StampaPeriodica ,
Lo
Steinthal
,
nella
polemica
contro
il
Becker
,
per
rendere
chiara
la
differenza
tra
Logica
e
Grammatica
si
vale
di
quest
'
esempio
:
"
Qualcuno
si
avvicina
a
una
tavola
rotonda
e
dice
:
Questa
tavola
rotonda
è
quadrata
.
Il
grammatico
tace
,
perfettamente
soddisfatto
;
ma
il
logico
grida
:
Assurdità
!
"
'
.
Che
il
logico
debba
dare
in
quel
grido
è
altrettanto
evidente
quanto
ragionevole
.
Il
concetto
geometrico
di
figura
rotonda
è
nettamente
distinto
da
quello
di
figura
quadrata
:
che
l
'
uno
sia
l
'
altro
è
in
geometria
,
o
in
una
certa
parte
almeno
della
geometria2
,
impensabile
.
Quelle
affermazioni
contradittorie
eccitano
la
mente
come
se
volessero
apprenderle
qualcosa
,
e
la
deludono
;
donde
l
'
impeto
d
'
insofferenza
contro
l
'
assurdo
che
si
vorrebbe
imporle
.
Anche
evidente
sembra
che
la
Grammatica
,
dinanzi
a
una
proposizione
di
quella
sorta
,
si
debba
mostrare
soddisfatta
.
Le
sue
regole
vi
sono
perfettamente
osservate
:
il
femminile
"
tavola
"
è
trattato
come
femminile
;
l
'
aggettivo
"
rotonda
"
è
accordato
col
sostantivo
in
genere
,
numero
e
caso
;
il
verbo
è
in
terza
persona
singolare
e
si
accorda
col
soggetto
,
come
col
soggetto
si
accorda
l
'
attributo
;
e
così
via
.
Senonché
lo
Steinthal
ha
dimenticato
di
proporsi
una
terza
domanda
:
"
Che
cosa
direbbe
dinanzi
a
quella
proposizione
l
'
estetico
?
"
.
O
,
piuttosto
,
non
si
pone
questa
domanda
a
causa
degli
insufficienti
concetti
di
teoria
estetica
che
portava
nelle
sue
indagini
,
pur
tanto
pregevoli
,
dei
rapporti
tra
linguaggio
e
pensiero
.
Proponendocela
,
noi
diciamo
che
l
'
estetico
,
a
differenza
dal
grammatico
e
in
pieno
accordo
col
logico
,
dichiarerà
anche
lui
assurda
quella
proposizione
.
Non
che
l
'
uomo
estetico
in
quanto
tale
si
dia
pensiero
dei
concetti
geometrici
e
della
loro
esattezza
e
verità
;
ma
,
entrati
che
si
sia
nella
sfera
di
quei
concetti
,
l
'
Estetica
,
come
la
Logica
,
esige
che
se
ne
segua
l
'
interna
necessità
.
Il
politeismo
sarà
,
come
concezione
filosofica
,
erroneo
;
ma
niente
vieta
che
s
'
immagini
una
società
di
esseri
potentissimi
,
che
vivano
in
un
certo
luogo
inattingibile
,
e
variamente
intervengano
nelle
cose
umane
,
come
gli
dèi
d
'
Omero
nelle
contese
degli
eroi
,
o
come
gli
abitanti
di
Marte
,
in
un
recente
romanzo
fantastico
,
scendono
sulla
terra
.
Onde
il
politeismo
,
fin
tanto
che
non
gli
si
attribuisca
valore
logico
e
filosofico
,
serba
valore
estetico
.
Ma
io
non
posso
immaginare
qualcosa
di
rotondo
che
sia
quadrato
.
Quelle
parole
sono
,
anche
pel
mio
spirito
estetico
,
vuote
:
non
sono
parole
ma
suoni
,
che
sembrano
promettermi
qualcosa
e
non
attengono
la
promessa
:
eccitano
il
pensiero
(
e
la
fantasia
che
si
lega
al
pensiero
)
e
lo
deludono
.
-
Se
voglio
dare
concretezza
d
'
immagine
a
quella
proposizione
,
debbo
considerarla
,
per
es
.
,
come
costruita
intenzionalmente
a
rappresentare
un
'
incoerenza
mentale
;
cioè
immaginare
l
'
atto
arbitrario
di
chi
combini
voci
prive
di
senso
:
il
che
facciamo
per
l
'
appunto
in
questo
momento
col
valercene
al
modo
dello
Steinthal
come
esempio
,
e
per
questo
ci
è
possibile
tenervi
sopra
fissa
la
mente
e
discorrerne
.
Ma
,
quando
non
se
ne
cangia
il
primo
significato
e
valore
,
la
proposizione
:
"
Questa
tavola
rotonda
è
quadrata
"
,
come
è
impensabile
così
non
è
immaginabile
,
come
è
illogica
così
è
inestetica
;
e
anzi
,
in
questo
caso
,
è
inestetica
,
perché
illogica
.
Ciò
importa
che
quella
proposizione
è
falsa
senza
remissione
:
falsa
nella
sfera
della
coscienza
estetica
,
falsa
nella
sfera
della
coscienza
logica
.
E
,
poiché
altra
forma
di
conoscenza
non
v
'
ha
fuori
dell
'
intuitiva
e
della
concettuale
,
quella
proposizione
è
respinta
fuori
della
cerchia
dello
spirito
teoretico
.
Pure
,
la
Grammatica
,
secondo
lo
Steinthal
,
si
è
dichiarata
e
persiste
a
dichiararsi
soddisfatta
.
Come
dunque
l
'
inimmaginabile
e
l
'
impensabile
può
essere
grammaticalmente
razionale
?
È
,
la
Grammatica
,
forma
speciale
di
conoscenza
?
Vi
è
forse
,
accanto
alla
verità
della
poesia
e
della
filosofia
,
la
verità
grammaticale
,
cioè
una
visione
grammaticale
delle
cose
?
Se
una
verità
delle
cose
secondo
Grammatica
si
confuta
col
suo
stesso
enunciato
,
cioè
con
un
sorriso
,
viene
di
conseguenza
che
le
regole
,
della
cui
applicazione
gode
il
grammatico
,
non
sono
leggi
di
verità
,
e
,
dunque
,
che
la
Grammatica
non
ha
valore
teoretico
e
scientifico
.
Il
dilemma
è
:
-
o
porre
quella
tale
verità
secondo
Grammatica
o
negare
valore
di
scienza
alla
Grammatica
;
-
e
dal
canto
nostro
già
sappiamo
,
per
esservi
giunti
per
altra
via
,
quel
che
sia
da
pensare
della
Grammatica
,
complesso
di
astrazioni
e
di
arbitri
di
uso
affatto
pratico
.
Ma
,
poiché
taluni
non
riescono
a
persuadersi
di
codesta
mancanza
di
verità
scientifica
nella
Grammatica
,
è
bene
invitarli
a
meditare
sull
'
esempio
arrecato
e
esortarli
a
risolvere
i
seguenti
problemi
:
-
Come
mai
quel
che
è
assurdo
logicamente
ed
esteticamente
,
può
essere
grammaticalmente
soddisfacente
?
Come
mai
sarebbe
scienza
quella
che
farebbe
la
teoria
di
prodotti
del
genere
di
"
Una
tavola
rotonda
è
quadrata
"
,
ossia
di
voci
vuote
di
senso
?
Appunto
se
fosse
scienza
,
la
Grammatica
sarebbe
la
scienza
della
"
tavola
rotonda
che
è
quadrata
"
,
l
'
Estetica
di
una
poesia
,
che
avrebbe
per
tipo
i
versi
famosi
,
grammaticalmente
e
metricamente
impeccabili
:
C
'
era
una
volta
un
ricco
pover
'
uomo
,
che
cavalcava
un
nero
caval
bianco
;
salìa
scendendo
il
campanil
del
Duomo
poggiandosi
sul
destro
lato
manco
...
L
'
Etica
teorizza
le
azioni
degli
eroi
e
dei
santi
,
l
'
Estetica
,
i
poemi
e
le
sculture
dei
Danti
e
dei
Michelangeli
,
la
Logica
,
i
sistemi
filosofici
dei
Platoni
e
dei
Kant
:
la
Grammatica
come
scienza
teorizzerebbe
,
invece
,
la
"
tavola
rotonda
-
quadrata
"
e
il
"
ricco
pover
'
uomo
"
.
Ma
la
Grammatica
non
è
nata
e
non
vive
per
essere
scienza
e
filosofia
e
critica
,
né
a
tal
fine
dirige
i
suoi
sforzi
.
Al
qual
proposito
conviene
tornare
in
parte
sull
'
affermazione
dello
Steinthal
,
perché
,
a
dir
vero
,
dinanzi
a
un
detto
del
tipo
:
"
Questa
tavola
rotonda
è
quadrata
"
,
il
grammatico
che
sia
veramente
consapevole
del
proprio
ufficio
,
il
grammatico
che
non
varchi
i
limiti
della
propria
competenza
,
non
si
dichiara
soddisfatto
,
come
crede
lo
Steinthal
,
e
neppure
insoddisfatto
.
Egli
sa
che
suo
ufficio
non
è
di
pronunziare
giudizio
alcuno
,
ma
di
porre
certe
regole
,
che
hanno
una
determinata
utilità
.
Dinanzi
a
una
pagina
qualsiasi
,
che
venga
sottoposta
al
suo
giudizio
,
non
si
domanda
dunque
se
sia
approvabile
o
no
,
secondo
che
le
regole
grammaticali
vi
siano
sta
-
te
o
no
applicate
;
ma
dichiara
la
propria
incompetenza
,
scrivendo
nel
margine
di
quelle
pagine
:
Videat
logicus
,
videat
aestheticus
.
Se
facesse
altrimenti
,
si
cangerebbe
in
critico
grammaticale
dell
'
arte
o
della
scienza
,
in
pedante
degno
di
quella
irrisione
onde
è
stato
tante
volte
colpito
.
Questo
passaggio
dalla
Grammatica
alla
pedanteria
è
,
in
verità
,
accaduto
e
accade
spesso
;
ma
,
tuttavia
,
non
v
'
ha
ragione
alcuna
intrinseca
per
la
quale
un
grammatico
debba
essere
di
necessità
pedante
,
non
essendovi
ragione
intrinseca
che
lo
spinga
a
confondere
il
campo
pratico
con
quello
filosofico
,
e
a
convertirsi
da
costruttore
di
tipi
astratti
in
giudice
di
realtà
concreta
e
viva
.
H
.
STEINTHAL
,
Grammatik
,
Logik
und
Psychologie
,
ihre
Principien
und
ihr
Verhältniss
zu
einander
(
Berlino
,
Dümmler
,
1855
)
,
p
.
220
.
Sotto
un
certo
aspetto
,
il
geometra
non
rifugge
da
quelle
unioni
di
contrari
,
e
,
come
diceva
lo
Hegel
criticando
il
principio
del
terzo
escluso
:
"
Per
quanto
a
siffatto
principio
ripugni
un
circolo
poligonale
o
un
arco
di
cerchio
rettilineo
,
i
geometri
non
si
fanno
scrupolo
di
considerare
e
trattare
un
circolo
come
un
poligono
di
lati
rettilinei
"
(Encykl.,
§
119
Anm
.
)
.
Ma
tali
considerazioni
,
come
le
disquisizioni
dello
Stuart
Mill
e
di
altri
sulla
possibilità
di
un
mondo
dove
si
abbiano
circoli
rettangoli
e
via
discorrendo
,
non
hanno
che
vedere
con
la
questione
presente
.
StampaPeriodica ,
Le
leggi
fonetiche
sono
legittime
e
utili
,
e
sono
anche
un
grave
errore
di
teoria
del
linguaggio
,
secondo
che
in
uno
o
in
altro
modo
vengano
intese
.
Legittime
e
utili
,
quando
servono
solamente
a
presentare
in
compendio
e
per
approssimazione
certe
diversità
che
si
notano
nei
linguaggi
da
un
tempo
a
un
altro
o
da
un
popolo
a
un
altro
.
La
loro
utilità
è
in
tal
caso
quella
medesima
della
Grammatica
;
e
anzi
,
esse
nell
'
intrinseco
non
sono
altro
che
Grammatica
.
Né
a
rigore
è
dato
neppure
distinguere
Grammatica
storica
e
Grammatica
dell
'
uso
vivo
,
perché
anche
l
'
"
uso
vivo
"
che
cos
'
altro
è
se
non
un
momento
storico
?
Neppure
si
può
porre
divario
nell
'
intrinseco
tra
Grammatica
storica
e
Grammatica
normativa
,
perché
la
forma
di
norma
o
comando
,
che
sia
data
all
'
enunciazione
di
una
regolarità
,
non
ne
cangia
la
natura
teoretica
.
Quando
invece
,
dimenticandosi
la
loro
origine
arbitraria
e
di
comodo
,
quelle
leggi
vengono
ipostatate
e
considerate
come
leggi
reali
del
parlare
,
si
entra
nell
'
errore
.
L
'
uomo
,
nel
parlare
,
non
ubbidisce
alle
leggi
fonetiche
,
ma
alla
legge
dello
spirito
estetico
,
che
gli
fa
trovare
volta
per
volta
l
'
espressione
adatta
di
quel
che
gli
si
agita
nell
'
animo
:
espressione
sempre
nuova
,
perché
il
sentimento
da
esprimere
è
sempre
nuovo
.
Considerare
le
leggi
fonetiche
come
leggi
reali
significa
compiere
l
'
indebito
passaggio
dai
concetti
empirici
ai
filosofici
,
che
è
proprio
dell
'
empirismo
e
materialismo
.
L
'
esattezza
di
quanto
si
è
ora
osservato
trova
conferma
in
ogni
punto
di
uno
studio
di
Eduardo
Wechssler
,
che
vorrebbe
essere
favorevole
alla
realtà
e
verità
delle
leggi
fonetiche
.
Il
Wechssler
comincia
dal
ricordare
un
'
osservazione
dello
Schuchardt
:
che
"
la
tesi
dell
'
assolutezza
delle
leggi
fonetiche
e
quella
della
classificabilità
dei
dialetti
,
sono
strettamente
congiunte
tra
loro
"
.
In
effetto
,
senza
questo
primo
.
arbitrio
grammaticale
onde
gli
svariatissimi
prodotti
linguistici
di
un
paese
e
di
un
'
epoca
o
serie
di
epoche
vengono
trattati
come
entità
costanti
e
distinguibili
per
segni
certi
da
altre
entità
siffatte
,
mancherebbe
la
materia
per
qualsiasi
legge
fonetica
.
Ma
non
basta
:
il
Wechssler
è
costretto
anche
ad
ammettere
l
'
esistenza
delle
parole
isolate
.
Certamente
,
egli
si
rende
conto
di
tutte
le
obiezioni
dei
linguisti
in
proposito
,
ma
finisce
con
l
'
acconciarsi
alla
conclusione
"
che
ciò
che
noi
parliamo
sono
,
sì
,
proposizioni
o
espressioni
(
Äusserungen
)
,
ma
ciò
con
cui
parliamo
,
ossia
il
materiale
linguistico
,
sono
parole
"
(
p
.
369
)
.
L
'
arbitrio
è
qui
nell
'
immaginare
che
l
'
uomo
adoperi
come
mezzi
le
parole
isolate
:
arbitrio
subito
svelato
quando
si
consideri
che
la
coscienza
della
parola
isolata
proviene
dalla
Grammatica
empirica
.
Per
l
'
uomo
primitivo
,
o
pregrammaticale
che
si
dica
,
ossia
nella
spontaneità
del
parlare
,
la
proposizione
è
un
continuum
,
e
non
sussistono
parole
staccate
,
quasi
pietre
con
cui
si
costruisca
un
edifizio
:
vi
sono
nient
'
altro
che
impressioni
o
commozioni
,
sintetizzate
e
oggettivate
in
una
formola
o
proposizione
.
Nell
'
analfabeta
può
mancare
,
o
essere
debolissima
,
la
coscienza
delle
parole
staccate
,
e
nondimeno
il
parlare
raggiungere
un
alto
grado
di
perfezione
.
Né
basta
ancora
:
il
Wechssler
deve
compiere
un
terzo
arbitrio
e
parlare
dell
'
esistenza
del
suono
singolo
(
Einzellaut
)
.
Anche
qui
egli
si
rende
conto
dell
'
impossibilità
di
distinguere
tra
loro
i
suoni
che
passano
l
'
uno
nell
'
altro
per
infinite
gradazioni
;
ma
pur
si
appiglia
al
mezzo
termine
,
che
sia
lecito
stabilire
gruppi
o
categorie
di
suoni
affini
e
considerarli
come
suoni
singoli
(
pp
.
369-374
)
.
Il
procedere
affatto
arbitrario
è
designato
in
questa
sua
arbitrarietà
con
chiarezza
tale
che
parole
non
vi
appulcro
.
E
anzi
il
Sievers
,
al
quale
il
Wechssler
si
appoggia
,
dice
nella
sua
Phonetik
proprio
così
:
"
Dies
Verfahren
ist
an
sich
willkürlich
,
sondern
praktisch
berechtigt
"
.
Che
poi
gli
uomini
,
nel
parlare
e
ascoltare
apprendano
codeste
categorie
arbitrarie
,
o
codeste
medie
di
suoni
singoli
,
e
non
invece
ciascun
suono
nella
sua
particolare
sfumatura
,
mi
sembra
asserzione
gratuita
e
anche
contradittoria
.
Movendo
da
questi
supposti
(
pratici
e
non
scientifici
)
,
si
possono
ben
notare
mutamenti
di
suoni
,
cioè
il
triplice
fenomeno
della
sostituzione
dei
suoni
(
Lautersatz
)
,
della
sparizione
(
Lautschwund
)
e
dell
'
accrescimento
(
Lautzuwachs
)
;
e
si
può
ben
chiamarli
"
leggi
fonetiche
"
.
Si
compie
per
tal
modo
una
finzione
concettuale
,
la
cui
validità
è
dentro
i
limiti
della
finzione
,
ma
che
,
trasportata
in
scienza
pura
o
filosofia
,
perde
ogni
valore
,
o
,
se
ci
si
ostina
a
serbarglielo
,
si
converte
in
errore
.
Lasciamo
da
parte
le
cause
dei
mutamenti
(
delle
quali
il
Wechssler
enumera
dodici
)
;
e
prendiamo
un
esempio
di
codesti
mutamenti
,
già
formolato
dall
'
Ascoli
e
dal
Nigra
:
le
variazioni
cui
andò
soggetta
la
lingua
romana
nel
passare
sulla
bocca
dei
celti
pel
fatto
che
questi
erano
abituati
a
pronunziare
una
diversa
lingua
.
Trattando
come
qualcosa
di
fisso
la
lingua
romana
e
le
abitudini
di
pronunzia
dei
celti
,
si
possono
stabilire
le
leggi
fonetiche
di
questi
mutamenti
.
Ma
non
bisogna
dimenticare
che
queste
leggi
non
son
altro
che
il
compendio
dei
fatti
osservati
,
e
che
la
realtà
spetta
a
questi
fatti
,
non
al
compendio
che
li
impoverisce
e
falsifica
.
Un
qualcosa
,
comune
più
o
meno
ai
celti
e
più
o
meno
assente
nei
romani
,
c
'
era
di
certo
;
ma
circoscriverlo
e
determinarlo
in
astratto
non
si
può
se
non
per
atto
di
arbitrio
.
In
concreto
,
quel
qualcosa
è
determinabile
,
ma
solo
come
individualità
,
per
diretta
e
individua
percezione
.
Se
il
Wechssler
non
si
forma
un
concetto
giusto
delle
leggi
fonetiche
,
la
ragione
è
da
cercare
nel
concetto
poco
esatto
che
egli
ha
del
linguaggio
.
Si
veda
la
dottrina
sulla
origine
o
natura
del
linguaggio
,
esposta
nel
primo
capitolo
del
suo
lavoro
,
e
che
consiste
nel
riattaccare
il
linguaggio
ai
movimenti
riflessi
(
Reflexbewegungen
)
.
Vi
sarebbero
,
secondo
lui
,
cinque
classi
di
movimenti
espressivi
umani
:
1
)
quelli
originarî
dell
'
eccitamento
interno
,
come
l
'
impallidire
e
l
'
arrossire
,
poco
suscettibili
di
essere
sottomessi
alla
volontà
;
2
)
il
gioco
della
fisionomia
,
anche
difficile
a
dominare
;
3
)
i
cenni
o
gesti
,
più
dominabili
,
tanto
che
si
discorre
di
un
linguaggio
di
gesti
;
4
)
il
linguaggio
in
senso
proprio
,
in
cui
prevalgono
i
movimenti
volontarî
;
e
5
)
i
movimenti
espressivi
secondarî
,
come
quegli
ottici
,
che
danno
origine
alle
varie
scritture
.
In
una
convivenza
umana
si
vedono
e
si
odono
spesso
ripetuti
un
determinato
gesto
(
per
es
.
,
scuotere
il
capo
in
segno
di
contrarietà
)
o
un
determinato
grido
(
per
es
.
,
di
orrore
)
;
e
si
forma
la
facile
osservazione
,
che
il
medesimo
segno
accompagna
sempre
un
medesimo
stato
di
coscienza
.
E
alcuni
,
i
meglio
dotati
,
compiono
il
breve
passo
che
resta
ancora
da
compiere
,
e
riproducono
quel
gesto
o
quel
suono
come
movimento
volontario
;
ed
ecco
nascere
il
linguaggio
(
p
.
353
)
.
-
Con
questa
teoria
,
si
torna
al
concetto
(
che
pareva
morto
e
sotterrato
)
del
linguaggio
convenzione
o
associazione
di
due
rappresentazioni
volontariamente
messe
in
rapporto
.
Più
importante
della
debole
dottrina
del
linguaggio
e
delle
leggi
fonetiche
è
la
parte
storica
che
il
Wechssler
aggiunge
alla
sua
trattazione
e
che
si
aggira
segnatamente
su
tre
punti
:
sul
concetto
delle
leggi
fonetiche
,
su
quello
del
linguaggio
come
organismo
,
e
sulla
divisione
della
storia
del
linguaggio
in
due
periodi
,
il
periodo
di
formazione
e
il
periodo
di
svolgimento
.
Potrà
sembrare
strano
che
il
concetto
di
leggi
fonetiche
risalga
(
come
dimostra
il
Wechssler
)
proprio
a
Guglielmo
di
Humboldt
,
il
quale
lo
accenna
per
la
prima
volta
in
una
lettera
al
Bopp
del
1826
.
Ma
lo
Humboldt
non
portò
mai
a
compiuta
chiarezza
le
sue
geniali
idee
di
filosofia
linguistica
;
donde
le
frequenti
contradizioni
che
in
lui
si
notano
.
Dopo
avere
avuta
molta
fortuna
in
principio
,
le
leggi
fonetiche
cominciarono
a
suscitare
dubbi
nel
campo
stesso
dei
glottologi
e
filologi
,
e
furono
assai
discusse
segnatamente
negli
anni
tra
il
1876
e
il
1885
.
Da
quel
tempo
,
sebbene
si
seguiti
a
farne
uso
pratico
(
attenuandone
spesso
il
nome
pomposo
nell
'
altro
di
"
regole
"
o
di
"
mutamenti
fonetici
"
)
,
sono
in
teoria
molto
scosse
.
Sfavorevole
,
tra
gli
altri
,
si
dimostra
ad
esse
un
linguista
dell
'
acume
di
Hugo
Schuchardt
.
L
'
errore
del
linguaggio
come
organismo
culmina
nello
Schleicher
,
il
quale
,
sedotto
dal
metaforico
vocabolo
"
organismo
"
che
lo
Humboldt
adoperava
in
significato
idealistico
,
pretese
trattare
la
Linguistica
come
scienza
naturale
,
cioè
cadde
nell
'
accennato
errore
materialistico
.
Allo
Schleicher
risalgono
anche
i
tentativi
di
una
"
fisiologia
del
linguaggio
"
.
"
La
storia
della
dottrina
dell
'
organismo
in
Linguistica
(
dice
il
Wechssler
)
si
può
considerare
in
sostanza
come
la
storia
di
una
metafora
presa
alla
lettera
ed
elevata
a
teoria
"
.
Del
terzo
errore
,
cioè
di
quello
onde
la
storia
del
linguaggio
viene
divisa
in
due
periodi
,
non
rimasero
immuni
del
tutto
né
lo
Humboldt
né
lo
Steinthal
;
ma
se
ne
sono
avveduti
e
lo
hanno
accusato
di
recente
lo
Scherer
e
il
Paul
.
Contro
le
leggi
fonetiche
,
contro
il
principio
di
pigrizia
degli
organi
e
di
comodità
quale
spiegazione
dei
mutamenti
fonetici
,
contro
le
pretese
dei
linguisti
di
farla
da
fisiologi
(
ossia
di
compilare
i
risultati
del
sapere
altrui
invece
di
dare
quelli
del
campo
loro
proprio
di
studi
)
è
rivolto
un
breve
scritto
del
prof
.
Scerbo
.
Gli
odierni
trattati
di
Linguistica
cominciano
sovente
col
descrivere
l
'
apparato
della
gola
e
della
bocca
,
cioè
con
un
capitolo
tolto
alla
Fisiologia
.
Nell
'
Università
di
Pisa
,
è
stato
fondato
un
gabinetto
fisioglottologico
;
nel
Collegio
di
Francia
,
un
laboratorio
di
fonetica
sperimentale
.
Opponendosi
alle
confusioni
e
stravaganze
di
cui
codeste
nuove
istituzioni
danno
prova
,
lo
Scerbo
sostiene
che
il
linguaggio
ha
leggi
spirituali
e
non
fonetiche
;
che
non
domina
in
esso
la
pigrizia
o
la
comodità
,
ma
,
tutt
'
al
più
,
l
'
economia
,
forma
spirituale
anch
'
essa
;
che
nessun
concetto
utile
al
linguista
è
stato
finora
fornito
dalla
Fisiologia
.
Il
linguaggio
(
egli
dice
ripetutamente
)
è
opera
dello
spirito
:
l
'
intelligenza
,
la
volontà
,
la
memoria
,
l
'
attenzione
,
la
fantasia
spiegano
,
esse
solamente
,
il
suo
prodursi
.
Ma
le
varie
attività
spirituali
che
lo
Scerbo
chiama
a
raccolta
entrano
poi
davvero
tutte
,
e
alla
pari
,
nella
produzione
del
linguaggio
?
Egli
non
dà
sufficiente
rilievo
all
'
intuizione
(
o
fantasia
)
come
atto
spirituale
primitivo
,
dal
quale
soltanto
si
origina
il
linguaggio
e
che
,
anzi
,
è
il
linguaggio
stesso
.
L
'
intelletto
(
inteso
come
intelletto
logico
)
non
ha
nel
linguaggio
parte
primaria
;
la
memoria
non
è
una
speciale
categoria
o
attività
dello
spirito
;
la
volontà
può
entrare
nel
linguaggio
solamente
nel
fatto
esterno
della
comunicazione
agli
altri
,
ma
non
è
essenziale
,
costitutiva
e
peculiare
della
formazione
linguistica
.
E
se
lo
Scerbo
,
come
ne
siamo
sicuri
,
affinerà
in
questa
parte
i
suoi
pensieri
,
non
scriverà
più
come
ha
scritto
in
principio
,
che
"
la
parola
qual
puro
segno
convenzionale
(
se
non
nell
'
origine
,
certo
in
progresso
di
tempo
,
allorché
le
primitive
accezioni
,
massime
degli
elementi
formali
del
linguaggio
,
si
sono
oscurate
o
dimenticate
)
non
ha
verun
intimo
e
necessario
rapporto
con
l
'
idea
"
.
In
verità
,
la
parola
non
è
mai
segno
convenzionale
,
e
,
se
tale
non
era
in
principio
,
tale
non
può
divenire
nel
séguito
,
perché
le
attività
spirituali
non
cangiano
natura
;
e
ha
sempre
rapporto
strettissimo
con
l
'
idea
in
quanto
è
rappresentazione
,
benché
non
ne
abbia
alcuno
con
l
'
idea
in
quanto
concetto
.
Poniamo
(
tanto
per
intenderci
)
che
un
uomo
primitivo
o
selvaggio
esprima
l
'
apparire
di
un
cane
con
la
proposizione
:
"
Ecco
un
baubau
"
.
Questa
proposizione
non
ha
verun
rapporto
col
concetto
(
con
la
verità
scientifica
)
del
cane
;
ma
ne
ha
uno
diretto
con
le
impressioni
che
l
'
apparire
del
cane
desta
nell
'
uomo
primitivo
.
Un
uomo
moderno
dirà
invece
:
"
Ecco
un
cane
"
.
Neanche
questo
detto
ha
alcun
rapporto
col
concetto
astratto
del
cane
,
ma
anch
'
esso
ha
rapporto
con
le
impressioni
che
il
fatto
desta
nell
'
uomo
moderno
;
il
quale
,
diverso
dal
selvaggio
,
fornito
di
un
ricco
patrimonio
di
rappresentazioni
e
idee
,
all
'
apparizione
del
cane
prova
impressioni
diverse
da
quelle
provate
dall
'
uomo
primitivo
:
donde
le
parole
:
"
Ecco
un
cane
"
,
e
non
le
altre
:
"
Ecco
un
baubau
"
.
Se
l
'
uomo
dell
'
ipotesi
fosse
un
naturalista
,
vivente
tutto
nella
sua
scienza
,
le
impressioni
suscitate
in
lui
dalla
vista
del
cane
potrebbero
dare
luogo
addirittura
a
un
detto
come
:
"
Ecco
un
canis
familiaris
"
.
E
queste
parole
sarebbero
tanto
poco
convenzionali
,
quanto
poco
convenzionali
e
affatto
spontanee
erano
le
ipotetiche
parole
del
selvaggio
.
Ciò
che
diciamo
qui
in
modo
quasi
popolare
è
semplice
conseguenza
dell
'
importante
principio
onde
è
stata
abolita
la
distinzione
di
periodo
originario
e
periodo
posteriore
del
linguaggio
.
Il
periodo
originario
di
creazione
non
è
stato
mai
,
perché
è
stato
,
è
e
sarà
sempre
;
il
periodo
di
puro
svolgimento
senza
creazione
non
c
'
è
,
e
non
è
stato
né
sarà
mai
.
La
creazione
primitiva
(
Urschöpfung
)
e
il
parlare
quotidiano
sono
una
sola
e
medesima
cosa
.
Sempre
che
si
parla
,
si
crea
il
linguaggio
;
e
,
come
lo
creò
l
'
immaginario
uomo
primitivo
che
aprì
la
bocca
la
prima
volta
a
parlare
,
così
lo
creiamo
noi
,
in
ogni
istante
della
vita
,
ripetendo
all
'
infinito
il
gran
miracolo
,
che
è
poi
il
miracolo
stesso
della
realtà
.
Gibt
es
Lautgesetze
?
(
Halle
,
1900
:
nelle
Forsch
.
z
.
roman
.
Philol
.
,
Festgabe
f
.
H
.
Suchier
,
pp
.
349-538
)
.
F
.
SCERBO
,
Spiritualità
del
linguaggio
(
Firenze
,
Tip
.
della
"
Rassegna
nazionale
"
,
1902
)
.
StampaPeriodica ,
Il
mio
trattato
di
Estetica
ha
richiamato
,
pei
rapporti
che
stabilisce
tra
Filosofia
dell
'
arte
e
Filosofia
del
linguaggio
,
l
'
attenzione
degli
studiosi
del
linguaggio
.
Ciò
mi
fa
piacere
,
perché
contribuirà
a
trasportare
i
problemi
estetici
in
ambienti
di
cultura
e
di
scienza
,
togliendoli
dalle
mani
degli
sfaccendati
sin
oficio
ni
beneficio
(
assai
simili
a
quegli
hombres
honrados
,
che
Sancho
trovò
nell
'
isola
di
Barataria
)
,
i
quali
,
a
tempo
perso
,
si
mettono
a
cercare
"
che
cosa
è
il
Bello
"
.
Ed
essendo
il
mio
libro
uscito
quasi
contemporaneamente
alla
vasta
opera
del
Wundt
sul
linguaggio
non
è
maraviglia
che
sia
accaduto
come
un
urto
tra
l
'
indirizzo
del
Wundt
,
e
quello
,
assai
diverso
,
che
io
cerco
di
promuovere
.
Anche
ciò
non
mi
dispiace
:
l
'
urto
,
ossia
il
confronto
,
metterà
in
mostra
le
virtù
e
le
deficienze
dell
'
uno
e
dell
'
altro
indirizzo
.
Una
manifestazione
di
questo
contrasto
è
nell
'
esame
che
il
dr
.
O
.
Dittrich
(
autore
di
un
'
opera
:
Grundzüge
der
Sprachpsychologie
,
e
di
uno
scritto
:
Die
Grenzen
der
Sprachwissenschaft
)
ha
rivolto
testé
al
mio
libro
,
ai
due
volumetti
del
Vossler
e
all
'
opera
del
Wundt
,
nella
"
Zeitschrift
für
romanische
Philologie
"
.
Il
Dittrich
,
seguace
del
Wundt
,
riconosce
che
la
mia
trattazione
è
"
logisch
straffe
und
lückenlose
"
(
p
.
472
)
,
o
,
come
dice
anche
,
che
ha
una
"
innere
logische
Geschlossenheit
"
(
p
.
476
)
;
e
mi
risparmia
(
e
di
ciò
gli
sono
grato
)
quelle
critiche
di
particolari
,
che
spesso
si
fondano
su
fraintendimenti
.
Ma
egli
afferma
che
le
mie
tesi
riposano
sopra
una
"
psicologia
da
lungo
tempo
superata
"
,
e
sopra
"
una
teoria
del
valore
affatto
inadoprabile
"
(
p
.
473
)
;
e
,
per
queste
due
ragioni
,
stima
di
gran
lunga
preferibile
l
'
indirizzo
del
Wundt
.
Non
che
il
Dittrich
non
nutra
qualche
speranza
di
portare
a
un
certo
componimento
le
mie
teorie
con
la
"
Psicologia
moderna
"
(
p
.
476
)
.
Il
punto
di
unione
a
lui
sembra
che
ci
sia
:
è
il
mio
concetto
dell
'
espressione
,
che
egli
mette
in
rapporto
col
concetto
wundtiano
dell
'
appercezione
.
Per
il
Wundt
,
l
'
appercezione
è
appunto
"
quella
forma
di
sintesi
creatrice
nella
quale
,
con
l
'
attenzione
come
sintomo
soggettivo
,
viene
in
atto
la
chiarezza
e
distinzione
oggettiva
di
singoli
elementi
e
gruppi
di
elementi
di
un
'
unità
totale
associativa
che
riempie
il
momento
della
coscienza
"
.
Senonché
questo
concetto
del
Wundt
è
meramente
psicologico
;
e
se
il
Croce
(
dice
il
Dittrich
)
accetta
l
'
identificazione
di
esso
col
suo
concetto
dell
'
espressione
,
entra
sì
,
in
rapporto
col
"
sistema
della
Psicologia
moderna
"
,
ma
è
un
uomo
perduto
;
o
,
meglio
,
salvato
,
ma
la
cui
teoria
estetica
e
linguistica
è
totalmente
fallita
.
Infatti
(
come
il
Dittrich
prova
)
,
dato
il
carattere
psicologico
dell
'
appercezione
del
Wundt
,
non
si
può
più
sostenere
,
come
io
sostengo
,
che
il
valore
estetico
sia
il
fatto
stesso
della
sintesi
,
ma
così
per
i
fatti
estetici
come
per
quelli
logici
e
morali
bisogna
porre
valori
transubiettivi
,
in
conformità
della
moderna
teoria
dei
valori
.
"
Il
valore
,
come
si
attua
o
si
deve
attuare
nell
'
oggetto
che
si
valuta
esteticamente
,
logicamente
o
eticamente
,
e
la
legge
del
valore
,
giacciono
di
là
della
psiche
dell
'
individuo
valutatore
;
e
valore
e
legge
del
valore
hanno
da
fare
con
questa
psiche
solamente
in
quanto
debbono
venire
riconosciuti
da
essa
in
forma
di
sentimento
di
valore
,
al
fine
di
esistere
per
essa
.
Per
tal
modo
l
'
estetico
deve
stabilire
le
leggi
transubiettive
della
intuizione
pregevole
(
wertvolle
)
,
il
logico
quelle
del
concetto
pregevole
(
partendo
per
ciò
dal
giudizio
pregevole
)
,
e
l
'
etico
quelle
del
volere
pregevole
"
(
p
.
479
)
.
Determinato
così
il
rapporto
tra
Psicologia
ed
Estetica
,
e
fermato
il
principio
della
transubiettività
dei
valori
,
è
chiaro
che
cade
l
'
identificazione
da
me
affermata
di
Estetica
e
Filosofia
del
linguaggio
.
L
'
importanza
delle
mie
teorie
dunque
(
per
quel
che
pare
al
Dittrich
)
sta
nell
'
accentuare
la
parte
della
psichicità
e
spiritualità
nel
linguaggio
;
il
che
,
per
altro
,
aveva
già
fatto
il
Wundt
medesimo
con
la
sua
teoria
del
linguaggio
come
funzione
psicofisica
(
p
.
486
)
.
Per
ogni
altro
rispetto
,
quel
tanto
che
c
'
è
di
buono
nella
mia
Estetica
,
pubblicata
nel
1902
,
si
trova
già
nell
'
Estetica
di
Jonas
Kohn
,
pubblicata
nel
1901
.
Mi
libero
subito
da
quest
'
ultima
osservazione
col
controsservare
,
non
già
,
come
potrei
,
che
la
parte
teorica
della
mia
Estetica
fu
pubblicata
nel
1900
e
perciò
un
anno
innanzi
il
libro
del
Kohn
(
non
mi
è
gradevole
portare
la
questione
su
questo
terreno
)
;
ma
che
le
parti
,
in
cui
il
Kohn
e
io
siamo
d
'
accordo
,
non
sono
altro
che
alcune
tesi
kantiane
,
la
cui
data
è
il
1790
.
Quanto
al
resto
,
il
Dittrich
ragiona
benissimo
:
se
io
ammettessi
l
'
identificazione
della
mia
sintesi
espressiva
con
l
'
appercezione
del
Wundt
,
ne
verrebbero
tutte
le
conseguenze
che
egli
trae
,
e
io
sarei
un
uomo
esteticamente
e
linguisticamente
perduto
.
Ma
proprio
quella
identificazione
io
non
ammetto
,
perché
la
mia
sintesi
espressiva
ha
valore
gnoseologico
e
non
psicologico
.
Se
le
si
vuole
trovare
precedenti
,
bisogna
pensare
non
all
'
appercezione
wundtiana
,
ma
alla
kantiana
attività
sintetica
dello
spirito
:
concetto
,
com
'
è
noto
,
niente
affatto
psicologico
,
e
che
valse
a
stabilire
la
profonda
distinzione
tra
Filosofia
dello
spirito
e
Psicologia
.
La
mia
psicologia
è
poco
moderna
?
Non
direi
,
perché
,
per
essere
antiquata
o
moderna
,
dovrebbe
essere
,
anzitutto
,
psicologia
.
Il
Dittrich
,
se
non
se
n
'
era
avveduto
prima
,
intenderà
da
quello
che
dico
ora
che
io
non
mi
aggiro
nel
campo
della
Psicologia
,
ma
in
quello
della
Gnoseologia
e
della
Filosofia
dello
spirito
;
e
perciò
gli
annunzi
delle
"
novità
"
psicologiche
non
possono
recarmi
nessuna
sorpresa
piacevole
o
spiacevole
,
e
anzi
mi
lasciano
indifferente
.
Vediamo
,
invece
,
se
sia
poco
moderna
la
mia
teoria
del
valore
,
la
quale
è
antidualistica
,
fondata
sul
concetto
che
la
realtà
e
il
valore
sono
il
medesimo
.
Ho
esposto
con
le
parole
stesse
del
Dittrich
la
teoria
che
egli
le
contrappone
come
modernissima
,
e
che
consiste
nel
porre
i
valori
come
transubiettivi
.
I
valori
starebbero
fuori
dello
spirito
press
'
a
poco
(
ho
scritto
una
volta
in
un
momento
di
buon
umore
)
come
lo
stellone
caudato
,
che
accompagna
i
re
magi
nel
presepe
.
Questa
"
modernissima
"
teoria
è
dunque
la
dottrina
herbartiana
,
o
addirittura
quella
scolastica
.
Sono
sicuro
che
il
Dittrich
,
se
continuerà
a
meditarvi
intorno
,
si
avvedrà
della
stranezza
di
codesto
intrudere
nello
spirito
dell
'
uomo
valori
transubiettivi
e
trascendenti
;
e
,
per
fargli
animo
,
gli
confesserò
che
anch
'
io
,
da
giovane
,
seguivo
siffatto
modo
di
vedere
,
ma
dovetti
poi
abbandonarlo
,
perché
una
più
attenta
e
prolungata
meditazione
me
ne
dimostrò
le
contradizioni
e
l
'
impossibilità
.
Concludo
.
A
intendere
la
natura
del
linguaggio
e
dell
'
arte
occorre
filosofia
e
non
già
psicologia
;
e
il
Wundt
è
psicologo
.
Per
liberare
dalle
difficoltà
preliminari
la
tesi
dell
'
identità
del
linguaggio
con
l
'
arte
bisogna
concepire
dialetticamente
il
problema
del
bello
e
del
brutto
,
del
valore
e
del
disvalore
;
e
il
Wundt
è
intellettualista
,
non
dialettico
.
Per
fare
che
codesti
studî
progrediscano
è
necessario
risalire
alla
migliore
tradizione
del
pensiero
tedesco
;
e
il
Wundt
,
per
l
'
origine
e
pel
metodo
del
suo
lavoro
,
più
che
a
quello
si
congiunge
al
pensiero
empirico
inglese
e
americano
.
Non
è
stato
per
l
'
appunto
il
prof
.
Wundt
,
che
è
passato
sopra
con
iscarsa
reverenza
alle
teorie
linguistiche
del
geniale
Guglielmo
di
Humboldt
,
imitando
i
diportamenti
dell
'
americano
Whitney
?
E
non
sono
stato
io
(
in
questo
più
tedesco
di
lui
,
ma
tedesco
del
buon
vecchio
tempo
)
a
prendere
le
parti
dello
Humboldt
contro
l
'
americanizzante
professore
tedesco
?
Riuniti
ora
nel
volume
citato
:
Idealismo
e
positivismo
nella
scienza
del
linguaggio
(
Bari
,
Laterza
,
1908
)
.
Vol
.
XXX
,
1906
,
fasc
.
4
,
pp
.
472-487
.
-
il
VOSSLER
ha
risposto
,
per
la
parte
che
lo
concerne
,
nell
'
"
Archiv
für
das
Studium
der
neueren
Sprachen
und
Literaturen
"
,
CXVIII
,
pp
.
253-257
.
StampaPeriodica ,
L
'
idea
di
una
lingua
universale
è
la
sublimazione
del
falso
concetto
che
si
è
avuto
per
il
passato
e
si
ha
ancora
d
'
ordinario
circa
il
linguaggio
.
Questo
falso
concetto
consiste
nel
credere
che
il
linguaggio
sia
un
congegno
che
l
'
uomo
si
è
foggiato
per
comunicare
ai
suoi
simili
il
proprio
pensiero
.
Secondo
siffatto
modo
di
vedere
,
il
pensiero
starebbe
dapprima
,
nella
mente
dell
'
uomo
,
senza
linguaggio
:
il
linguaggio
gli
si
aggiungerebbe
poi
,
per
atto
pratico
,
in
vista
dell
'
utile
e
del
comodo
.
E
poiché
i
congegni
nascono
rozzi
e
si
perfezionano
via
via
nel
corso
dei
secoli
,
non
è
maraviglia
che
,
assimilato
a
essi
,
il
parlare
effettivo
degli
uomini
,
cioè
il
linguaggio
quale
si
è
storicamente
formato
,
appaia
quasi
un
lavorare
con
istrumenti
vecchi
o
addirittura
barbarici
,
riadattati
alla
meglio
ma
sempre
pesanti
e
incomodi
,
e
sorga
il
desiderio
di
sostituire
a
quei
vecchi
strumenti
o
di
possedere
accanto
a
quelli
uno
strumento
nuovo
,
costruito
di
sana
pianta
.
Pel
quale
si
farà
tesoro
,
sì
,
delle
esperienze
secolari
,
ma
ci
si
atterrà
a
criterî
razionali
che
permettano
di
raggiungere
più
facilmente
e
meglio
il
fine
della
comunicazione
.
I
fucili
a
ripetizione
hanno
sostituito
quelli
a
pietra
;
i
treni
-
lampo
le
vecchie
diligenze
:
perché
mai
il
linguaggio
ultimo
-
modello
non
sostituirebbe
il
rappezzato
neolatino
,
il
frondoso
tedesco
e
l
'
ibrido
inglese
?
Il
falso
concetto
del
linguaggio
è
evidente
in
tutti
i
vagheggiatori
e
promotori
di
una
lingua
universale
:
dal
Cartesio
e
dal
Leibniz
,
giù
giù
fino
al
dottor
Zamenhof
,
inventore
dell
'
Esperanto
,
e
ai
signori
Couturat
e
Léau
,
membri
della
"
Delegazione
per
l
'
adottamento
di
una
lingua
internazionale
ausiliare
"
e
autori
della
Histoire
de
la
langue
universelle
.
A
Cartesio
(
com
'
è
noto
)
pareva
cosa
agevole
foggiare
una
lingua
universale
,
nella
quale
si
avesse
un
modo
solo
di
declinare
,
di
coniugare
e
di
costruire
le
parole
,
e
non
fossero
verbi
difettivi
o
irregolari
,
"
qui
sont
toutes
choses
venues
de
la
corruption
de
l
'
usage
"
.
Il
dottor
Zamenhof
,
fin
dal
tempo
che
seguiva
gli
studi
letterarî
nel
ginnasio
di
Varsavia
,
si
persuase
che
"
la
complexité
des
grammaires
naturelles
était
une
richesse
vaine
et
encombrante
,
et
se
mit
à
élaborer
une
grammaire
simplifiée
"
.
I
signori
Couturat
e
Léau
accettano
in
proposito
la
conclusione
a
cui
pervenne
già
nel
1855
il
Renouvier
:
che
una
lingua
internazionale
debba
essere
"
empirique
par
son
vocabulaire
et
philosophique
(
c
'
est
-
à
-
dire
,
rationnelle
)
par
sa
grammaire
"
.
Ed
ecco
che
cosa
essi
pensano
dei
linguaggi
esistenti
:
"
toute
langue
littéraire
est
,
plus
ou
moins
,
artificielle
"
.
E
della
poesia
:
"
qu
'
y
a
-
t
-
il
de
plus
artificiel
,
en
tout
cas
,
que
la
poésie
?
et
dans
quel
pays
est
-
il
naturel
de
parler
en
vers
?
"
.
Dinanzi
a
codeste
affermazioni
si
rimane
sbalorditi
.
Che
Cartesio
e
Leibniz
non
avessero
ancora
inteso
la
natura
del
linguaggio
,
si
spiega
per
le
condizioni
del
pensiero
ai
tempi
loro
.
Ma
,
sulla
fine
del
secolo
decimonono
o
sui
principi
del
ventesimo
,
udire
ripetere
ancora
che
le
lingue
sono
irrazionali
,
che
contengono
elementi
inutili
,
che
possono
venir
semplificate
per
mezzo
della
logica
,
che
la
poesia
è
un
fatto
artificiale
,
è
cosa
non
sopportabile
.
I
moderni
dissertatori
intorno
al
linguaggio
universale
,
che
si
valgono
di
concetti
come
quelli
dei
quali
si
è
dato
saggio
,
dovrebbero
,
a
mio
parere
,
non
già
essere
ammessi
alla
discussione
,
ma
rimandati
puramente
e
semplicemente
a
studiare
che
cosa
il
linguaggio
sia
.
È
chiaro
che
sulla
Filosofia
del
linguaggio
non
debbono
aver
mai
meditato
sul
serio
.
L
'
hanno
creduta
facile
,
di
quelle
cognizioni
che
si
posseggono
come
per
buon
senso
naturale
;
ed
è
invece
difficile
e
di
faticoso
acquisto
.
I
promotori
della
lingua
universale
dichiarano
di
avere
ormai
affatto
abbandonato
l
'
antica
pretesa
di
una
lingua
filosofica
,
rispondente
ai
concetti
esattamente
determinati
delle
cose
:
quella
lingua
filosofica
della
quale
Cartesio
diceva
per
l
'
appunto
:
"
l
'
invention
de
cette
langue
dépend
de
la
vraye
philosophie
"
.
E
non
hanno
difficoltà
a
riconoscere
che
,
non
essendo
ancora
la
scienza
bella
e
fatta
,
e
mutando
anzi
di
continuo
,
una
lingua
di
tal
sorta
è
impossibile
.
Ma
con
ciò
non
si
è
superato
l
'
errore
,
il
quale
non
nasceva
già
dal
presupposto
della
scienza
perfetta
:
la
lingua
desiderata
sarebbe
stata
certamente
tanto
più
perfetta
quanto
più
perfetta
la
scienza
che
le
servisse
di
base
,
ma
avrebbe
,
anche
nell
'
ipotesi
di
una
scienza
imperfetta
,
rappresentato
pur
sempre
un
progresso
grande
rispetto
al
linguaggio
volgare
,
perché
la
scienza
degli
scienziati
,
imperfetta
che
sia
,
vale
sempre
meglio
delle
credenze
del
volgo
.
L
'
errore
,
invece
,
in
quella
idea
di
una
lingua
filosofica
era
né
più
né
meno
il
medesimo
in
cui
s
'
incorre
ora
con
l
'
idea
della
lingua
universale
;
vale
a
dire
,
concepire
il
linguaggio
come
qualcosa
d
'
estrinseco
e
di
fissabile
.
Questo
errore
non
è
stato
punto
superato
.
Supposti
due
individui
i
quali
abbiano
gli
stessissimi
pensieri
intorno
a
un
oggetto
,
non
per
ciò
essi
potranno
mai
parlare
una
lingua
comune
a
entrambi
,
identica
in
entrambi
.
Ciascuno
dei
due
parlerà
a
modo
suo
,
cioè
in
modo
corrispondente
al
proprio
animo
e
alla
propria
fantasia
;
ciascuno
con
certe
immagini
,
certi
suoni
,
certi
giri
di
periodi
,
certi
gesti
e
certe
enfasi
,
che
non
possono
essere
identici
alle
immagini
,
ai
suoni
,
ai
periodi
,
ai
gesti
e
alle
enfasi
,
con
cui
si
esprime
l
'
altro
.
Il
linguaggio
,
insomma
,
cioè
il
parlare
,
è
nella
sua
realtà
spontaneo
,
individuale
,
variabile
;
e
il
linguaggio
,
che
si
domandava
,
quel
linguaggio
comune
,
sarebbe
dovuto
essere
artificiale
,
universale
e
fisso
,
negando
così
la
natura
universale
del
linguaggio
,
contradicendo
con
l
'
aggettivo
il
sostantivo
.
E
(
si
noti
bene
)
la
diversità
del
parlare
secondo
gl
'
individui
e
le
.
situazioni
psicologiche
in
cui
ciascuno
di
essi
si
trova
,
non
esclude
il
reciproco
intendersi
;
perché
intendere
vuol
dire
appunto
adeguarsi
alla
psicologia
altrui
movendo
dalla
propria
e
a
questa
tornando
.
Se
gli
uomini
potessero
parlare
tutti
allo
stesso
modo
,
sarebbero
tutti
identici
;
con
che
non
s
'
intenderebbero
già
meglio
,
ma
si
scioglierebbero
tutti
insieme
nell
'
indistinto
,
e
il
mondo
non
esisterebbe
.
Per
le
ragioni
che
ho
esposte
o
ricordate
,
l
'
idea
di
una
lingua
universale
resterà
sempre
un
'
utopia
della
specie
più
stolta
,
perché
utopia
del
contradittorio
.
Essa
non
cesserà
di
esercitare
un
certo
fascino
su
qualche
spirito
irriflessivo
;
così
come
vi
sarà
sempre
taluno
che
si
domanderà
perché
mai
,
consistendo
la
musica
in
combinazioni
di
note
,
e
la
pittura
in
combinazioni
di
colori
,
e
la
poesia
in
combinazioni
di
parole
,
non
si
possono
ottenere
nuove
e
meravigliose
musiche
,
pitture
,
poesie
mercé
macchine
combinatorie
,
facendo
a
meno
di
quella
rara
e
costosa
materia
prima
,
che
si
chiama
la
genialità
dell
'
artista
.
E
come
vi
sarà
sempre
qualche
fanciullo
che
si
domanderà
perché
mai
i
popoli
facciano
le
guerre
distruggendo
pazzamente
vite
umane
e
ricchezze
con
tanta
fatica
prodotte
,
laddove
potrebbero
decidere
le
loro
contese
con
duelli
singolari
,
al
modo
di
quello
degli
Orazi
e
dei
Curiazi
e
degli
altri
,
che
non
poterono
avere
effetto
,
tra
Pietro
d
'
Aragona
e
Carlo
d
'
Angiò
,
tra
Francesco
I
e
Carlo
V
.
Ma
,
ai
giorni
nostri
,
sembra
che
la
ricerca
del
linguaggio
universale
abbia
mutato
carattere
.
Una
lingua
universale
,
o
,
come
volentieri
la
chiamano
,
una
"
lingua
internazionale
sussidiaria
"
,
viene
richiesta
da
politici
e
commercianti
,
da
scienziati
(
di
quelli
che
girano
per
tutti
i
congressi
)
,
da
logici
matematici
(
inventori
di
specifici
pel
retto
e
comodo
pensare
)
,
e
da
altri
di
simigliante
genìa
;
e
la
richiesta
è
confortata
dall
'
osservazione
di
certi
fatti
che
già
esistono
e
che
si
approssimano
a
quel
che
si
desidera
:
quali
sarebbero
le
lingue
franche
o
i
sabir
della
costa
mediterranea
e
di
altri
paesi
,
la
fortuna
e
la
diffusione
prima
del
Volapük
e
ora
dell
'
Esperanto
,
la
crescente
quantità
di
parole
comuni
che
si
osserva
nei
linguaggi
della
civiltà
europea
,
le
terminologie
e
notazioni
scientifiche
internazionali
;
e
altrettali
.
Perché
mai
un
autorevole
consesso
,
come
l
'
Accademia
delle
accademie
(
bel
nome
,
che
par
modellato
su
quello
del
Cantico
dei
cantici
)
,
o
altro
che
sia
,
composto
di
delegati
dei
varî
Stati
,
non
potrebbe
fissare
un
complesso
di
segni
fonici
,
scelti
con
pratico
buon
senso
,
e
agevolare
con
tale
deliberato
la
comunicazione
dei
pensieri
tra
persone
di
diverso
linguaggio
?
Qual
'
è
l
'
impossibilità
intrinseca
di
questo
desiderio
?
Non
si
vede
.
Senza
dubbio
,
l
'
enunciato
desiderio
non
ha
alcuna
impossibilità
intrinseca
,
e
anzi
si
è
già
in
parte
effettuato
e
si
potrà
effettuare
in
séguito
anche
più
largamente
.
Ma
,
in
ogni
caso
,
quel
che
si
ottiene
a
questo
modo
(
ecco
il
punto
importante
)
o
non
è
lingua
o
non
è
universale
.
Mettere
in
corrispondenza
certi
suoni
,
arbitrariamente
foggiati
,
con
certe
idee
ed
espressioni
non
è
propriamente
parlare
,
ma
formare
una
convenzione
.
Si
può
convenire
,
per
es
.
,
che
quel
che
gl
'
italiani
chiamano
"
pane
"
,
e
i
francesi
"
pain
"
,
e
i
tedeschi
"
brot
"
,
e
gl
'
inglesi
"
bread
"
,
sia
indicato
col
suono
"
puk
"
;
quel
che
si
dice
"
voglio
,
je
veux
,
ich
will
,
I
will
"
,
sia
indicato
col
suono
"
ro
"
;
onde
"
ro
puk
"
si
tradurrà
nelle
rispettive
lingue
:
"
io
voglio
un
pezzo
di
pane
"
.
Ma
con
questa
convenzione
non
si
è
data
vita
a
nessun
linguaggio
:
il
linguaggio
è
l
'
uomo
che
parla
,
nell
'
atto
che
parla
.
La
convenzione
può
avere
pretese
di
universalità
ed
essere
universalmente
imposta
o
universalmente
accettata
;
ma
l
'
aggettivo
"
universale
"
cerca
qui
invano
il
sostantivo
"
linguaggio
"
.
Perché
questo
sostantivo
sia
al
suo
posto
,
perché
si
abbia
linguaggio
,
è
necessario
che
i
vari
individui
,
che
compongono
l
'
ipotetica
società
aderente
alla
convenzione
,
prendano
a
parlare
,
dicendo
:
"
ro
puk
"
,
per
dire
che
vogliono
il
pane
.
Ma
,
non
appena
quella
convenzione
si
traduce
in
linguaggio
,
ecco
che
cessa
di
esser
convenzione
,
diventa
un
semplice
dato
naturale
,
un
'
impressione
,
un
fatto
psichico
,
che
lo
spirito
di
ciascun
parlante
risente
ed
elabora
a
suo
modo
:
un
dato
,
il
quale
è
entrato
con
altri
nella
psiche
del
parlante
,
che
lo
trasforma
in
linguaggio
vivo
,
facendone
la
sintesi
estetica
insieme
con
le
altre
impressioni
,
che
parimente
sono
entrate
in
lui
.
La
convenzione
cessa
per
tal
modo
di
essere
convenzione
,
perché
si
è
individualizzata
.
In
ciascun
individuo
,
e
in
ciascun
atto
del
parlare
,
quei
suoni
"
ro
puk
"
acquistano
un
particolare
significato
o
,
ch
'
è
lo
stesso
,
una
particolare
sfumatura
di
significato
.
Prima
si
aveva
l
'
universale
,
ma
non
la
lingua
;
ora
si
ha
bensì
la
lingua
,
ma
non
più
l
'
universale
.
Questa
obiezione
,
che
la
parola
convenuta
perda
la
sua
fissità
,
quando
entra
nell
'
uso
vivo
del
parlare
;
che
quel
solido
,
per
così
dire
,
caduto
nel
flusso
di
un
liquido
,
si
liquefaccia
anch
'
esso
;
-
è
stata
mossa
ai
sostenitori
della
lingua
universale
o
è
stata
in
qualche
modo
adombrata
,
quando
si
è
notato
che
la
lingua
universale
sarà
variamente
pronunciata
dai
vari
individui
,
e
che
sarà
alterata
dai
vari
popoli
secondo
le
tendenze
e
i
precedenti
di
ciascuno
e
secondo
tutte
le
circostanze
e
vicende
storiche
.
I
difensori
della
lingua
universale
,
non
avvertendo
forse
la
gravità
dell
'
obiezione
,
hanno
risposto
:
che
,
ammesso
pure
che
la
pronunzia
sia
causa
di
alterazioni
,
la
lingua
universale
resterà
sempre
utile
per
le
comunicazioni
scritte
;
che
le
alterazioni
temute
non
avranno
luogo
,
com
'
è
provato
da
esperienze
fatte
col
Volapüik
e
con
l
'
Esperanto
;
che
la
lingua
artificiale
non
sarà
sottomessa
agli
stessi
motivi
di
alterazione
,
operanti
nelle
lingue
storiche
,
perché
dovrà
servire
solo
per
certi
determinati
scambi
e
sarà
frenata
da
una
tradizione
e
da
una
letteratura
di
modelli
classici
;
che
le
mutazioni
,
riconosciute
opportune
,
potranno
essere
introdotte
,
cautamente
,
dall
'
autorità
medesima
,
costitutrice
di
quel
linguaggio
;
e
così
via
.
Ma
sono
tutte
risposte
le
quali
,
come
si
vede
,
non
giungono
a
eliminare
l
'
obiezione
in
quel
che
ha
di
sostanziale
.
Il
vero
è
che
nessuna
parola
è
qualcosa
di
fissabile
astrattamente
,
ma
ciascuna
attinge
significato
dalla
connessione
in
cui
si
trova
,
e
da
cui
non
è
separabile
se
non
per
violenta
mutilazione
.
E
quel
che
accade
per
le
parole
delle
così
dette
lingue
naturali
,
accade
del
pari
per
quelle
che
hanno
,
sì
,
il
loro
motivo
extralinguistico
in
una
convenzione
,
ma
il
cui
motivo
linguistico
è
,
come
per
tutte
le
altre
,
nella
spontaneità
e
naturalità
del
parlare
,
ritraente
le
svariate
e
mutabili
impressioni
dell
'
animo
umano
.
Non
si
tratta
,
dunque
,
di
quelle
sole
alterazioni
che
s
'
introdurrebbero
saltuariamente
e
accidentalmente
nel
corso
degli
anni
o
dei
secoli
;
ma
di
quelle
,
continue
,
che
s
'
introducono
a
ogni
attimo
.
La
mutabilità
incoercibile
del
linguaggio
,
e
della
convenzione
divenuta
che
sia
anch
'
essa
linguaggio
,
non
esclude
,
certamente
,
che
la
convenzione
,
tradotta
in
linguaggio
,
possa
avere
qualche
utilità
.
Per
certi
fini
pratici
,
quel
che
importa
è
non
la
fissità
rigorosa
,
ma
quella
approssimativa
,
nella
quale
si
trascurano
le
sfumature
e
si
considera
un
'
espressione
all
'
ingrosso
.
Epperò
l
'
Esperanto
,
e
altre
convenzioni
dello
stesso
genere
,
potranno
avere
la
loro
utilità
,
piccola
o
grande
che
sia
,
per
certi
tempi
e
per
certi
luoghi
.
Ridotta
la
cosa
in
questi
confini
,
essa
è
d
'
interesse
e
di
competenza
dei
pratici
,
alle
cure
dei
quali
bisogna
commetterla
e
lasciarla
.
Ma
,
sotto
l
'
aspetto
scientifico
,
conviene
insistere
nell
'
affermazione
che
la
così
detta
lingua
universale
si
risolve
in
un
processo
diviso
in
due
stadî
,
il
primo
dei
quali
(
convenzione
)
è
universale
ma
non
è
lingua
,
il
secondo
(
parlare
effettivo
)
è
lingua
ma
non
più
universale
.
Perché
,
al
filosofo
importa
che
l
'
umile
questione
pratica
di
un
possibile
espediente
atto
ad
agevolare
certi
generi
di
scambî
spirituali
non
faccia
sorgere
,
o
non
rafforzi
,
idee
false
(
e
già
troppe
ne
vanno
in
giro
)
intorno
alla
natura
del
linguaggio
.
Paris
,
Hachette
,
1903
,
8°
gr
.
,
pp
.
xxx-576
.
Op
.
cit
.
,
p
.
305
.
Op
.
cit
.
,
p
.
514
.
Op
.
cit
.
,
p
.
566
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
113-115
,
548
.
Purtroppo
il
gran
Leibniz
,
in
conseguenza
dei
suoi
errati
concetti
circa
il
linguaggio
,
fu
uno
di
questi
"
taluni
"
e
sognò
di
poter
comporre
con
metodo
infallibile
e
quasi
dimostrativo
poemi
e
canti
"
très
beaux
"
;
al
modo
stesso
che
un
predecessore
di
lui
,
il
padre
Kircher
,
nella
Musurgia
,
pretendeva
insegnare
l
'
arte
di
comporre
arie
senza
sapere
di
musica
.
Si
veda
La
logique
de
Leibniz
,
d
'
après
des
documents
inédits
,
par
L
.
COUTURAT
(
Paris
,
Alcan
,
1901
)
,
p
.
63
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559
e
565
.
Cfr
.
la
rivista
"
Leonardo
"
,
fasc
.
di
novembre
1904
,
p
.
37
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559-569
.
StampaPeriodica ,
Beh
?
chiese
stupita
la
ragazza
col
costumino
rosso
al
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
che
stava
coll
'
occhio
incollato
al
buco
della
cabina
Beh
?
Che
state
facendo
?
Il
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
si
alzò
.
Aveva
gambe
magre
e
pelose
(
volete
divenir
pelosi
in
pochi
giorni
?
Volete
avere
peli
lunghissimi
e
talvolta
superflui
?
Acqua
ossigenata
Pop
!
Ogni
goccia
un
ciuffetto
)
I
salti
mortali
!
rispose
calmissimo
e
ironico
.
Tacque
un
momento
fissando
la
ragazza
Ma
non
lo
vedete
?
Sto
guardando
da
questo
buco
.
Perché
...
seguitò
poi
vedendo
il
gesto
stizzito
della
ragazza
col
costumino
rosso
(
volete
divenir
rossi
?
Guantone
Pop
!
Uno
schiaffone
la
mattina
appena
alzati
vuoi
sulla
guancia
destra
,
vuoi
sulla
sinistra
!
Rossi
in
pochi
giorni
)
perché
,
vi
dà
fastidio
?
La
ragazza
col
costumino
rosso
batté
nervosamente
i
piedi
sulla
sabbia
(
sabbia
Pop
!
La
sola
che
tirata
negli
occhi
ti
renda
definitivamente
cieco
)
Che
razza
di
villano
mascalzone
cominciò
corrugando
le
sopracciglia
Mi
chiedete
anche
se
...
Vacce
piano
con
le
parole
,
vacce
piano
!
interruppe
il
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
Sennò
mannaggia
la
miseria
aggiunse
facendo
l
'
atto
di
darle
un
ceffone
(
ceffone
Pop
!
L
'
unico
che
,
una
volta
ricevuto
,
vi
faccia
sorridere
per
ore
e
ore
e
vi
faccia
mormorare
"
Datemi
del
fieno
!
"
)
.
La
ragazza
col
costumino
rosso
sbuffò
Bella
prodezza
!
Guardare
le
ragazze
dal
buco
della
cabina
!
Ripeto
,
siete
un
mascalzone
!
(
è
in
vendita
in
tutte
le
librerie
il
manuale
Pop
Come
si
diventa
mascalzone
.
In
meno
di
dieci
giorni
saprete
sputare
con
sicurezza
e
precisione
in
testa
a
signori
calvi
,
saprete
fare
cianchettoni
ai
cavalli
stanchi
e
assonnati
,
e
saprete
fare
pernacchie
agli
usignuoli
come
ricompensa
al
loro
canto
)
.
Ci
fu
una
pausa
,
Il
sole
era
tutto
oro
...
il
mare
calmo
con
qualche
fremito
di
sudore
...
la
sabbia
fina
fina
,
bianca
...
Poi
il
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
parlò
Ma
forse
voi
signorina
non
sapete
che
questo
buco
l
'
ho
fatto
io
...
Tacque
un
momento
guardando
la
ragazza
.
Io
,
col
trapano
Pop
!
La
ragazza
col
costumino
rosso
si
morse
un
dito
Ma
dite
la
verità
?
chiese
poi
dubbiosa
.
II
giovanotto
dall
'
accento
spiccatamente
romano
si
portò
una
mano
al
cuore
.
Allora
quand
'
è
così
seguitò
la
ragazza
un
poco
imbarazzata
quand
'
è
così
vado
subito
in
cabina
...
e
voi
guardate
!
Sulla
riva
un
bambino
completamente
rapato
guazzava
nell
'
acqua
.
Trapano
Pop
!
Quando
il
buco
è
fatto
col
trapano
Pop
,
farsi
guardare
signore
e
signorine
è
in
verità
un
piacere
senza
fine
!
StampaPeriodica ,
Il
Trombetti
pubblica
i
principali
risultati
del
lavoro
al
quale
attende
da
molti
anni
,
diretto
a
dimostrare
l
'
unità
d
'
origine
del
linguaggio
.
Ma
poiché
,
sia
per
il
premio
reale
dei
Lincei
conferito
nel
passato
anno
all
'
autore
,
e
per
il
gran
discorrere
che
ne
seguì
nei
giornali
,
e
per
la
cattedra
speciale
per
lui
istituita
,
sia
per
altre
cause
che
indicheremo
,
si
è
fatta
molta
confusione
intorno
alla
natura
,
al
significato
e
all
'
importanza
del
problema
che
il
Trombetti
si
è
proposto
,
a
noi
sembra
opportuno
(
prescindendo
qui
dal
valore
maggiore
o
minore
delle
sue
dimostrazioni
)
di
determinare
e
circoscrivere
il
valore
del
problema
stesso
.
E
diciamo
subito
che
si
tratta
di
un
problema
di
nessuna
importanza
filosofica
.
Pel
filosofo
,
domandare
se
il
linguaggio
abbia
avuto
una
o
più
origini
,
se
bisogni
tenere
per
la
monogenesi
o
per
la
poligenesi
,
non
ha
significato
.
Il
filosofo
sa
che
le
diversità
dei
linguaggi
sono
infinite
,
perché
infinite
sono
le
individuazioni
dello
spirito
.
Né
ammette
che
si
possa
discutere
dell
'
origine
storica
del
linguaggio
,
perché
il
linguaggio
non
è
fatto
storico
,
particolare
e
contingente
,
ma
categoria
.
Ciò
si
è
voluto
esprimere
nella
moderna
linguistica
e
filosofia
del
linguaggio
col
profondo
detto
,
che
il
problema
dell
'
origine
del
linguaggio
si
risolve
in
quello
della
sua
eterna
natura
.
Il
problema
del
Trombetti
è
nient
'
altro
che
una
ricerca
di
preistoria
.
Supponiamo
che
egli
sia
riuscito
a
provare
il
suo
assunto
dell
'
origine
di
tutti
i
linguaggi
esistenti
da
un
ceppo
comune
;
che
cosa
avrebbe
provato
?
Questo
:
che
le
società
ora
sparse
sulla
terra
,
delle
quali
la
lacunosa
e
assai
recente
tradizione
storica
non
ci
mostra
le
connessioni
,
dovettero
in
un
certo
tempo
(
=
tante
migliaia
d
'
anni
addietro
)
formare
un
'
unica
società
.
E
prima
di
quel
tempo
?
E
prima
di
prima
?
L
'
ulteriore
domanda
non
appartiene
al
tema
del
Trombetti
.
Se
la
potenza
romana
avesse
potuto
assorbire
o
distruggere
tutte
le
altre
società
esistenti
,
la
civiltà
presente
,
e
con
essa
i
suoi
linguaggi
,
non
avrebbero
altra
origine
che
Roma
.
Immaginiamo
un
antichissimo
gruppo
umano
,
il
quale
,
sostituendosi
a
esseri
inferiori
o
assorbendoli
,
si
sia
poi
diramato
per
tutta
la
terra
,
nell
'
Eurasia
,
nell
'
Africa
,
nell
'
Oceania
,
nelle
Americhe
;
e
avremo
la
costruzione
preistorica
,
giustificata
o
no
che
sia
,
rispondente
all
'
ipotesi
del
Trombetti
.
L
'
ipotesi
non
ha
nulla
d
'
impossibile
;
ma
,
ammessa
come
vera
,
non
tocca
nessuno
dei
grandi
problemi
che
interessano
lo
spirito
umano
.
Anzi
,
dirò
di
più
:
a
considerarla
nei
suoi
limiti
di
ricerca
preistorica
,
essa
ha
ben
modesto
interesse
,
perché
modesto
è
in
genere
l
'
interesse
della
preistoria
,
di
questa
scienza
analfabeta
(
come
il
Mommsen
scherzosamente
la
chiamava
)
,
la
quale
indaga
le
zone
grige
,
l
'
indistinto
,
il
rudimentale
,
il
povero
,
laddove
la
storia
ci
pone
di
fronte
ai
grandi
fatti
dello
svolgimento
umano
.
Credo
tutt
'
altro
che
trascurabili
le
ricerche
sulla
vascolaria
primitiva
;
ma
mi
permetto
di
reputare
alquanto
più
interessante
lo
studio
di
un
vaso
attico
,
di
un
piatto
di
mastro
Giorgio
o
di
una
porcellana
cinese
.
Se
l
'
interessamento
comune
sembra
testimoniare
del
contrario
e
si
accende
vivacissimo
innanzi
a
ogni
rivelazione
che
concerna
il
"
primitivo
"
,
ciò
accade
,
a
mio
parere
,
perché
nel
pensiero
comune
si
suole
scambiare
l
'
angusta
ricerca
preistorica
con
la
ricerca
filosofica
e
si
aspetta
dalla
prima
la
risposta
ai
problemi
della
seconda
.
Per
non
dire
che
talvolta
,
come
in
questo
caso
,
operano
in
quell
'
interessamento
motivi
religiosi
,
sonnecchianti
in
fondo
agli
animi
di
tutti
e
anche
di
molti
professionali
dell
'
irreligione
.
La
monogenesi
fa
pensare
,
confusamente
,
a
padre
Adamo
;
e
,
si
ha
voglia
a
essere
miscredenti
,
certe
cose
fanno
piacere
.
Di
qui
gran
parte
della
curiosità
che
ha
destata
,
e
della
popolarità
che
si
è
acquistata
fin
dal
primo
annunzio
,
la
così
detta
scoperta
del
Trombetti
.
Il
quale
,
purtroppo
,
non
si
è
saputo
guardare
esso
stesso
dall
'
esagerare
il
valore
della
sua
ricerca
e
dall
'
intorbidarne
l
'
indole
.
Il
Trombetti
crede
,
per
esempio
,
che
,
dimostrata
la
monogenesi
del
linguaggio
,
sarà
possibile
studiare
ben
altrimenti
"
quali
relazioni
intercedano
fra
il
segno
e
la
cosa
significata
"
(
p
.
VI
,
e
cfr
.
pp
.
41-3
)
;
si
dice
"
conscio
della
straordinaria
importanza
,
che
ha
l
'
affermazione
contenuta
nel
titolo
del
suo
libro
"
(
p
.
VI
)
;
asserisce
che
"
solo
con
l
'
unità
di
origine
del
linguaggio
sia
possibile
la
Glottologia
generale
comparativa
,
disciplina
la
quale
può
gettare
viva
luce
sulle
questioni
che
più
agitano
lo
spirito
umano
"
(
p
.
53
)
.
A
questo
modo
egli
mostra
di
possedere
concetti
poco
esatti
sul
rapporto
della
Glottologia
con
la
Filosofia
del
linguaggio
,
e
manchevole
intelligenza
di
quel
che
egli
chiama
segno
e
che
divide
dalla
cosa
significata
.
"
La
Glottologia
(
dice
altrove
,
p
.
VIII
)
,
avendo
per
oggetto
il
linguaggio
,
è
il
miglior
legame
tra
le
due
grandi
divisioni
in
cui
sta
ancora
ripartito
il
sapere
"
.
Né
ha
concetti
esatti
su
quel
che
sia
scienza
:
"
Scienza
vera
,
per
quel
che
riguarda
il
rigore
delle
dimostrazioni
,
ammessi
certi
postulati
,
è
soltanto
la
Matematica
:
le
altre
scienze
devono
tendere
ad
una
rappresentazione
matematica
o
simbolica
delle
cose
,
dalla
quale
però
sono
ancora
ben
lontane
"
(
p
.
10
)
.
Che
più
?
Egli
immagina
perfino
che
la
monogenesi
del
linguaggio
,
con
la
conseguente
monogenesi
degli
uomini
,
sia
atta
a
recare
consolazione
morale
.
"
La
scienza
e
l
'
arte
,
quando
non
siano
accompagnate
ad
un
ideale
di
bontà
,
sono
,
per
lo
meno
,
cose
imperfette
.
Perciò
richiamo
l
'
attenzione
su
certe
deduzioni
morali
,
che
vengono
spontanee
dall
'
esame
dei
fatti
;
ma
,
soprattutto
,
sulla
conclusione
generale
,
che
può
ricavarsi
in
favore
dell
'
unità
della
specie
umana
,
e
,
per
conseguenza
,
anche
in
favore
della
fratellanza
reale
degli
uomini
.
Tutti
i
buoni
debbono
augurarsi
che
non
abbiano
a
trionfare
le
teorie
,
messe
fuori
in
forma
dogmatica
,
sulla
pluralità
delle
specie
umane
,
e
che
,
piuttosto
,
anche
per
opera
della
scienza
,
venga
confermato
il
concetto
sublime
della
fratellanza
degli
uomini
,
frutto
della
intuizione
e
del
sentimento
,
religioso
o
altro
"
(
p
.
VIII
)
.
L
'
introduzione
del
libro
si
chiude
con
le
parole
:
"
Tutti
gli
uomini
appartengono
a
una
sola
specie
e
sono
realmente
fratelli
"
(
p
.
58
)
.
Come
se
gli
uomini
non
siano
fratelli
pel
fatto
stesso
che
sono
uomini
,
cioè
esseri
pensanti
;
o
come
se
l
'
asserita
preistoria
unitaria
dei
linguaggi
storici
abbia
virtù
d
'
ingenerare
un
sentimento
nuovo
e
più
efficace
di
fratellanza
,
impedendo
qualche
guerra
o
addolcendo
qualche
spietata
concorrenza
commerciale
.
Della
identità
e
dei
nessi
stabiliti
dal
Trombetti
tra
le
lingue
dell
'
Eurasia
,
dell
'
Africa
e
dell
'
Oceania
,
e
da
lui
presupposti
anche
per
le
lingue
d
'
America
,
discuteranno
i
competenti
.
Odo
insistentemente
susurrare
da
filologi
e
glottologi
che
nel
giudizio
circa
questa
parte
del
suo
lavoro
si
è
molto
esagerato
,
e
che
le
affermazioni
del
Trombetti
vanno
soggette
a
continue
riserve
.
Ma
l
'
esagerazione
,
che
si
potrà
dimostrare
per
questo
rispetto
,
sarà
sempre
minore
di
quella
che
si
è
fatta
col
falsare
,
come
abbiamo
veduto
,
il
significato
stesso
della
ricerca
.
Con
che
non
si
vuole
essere
severi
verso
il
Trombetti
,
il
quale
in
gran
parte
,
piuttosto
che
autore
,
è
stato
vittima
delle
esagerazioni
;
né
si
vuole
negargli
il
merito
che
gli
spetta
per
avere
consacrato
tutto
l
'
ardore
della
sua
laboriosa
giovinezza
a
una
ricerca
,
la
quale
,
se
ha
natura
diversa
e
importanza
assai
minore
di
quel
che
egli
ha
creduto
,
è
pur
sempre
ricerca
da
non
trascurare
.
ALFREDO
TROMBETTI
(
prof
.
ordin
.
nell
'
Università
di
Bologna
)
,
L
'
unità
d
'
origine
del
linguaggio
(
Bologna
,
Beltrami
,
1905
)
.
Mi
viene
a
mano
un
articolo
del
prof
.
A
.
MOCHI
,
intorno
al
libro
del
T
.
(
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
del
20
agosto
1905
)
,
che
mostra
aperta
la
confusione
da
me
lamentata
dell
'
ipotesi
del
T
.
coi
concetti
di
umanità
,
origine
dell
'
umanità
,
fratellanza
umana
,
ecc
.
:
"
Agli
argomenti
favorevoli
alla
dottrina
dell
'
originaria
fratellanza
di
tutti
gli
uomini
(
dice
il
M
.
)
se
ne
aggiunge
oggi
uno
capitale
:
la
primitiva
unità
del
linguaggio
.
La
vecchia
ed
ardente
questione
,
che
tenne
diviso
per
secoli
il
campo
scientifico
,
si
chiude
finalmente
per
merito
d
'
un
glottologo
.
È
perciò
che
l
'
opera
di
lui
assume
una
grande
importanza
anche
all
'
infuori
delle
discipline
linguistiche
e
richiama
l
'
attenzione
di
ogni
cultore
della
storia
umana
;
anzi
,
per
dir
meglio
,
di
tutti
gli
uomini
che
si
sono
posti
un
giorno
la
tormentosa
domanda
:
donde
veniamo
?
"
.
E
si
veda
anche
,
nello
stesso
"
Giornale
"
,
num
.
del
22
agosto
,
la
lettera
di
"
un
Cattolico
"
.
StampaPeriodica ,
Testé
ho
compiuto
la
lettura
di
parecchi
scritti
di
linguistica
e
mi
sono
rimesso
alquanto
al
corrente
in
questo
campo
di
studî
,
al
quale
da
circa
venti
anni
non
avevo
quasi
più
rivolto
l
'
occhio
,
occupato
com
'
ero
in
altri
problemi
e
indagini
.
E
ho
provato
il
compiacimento
di
notare
che
la
scienza
del
linguaggio
si
trova
adesso
in
piena
benefica
crisi
,
e
che
i
concetti
,
che
,
oltre
vent
'
anni
fa
,
io
avevo
sostenuti
in
tale
materia
,
sono
stati
tutti
confermati
o
riscoperti
da
recenti
studiosi
.
Non
già
che
quei
miei
concetti
non
avessero
precedenti
presso
gli
stessi
cultori
di
Linguistica
,
perché
i
dubbî
circa
la
validità
delle
cosidette
leggi
fonetiche
,
e
la
polemica
contro
i
neogrammatici
,
potevano
vantare
nomi
insigni
,
come
quelli
dell
'
Ascoli
e
dello
Schuchardt
.
Tali
dubbi
sono
poi
riapparsi
e
hanno
,
per
così
dire
,
esploso
nello
Gilliéron
e
nella
sua
scuola
,
operando
un
rivolgimento
nel
modo
di
studiare
la
storia
delle
parole
.
Ma
io
mi
avvidi
forse
per
il
primo
che
le
teorie
allora
correnti
nella
Lingusitica
erano
una
delle
forme
del
positivismo
e
dipendevano
dalla
concezione
meccanica
o
naturalistica
del
parlare
e
,
più
in
particolare
,
dalla
ignoranza
circa
il
concetto
della
creazione
poetica
e
la
natura
dell
'
arte
.
In
qual
modo
era
,
allora
,
considerata
la
Linguistica
dai
filosofi
,
e
non
da
quelli
volgari
ma
da
filosofi
di
molto
acume
e
dottrina
,
irretiti
nel
naturalismo
,
nel
determinismo
e
nello
psicologismo
?
Può
vedersi
in
una
pagina
della
importante
prelezione
,
che
nel
1887
il
mio
maestro
Antonio
Labriola
tenne
all
'
università
di
Roma
sui
problemi
della
filosofia
della
storia
.
Il
Labriola
guardava
alla
storia
delle
lingue
come
a
quella
parte
della
storia
che
s
'
era
innalzata
a
scienza
e
splendeva
quasi
faro
a
segnar
la
via
di
salvezza
alle
altre
parti
.
"
La
storiografia
tradizionale
(
egli
scriveva
)
,
che
usa
del
criterio
prospettico
della
successione
nel
tempo
per
dati
di
cronologia
uniforme
,
si
risolve
da
sé
come
in
tanti
processi
di
formazioni
specifiche
,
aventi
il
proprio
ritmo
,
e
indipendenti
dalle
divisioni
convenzionali
di
Oriente
e
Occidente
,
di
antico
,
di
medievale
e
di
moderno
,
o
come
altro
si
dicano
.
E
,
difatti
,
lo
studio
specifico
di
alcuno
degli
ordini
precisi
di
fatti
omogenei
e
graduati
,
ci
ha
dato
ai
nostri
tempi
i
primi
serî
tentativi
di
scienza
storica
;
e
se
non
in
tutte
le
maniere
di
studî
fu
sino
ad
ora
possibile
di
raggiungere
l
'
esattezza
della
Linguistica
,
e
specie
dell
'
ariana
,
non
è
improbabile
,
a
giudicare
dagli
avviamenti
,
che
il
medesimo
debba
accadere
di
altre
forme
e
di
altri
prodotti
dell
'
attività
umana
.
Con
questi
studî
,
come
con
vero
e
proprio
oggetto
di
scienza
il
filosofo
della
storia
deve
simpatizzare
,
se
non
vuole
che
le
sue
elucubrazioni
e
il
suo
insegnamento
divengano
presto
esercizio
di
rettorica
speculativa
"
.
Nel
rileggere
ora
questa
pagina
,
si
prova
l
'
impressione
di
assistere
a
una
delle
non
infrequenti
"
ironie
della
storia
"
.
Il
grande
edifizio
della
Linguistica
,
con
le
sue
esatte
leggi
fonetiche
,
è
ora
mezzo
in
rovina
;
e
i
linguisti
,
anziché
prestare
il
modello
alle
altre
parti
degli
studî
storici
,
chiedono
a
queste
la
regola
per
rinnovare
e
correggere
le
indagini
loro
proprie
.
È
stato
notato
che
la
crisi
è
sorta
non
tanto
nel
campo
della
grammatica
storica
,
quanto
in
quello
dell
'
etimologia
.
La
cosa
è
affatto
ovvia
.
La
legge
fonetica
,
che
prima
si
concepiva
come
legge
naturale
nel
senso
di
una
legge
"
reale
"
,
e
che
è
invece
naturalistica
e
astratta
,
scopre
la
sua
impotenza
o
i
suoi
limiti
innanzi
al
concreto
etimologizzare
,
cioè
al
problema
storico
effettivo
,
che
è
sempre
individuato
.
E
quando
lo
Gilliéron
intitola
uno
dei
suoi
scritti
:
"
La
faillité
de
l
'
Étymologie
phonétique
"
,
che
cosa
fa
egli
se
non
ripetere
la
formola
che
abbiamo
udito
risuonare
ogni
volta
che
qualche
parte
della
filosofia
o
della
storia
ripigliava
la
sua
libertà
di
movimenti
,
scotendo
via
la
brutale
violenza
procustea
del
positivismo
:
a
cominciare
da
una
certa
celebre
Banqueroute
de
la
Science
,
che
fu
annunziata
in
un
paese
in
cui
la
Science
aveva
avuto
,
forse
più
che
in
altri
,
senso
e
predominio
esclusivamente
positivistico
?
Per
questa
ragione
godo
che
alcuno
dei
recenti
linguisti
(
e
degli
italiani
ricordo
il
Bartoli
e
il
Bertoni
,
il
quale
più
di
ogni
altro
si
è
fatto
presso
di
noi
l
'
apostolo
del
nuovo
avviamento
)
abbiano
espressamente
riattaccato
le
loro
critiche
e
le
loro
indagini
ai
concetti
della
nuova
Estetica
e
della
nuova
Filosofia
dello
spirito
,
che
riporta
il
linguaggio
all
'
esprimersi
(
all
'
espressione
in
senso
teoretico
e
non
già
all
'
espressione
in
senso
pratico
,
che
è
mero
indizio
o
sintomo
)
e
,
per
questa
via
,
lo
identifica
con
la
poesia
e
con
l
'
arte
in
genere
,
e
tutti
i
problemi
del
linguaggio
ritrova
sostanzialmente
identici
a
quelli
teoretici
e
storici
della
poesia
e
dell
'
arte
.
Tale
ricongiungimento
al
metodico
e
sistematico
pensiero
filosofico
ha
il
vantaggio
non
solo
di
rendere
più
rigorose
e
perspicue
le
dottrine
,
ma
anche
d
'
impedire
le
esagerazioni
o
unilateralità
a
cui
facilmente
si
lasciano
andare
gli
specialisti
novatori
,
acuti
e
anche
geniali
,
ma
non
altrettanto
esperti
in
concetti
speculativi
.
Dei
quali
specialisti
io
riconosco
l
'
opera
utile
ed
efficace
,
e
li
preferisco
,
pur
coi
loro
eccessi
o
coi
loro
difetti
,
agli
astratti
filosofanti
,
e
ho
detto
più
volte
che
la
loro
audace
e
arrischiata
filosofia
,
nascente
dalla
considerazione
delle
cose
particolari
e
ritenente
qualcosa
di
particolare
e
contingente
,
vale
di
gran
lunga
più
di
quella
,
avveduta
e
assottigliata
ma
arida
,
di
molti
filosofi
di
mestiere
,
anzi
quella
vale
e
questa
non
vale
,
perché
quella
è
viva
e
questa
è
morta
.
Ma
ciò
non
toglie
che
il
meglio
sia
riunire
la
virtù
della
specialità
a
quella
dell
'
universalità
.
Parlo
qui
,
in
generale
,
della
presente
fase
degli
studî
sul
linguaggio
,
e
perciò
non
entro
in
un
esame
critico
delle
dottrine
che
ora
si
propugnano
:
esame
che
,
del
resto
,
altri
va
facendo
e
con
preparazione
specifica
migliore
della
mia
.
Ma
,
se
dovessi
dare
un
esempio
della
necessità
di
rendere
più
perspicui
certi
concetti
della
nuova
scuola
,
mi
fermerei
su
quello
di
etimologia
popolare
,
che
essa
adopera
con
molto
buon
frutto
,
ma
che
,
così
come
è
formulato
,
non
va
esente
da
dubbiezze
e
confusioni
.
"
Vous
travaillez
à
l
'
étymologie
(
dice
lo
Gilliéron
ai
suoi
uditori
)
,
mais
souvenez
-
vous
que
le
peuple
y
a
travaillé
avant
vous
"
.
Ora
quell
'
etimologizzare
onde
si
forma
la
nuova
parola
ossia
il
nuovo
significato
e
il
nuovo
fonema
non
è
altro
che
l
'
opera
stessa
della
fantasia
espressiva
,
la
quale
,
come
in
una
piccola
parola
o
piccola
frase
così
in
una
grande
opera
di
poesia
,
crea
sempre
sul
passato
,
e
perciò
volge
a
nuovo
uso
gli
elementi
del
passato
e
ne
dà
una
nuova
sintesi
in
cui
quel
passato
è
e
non
è
quello
di
prima
,
e
,
in
fondo
,
ha
ceduto
il
posto
al
presente
e
nuovo
.
Ma
l
'
etimologizzare
propriamente
detto
è
,
invece
,
l
'
opera
riflessa
dello
storico
,
che
ripercorre
criticamente
l
'
anzidetto
processo
formativo
.
E
,
se
dovessi
dare
un
esempio
delle
cautele
da
osservare
,
vorrei
mettere
in
guardia
contro
lo
spregio
delle
cosiddette
leggi
fonetiche
,
della
grammatica
storica
e
normativa
,
e
anche
dell
'
Académie
,
come
la
chiama
lo
Gilliéron
.
In
verità
,
le
leggi
fonetiche
sono
utili
in
quel
che
possono
,
come
tutte
le
leggi
empiriche
;
e
della
grammatica
normativa
e
dell
'
accademia
non
si
potrà
far
mai
di
meno
,
perché
sono
discipline
e
istituti
che
si
sforzano
a
serbare
o
a
far
muovere
lo
svolgimento
linguistico
in
un
certo
indirizzo
,
che
merita
di
essere
difeso
se
anche
non
deve
avere
,
e
non
ha
poi
mai
nel
fatto
,
prevalenza
assoluta
.
Quel
che
importa
combattere
non
è
quegli
istrumenti
d
'
indagine
o
di
scuola
,
ma
l
'
ibridismo
dei
metodi
che
si
tira
dietro
problemi
insolubili
o
soluzioni
immaginarie
,
e
talvolta
ridevoli
.
La
Linguistica
idealistica
,
o
meglio
la
nuova
filosofia
e
storia
del
parlare
,
sarà
tanto
più
consapevole
e
sicura
della
propria
verità
,
quanto
più
sarà
moderata
.
Colgo
l
'
occasione
per
manifestare
un
desiderio
.
Anni
sono
,
cercai
di
mettere
sotto
miglior
luce
gli
storici
e
filologi
,
ligi
all
'
antico
,
che
,
nella
prima
metà
del
secolo
decimonono
,
riluttavano
e
si
opponevano
violentemente
alle
teorie
e
ai
metodi
della
Linguistica
indoeuropea
,
e
additai
quel
che
di
ragionevole
mi
pareva
che
fosse
nella
loro
opposizione
.
Gioverebbe
meglio
lumeggiare
quelle
parti
del
loro
scetticismo
che
coglievano
nel
giusto
e
quelle
esigenze
legittime
che
essi
rappresentavano
.
A
questo
modo
non
solo
si
adempirebbe
un
dovere
di
pietà
,
ma
si
otterrebbe
qualche
istruzione
;
e
forse
,
talvolta
,
i
dotti
linguisti
odierni
si
rivedrebbero
innanzi
,
autenticati
dai
fatti
,
i
"
pareri
di
Perpetua
"
.
Ristampata
da
me
in
LABRIOLA
,
Scritti
varî
di
filosofia
e
politica
(
Bari
,
Laterza
,
1906
)
;
cfr
.
pp
.
211-2
.
Études
sur
la
défectivité
des
verbes
.
La
faillité
de
l
'
Étymologie
phonétique
.
Résumé
de
conférences
faites
à
I
'
École
pratique
des
hautes
études
par
J
.
GILLIÉRON
,
Neuveville
(
Berne
)
,
1919
.
A
proposito
di
queste
:
perché
mai
anche
il
MEYER
-
LÜBKE
,
Roman
.
Etym
.
Wörterb
,
n
.
1721
,
si
ostina
a
derivare
carosello
o
carrousel
,
con
fonetica
etimologia
,
da
carrum
,
quando
io
ho
dimostrato
che
l
'
origine
è
tutt
'
altra
e
assai
più
complicata
(
v
.
La
Spagna
nella
vita
italiana
durante
la
Rinascenza
,
pp
.
194-5
)
?
Per
quel
vocabolo
si
potrebbe
scrivere
una
divertente
storia
alla
Gilliéron
(
dove
forse
entrerebbe
,
ma
assai
tardi
,
anche
il
carrum
)
.
Della
quale
storia
delle
parole
come
storia
della
fantasia
voglio
segnare
qui
uno
spontaneo
avviamento
o
desiderio
che
ho
trovato
in
un
vecchio
scrittore
napoletano
,
nelle
annotazioni
(
1588
)
di
Tommaso
Costo
alla
Storia
di
Napoli
del
Collenuccio
.
Il
Costo
,
esaminando
la
disputata
etimologia
di
"
Terra
di
lavoro
"
(
dai
"
campi
leborini
"
o
leboriae
,
ovvero
da
"
lavoro
"
?
)
,
accetta
tutte
e
due
le
derivazioni
in
contrasto
e
osserva
:
"
Suole
spesso
accadere
che
si
darà
un
nome
ad
una
cosa
a
un
proposito
,
ed
in
processo
poi
di
tempo
succederà
qualche
accidente
di
così
strana
conformità
che
,
investendosi
dello
stesso
nome
,
lo
tira
ad
un
altro
proposito
assai
diverso
dal
primo
"
;
e
aggiunge
di
questo
processo
altri
esempi
:
"
Gravina
"
,
dalle
"
gravine
"
,
valloni
,
e
dal
grano
e
vino
onde
abbonda
;
"
Montevergine
"
,
da
"
Virgilio
"
e
da
Maria
Vergine
,
ecc
.
(
v
.
nell
'
ediz
.
della
Istoria
del
Collenuccio
,
Napoli
,
1771
,
I
,
12-13
)
.
V
.
ora
la
mia
Storia
della
storiografia
italiana
nel
secolo
XIX
,
I
,
58-60
,
218-19
.
StampaPeriodica ,
Il
libro
di
Edmondo
de
Amicis
è
l
'
ultima
manifestazione
letteraria
di
un
problema
che
ha
molto
occupato
le
menti
degli
italiani
attraverso
i
secoli
:
il
problema
della
lingua
.
Se
i
soli
eruditi
ricordano
i
periodi
più
remoti
di
quella
grande
controversia
(
dal
De
vulgari
eloquentia
alle
polemiche
cinquecentesche
,
e
giù
giù
ai
libri
del
Cesarotti
e
del
Napione
dell
'
ultimo
Settecento
,
e
a
quelli
del
Monti
e
del
Perticari
e
di
tanti
altri
dei
primi
dell
'
Ottocento
)
,
tutti
hanno
fresca
la
memoria
della
più
recente
guerra
provocata
dalla
lettera
del
Manzoni
al
Di
Broglio
,
e
variamente
combattuta
tra
manzoniani
,
antimanzoniani
e
moderati
.
Quelle
dispute
,
considerate
sotto
l
'
aspetto
rigorosamente
teorico
e
scientifico
,
non
mancano
di
pregio
e
d
'
importanza
.
Entrano
in
gruppo
con
altre
dispute
letterarie
(
sul
poema
epico
,
sulla
tragedia
,
sulla
tragicommedia
,
sul
melodramma
,
sulla
commedia
in
prosa
,
sulle
varie
forme
dello
stile
,
sull
'
imitazione
,
e
via
dicendo
)
,
che
nei
tempi
moderni
l
'
Italia
,
prima
di
ogni
altra
nazione
,
formolò
e
agitò
,
e
che
dall
'
Italia
passarono
agli
altri
paesi
neolatini
e
germanici
.
Senza
codeste
dispute
sulle
regole
e
sui
generi
della
poesia
e
della
letteratura
,
non
si
sarebbe
svolta
la
teoria
filosofica
della
poesia
e
dell
'
arte
che
si
disse
poi
Estetica
;
e
senza
le
dispute
intorno
alla
lingua
non
sarebbe
sorta
quella
che
si
disse
più
particolarmente
Filosofia
del
linguaggio
.
Nello
sforzo
per
dominare
col
pensiero
la
massa
dei
fatti
e
penetrarne
la
natura
,
la
mente
umana
non
può
non
urtare
e.impigliarsi
dapprima
nelle
comuni
e
volgari
classificazioni
,
e
provarsi
a
sistemarle
e
a
renderle
razionali
,
proponendosi
problemi
insolubili
;
fintanto
che
non
si
accorge
come
,
per
intendere
davvero
la
verità
dei
fatti
che
indaga
,
convenga
abbandonare
del
tutto
quelle
categorie
empiriche
,
e
collocarsi
in
un
punto
di
vista
affatto
diverso
.
Sarebbe
perciò
da
intelletti
superficiali
considerare
con
dispregio
quegli
sforzi
del
passato
,
i
quali
,
per
falliti
che
siano
,
rappresentano
uno
stadio
di
progresso
,
un
errore
in
cui
giovò
essersi
dibattuti
per
qualche
tempo
,
perché
ebbe
efficacia
esemplare
,
e
a
suo
modo
contribuì
all
'
avvenimento
della
verità
.
Dalla
contradizione
nasce
la
soluzione
;
dalla
indifferente
quiete
non
nasce
nulla
.
E
opportunamente
gl
'
indagatori
della
storia
delle
idee
vanno
rivolgendo
la
loro
attenzione
alle
dottrine
letterarie
e
grammaticali
italiane
dei
secoli
passati
,
le
quali
a
noi
sembrano
,
come
sono
in
effetto
,
pedantesche
,
ma
che
,
pur
con
la
loro
pedanteria
,
si
dimostrano
feconde
.
Quei
pedanti
furono
,
se
non
i
nostri
padri
,
certamente
i
nostri
antenati
spirituali
.
Riconosciuto
tutto
ciò
,
non
è
men
vero
che
così
le
dispute
sulla
lingua
come
quelle
sulle
regole
letterarie
,
hanno
perduto
da
lungo
tempo
ogni
valore
positivo
.
Il
sistema
delle
regole
letterarie
venne
rotto
e
spazzato
via
dal
moto
intellettuale
del
romanticismo
,
che
abbozzò
la
nuova
idea
della
poesia
e
dell
'
arte
;
e
il
suo
proprio
romanticismo
ebbe
anche
la
teoria
del
linguaggio
col
Vico
,
con
lo
Hamann
,
con
lo
Herder
,
con
lo
Humboldt
,
pensatori
dopo
i
quali
non
sarebbe
stato
più
lecito
ragionare
intorno
a
quella
materia
coi
vecchi
criterî
.
Sotto
questo
aspetto
,
la
posizione
manzoniana
del
problema
linguistico
non
può
non
apparire
anacronistica
e
retriva
,
perché
il
Manzoni
non
si
liberò
mai
,
nelle
sue
teorie
sul
linguaggio
,
da
certe
idee
da
intellettualista
ed
enciclopedista
del
secolo
decimottavo
:
come
si
può
desumere
in
ispecie
dai
frammenti
,
pubblicati
alcuni
anni
orsono
,
del
suo
libro
sulla
lingua
,
che
meriterebbero
di
essere
studiati
con
cura
.
Qual
'
era
la
fallacia
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
,
quale
il
contrasto
tra
esso
e
il
concetto
nuovo
,
formolato
o
almeno
adombrato
nei
filosofi
dei
quali
abbiamo
fatto
cenno
?
-
Si
potrebbe
delineare
questo
contrasto
brevemente
così
:
il
vecchio
concetto
considerava
il
linguaggio
come
segno
;
il
nuovo
lo
considera
come
rappresentazione
.
Secondo
la
prima
concezione
,
la
lingua
è
quasi
una
raccolta
di
utensili
che
ciascuno
adopera
a
volta
a
volta
per
comunicare
agli
altri
il
proprio
pensiero
;
secondo
la
concezione
nuova
,
la
lingua
non
è
già
mezzo
per
comunicare
le
idee
o
le
rappresentazioni
,
ma
è
l
'
idea
o
la
rappresentazione
stessa
,
qualcosa
che
non
si
può
concepire
mai
distinto
o
staccato
dal
moto
del
pensiero
.
Secondo
la
prima
,
bisogna
mettersi
alla
ricerca
della
lingua
ottima
,
concordare
segni
ben
definiti
,
di
significato
preciso
e
non
equivoco
,
costanti
per
tutti
gl
'
individui
della
comunione
linguistica
;
secondo
l
'
altra
,
siffatta
ricerca
è
vana
,
perché
ciascun
individuo
si
crea
,
volta
per
volta
,
la
sua
propria
lingua
,
e
quella
che
io
parlo
e
scrivo
oggi
non
è
quella
di
ieri
,
e
quella
che
conviene
a
me
,
non
conviene
ad
altri
.
Secondo
la
prima
,
è
possibile
giudicare
un
parlante
o
uno
scrivente
in
modo
oggettivo
,
confrontando
il
suo
parlare
e
scrivere
col
modello
linguistico
,
e
determinando
con
questo
confronto
se
egli
adoperi
lingua
buona
o
cattiva
;
secondo
l
'
altra
,
questo
giudizio
è
impossibile
,
perché
il
preteso
modello
linguistico
è
un
'
astrazione
,
e
ogni
prodotto
linguistico
ha
la
propria
legge
e
il
proprio
modello
in
sé
stesso
.
Tra
le
due
concezioni
chiunque
abbia
qualche
coscienza
del
modo
moderno
d
'
intendere
l
'
arte
,
non
esiterà
nel
prendere
partito
.
Ed
è
appena
necessario
soggiungere
che
,
accettando
che
alcuni
,
troppo
facili
a
confondersi
e
a
spaurirsi
,
temono
:
quasi
che
si
venga
ad
abolire
in
forza
di
essa
ogni
distinzione
tra
scriver
bene
e
scriver
male
,
parlar
bene
e
parlar
male
.
Il
parlare
bene
o
male
si
giudica
non
con
la
misura
estrinseca
della
lingua
oggettiva
,
ma
con
quella
intrinseca
e
affatto
intuitiva
del
gusto
.
Così
si
è
fatto
e
si
farà
sempre
:
da
che
il
mondo
è
mondo
,
vi
sono
stati
scrittori
buoni
,
scrittori
cattivi
e
scrittori
mediocri
,
e
sempre
vi
saranno
:
la
concezione
individualistica
o
estetica
del
linguaggio
non
cancella
la
loro
differenza
,
che
è
affatto
intuitiva
.
Scriver
bene
è
nient
'
altro
che
una
forma
d
'
intensità
spirituale
;
scriver
male
è
debolezza
spirituale
.
Le
questioni
intorno
alla
lingua
si
convertono
nelle
altre
intorno
alla
vivezza
e
coerenza
estetica
della
rappresentazione
,
guardata
nella
sua
individualità
.
Perciò
la
teoria
moderna
accetta
autori
e
modi
di
scrivere
che
i
vecchi
grammatici
e
critici
consideravano
ibridi
,
rozzi
,
scorretti
,
o
che
accettavano
collocandoli
nella
comoda
quanto
irrazionale
categoria
delle
eccezioni
.
Sotto
il
dominio
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
è
ancora
il
De
Amicis
.
Tutto
il
suo
libro
è
informato
al
pensiero
che
la
lingua
si
studî
o
,
com
'
egli
dice
,
che
non
basti
"
amare
"
la
lingua
del
proprio
paese
,
ma
convenga
"
studiarla
"
.
E
già
lo
stesso
amore
per
la
lingua
nazionale
è
in
lui
non
bene
ragionato
e
alquanto
rettoricamente
declamato
,
affermando
egli
che
si
ami
dagli
italiani
la
lingua
italiana
e
per
le
memorie
gloriose
che
reca
con
sé
e
perché
essa
è
bellissima
,
ricchissima
,
potentissima
,
e
altre
cose
siffatte
.
E
non
è
vero
:
io
sfido
a
trovare
un
uomo
che
ami
la
lingua
,
cioè
che
faccia
all
'
amore
con
un
'
astrazione
.
Ciò
che
si
ama
è
la
parola
nella
sua
concretezza
,
la
poesia
,
la
pagina
eloquente
.
Dante
,
Ariosto
,
Machiavelli
;
e
perciò
quest
'
amore
supera
i
limiti
della
regione
e
della
nazione
,
e
,
secondo
la
varia
cultura
di
cui
si
dispone
,
abbraccia
Orazio
o
Sofocle
,
Goethe
o
Shelley
,
la
lingua
latina
,
la
greca
,
la
tedesca
o
l
'
inglese
.
Ma
non
insisterò
su
questo
punto
,
perché
mi
preme
insistere
sull
'
altro
:
sulla
raccomandazione
di
studiare
la
lingua
.
Che
cosa
significa
studiare
la
lingua
?
L
'
uomo
intelligente
studia
quanto
aiuta
il
suo
svolgimento
mentale
e
morale
,
ma
non
ciò
che
gli
è
inutile
a
questo
fine
.
Il
De
Amicis
consiglia
d
'
imparare
i
nomi
di
tutte
le
cose
che
accade
ogni
giorno
di
vedere
o
adoperare
,
e
di
mandarli
a
mente
;
di
meditare
i
prontuarî
,
dove
sono
registrati
i
vocaboli
degli
oggetti
di
uso
domestico
;
di
fare
la
nomenclatura
della
roba
che
si
porta
addosso
,
per
passare
via
via
a
quella
degli
oggetti
che
si
maneggiano
,
ai
mobili
della
propria
camera
,
alla
mensa
,
allo
scrittorio
,
agli
arredi
e
utensili
di
tutta
la
casa
,
alle
varie
parti
della
casa
stessa
;
di
leggere
e
spogliare
il
vocabolario
.
E
rafforza
i
suoi
consigli
col
mostrare
quanto
sia
vasta
l
'
ignoranza
che
ordinariamente
si
trova
anche
nelle
persone
colte
intorno
alla
terminologia
esatta
delle
più
modeste
occupazioni
della
vita
:
per
es
.
,
del
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
.
Ma
ha
egli
pensato
che
cosa
importi
questo
consiglio
?
Ecco
un
giovane
nel
tempo
in
cui
il
suo
cuore
si
gonfia
di
passioni
gagliarde
e
la
sua
mente
si
viene
travagliando
sui
problemi
più
alti
della
vita
e
della
realtà
;
un
giovane
,
che
sarà
poeta
,
filosofo
,
uomo
d
'
azione
.
E
a
questo
giovane
,
che
ha
tanta
materia
di
lavoro
nel
suo
spirito
(
e
che
per
ciò
stesso
,
si
noti
bene
,
ha
tutto
il
linguaggio
che
gli
occorre
,
tutto
il
linguaggio
che
è
correlativo
a
quel
lavoro
,
non
essendo
concepibile
pensiero
senza
linguaggio
)
,
a
questo
poeta
,
filosofo
o
uomo
pratico
in
germe
e
in
formazione
,
si
vuole
imporre
,
o
almeno
consigliare
,
di
baloccarsi
a
imparare
le
cento
denominazioni
delle
cento
parti
di
un
vestito
,
e
le
dugento
della
stanza
da
studio
,
o
le
trenta
e
quaranta
delle
svariate
e
minute
operazioni
che
si
compiono
per
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
?
Che
cosa
interessa
a
quell
'
uomo
,
che
forse
infilerà
distrattamente
il
suo
soprabito
,
e
tracannerà
il
suo
vino
,
e
maneggerà
quasi
macchinalmente
gli
oggetti
del
suo
scrittorio
,
soffermarsi
col
pensiero
nella
contemplazione
e
nell
'
analisi
di
quelle
piccinerie
?
Se
alcuno
gliene
dice
i
vocaboli
,
li
ascolterà
con
fastidio
,
e
li
dimenticherà
poco
dopo
.
E
se
non
prova
fastidio
,
se
si
lascia
sedurre
dal
giochetto
,
cattivo
segno
:
segno
di
spirito
non
serio
,
non
concentrato
,
non
fervido
,
ma
frivolo
o
passivo
.
Leggere
il
vocabolario
,
è
"
passatempo
piacevole
"
(
ripete
ancora
una
volta
il
De
Amicis
)
.
Sarà
;
ma
è
anche
perditempo
.
C
'
è
di
meglio
da
fare
che
leggere
vocabolarî
e
imparare
a
mente
nomenclature
.
C
'
è
da
studiare
e
leggere
il
mondo
;
verba
sequentur
,
e
non
potranno
non
seguire
.
Il
sarto
o
chi
parli
del
mestiere
del
sarto
,
la
massaia
o
chi
descriva
un
cervello
di
massaia
,
un
servitore
che
spazzi
la
casa
o
chi
descriva
un
servitore
in
quell
'
operazione
,
si
rappresenteranno
insieme
le
parole
rispondenti
alle
cose
che
concernono
quei
vari
personaggi
:
le
parole
dei
vestiti
,
dei
fiaschi
di
vino
,
delle
parti
e
dei
mobili
della
stanza
.
Ma
è
un
'
idea
curiosa
voler
mutare
codesti
apprendimenti
incidentali
e
relativi
alle
condizioni
e
riflessioni
di
questo
o
quell
'
individuo
in
un
obbligo
di
cultura
:
quasi
al
modo
stesso
che
si
consiglia
lo
studio
della
poesia
e
della
storia
,
delle
matematiche
e
della
filosofia
,
per
ottenere
uno
svolgimento
mentale
completo
.
Il
De
Amicis
espone
,
non
senza
esagerazioni
,
i
molti
impacci
in
cui
si
càpita
quando
non
si
conoscono
le
parole
italiane
o
toscane
degli
oggetti
di
uso
domestico
:
viaggiando
,
cangiando
paese
,
c
'
è
rischio
di
non
essere
intesi
e
di
non
intendere
.
Ma
queste
difficoltà
sono
pur
delle
tante
nelle
quali
c
'
imbattiamo
nella
vita
;
e
l
'
ovviarvi
non
è
ufficio
di
educatore
.
Altrimenti
converrebbe
spendere
qualche
semestre
di
lezioni
per
insegnare
alla
gioventù
il
gergo
dei
cuochi
e
le
corrispondenti
voci
(
posto
che
vi
siano
)
italiane
o
toscane
,
affinché
non
accada
ciò
che
accade
spesso
a
me
(
e
certamente
a
molti
altri
uomini
letterati
)
,
che
quando
siedo
a
una
tavola
di
trattoria
e
do
i
miei
ordini
al
cameriere
sulla
carta
,
non
so
precisamente
che
cosa
sarà
per
essere
la
pietanza
di
cui
ho
indicato
il
titolo
,
avendo
un
'
idea
molto
approssimativa
di
quel
che
quel
titolo
significa
.
Ma
è
preferibile
,
di
certo
,
provar
di
tanto
in
tanto
qualche
delusione
gastronomica
all
'
improba
fatica
di
studiare
le
creazioni
linguistiche
dei
cuochi
.
Un
uomo
di
buon
senso
,
come
il
De
Amicis
,
non
avrebbe
sprecato
il
fiato
in
queste
raccomandazioni
,
ora
superflue
ora
puerili
,
circa
lo
studio
della
lingua
,
se
non
fosse
stato
,
come
dicevo
,
dominato
inconsapevolmente
dalla
vecchia
e
falsa
idea
che
il
parlare
e
scrivere
bene
abbia
per
condizione
il
possesso
completo
del
cosiddetto
arsenale
dei
cosiddetti
utensili
linguistici
:
cioè
,
se
non
avesse
creduto
che
la
lingua
sia
un
utensile
.
"
Ogni
vocabolo
che
s
'
impara
(
egli
dichiara
espressamente
)
è
come
uno
di
quegli
utensili
da
nulla
,
dei
quali
non
s
'
ha
bisogno
quasi
mai
,
ma
che
,
una
o
due
volte
in
molt
'
anni
,
son
necessarî
,
e
,
se
non
si
ritrovano
,
non
si
sa
che
pesci
pigliare
"
.
"
Quel
che
più
preme
,
per
riuscire
nell
'
uno
o
nell
'
altro
modo
,
nell
'
una
o
nell
'
altra
delle
due
forme
di
stile
a
scrivere
bene
,
è
che
tu
possegga
da
padrone
la
lingua
"
.
Le
tracce
di
questo
falso
concetto
si
osservano
quasi
in
ogni
parte
del
suo
libro
.
Così
egli
biasima
il
pudore
fuori
di
luogo
,
che
ci
trattiene
dall
'
adoperare
vocaboli
bellissimi
,
efficacissimi
e
toscanissimi
,
come
"
striminzire
"
,
"
spiaccicare
"
,
"
baluginare
"
,
"
stintignare
"
:
la
paura
del
ridicolo
che
ci
fa
codardi
nell
'
uso
della
"
buona
lingua
"
.
Ma
non
si
accorge
che
ciò
che
egli
chiama
falso
pudore
e
codardia
può
pur
essere
,
a
volte
,
un
sano
senso
estetico
,
che
ci
vieta
di
usare
vocaboli
i
quali
non
sarebbero
coerenti
con
la
nostra
personalità
,
con
la
nostra
psicologia
,
con
la
fisionomia
generale
del
nostro
parlare
.
Se
un
determinato
vocabolo
suona
spiccatamente
toscano
o
fiorentino
,
io
,
napoletano
,
non
posso
,
senza
sconcezza
,
incastrarlo
in
una
mia
prosa
spontaneamente
concepita
,
dalla
quale
la
mia
napoletanità
è
tanto
ineliminabile
quanto
la
patavinità
dalla
prosa
di
Livio
o
l
'
ibericità
da
quella
di
Seneca
.
Se
mi
ostino
a
incastrarvelo
,
la
più
manzoniana
delle
teorie
sulla
lingua
non
mi
salverà
dal
senso
che
provo
in
me
(
e
che
gli
altri
proveranno
di
me
)
di
essere
caduto
in
un
peccato
d
'
affettazione
.
Per
questa
ragione
,
nelle
scuole
,
poniamo
,
del
Napoletano
sorge
spontaneo
e
irrefrenabile
tra
gli
alunni
un
coro
di
canzonature
,
quando
un
loro
compagno
si
mette
a
toscaneggiare
:
il
vocabolo
"
toscaneggiare
"
è
per
sé
stesso
canzonatorio
.
Santa
canzonatura
,
che
a
me
non
è
stata
risparmiata
e
che
io
ricordo
di
avere
a
mia
volta
spietatamente
e
beneficamente
esercitata
sopra
i
miei
compagni
.
Come
questo
sentimento
di
ripugnanza
è
inesattamente
interpretato
e
biasimato
dal
De
Amicis
,
così
egli
non
si
rende
esatto
conto
del
valore
estetico
che
hanno
talvolta
quelle
che
a
lui
sembrano
inesattezze
e
povertà
di
lingua
e
che
sono
invece
indeterminazioni
di
pensiero
,
che
debbono
restare
così
:
di
pensieri
,
cioè
,
la
cui
determinazione
estetica
è
per
l
'
appunto
quella
indeterminazione
.
Allo
stesso
modo
un
pittore
accademico
trova
mal
disegnate
o
non
disegnate
le
figure
di
un
quadro
,
la
cui
bellezza
sta
proprio
in
quel
certo
che
di
vago
e
vaporoso
,
che
a
lui
sembra
difetto
:
in
quell
'
abbozzato
,
che
è
un
finito
,
e
che
diventerebbe
una
sconciatura
,
se
fosse
disegnato
minutamente
in
conformità
dei
canoni
accademici
.
La
lingua
approssimativa
può
essere
,
senza
dubbio
,
grave
errore
d
'
arte
,
ma
può
essere
,
anche
,
forza
d
'
arte
:
secondo
i
casi
.
Per
mio
conto
,
credo
che
a
volte
parli
benissimo
anche
chi
presenti
con
frequenza
i
varî
aspetti
delle
sue
percezioni
confusi
nel
vago
vocabolo
di
"
cose
"
:
il
"
signor
Coso
"
,
del
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
.
A
molti
,
in
certe
situazioni
,
accade
appunto
di
vedere
indistintamente
o
di
non
vedere
certi
oggetti
,
ai
quali
lo
spirito
non
s
'
interessa
,
tutto
ripiegato
com
'
è
su
sé
stesso
;
e
l
'
espressione
di
questo
disinteresse
tradirebbe
sé
stessa
,
se
si
effondesse
altrimenti
che
con
abbondanza
dell
'
indeterminato
"
cosa
"
.
Perfino
il
"
signor
La
Nuance
"
,
dell
'
altro
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
,
non
ha
tutti
i
torti
nel
sostenere
che
ogni
frase
francese
ha
una
nuance
,
che
non
si
trova
nella
corrispondente
italiana
.
Anzi
,
questa
è
appunto
la
rigorosa
verità
.
E
se
colui
aveva
appreso
a
far
l
'
amore
in
francese
,
quale
meraviglia
che
trovasse
poi
nell
'
"
au
revoir
"
una
dolcezza
,
che
non
trovava
nell
'
"
a
rivederci
"
italiano
?
Ed
è
serio
obbiettargli
che
l
'
"
au
revoir
"
è
tanto
poco
dolce
,
che
è
pieno
di
r
?
O
vogliamo
credere
ancora
all
'
onomatopea
e
all
'
armonia
imitativa
,
quali
le
concepivano
i
retori
?
Certamente
,
il
De
Amicis
conosce
criterî
più
retti
di
quelli
che
si
desumono
dai
luoghi
citati
e
da
altri
,
che
potrei
citare
.
Egli
è
scrittore
innamorato
della
sincerità
e
semplicità
:
è
manzoniano
,
non
solamente
nelle
idee
intorno
alla
lingua
,
ma
anche
in
talune
di
quelle
verità
,
che
gl
'
italiani
moderni
debbono
ad
Alessandro
Manzoni
;
e
nel
suo
libro
si
troveranno
sagge
avvertenze
sull
'
affettazione
,
sui
pericoli
dello
studiare
la
lingua
,
sul
modo
di
comporre
e
di
correggere
le
proprie
scritture
.
Vi
si
troveranno
,
perfino
,
teorie
che
sono
l
'
effettiva
negazione
di
quelle
da
noi
contrastate
,
come
:
"
Ecco
il
più
utile
dei
precetti
:
pensare
,
prima
di
mettersi
a
scrivere
"
.
Questi
criterî
,
operando
da
freno
,
hanno
evitato
che
il
libro
somministrasse
da
cima
a
fondo
una
dottrina
falsa
.
Chi
legge
i
capitoli
e
i
bozzetti
,
di
cui
esso
si
compone
,
incontra
molte
cose
alle
quali
è
portato
a
dare
pieno
assenso
;
e
altre
,
che
non
gli
paiono
accettabili
,
vede
nel
corso
stesso
del
libro
opportunamente
temperate
.
Senonché
questi
medesimi
criterî
retti
,
entrando
in
dissidio
col
criterio
generale
che
è
errato
,
hanno
impedito
che
l
'
Idioma
gentile
riuscisse
quel
che
si
dice
un
bel
libro
.
Gli
scritti
del
Manzoni
intorno
alla
lingua
sono
maraviglie
di
ragionamento
e
di
prosa
:
si
può
rifiutare
la
dottrina
,
si
ammira
lo
scrittore
,
che
sapeva
bene
quel
che
voleva
.
Ma
nel
libro
del
De
Amicis
si
sente
il
vuoto
.
"
Non
scrivo
un
trattato
(
dichiara
l
'
autore
)
:
non
scenderò
a
disquisizioni
grammaticali
minute
,
né
salirò
a
questioni
alte
di
filologia
...
Tratterò
la
materia
semplicemente
e
praticamente
...
"
E
sia
pure
.
Ma
,
se
non
quella
di
un
trattato
,
il
libro
dovrebbe
avere
un
'
altra
qualsiasi
connessione
di
idee
;
e
non
l
'
ha
.
L
'
autore
non
ha
saputo
essere
profondo
,
ma
non
ha
voluto
essere
pedante
.
E
non
vi
sono
se
non
gli
scrittori
profondi
,
o
i
pedanti
logici
e
in
buona
fede
,
che
riescano
attraenti
.
Il
"
limbo
dei
bambini
"
credo
che
non
sia
divertente
neppure
pei
bambini
.
Io
auguro
che
quest
'
ultima
manifestazione
della
questione
della
lingua
,
che
ci
è
data
dal
libro
del
De
Amicis
,
sia
anche
definitivamente
l
'
ultima
,
e
che
il
vecchio
e
vuoto
dibattito
muoia
con
l
'
Idioma
gentile
.
Morrebbe
così
tra
le
mani
di
uno
dei
nostri
più
amati
e
amabili
scrittori
.
Il
De
Amicis
nella
prefazione
alla
nuova
edizione
dell
'
Idioma
gentile
polemizza
,
senza
far
nomi
,
coi
suoi
critici
;
e
principalmente
contro
l
'
autore
del
presente
scritto
(
pubblicato
la
prima
volta
nel
"
Giornale
d
'
Italia
"
del
7
luglio
1905
)
.
Prendo
occasione
da
questa
polemica
per
aggiungere
un
'
avvertenza
,
che
dimenticai
nell
'
esame
del
libro
.
L
'
Idioma
gentile
,
oltre
a
fondarsi
sopra
un
concetto
errato
del
linguaggio
,
è
uno
schietto
prodotto
della
fissazione
linguaiola
,
triste
eredità
della
decadenza
italiana
,
e
della
decadenza
di
quella
regione
che
fu
il
cuore
dell
'
Italia
poetica
e
artistica
,
la
Toscana
.
La
fissazione
linguaiola
pone
un
interesse
esageratissimo
,
tutto
il
più
fervido
interesse
della
propria
anima
,
nel
dissertare
e
sottilizzare
sulle
denominazioni
delle
più
piccole
cose
e
più
materiali
;
e
fa
che
uno
si
reputi
letterariamente
disonorato
se
,
per
es
.
,
non
riesca
a
sapere
esattamente
come
si
dica
in
Toscana
,
o
nei
circoli
autorizzati
dei
ben
parlanti
,
la
"
granata
"
,
e
come
questa
si
denomini
variamente
secondo
che
sia
fatta
di
"
scopa
"
o
di
"
saggina
"
o
di
"
crine
di
cavallo
"
,
e
a
dare
in
ismanie
se
oda
un
napoletano
chiamare
tutte
queste
sorte
di
granate
,
indistintamente
,
"
scope
"
.
Par
che
caschi
il
mondo
!
In
compenso
,
poi
,
l
'
indifferenza
è
somma
per
quel
che
riguarda
le
distinzioni
dei
fatti
psicologici
e
morali
,
dei
concetti
filosofici
e
simili
.
Si
tratta
,
dunque
,
non
tanto
di
raffinamento
estetico
,
quanto
,
oso
dire
,
di
restringimento
mentale
.
Sulla
natura
e
la
genesi
di
questa
fissazione
ci
sarebbe
ancora
non
poco
da
notare
;
ma
i
lettori
non
avranno
forse
bisogno
delle
mie
osservazioni
e
dei
miei
ragionamenti
per
avvertire
quel
che
v
'
ha
di
comico
nelle
fatiche
e
ambasce
dei
linguai
.
All
'
effetto
del
chiarimento
ha
provveduto
lo
stesso
De
Amicis
col
promuovere
l
'
interminabile
dibattito
,
che
si
è
svolto
tra
l
'
ottobre
e
il
novembre
del
1906
nelle
colonne
del
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
sull
'
alta
,
grave
e
profonda
questione
della
migliore
parola
che
serva
a
esprimere
il
"
rumore
del
pan
fresco
"
.
A
una
conclusione
,
veramente
,
questa
volta
non
si
è
giunti
;
e
come
si
potrebbe
concludere
in
questioni
così
alte
,
così
gravi
e
così
profonde
?
Ma
non
voglio
scherzare
:
la
verità
è
che
io
,
nel
leggere
quelle
proposte
e
risposte
e
controrisposte
,
mi
vergognavo
non
poco
.
Tanta
mollezza
e
oziosità
mentale
c
'
è
dunque
ancora
in
Italia
?
.
StampaPeriodica ,
Nel
libro
del
De
Amicis
sono
affermazioni
e
sottintesi
che
,
a
mio
parere
,
si
fondano
sopra
un
vecchio
e
falso
concetto
del
linguaggio
.
E
poiché
quel
libro
,
pel
nome
del
suo
autore
,
era
destinato
a
molta
divulgazione
,
volli
mettere
in
guardia
i
lettori
,
contrapponendo
il
modo
in
cui
si
produce
l
'
arte
dagli
artisti
e
si
giudica
dagli
uomini
di
gusto
alle
viete
concezioni
dei
linguai
,
che
in
quel
libro
ricomparivano
non
certo
con
coerenza
sistematica
e
intolleranza
pedantesca
,
ma
in
forma
temperata
e
perciò
più
insinuante
.
Sono
lieto
che
il
Gargàno
(
al
quale
nessuno
vorrà
negare
gusto
di
poesia
e
finezza
di
giudizio
)
si
sia
manifestato
d
'
accordo
con
me
e
abbia
inteso
perfettamente
che
la
mia
protesta
era
mossa
in
nome
dell
'
arte
contro
coloro
che
esibiscono
parole
e
frasi
come
merciaiuoli
ambulanti
i
nastri
e
le
matassine
.
Nondimeno
ad
alcuno
è
sembrato
che
gli
scolaretti
negligenti
d
'
Italia
dovessero
promuovere
una
dimostrazione
di
gratitudine
verso
di
me
;
ad
altri
,
che
volessi
rendere
superflue
le
cattedre
d
'
italiano
,
col
relativo
personale
insegnante
;
altri
ancora
ha
gridato
all
'
anarchia
;
finanche
il
mio
venerato
amico
prof
.
D
'
Ancona
mi
ha
fatto
un
mezzo
rabuffo
:
"
La
lingua
non
è
una
metafisicheria
campata
in
aria
,
ad
apprender
la
quale
e
ad
usarla
bastino
dei
concetti
astratti
...
Chi
non
la
vuole
studiare
,
non
la
studî
;
ma
non
ambisca
al
vanto
di
scrittore
,
ecc
.
ecc
.
"
.
-
"
Pace
,
o
esacerbati
spiriti
fraterni
!
"
.
Se
volete
proporre
,
come
si
dice
,
uno
"
stringimento
di
freni
"
e
rendere
la
scuola
più
rigorosa
e
laboriosa
,
accoglietemi
,
vi
prego
,
tra
i
vostri
gregarî
.
Io
non
ho
pensato
niente
di
ciò
che
mi
attribuite
.
La
scuola
,
si
sa
,
non
può
procedere
se
non
con
le
leggi
stesse
dello
svolgimento
dello
spirito
umano
;
e
la
teoria
da
me
sostenuta
sarebbe
falsa
,
se
non
avesse
rispondenza
in
quel
che
ogni
bravo
insegnante
fa
da
sé
,
senz
'
aspettare
la
mia
parola
,
per
naturale
dirittura
di
mente
.
Ogni
bravo
insegnante
non
insegna
la
lingua
,
ma
fa
leggere
e
gustare
gli
scrittori
;
comunica
,
dunque
,
non
la
lingua
astratta
,
ma
la
lingua
incarnata
.
Non
corregge
sopra
un
modello
arbitrario
e
meccanicamente
gli
scritti
dei
suoi
alunni
,
ma
,
mettendosi
nello
spirito
di
ciascuno
,
mostra
a
ciascuno
quel
che
veramente
intendeva
dire
e
non
ha
detto
.
Non
uccide
l
'
individualità
degli
scolari
,
ma
fa
sì
che
ciascuno
ritrovi
veramente
sé
stesso
.
-
Mi
è
stato
domandato
:
deve
o
no
un
insegnante
correggere
una
parola
dialettale
che
sia
nello
scritto
di
un
suo
alunno
,
e
sostituirvi
la
parola
esatta
italiana
?
e
,
se
sì
,
ciò
non
contrasta
con
la
vostra
teoria
?
-
Che
cosa
debba
correggere
,
l
'
insegnante
intelligente
deve
saperlo
lui
,
caso
per
caso
:
"
vocabolo
dialettale
"
è
determinazione
troppo
vaga
perché
vi
si
possa
fondare
sopra
una
legge
:
sì
,
no
,
secondo
i
casi
.
Ecco
perché
quell
'
eventuale
"
correzione
"
addotta
in
esempio
non
sta
contro
la
tesi
che
io
sostengo
.
Quanto
agli
insegnanti
pedanti
per
fanatismo
o
per
comodo
(
essere
pedanti
è
talvolta
comodo
,
perché
risparmia
fatiche
d
'
indagini
)
,
quelli
,
senza
dubbio
,
le
stanno
contro
,
come
la
mia
tesi
sta
contro
di
loro
.
Ma
non
sarà
poi
da
dolersi
,
se
taluno
di
quegli
insegnanti
verrà
scosso
nel
suo
fanatismo
e
nella
sua
pigrizia
e
costretto
a
un
esame
di
coscienza
e
,
per
avventura
,
a
cangiare
strada
.
Pure
(
s
'
incalza
,
ed
è
questa
l
'
obiezione
che
sembra
assai
grave
)
,
nelle
scuole
non
si
può
far
di
meno
di
vocabolari
,
di
frasarî
,
di
nomenclature
;
bisogna
che
l
'
alunno
si
fornisca
di
una
certa
provvista
di
ricordi
linguistici
,
che
comporrà
il
fondo
della
sua
cultura
letteraria
.
-
E
qui
io
non
so
che
cosa
mi
dire
,
perché
ogni
qual
volta
(
e
sono
già
parecchie
)
ho
criticato
l
'
assurdità
teorica
della
Rettorica
,
della
Grammatica
,
delle
Istituzioni
letterarie
e
di
altrettali
formazioni
didascaliche
,
non
ho
lasciato
mai
di
avvertire
che
,
nel
rispetto
pratico
,
quelle
costruzioni
hanno
la
loro
buona
ragione
e
la
loro
utilità
;
che
non
se
ne
può
far
di
meno
come
validi
sussidî
.
alla
memoria
;
e
che
giovano
,
non
solamente
nella
scuola
,
ma
anche
fuori
di
essa
,
nella
vita
.
In
quali
proporzioni
e
modi
bisogni
usarne
nella
scuola
è
un
altro
problema
,
che
solamente
l
'
insegnante
intelligente
può
risolvere
e
,
sempre
,
caso
per
caso
.
Ma
ciò
che
è
sussidio
alla
memoria
dà
la
parte
,
per
così
dire
,
materiale
ed
estrinseca
dell
'
insegnamento
;
e
invece
il
nostro
discorso
si
aggirava
intorno
all
'
insegnamento
vero
e
proprio
.
Se
si
esce
dalla
questione
,
si
potrà
sostenere
perfino
(
e
non
si
sosterrà
poi
il
falso
)
che
per
l
'
insegnamento
dell
'
italiano
sia
necessario
che
gli
alunni
non
giungano
a
scuola
con
lo
stomaco
vuoto
.
Il
male
è
che
,
laddove
nessuno
(
salvo
forse
qualche
lombrosiano
)
pretende
giudicare
una
pagina
secondo
che
lo
scrittore
l
'
abbia
scritta
o
no
a
stomaco
digiuno
,
moltissimi
invece
,
per
confusione
mentale
,
si
fanno
a
cangiare
i
sussidî
meccanici
dell
'
apprendimento
in
criterî
di
produzione
e
in
giudizî
sull
'
arte
.
E
questo
è
il
nodo
,
molto
semplice
ma
molto
stretto
,
della
questione
.
Nel
"
Marzocco
"
del
23
e
del
30
luglio
1905
.
"
Rass
.
bibliogr
.
d
.
lett
.
ital
.
"
,
XIII
,
p
.
268
.
StampaPeriodica ,
Un
partito
politico
attivo
e
vitale
come
il
Partito
socialista
è
obbligato
a
pigliar
posizione
di
fronte
a
tutte
le
correnti
politiche
che
si
formano
nel
paese
.
Non
è
quindi
inopportuno
fissare
l
attenzione
dei
lettori
su
un
movimento
,
iniziato
a
Roma
da
un
giornale
settimanale
,
la
Terza
Italia
,
e
dalla
Federazione
mazziniana
di
Terni
,
allo
scopo
di
ricondurre
il
Partito
repubblicano
alla
tradizione
cosiddetta
intransigente
della
parte
mazziniana
.
Il
programma
di
questo
movimento
,
che
io
reputo
a
priori
capace
di
una
certa
diffusione
,
date
le
speciali
condizioni
politiche
del
paese
,
non
è
ben
definito
se
non
da
un
lato
solo
,
quello
negativo
,
essendo
esso
rivolto
contro
i
metodi
parlamentari
,
recentemente
adottati
dal
Partito
repubblicano
.
Non
esclusa
la
fisima
antiparlamentare
,
i
neo
-
mazziniani
di
oggi
non
valgono
più
di
quelli
di
ieri
:
non
sanno
quello
che
vogliono
.
Nel
che
sta
il
vero
pericolo
del
movimento
.
Ragionando
per
filo
di
ipotesi
più
o
meno
fondate
,
la
risurrezione
mazziniana
non
può
proporsi
che
uno
scopo
solo
:
far
proseliti
in
mezzo
al
Partito
repubblicano
ufficiale
.
Fuori
l
àmbito
di
questo
partito
gli
è
per
logica
naturale
di
cose
interdetta
ogni
possibile
diffusione
di
principi
.
Il
neo
-
movimento
mazziniano
,
essendo
in
fondo
una
semplice
critica
in
azione
del
Partito
repubblicano
ufficiale
,
non
può
vivere
che
su
di
questo
,
come
il
parassita
non
può
vivere
che
sull
organismo
da
esso
sfruttato
.
Non
applicandosi
la
critica
mazziniana
né
agli
altri
partiti
,
né
alla
generale
condizione
del
paese
,
essa
non
può
agire
,
ove
abbia
veramente
forza
diffusiva
il
che
è
possibile
,
entro
certo
limiti
,
anche
per
le
tradizioni
schiettamente
rivoluzionarie
dei
repubblicani
italiani
che
come
un
movimento
di
secessione
ed
un
tentativo
di
frazionamento
.
Perché
la
critica
mazziniana
non
si
applichi
alle
condizioni
del
paese
,
né
abbia
speranza
di
successo
in
mezzo
agli
altri
partiti
radicali
,
si
dirà
in
appresso
.
Quanto
al
pericolo
che
essa
operi
come
un
movimento
di
secessione
,
il
pericolo
è
già
evidente
passando
in
rassegna
i
pochi
numeri
sinora
pubblicati
della
Terza
Italia
.
Lasciando
stare
i
soliti
vanitosi
,
capricciosi
ed
inconcludenti
,
che
ad
ogni
nuova
pubblicazione
sentono
il
bisogno
di
notificare
ai
popoli
un
qualche
nuovo
progresso
del
loro
spirito
,
sta
in
fatto
che
una
tendenza
va
pronunciandosi
presso
alcune
frazioni
sin
qui
aderenti
al
Partito
repubblicano
ufficiale
,
di
proporre
in
seno
al
prossimo
congresso
del
partito
un
ritorno
ai
metodi
di
papa
Celestino
,
tanto
cari
ai
repubblicani
italiani
sino
al
1890
o
giù
di
lì
.
La
necessità
di
propugnare
il
ritorno
all
integrale
programma
di
Mazzini
è
consigliata
dalla
federazione
di
Terni
ai
mazziniani
aderenti
al
Partito
repubblicano
ufficiale
,
a
proposito
dell
imminente
congresso
del
partito
.
Ma
,
di
fronte
a
questo
congresso
,
la
federazione
di
Terni
serba
un
atteggiamento
anche
più
sprezzante
.
Essa
lo
considera
come
inutile
ai
fini
specifici
del
mazzinianismo
,
e
già
si
propone
di
indire
un
contro
-
congresso
.
Cosicché
è
alle
viste
la
costituzione
di
un
nuovo
partito
repubblicano
italiano
.
Troppa
grazia
!
È
questo
il
vero
pericolo
al
quale
accennavo
testé
.
Ma
è
bene
spiegarci
chiaramente
.
Che
,
essendovi
dei
mazziniani
nel
paese
,
questi
sentano
il
bisogno
di
unirsi
e
diffondere
le
loro
idee
,
è
cosa
perfettamente
naturale
e
della
quale
siamo
i
primi
a
rallegrarci
.
La
diffusione
di
qualsiasi
idea
,
per
quanto
falsa
o
giudicata
immorale
alla
stregua
della
moralità
del
tempo
,
non
può
riuscire
che
benefica
al
corso
generale
dell
evoluzione
di
un
paese
.
Politicamente
e
moralmente
noi
abbiamo
però
il
dovere
di
combattere
tutte
le
idee
e
tutte
le
correnti
che
giudichiamo
dannose
.
Nessun
altro
appello
deve
esser
fatto
in
questa
disputa
fuorché
alle
armi
della
ragione
.
È
indegno
di
servire
la
scienza
chiunque
in
una
disputa
teorica
fa
entrare
un
appello
alla
forza
del
governo
o
alla
violenza
personale
.
Ora
,
rompere
la
compagine
del
Partito
repubblicano
italiano
non
torna
dannoso
allo
sviluppo
di
tutti
gli
altri
partiti
popolari
?
Il
ritorno
all
anarchismo
mazziniano
,
rispetto
ai
metodi
,
quando
il
Partito
repubblicano
deve
i
suoi
successi
ad
un
metodo
opposto
,
non
è
creare
un
nuovo
ostacolo
all
evoluzione
degli
altri
partiti
popolari
,
spingendo
risolutamente
all
indietro
le
forze
di
uno
degli
alleati
?
Ed
a
vantaggio
di
che
si
fa
poi
questa
conversione
del
repubblicanismo
al
mazzinianismo
?
Su
di
una
cosa
i
neo
-
mazziniani
sono
perfettamente
in
chiaro
:
sulla
opportunità
di
respingere
l
uso
dei
mezzi
parlamentari
.
Ciò
che
essi
propugnano
in
modo
risoluto
ed
esplicito
è
l
astensione
dalle
lotte
elettorali
politiche
;
e
poiché
essi
sono
repubblicani
e
quindi
non
negano
,
come
gli
anarchici
,
il
male
indispensabile
dello
Stato
indispensabile
almeno
entro
limiti
di
tempo
abbastanza
ampi
ed
ammettono
pienamente
il
metodo
rappresentativo
,
il
loro
astensionismo
altro
non
è
se
non
legittimismo
repubblicano
.
In
fondo
,
chi
esamini
la
psicologia
intima
dell
astensionismo
elettorale
propugnato
dal
Mazzini
,
vi
riscontrerà
lo
sdegno
e
la
protesta
dell
antico
triumviro
,
sostituito
al
potere
da
un
usurpatore
.
L
amore
davvero
mistico
con
cui
il
Mazzini
circondò
il
nome
di
Roma
,
l
ardore
religioso
con
il
quale
seppe
vantarne
una
pretesa
missione
storica
,
e
la
pagina
insigne
,
scritta
col
sacrificio
di
tanti
,
nel
nome
repubblicano
dell
Urbe
degenere
,
conferirono
a
fargli
credere
legata
al
suo
nome
ed
a
quello
da
esso
inseparabile
della
futura
repubblica
italiana
le
sorti
di
Roma
.
Mazzini
considerò
la
dinastia
occupatrice
come
rea
di
usurpazione
.
Il
papa
laico
e
il
papa
cattolico
consigliarono
ai
fedeli
delle
due
chiese
la
stessa
condotta
:
l
astensione
dalle
lotte
politiche
.
L
astensionismo
mazziniano
era
una
protesta
,
tale
e
quale
come
quello
papalino
.
Mazzini
aveva
scritto
tante
volte
che
la
risurrezione
unitaria
dell
Italia
non
poteva
essere
se
non
repubblicana
,
e
,
quando
vide
che
i
fatti
lo
smentivano
,
non
volle
già
credere
ad
una
necessità
storica
operante
al
di
là
dei
disegni
volontari
della
mente
umana
,
ma
ad
un
intrigo
riuscito
per
la
forza
stessa
dell
inganno
.
La
sua
irreconciliabile
avversione
al
nuovo
regime
,
cui
credeva
di
poter
rimproverare
l
inganno
e
l
usurpazione
,
prese
corpo
e
sostanza
nella
costante
predicazione
dell
astensionismo
politico
,
ed
egli
si
illuse
di
poter
così
concorrere
a
demolire
quel
regime
.
Ma
,
uomo
del
resto
del
più
alto
senso
politico
,
capì
che
la
lotta
negativa
dell
astensione
non
bastava
,
ed
occorreva
attaccare
il
regime
combattuto
in
modo
più
diretto
.
Mazzini
fu
astensionista
dalle
lotte
elettorali
per
la
assai
semplice
ragione
che
egli
fu
cospiratore
.
Finché
il
Partito
repubblicano
si
fuse
e
si
confuse
con
il
mazzinianismo
,
la
cospirazione
fu
il
naturale
complemento
della
propaganda
pubblica
.
L
Alleanza
repubblicana
universale
,
istituita
dal
Mazzini
e
che
ebbe
esistenza
ufficiale
sin
verso
il
1890
,
benché
menasse
vita
stentata
e
poverissima
,
era
un
associazione
cospiratoria
a
molteplici
gradi
di
iniziazione
.
Lo
sfacelo
dell
Alleanza
,
avvenuto
per
processo
di
naturale
ed
intima
dissoluzione
,
senza
alcun
concorso
né
della
violenza
,
né
dell
inganno
governativo
,
è
la
miglior
critica
che
dei
metodi
cospiratori
possa
farsi
in
un
paese
che
,
anche
senza
possedere
una
libertà
di
stampa
,
di
riunione
e
di
associazione
molto
sicura
e
generale
,
si
regge
a
sistema
rappresentativo
.
Il
cospiratorismo
hoffenbacchiano
dell
Alleanza
,
durato
,
come
ho
detto
,
sino
a
data
recentissima
,
si
sfasciava
nella
incoerenza
della
propria
ragione
di
essere
.
Mazzini
,
naturalmente
,
non
è
responsabile
di
queste
assurdità
.
Egli
moriva
nel
1872
,
diciotto
mesi
dopo
l
entrata
in
Roma
della
monarchia
,
e
la
vicinanza
del
periodo
rivoluzionario
vero
e
proprio
poteva
ancora
persuadere
metodi
cospiratori
ed
insurrezionali
:
anzi
a
dire
la
verità
,
la
logica
era
tutta
dalla
parte
di
questi
metodi
.
Ma
chiuso
il
periodo
dell
agitazione
,
inauguratosi
il
periodo
dell
organizzazione
,
il
Partito
repubblicano
doveva
mutar
via
.
La
suggestione
e
la
superstizione
dei
vecchi
metodi
aduggiò
invece
il
campo
.
Ne
avvenne
quel
che
doveva
avvenire
.
Siccome
non
è
possibile
differire
all
infinito
la
realizzazione
di
un
fine
,
i
cui
mezzi
implichino
una
tensione
permanente
dei
nervi
,
come
il
metodo
cospiratorio
,
che
involge
un
pericolo
permanente
,
il
partito
si
sfasciò
.
L
astensionismo
e
la
cospirazione
lo
facevano
a
brandelli
.
La
salute
,
infatti
,
non
venne
che
dall
uso
del
metodo
opposto
,
e
questo
non
vedono
i
redattori
della
Terza
Italia
.
Dal
1885
al
1892
la
storia
del
Partito
repubblicano
italiano
è
la
storia
del
proprio
sfacelo
.
La
riforma
della
legge
elettorale
manda
alla
Camera
rinforzato
il
numero
dei
deputati
che
si
qualificano
repubblicani
;
ma
,
mentre
essi
svolgono
un
azione
qualunque
nella
Camera
,
sono
smentiti
dal
proprio
partito
organizzato
.
Le
Società
operaie
affratellate
,
sotto
il
qual
nome
è
compresa
l
organizzazione
pubblica
del
Partito
repubblicano
,
non
fanno
che
lacerarsi
in
lotte
intestine
.
Dopo
aver
descritto
fondo
all
universo
nei
loro
innumerevoli
congressi
,
non
sanno
mai
indicare
la
via
per
cui
le
cose
votate
si
hanno
da
applicare
.
L
assoluta
indipendenza
elettorale
delle
società
stesse
toglie
al
partito
ogni
fisionomia
di
partito
.
La
cospirazione
e
l
astensionismo
uccidono
,
nella
loro
evidente
incongruenza
,
un
partito
floridissimo
e
ricco
di
memorie
storiche
gloriose
.
La
risurrezione
cominciò
solo
quando
i
lombardi
indussero
il
partito
nelle
vie
elettorali
e
dell
agitazione
pubblica
.
Ora
si
può
anche
,
come
chi
scrive
,
non
essere
infetto
dalla
superstizione
parlamentare
,
non
dividere
per
i
metodi
sinceramente
rivoluzionari
tutto
l
orrore
evoluzionistico
e
scientifico
di
alcuni
compagni
nostri
,
e
tuttavia
scorgere
l
assurdo
della
posizione
entro
cui
si
dibatte
il
neo
-
mazzinianismo
.
Mazzini
almeno
era
logico
.
All
astensionismo
elettorale
egli
univa
la
cospirazione
politica
;
ma
poiché
l
epoca
nostra
è
manifestamente
ripugnante
,
per
necessità
di
cose
,
e
nello
stesso
interesse
dei
fini
rivoluzionari
,
dai
metodi
cospiratori
,
e
la
evidenza
di
questa
osservazione
non
può
non
imporsi
agli
stessi
mazziniani
,
ne
deriva
che
essi
sono
condannati
alla
impotenza
assai
più
facilmente
che
non
i
loro
predecessori
.
Dovendo
rinunziare
all
azione
cospiratoria
e
volendosi
interdire
quella
parlamentare
,
quali
mezzi
d
azione
restano
al
nuovo
partito
?
Non
quelli
della
legale
conquista
della
maggioranza
parlamentare
;
non
quelli
della
settaria
insurrezione
e
di
colpi
di
mano
;
dunque
soltanto
la
mistica
aspettazione
,
accompagnata
dalla
innocua
e
sterile
diffusione
di
principi
astratti
,
avulsi
dal
terreno
della
lotta
quotidiana
.
Che
per
tal
via
essi
possano
esercitare
un
azione
qualunque
sul
Partito
socialista
appare
impossibile
sin
da
principio
.
Noi
siamo
il
partito
dei
lavoratori
ed
abbiamo
la
responsabilità
della
difesa
dei
loro
interessi
quotidiani
.
Poiché
noi
non
pensiamo
attuabile
il
socialismo
,
ovverossia
la
generica
società
dell
eguaglianza
,
uno
ictu
,
ma
anzi
per
opera
di
successive
conquiste
,
sino
all
espropriazione
totale
e
definitiva
della
borghesia
,
ci
è
giuocoforza
ottenere
dai
parlamenti
borghesi
tutto
quel
massimo
di
riforme
di
cui
essi
sono
capaci
.
Anche
senza
essere
profondamente
ammalati
di
infatuamento
parlamentare
,
la
tattica
dei
parlamenti
ci
si
impone
per
necessità
di
cose
.
La
forma
della
setta
non
ci
si
addice
affatto
.
Ecco
perché
i
mazziniani
non
possono
sperare
di
esercitare
una
azione
qualunque
su
di
noi
.
E
allora
torniamo
al
punto
di
partenza
.
Il
neo
-
mazzinianismo
sarà
costretto
ad
esercitarsi
a
spesa
del
Partito
repubblicano
vero
e
proprio
,
di
cui
la
parte
meno
socialmente
definibile
,
e
più
portata
per
temperamento
ai
facili
entusiasmi
del
rivoluzionarismo
verbale
,
cadrà
nella
sfera
d
influenza
del
mazzinianismo
.
L
esistenza
di
due
partiti
repubblicani
quello
anarchico
e
quello
parlamentare
scomunicantisi
in
nome
della
stessa
idea
,
non
contribuirà
ad
accrescere
prestigio
alla
soluzione
repubblicana
.
L
epoca
della
confusione
propagandistica
risorgerà
ancora
una
volta
per
il
Partito
repubblicano
,
e
con
essa
le
conseguenze
dissolventi
di
un
tempo
.
Alberto
Mario
scrisse
una
volta
che
il
Partito
repubblicano
avrà
allora
forma
ed
importanza
veramente
politica
,
quando
la
tradizione
settaria
del
mazzinianismo
sarà
completamente
scomparsa
.
È
probabile
che
il
Mario
,
facile
alle
ire
polemiche
,
esagerasse
;
ma
non
è
negabile
che
,
in
tutto
il
periodo
posteriore
all
unificazione
d
Italia
,
la
tradizione
dei
metodi
mazziniani
non
è
stata
propizia
alle
sorti
del
Partito
repubblicano
.
Il
nuovo
tentativo
già
si
annunzia
gravido
di
dissensioni
.
Ecco
perché
io
penso
che
la
condotta
del
Partito
socialista
debba
essere
deliberatamente
ostile
di
fronte
all
iniziativa
della
Terza
Italia
e
della
federazione
di
Terni
.