
la
idea
di
umanità
e
quella
di
nazionalità
;
al
contrario
al
maggior
grado
di
coltura
dovrebbe
appunto
corrispondere
la
eliminazione
di
tale
conflitto
;
quanto
più
l
'
individuo
allargherà
i
confini
delle
proprie
cognizioni
,
tanto
più
facile
gli
riuscirà
stabilire
fra
le
due
idee
quella
armonia
e
quella
coordinazione
in
cui
tutti
riconosciamo
doversi
cercare
la
base
di
una
più
sicura
e
tranquilla
convivenza
degli
uomini
fra
loro
.
Qualche
teologo
ha
espresso
il
pensiero
(
all
'
estero
si
capisce
,
non
in
Italia
,
perché
qui
da
noi
il
fascismo
ha
reso
prudenti
e
cauti
anche
i
teologi
)
che
il
nazionalismo
sarà
l
'
eresia
che
la
Chiesa
dovrà
condannare
nel
secolo
XX
.
C
'
è
della
esagerazione
,
ma
c
'
è
della
verità
;
a
seconda
che
ci
si
intenda
sul
contenuto
della
parola
.
Quando
si
parla
di
nazionalismo
non
accettabile
dalla
dottrina
della
Chiesa
cattolica
,
non
si
intende
il
complesso
di
attività
dirette
a
valorizzare
politicamente
la
nazione
,
a
tenerne
viva
la
coscienza
,
a
permearla
di
un
profondo
e
operativo
spirito
di
solidarietà
,
di
difesa
,
di
emulazione
;
no
;
si
intende
il
nazionalismo
come
sistema
etico
sociale
,
quale
è
venuto
foggiandosi
nel
primo
decennio
del
secolo
attuale
un
po
'
in
tutti
i
paesi
d
'
Europa
,
ma
specialmente
pur
con
diversa
fisionomia
esteriore
in
Francia
,
in
Italia
,
in
Germania
.
Per
vero
,
come
sistema
etico
-
sociale
,
il
nazionalismo
mette
a
base
della
sua
dottrina
la
constatazione
di
un
fatto
;
il
fatto
cioè
che
i
rapporti
fra
le
nazioni
,
a
differenza
dei
rapporti
fra
gli
individui
,
sono
regolati
principalmente
dalla
forza
,
perché
mentre
l
'
individuo
può
attendere
la
giustizia
dallo
Stato
che
è
sopra
di
lui
,
la
nazione
,
che
non
ha
nessuno
sopra
di
sé
,
non
può
attenderla
che
da
sé
stessa
.
Di
qui
la
convinzione
nei
nazionalisti
che
la
civiltà
futura
lungi
dal
recarci
l
'
abolizione
della
guerra
,
la
renderà
semplicemente
più
rara
,
ma
appunto
per
questo
più
terribile
;
e
la
conseguente
affermazione
che
la
nazione
è
al
presente
,
sarà
in
avvenire
come
fu
per
il
passato
,
dominata
dalla
ferrea
necessità
della
lotta
per
la
vita
,
per
vincere
la
quale
non
può
sperare
se
non
nella
sua
forza
.
E
quando
dice
forza
,
il
nazionalismo
intende
armi
.
Stando
così
le
cose
è
naturale
,
anche
se
non
completamente
logico
o
per
lo
meno
non
assolutamente
necessario
,
che
il
nazionalismo
passi
alla
apologia
della
guerra
,
in
cui
non
ammette
che
ci
siano
soltanto
la
violenza
e
il
dolore
;
e
proclama
invece
che
essa
può
suscitare
e
ravvivare
altissime
virtù
morali
e
purissime
forze
ideali
,
e
riuscire
perfino
la
fiamma
purificatrice
di
un
popolo
che
nella
pace
si
corrompe
e
si
estenua
.
Quindi
il
nazionalismo
riprova
il
pacifismo
;
e
lo
riprova
pure
nella
sua
forma
ridotta
,
quando
cioè
si
rassegna
alla
guerra
come
ad
una
necessità
;
perché
la
guerra
,
così
tollerata
,
si
abbassa
e
si
avvilisce
,
mentre
essa
deve
rimanere
nella
coscienza
del
popolo
come
uno
strumento
il
più
valido
di
civiltà
,
e
quando
occorre
,
combattersi
con
entusiasmo
.
E
non
basta
.
Il
nazionalismo
si
spinge
più
innanzi
e
cerca
la
giustificazione
,
anzi
la
glorificazione
della
guerra
,
oltreché
nell
'
utilità
della
nazione
,
nel
vantaggio
della
società
;
in
quanto
la
pace
per
un
popolo
in
aumento
si
traduce
in
miseria
,
in
abbrutimento
,
in
morte
,
mentre
d
'
altra
parte
il
vero
miglioramento
umano
si
basa
sulla
selezione
e
sul
sacrificio
degli
individui
;
sul
sacrificio
cioè
di
quel
che
vive
oggi
a
quel
che
vivrà
domani
;
cosicché
la
morale
socialmente
utile
è
quella
di
un
popolo
che
tenda
a
conquistare
per
sé
la
massima
quota
di
dominio
,
nel
mondo
:
la
morale
per
dirla
col
linguaggio
di
uno
degli
apostoli
del
nazionalismo
imperialistica
;
in
una
parola
,
quella
morale
suscitatrice
di
energia
che
il
Sorel
chiamava
morale
dei
produttori
,
in
contrapposto
dell
'
imbelle
morale
dei
consumatori
.
Questa
la
struttura
dottrinaria
del
nazionalismo
;
e
l
'
averla
sommariamente
esposta
basterà
a
ciascuno
dei
nostri
lettori
per
chiarirne
le
inconciliabilità
con
parecchi
dei
principii
fondamentali
del
cristianesimo
.
In
altre
questioni
per
esempio
in
quelle
riflettenti
la
superiorità
dell
'
interesse
nazionale
sull
'
interesse
di
classe
,
e
la
preminenza
,
per
uno
Stato
,
dei
problemi
esterni
su
quelli
interni
potremo
coi
nazionalisti
essere
spesso
di
accordo
;
non
certo
nel
riconoscere
che
la
legge
fra
i
popoli
sia
,
istituzionalmente
,
la
forza
anziché
il
diritto
,
che
la
giustizia
collettiva
sia
diversa
da
quella
individuale
,
che
lo
stato
di
necessità
si
traduca
in
uno
stato
normale
,
che
l
'
individuo
debba
essere
sacrificato
alla
specie
,
e
che
la
civiltà
consista
nel
dominio
del
più
potente
.
Ecco
perché
,
mentre
noi
non
disconosceremo
mai
,
anzi
apprezzeremo
sempre
il
valore
di
un
elevato
spirito
nazionale
inteso
come
propulsore
di
energie
interne
alla
efficace
tutela
anche
dei
nostri
interessi
esterni
,
e
come
educatore
alla
dignità
ed
occorrendo
al
sacrificio
per
la
patria
,
non
potremmo
senza
dimenticare
e
misconoscere
gli
insegnamenti
più
nobili
e
più
santi
del
cristianesimo
che
consideriamo
come
la
legge
della
vera
civiltà
favorire
un
movimento
,
il
quale
,
all
'
infuori
delle
sue
giustificazioni
transeunti
,
tende
a
rimettere
in
onore
i
postulati
di
un
positivismo
di
vecchia
maniera
,
e
va
a
confondersi
,
per
altra
via
,
nello
stagno
pestifero
del
materialismo
storico
,
donde
germinò
già
l
'
infezione
del
socialismo
.
StampaPeriodica ,
Leone
XIII
nella
sua
celebre
enciclica
del
15
maggio
1891
(
Rerum
novarum
)
con
gesto
per
il
suo
tempo
ardito
e
coraggioso
,
quasi
a
conclusione
dell
'
ampia
disamina
dottrinale
compiuta
intorno
ai
vari
aspetti
della
questione
operaia
«
quella
che
oggi
maggiormente
interessa
il
mondo
»
com
'
egli
stesso
diceva
,
risollevava
dalla
polvere
secolare
un
istituto
o
dimenticato
o
ricordato
solo
da
pochi
,
quasi
sempre
con
poca
lode
,
se
non
con
qualche
infamia
:
la
corporazione
.
Già
nell
'
introduzione
della
enciclica
,
prima
di
additare
come
causa
del
disagio
degli
operai
l
'
usura
vorax
e
il
monopolio
della
produzione
e
degli
scambi
onde
un
piccolo
numero
di
ricchissimi
«
hanno
imposto
alla
infinita
moltitudine
dei
proletari
un
gioco
poco
men
che
servile
»
,
egli
aveva
scritto
:
«
Soppresse
nel
passato
secolo
le
corporazioni
di
arti
e
mestieri
,
senza
nulla
sostituire
in
loro
vece
,
nel
tempo
stesso
che
le
istituzioni
e
le
leggi
venivano
allontanandosi
dallo
spirito
cristiano
,
avvenne
che
a
poco
a
poco
gli
operai
rimanessero
soli
ed
indifesi
,
e
in
balia
alla
cupidigia
dei
padroni
e
di
una
sfrenata
concorrenza
»
.
E
nell
'
ultima
parte
dell
'
Enciclica
ritornava
sul
terna
:
segnalati
i
rimedii
del
male
,
prima
nel
ritorno
alla
religione
e
nella
sommissione
agli
insegnamenti
della
Chiesa
,
poi
nell
'
intervento
dello
Stato
a
regolare
la
protezione
del
lavoro
,
vi
aggiungeva
poi
quelli
delle
associazioni
di
assistenza
e
di
collaborazione
fra
le
classi
,
che
additava
tutte
riassunte
nella
corporazione
.
«
Tengono
però
il
primo
luogo
sono
le
parole
di
Leone
XIII
e
quasi
tutte
le
altre
contengono
,
le
corporazioni
di
arti
e
mestieri
;
manifestissimi
furono
presso
i
nostri
maggiori
i
vantaggi
di
tali
corporazioni
;
e
non
solo
a
pro
degli
artieri
,
ma
,
come
attestano
monumenti
in
gran
numero
,
ad
onore
e
perfezionamento
delle
arti
medesime
:
bensì
,
i
progressi
della
coltura
,
le
nuove
costumanze
e
i
cresciuti
bisogni
della
vita
esigono
che
queste
corporazioni
si
adattino
alle
condizioni
presenti
:
vediamo
con
piacere
formarsi
ovunque
associazioni
siffatte
,
sia
di
soli
operai
,
sia
miste
di
operai
e
padroni
;
ed
è
desiderabile
che
crescano
di
numero
e
di
operosità
:
dal
passato
possiamo
non
senza
ragione
preveder
l
'
avvenire
:
imperocché
le
umane
generazioni
si
succedono
;
ma
le
pagine
della
storia
si
rassomigliano
grandemente
,
perché
gli
avvenimenti
sono
governati
da
quella
Provvidenza
superna
,
la
quale
volge
e
indirizza
tutte
le
umane
vicende
a
quel
fine
che
ella
si
prefisse
nella
creazione
dell
'
umana
famiglia
»
.
Ma
per
comprendere
bene
che
cosa
la
pontificia
solenne
riabilitazione
del
corporativismo
significasse
,
gioverà
rapidamente
vedere
attraverso
le
diverse
fasi
che
esso
ha
avuto
nel
medio
evo
,
nella
età
moderna
e
nel
mondo
nostro
contemporaneo
la
evoluzione
di
un
istituto
già
vagheggiato
dai
primi
pionieri
di
una
restaurazione
sociale
cattolica
,
come
essenziale
alla
compagine
della
società
in
ogni
suo
grado
di
sviluppo
economico
;
gioverà
cioè
ricordare
che
cosa
fu
in
passato
quella
corporazione
che
,
avversata
così
aspramente
dai
socialisti
,
Leone
XIII
con
autorità
di
maestro
trentadue
anni
fa
additava
al
mondo
come
meritevole
di
essere
risollevata
e
rimessa
in
onore
.
Molto
hanno
disputato
gli
storici
per
sapere
se
le
corporazioni
medioevali
di
arti
e
mestieri
siano
sorte
come
trasformazione
ultima
di
un
istituto
romano
,
come
un
prodotto
spontaneo
delle
nuove
condizioni
politiche
ed
economiche
in
cui
le
città
dello
impero
,
alla
sua
decadenza
e
rovina
,
si
trovarono
:
certo
è
che
la
corporazione
si
presenta
come
una
associazione
intimamente
legata
alla
vita
dei
municipi
,
anzi
indispensabile
al
retto
funzionamento
degli
ordini
nuovi
:
più
che
rivestita
di
quel
doppio
ufficio
,
politico
ed
economico
,
che
gli
scrittori
sogliono
attribuirle
,
essa
si
potrebbe
definire
un
vero
potere
dello
Stato
,
diretto
al
conseguimento
di
quell
'
unico
bene
cittadino
,
nel
quale
si
assommano
gli
interessi
che
male
allora
si
sarebbero
potuti
distinguere
,
con
linguaggio
troppo
moderno
,
in
interessi
politici
,
religiosi
,
economici
,
commerciali
.
Il
Comune
medioevale
esaminato
soprattutto
nel
suo
tipo
italiano
era
un
organismo
semplice
e
completo
,
nel
quale
ogni
parte
si
è
formata
quasi
da
sé
,
non
tanto
per
deliberazioni
di
maggioranze
,
quanto
per
consenso
unanime
e
quasi
per
la
necessità
delle
cose
.
Così
è
naturale
che
un
istituto
politico
,
dove
i
nobili
ed
il
clero
rappresentavano
,
perché
organizzati
,
dei
veri
corpi
capaci
di
rispondere
alla
parte
loro
spettante
nella
vita
cittadina
,
il
resto
del
popolo
,
che
potremmo
dire
il
popolo
minuto
,
sentisse
il
bisogno
di
dare
a
sé
stesso
un
ordinamento
per
cui
esso
pure
fosse
posto
in
grado
di
adempiere
la
parte
sua
nella
economia
pubblica
,
e
che
in
pari
tempo
,
dove
fosse
necessario
,
lo
rendesse
atto
a
difendere
la
propria
influenza
quando
altri
tentasse
menomarla
.
Il
bisogno
della
difesa
è
a
credere
però
sia
stato
piuttosto
un
elemento
di
conservazione
e
di
sviluppo
delle
associazioni
popolari
,
che
non
la
causa
della
loro
origine
:
e
se
noi
le
troviamo
nella
forma
di
corporazioni
d
'
arti
e
mestieri
,
si
è
perché
il
genere
di
lavoro
è
l
'
unica
legittima
distinzione
nelle
classi
del
popolo
.
Che
a
tutti
gli
esercitanti
un
'
arte
fosse
nel
medioevo
fatto
obbligo
di
appartenere
alla
corrispondente
corporazione
,
non
risulta
da
nessun
dato
certo
;
ma
che
tutti
i
cittadini
vi
appartenessero
,
non
solo
per
vantaggio
professionale
,
ma
specialmente
per
la
necessità
che
portava
in
quel
tempo
ogni
uomo
a
dovere
prendere
un
posto
qualsiasi
nella
vita
pubblica
intimamente
fusa
con
la
privata
,
non
è
dubbio
;
meno
sicuro
è
invece
il
fatto
che
fosse
uso
dei
nobili
(
come
si
sa
di
Firenze
)
di
iscriversi
in
alcune
corporazioni
per
partecipare
a
quelle
funzioni
politiche
che
le
corporazioni
stesse
gradatamente
poi
assunsero
.
Benché
accolta
anche
da
storici
autorevoli
,
deve
dirsi
pregiudizio
infondato
l
'
opinione
che
le
corporazioni
medioevali
avessero
scopi
gretti
e
quasi
pericolosi
alla
società
,
scopi
che
il
Cibrario
,
per
esempio
,
riassumeva
nei
seguenti
:
1
)
far
nominare
agli
uffici
il
maggior
numero
di
soci
;
2
)
far
prevalere
nei
consigli
la
sentenza
della
società
;
3
)
vendicarsi
d
'
ogni
benché
lievissima
offesa
ricevuta
nelle
persone
e
negli
averi
dei
proprii
membri
;
4
)
sottrarre
i
ministri
di
quelle
vendette
alla
punizione
meritata
.
Questi
non
furono
che
difetti
accidentali
nel
medioevo
,
e
si
accentuarono
poi
nelle
corporazioni
dell
'
età
successiva
quand
'
esse
,
col
cadere
dei
regimi
popolari
,
vennero
a
mancare
di
una
funzione
propria
ed
integrante
nella
vita
del
comune
,
e
rimasero
come
semplici
rappresentanze
professionali
.
L
'
evoluzione
si
operò
logicamente
e
quasi
insensibilmente
:
si
cominciò
col
togliere
loro
il
diritto
di
crearsi
le
proprie
leggi
,
subordinandole
a
quelle
che
prima
invece
risultavano
appunto
dal
complesso
e
dall
'
attrito
delle
particolari
;
poi
si
privarono
virtualmente
del
diritto
d
'
esistere
,
facendo
dipendere
la
loro
personalità
dal
consenso
del
principe
,
il
quale
non
è
già
che
le
volesse
sopprimere
,
cosa
impossibile
date
le
condizioni
del
lavoro
,
dell
'
industria
e
del
commercio
;
ma
le
voleva
legate
a
sé
interamente
,
perché
non
esercitassero
altro
ufficio
che
quello
economico
,
e
non
se
ne
arrogassero
più
uno
politico
.
Il
principio
che
l
'
ente
intermedio
tra
lo
Stato
e
l
'
individuo
non
acquisti
vita
se
non
dal
riconoscimento
dello
Stato
stesso
,
questo
principio
,
assolutamente
sconosciuto
nel
medioevo
e
negli
ordinamenti
comunali
,
fu
rassodato
nel
formarsi
delle
monarchie
e
delle
signorie
,
e
rimase
come
vera
differenza
specifica
tra
la
corporazione
medioevale
e
quella
della
età
moderna
.
Dalla
negata
libertà
a
chiunque
di
associarsi
per
tutelare
i
propri
diritti
professionali
,
venne
così
l
'
assolutismo
che
caratterizza
le
corporazioni
dei
seicento
e
del
settecento
;
gli
esclusi
dalla
corporazione
ufficiale
non
possono
costituirsi
in
corpo
e
gareggiare
coi
corpi
precedenti
,
sia
pure
se
di
loro
più
forti
,
perché
lo
Stato
a
cui
non
giova
,
lo
impedisce
:
la
legittima
concorrenza
nel
lavoro
vien
meno
,
perché
viene
meno
la
libertà
del
lavoro
;
la
quale
non
è
violata
per
sé
dalle
corporazioni
,
bensì
dalle
intromissioni
dello
Stato
a
riconoscerle
o
meno
,
ed
a
guastarne
lo
spirito
.
Per
tale
modo
i
loro
statuti
,
man
mano
che
ci
avviciniamo
alla
fine
del
secolo
XVIII
,
vanno
moltiplicandosi
con
troppe
riforme
funzionali
,
e
con
una
complicata
giurisprudenza
sulle
frequentissime
controversie
;
e
leggendoli
si
riporta
l
'
impressione
che
quanto
più
le
corporazioni
si
chiudono
nell
'
ambito
dei
privilegi
,
tanto
più
si
allontanano
da
quell
'
ideale
di
associazione
libera
,
forte
,
importante
nella
vita
cittadina
,
che
tutti
intravvediamo
nella
corporazione
medioevale
.
I
privilegi
,
che
costituiscono
l
'
essenza
del
diritto
corporativo
nel
secolo
XVIII
,
sono
noti
:
basti
il
ricordare
che
,
mentre
nei
secoli
precedenti
,
e
specie
nei
primi
tre
del
secondo
millennio
,
le
corporazioni
ebbero
a
ragione
del
loro
essere
la
protezione
del
lavoro
mediante
l
'
associazione
di
tutti
i
lavoratori
,
esse
finirono
coll
'
assumere
carattere
di
casta
chiusa
:
molti
dei
loro
benefici
effetti
,
quali
l
'
infranamento
della
concorrenza
,
l
'
equa
determinazione
dei
salari
e
dei
rapporti
tra
lavoranti
e
maestri
,
durarono
,
ma
neutralizzati
dallo
spirito
monopolizzatore
che
pareva
avessero
ereditato
dallo
Stato
,
dopo
che
questo
si
era
attribuito
il
diritto
di
vita
e
di
morte
su
di
loro
,
ed
aveva
mostrato
d
'
altra
parte
di
non
apprezzarle
se
non
come
strumento
fiscale
,
che
accollandosi
tutto
l
'
estimo
fissato
a
carico
di
ciascuna
professione
,
gli
rendeva
più
semplice
e
più
sicura
l
'
esazione
dei
tributi
:
di
qui
l
'
impiego
della
corporazione
ad
esercitare
una
vigilanza
rigorosa
,
perché
nessuno
elemento
imponibile
sfuggisse
alla
propria
giurisdizione
,
e
non
potesse
produrre
e
vendere
se
non
chi
pagasse
;
di
qui
ancora
l
'
impegno
dello
Stato
nel
garantire
alle
sue
agenzie
esattrici
i
privilegi
necessari
a
render
possibile
l
'
adempimento
dei
loro
obblighi
.
Nessuna
meraviglia
quindi
se
le
corporazioni
sulla
fine
del
secolo
XVIII
,
non
furono
in
grado
di
resistere
al
movimento
liberista
della
nuova
scienza
economica
,
e
che
i
governi
le
poterono
abolire
senza
contrasto
,
anzi
in
mezzo
al
plauso
che
pareva
generale
.
Senonché
a
neppure
un
secolo
di
distanza
per
parte
degli
economisti
che
cominciavano
a
ribellarsi
contro
il
liberalismo
,
venne
la
critica
la
quale
si
può
riassumere
nei
termini
seguenti
.
Coloro
che
operarono
la
soppressione
radicale
delle
corporazioni
dissero
di
voler
togliere
di
mezzo
il
monopolio
,
per
instaurare
il
regno
della
concorrenza
e
della
libertà
del
lavoro
;
ma
essi
non
si
accorsero
che
l
'
istituto
che
abbattevano
non
era
per
sé
la
causa
del
monopolio
,
ma
lo
era
soltanto
perché
degenerato
dalla
sua
natura
;
e
che
il
correggerlo
e
il
migliorarlo
col
togliergli
le
superfetazioni
assolutiste
,
sarebbe
stato
il
modo
migliore
per
garantire
e
la
concorrenza
e
la
libertà
del
lavoro
stesso
;
le
quali
invece
,
affidate
alla
tutela
di
un
sistema
prettamente
individualista
,
hanno
concorso
a
creare
una
dolorosa
situazione
di
conflitto
fra
capitale
e
lavoro
,
culminante
nell
'
abuso
del
diritto
di
coalizione
,
cioè
di
sciopero
e
di
serrata
.
Infatti
la
stessa
concorrenza
sfrenata
ha
prodotto
la
speculazione
disonesta
e
lo
sfruttamento
della
mano
d
'
opera
,
ed
ha
resa
irrisoria
proprio
la
libertà
di
lavoro
;
ha
fatto
sorgere
il
grande
industrialismo
,
che
è
un
monopolio
più
feroce
dell
'
antico
,
ha
separato
in
due
classi
nemiche
quegli
ordini
di
cittadini
che
le
corporazioni
tenevano
affratellati
,
cioè
i
detentori
degli
strumenti
di
lavoro
e
coloro
che
li
usano
,
ed
ha
scritto
,
si
può
dire
,
la
prima
riga
del
programma
del
socialismo
scientifico
:
socializzazione
degli
strumenti
di
lavoro
.
Inoltre
,
disgregando
le
rappresentanze
professionali
,
ha
tolto
efficacia
politica
al
lavoro
,
ed
ha
da
una
parte
reso
sempre
più
forte
il
potere
centrale
,
dall
'
altra
sempre
più
deboli
gli
individui
.
Infine
è
questo
un
punto
di
vista
speciale
alla
scuola
sociale
cattolica
,
che
Leone
XIII
non
poteva
a
meno
di
ammettere
in
luce
particolare
quando
si
pensi
al
carattere
eminentemente
religioso
che
il
regime
corporativo
rivestiva
,
colle
regole
che
imponevano
il
riposo
festivo
e
i
convegni
periodici
di
tutti
gli
iscritti
e
speciali
solennità
religiose
,
si
capisce
quale
potente
elemento
di
moralità
e
di
ordine
sociale
e
quindi
quale
freno
e
quale
regola
all
'
esuberanza
dei
desideri
,
all
'
avidità
dei
guadagni
,
alla
disonestà
dei
contratti
e
dei
lavori
,
allo
sfruttamento
degli
operai
,
sia
stato
tolto
colla
soppressione
delle
corporazioni
.
Dalla
critica
al
programma
il
passo
è
breve
;
onde
è
naturale
che
dai
primi
saggi
di
una
ricostruzione
sistematica
di
sociologia
cristiana
sia
uscita
formulata
una
tesi
,
che
fu
poi
quasi
universalmente
accettata
dagli
studiosi
cattolici
,
che
trovò
la
sua
definitiva
sanzione
nella
parola
pontificia
;
che
cioè
il
sistema
corporativo
sano
sia
pure
colle
modificazioni
anche
istituzionali
reclamate
dallo
sviluppo
moderno
delle
dottrine
e
dei
fatti
economici
deve
ritornare
ad
essere
lo
strumento
di
un
migliore
e
più
stabile
assetto
dell
'
organismo
sociale
fondato
sulla
armonia
degli
interessi
e
sulla
collaborazione
dei
ceti
produttori
.
Una
tale
affermazione
di
massima
messa
innanzi
primamente
dai
cattolici
sociali
di
Germania
,
ha
costituito
poi
per
molti
anni
la
base
principale
dell
'
azione
dei
sociali
cristiani
francesi
,
e
la
Corporation
appunto
si
intitolò
l
'
organo
dell
'
Oeuvre
des
cercles
oeuvriers
fondata
dal
De
Mun
e
dal
La
Tour
du
Pin
poco
dopo
il
1870;
e
fu
ben
presto
accettata
anche
dalla
scuola
belga
;
ma
l
'
impresa
di
ridare
vita
vera
alla
organizzazione
corporativa
era
delle
più
ardue
,
e
per
certi
rispetti
appariva
impossibile
:
vi
ostavano
il
regime
della
grande
industria
colla
applicazione
sempre
maggiore
delle
macchine
e
colla
divisione
del
lavoro
;
lo
spirito
liberale
,
anzi
liberista
,
delle
leggi
e
la
tradizione
giuridica
formatasi
dopo
la
rivoluzione
francese
e
penetrata
più
o
meno
in
tutte
le
legislazioni
moderne
;
il
principio
della
laicità
introdotto
come
postulato
essenziale
in
tutti
gli
ordini
civili
,
e
per
il
quale
sarebbe
venuto
a
mancare
quel
cemento
religioso
che
era
stato
fattore
così
poderoso
di
coesione
e
di
disciplina
nel
regime
corporativo
antico
;
e
infine
l
'
opposizione
del
socialismo
orientato
definitivamente
verso
la
lotta
di
classe
,
e
nella
concezione
del
quale
le
categorie
non
dovevano
essere
che
i
battaglioni
d
'
un
grande
esercito
,
il
proletariato
,
movente
alla
conquista
dei
poteri
pubblici
,
e
quindi
alla
creazione
di
uno
Stato
che
fosse
espressione
politica
della
collettività
lavoratrice
,
e
sopprimesse
ogni
gerarchia
sociale
;
solo
più
tardi
sarebbe
maturato
in
seno
al
socialismo
il
sindacalismo
vero
e
proprio
,
il
quale
concepisce
la
ricostruzione
politica
non
più
secondo
un
tipo
unitario
ed
egualitario
,
ma
secondo
un
tipo
di
organismi
professionali
associati
,
e
indipendenti
da
un
potere
politico
vero
e
proprio
.
D
'
altra
parte
i
propugnatori
della
restaurazione
corporativa
a
tipo
cristiano
non
sempre
erano
concordi
nel
modo
di
arrivarvi
o
almeno
di
tendervi
;
e
furono
vive
le
dispute
fra
quelli
che
volevano
la
corporazione
obbligatoria
,
cioè
imposta
con
legge
e
regolata
da
leggi
,
e
quelli
che
la
volevano
libera
,
sebbene
dallo
Stato
riconosciuta
come
persona
giuridica
e
quindi
dotata
della
facoltà
di
possedere
;
così
molto
si
scrisse
dagli
uni
in
favore
della
corporazione
mista
,
cioè
costituita
da
padroni
e
da
operai
insieme
,
come
l
'
unica
che
potesse
realizzare
l
'
ideale
della
armonia
fra
capitale
e
lavoro
,
dagli
altri
in
favore
della
corporazione
pura
o
semplice
,
cioè
composta
o
di
soli
padroni
o
di
soli
operai
,
in
considerazione
della
evidente
necessità
che
l
'
ente
non
fosse
minato
nella
sua
funzione
da
opposizioni
d
'
interessi
,
ma
ciascun
gruppo
d
'
interessi
curasse
separatamente
la
propria
difesa
,
e
l
'
armonia
sorgesse
così
non
da
una
fusione
,
ma
da
una
collaborazione
.
Tutto
questo
movimento
di
idee
,
parallelo
e
per
un
certo
riguardo
concorrente
con
quello
degli
scrittori
e
degli
organizzatori
socialisti
,
mise
capo
in
Francia
alla
legge
del
21
marzo
1884
,
la
quale
abrogando
il
decreto
della
costituente
del
1791
autorizzava
la
istituzione
dei
sindacati
semplici
;
essa
divenne
il
punto
di
partenza
per
coloro
che
dalla
teoria
fossero
voluti
passare
alla
pratica
;
all
'
infuori
di
qualche
buon
risultato
nei
Cercles
oeuvriers
di
De
Mun
e
in
alcune
iniziative
belghe
e
del
saggio
mirabile
offerto
da
Leone
Harmel
e
Val
de
Bois
,
non
si
sarebbe
nel
vero
dicendo
che
il
successo
abbia
coronato
l
'
opera
dei
volenterosi
;
e
nella
Francia
stessa
durava
ancora
nel
1891
,
come
durava
in
Italia
,
una
corrente
ostile
al
corporativismo
,
il
quale
non
veniva
ammesso
neppur
come
lecito
nella
sua
forma
pura
che
è
l
'
unica
possibile
modernamente
.
La
parola
di
Leone
XIII
non
valse
certo
a
rimuovere
le
enormi
difficoltà
pratiche
che
ostavano
alla
realizzazione
dell
'
ideale
,
ma
essa
,
in
questa
come
in
altre
controversie
,
ebbe
un
grande
vantaggio
di
por
termine
alle
discussioni
,
alle
incertezze
,
ai
dubbi
,
e
di
legittimare
una
ispirazione
ed
un
indirizzo
che
avrebbero
poi
operato
efficacemente
orientando
i
cattolici
verso
un
programma
di
democrazia
sociale
aperta
e
schietta
.
Se
ben
si
guarda
,
sta
qui
la
indiscutibile
importanza
storica
della
Rerum
Novarum
;
non
chiedetene
i
frutti
immediati
;
come
nella
questione
del
corporativismo
,
così
in
tutte
le
altre
da
essa
trattate
e
risolte
,
valse
la
certezza
acquistata
dai
cattolici
che
nella
dottrina
e
nella
disciplina
della
Chiesa
lungi
dal
trovare
ostacoli
alla
loro
espansione
,
avrebbero
attinto
invece
da
allora
in
avanti
,
incoraggiamento
ed
appoggio
.
Tale
è
del
resto
l
'
ufficio
dell
'
autorità
docente
ben
intesa
;
quello
cioè
di
intervenire
in
un
momento
opportuno
,
a
discriminare
la
verità
dall
'
errore
,
il
giusto
dall
'
ingiusto
,
e
regolare
con
precise
definizioni
il
materiale
di
studi
e
di
esperienze
accumulato
dalla
libera
discussione
e
dall
'
azione
dei
migliori
,
e
fissare
così
una
tappa
nel
cammino
della
civiltà
,
traducendo
definitivamente
in
tesi
la
ipotesi
che
ne
sia
degna
e
concedendo
la
pienezza
del
diritto
nella
città
e
Dio
alle
opere
degli
uomini
di
buona
volontà
.
StampaPeriodica ,
Concediamo
pure
che
la
Germania
abbia
avuto
grandi
scrittori
ma
concedete
che
da
qualche
tempo
non
ne
produce
più
.
I
tedeschi
,
però
,
se
non
sono
modesti
sono
ingegnosi
.
Non
potendo
fabbricare
i
geni
con
la
stessa
facilità
colla
quale
fabbricano
le
macchine
elettriche
e
i
soldatini
di
piombo
,
hanno
pensato
d
'
importarli
dall
'
estero
e
hanno
cominciato
a
covare
i
pulcini
dell
'
altre
chioccie
.
Quando
,
in
un
paese
vicino
,
c
'
è
qualche
genio
infelice
,
qualche
scrittore
poco
noto
,
qualche
ingegno
non
abbastanza
apprezzato
i
tedeschi
lo
traducono
,
lo
esaltano
,
lo
applaudono
,
lo
adottano
come
figlio
e
tentano
di
imporlo
anche
alla
madre
originaria
.
Cominciarono
col
conte
di
Gobineau
il
quale
,
ignoto
in
Francia
,
trovò
in
Germania
ammiratori
editori
e
strombazzatori
e
perfino
un
certo
numero
di
persone
che
fondarono
una
Vereinigung
in
suo
nome
.
Continuarono
con
Houston
Chamberlain
,
un
inglese
che
aveva
scritto
in
francese
,
e
che
diventò
celebre
coi
famosi
Grundlage
des
XIX
Jahrhunderts
;
con
Oscar
Wilde
del
quale
pubblicarono
il
De
Profundis
in
tedesco
prima
che
in
inglese
,
di
cui
risuscitarono
le
commedie
e
tradussero
tutte
le
opere
,
e
ora
stanno
facendo
lo
stesso
col
bizzarro
critico
e
commediografo
inglese
Bernard
Shaw
,
l
'
autore
di
Man
and
Superman
.
Neppure
noi
Italiani
ci
possiamo
lamentare
:
Salvatore
Farina
,
l
'
onesto
novelliere
piemontese
che
ormai
non
leggono
più
neanche
le
maestrine
di
sobborgo
,
è
stato
innalzato
agli
onori
della
Universal
Bibliothek
di
Reclam
e
passa
per
uno
dei
più
grandi
scrittori
italiani
.
Un
giovine
affatto
ignoto
in
Italia
,
Silvio
Pagani
,
che
alcuni
anni
fa
pubblicava
nella
Gazzetta
Letteraria
alcune
fantasie
simboliche
dialogate
è
stato
tradotto
in
tedesco
e
rappresenta
a
Berlino
la
nostra
giovine
letteratura
.
La
Germania
impotente
e
infeconda
,
vuol
allevare
come
suoi
i
figli
disgraziati
degli
altri
.
Essa
sta
diventando
il
Brefotrofio
intellettuale
dell
'
Europa
e
tutto
il
suo
sforzo
consiste
nel
volerci
fare
ammirare
in
caratteri
gotici
ciò
che
altri
popoli
più
geniali
non
vollero
leggere
in
caratteri
latini
.
StampaPeriodica ,
...
A
un
certo
punto
,
da
un
discorso
ad
un
altro
,
non
so
come
,
Paolo
vien
fuori
con
questa
domanda
:
-
Ma
insomma
,
ci
spiega
un
po
lei
chi
è
questo
Mussolini
?
Provo
come
una
scossa
,
piacevolissima
.
Godo
,
intimamente
,
profondamente
,
di
udire
pronunziare
questo
nome
quassù
,
in
questa
zona
di
silenzio
dove
si
arresta
e
non
penetra
nemmeno
l
'
eco
di
tante
fragorose
e
inutili
celebrità
.
Ed
io
spiego
chi
è
"
questo
"
Mussolini
.
Le
buone
donne
,
l
'
onesto
famiglio
,
mi
ascoltano
con
occhi
intenti
,
bevono
le
mie
parole
avidi
,
sorridono
di
soddisfatta
approvazione
.
Hanno
riconosciuto
subito
uno
dei
loro
,
un
figlio
delle
grandi
altitudini
sole
:
sa
di
corroborante
aroma
silvestre
,
riflette
il
puro
inarcato
cielo
come
la
più
alta
fonte
sotto
il
più
alto
macigno
dell
'
ultima
cima
.
È
un
fratello
,
è
il
fratello
straordinariamente
dotato
,
che
porta
impressi
nella
carne
e
nell
'
anima
,
certi
,
indubitabili
,
tremendi
ai
nemici
,
dolci
a
chi
l
'
ama
,
i
segni
della
"
più
vasta
orma
.
"
Non
ci
sono
che
gli
invidiosi
o
i
dolci
di
sale
che
non
vogliono
o
non
sanno
riconoscere
questo
grande
fatto
nuovo
.
Ma
la
gente
sana
,
perfino
i
più
semplici
,
i
perfetti
ignoranti
,
questi
più
di
tutti
,
hanno
compreso
,
ormai
,
perfettamente
.
Ne
ho
la
riprova
vedendo
i
miei
ascoltatori
annuenti
e
partecipi
della
mia
commossa
sincerità
e
confermati
dalle
mie
parole
nella
loro
volontà
di
persuadersi
e
di
credere
...
StampaPeriodica ,
È
conciliabile
il
fascismo
con
la
democrazia
?
vi
è
tra
le
due
parole
,
e
le
due
cose
,
antagonismo
irriducibile
,
intimo
e
insanabile
conflitto
,
insuperabile
antitesi
o
è
possibile
concepire
ed
attuare
tra
questi
due
termini
un
modus
vivendi
durevole
,
un
accordo
pacifico
ed
operoso
?
Se
si
ricordano
certe
sdegnose
affermazioni
del
duce
del
fascismo
,
le
sue
sanguinose
irrisioni
a
certi
cadaveri
quattriduani
e
a
certe
stolide
ubbie
che
sarebbero
appunto
quei
principii
di
libertà
,
di
uguaglianza
politica
,
di
democrazia
che
furono
il
patrimonio
ideale
del
secolo
decimonono
sul
terreno
politico
-
sociale
;
se
si
osservano
le
molteplici
e
concordi
affermazioni
in
merito
della
stampa
e
delle
individualità
più
espressive
del
fascismo
;
se
si
esamina
,
dal
punto
di
vista
dottrinale
,
quella
che
è
stata
in
subiecta
materia
la
prassi
del
fascismo
,
sia
come
azione
di
partito
,
sia
come
azione
di
governo
,
difficilmente
si
possono
nutrire
eccessive
illusioni
.
Dopo
un
cinquantennio
di
entusiasmi
democratici
ingenuamente
iperbolici
,
il
fascismo
non
segnerebbe
soltanto
un
tempo
d
'
arresto
,
ma
rappresenterebbe
realmente
un
movimento
di
reazione
,
l
'
inizio
di
un
periodo
di
antidemocratici
furori
.
Questo
problema
,
dei
rapporti
tra
democrazia
e
fascismo
,
si
è
posto
recentemente
Eugenio
Rignano
,
il
noto
direttore
di
Scientia
ed
appassionato
cultore
di
problemi
politici
e
sociali
,
in
un
succoso
volumetto
«
Democrazia
e
fascismo
»
che
ha
visto
la
luce
in
quella
«
Biblioteca
di
coltura
politica
»
diretta
dall
'
on
.
Franco
Ciarlantini
.
Poiché
habent
sua
fata
libelli
,
a
questo
libro
è
capitato
un
caso
abbastanza
curioso
:
il
Rignano
è
un
simpatizzante
del
socialismo
;
certe
sue
ardite
proposte
di
riforma
,
in
ispecie
del
diritto
successorio
,
testimoniano
di
una
mentalità
tuttaltro
che
conservatrice
.
Ma
per
questo
suo
studio
gli
è
occorso
di
vedersi
citato
dall
'
on
.
Mussolini
in
persona
,
quasi
come
un
cortigiano
,
in
ritardo
,
del
nuovo
regime
,
convertitosi
forse
per
celate
aspirazioni
al
laticlavio
;
mentre
egli
è
persuaso
di
avere
scritto
il
suo
saggio
precisamente
con
l
'
intenzione
di
dimostrare
al
fascismo
quanto
sia
superiore
,
moralmente
e
politicamente
,
la
democrazia
sul
confronto
di
ogni
altro
sistema
diverso
e
contrario
di
regime
.
Ma
«
fascista
»
è
stato
giudicato
il
libro
anche
da
vecchi
amici
dell
'
autore
,
di
parte
socialista
,
come
Claudio
Treves
.
Il
Ciarlantini
,
meno
reciso
,
si
limita
,
presentando
al
pubblico
lo
studio
del
Rignano
,
ad
avvertire
ch
'
esso
serve
ottimamente
«
per
intendere
lo
stato
d
'
animo
di
tutta
una
vasta
categoria
di
persone
che
pur
senza
aderire
al
fascismo
nelle
sue
manifestazioni
più
vivaci
e
intransigenti
,
ne
valutano
con
serietà
la
importanza
storica
e
desidererebbero
vederlo
volgersi
verso
nuovi
indirizzi
che
non
possono
essere
a
priori
respinti
da
nessun
spirito
illuminato
»
.
Poiché
il
Rignano
dichiara
che
la
sua
massima
aspirazione
è
quella
di
«
contribuire
,
sia
pure
in
minima
parte
,
ad
attutire
l
'
asprezza
delle
contese
dei
partiti
e
ad
avviare
il
paese
verso
una
maggiore
pacificazione
degli
animi
»
,
e
poiché
realmente
è
questo
,
oggi
,
per
il
nostro
paese
il
massimo
dei
suoi
bisogni
,
è
ovvio
che
una
simile
aspirazione
sia
accompagnata
dai
migliori
e
più
fervidi
auguri
,
con
la
avvertenza
per
altro
,
che
l
'
invocata
pacificazione
non
si
risolva
in
un
vano
baiser
de
Lamourette
,
ma
sbocchi
davvero
in
un
consenso
libero
e
convinto
di
volontà
consapevoli
e
spontanee
.
L
'
augurio
è
lecito
e
doveroso
anche
se
,
pel
momento
almeno
,
esso
sembri
assai
lontano
,
da
qualsiasi
probabilità
di
successo
.
Da
una
parte
infatti
ecco
l
'
on
.
Treves
che
,
nella
Critica
sociale
,
fa
una
carica
a
fondo
contro
le
opinioni
,
assai
più
fasciste
che
democratiche
,
del
nostro
autore
scrivendo
:
«
Il
fatto
è
e
siamo
certi
di
colpire
di
stupore
e
di
incredulità
l
'
Autore
col
rivelarglielo
che
il
suo
discorso
è
fascista
;
fascista
per
l
'
interpretazione
che
esso
dà
ai
fenomeni
;
fascista
per
l
'
estimazione
con
cui
accoglie
i
risultati
della
rivoluzione
fascista
.
La
sua
«
democrazia
»
si
svia
,
evapora
nelle
buone
intenzioni
liberali
.
Ma
se
egli
non
ha
riserve
a
fare
sui
«
miracoli
»
compiuti
dal
fascismo
al
potere
,
se
non
ha
il
sospetto
del
sofisma
post
hoc
ergo
propter
hoc
onde
attribuisce
l
'
ordine
,
la
cessazione
degli
scioperi
,
la
riduzione
delle
spese
e
del
deficit
dello
Stato
esclusivamente
all
'
azione
fascista
e
non
a
certe
cause
naturali
(
crisi
economica
,
disoccupazione
,
vietata
emigrazione
,
cessazione
delle
spese
di
guerra
,
allontanamento
dei
furori
bellici
,
ecc
.
)
,
se
egli
crede
al
«
rinsaldarsi
della
compagine
nazionale
»
dove
altri
,
come
i
socialisti
unitari
,
per
i
quali
il
Rignano
ha
simpatie
,
dicono
nel
loro
Manifesto
elettorale
:
una
gente
sta
sull
'
altra
colle
ginocchia
sul
petto
!
e
ne
dà
merito
all
'
azione
fascistica
;
egli
è
fuori
di
ogni
coerenza
quando
,
in
nome
della
democrazia
,
reclama
allargamenti
liberali
e
restaurazioni
parlamentari
.
Ma
viva
,
viva
il
potere
personale
capace
di
così
mirifiche
cose
!
La
democrazia
non
è
un
fine
,
è
un
mezzo
.
Quando
il
suo
contrario
si
dimostra
con
mezzi
di
tanto
più
efficaci
,
viva
il
suo
contrario
!
Che
vale
il
Rignano
conchiuda
invocando
con
Stuart
Mill
uno
stato
che
non
rimpicciolisca
i
suoi
uomini
?
Questa
proposizione
si
allaccia
all
'
idea
del
concorso
,
della
gara
libera
di
tutte
le
capacità
.
Ma
se
l
'
evento
avesse
dimostrato
,
con
l
'
autorità
del
fatto
compiuto
,
che
tale
gara
è
neutralizzatrice
di
capacità
anzi
che
eccitatrice
di
grandezze
,
che
un
uomo
solo
,
onnipotente
può
fare
,
anzi
ha
fatto
,
meglio
di
tutto
ciò
che
si
sarebbe
potuto
aspettare
dal
concorso
,
dalla
gara
,
dal
Parlamento
,
e
persino
dall
'
azione
della
natura
,
ecc
.
,
la
causa
sarebbe
vinta
per
l
'
antidemocrazia
.
In
verità
,
coi
fatti
che
il
Rignano
accetta
,
non
ci
crederemmo
autorizzati
come
fa
l
'
Autore
ad
appellarci
a
Stuart
Mill
,
ma
a
Tommaso
Hobbes
e
,
magari
,
a
Giuseppe
De
Maistre
.
Dall
'
altro
lato
ecco
l
'
on
.
Ciarlantini
,
se
non
proprio
accusare
un
fin
de
non
recevoir
,
esprimersi
in
modo
non
troppo
confortante
alla
predicazione
democratica
che
il
Rignano
,
nuovo
Daniele
nella
fossa
dei
leoni
,
fa
ai
fascisti
,
osservandogli
con
un
sorriso
lievemente
ironico
che
è
«
esagerata
la
sua
preoccupazione
intorno
alla
limitazione
della
libertà
di
cui
si
renderebbe
colpevole
il
governo
fascista
»
e
ribadendo
il
chiodo
del
governo
«
pedagogia
per
adulti
»
,
aliena
per
necessità
del
momento
dalle
«
forme
della
tradizionale
blandizia
»
e
improntata
ad
«
energie
e
fermezza
»
.
Per
Ciarlantini
«
il
governo
di
un
paese
è
,
in
grande
,
come
il
governo
di
una
scuola
e
di
una
famiglia
»
;
ma
di
una
scuola
si
tratterebbe
di
sapere
in
cui
è
riabilitata
la
malfamata
ferula
del
pedagogo
,
e
di
una
famiglia
in
cui
la
patria
potestà
risuscita
i
poteri
discrezionali
delle
XII
Tavole
?
Non
possiamo
seguire
particolareggiatamente
il
Rignano
nella
sua
trattazione
;
accenneremo
soltanto
.
Dopo
avere
definito
la
caratteristica
del
fenomeno
democratico
«
nella
tendenza
di
un
numero
sempre
maggiore
di
componenti
la
società
ad
accedere
alla
società
stessa
,
anziché
per
imposizione
esterna
,
per
libero
assenso
e
consenso
»
,
dopo
avere
rapidamente
passato
in
rassegna
i
vantaggi
della
democrazia
,
le
accuse
spesso
infondate
che
le
si
muovono
e
i
pericoli
che
realmente
possono
insidiarla
demagogismo
,
parlamentarismo
,
eccessivo
frazionamento
dei
partiti
,
e
concluso
che
il
massimo
pericolo
è
quello
«
che
una
data
classe
,
forte
per
numero
di
aderenti
,
per
organizzazione
e
coscienza
collettiva
,
per
la
sua
grande
importanza
sull
'
economia
nazionale
,
perda
,
in
seguito
ad
errate
dottrine
divulgate
e
accettate
,
sia
pure
in
buona
fede
nel
proprio
seno
,
il
senso
di
solidarietà
sociale
che
la
lega
a
tutte
le
società
restanti
,
ed
elevando
i
propri
antagonismi
di
classe
al
di
sopra
dell
'
interesse
generale
,
che
è
pur
supremo
interesse
suo
proprio
,
minacci
il
dissolvimento
sociale
»
;
il
Rignano
identifica
questo
pericolo
non
col
socialismo
in
genere
,
ma
con
quella
sua
forma
particolare
e
antisociale
che
è
il
marxismo
.
Al
marxismo
si
devono
quei
due
caratteristici
fenomeni
che
crearono
,
con
la
guerra
,
il
bolscevismo
;
la
mentalità
disfattista
e
la
utopia
della
dittatura
del
proletariato
.
Entrambi
questi
fenomeni
minacciano
alla
base
la
vita
nazionale
e
internazionale
dei
diversi
paesi
d
'
Europa
;
da
ciò
un
correre
precipitoso
ai
ripari
con
un
ritorno
verso
la
direzione
coercitiva
autocratica
ed
antidemocratica
,
ritorno
che
in
Italia
si
concretava
appunto
nel
fascismo
.
La
causa
della
democrazia
fu
coinvolta
nella
débacle
del
marxismo
perché
«
socialismo
e
democrazia
hanno
scontato
insieme
la
colpa
,
ad
un
tempo
economica
,
morale
e
politica
,
di
non
avere
sconfessato
in
tempo
e
di
non
avere
mai
combattuto
con
la
dovuta
energia
le
dottrine
marxiste
antisociali
»
.
Nell
'
esame
dello
svolgersi
delle
vicende
politiche
dell
'
immediato
dopo
guerra
il
Rignano
accoglie
,
per
così
dire
,
la
versione
fascista
,
la
versione
cioè
che
attribuisce
al
fascismo
il
merito
principale
e
quasi
esclusivo
di
avere
organizzato
e
debellato
il
pericolo
bolscevico
in
Italia
.
E
qui
ci
sembra
che
la
interpretazione
dei
fatti
non
risponda
pienamente
all
'
esattezza
.
Certo
il
fascismo
è
stato
,
fin
dal
suo
sorgere
,
antesignano
della
lotta
antibolscevica
;
ma
è
pure
debito
di
giustizia
il
riconoscere
che
il
bolscevismo
aveva
già
da
tempo
,
iniziata
la
sua
curva
discendente
quando
ancora
il
fascismo
era
,
politicamente
,
una
quantité
negligeable
.
Nelle
elezioni
del
1919
,
quando
la
minaccia
era
più
urgente
e
grave
,
la
barriera
vera
e
reale
opposta
al
dilagare
delle
onde
sovversive
fu
rappresentata
da
quel
partito
popolare
che
mandava
alla
Camera
cento
deputati
e
la
cui
valutazione
,
da
parte
del
Rignano
,
è
improntata
al
solito
clichet
,
altrettanto
banale
quanto
ingiusto
,
limitandosi
a
rimproverargli
le
«
eccessive
esigenze
»
cagione
di
continue
crisi
ministeriali
e
disconoscendo
o
ignorando
il
vigore
col
quale
aveva
disimpegnato
la
sua
funzione
di
baluardo
di
conservazione
sociale
,
quando
appunto
nelle
file
dei
molteplici
gruppi
e
partiti
liberali
era
penetrato
il
più
profondo
scoraggiamento
consigliero
delle
più
ampie
rinuncie
e
delle
fughe
più
precipitose
.
Questa
benemerenza
del
P
.
P
.
di
fronte
al
paese
,
che
è
stata
riconosciuta
da
uomini
equilibrati
e
non
sospetti
come
gli
onorevoli
Bonomi
e
De
Nicola
,
non
avrebbe
dovuto
essere
taciuta
dal
Rignano
.
Il
quale
anche
non
poteva
ignorare
che
un
processo
di
revisione
e
di
reazione
alla
ubbriacatura
bolscevica
si
era
andato
determinando
nell
'
interno
stesso
del
partito
socialista
,
con
un
ritmo
forse
troppo
lento
(
in
confronto
delle
necessità
dei
tempi
eccessivamente
rapide
e
urgenti
)
ma
continuo
e
sicuro
;
e
se
nel
congresso
di
Bologna
dove
pure
l
'
onorevole
Turati
pronunciava
quel
suo
discorso
che
fu
un
ammirevole
atto
di
coraggio
prevalse
l
'
infatuazione
bombaccesca
,
a
quello
di
Livorno
si
effettuava
la
scissione
tra
socialisti
e
comunisti
,
e
a
quello
successivo
di
Milano
l
'
ulteriore
scissione
tra
massimalisti
e
unitari
.
Altrettanti
fenomeni
politici
che
dimostravano
non
soltanto
il
decrescere
dell
'
infezione
bolscevica
,
ma
la
scomparsa
d
'
ogni
serio
pericolo
.
Rinsavite
in
gran
parte
le
masse
socialiste
,
salde
nella
loro
costituzione
di
partito
essenzialmente
d
'
ordine
le
masse
del
nuovo
partito
popolare
,
animate
da
quei
principii
religiosi
che
il
Rignano
-
infatuato
nel
suo
positivismo
biosociologico
e
afflitto
da
insanabile
odium
antiteologicum
ha
il
torto
di
svalutare
anche
sotto
l
'
aspetto
,
pure
innegabile
,
di
grande
forza
morale
e
di
energia
plasmatrice
del
benessere
sociale
,
vera
«
armonia
di
tutta
la
vita
»
assai
più
solida
di
quella
,
frutto
dell
'
evoluzione
biologica
in
cui
si
assomma
tutta
la
fede
del
nostro
positivista
;
la
situazione
politica
del
nostro
paese
avrebbe
potuto
avviarsi
ad
uno
stabile
e
pacifico
assetto
,
ad
un
equilibrio
armonioso
delle
varie
tendenze
e
dei
diversi
elementi
in
lotta
pacifica
e
civile
,
solo
che
il
partito
liberale
non
avesse
tradito
la
propria
funzione
e
rinnegato
le
proprie
tradizioni
.
Ma
come
prima
,
gettate
le
armi
e
lo
scudo
,
s
'
era
dato
a
fuggire
,
pronto
alle
più
vergognose
dedizioni
,
così
,
appena
scomparso
e
non
per
merito
suo
il
pericolo
,
il
liberalismo
italiano
non
seppe
resistere
all
'
acre
voluttà
di
prendersi
larga
vendetta
della
paura
sofferta
e
si
buttò
sulle
tracce
del
fascismo
come
quello
che
gli
parve
più
idoneo
strumento
di
una
tale
vendetta
.
Ingenuo
calcolo
di
chi
troppo
facilmente
dimenticava
la
saggezza
di
certe
nostre
vecchie
favolette
.
Il
fascismo
lungi
dal
piegarsi
a
fare
da
«
bravo
»
alla
borghesia
liberale
,
consapevole
ormai
della
sua
forza
di
fronte
alla
debolezza
altrui
,
ne
approfittava
tosto
per
dichiarare
la
bancarotta
del
liberalismo
,
per
impadronirsi
del
governo
,
e
per
identificarsi
addirittura
con
lo
Stato
,
se
pure
non
addirittura
con
la
Nazione
,
come
pure
pretenderebbero
alcuni
,
e
non
pochi
,
dei
suoi
.
Questo
ci
pare
,
grosso
modo
,
un
curriculum
degli
avvenimenti
più
rispondente
alla
realtà
di
quello
accolto
e
fatto
proprio
dal
Rignano
nella
sua
esposizione
.
Ma
forse
l
'
autore
ha
creduto
con
ciò
di
propiziarsi
meglio
l
'
uditorio
al
quale
voleva
porgere
consiglio
che
prevedeva
alquanto
ostico
.
Non
si
può
negare
infatti
che
nel
capitolo
ultimo
del
suo
libro
«
l
'
antidemocraticismo
fascista
»
l
'
autore
parli
abbastanza
chiaramente
e
con
una
commossa
eloquenza
per
un
ritorno
del
fascismo
ai
calpestati
principii
della
democrazia
,
in
favore
della
libertà
di
stampa
e
di
associazione
,
per
un
regime
costituzionale
e
contro
la
dittatura
,
per
l
'
abolizione
di
milizie
organizzate
non
a
servizio
di
tutta
la
nazione
,
ma
di
un
determinato
partito
,
per
una
vera
e
reale
normalizzazione
insomma
,
della
nostra
vita
politica
.
«
Se
è
vero
conclude
l
'
autore
che
due
sono
oggi
le
correnti
che
si
dibattono
in
seno
al
fascismo
,
l
'
una
rappresentata
dal
capo
del
governo
e
dai
migliori
uomini
del
partito
che
comprendono
la
necessità
di
questo
auspicato
ritorno
graduale
a
condizioni
completamente
normali
,
e
l
'
altra
più
intransigente
che
vorrebbe
perseverare
magari
con
ancor
maggiore
risolutezza
sulla
china
autoritaria
assolutistica
,
carità
di
patria
deve
spingere
a
fare
i
più
fervidi
voti
che
prevalga
la
prima
corrente
sulla
seconda
»
.
Abbiamo
già
espresso
,
a
proposito
di
questi
voti
,
quale
deve
e
non
può
non
essere
il
pensiero
di
quanti
pongono
la
patria
al
di
sopra
della
fazione
.
In
spe
contra
spem
.
È
una
speranza
che
non
deve
mai
lasciarci
anche
se
la
vicenda
del
tempo
e
dei
fatti
sembra
svolgersi
non
troppo
propizia
ad
una
sollecita
realizzazione
dei
nostri
voti
.
StampaPeriodica ,
Non
c
'
è
verso
di
metterci
un
po
'
tranquilli
.
Se
si
deve
credere
alle
frequenti
dichiarazioni
anche
ufficiali
degli
organi
fascisti
,
se
si
deve
attendere
alle
manifestazioni
quasi
quotidiane
di
taluni
dei
maggiorenti
e
dello
stesso
duce
del
partito
e
capo
del
Governo
,
se
si
deve
giudicare
dalla
strana
ipersensibilità
che
anche
nella
Camera
i
dominatori
manifestano
,
benché
vi
sia
strabocchevole
maggioranza
,
bisognerebbe
concludere
che
siamo
alla
vigilia
di
Dio
sa
quali
nuove
coazioni
politiche
,
e
che
ci
minaccino
le
solite
famose
seconde
o
terze
ondate
.
Eppure
noi
non
crediamo
che
avverrà
nulla
di
nulla
:
fra
una
quindicina
di
giorni
si
chiuderà
la
Camera
,
e
le
cose
riprenderanno
a
camminare
col
ritmo
al
quale
siamo
abituati
da
ormai
quasi
due
anni
:
cioè
a
suon
di
fanfare
e
di
tamburi
,
in
mezzo
agli
alalà
per
ogni
stormir
di
fronda
che
riveli
la
presenza
del
nume
;
di
tanto
in
tanto
qualche
sparatoria
per
rompere
la
monotonia
,
qualche
fuocherello
appiccato
a
qualche
tipografia
per
tenere
accesi
gli
spiriti
,
poi
un
periodo
di
polemiche
sulla
normalizzazione
e
il
relativo
quos
ego
che
rimette
l
'
ordine
e
il
silenzio
nei
ranghi
;
ma
niente
di
più
.
In
fondo
c
'
è
troppa
gente
arrivata
ed
a
posto
,
e
chi
sta
bene
non
si
muove
,
e
ha
la
naturale
tendenza
ad
essere
disturbato
meno
che
possibile
nel
suo
possesso
,
anche
se
debba
fare
le
viste
di
essere
sempre
sul
qui
vive
a
difendere
quel
che
nessuno
gli
contende
.
Malgrado
questo
nostro
ottimismo
realistico
,
non
possiamo
negare
che
,
come
fenomeno
politico
per
sé
stante
,
è
veramente
singolare
la
pretesa
del
fascismo
di
impedire
ai
non
consenzienti
di
fare
la
opposizione
verbale
:
diciamo
verbale
,
perché
è
risaputo
che
ad
una
opposizione
d
'
altra
natura
nessuno
pensa
né
potrebbe
pensare
anche
se
lo
volesse
.
Ogni
oratore
che
alla
Camera
prende
la
parola
per
dire
con
una
certa
libertà
quel
che
ha
veduto
,
e
per
esporre
il
suo
giudizio
sulla
situazione
,
è
un
provocatore
;
la
maggioranza
non
ammette
che
nessuno
consegni
alla
storia
(
a
quando
la
soppressione
degli
Atti
parlamentari
?
)
informazioni
ed
apprezzamenti
diversi
da
quelli
ufficiali
:
importa
poco
che
tutta
Italia
sappia
de
visu
come
si
son
fatte
le
elezioni
;
non
si
deve
dire
:
è
dogma
di
fede
che
le
elezioni
sono
state
le
più
libere
e
le
più
sincere
che
mai
siano
avvenute
nel
mondo
:
chi
osa
ritenere
il
contrario
è
un
eretico
,
un
bestemmiatore
della
patria
;
poco
importa
che
dica
e
provi
le
ragioni
del
suo
diverso
opinamento
:
deve
essere
ridotto
al
silenzio
.
Noi
non
esitiamo
ad
esprimere
il
pensiero
nostro
;
che
cioè
le
opposizioni
alla
Camera
perdano
il
ranno
ed
il
sapone
nel
voler
insistere
a
fare
il
bucato
in
presenza
del
paese
,
il
quale
non
ha
proprio
bisogno
delle
concioni
parlamentari
per
giudicare
delle
cose
e
degli
uomini
:
il
paese
è
rassegnato
a
lasciar
passare
la
storia
,
capisce
che
per
il
momento
ogni
sforzo
di
voler
rientrare
nel
binario
della
vera
e
leale
costituzionalità
sarebbe
vano
,
e
che
il
meglio
che
rimanga
a
fare
è
lasciare
indisturbati
i
detentori
del
potere
e
godersi
il
medesimo
,
in
attesa
che
i
fati
si
compiano
:
se
è
scritto
che
l
'
Italia
debba
avere
un
mezzo
secolo
di
dittatura
,
pazienza
;
gli
uomini
liberi
che
non
intendono
piegare
la
testa
(
e
son
tanti
!
)
si
tirino
in
disparte
,
e
troveranno
nel
loro
riserbo
la
dignità
capace
di
dare
soddisfazione
alle
loro
anime
ben
più
che
non
in
uno
sterile
armeggio
di
proteste
.
Ma
il
pensiero
nostro
che
non
pretendiamo
di
vedere
accolto
da
parecchi
non
toglie
il
carattere
di
enormità
che
ha
in
sé
la
sopraffazione
della
maggioranza
di
un
Parlamento
,
la
quale
pone
come
base
a
tollerare
la
minoranza
,
la
condizione
che
questa
accetti
,
o
almeno
riconosca
,
il
fatto
compiuto
.
Già
è
un
assurdo
logico
e
storico
il
concetto
di
una
minoranza
destinata
a
rimanere
tale
in
perpetuo
:
il
duce
ha
riconfermato
anche
nell
'
aula
parlamentare
discutendosi
la
convalidazione
dei
deputati
da
lui
eletti
a
comporre
la
maggioranza
,
che
se
anche
,
per
un
assurdo
,
i
comizi
elettorali
gli
avessero
manifestato
la
loro
sfiducia
,
egli
avrebbe
ugualmente
conservato
il
Governo
:
e
si
capisce
:
questo
è
il
fascismo
:
ma
questo
è
anche
la
negazione
del
principio
fondamentale
di
ogni
regime
rappresentativo
che
non
sia
una
burletta
;
perché
se
non
il
popolo
direttamente
,
il
Re
almeno
dovrebbe
avere
il
diritto
di
cambiare
i
suoi
ministri
quando
lo
crede
.
Ma
lasciamo
da
parte
queste
fisime
;
e
basti
aggiungere
che
pur
accettando
l
'
assurdo
logico
e
storico
di
cui
sopra
,
si
dovrebbero
almeno
ritenere
libere
le
minoranze
di
pensare
e
parlare
diversamente
dalla
maggioranza
;
e
di
rimanere
,
come
gli
ebrei
,
nell
'
eterna
aspettazione
del
loro
messia
che
non
verrà
mai
,
perché
secondo
il
fascismo
,
esso
è
già
venuto
.
E
sia
:
ma
anche
i
secoli
più
bui
del
medioevo
,
se
hanno
tenuti
appartati
per
disprezzo
gli
ebrei
,
non
hanno
mai
avuta
la
pretesa
che
essi
accettassero
il
Vangelo
.
La
maggioranza
parlamentare
potrebbe
fare
molte
cose
per
assicurarsi
il
godimento
senza
molestie
dell
'
aula
di
Montecitorio
;
modificare
il
regolamento
in
modo
che
sia
rimosso
qualsiasi
pericolo
di
avere
imbarazzi
dalle
minoranze
;
vietare
la
pubblicazione
del
resoconto
dei
discorsi
degli
oppositori
;
sopprimere
ai
deputati
reprobi
la
indennità
;
espellarli
magari
puramente
e
semplicemente
;
ma
ciò
che
non
può
fare
,
e
che
è
ridicolo
s
'
affanni
a
reclamare
,
è
imporre
alle
minoranze
di
rimanere
prestando
ossequio
al
Governo
e
alla
sua
maggioranza
,
rinunciando
all
'
esercizio
della
critica
se
non
sia
loro
materialmente
vietato
,
dando
insomma
il
consenso
a
ciò
da
cui
appunto
perché
minoranze
dissentono
.
Qualcuno
ci
troverà
paradossali
,
e
che
siamo
fuori
di
carreggiata
riducendo
le
cose
a
termini
così
semplicisti
;
e
dirà
che
si
dovrebbe
invece
metterci
tutti
a
persuadere
il
fascismo
non
essere
nel
suo
tornaconto
il
perdurare
in
una
incivile
intolleranza
che
si
traduce
in
vera
e
propria
prepotenza
,
e
che
il
suo
bene
inteso
interesse
(
lasciamo
pure
nella
penna
quello
del
paese
)
sarebbe
disarmare
le
opposizioni
con
un
contegno
ben
diverso
,
dando
cioè
prova
di
larghezza
d
'
idee
,
di
costumi
cortesi
e
mostrando
leale
desiderio
di
riunire
intorno
a
sé
,
senza
stupide
intransigenze
,
gli
Italiani
migliori
.
Fosse
possibile
!
Ma
ormai
troppe
esperienze
hanno
dimostrato
che
questi
sono
sogni
;
che
il
fascismo
è
quel
che
è
,
e
che
cesserebbe
di
essere
se
non
fosse
quel
che
è
.
Di
fronte
ad
esso
quindi
noi
non
vediamo
che
un
problema
spirituale
;
il
problema
della
difesa
del
proprio
io
pensante
per
chi
non
trovi
nella
sua
coscienza
la
forza
di
superare
le
ripugnanze
ideali
e
morali
a
seguire
il
carro
del
trionfatore
;
a
metterglisi
in
coda
,
a
bruciare
sul
tripode
il
granello
di
incenso
propiziatore
della
grazia
dei
Numi
.
Ed
è
un
problema
abbastanza
facile
da
risolversi
:
starsene
fuori
dalla
rissa
,
e
occuparsi
d
'
altro
.
StampaPeriodica ,
Si
è
discusso
,
specie
in
questi
ultimi
tempi
,
se
i
reduci
di
guerra
come
tali
,
debbano
partecipare
direttamene
alla
vita
politica
del
paese
.
Logicamente
si
sarebbe
infatti
condotti
a
ritenere
che
la
funzione
politica
degli
individui
emani
dalla
loro
fisionomia
di
cittadini
soggetti
di
uno
stato
e
capaci
di
diritti
e
obbligati
all
'
osservanza
di
doveri
comuni
.
Nessun
particolare
privilegio
quindi
si
dovrebbe
ritenere
spettare
al
cittadino
di
uno
stato
dove
vige
la
coscrizione
obbligatoria
,
quando
egli
tale
suo
dovere
compia
anche
in
periodo
di
guerra
.
Ché
infatti
,
un
ragionamento
diverso
condurrebbe
,
sempre
in
via
teorica
,
ad
attribuire
ad
alcune
norme
regolatrici
delle
funzioni
statali
una
caratteristica
particolare
che
sarebbe
in
aperto
contrasto
alle
ragioni
di
necessità
e
di
opportunità
che
han
dato
origine
alla
fisionomia
ed
alla
struttura
sociale
degli
stati
moderni
.
Né
varrebbe
nemmeno
in
tal
senso
,
come
tesi
di
critica
,
l
'
asserzione
che
norme
comuni
possono
in
determinati
momenti
,
in
specifiche
occasioni
,
rivestire
un
carattere
di
eccezionale
gravità
sì
da
assurgere
a
fatti
di
superiore
importanza
da
quella
stabilita
dall
'
ordinario
corso
degli
avvenimenti
.
Al
fenomeno
del
combattentismo
divenuto
movimento
politico
si
dovrebbe
quindi
aprioristicamente
negare
la
possibilità
di
esistenza
.
Tesi
questa
sostenuta
negli
anni
scorsi
dai
socialisti
ed
ora
dai
fascisti
,
i
quali
d
'
altronde
però
sembrano
essersi
troppo
facilmente
dimenticati
di
aver
inizialmente
fondato
il
loro
programma
politico
appunto
su
un
diritto
dei
reduci
di
guerra
ad
avere
il
primato
nel
governo
dello
Stato
.
I
fascisti
anzi
erano
nel
1922
giunti
ad
una
forma
esagerata
di
quella
che
proclamavano
essere
la
loro
concezione
politica
,
coll
'
affermare
dovere
la
direzione
dei
pubblici
interessi
divenire
esclusivamente
monopolio
dei
cittadini
che
avevano
combattuto
.
Programma
questo
che
si
volle
avanzare
come
plausibile
giustificazione
alla
Marcia
su
Roma
ed
alla
conseguente
instaurazione
del
fascismo
al
potere
.
Ma
si
accorse
il
fascismo
,
e
perché
le
masse
dei
combattenti
aderivano
in
proporzione
assai
ridotta
al
nuovo
movimento
politico
e
perché
il
partito
era
dominato
da
interessi
e
da
uomini
assolutamente
in
contrasto
alle
possibili
realtà
di
una
completa
ed
esclusiva
rivalutazione
economica
e
sociale
degli
ex
combattenti
,
di
non
poter
assolutamente
svolgere
il
promesso
piano
di
azione
politica
;
e
così
quel
che
doveva
essere
il
governo
dei
reduci
di
guerra
,
finì
col
confondersi
colle
comuni
,
ma
pur
tanto
tradizionalmente
necessarie
e
proficue
formazioni
ministeriali
.
Non
è
nostra
intenzione
ora
esaminare
come
poi
il
fascismo
abbia
condotta
la
sua
opera
di
governo
;
noi
ci
curiamo
invece
di
dimostrare
:
primo
,
in
linea
generale
,
che
la
teorica
della
non
ammissibilità
di
una
specifica
attività
politica
dei
combattenti
risulta
in
pratica
norma
inopportuna
;
secondo
,
nei
riguardi
particolari
dell
'
attuale
situazione
,
come
i
reduci
di
guerra
possano
e
debbano
interessarsi
di
quanto
avviene
in
Italia
e
non
omettere
di
usare
della
propria
influenza
per
ripristinare
nella
loro
interezza
,
i
valori
morali
connessi
agli
insopprimibili
principii
di
rispetto
della
giustizia
e
della
libertà
.
Quando
all
'
inizio
di
questo
nostro
scritto
affermavamo
l
'
intolleranza
di
una
diretta
ingerenza
dei
combattenti
negli
affari
dello
Stato
,
noi
basavamo
il
nostro
giudizio
sull
'
esistenza
di
una
osservanza
generale
da
parte
di
tutti
i
cittadini
,
dei
doveri
imposti
dalle
leggi
.
Nel
caso
della
coscrizione
origine
questa
del
servizio
militare
,
della
possibilità
di
ulteriori
richiami
alle
armi
e
dell
'
uso
bellico
dei
cittadini
la
formazione
di
una
teoria
in
proposito
,
parte
necessariamente
dal
presupposto
che
tutti
gli
obbligati
adempiano
integralmente
alle
mansioni
che
possono
venir
loro
affidate
,
e
sopportino
lealmente
il
sacrificio
che
lo
Stato
a
loro
richiede
.
Se
così
avvenisse
ogni
cittadino
si
troverebbe
in
perfette
condizioni
di
eguaglianza
e
di
capacità
di
diritti
nei
confronti
del
cittadino
cui
la
patria
può
avere
imposto
oneri
più
gravi
in
considerazione
della
sua
efficienza
fisica
o
della
sua
età
.
Ma
viceversa
è
avvenuto
ed
avviene
che
la
percentuale
di
coloro
che
si
adattano
spontaneamente
alla
sorte
nazionale
non
è
così
alta
come
a
tuttaprima
si
potrebbe
credere
.
Non
occorre
che
noi
ricordiamo
il
fenomeno
dell
'
imboscamento
per
dimostrare
che
la
recente
guerra
non
è
stata
sopportata
egualmente
da
tutti
i
cittadini
nella
misura
che
le
leggi
dello
Stato
esigevano
.
Il
combattente
,
è
doloroso
rilevarlo
,
si
poteva
dividere
in
due
grandi
categorie
:
prima
quella
dei
paria
,
dei
soldati
,
cioè
provenienti
dalle
classi
più
misere
del
popolo
,
specie
dai
contadini
(
gli
operai
,
era
d
'
altronde
una
necessità
,
dovevano
rimanere
per
la
maggior
parte
al
loro
posto
nelle
officine
)
;
seconda
quella
formata
dalla
piccola
e
dalla
media
borghesia
,
dagli
impiegati
,
dai
professionisti
sbalzati
spesse
volte
,
questi
ultimi
,
da
un
ufficio
al
comando
di
reparti
in
posizioni
dove
si
giocavano
le
sorti
della
guerra
.
Di
contro
a
questi
veri
combattenti
vivacchiavano
poi
le
schiere
di
coloro
ch
'
erano
riusciti
con
mezzi
più
o
meno
leciti
,
a
trovarsi
una
nicchia
sicura
per
evitare
le
noie
e
nel
contempo
avere
la
soddisfazione
che
provenivano
dall
'
indossare
«
l
'
onorata
divisa
»
grigio
-
verde
.
Non
che
noi
vogliamo
affermare
che
tutti
i
soldati
si
sarebbero
dovuti
trovare
in
prima
linea
.
Le
esigenze
di
un
esercito
moderno
sono
tali
anzi
da
richiedere
maggior
impiego
di
uomini
nelle
retrovie
che
non
nei
reparti
a
diretto
contatto
col
nemico
;
solo
che
questa
assegnazione
di
incarichi
non
avveniva
sempre
in
base
ad
equi
elementi
di
distribuzione
;
onde
spesse
volte
il
giovane
rimaneva
al
sicuro
mentre
l
anziano
riempiva
il
posto
rimasto
vuoto
in
trincea
.
Il
combattente
pertanto
veniva
così
sovente
ad
assumere
l
'
aspetto
di
un
cireneo
,
ed
in
ogni
caso
poi
poteva
confrontare
la
sua
posizione
con
quella
di
coloro
che
per
occulte
ragioni
non
gli
erano
compagni
nel
sacrificio
.
Confronto
questo
che
ha
condotto
più
di
una
volta
il
fante
a
delle
considerazioni
certo
poco
lusinghiere
sulle
varie
gradazioni
del
sentimento
del
dovere
patriottico
.
Cause
e
motivi
quindi
per
i
quali
a
guerra
terminata
,
il
combattente
poté
con
diritto
ritenere
di
aver
soddisfatto
a
qualcosa
di
più
del
suo
dovere
non
in
considerazione
di
quello
ch
'
egli
aveva
fatto
,
ma
nella
osservazione
di
ciò
che
gli
altri
non
avevano
compiuto
.
È
evidente
pertanto
che
per
tal
somma
di
ragioni
,
il
reduce
dalla
guerra
possa
aver
nutrita
la
speranza
di
levare
la
sua
voce
non
come
un
qualsiasi
cittadino
ma
come
un
individuo
cui
competevano
particolari
,
se
pur
assai
modesti
,
privilegi
.
Ma
questa
aspirazione
del
combattente
ritornato
alla
vita
borghese
non
ebbe
modo
di
esplicarsi
negli
anni
dell
'
immediato
dopo
guerra
,
occupato
e
preoccupato
come
fu
il
reduce
di
ricostruire
le
posizioni
economiche
distrutte
nel
tempo
di
guerra
,
di
riassettare
precarie
situazioni
familiari
,
di
riprendere
la
pratica
nelle
professioni
.
A
ciò
si
aggiunga
la
confusione
creata
dalla
propaganda
dei
partiti
sovversivi
che
erroneamente
reputavano
di
poter
sfruttare
il
malcontento
,
prodotto
di
un
disagio
economico
,
a
vantaggio
di
utopistiche
concezioni
politiche
alle
quali
non
avrebbe
mai
potuto
adattarsi
,
d
'
altronde
,
la
mentalità
delle
popolazioni
latine
.
Solo
all
'
inizio
del
1922
,
quattro
anni
cioè
dopo
la
fine
della
guerra
ma
solo
due
dalla
completa
smobilitazione
,
il
periodo
burrascoso
si
poteva
dire
avviato
verso
una
reale
ma
pur
sempre
relativa
calma
.
Non
dobbiamo
ora
noi
rifare
la
storia
degli
avvenimenti
dal
1922
ad
oggi
.
Sta
di
fatto
però
che
ora
risorge
in
pieno
il
problema
del
combattentismo
.
E
non
risorge
così
a
caso
ma
determinato
da
ragioni
profonde
che
richiamano
la
considerazione
di
chiunque
voglia
onestamente
esaminare
l
'
odierna
situazione
politica
.
Parrà
strano
,
è
una
osservazione
che
si
prospetta
a
chi
sia
uso
considerare
le
cose
ed
i
fatti
superficialmente
,
che
proprio
oggi
risorga
la
questione
della
ingerenza
politica
dei
combattenti
quando
agli
affari
dello
Stato
è
preposto
un
governo
che
si
proclama
emanazione
diretta
dei
reduci
di
guerra
.
Ma
abbiamo
già
rilevata
l
'
infondatezza
di
una
simile
asserzione
.
Ora
aggiungeremo
poi
che
l
essere
al
governo
degli
individui
che
furono
combattenti
,
non
conduce
all
'
assioma
che
la
politica
svolta
sia
«
combattentistica
»
.
Oggi
ad
esempio
si
verifica
perfettamente
il
contrario
,
dimostrandosi
così
come
gli
attuali
reggitori
della
cosa
pubblica
ispirino
le
loro
azioni
al
programma
politico
del
loro
partito
,
non
praticando
le
considerazioni
che
possono
scaturire
dalla
particolare
mentalità
che
si
è
formata
in
coloro
che
hanno
conosciuta
la
guerra
e
ne
hanno
sofferte
tutte
le
conseguenze
.
Il
fenomeno
del
«
combattentismo
»
con
espresse
finalità
politiche
si
può
dire
appunto
che
si
concretizza
in
antitesi
alla
corrente
politica
oggi
dominante
nelle
supreme
gerarchie
dello
Stato
,
ed
è
precisamente
una
conseguenza
di
uno
stato
di
fatto
per
cui
i
combattenti
furono
condotti
a
dover
precisare
la
loro
particolare
posizione
,
le
loro
aspirazioni
di
fronte
al
paese
.
A
null
'
altro
mirò
infatti
lo
storico
congresso
di
Assisi
col
famoso
ordine
del
giorno
Viola
che
poi
all
'
on
.
Mussolini
non
piacque
.
I
combattenti
,
verso
i
quali
si
erano
andate
polarizzando
la
simpatia
e
la
speranza
della
parte
sana
del
popolo
italiano
,
vollero
con
quella
riunione
nella
terra
di
S
.
Francesco
ricordare
alla
nazione
che
la
guerra
non
poteva
essere
monopolio
di
alcun
partito
perché
sacrificio
di
tutti
gli
italiani
,
ed
ammonire
così
il
capo
dello
Stato
ed
il
capo
del
Governo
che
i
combattenti
come
tali
,
forti
del
loro
passato
di
devozione
patriottica
,
non
potevano
più
oltre
rimanere
indifferenti
al
perdurare
di
una
situazione
,
che
minacciava
quell
'
unità
civica
,
quell
'
eguaglianza
civile
,
universalmente
riconsacrate
dalla
guerra
.
A
tale
atteggiamento
assunto
dai
reduci
di
guerra
vien
mossa
,
lo
sappiamo
,
una
obiezione
:
«
o
perché
mai
i
combattenti
si
schierarono
nel
1924
contro
i
fascisti
mentre
non
si
preoccuparono
di
levare
la
loro
voce
negli
anni
pur
critici
dell
'
immediato
dopo
guerra
?
»
.
Osservazione
che
potrebbe
avere
anche
un
fondamento
se
non
esistesse
il
fatto
che
negli
anni
precedenti
il
1922
il
reduce
di
guerra
,
sotto
tale
sua
specifica
fisionomia
,
non
apparve
mai
nella
vita
politica
nazionale
.
I
cittadini
,
ch
'
erano
stati
soldati
nelle
trincee
,
dimenticarono
,
e
questo
sotto
un
certo
aspetto
fu
un
errore
,
la
solidarietà
contratta
nel
comune
sacrificio
,
e
ognuno
seguì
quella
particolare
tendenza
politica
che
dimostrava
di
poter
maggiormente
dare
assicurazioni
di
proteggere
le
impellenti
rivendicazioni
di
carattere
economico
.
Da
null
'
altra
causa
trasse
origine
la
poderosa
ripresa
del
socialismo
aiutata
indirettamente
dal
contegno
delle
classi
più
abbienti
che
non
compresero
o
capirono
troppo
tardi
la
profonda
evoluzione
morale
che
la
guerra
aveva
prodotto
nel
popolo
.
Oggi
giorno
il
combattentismo
risorge
come
movimento
particolare
ed
autonomo
per
la
ragione
che
i
reduci
di
guerra
non
si
sentono
di
farsi
mallevadori
delle
azioni
di
un
governo
o
di
un
partito
che
si
sono
proclamati
,
non
avendone
alcuna
reale
caratteristica
,
governo
e
partito
dei
combattenti
.
Ciò
è
necessario
per
delimitare
le
singole
responsabilità
nell
'
interno
del
paese
;
ciò
è
indispensabile
per
specificare
di
fronte
all
'
estero
il
vero
e
predominante
pensiero
dei
combattenti
.
Dal
che
appare
come
l
'
azione
politica
«
combattentistica
»
sia
frutto
particolare
di
una
specifica
situazione
,
risoluta
la
quale
il
combattentismo
,
come
oggi
è
inteso
,
non
avrà
più
ragioni
d
'
essere
.
Ché
noi
riteniamo
grave
errore
il
perpetuarsi
in
condizioni
normali
di
una
politica
combattentistica
che
diverrebbe
azione
di
pochi
valorizzata
da
una
denominazione
generica
di
base
vastissima
.
Rimarranno
sempre
però
i
combattenti
anche
nell
'
avvenire
,
una
poderosa
forza
di
riserva
morale
su
cui
il
paese
potrà
contare
nei
momenti
difficili
,
così
come
oggi
avviene
.
Ed
i
cittadini
che
furono
soldati
e
come
tali
seppero
difendere
attraverso
i
più
duri
sacrifici
la
libertà
della
patria
dal
pericolo
dell
'
affermarsi
della
prepotenza
straniera
,
non
si
dorranno
di
ripetere
la
loro
opera
quando
la
libertà
fosse
minacciata
entro
quei
confini
che
il
sangue
dei
soldati
ha
segnato
all
'
Italia
.
Mirabile
connubio
della
disciplina
militare
e
dello
spirito
di
civica
dignità
nel
supremo
sentimento
del
dovere
nazionale
.
StampaPeriodica ,
Sono
almeno
quindici
anni
che
il
movimento
socialista
in
Italia
è
stato
colpito
da
paralisi
intellettuale
.
Gravissimo
fenomeno
di
decadenza
universalmente
rilevato
e
di
cui
oggi
stiamo
scontando
almeno
indirettamente
gli
effetti
.
Mentre
il
corpo
del
partito
si
dilatava
,
il
numero
dei
soci
si
moltiplicava
,
i
seggi
nei
comuni
e
in
Parlamento
aumentavano
,
il
livello
culturale
e
il
fervore
di
vita
intellettuale
venivano
meno
con
un
ritmo
impressionante
.
Causa
immediata
,
ma
superficiale
,
fu
l
'
allontanarsi
dal
movimento
socialista
del
favore
delle
nuove
generazioni
.
Molti
hanno
cercato
di
spiegare
il
fenomeno
,
ma
in
verità
nessuna
delle
ragioni
addotte
sembra
soddisfacente
.
Sono
profondamente
convinto
che
una
delle
cause
principali
della
crisi
è
da
ricercarsi
nella
diffusione
(
e
particolarmente
nel
modo
e
nella
direzione
della
diffusione
)
della
dottrina
marxista
in
Italia
.
Volendo
chiarire
ulteriormente
,
direi
che
l
'
errore
più
grave
consistette
nell
'
assumere
la
dottrina
marxista
a
pensiero
ufficiale
dei
gruppi
e
partiti
socialisti
.
Mi
si
chiederà
:
ma
di
quale
marxismo
intendete
parlare
?
Perché
,
oltre
la
marca
originale
,
v
'
è
una
marca
kautskiana
,
bernsteiniana
,
soreliana
,
mondolfiana
,
per
non
citare
che
le
più
note
.
Ora
,
proprio
in
questa
molteplicità
di
interpretazioni
e
riduzioni
,
che
sarebbero
segno
di
enorme
vitalità
e
libertà
di
pensiero
se
si
limitassero
a
distinguere
diverse
correnti
in
seno
ad
uno
stesso
movimento
che
tutte
le
comprenda
e
le
superi
,
sta
un
altro
fattore
della
crisi
.
Perché
quella
dottrina
che
veniva
assunta
a
pensiero
ufficiale
del
partito
,
a
forza
di
venir
corretta
,
annacquata
,
adulterata
,
o
,
più
semplicemente
,
interpretata
,
finì
per
trasformarsi
in
qualche
cosa
di
così
vago
ed
incerto
da
poter
ad
un
tempo
servire
ad
ogni
frazione
,
dalla
più
barricadiera
alla
più
riformista
;
per
ogni
problema
,
da
quello
più
trascendentale
a
quello
più
concreto
e
materiale
.
A
distanza
di
anni
e
di
mesi
gli
stessi
testi
venivano
usati
,
dalle
diverse
frazioni
succedentisi
al
potere
,
in
senso
radicalmente
diverso
.
Si
ebbero
così
tutti
i
mali
di
una
rigida
codificazione
autoritaria
affidata
in
concreto
alle
edizioni
delle
opere
del
Marx
,
e
tutti
i
mali
della
libera
interpretazione
,
di
fatto
troppo
spesso
affidata
al
primo
scriba
che
volesse
ammannirti
la
centesima
definitiva
edizione
del
pensiero
marxista
.
Nessuno
,
eccettuato
forse
il
Bernstein
,
che
in
questa
questione
vide
più
acutamente
d
'
ogni
altro
,
si
propose
di
veder
con
chiarezza
che
cosa
rimaneva
,
alla
chiusa
dei
conti
,
dopo
tutto
il
revisionismo
di
destra
e
di
sinistra
(
Pareto
,
Croce
,
Labriola
,
Bernstein
,
Turati
,
Merlino
,
Mondolfo
,
Leone
,
Sorel
...
)
del
corpo
originario
.
Si
trattava
,
e
ancor
oggi
si
tratta
,
di
eseguire
un
vero
e
proprio
bilancio
teorico
della
dottrina
marxista
che
,
partendo
da
basi
essenzialmente
scientifiche
e
realistiche
,
collo
scartare
cioè
tutto
ciò
che
è
in
contraddizione
coi
fatti
,
o
in
contraddizione
col
generico
indirizzo
del
partito
e
del
movimento
socialista
,
ci
dicesse
ciò
che
è
vivo
e
ciò
che
è
morto
del
marxismo
.
Tra
l
'
altro
si
verificò
anche
questo
:
che
il
partito
,
mentre
rimaneva
tenacemente
attaccato
alle
vecchie
tavole
,
si
andava
profondamente
modificando
,
specie
in
ordine
ai
metodi
della
lotta
.
E
,
al
pari
del
pigro
imbianchino
che
applica
il
nuovo
colore
sul
vecchio
,
cosicché
avviene
che
questo
,
a
distanza
di
tempo
,
intorbidi
quello
,
così
molti
socialisti
italiani
,
anziché
riconoscere
coraggiosamente
che
,
dopo
le
numerosissime
critiche
anche
da
loro
personalmente
ed
acutamente
avanzate
,
meglio
valeva
far
punto
e
da
capo
,
rinunziando
al
biglietto
d
'
ingresso
nel
tempio
marxista
,
si
accontentarono
di
riverniciare
a
nuovo
le
pareti
,
di
mutarne
le
porte
e
l
'
impiantito
.
Infatti
,
dopo
aver
preso
atto
delle
svariate
e
profondissime
critiche
che
scalzavano
sin
dalle
basi
alcuni
degli
antichi
principi
,
ci
si
continuò
bellamente
a
professare
marxisti
,
conchiudendo
con
un
atto
di
fede
(
segno
troppo
spesso
di
volgare
pigrizia
intellettuale
)
ciò
che
doveva
essere
un
atteggiamento
fondato
sulla
pura
ragione
.
Intanto
la
tara
a
peso
lordo
dell
'
originaria
dottrina
,
tara
sempre
sottintesa
e
mai
dichiarata
apertamente
,
venne
facendosi
sempre
più
imponente
e
radicale
;
la
scatola
rimaneva
e
il
contenuto
scompariva
lentamente
.
Lo
spazio
per
un
articolo
è
così
breve
,
che
io
non
mi
propongo
davvero
di
tentare
un
cotesto
bilancio
;
mi
limiterò
a
darne
sinteticamente
i
risultati
,
quei
risultati
meno
contrastati
e
per
nulla
originali
,
che
ognuno
avrà
agio
di
controllare
personalmente
,
anche
senza
uscire
dalla
collezione
della
«
Critica
sociale
»
.
Alla
definitiva
condanna
della
teoria
del
valore
doveva
seguire
quella
delle
«
crisi
»
,
della
«
miseria
crescente
»
,
dell
'
«
accentramento
capitalistico
»
,
della
«
scomparsa
delle
classi
medie
»
,
della
«
dittatura
del
proletariato
»
,
del
troppo
radicale
«
internazionalismo
»
,
della
«
funzione
della
violenza
»
.
In
una
parola
:
si
respingeva
tutto
ciò
che
costituiva
la
parte
positiva
del
socialismo
marxista
,
un
po
'
frutto
delle
tendenze
dell
'
epoca
,
un
po
'
infelicissimo
frutto
della
dialettica
hegeliana
,
e
una
notevole
parte
del
lato
negativo
in
ordine
alla
critica
della
economia
capitalistica
.
Si
veniva
così
chiaramente
delineando
una
distinzione
tra
l
'
opera
del
Marx
scienziato
e
l
'
opera
del
Marx
uomo
di
parte
,
di
fede
e
di
passione
.
Che
cosa
dunque
rimaneva
?
Io
direi
che
rimanevano
pressoché
intatti
i
due
caposaldi
del
pensiero
marxista
,
i
due
piloni
centrali
:
materialismo
storico
e
lotta
di
classe
.
Questo
è
il
monumento
imperituro
eretto
alla
memoria
di
Carlo
Marx
,
anche
se
sono
da
rigettarsi
la
troppo
larga
estensione
da
lui
data
alla
teoria
ed
alcune
tendenze
troppo
piattamente
materialistiche
,
per
lo
meno
nelle
espressioni
usate
.
Ma
nel
frattempo
,
dal
'73
al
'923
,
è
intervenuto
un
fatto
nuovo
e
rivoluzionatore
.
Tanto
la
teoria
economica
della
storia
,
quanto
la
teoria
della
lotta
di
classe
(
la
quale
in
realtà
non
costituisce
che
un
addentellato
importantissimo
della
prima
)
facevano
,
più
o
meno
integralmente
,
più
o
meno
chiaramente
,
il
loro
ingresso
nel
campo
scientifico
,
indipendentemente
da
partiti
e
da
chiese
;
venivano
sempre
più
considerati
quali
valori
obbiettivi
acquisiti
alla
coscienza
moderna
.
Si
può
essere
marxisti
senza
essere
socialisti
Liberali
e
nazionalisti
,
in
parte
gli
stessi
cattolici
,
già
riconoscono
il
fatto
lotta
di
classe
e
la
verità
del
materialismo
storico
,
sia
pure
con
la
limitazione
crociana
di
canone
di
interpretazione
;
filosofi
idealisti
,
come
il
Croce
,
che
così
grande
influsso
ebbe
ad
esercitare
sulla
cultura
italiana
,
furono
tra
i
primi
a
riconoscere
il
grande
valore
del
marxismo
;
la
nuova
scuola
storica
,
la
cosiddetta
scuola
economico
-
giuridica
,
che
annovera
tra
i
suoi
maggiori
il
Volpe
ed
il
Salvemini
,
accetta
questi
due
elementi
del
pensiero
marxista
come
principi
fondamentali
di
metodo
storico
.
Basta
d
'
altronde
aprire
un
giornale
,
sfogliare
una
rivista
,
intrattenersi
con
uno
studioso
di
scienze
sociali
,
intervistare
il
man
in
the
street
,
per
convincersi
che
molto
sangue
di
Marx
si
è
silenziosamente
trasfuso
nel
cuore
degli
stessi
più
acerrimi
nemici
delle
dottrine
di
lui
.
Quale
trionfo
più
grandioso
poteva
attendersi
da
un
'
opera
affidata
alle
speranze
di
una
classe
insorgente
,
in
scritti
frammentari
e
troppo
spesso
contraddittori
?
Ma
con
ciò
non
è
detto
che
oggi
l
'
essere
marxisti
voglia
dire
essere
socialisti
.
Il
fatto
che
scrittori
conservatori
come
il
Pareto
,
dotato
di
profondo
spirito
critico
,
abbiano
potuto
accettare
questa
parte
della
dottrina
marxista
,
conferma
a
chiare
note
che
si
può
essere
marxisti
senza
essere
socialisti
.
Questo
mi
sembra
un
punto
fondamentale
sul
quale
è
necessario
insistere
sino
alla
noia
.
Quello
che
di
veramente
positivo
in
senso
socialista
conteneva
il
pensiero
marxista
è
unanimemente
rigettato
,
o
perché
in
troppo
stridente
contraddizione
con
la
realtà
,
o
perché
in
urto
con
le
nuove
tendenze
liberali
democratiche
;
ma
nessuno
pensò
di
compiere
questa
elementare
operazione
di
sottrazione
e
di
interpretazione
del
risultato
.
Il
marxismo
ci
appare
oggi
più
come
un
principio
metodico
per
l
'
interpretazione
della
storia
,
che
una
vera
e
propria
filosofia
dell
'
azione
operaia
.
Principio
metodico
sempre
più
universalmente
accettato
quale
verità
obbiettiva
.
Ora
è
il
caso
di
domandarsi
:
v
'
è
qualcuno
che
,
parlando
di
geometria
o
di
fisica
,
si
professi
seguace
di
Euclide
o
di
Archimede
,
anche
se
diverse
possono
essere
le
opinioni
sulla
importanza
relativa
e
sull
'
originalità
del
loro
contributo
alla
scienza
?
Quelli
stessi
che
sostengono
la
grandiosità
del
contributo
non
sentono
davvero
la
necessità
di
assumere
una
tale
etichetta
.
Perché
la
etichetta
mi
si
passi
la
metafora
serve
generalmente
a
denotare
una
posizione
di
battaglia
in
difesa
di
principi
cui
siano
contrapposti
principi
diversi
,
senza
che
sia
possibile
stabilire
per
il
momento
da
qual
lato
stiano
verità
e
ragione
.
Così
oggi
abbiamo
i
seguaci
e
gli
oppositori
di
Einstein
,
ma
non
quelli
di
Galileo
;
e
il
giorno
in
cui
le
affermazioni
einsteiniane
risultassero
pienamente
accertate
,
la
scuola
tramonterà
e
non
vorrà
richiamarsi
al
suo
nome
,
che
più
non
sarà
simbolo
di
lotta
e
di
divisione
.
Essere
marxisti
,
oggi
,
non
esprime
dunque
gran
che
,
salvo
che
non
si
tratti
di
designare
con
quel
nome
quei
socialisti
,
abbastanza
numerosi
tuttora
,
che
di
Marx
assumono
dogmaticamente
verità
ed
errori
,
o
che
ne
deformano
l
'
interpretazione
riducendo
tutta
la
sua
filosofia
della
storia
ad
un
volgare
determinismo
.
V
'
è
infine
un
lato
della
questione
,
riguardante
da
presso
i
socialisti
gradualisti
,
che
rafforza
grandemente
questa
tesi
.
I
socialisti
gradualisti
e
democratici
sono
in
profondo
contrasto
con
tutto
lo
spirito
informatore
dell
'
opera
marxistica
.
Per
quanti
tentativi
di
conciliazione
si
possano
fare
,
la
dimostrazione
del
contrario
non
è
stata
mai
data
né
mai
potrà
darsi
.
Ma
,
se
anche
si
riuscisse
,
attraverso
inutili
sforzi
dialettici
,
a
provare
che
il
Marx
fu
in
sostanza
un
socialista
democratico
e
liberale
e
che
il
marxismo
,
nella
sua
parte
positiva
e
socialistica
,
in
nulla
vi
contrasta
,
allora
davvero
potremmo
a
buon
diritto
dire
:
poi
che
nel
marxismo
tutto
è
compreso
,
rivoluzionarismo
e
riformismo
,
materialismo
e
idealismo
,
dittatura
e
democrazia
,
liberalismo
e
tirannia
,
inutile
riferirsi
al
marxismo
!
Meglio
,
mille
volte
meglio
,
un
sano
empirismo
all
'
inglese
piuttosto
che
questo
cieco
e
tortuoso
dogmatismo
.
Da
tutto
ciò
balza
evidente
ed
imperiosa
la
conclusione
,
che
intanto
non
ha
senso
l
'
affermazione
essere
il
partito
socialista
un
partito
marxista
,
poi
che
il
marxismo
,
per
concorde
riconoscimento
,
nel
suo
valore
reale
ed
attuale
non
solo
è
diventato
,
o
è
sulla
via
di
diventare
,
patrimonio
universale
,
ma
non
indica
neppure
alcuna
tendenza
precisa
in
ordine
al
fine
ed
al
metodo
.
E
,
se
questo
è
vero
,
concesso
che
ad
un
partito
non
spetta
mai
l
'
opera
dello
storico
ma
piuttosto
quella
di
fare
la
storia
,
preparandone
ed
elaborandone
la
materia
prima
,
risulta
chiaro
che
i
principî
marxistici
,
fondamento
essenziale
per
l
'
interpretazione
delle
umane
vicende
,
hanno
da
passare
e
passano
automaticamente
in
seconda
linea
quando
si
tratti
di
agire
in
concreto
e
di
assumere
decisioni
positive
in
ordine
a
problemi
,
che
son
diversi
da
paese
a
paese
,
e
rapidamente
mutevoli
nel
tempo
.
Esistono
d
'
altronde
alcune
cause
,
in
parte
costanti
e
in
parte
contingenti
,
che
consigliano
l
'
abbandono
di
questa
tendenza
dogmatica
del
partito
,
di
questa
spesso
inconscia
ma
continua
subordinazione
dell
'
azione
concreta
d
'
un
movimento
di
masse
ad
una
rigida
teoria
.
Un
partito
ha
bisogno
di
un
grado
estremo
di
elasticità
,
di
una
grande
libertà
di
atteggiamenti
,
anche
se
è
necessario
che
mantenga
una
chiara
e
coerente
linea
di
condotta
nel
tempo
.
Un
partito
legato
ad
un
corpo
rigido
di
dottrine
finisce
per
appesantirsi
,
per
muoversi
con
una
lentezza
esasperante
,
sì
che
,
attaccato
da
una
tribù
di
veloci
predatori
,
risponde
a
destra
quando
già
l
'
attacco
si
è
spostato
a
sinistra
.
Questa
immagine
si
presentò
chiara
alla
mente
dell
'
osservatore
,
soprattutto
nel
dopo
guerra
,
in
ordine
a
due
serie
di
avvenimenti
:
rivoluzione
russa
e
lotta
tra
fascisti
e
socialisti
.
Si
è
dimostrato
,
con
una
meravigliosa
abbondanza
di
citazioni
,
che
la
rivoluzione
russa
è
in
flagrante
contraddizione
con
le
previsioni
del
marxismo
,
e
si
è
preteso
dedurne
che
era
vano
attendere
che
in
Russia
si
consolidasse
il
regime
comunistico
.
Effettivamente
la
rivoluzione
russa
si
è
ribellata
alle
formule
marxistiche
,
in
quanto
è
scoppiata
in
un
paese
di
civiltà
arretrata
e
in
un
periodo
in
cui
non
c
'
era
certo
sovrapproduzione
.
Ma
se
pure
eran
chiare
(
e
più
son
chiare
oggi
)
le
ragioni
per
cui
il
comunismo
integrale
dei
primi
anni
doveva
fatalmente
tramontare
,
è
tuttavia
certo
che
restano
sempre
da
compiersi
,
nel
solco
di
quella
rivoluzione
,
sforzi
utilissimi
in
senso
socialista
.
Perché
in
certi
momenti
occorre
accettare
le
condizioni
ambientali
nelle
quali
,
per
eventi
difficilmente
prevedibili
e
regolabili
,
ci
si
è
venuti
a
trovare
.
L
'
importante
,
dal
punto
di
vista
riformista
,
non
sta
nel
differenziarsi
in
ordine
alla
interpretazione
del
fenomeno
,
prendendo
atto
via
via
nel
caso
citato
della
liquidazione
fallimentare
della
rivoluzione
e
producendo
le
prove
del
sorgere
del
nuovo
spirito
capitalistico
nella
Repubblica
dei
Soviet
,
per
concludere
infine
con
un
inno
al
marxismo
;
ma
nel
differenziarsi
chiaramente
in
ordine
ad
un
fatto
fondamentale
:
la
dittatura
che
imperversa
in
Russia
,
l
'
assenza
di
un
regime
democratico
e
liberale
,
senza
peraltro
mai
dimenticare
quelle
che
possono
essere
state
le
dolorose
necessità
storiche
di
un
moto
rivoluzionario
in
un
paese
come
la
Russia
.
Nel
giudizio
e
nell
'
atteggiamento
riformista
rispetto
alla
rivoluzione
russa
,
la
troppo
stretta
aderenza
alle
formule
marxiste
ha
fatto
sì
che
si
condannasse
aprioristicamente
,
quasi
prima
che
nascesse
,
un
fenomeno
che
conteneva
e
contiene
tuttora
in
sé
maravigliosi
germi
di
vita
e
di
rinnovamento
.
Dichiaro
francamente
che
sarei
felicissimo
che
le
formule
marxistiche
risultassero
erronee
,
purché
la
rivoluzione
russa
conducesse
alla
stabilizzazione
di
un
regime
gradualmente
socialista
.
Riconosco
che
le
probabilità
attuali
sono
limitatissime
;
ma
il
compito
d
'
un
socialista
sta
non
nel
sabotare
quel
piccolo
fattore
di
probabilità
,
ma
al
contrario
,
nel
rafforzarlo
.
Il
secondo
avvenimento
che
dimostrò
l
'
impotenza
socialista
anche
dal
lato
intellettuale
fu
la
lotta
tra
fascisti
e
socialisti
.
Non
si
creda
,
per
carità
,
che
voglia
arrecare
a
conforto
della
mia
tesi
il
camaleontismo
di
Mussolini
e
dei
suoi
seguaci
.
Ma
,
tutto
sommato
,
sembra
che
,
tra
quel
camaleontismo
e
la
rigidezza
,
la
cecità
,
l
'
abulica
mummificazione
serratiana
,
v
'
era
e
v
'
è
tuttora
la
possibilità
di
un
atteggiamento
intermedio
.
Mentre
gli
uni
pestavano
,
gli
altri
(
non
tutti
,
s
'
intende
,
per
fortuna
)
strillavano
che
non
v
'
era
nulla
da
fare
,
che
eravamo
di
fronte
ad
un
fenomeno
internazionale
,
ad
una
crisi
fisiologica
propria
del
mondo
capitalistico
,
quasi
che
la
disfatta
risultasse
in
tal
modo
più
onorevole
e
meno
dolorosa
,
e
come
se
in
qualche
Stato
cotesta
reazione
non
avesse
dovuto
avere
il
suo
inizio
isolato
.
Nell
'
atteggiamento
di
molti
socialisti
,
tra
il
1919
e
il
1922
,
era
troppo
chiara
l
'
influenza
di
quel
fatalismo
cosiddetto
marxista
,
che
deriva
da
una
erronea
,
per
quanto
spiegabilissima
,
interpretazione
degli
scritti
più
conosciuti
di
Marx
.
Sarebbe
facile
continuare
coll
'
esemplificazione
;
ma
è
tempo
di
stringere
le
fila
del
discorso
.
Erronea
funzione
del
marxismo
in
seno
al
movimento
socialista
L
'
errore
fu
di
assumere
il
marxismo
a
termine
comune
di
partenza
,
di
paragone
,
di
arrivo
.
Si
finì
per
muoversi
in
un
campo
intellettualmente
chiuso
.
Tutto
era
orientato
in
un
unico
senso
;
tutte
le
discussioni
teoriche
concludevano
fatalmente
con
una
interpretazione
dell
'
opera
marxista
.
Ogni
controversia
,
ogni
questione
,
per
quanto
estranea
all
'
originario
corpo
dottrinale
,
ogni
fatto
,
financo
,
che
si
ribellasse
alle
linee
prevedute
e
volute
dell
'
evoluzione
,
veniva
riportato
,
a
forza
di
dialettica
,
nell
'
angusto
quadrato
della
teoria
,
o
condannato
e
trascurato
senz
'
altro
.
Insensibilmente
si
andò
creando
una
scuola
e
,
più
che
una
scuola
,
una
setta
,
con
una
sua
logica
,
disciplina
,
dialettica
,
munita
del
divino
specifico
buono
per
tutti
i
casi
e
che
stava
di
casa
nei
cinque
o
sei
volumi
,
editi
dal1'
«
Avanti
!
»
,
delle
opere
di
Marx
e
di
Engels
.
Una
setta
che
ad
ogni
costo
voleva
ospitare
nell
'
antico
edificio
le
nuove
tendenze
assolutamente
inconciliabili
con
le
antiche
,
che
contorceva
la
realtà
pur
di
collocarla
nel
gran
quadro
teorico
.
Una
nuova
Chiesa
,
insomma
,
colla
sua
pattuglia
di
filosofi
scolastici
,
solo
preoccupati
di
salvare
la
forma
e
il
metodo
a
dispetto
della
sostanza
.
Nei
congressi
,
anche
nei
periodi
più
dolorosi
,
anche
sotto
la
sferza
dei
colpi
e
delle
vittorie
fasciste
,
non
ci
si
batteva
,
no
,
sulle
questioni
concrete
e
veramente
essenziali
,
a
colpi
di
dati
,
di
cifre
,
di
fatti
,
ma
a
forza
di
citazioni
,
di
interpretazioni
,
di
sforzi
esegetici
.
Si
rileggano
i
discorsi
tenuti
nei
congressi
di
Bologna
,
di
Livorno
,
di
Milano
,
e
in
tutti
gli
altri
congressi
prebellici
.
Libero
scambio
,
suffragio
universale
,
educazione
popolare
,
sindacati
,
cooperative
,
politica
estera
in
genere
,
problemi
vitali
che
occorreva
esaminare
e
risolvere
con
spirito
realistico
,
strettamente
adeguando
l
'
azione
del
partito
a
quelli
che
sono
i
concreti
bisogni
di
una
particolare
collettività
in
un
determinato
momento
storico
,
finirono
per
essere
regolarmente
trascurati
,
o
semplicisticamente
esaminati
e
risolti
alla
luce
esclusiva
dei
principi
marxistici
.
Si
dimenticarono
così
il
Mezzogiorno
e
troppi
centri
rurali
;
la
politica
socialista
fu
talvolta
la
politica
dei
gruppi
operai
del
Settentrione
;
e
ciò
manifestamente
anche
per
l
'
influsso
di
ragioni
teoriche
.
Era
chiaro
che
,
una
volta
che
il
socialismo
poteva
svilupparsi
solo
nei
centri
di
avanzata
civiltà
capitalistica
,
e
che
tale
civiltà
capitalistica
era
una
tappa
necessaria
nella
evoluzione
dei
popoli
,
l
'
unica
politica
era
quella
delle
braccia
incrociate
.
E
intanto
gli
altri
partiti
,
e
il
popolare
in
ispecie
,
mietevano
.
E
il
problema
morale
?
Non
venne
forse
egualmente
trascurato
,
direi
anzi
colposamente
ignorato
?
E
quei
pochi
,
in
genere
riformisti
,
che
attivamente
si
adoprarono
in
tal
senso
,
sanno
quanto
dovettero
faticare
per
trionfare
quando
trionfarono
della
generale
apatia
.
Col
sorgere
di
questa
nuova
Chiesa
,
coi
suoi
miti
,
colle
sue
formule
,
coi
suoi
martiri
,
col
suo
profeta
,
anche
gli
individui
più
autonomi
,
dotati
d
'
ingegno
originale
e
costruttivo
e
che
in
una
atmosfera
di
libertà
reale
avrebbero
potuto
darci
opere
rivoluzionatrici
,
furono
attratti
nell
'
atmosfera
viziosa
del
dogma
e
della
sua
interpretazione
,
sì
che
,
a
forza
di
aggirarsi
nella
morta
gora
e
di
battagliare
intorno
alla
prefazione
del
Per
la
critica
dell
'
economia
politica
e
al
Manifesto
dei
Comunisti
,
vennero
progressivamente
perdendo
la
loro
originaria
capacità
.
Molti
si
allontanarono
dal
movimento
,
altri
si
trassero
in
disparte
.
I
giovani
ebbero
l
'
impressione
che
l
'
ingresso
nel
partito
significasse
indossare
una
terribile
cappa
di
piombo
annichilente
ogni
personalità
,
una
preventiva
rinunzia
a
qualunque
libertà
spirituale
,
il
divieto
di
orientarsi
verso
direzioni
nuove
.
L
'
imposizione
,
in
una
parola
,
di
un
ritmo
obbligato
di
pensiero
e
di
azione
.
Ed
oggi
,
nel
nuovo
partito
,
le
cose
sono
veramente
mutate
?
Il
marxismo
occupa
ufficialmente
la
posizione
antica
?
Dalla
tessera
,
dove
è
riprodotto
il
programma
del
1892
,
quando
ancora
il
revisionismo
era
di
là
da
venire
,
e
Bebel
e
Kautsky
erano
i
capi
spirituali
del
movimento
socialista
mondiale
,
e
dal
fatto
che
gli
uomini
che
dirigono
attualmente
il
movimento
appartennero
tutti
al
vecchio
partito
,
dovremmo
giudicare
che
nulla
vi
è
di
mutato
,
che
nulla
si
vuol
mutare
?
Spero
di
no
,
credo
di
no
!
Certo
però
che
un
legittimo
dubbio
rimane
sino
a
che
non
ci
si
pronunzierà
chiaramente
intorno
a
queste
questioni
.
Il
fatto
che
i
riformisti
abbiano
dovuto
combattere
tante
e
così
aspre
battaglie
contro
i
loro
colleghi
massimal
-
comunisti
per
ottenere
il
diritto
alla
critica
,
il
fatto
che
abbiano
tanto
insistito
per
porre
in
rilievo
il
nome
del
nuovo
partito
(
Unitario
)
,
affermando
sin
dall
'
inizio
di
voler
rispettare
ed
accogliere
le
frazioni
dissidenti
purché
concordi
genericamente
,
sono
tutti
sintomi
confortanti
.
La
stessa
«
Critica
»
da
qualche
mese
a
questa
parte
ha
aperto
largamente
le
sue
colonne
agli
eretici
.
Ancora
uno
sforzo
,
un
deciso
mutamento
di
rotta
in
senso
schiettamente
liberale
,
e
si
potrà
confidare
nelle
possibilità
di
un
domani
non
lontano
.
In
un
articolo
recente
il
Weiss
si
è
dichiarato
recisamente
contrario
alla
vecchia
politica
dei
blocchi
per
la
libertà
.
Non
ho
capito
bene
se
la
critica
voleva
essere
solo
di
metodo
(
blocco
)
o
anche
di
fine
(
lotta
per
la
libertà
)
.
L
'
articolista
si
augurava
che
un
nuovo
periodo
revisionistico
,
serio
e
coraggioso
,
volto
soprattutto
alla
formulazione
di
un
programma
minimo
,
si
inaugurasse
nel
partito
unitario
.
Ora
io
ritengo
che
le
possibilità
revisionistiche
siano
in
relazione
strettissima
coll
'
atmosfera
di
libertà
intellettuale
in
seno
al
partito
.
Si
tratta
pur
sempre
di
un
problema
di
libertà
,
del
trionfo
cioè
del
metodo
liberale
,
sia
all
'
interno
che
all
'
esterno
del
partito
.
Quando
all
'
atteggiamento
dogmatico
succede
l
'
atteggiamento
critico
,
il
rinnovamento
è
già
in
atto
.
Sarebbe
invece
inutile
voler
accingersi
alla
compilazione
di
minuziosi
ed
elaborati
programmi
concreti
,
certamente
indispensabili
,
come
propone
il
Weiss
,
quando
fa
difetto
quel
largo
spinto
liberale
cui
sopra
accennavo
.
Non
occorre
dunque
trasformarsi
tutti
in
accaniti
volontaristi
,
o
in
empirici
all
'
inglese
,
o
proporsi
di
creare
una
nuova
filosofia
ufficiale
dell
'
azione
operaia
.
Che
ognuno
sia
veramente
libero
,
una
volta
che
abbia
genericamente
accettati
i
metodi
e
gli
scopi
del
partito
,
di
pensare
a
suo
modo
.
E
,
perché
ciò
avvenga
(
ecco
il
punto
!
)
e
perché
non
si
tratti
di
una
frase
retorica
,
occorre
che
il
partito
smetta
le
vecchie
vesti
,
rifiuti
la
vecchia
etichetta
,
sia
non
socialista
marxista
,
ma
semplicemente
socialista
.
Si
parla
tanto
della
necessità
di
rinvigorirne
le
file
coll
'
immissione
di
nuovo
sangue
giovanile
,
e
sono
certo
che
ai
discorsi
corrisponde
un
desiderio
preciso
.
Né
mancano
per
fortuna
,
in
vari
centri
,
gruppi
di
giovani
desiderosi
di
far
confluire
in
un
movimento
di
masse
le
loro
aspirazioni
ideali
e
la
loro
volontà
di
azione
.
Molti
di
essi
fecero
capo
un
giorno
ai
gruppi
cosiddetti
«
salveminiani
»
;
oggi
vivono
in
uno
sdegnoso
e
fiero
isolamento
,
tenacissimi
avversari
dei
vincitori
.
Bisogna
conquistarsi
la
simpatia
di
cotesti
gruppi
.
Per
quanto
in
numero
limitato
,
essi
costituiscono
una
grande
forza
in
un
paese
così
povero
di
élites
come
il
nostro
.
Sono
frequentemente
sulla
grande
linea
del
pensiero
democratico
-
socialista
,
ma
ognuno
ha
il
suo
particolare
carattere
e
,
se
volete
,
la
sua
particolare
eresia
.
Non
basta
dir
loro
:
entrate
liberamente
.
Occorre
,
in
un
certo
senso
,
andar
loro
incontro
,
dimostrando
che
l
'
ambiente
,
l
'
atmosfera
,
è
radicalmente
e
definitivamente
mutata
.
Non
basta
correggere
la
intestazione
degli
articoli
di
fondo
,
o
il
testo
degli
ordini
del
giorno
nei
comizi
e
in
Parlamento
,
ma
bisogna
dimostrare
che
il
cambiamento
è
avvenuto
negli
spiriti
,
nelle
coscienze
,
che
una
diversa
,
più
critica
visione
della
vita
e
della
lotta
politica
è
subentrata
.
Basta
coi
dogmi
,
con
le
frasi
fatte
,
con
le
vecchie
formule
.
Mentre
i
marosi
incalzano
da
ogni
parte
e
il
navicello
traballa
,
una
ferma
volontà
di
sottoporsi
ancora
una
volta
al
vaglio
crivellatore
della
critica
,
di
rivedere
tanti
postulati
che
sembrano
intangibili
,
di
fare
un
processo
al
passato
onde
evitare
i
medesimi
errori
per
l
'
avvenire
,
sarebbe
prova
di
profondo
rinnovamento
.
StampaPeriodica ,
Il
7
novembre
1917
il
piccolo
nucleo
dei
rivoluzionari
bolscevichi
2.000
in
tutta
la
Russia
riusciva
con
audacissima
azione
a
impadronirsi
del
potere
nel
più
grande
Stato
unitario
della
terra
.
Gli
spalancò
la
via
non
tanto
la
forza
delle
armi
,
quanto
il
crollo
del
vecchio
apparato
statale
zarista
avvenuto
nel
marzo
e
l
'
ansia
di
pace
e
di
terra
dei
contadini
soldati
.
È
probabile
che
i
bolscevichi
fossero
all
'
epoca
più
gli
interpreti
che
i
creatori
di
una
situazione
.
Ma
essi
seppero
antivedere
la
direzione
dell
'
onda
sociale
formidabile
che
tutti
poteva
travolgere
sul
suo
cammino
,
loro
eccettuati
;
loro
che
appunto
in
ragione
di
quella
audacia
riuscirono
a
riordinare
le
acque
sconvolte
,
anzi
a
così
solidamente
arginarle
da
impedire
anche
le
più
lievi
increspature
.
Sotto
la
dittatura
grandi
cose
furono
compiute
in
questi
diciassette
anni
.
Spezzata
la
controrivoluzione
,
spodestato
il
profitto
e
vinta
la
fame
terribile
degli
inizi
si
costruì
una
grande
industria
di
stato
,
si
collettivizzarono
le
campagne
,
si
educarono
diecine
di
milioni
di
giovani
.
La
stabilità
insolente
del
regime
sovietico
,
comunque
si
voglia
giudicarlo
,
umilia
il
mondo
borghese
.
Esso
fornisce
l
'
alternativa
,
costituisce
una
sfida
.
E
l
'
alternativa
,
la
sfida
,
la
dialettica
,
dei
principi
e
delle
esperienze
,
furono
e
saranno
sempre
sorgenti
di
liberazione
e
di
perfezionamento
.
Ma
si
attuò
il
socialismo
?
Neppure
i
bolscevichi
osano
sostenerlo
.
La
loro
pretesa
è
che
la
via
sulla
quale
si
sono
messi
è
la
via
buona
,
anzi
l
'
unica
via
che
porti
al
socialismo
.
Si
può
discutere
:
non
già
perché
la
via
sia
durissima
,
ma
perché
troppo
spesso
costringe
a
marciare
in
una
direzione
contraria
alle
méta
.
Il
socialismo
non
è
dittatura
,
non
è
iper
-
Stato
,
non
ammette
il
freddo
sacrificio
di
più
generazioni
d
'
uomini
a
piani
imposti
dall
'
alto
;
soprattutto
non
si
concilia
con
l
'
obbedienza
passiva
dei
più
.
Nel
migliore
dei
casi
bisogna
ammettere
che
si
è
ancora
lontani
,
molto
lontani
dal
socialismo
in
Russia
.
Il
socialismo
fu
sempre
concepito
come
l
'
attuazione
integrale
del
principio
di
libertà
,
come
umanesimo
totale
.
La
violenza
,
le
terribili
discipline
,
le
socializzazioni
,
i
piani
,
si
presentano
,
nei
confronti
del
socialismo
,
come
dei
mezzi
,
alcuni
indispensabili
,
altri
discutibili
,
ma
pur
sempre
dei
mezzi
da
porsi
al
servizio
dell
'
uomo
.
Che
cosa
è
allora
un
socialismo
senza
libertà
,
uno
Stato
socialista
che
non
può
vivere
se
non
eternando
la
dittatura
?
È
un
socialismo
che
dalle
cose
non
è
ancora
passato
nelle
coscienze
,
che
anzi
per
rivoluzionare
le
cose
è
costretto
ad
opprimere
le
coscienze
:
è
uno
Stato
che
,
pur
proponendosi
di
liberarla
,
schiaccia
la
società
.
Ecco
perché
noi
,
pur
riconoscendo
che
la
rivoluzione
di
ottobre
di
cui
la
Russia
celebra
in
questi
giorni
l
'
anniversario
,
è
un
evento
che
apre
una
epoca
nuova
nella
storia
dell
'
umanità
,
pur
affermando
che
la
caduta
del
regime
sovietico
costituirebbe
una
tremenda
jattura
che
dobbiamo
concorrere
ad
evitare
,
e
che
la
sua
esperienza
è
decisiva
per
tutti
i
movimenti
rivoluzionari
,
noi
non
riusciamo
ad
esaltarci
nel
ricordo
esclusivo
di
Ottobre
.
Ciò
che
ci
esalta
,
ciò
che
profondamente
sentiamo
,
è
invece
la
grande
epopea
della
Rivoluzione
Russa
.
Chi
abbatté
lo
zarismo
?
Chi
ne
minò
le
fondamenta
morali
e
politiche
?
Chi
fece
del
proletariato
di
Mosca
e
di
Pietroburgo
l
'
avanguardia
della
classe
operaia
mondiale
?
Chi
portò
tra
i
contadini
la
speranza
in
un
Millennio
che
dai
cieli
dei
Popi
si
trasferiva
sulle
terre
di
questa
terra
?
Chi
?
Il
partito
bolscevico
?
È
troppo
poco
.
I
bolscevichi
raccolsero
per
tutti
:
forse
era
fatale
che
fosse
così
.
Ma
quanti
prima
di
loro
,
con
loro
e
anche
dopo
di
loro
,
oggi
dimenticati
e
magari
diffamati
,
lavorarono
e
morirono
per
la
Rivoluzione
Russa
?
Decembristi
che
col
loro
martirio
provarono
l
'
utopia
di
una
trasformazione
liberale
dell
'
impero
;
santi
maledetti
che
si
levarono
soli
,
tra
l
'
indifferenza
e
l
'
ostilità
universali
,
a
predicare
il
nuovo
verbo
,
morendo
negli
esilii
e
nelle
galere
;
Herzen
che
da
Londra
faceva
giungere
il
suono
della
sua
Campana
nella
patria
lontana
,
finché
anche
quel
suono
non
fu
più
ascoltato
;
Bakunin
,
cavaliere
errante
della
rivoluzione
;
Netchaieff
e
la
lunga
tragica
serie
dei
terroristi
impiccati
,
tra
cui
il
fratello
di
Lenin
,
o
seppelliti
per
venti
anni
consecutivi
in
galera
,
come
la
Figner
;
la
stupenda
fioritura
di
scrittori
che
alla
rivoluzione
portarono
il
fermento
e
la
consacrazione
dell
'
arte
;
le
migliaia
di
giovani
che
rinunciarono
alla
loro
classe
per
«
andare
al
popolo
»
;
gli
operai
,
affratellati
con
gli
intellettuali
nei
circoli
segreti
,
che
dopo
il
1900
trascineranno
la
massa
in
epici
scioperi
,
che
nel
1905
si
drizzeranno
in
piedi
e
saranno
schiacciati
,
ma
che
proseguiranno
la
lotta
e
nel
1917
vivranno
la
breve
illusione
di
una
liberazione
gioiosa
e
poi
,
a
ottobre
,
dovranno
rassegnarsi
a
recare
un
ordine
duro
e
terribile
nel
caos
minacciante
affinché
tutto
non
andasse
perduto
e
tre
generazioni
di
giovani
non
si
fossero
sacrificate
invano
.
Tutto
questo
e
molto
più
di
questo
è
la
Rivoluzione
Russa
.
È
questa
Rivoluzione
che
noi
vogliamo
ricordata
,
che
noi
esaltiamo
,
non
già
in
contrapposto
alla
rivoluzione
di
ottobre
,
ma
oltre
,
più
in
alto
di
Ottobre
,
perché
in
essa
,
negli
uomini
e
nei
movimenti
che
la
prepararono
e
la
condussero
a
un
primo
inizio
ritroviamo
i
nostri
maestri
e
i
motivi
fondamentali
che
ci
animano
nella
lotta
.
Siamo
consapevoli
della
difficoltà
,
della
complessità
del
nostro
atteggiamento
di
fronte
alla
Russia
Sovietica
.
Più
semplice
sarebbe
esaltarla
senza
riserve
,
come
fanno
i
comunisti
.
L
'
adesione
totale
consente
loro
di
appoggiarsi
a
uno
Stato
,
assicura
loro
un
grande
potere
di
attrazione
e
di
propaganda
.
Il
loro
programma
,
straordinariamente
concreto
,
si
riassume
in
una
frase
:
fare
altrove
,
fare
in
Italia
ciò
che
fu
fatto
,
ciò
che
si
fa
in
Russia
.
Mai
dei
rivoluzionari
furono
tanto
convincenti
e
realisti
.
Ma
possono
i
rivoluzionari
,
nella
fase
di
attacco
,
aderire
senza
discriminazioni
,
senza
critiche
a
un
ordine
positivo
e
limitato
così
lontano
dall
'
ideale
a
cui
si
richiamano
,
a
un
ordine
ancora
fonte
di
tante
ingiustizie
ed
errori
;
a
uno
Stato
,
a
una
politica
,
a
una
diplomazia
,
a
una
ragion
di
Stato
?
Porre
la
questione
è
risolverla
.
I
rivoluzionari
non
possono
fare
della
politica
nel
senso
ordinario
della
parola
;
non
possono
transigere
sui
principi
e
chiuder
gli
occhi
sui
mali
esistenti
.
La
forza
di
rovesciare
un
mondo
,
più
che
dalle
esperienze
positive
altrui
,
viene
dalla
visione
di
un
mondo
ideale
.
Se
quel
mondo
ideale
lo
si
identifica
in
un
mondo
esistente
e
imperfetto
,
il
potenziale
rivoluzionario
è
destinato
a
cadere
.
Fare
la
rivoluzione
russa
in
Italia
?
Ma
l
'U.R.S.S
.
è
uno
Stato
che
milioni
di
persone
hanno
visitato
in
lungo
e
in
largo
,
toccando
con
mano
pregi
e
difetti
,
grandezze
e
miserie
.
Dopo
diciassette
anni
di
esistenza
,
l
'U.R.S.S
.
non
è
più
un
ideale
.
Costituisce
tutt
'
al
più
un
mito
per
le
folle
incolte
e
sofferenti
,
e
un
incoraggiamento
per
noi
.
Difatti
Mussolini
autorizza
tranquillamente
le
edizioni
italiane
dei
discorsi
di
Stalin
,
le
storie
del
bolscevismo
,
la
Vita
di
Trotzky
,
mentre
i
funzionari
fascisti
posano
a
filobolscevichi
.
Leviamoci
dunque
l
'
illusione
che
si
possa
fare
in
Italia
la
copia
,
sia
pure
riveduta
e
corretta
,
della
rivoluzione
di
ottobre
.
Nella
storia
del
nostro
paese
,
il
giacobinismo
fornisce
già
un
esemplare
infelice
di
rivoluzione
ricalcata
.
La
rivoluzione
italiana
provvederà
per
vie
sue
,
secondo
le
necessità
e
le
lotte
italiane
ed
europee
.
La
Russia
,
con
la
quale
si
stabiliranno
certo
rapporti
fraterni
,
sarà
per
noi
non
un
punto
di
arrivo
ma
di
partenza
;
sarà
soprattutto
un
capitale
di
preziose
esperienze
.
Sia
ben
chiaro
che
siamo
mossi
a
dir
questo
non
da
una
ridicola
ambizione
provinciale
,
da
una
assurda
riedizione
del
mito
del
Primato
italiano
;
ma
dal
convincimento
della
originalità
irriducibile
di
ogni
rivoluzione
e
della
necessaria
autonomia
della
coscienza
rivoluzionaria
,
la
quale
esige
rottura
integrale
con
ciò
che
è
in
nome
di
ciò
che
deve
essere
.
Nel
«
deve
essere
»
la
Ceka
,
le
masse
deportate
,
i
casi
,
piccoli
o
grandi
che
siano
,
Trotzky
,
Serge
,
Petrini
,
la
meccanica
dittatoriale
,
l
'
oppressione
burocratica
,
non
rientrano
.
L
'
imperativo
categorico
non
si
lascia
mettere
al
condizionale
.
I
comunisti
,
aderendo
completamente
alla
realtà
russa
attuale
,
alienano
senza
avvedersene
la
loro
spontaneità
rivoluzionaria
;
costretti
a
preoccuparsi
più
di
riscuotere
la
fiducia
di
Mosca
che
la
fiducia
dell
'
Italia
,
non
riescono
a
dire
una
parola
nuova
e
fresca
ai
giovani
.
Quanti
tra
loro
sentono
l
'
assurdo
di
una
lotta
contro
la
dittatura
fascista
condotta
in
nome
di
un
'
altra
,
anche
se
diversissima
,
dittatura
!
Quanti
vorrebbero
spezzare
il
rigido
quadro
teorico
e
pratico
per
ristabilire
un
contatto
semplice
e
umano
coi
fatti
,
con
la
realtà
italiana
,
con
la
stessa
realtà
russa
!
Ma
non
possono
.
L
'
ostracismo
che
li
minaccia
,
quando
non
ne
fa
dei
ribelli
,
li
piega
.
Tuttavia
noi
non
sappiamo
essere
esclusivi
;
non
pretendiamo
di
possedere
il
monopolio
del
vero
.
Riconosciamo
che
l
'
immensità
della
esperienza
in
corso
nella
Russia
rende
probabilmente
inevitabile
l
'
esistenza
di
un
forte
partito
comunista
in
Italia
;
riconosciamo
che
esso
si
è
battuto
in
questi
anni
con
grande
coraggio
.
Ma
sosteniamo
la
necessità
assoluta
dell
'
esistenza
di
un
'
altra
corrente
rivoluzionaria
,
più
aderente
alla
storia
,
alle
esperienze
,
ai
bisogni
italiani
e
più
libera
nei
suoi
atteggiamenti
verso
la
Russia
.
Non
è
detto
che
le
due
correnti
debbano
combattersi
.
Nell
'
ora
dell
'
attacco
marceranno
unite
.