StampaPeriodica ,
Verso
la
fine
del
quattrocento
grande
era
il
disordine
in
cui
s
'
aggirava
il
concetto
della
lingua
nostra
e
delle
lettere
,
che
da
un
lato
erano
declinanti
,
dall
'
altro
sentivano
se
stesse
per
anche
non
bene
mature
.
Da
noi
si
chiama
buon
secolo
della
lingua
nostra
quello
di
Dante
o
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
;
ma
gli
scrittori
in
quella
età
non
ebbero
tanta
fiducia
di
se
stessi
né
tanta
superbia
.
Il
che
si
dimostra
in
primo
luogo
dal
disputare
che
si
fece
subito
intorno
alla
lingua
,
la
quale
avendo
taccia
,
di
bassezza
non
era
,
autorevole
bastantemente
sulla
nazione
;
era
un
dialetto
venuto
su
quando
una
spinta
maravigliosa
fu
data
agli
ingegni
,
ma
senza
corredo
di
scienza
bastante
.
Sentìano
mancare
all
'
efficacia
della
lingua
l
'
arte
del
dire
;
in
quella
età
noi
cerchiamo
la
potenza
della
parola
e
della
frase
,
ma
non
vi
troviamo
bastante
evidenza
dei
costrutti
,
e
l
'
orditura
dei
periodi
si
dimostra
per
lo
più
timida
o
intralciata
.
Questo
sentivano
gli
scrittori
,
massimamente
poi
quando
ebbero
assaggiato
gli
autori
latini
:
Filippo
Villani
(
nel
Proemio
)
tace
di
Giovanni
,
e
di
Matteo
suo
padre
dice
avere
egli
usato
«
lo
stile
che
a
lui
fu
possibile
;
apparecchiando
materia
a
più
dilicati
ingegni
d
'
usare
più
felice
e
più
alto
stile
»
.
Né
avrebbe
il
Boccaccio
al
nostro
idioma
fatto
la
violenza
ch
'
egli
fece
,
so
non
avesse
egli
nella
prosa
creduto
trovarlo
come
giacente
e
da
cercare
altrove
i
modi
e
le
forme
a
dargli
grandezza
.
Le
varie
parti
della
coltura
non
avendo
le
uno
con
lo
altre
avuto
in
Italia
proporzione
sufficiente
,
quei
primi
sommi
parve
,
si
alzassero
come
giganti
per
virtù
propria
,
dopo
sé
lasciando
un
intervallo
per
cui
le
lettere
cominciassero
un
altro
corso
dove
i
primi
gradi
già
fossero
stati
con
inverso
ordine
preoccupati
.
Il
che
nelle
arti
belle
non
avvenne
,
e
quindi
poterono
esse
regolatamente
salire
alla
loro
perfezione
:
ma
le
lettere
invece
di
Giotto
ebbero
subito
Michelangelo
,
terrore
agli
altri
piuttosto
che
guida
;
ed
il
Boccaccio
avendo
trovato
la
lingua
già
bene
adulta
ma
inesperta
,
la
fece
andare
per
mala
via
:
il
solo
Petrarca
più
degli
altri
fortunato
,
lasciò
dietro
sé
lunga
e
prospera
discendenza
.
Avvenne
per
questa
mala
sorte
che
la
lingua
innanzi
di
farsi
e
di
tenersi
donna
e
madonna
come
si
conveniva
a
tali
uomini
ed
a
tale
popolo
,
non
bene
osasse
distaccarsi
dal
latino
che
stava
siccome
suo
legittimo
signore
,
talché
all
'
italiano
si
diede
per
grazia
l
'
umile
titolo
di
volgare
.
Né
questa
ignobile
appellazione
cessava
col
volger
dei
tempi
,
le
traduzioni
dal
latino
s
'
intitolavano
volgarizzamenti
ed
anche
oggi
quel
che
si
scrive
da
noi
letterati
diciamo
scrivere
in
volgare
,
Dio
ce
lo
perdoni
.
Ma
quando
pei
cercatori
dei
libri
classci
il
latino
fu
ogni
cosa
,
e
chi
non
facesse
di
quello
il
suo
unico
studio
ebbe
nome
d
'
uomo
senza
lettere
;
allora
alla
lingua
stata
compagna
,
dei
loro
affetti
mandarono
i
dotti
il
libello
del
ripudio
,
anzi
fu
cacciata
via
come
la
serva
quando
torna
la
matrona
.
Sarebbe
al
Poggio
ed
ai
suo
pari
sembrato
vergogna
scrivere
italiano
,
onde
egli
scriveva
latine
le
Istorie
dei
tempi
suoi
e
le
Lettere
e
perfino
le
Facezie
.
I
poveri
scritti
di
chi
aveva
narrato
le
cose
come
le
aveva
fatte
,
si
traducevano
in
latino
perché
si
acquistassero
un
poco
di
stima
.
Né
Pico
Della
Mirandola
fu
il
primo
che
dicesse
mancare
le
cose
al
Petrarca
e
a
Dante
le
parole
;
questi
era
stato
già
tempo
innanzi
vituperato
come
sciupatore
del
bello
classico
da
Niccolò
Niccoli
erudito
raccoglitore
di
vecchi
libri
,
che
lui
chiamava
(
così
almeno
lo
fanno
parlare
)
«
poeta
da
fornai
e
da
calzolaj
»
,
perché
non
seppe
né
bene
intendere
Virgilio
né
avviarsegli
dietro
pei
compi
floridi
della
poesia
(
Leonardi
Aretini
Dialog
.
I
Ad
Petrum
Istrum
.
Fu
già
stampato
a
Basilea
,
ed
è
manoscritto
nella
Laurenziana
)
.
Più
tardi
Cristoforo
Landino
,
che
fra
tutti
difese
la
lingua
toscana
e
la
usava
felicemente
,
sentenziò
pure
«
ch
era
mestieri
essere
latino
chi
vuole
essere
buono
toscano
»
(
Orazione
di
Cristoforo
Landino
,
Firenze
,
1853
)
.
Encomia
l
'
industria
che
Leon
Battista
Alberti
pose
a
trasferire
in
noi
l
'
eloquenza
dei
latini
;
né
certo
si
vuole
togliere
merito
a
siffatto
uomo
,
né
a
Matteo
Palmieri
né
ad
altri
lodati
con
lui
:
ma
fatto
è
poi
che
seguitare
nell
'
italiano
le
norme
latine
come
essi
fecero
,
tolse
loro
di
essere
letti
mai
popolarmente
,
così
che
si
giacquero
per
lungo
tempo
come
dimenticati
,
ed
oggi
guardandoli
a
fine
di
studio
ne
pare
di
leggere
una
lingua
morta
.
Cotesti
almeno
erano
uomini
educati
ai
buoni
studi
:
ve
n
'
erano
altri
d
'
ingegno
più
rozzo
,
i
quali
per
volere
essere
eloquenti
in
verso
ed
in
prosa
,
cercando
norme
all
'
italiano
fuori
di
se
stesso
,
facevano
certi
pasticci
di
lingua
,
né
latina
né
volgare
,
la
quale
usciva
come
per
singhiozzi
,
che
Dio
ce
ne
scampi
;
di
che
strani
esempi
potrei
allegare
se
fosse
qui
luogo
.
Ma
vale
fra
tutti
quello
di
Giovanni
Cavalcanti
,
autore
di
Storie
fiorentine
a
mezzo
il
quattrocento
:
non
fu
senza
ingegno
,
e
dove
narrando
le
cose
interne
della
repubblica
descrive
gli
umori
o
riferisce
i
parlari
dei
cittadini
,
dice
il
fatto
suo
con
evidenza
sovente
felice
;
ma
,
quando
vuol
essere
ornato
o
facondo
e
soprattutto
nelle
descrizioni
,
tenendo
dietro
agli
esempi
dei
latini
non
bene
letti
o
non
bene
intesi
,
diventa
oltremodo
fastidioso
per
lungaggini
e
peggio
ancora
per
l
'
ambizione
dei
falsi
colori
:
costui
che
avrebbe
potuto
essere
buon
cronista
,
fu
dall
'
abuso
dei
precetti
che
allora
correvano
condotto
ad
essere
malo
istorico
.
Così
andarono
le
cose
nella
repubblica
delle
lettere
fino
a
Lorenzo
dei
Medici
e
al
Poliziano
;
questi
certamente
mostrò
nelle
Stanze
scritte
da
lui
a
venticinque
anni
e
poi
non
finite
,
una
squisita
forma
di
poesia
che
annunziava
già
i
tempi
nuovi
di
cui
può
dirsi
prima
e
gentile
apparizione
.
Cionondimeno
quell
'
uomo
stesso
faceva
latini
poi
finché
visse
i
versi
e
le
prose
fino
al
racconto
della
Congiura
dei
Pazzi
,
fatto
domestico
e
tremendo
al
quale
era
stato
in
mezzo
e
che
tante
passioni
doveva
destargli
nell
'
animo
.
Nella
poesia
il
Poliziano
pareva
trovarsi
più
in
casa
sua
quando
scriveva
latino
:
più
imitatore
in
quelle
stanze
di
fina
bellezza
che
s
'
era
arrischiato
egli
a
scrivere
italiane
.
Lorenzo
dei
Medici
si
scusa
d
'
avere
in
lingua
volgare
commentato
i
suoi
Sonetti
,
tale
quale
come
Dante
se
n
'
era
scusato
dugent
'
anni
prima
.
Ma
nulla
dunque
si
era
fatto
in
quei
dugent
'
anni
quanto
all
'
uso
della
nostra
lingua
?
S
'
era
fatto
molto
ed
ogni
giorno
si
faceva
;
ma
il
male
stava
in
ciò
che
tale
uso
procedeva
bipartito
,
essendo
pel
naturale
andamento
suo
più
cólto
nei
popoli
ma
insieme
più
guasto
nei
libri
.
Un
assai
grande
numero
di
lettere
scritte
nel
quattrocento
furono
in
questi
anni
pubblicate
,
e
ne
abbiamo
noi
vedute
molte
manoscritte
;
e
molte
tratte
dagli
Archivi
di
Firenze
sono
allegate
nel
grande
Vocabolario
.
Ora
le
lettere
familiari
danno
sempre
l
'
espressione
più
naturale
e
più
immediata
del
vivo
parlare
,
e
chi
le
raffrontiad
altre
più
antiche
le
troverà
scritte
in
modo
che
annunzia
lingua
più
adulta
e
più
conforme
a
quella
che
poi
fu
la
moderna
italiana
lingua
.
Ma
nei
libri
stessi
umili
in
quel
secolo
,
sebbene
pallido
ne
sia
lo
stile
,
pure
il
discorso
procedeva
meglio
ordinato
e
più
finito
e
più
somigliante
ed
acuto
già
fatto
;
ma
non
però
bello
quanto
promettevano
le
grazie
e
il
fuoco
delle
età
prime
.
Io
pure
grido
,
studiamo
il
trecento
,
secolo
che
aveva
in
sé
certamente
quella
potenza
che
più
non
ebbe
la
lingua
nostra
;
ma
vero
è
poi
che
di
tutte
le
nazioni
gli
antichi
scrittori
si
riveriscono
come
vecchi
intanto
che
si
amano
come
fanciulli
;
si
ammirano
per
la
ingenuità
loro
e
per
la
forza
,
ma
non
si
saprebbe
né
si
vorrebbe
per
l
'
appunto
scrivere
a
quel
modo
.
Tuttociò
avviene
sempre
e
dappertutto
;
ma
fu
a
noi
tristo
privilegio
che
la
lingua
o
si
dovesse
o
si
credesse
dovere
attingere
dal
trecento
,
quasiché
in
essa
il
corso
del
tempo
facesse
il
vuoto
o
altro
non
avesse
fatto
che
guastarla
.
Negli
ultimi
anni
del
quattrocento
aveva
la
lingua
dunque
per
se
medesima
progredito
quanto
a
una
struttura
più
regolare
,
ma
dall
'
essere
usata
poco
e
trascuratamente
nei
libri
,
pareva
e
anche
oggi
a
noi
pare
,
in
fatto
essere
decaduta
da
ciò
che
ella
era
nel
secolo
precedente
.
Lorenzo
de
'
Medici
,
il
Landino
ed
altri
dicono
spesso
alla
lingua
nostra
essere
mancati
gli
uomini
e
lo
stile
di
chi
la
usasse
;
il
che
fu
vero
quanto
allo
scriverla
come
abbiamo
qui
sopra
notato
;
ma
fu
anche
vero
quanto
al
parlare
questa
lingua
in
modo
che
fosse
norma
ed
esempio
agli
scrittori
:
su
questo
punto
conviene
ora
,
un
poco
fermarsi
.
Mi
sovviene
avere
una
volta
udito
il
Foscolo
dire
nell
'
impeto
del
discorso
che
«
la
lingua
nostra
non
era
stata
mai
parlata
»
nella
quale
enfasi
di
parola
pare
a
me
stesse
il
germe
di
un
vero
che
ora
si
svolge
sotto
agli
occhi
nostri
.
Ma
il
campo
non
era
libero
a
quel
tempo
,
e
si
disputava
chi
avesse
ragione
se
il
Cesari
purista
,
o
il
Cesarotti
licenzioso
,
o
il
Perticari
con
quella
sua
lingua
che
stava
per
aria
.
Oggi
il
Manzoni
sgombrando
quel
campo
ha
dato
a
noi
terreno
fermo
col
fare
consistere
nell
uso
ogni
cosa
:
né
chi
voglia
uscire
da
quella
dottrina
può
stare
sul
vero
.
Ma
se
a
dire
lingua
si
dice
qualcosa
fuori
d
'
iena
,
semplice
nomenclatura
,
e
se
invece
si
tenga
essere
l
espressione
di
tutto
il
pensare
d
'
un
popolo
colto
,
certo
è
che
gli
usi
di
questa
lingua
sono
diversi
(
quanto
diverse
le
relazioni
cui
deve
servire
;
e
che
in
ciascuna
,
oltre
all
'
essere
disuguale
il
numero
delle
parole
che
si
adoprano
,
varia
è
anche
la
scelta
di
queste
parole
:
al
che
si
aggiunga
(
e
ciò
è
capitale
)
che
oltre
alle
parole
,
le
frasi
e
il
giro
e
i
collocamenti
di
esse
o
la
contestura
del
periodo
ed
in
certi
suoi
elementi
la
forma
di
tutto
il
discorso
che
sempre
ha
del
proprio
e
del
distinto
in
ogni
nazione
,
tutte
queste
cose
fanno
insieme
la
lingua
di
quella
nazione
.
So
che
la
lingua
in
tal
modo
intesa
dovrebbe
piuttosto
chiamarsi
linguaggio
,
ma
so
che
a
distinguere
con
secco
rigore
l
'
una
dall
'
altra
,
queste
due
parole
,
starebbe
la
lingua
tutta
intera
nei
vocabolari
dov
'
ella
si
giace
come
cosa
morta
.
Sotto
questo
aspetto
bisogna
pur
dire
che
la
lingua
che
si
parla
differisce
in
molte
sue
forme
dalla
lingua
che
si
scrive
,
secondo
che
variano
parlando
o
scrivendo
gli
intendimenti
,
le
volontà
ed
in
qualche
modo
lo
stato
degli
animi
in
chi
mette
fuori
il
suo
pensiero
,
e
in
chi
lo
ascolta
presente
o
deve
poi
da
sé
leggerlo
sulla
carta
.
Per
esempio
,
nella
rapidità
del
discorso
familiare
non
sempre
avviene
fare
periodi
che
stieno
in
gambe
come
suol
dirsi
,
perché
in
tal
caso
alla
intelligenza
molti
aiuti
provvedono
,
e
la
parola
come
alterata
da
una
concitazione
d
'
affetti
ne
diventa
spesso
più
efficace
.
Chiaro
esprimeva
questo
pensiero
Giovan
Battista
Gelli
nella
Prefazione
d
'
una
sua
Commedia
stampata
in
Firenze
l
'
anno
1550
:
«
Altra
lingua
è
quella
che
si
scrive
ne
le
cose
alte
e
leggiadre
,
e
altra
è
quella
che
si
parla
familiarmente
;
sì
che
non
sia
alcuno
che
creda
che
quella
nella
quale
scrisse
Tullio
,
sia
quella
che
egli
par
-
lava
giornalmente
»
,
questo
dice
il
Gelli
,
né
intendevano
del
comun
parlare
coloro
che
innanzi
di
lui
scrivevano
essere
mancati
gli
uomini
alla
lingua
(
Landino
,
Proemio
al
Commento
sulla
Divina
Commedia
)
Ma
se
poi
si
guardi
non
più
al
discorso
familiare
,
sibbene
a
quello
di
chi
parla
solo
ed
a
bell
'
agio
e
non
interrotto
,
in
faccia
ad
un
pubblico
o
ad
una
qualsiasi
radunanza
;
allora
il
linguaggio
s
'
avvicina
molto
allo
scrivere
,
di
cui
ben
fu
detto
non
essere
altro
che
un
pensato
parlare
:
nondimeno
chi
ponga
mente
per
non
dire
altro
al
tempo
elle
mette
generalmente
più
lungo
in
questo
pensare
l
'
uomo
che
scrive
di
colui
che
parla
,
non
che
al
discorso
che
n
'
esce
fuori
;
noterà
essere
delle
differenze
per
cui
la
parola
scritta
è
meno
viva
sempre
di
quella
ch
'
esce
parlando
quanto
mai
si
possa
pensatamente
.
Si
vede
nei
libri
quando
l
'
autore
poco
avvezzo
a
dire
le
cose
,
va
cercando
ed
esse
una
forma
che
si
adatti
ai
libri
:
nei
Greci
antichi
e
nei
Latini
ci
si
fa
innanzi
sempre
l
'
oratore
.
Imperocché
allo
scrivere
con
efficacia
è
grande
aiuto
l
'
uso
del
parlare
,
dove
uno
s
'
addestra
a
certo
artifizio
cui
più
di
rado
pervengono
le
scritture
,
dico
quella
distribuzione
sagace
di
concisione
e
di
abbondanza
e
di
facilità
e
di
sostenutezza
,
e
quei
colori
appropriati
a
'
luoghi
secondo
richiedono
i
varii
argomenti
e
le
diverse
parti
dell
'
orazione
:
s
'
imparano
queste
cose
dagli
effetti
che
in
altrui
produce
la
nostra
parola
.
Laonde
a
chi
scrive
manca
una
scuola
molto
essenziale
quando
egli
non
abbia
la
mente
già
instrutta
in
quelle
forme
per
cui
si
esprimono
parlando
le
cose
che
egli
vuole
scrivere
.
la
quale
mancanza
che
fu
in
Italia
,
dai
tempi
antichi
e
si
protrasse
poi
nei
moderni
,
ha
dato
spesso
ai
nostri
libri
certa
aridità
solenne
la
quale
ebbe
nome
di
stile
accademico
.
Da
questo
vizio
salvò
i
Francesi
la
conversazione
,
la
quale
fu
ad
essi
come
una
sorta
di
vita
pubblica
e
informò
lo
scrivere
in
ogni
qualsiasi
più
grave
argomento
;
talché
gli
scrittori
nel
tempo
medesimo
che
ne
acquistavano
maggior
vita
,
divennero
anche
più
facilmente
e
più
generalmente
popolari
,
così
da
esercitare
nella
lingua
qual
maestrato
il
quale
ha
bisogno
la
lingua
medesima
che
venga
dai
libri
.
Questa
,
sorta
di
maestrato
quale
si
sia
,
disse
tanto
bene
Vito
Fornari
in
un
recente
suo
libretto
,
chi
'
io
farei
torto
al
mio
concetto
se
non
lo
esprimessi
con
le
medesime
sue
parole
.
«
Se
egli
è
giusto
il
dire
che
il
linguaggio
non
istà
tutto
negli
scrittori
,
non
si
vorrà
per
questo
affermare
che
si
trovi
intero
fuori
degli
scrittori
.
Certi
fatti
mentali
,
e
certe
più
fine
relazioni
e
determinazioni
del
pensiero
,
non
si
vedono
distintamente
e
non
vengono
significate
,
se
non
quando
si
scrive
,
cosicché
alcuna
piccola
parte
de
'
vocaboli
o
molta
parte
de
'
modi
di
dire
o
de
'
costrutti
non
si
può
imparare
altrove
che
nelle
scritture
»
(
Lettera
stampata
nel
Propugnatore
,
Bologna
,
1869
)
.
Per
essere
in
questo
modo
imperfetta
la
lingua
nostra
poté
nel
secolo
di
cui
scriviamo
essere
accusata
«
di
viltà
e
non
capace
o
degna
di
alcuna
eccellente
materia
e
subietto
»
,
come
attesta
Lorenzo
de
'
Medici
in
quel
commento
del
quale
abbiamo
poc
'
anzi
discorso
.
Bene
egli
l
'
assolse
da
tale
accusa
,
con
argomenti
di
ragione
e
con
gli
esempi
di
Dante
e
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
.
Ma
quasi
non
fossero
per
sé
valevoli
quegli
esempi
,
afferma
al
suo
tempo
essere
la
lingua
«
tuttora
nella
adolescenza
perché
ognora
più
si
fa
elegante
e
gentile
.
E
potrebbe
facilmente
nella
gioventù
e
adulta
età
sua
venire
ancora
in
maggiore
perfezione
,
tanto
più
se
il
Fiorentino
impero
venisse
ad
ampliarsi
e
a
distendersi
maggiormente
»
(
Proemio
al
Commento
sulle
Canzoni
)
;
pensiero
nel
quale
stavano
adombrati
,
ma
certo
assai
timidamente
,
il
male
e
il
rimedio
.
Tali
erano
dunque
le
condizioni
di
questa
lingua
negli
ultimi
anni
del
quattrocento
;
l
'
abbiamo
veduta
per
l
'
andamento
suo
naturale
progredire
nelle
sue
più
familiari
ed
umili
forme
,
o
nella
opinione
dei
letterati
intanto
scadere
.
Ma
ricorrendo
ora
col
pensiero
per
tutto
quello
che
si
è
fin
qui
scritto
,
abbiamo
noi
ed
avrà
chi
legge
,
dovuto
accorgersi
che
il
discorso
nostro
non
v
'
era
mai
stato
caso
che
uscisse
fuori
dei
confini
della
Toscana
.
Di
ciò
cagione
fu
la
mancanza
non
dirò
intera
ma
poco
meno
,
di
libri
o
scritture
in
lingua
italiana
usciti
dalle
altre
provincie
d
'
Italia
.
Volere
discernere
se
dalla
cultura
dei
primi
Toscani
uscisse
la
lingua
o
dalla
lingua
la
colture
,
somiglierebbe
troppo
l
'
antica
lite
di
precedenza
che
fu
tra
l
'
ovo
e
la
gallina
;
poiché
la
lingua
essendo
una
materiale
determinazione
dei
pensieri
e
degli
affetti
che
si
produssero
dentro
a
quel
popolo
che
la
forma
,
diviene
strumento
che
rende
capace
quel
popolo
a
nuove
produzioni
del
pensiero
e
a
viepiù
estendere
la
sua
coltura
.
Oltrediché
una
lingua
è
monca
e
dappoco
finch
'
ella
non
abbia
la
sua
finitezza
negli
usi
letterarii
,
cioè
finché
non
sia
capace
ad
esprimere
le
cose
pensate
fuori
del
continuo
uso
e
prima
ordinate
dalla
lenta
opera
degli
intelletti
,
finché
non
abbia
insomma
prodotto
dei
libri
.
Ciò
avvenne
in
Toscana
subito
dopo
al
1230
,
prima
di
quel
tempo
dovendosi
credere
non
bene
compita
questa
moderna
favella
come
Dante
la
chiamava
.
Ma
ebbe
ad
un
tratto
scrittori
in
buon
numero
,
e
si
cominciò
a
tradurre
in
lingua
volgare
gli
autori
latini
;
tanta
fiducia
ebbe
acquistata
allora
il
pensiero
in
quella
sua
nuova
e
giovane
forma
.
E
furono
gli
anni
nei
quali
Firenze
,
divenuta
possente
ad
un
tratto
,
si
rivendicava
in
libertà
,
fondava
una
repubblica
popolare
,
pigliava
in
Italia
egemonia
delle
città
guelfe
,
diveniva
maestra
delle
Arti
e
produceva
il
libro
di
Dante
.
La
lingua
latina
come
noi
l
'
abbiamo
era
il
portato
di
una
solenne
elaborazione
del
pensiero
la
quale
si
fece
dentro
a
Roma
stessa
,
sovrapponendosi
alla
forma
latina
che
aveva
quivi
il
parlare
dei
greco
-
italici
:
nata
nel
fôro
e
nel
Senato
o
già
sovrana
sul
Campidoglio
,
si
distendeva
per
tutta
Italia
come
lingua
insieme
politica
e
letteraria
;
discesa
quindi
nelle
Basiliche
dei
cristiani
,
divenne
propria
della
religione
.
Nacque
il
volgare
nel
modo
stesso
ma
con
effetti
dissomiglianti
dentro
ad
un
popolo
d
'
artisti
,
ed
ebbe
tosto
una
letteratura
che
per
due
secoli
manteneva
l
'
impronta
in
se
stessa
.
della
città
che
l
'
avea
formata
.
In
quella
stavano
per
due
secoli
tutte
le
lettere
italiane
;
ma
perché
s
'
intenda
come
le
altre
provincie
nulla
a
quel
moto
partecipassero
,
vorremmo
che
studi
maggiori
si
facessero
sopra
i
vari
dialetti
d
'
Italia
,
mostrando
per
quali
più
lenti
passi
si
conducessero
anch
'
essi
ad
avere
scrittori
che
fossero
da
contare
oggi
tra
gli
Italiani
.
Allora
si
vedrebbe
fino
a
qual
punto
ciò
conseguissero
per
via
d
'
imprestiti
sopra
i
libri
d
'
autori
toscani
,
ma
né
potevano
questo
fare
né
il
farlo
sarebbe
stato
sufficiente
finché
i
dialetti
più
inferiori
avessero
tutta
serbata
l
'
antica
loro
povertà
.
E
rozzezza
.
Era
il
toscano
in
fine
dei
conti
un
italiano
più
compiuto
e
più
determinato
,
più
omogeneo
in
se
stesso
e
più
latino
,
perché
il
parlare
dell
'
antica
plebe
a
questo
più
affine
,
aveva
,
in
se
stesso
trovato
la
forma
della
lingua
nuova
a
cui
si
era
più
presto
condotto
.
Nello
altre
provincie
più
era
da
fare
,
e
quello
che
si
fece
,
rimase
dialetto
perché
le
misture
avevano
in
sé
troppo
forti
discordanze
;
i
suoni
,
gli
accenti
sempre
non
erano
italiani
.
A
mezzo
il
dugento
uno
scrittore
pugliese
Matteo
Spinelli
da
Giovinazzo
,
avrebbe
prima
dal
Malespini
in
una
sua
Cronaca
mostrato
esempio
di
lingua
italiana
che
poi
rimaneva
lungamente
solitario
.
Né
un
tale
fatto
io
seppi
mai
come
spiegarmi
:
se
non
che
adesso
da
un
erudito
tedesco
viene
accertato
,
la
Cronaca
del
pugliese
non
essere
altro
che
una
falsificazione
fatta
tre
secoli
dopo
;
il
che
era
facile
sospettare
dal
dettato
corrente
più
che
non
sia
quello
dell
'
ispido
Malespini
,
e
dove
si
scorge
sopra
una
forma
tutta
moderna
spruzzate
parole
e
desinenza
napoletane
da
chi
a
quel
gioco
s
'
era
dilettato
(
Bernardi
,
Dissertazione
,
ecc
.
,
Berlino
,
1868
)
.
Gran
tempo
corse
prima
e
uscissero
da
quello
provincie
e
meno
ancora
dalle
settentrionali
,
libi
di
prosa
scritti
in
una
lingua
la
quale
non
fosse
come
rinchiusa
nel
natio
dialetto
.
Ne
abbiamo
esempio
in
quella
vita
di
Cola
di
Rienzo
la
quale
fu
scritta
dal
romano
Fortifiocca
dopo
alla
metà
del
trecento
.
Qui
perché
siamo
nella
Italia
media
,
la
penna
corre
facile
e
sciolta
;
ma
tanto
è
ivi
del
romanesco
,
tanto
le
alterazioni
dei
suoni
e
quelle
che
a
tutto
il
resto
d
'
Italia
infino
d
'
allora
comparivano
brutture
,
da
porre
quel
libro
fuori
del
registro
dei
libri
italiani
.
Quanto
alle
letterefamiliari
un
maggiore
studio
sarebbe
da
farne
secondo
i
tempi
e
le
provincie
,
ma
,
per
via
d
'
esempio
,
quelle
clic
abbiamo
degli
Sforza
irte
e
stentate
,
fanno
contrasto
alle
bellissime
elle
allora
e
prima
scrivevano
l
'
Albizi
e
altri
Commissari
fiorentini
(
Commissioni
di
Rinaldo
degli
Albizzi
,
vol
.
I
,
2
,
Firenze
.
Il
terzo
è
in
corso
di
stampa
)
Le
cronache
in
lingua
italiana
ma
di
autori
non
toscani
che
si
hanno
dalla
metà
,
del
XIV
fino
verso
la
fine
del
XV
secolo
nulla
c
insegnano
di
quello
che
importi
al
nostro
proposito
,
perché
il
Muratori
che
lo
pubblicava
badando
ai
fatti
e
non
volendo
ml
oscurarli
con
le
rozzezze
dei
dialetti
,
né
tener
dietro
alle
ignoranze
dei
copisti
,
tradusse
(
com
'
egli
accennava
nelle
prefazioni
)
coteste
Cronache
nella
lingua
comune
al
suo
tempo
.
Generalmente
però
è
da
notare
che
appartengono
all
'
Italia
media
o
alla
Venezia
,
poche
estendendosi
verso
il
mezzogiorno
:
in
quelle
provincie
la
lingua
italiana
si
era
formata
più
(
l
'
accordo
con
se
stessa
per
la
maggiore
affinità
che
era
tra
'
popoli
primitivi
,
e
poté
quindi
salire
al
grado
di
lingua
scritta
più
presto
che
non
potessero
quelle
dov
'
erano
popoli
usciti
di
razza
celtica
od
iberica
.
Lo
versioni
dei
romanzi
di
cavalleria
generalmente
scritti
in
lingua
francese
,
dovrebbe
cercarsi
se
alle
volte
non
appartenessero
ai
luoghi
dov
'
ebbe
maggiore
entrata
questo
idioma
.
Tutto
ciò
vorrei
che
gli
eruditi
ci
dichiarassero
,
pigliando
esempio
dalla
non
mai
infingarda
curiosità
degli
uomini
tedeschi
.
Ma
si
tenga
a
monte
come
tra
l
'
uso
della
poesia
e
quello
della
prosa
le
cose
andassero
in
modo
diverso
.
La
poesia
lirica
fu
italiana
dai
suoi
primordi
e
si
mantenne
:
da
Ciullo
d
'
Alcamo
siciliano
al
Guinicelli
bolognese
ed
al
Petrarca
un
andamento
sempre
uniforme
la
conduceva
fino
al
sommo
della
perfezione
per
una
via
che
rimase
sempre
l
'
istessa
nel
corso
dei
secoli
.
Emancipatasi
dal
latino
prima
della
prosa
,
fa
in
essa
più
certo
l
'
uso
della
lingua
ed
ebbe
consenso
che
l
'
altra
non
ebbe
:
quindi
noi
troviamo
che
in
sulla
fine
del
quattrocento
v
'
era
una
lingua
nazionale
della
poesia
,
che
nulla
ha
per
noi
né
d
'
antiquato
né
di
provinciale
;
il
che
non
può
dirsi
dei
libri
di
prosa
.
Ma
quello
era
il
tempo
nel
quale
in
Europa
non
che
in
Italia
pareano
le
cose
pigliare
un
essere
tutto
nuovo
;
ciascuna
nazione
d
'
allora
in
poi
ebbe
la
propria
sua
lingua
più
o
meno
perfetta
,
ma
in
tutto
recata
a
foggia
moderna
.
Era
un
procedere
naturale
,
ma
che
in
Italia
più
vivo
che
altrove
,
doveva
estendersi
dappertutto
:
le
minori
città
meno
chiuse
in
se
medesime
poiché
avevano
perduto
ciascuna
,
la
fiera
indipendenza
municipale
,
si
aggregavano
alle
grandi
,
e
l
'
una
con
l
'
altra
più
si
mescolavano
;
la
vita
più
agiata
voleva
relazioni
più
frequenti
,
gli
Stati
col
farsi
più
vasti
creavano
nuovi
centri
di
cultura
,
le
corti
ambivano
essere
accademie
.
Intanto
lo
studio
classico
diffuso
per
tutta
l
'
Italia
valeva
molto
a
correggere
quei
volgari
ch
'
erano
rimasti
infino
allora
meno
latini
;
dal
fondo
di
ciascun
dialetto
cavava
lo
studio
dei
libri
classici
una
forma
,
la
quale
applicata
all
'
uso
colto
di
quei
dialetti
,
faceva
quest
uso
naturalmente
essere
più
italiano
e
più
capace
di
trarre
a
sé
quella
finitezza
che
prima
avevano
acquistata
i
soli
libri
dei
Toscani
:
venivano
i
suoni
a
farsi
più
molli
,
più
agevole
certa
speditezza
di
costrutti
;
molte
proprietà
di
lingua
che
i
Toscani
avevano
appreso
dall
'
uso
antico
tra
loro
,
gli
altri
imparavano
dal
latino
.
Notava
sapientemente
il
Tommaseo
come
le
etimologie
sieno
più
assai
che
non
si
crederebbe
mantenute
dall
'
uso
del
popolo
non
che
da
quello
dei
grandi
scrittori
:
ciò
era
in
Toscana
più
spesso
che
altrove
;
negli
altri
dialetti
gli
uomini
colti
le
ritrovavano
qualche
volta
per
lo
studio
dell
'
antico
latino
e
quindi
le
riconducevano
nei
libri
.
A
questo
modo
il
latino
ch
era
stato
impedimento
allo
scrivere
dei
Toscani
,
condusse
nelle
altre
provincie
i
dialetti
a
meglio
rendersi
italiani
.
In
questo
tempo
era
trovata
la
stampa
,
dal
che
la
parola
aveva
acquistato
come
un
nuovo
organo
a
diffondersi
.
In
tutti
i
tempi
fino
allora
ed
in
tutti
i
luoghi
chi
si
metteva
a
scrivere
un
libro
sapeva
bene
che
sarebbe
andato
in
mano
di
pochi
;
cercavano
quindi
il
loro
teatro
a
così
dire
nella
posterità
:
di
qui
è
che
i
libri
ne
uscivano
più
pensati
e
meno
curanti
di
essere
popolari
;
questo
vantaggio
hanno
i
libri
classici
e
quindi
più
servono
alla
disciplina
del
pensiero
.
Mia
lasciando
stare
queste
cose
,
gli
autori
toscani
,
eccetto
i
poeti
,
scrivevano
fino
allora
per
la
provincia
loro
,
né
credeano
essere
intesi
nelle
altre
:
quindi
è
che
i
libri
che
apparissero
meritevoli
venivano
tradotti
in
lingua
latina
per
dare
ad
essi
,
così
dicevano
,
maggiore
divulgazione
.
Quando
poi
si
cominciò
a
stampare
(
com
è
naturale
)
quei
libri
ch
erano
più
cercati
,
ebbe
il
Petrarca
la
prima
edizione
l
'
anno
1470
,
e
la
ebbe
il
Boccaccio
nel
tempo
medesimo
;
nel
1472
tre
non
delle
non
maggiori
città
d
'
Italia
si
onoravano
pubblicando
ciascuna
il
Poema
di
Dante
che
usciva
a
Napoli
poi
nel
1473
,
ed
aveva
ben
tosto
l
'
aggiunta
,
di
nuovi
commenti
,
ma
in
lingua
latina
.
D
'
altri
toscani
antichi
non
mi
pare
che
avesse
edizioni
in
quei
primi
anni
altri
che
il
Cavalca
sparsamente
per
l
'
Italia
ma
per
tutte
quasi
le
varie
sue
opere
;
e
oltre
lui
pochi
degli
ascetici
:
stamparono
questi
perché
erano
i
soli
elle
avessero
faina
allora
in
Italia
.
Nel
mentre
che
autori
delle
altre
provincie
pubblicavano
commentato
in
lingua
latina
il
libro
di
Dante
,
un
toscano
che
da
principio
soleva
scrivere
latina
ogni
cosa
,
Cristoforo
Landino
,
poneva
le
mani
a
stenderne
un
molto
ampio
commento
in
lingua
italiana
.
Di
già
i
vecchi
commentatori
del
trecento
pareano
a
lui
essere
un
poco
antiquati
ed
io
per
me
credo
che
senza
la
stampa
non
avrebbe
egli
pensato
un
lavoro
il
quale
intendeva
riuscisse
,
come
ora
si
direbbe
,
popolare
.
Lo
stesso
Landino
avea
pubblicato
l
'
anno
1476
una
versione
dell
'
Istoria
naturale
di
Plinio
,
dov
'
entra
un
numero
stragrande
di
voci
;
questa
ed
il
Commento
che
fu
stampato
nel
1481
io
credo
non
poco
servissero
agli
scrittori
tuttora
inesperti
che
ebbero
in
quei
libri
un
esemplare
di
lingua
vivente
ma
non
toscana
soverchiamente
,
perché
il
Landino
per
antico
abito
disdegnava
quei
modi
di
scrivere
che
a
lui
sapessero
di
plebeo
.
Nello
stesso
anno
1481
usciva
il
Morgante
di
Luigi
Pulci
,
e
insieme
i
tre
libri
non
poco
servirono
a
rendere
meglio
familiare
l
'
uso
dello
scrivere
in
lingua
comune
.
Imperocché
il
Pulci
che
sollevava
l
'
ottava
rima
dalla
pesantezza
del
Boccaccio
e
dalle
bassezze
degli
altri
,
scrittore
di
vena
copiosa
e
facile
,
ha
in
sé
qualcosa
quanto
alla
lingua
,
di
meglio
compito
nella
struttura
del
discorso
,
di
più
andante
nei
periodi
,
qualcosa
insomma
di
più
avanzato
e
più
universale
di
quello
che
fosse
generalmente
negli
autori
del
trecento
e
che
annunzia
maggiore
coltura
.
Lorenzo
de
'
Medici
e
Angiolo
Poliziano
ebbero
fama
e
non
del
tutto
immeritata
come
restauratori
del
buono
scrivere
italiano
.
Lorenzo
promosse
l
'
uso
di
questa
lingua
e
lo
difese
dandone
egli
stesso
in
verso
e
in
prosa
pregiati
esempi
.
Seguendo
il
genio
suo
nativo
che
lo
conduceva
bene
all
'
acquisto
della
grandezza
,
cercò
egli
essere
popolare
;
la
conversazione
lo
avea
formato
più
che
lo
studio
dei
libri
greci
e
de
'
latini
che
a
lui
erano
passatempo
:
si
atteneva
quindi
assai
di
buon
grado
all
'
uso
fiorentino
in
quelle
minori
poesie
,
le
quali
o
sacre
o
sollazzevoli
,
bramava
che
fossero
cantate
dal
popolo
;
facea
versi
anche
po
'
contadini
.
Per
tutto
questo
meritò
bene
della
lingua
più
ancora
che
non
facesse
il
classico
Poliziano
il
quale
insegnava
a
trarre
la
forma
della
poesia
italiana
dai
greci
autori
e
dai
latini
.
Finiva
il
secolo
,
e
la
lingua
toscana
pareva
che
già
s
'
avviasse
a
farsi
italiana
.
Alle
altre
provincie
secondo
che
divenivano
più
cólte
,
non
bastava
l
'
uso
di
quei
volgari
plebei
a
cui
rimase
nome
di
dialetti
;
perché
a
cotesto
uso
mancavano
spesso
non
che
le
voci
per
cui
si
esprimono
idee
non
pensate
dagli
uomini
rozzi
,
ma
più
ancora
le
frasi
o
locuzioni
e
il
giro
e
la
forma
di
quel
discorso
più
condensato
che
si
chiama
scelto
,
più
breve
e
rapido
perché
cerca
comprendere
un
maggior
numero
d
'
idee
;
forma
che
serve
generalmente
a
chi
si
mette
a
scrivere
un
libro
.
Non
so
che
i
dialetti
fossero
insegnati
nelle
scuole
,
né
che
si
pensasse
molto
a
coltivarli
come
lingua
letteraria
.
Ciò
tanto
è
vero
che
il
fare
libri
nel
dialetto
proprio
agli
autori
non
toscani
cominciò
tardi
e
fu
per
gioco
e
come
una
sorta
di
prova
non
tanto
facile
,
perché
lo
scrittore
deve
in
quel
suo
dialetto
cacciare
e
costringere
le
frasi
e
i
costrutti
ch
'
egli
era
solito
pigliare
da
un
uso
più
colto
e
più
universale
.
Ma
per
contrario
,
quando
nel
primo
tempo
l
'
autore
avvezzo
al
suo
dialetto
voleva
innalzarlo
fino
a
quella
lingua
,
ch
'
era
intesa
da
tutti
,
ne
aveva
in
sé
il
germe
che
la
coltura
vi
avea
già
posto
:
e
il
nuovo
processo
veniva
spontaneo
,
essendo
per
molta
parte
il
compimento
di
quell
'
antico
suo
parlare
.
È
stato
già
detto
che
a
scrivere
bene
in
lingua
italiana
,
la
meglio
è
cercarla
in
ciascuno
nel
fondo
del
suo
dialetto
,
perché
a
correggere
o
a
dirozzare
questo
si
vede
uscirne
fuori
quella
lingua
,
comune
di
cui
la
lingua
toscana
già
diede
agli
altri
dialetti
la
forma
e
che
n
'
è
il
fiore
e
la
perfezione
.
Ma
questi
dialetti
poiché
non
bastavano
a
quell
'
uso
più
ampio
e
più
scelto
,
chiunque
,
volesse
parlare
o
scrivere
in
tal
modo
,
non
poteva
pigliarne
le
forme
da
un
altro
dialetto
,
perché
non
s
'
intendono
questi
fra
loro
;
poteva
bene
da
quel
linguaggio
e
da
quell
'
uso
più
accettabile
universalmente
,
che
vivo
in
Toscana
corregge
da
per
tutto
i
plebei
parlari
perché
più
italiano
di
ciascuno
d
'
essi
.
Ciò
veramente
poteva
in
qualche
parte
dirsi
opera
di
traduzione
,
ma
non
di
quella
che
si
fa
pigliando
parole
e
forme
da
lingua
straniera
;
e
questo
fu
il
caso
di
quei
primi
non
toscani
,
i
quali
sul
finire
del
secolo
XV
cominciarono
a
scrivere
libri
in
lingua
toscana
.
Vorremmo
allegare
qui
alcuni
di
quelli
sparsi
documenti
che
a
noi
fu
lecito
di
raccogliere
da
varie
provincie
d
'
Italia
,
se
fosse
qui
luogo
a
minute
ricerche
o
se
quelle
che
abbiamo
fatte
ci
apparissero
comprendere
tutta
la
vasta
materia
.
Crediamo
però
che
i
pochi
esempi
sieno
conferma
di
quello
che
abbiamo
sopra
accennato
quanto
alla
difficoltà
che
avevano
maggiore
o
minore
le
altre
provincie
a
farsi
nello
scrivere
italiane
,
secondo
le
varie
qualità
delle
misture
ch
'
erano
entrate
in
ciascun
dialetto
.
Abbiamo
un
Testamento
politico
di
Ludovico
il
Moro
scritto
sulla
fine
del
quattrocento
in
lingua
milanese
che
vorrebb
'
essere
italiana
(
Documenti
di
storia
italiana
,
copiati
a
Parigi
da
G
.
Molini
,
tom
.
I
in
fine
)
;
e
nella
città
stessa
abbiamo
l
'
istoria
di
Bernardino
Corio
che
finisce
al
primo
entrare
del
secolo
susseguente
:
qui
sembra
il
dialetto
nascondersi
affatto
,
ma
lo
stile
duro
e
faticato
ha
proprio
l
aspetto
d
'
un
nuovo
e
non
sempre
felice
sforzo
che
l
'
autore
fece
usando
una
lingua
che
tutti
leggessero
.
Questa
,
e
l
'
istoria
napoletana
di
Pandolfo
Collenuccio
da
Pesaro
credo
sieno
i
primi
libri
dove
il
toscano
fosse
cercato
da
scrittori
non
toscani
:
il
Corio
di
molto
sopravanzò
l
'
altro
per
la
materia
,
ma
il
Pesarese
più
franco
e
sicuro
in
quanto
alla
lingua
,
scrive
anche
in
modo
assai
più
scorrevole
.
Generalmente
gli
uomini
più
meridionali
e
su
su
venendo
quelli
della
sponda
dell
'
Adriatico
,
si
erano
prima
fidati
più
degli
altri
al
natio
dialetto
così
da
usarlo
anche
nello
scrivere
.
I
Veneziani
,
etruschi
d
'
origine
,
come
hanno
dialetto
meno
degli
altri
discordante
,
così
lo
usarono
sebbene
con
qualche
temperamento
sino
al
finire
della
repubblica
nelle
arringhe
che
si
facevano
in
Senato
o
nella
sala
del
Gran
Consiglio
,
tanto
che
v
'
era
un
'
eloquenza
in
veneziano
,
quale
non
credo
che
fosse
nemmeno
in
Firenze
dove
il
Gran
Consiglio
durò
poco
e
prima
era
scarso
l
uso
del
parlare
in
modo
solenne
.
La
vita
e
la
lingua
qui
erano
nel
popolo
,
da
cui
venivano
come
a
scuola
gli
scrittori
quando
al
principio
del
cinquecento
l
'
urto
straniero
ci
ebbe
insegnato
a
rendere
cose
quanto
si
poteva
nazionali
,
la
vita
almeno
civile
e
la
lingua
.
Pochi
anni
prima
di
quel
tempo
Fra
Girolamo
Savonarola
venuto
giovane
da
Ferrara
dove
il
parlare
aveva
qualcosa
del
veneto
,
cominciò
in
Firenze
a
predicare
.
«
Da
principio
diceva
ti
e
mi
,
di
che
gli
altri
Frati
si
ridevano
»
(
Cambi
,
Storia
di
Firenze
,
anno
1498;
sta
nelle
Delizie
,
ecc
.
del
P
.
Ildefonso
)
.
Divenne
poi
grande
oratore
avendo
appreso
qui
la
correttezza
e
la
proprietà
della
favella
,
senza
mai
troppo
cercare
addentro
nell
'
uso
più
familiare
di
questo
popolo
Fiorentino
.
Dal
quale
poi
trasse
non
poco
un
altro
Ferrarese
,
l
'
Ariosto
,
ma
con
quel
fino
e
squisito
gusto
ch
'
era
a
lui
proprio
;
e
se
io
dovessi
dire
quali
autori
allora
o
poi
meglio
adoprassero
nelle
scritture
quell
'
idioma
che
solo
era
degno
di
essere
nazionale
,
porrei
senza
fallo
il
nome
dell
'
Ariosto
accanto
a
quelli
di
due
Toscani
,
che
sono
il
Berni
ed
il
Machiavelli
.
Lo
scrivere
andante
si
poteva
bene
imparare
anche
da
due
poeti
come
questi
,
perciò
infine
la
lingua
della
poesia
viene
dalla
lingua
della
prosa
,
di
cui
non
è
altro
che
un
uso
più
libero
.
Cosi
alla
fine
questo
volgare
che
aveva
data
ne
'
suoi
primordii
una
promessa
poco
attenuta
,
che
fu
negletto
per
oltre
un
secolo
,
o
rinnegato
da
chi
teneva
il
latino
essere
tuttavia
l
'
idioma
illustre
della
nazione
,
questo
volgare
divenne
allora
quel
che
non
era
ma
prima
stato
,
lingua
italiana
.
A
questo
effetto
andavano
tutte
insieme
le
cose
allora
in
Italia
:
già
la
coltura
diffondendosi
agguagliava
presso
a
poco
l
intera
nazione
ad
un
comune
livello
,
intantoché
le
armi
forestiere
distruggevano
in
un
con
le
forze
provinciali
e
cittadine
quanto
nei
piccoli
Stati
soleva
in
antico
essere
di
splendore
e
di
bellezza
;
l
'
idea
,
nazionale
che
allora
spuntava
cominciò
a
farsi
strada
nella
lingua
.
Ma
era
troppo
tardi
:
gli
ingegni
fiorivano
,
le
lettere
e
le
arti
toccavano
il
colmo
,
l
Italia
insegnava
alle
altre
nazioni
fino
alle
eleganze
e
alle
corruttele
della
vita
;
possedeva
una
esperienza
accumulata
d
uomini
e
di
cose
tale
che
una
piccola
città
italiana
aveva
in
corso
più
idee
che
non
fossero
allora
in
tutto
il
resto
d
'
Europa
;
di
scienza
politica
ve
n
'
era
anche
troppa
.
Ma
quando
poi
sopravvennero
i
tempi
duri
,
questo
tanto
sfoggiare
d
'
ingegni
non
approdò
a
nulla
,
perché
le
volontà
in
Italia
,
erano
o
guaste
o
consumate
dall
'
abuso
,
o
vôlte
a
male
.
Quegli
anni
che
diedero
i
grandi
scrittori
passarono
in
mezzo
a
guerre
straniere
dove
gli
Italiani
da
sé
nulla
fecero
,
nulla
impedirono
;
e
come
ne
uscisse
acconcia
l
'
Italia
non
occorre
dire
.
Dopo
le
guerre
o
dopo
i
primi
trent
'
anni
del
cinquecento
,
erano
i
tempi
ed
il
pensare
ed
il
sentire
di
questa
nazione
tanto
mutati
da
mostrare
il
vuoto
che
era
sotto
a
quella
civiltà
splendida
ma
incompiuta
;
da
quelli
anni
in
poi
calava
il
nostro
valore
specifico
(
se
dirlo
sia
lecito
)
,
e
il
nostro
livello
a
petto
alle
altre
nazioni
d
'
Europa
venne
a
discendere
ogni
giorno
.
Mancò
nel
pensiero
,
perché
era
mancato
prima
nella
vita
,
l
'
incitamento
ad
ogni
cosa
che
non
fosse
chiusa
dentro
ad
un
cerchio
molto
angusto
;
manco
la
fiducia
che
all
uomo
deriva
dall
aperto
consentire
insieme
di
molti
:
v
'
era
in
Italia
poco
da
fare
.
Né
ai
tanti
padroni
che
aveva
essa
dentro
andava
,
a
genio
che
si
facesse
,
ma
già
la
stanchezza
o
una
mala
sorta
d
'
incuranza
disperata
menavano
all
'
ozio
,
interrotto
solamente
da
quelle
passioni
che
non
hanno
scusa
nemmen
dal
motivo
;
la
conversazione
tra
gente
svogliata
o
avvilita
o
malcontenta
non
pigliava
vigore
né
ampiezza
dai
gravi
argomenti
;
i
libri
meno
che
per
l
innanzi
andavano
al
fondo
nelle
cose
della
vita
:
dice
il
Fornari
molto
bene
che
«
tra
'
letterati
e
lettori
non
v
'
era
in
Italia
quella
comunicazione
intima
e
piena
»
per
cui
la
vita
,
la
lingua
,
le
lettere
tra
loro
s
'
ajutano
.
Noi
crediamo
che
nei
libri
qualcosa
debba
essere
che
sia
imparata
fuori
dei
libri
,
perché
altrimenti
lo
scrivere
viene
quasi
a
pigliare
la
forma
d
'
un
gergo
necessariamente
arido
e
meno
efficace
,
da
cui
s
'
aliena
,
il
comune
dei
lettori
.
Ciò
avvenne
bentosto
in
Italia
,
e
fu
in
quel
tempo
quando
la
lingua
più
si
voleva
rendere
universale
e
n
'
era
essa
stessa
,
divenuta
più
capace
avendo
perdute
allora
le
asprezze
d
'
un
uso
ristretto
,
e
nel
diffondersi
la
coltura
avendo
acquistato
migliore
esercizio
nelle
arti
della
composizione
.
Ma
giusto
in
quel
tempo
questa
lingua
per
certi
rispetti
più
accuratamente
scritta
,
fu
meno
parlata
;
e
la
parola
meno
di
prima
fu
espressione
di
forti
pensieri
ed
autorevoli
e
accetti
a
molti
:
vennero
fuori
i
letterati
,
sparve
il
cittadino
;
scrivea
per
il
pubblico
chi
nella
,
vita
non
era
avvezzo
parlare
ad
altri
che
alla
sua
combriccola
:
quindi
l
'
eloquenza
cercò
appropriarsi
all
'
uso
delle
accademie
le
quali
erano
una
sorta
di
sparse
chiesuole
.
Mancò
alla
lingua
,
un
centro
comune
perché
mancava
alla
nazione
:
ne
avevano
entrambe
lo
stesso
bisogno
che
appunto
allora
cominciò
ad
essere
più
sentito
,
sebbene
in
modo
confuso
ed
incerto
;
nulla
si
poteva
quanto
alla
nazione
,
rimedii
alla
lingua
si
cercavano
in
più
modi
,
varii
,
discordanti
e
quasi
a
tentone
.
Un
snodo
semplice
vi
sarebbe
stato
,
ed
era
l
'
attingere
copiosamente
da
quel
dialetto
ch
'
era
il
più
finito
;
ma
questo
invece
di
tenere
sugli
altri
l
'
impero
,
vedeva
in
quel
tempo
scadere
non
poco
o
farsi
dubbia
,
l
'
autorità
sua
.
Al
solo
pregio
della
lingua
molti
sdegnavano
ubbidire
:
condizioni
tutte
differenti
sarebbonsi
allora
volute
in
Italia
perché
tante
voci
,
tante
locuzioni
,
tante
figure
con
l
acquistare
sanzione
solenne
potessero
farsi
moneta
corrente
pel
comune
uso
degli
scrittori
.
Avrebbe
la
sede
naturale
della
lingua
dovuto
almeno
stare
in
alto
cosicché
tutte
le
parti
d
'
Italia
a
quella
guardassero
,
e
che
al
toscano
fossero
toccate
lo
condizioni
dell
'
idioma
parigino
;
«
perché
il
toscano
(
dice
il
Manzoni
da
pari
suo
)
faceva
dei
discepoli
fuori
dei
suoi
confini
,
il
francese
si
creava
dei
sudditi
;
quello
era
offerto
,
questo
veniva
imposto
»
.
A
questo
modo
solamente
potea
l
'
ossequio
delle
altre
provincie
essere
necessario
o
inavvertito
,
perché
non
venissero
tra
'
letterati
a
sorgere
le
contese
che
nate
una
volta
non
hanno
mai
fine
.
Se
(
come
fu
detto
)
lo
stile
è
l
'
uomo
,
la
lingua
può
dirsi
che
sia
la
nazione
:
quindi
all
'
esservi
una
linguaggio
bisognava
,
ci
fosse
una
Italia
,
né
altrimenti
poteva
cessare
l
'
eterna
lagnanza
che
il
linguaggio
scritto
si
allontanasse
troppo
dai
modi
che
si
adoprano
favellando
;
né
bene
potesse
fare
sue
le
grazie
e
gli
ardimenti
del
volgar
nostro
,
il
quale
da
molti
ignorato
ebbe
anche
taccia
,
di
abbietto
e
triviale
(
Alcune
parole
di
questo
discorso
erano
scritte
fino
dal
1826
,
e
sono
stampate
negli
Atti
dell
Accademia
della
Crusca
)
.
Cotesta
accusa
molto
antica
tutti
parevano
confermare
contro
alla
povera
nostra
lingua
,
che
ci
avea
colpa
meno
di
tutti
.
Poco
badando
all
uso
vivo
,
nelle
scuole
di
lettere
insegnavano
per
tutta
Italia
dopo
ai
latini
quei
pochi
autori
toscani
che
allora
fossero
conosciuti
,
cercando
alla
meglio
di
mettere
insieme
su
questi
esemplari
una
sorta
di
linguaggio
comune
che
fosse
atto
alle
scritture
.
Un
letterato
molta
solenne
,
Gian
Giorgio
Trissino
da
Vicenza
,
poneva
in
credito
il
linguaggio
illustre
con
la
versione
da
lui
fatta
del
libro
De
Vulgari
Eloquio
;
Baldassarre
Castiglione
mantovano
,
uomo
e
scrittore
di
bella
fama
,
sebbene
dichiari
la
lingua
essere
una
consuetudine
,
biasima
l
'
andare
sulle
pedate
dei
toscani
sia
vecchi
,
sia
nuovi
:
sentenziò
il
Bembo
che
l
'
antica
lingua
stava
nel
Boccaccio
,
di
cui
gli
piacevano
le
grandi
cadenze
;
tutti
i
chiarissimi
dell
'
Italia
,
per
ben
tre
secoli
dopo
lui
accettarono
la
sentenza
.
Ma
della
comune
popolare
come
in
Firenze
si
parlava
e
si
scriveva
,
niuno
voleva
sapere
:
negli
anni
stessi
del
Bembo
,
cioè
verso
il
1530
,
Marino
Sanudo
scriveva
in
una
lettera
stampata
«
che
Leonardo
Aretino
trasse
(
l
'
Istoria
di
Firenze
)
da
un
Giovanni
Villani
il
quale
scrisse
in
lingua
rozza
,
toscana
»
(
Estratti
del
sig
.
Rawdon
Brown
,
Tomo
III
,
p
.
318
)
.
Il
Bembo
era
il
solo
autore
vivente
di
cui
s
'
innalzasse
non
contestata
l
autorità
:
basta
ciò
solo
a
dimostrare
come
si
vivesse
in
fatto
di
lettere
,
quando
gli
Spagnuoli
furono
rimasti
padroni
d
'
Italia
.
Al
Machiavelli
nella
sua
patri
istessa
nuoceva
la
vita
,
gli
nocque
più
tardi
,
quanto
al
numero
dei
lettori
,
l
'
essere
all
'
Indice
;
l
'
Istoria
,
del
Guicciardini
fu
lasciata
,
stampare
,
ed
anche
mutilata
,
solamente
nel
1561
,
due
anni
dopo
a
che
l
'
Italia
per
grande
accordo
tra
'
potentati
si
può
dire
fosse
bello
e
sotterrata
,
e
quando
la
voce
degli
italiani
ormai
più
non
faceva
,
paura
a
nessuno
(
Nel
1559
il
Trattato
di
Castel
Cambrese
aveva
finito
le
guerre
d
Italia
;
ma
in
quell
anno
stesso
dal
piè
delle
Alpi
si
preparava
il
1859
,
tre
secoli
tondi
e
date
che
importano
la
storia
della
lingua
)
.
Frattanto
era
disputa
più
volte
rinnovata
se
si
dovesse
dire
lingua
italiana
o
toscana
o
fiorentina
:
chi
affermava
la
lingua
essere
in
Firenze
facea
nondimeno
poca
stima
degli
autori
che
ivi
nascessero
;
in
certe
parole
recate
dal
Bembo
si
va
fino
a
dire
che
«
a
scrivere
bene
la
lingua
italiana
,
meglio
è
non
essere
fiorentino
»
.
E
in
questa
medesima
città
noi
vedemmo
quante
incuranze
o
quanti
dispregi
soffrisse
la
lingua
nei
più
eminenti
tra
'
suoi
cultori
:
la
Divina
Commedia
non
vi
ebbe
più
quasi
edizioni
,
e
verso
il
1520
certi
maestri
di
scuola
vietavano
agli
scolari
leggere
il
Petrarca
.
Questa
ed
altre
cose
che
stanno
a
dimostrare
la
confusione
dominante
tra
'
letterati
sono
a
disteso
esposte
in
un
libro
di
qualche
pregio
e
di
molta
noja
che
ha
per
titolo
l
'
Ercolano
;
autore
di
esso
fu
Benedetto
Varchi
il
quale
pel
vario
ingegno
non
ebbe
chi
lo
agguagliasse
dentro
a
quella
età
che
scendeva
.
In
quel
medesimo
suo
libro
si
vede
come
allora
molto
dominassero
i
grammatici
ai
quali
avviene
quel
che
ai
fisiologi
,
perché
entrambi
avvezzi
a
tenere
fermo
il
pensiero
sopra
le
minute
particelle
delle
cose
,
riescono
spesso
corti
o
disadatti
a
quelli
studj
più
comprensivi
che
bene
in
antico
nella
loro
massima
estensione
ebbero
nome
di
umanità
.
Consente
il
Varchi
prudenzialmente
al
Bembo
:
ma
solo
nelle
apparenze
;
confessa
la
lingua
in
Firenze
essere
trascurata
,
ma
vuole
si
cerchi
nel
fondo
dell
'
uso
,
mettendo
egli
fuori
per
via
,
d
'
esempi
gran
copia
di
voci
e
soprattutto
di
locuzioni
familiari
,
dovizie
nascoste
da
farne
a
chi
scrive
ricco
patrimonio
(
Varchi
,
Ercolano
,
Padova
,
1744
,
in
4°
,
pag
.
84
e
segg
.
357
e
segg
.
446
e
segg
.
508
e
in
molti
luoghi
)
.
In
questo
avrebbe
egli
dato
nel
segno
,
né
vi
è
anch
'
oggi
da
fare
di
meglio
,
tantoché
sarebbe
alla
unità
della
lingua
mezzo
utilissimo
un
Vocabolario
com
'
è
proposto
dal
Manzoni
.
Ma
il
guajo
stava
in
ciò
che
non
erano
i
più
di
quei
modi
entrati
abbastanza
nell
'
uso
comune
;
molti
erano
figure
che
un
tempo
ebbero
qualche
voga
,
capricci
d
'
un
popolo
arguto
e
faceto
,
e
spesso
allusioni
a
cose
locali
:
cotesti
Firenze
non
avea
diritto
d
'
imporre
all
'
Italia
.
Inoltre
non
era
,
più
questo
popolo
quello
che
aveva
creato
una
lingua
educatrice
di
tanti
ingegni
;
meno
operando
inventava
meno
,
e
fatto
più
inerte
anche
nell
'
animo
,
i
suoi
discorsi
andavano
spesso
a
cose
da
ridere
.
I
letterati
seguendo
in
queste
nuove
condizioni
l
'
antico
genio
popolare
e
avendo
qui
molto
in
uggia
il
sussiego
recato
dagli
Spagnuoli
,
si
dilettavano
oltre
al
giusto
di
certe
bassezze
da
essi
chiamalo
grazie
della
lingua
:
così
tra
le
bassezze
e
nobiltà
false
viveano
le
lettere
poi
tutto
quel
secolo
.
Ma
dentro
a
quegli
anni
nacque
Galileo
.
Le
scienze
matematiche
e
le
fisiche
hanno
questo
,
che
l
'
uomo
le
pensa
dentro
a
se
medesimo
,
si
tengono
fuori
dal
corso
vivo
degli
umani
eventi
,
e
vanno
da
sé
per
la
via
loro
qualunque
si
sieno
le
cose
all
'
intorno
.
Galileo
che
pure
in
mezzo
all
'
sperimentare
minuto
e
sottile
teneva
lo
sguardo
volto
all
'
universo
,
portò
nella
fisica
,
l
'
ampiezza
d
'
una
filosofia
,
degna
li
questo
nome
,
e
fu
in
secolo
di
decadenza
,
scrittore
sommo
,
perché
al
bell
'
ordine
del
discorso
unisce
la
copia
e
una
dignitosa
naturalezza
.
Continuava
da
cento
anni
in
Firenze
la
scuola
fondata
da
Galileo
e
di
sé
lasciava
traccie
indelebili
nelle
scienze
fisiche
;
da
quella
uscirono
anche
uomini
dotti
nelle
razionali
,
e
assai
le
lettere
se
ne
avvantaggiarono
nella
seconda
metà
del
seicento
.
Ma
quando
la
lingua
,
o
le
idee
francesi
predominarono
e
quando
poi
gli
eccitamenti
nuovi
destarono
gli
animi
degli
Italiani
a
cercare
almeno
in
fatto
di
lingua
l
'
unione
vietata
,
la
Toscana
sofferse
rimproveri
dalle
altre
provincie
quasi
ella
fosse
gelosa
,
ma
inutile
custoditrice
di
quel
tesoro
che
aveva
in
casa
ma
non
lo
adoprava
.
Più
grave
è
fatto
il
nostro
debito
ora
in
tempi
di
sorti
mutate
,
di
sorti
maggiori
ma
più
difficili
a
portare
;
noi
siamo
venuti
ad
esse
non
preparati
,
e
s
'
io
dovessi
quanto
alle
future
condizioni
della
lingua
fare
un
pronostico
,
direi
senz
'
altro
:
la
lingua
in
Italia
sarà
quello
che
sapranno
essere
gli
Italiani
.
StampaPeriodica ,
Non
ci
siamo
lasciati
senza
rammarico
;
lo
vidi
nascere
quel
Fanfulla
della
Domenica
e
mi
costò
,
nei
suoi
primi
giorni
specialmente
,
ogni
maniera
di
fatiche
e
di
angoscie
.
S
'
era
di
luglio
:
la
mia
Valdinievole
,
sorridente
tra
il
verde
delle
pinete
,
inaugurava
il
monumento
del
Giusti
e
me
aveva
prescelto
a
ricevere
le
deputazioni
,
a
sorvegliare
l
'
imbandigione
delle
tavole
e
a
dar
l
'
aire
ai
fuochi
d
'
artifizio
.
Forse
parve
alla
gente
che
io
compiessi
gli
uffici
o
solenni
o
modesti
con
assai
dignità
:
e
non
ero
che
un
uomo
scombussolato
;
pensavo
che
il
futuro
giornale
sarebbe
stato
il
Fanfulla
del
martedì
o
del
mercoledì
,
ma
della
domenica
no
di
certo
:
perché
nessuno
aveva
scritto
una
riga
,
ed
io
non
potevo
mandare
in
luce
il
foglio
,
candido
come
le
nevi
alpine
,
o
come
i
sogni
di
una
adolescente
.
Paragoni
che
non
erano
nuovi
lo
so
:
ma
chi
aveva
tempo
in
quel
brusio
,
in
quell
'
assillo
di
cercarne
dei
più
originali
?
E
poi
non
si
trattava
mica
di
stamparli
nel
primo
numero
!
...
La
sorella
del
poeta
morta
a
70
anni
giorni
or
sono
,
ultima
della
famiglia
non
si
sapeva
capacitare
che
ci
fossero
musi
lunghi
quando
la
presidenza
della
Camera
e
i
Lincei
si
muovevano
a
posta
da
Roma
per
fare
omaggio
alla
memoria
del
suo
Geppino
;
i
Lincei
segnatamente
le
avevano
ferito
la
fantasia
.
Vedendomi
pensieroso
a
quel
modo
mi
domandava
ogni
poco
colla
voce
lenta
e
sottile
:
Che
fa
?
È
stanco
?
Lo
credo
,
dopo
tutto
quello
che
ha
fatto
!
Ed
era
invece
il
non
aver
fatto
,
ciò
che
mi
impensieriva
!
Buona
signora
Ildegarde
!
Mi
sia
lecito
rammentarla
qui
col
rispetto
che
meritò
,
colla
affettuosa
melanconia
onde
ricordo
ogni
cosa
di
quel
tempo
pieno
di
trepidazioni
che
or
si
rinnovano
.
Parlando
di
lei
qui
,
mentre
son
calde
ancora
le
ceneri
sue
,
mi
par
quasi
di
invocare
il
patrocinio
del
suo
illustre
congiunto
sopra
queste
pagine
;
e
mi
dà
nuovi
vigori
il
desiderio
di
non
far
scomparire
per
me
quel
paesello
che
ci
fu
patria
comune
,
e
alla
cui
solitudine
tanto
più
vanamente
oggi
sospiro
quanto
più
cresce
il
dovere
e
la
necessità
del
lavoro
.
Era
una
donna
semplice
,
assai
più
meravigliata
che
persuasa
della
gloria
che
aveva
a
un
tratto
circondato
il
suo
nome
:
della
madre
,
bella
così
che
discorrendo
di
lei
i
pochi
decrepiti
i
quali
la
videro
mezzo
secolo
fa
si
accendono
ancora
di
fiamme
quasi
giovanili
,
non
aveva
né
l
'
ingegno
acuto
né
le
forme
opulente
;
mingherlina
,
asciutta
,
tirava
,
nel
fisico
,
dal
padre
:
ma
tanto
rimessa
e
pacifica
quant
'
egli
disinvolto
e
irrequieto
:
culto
,
scettico
,
arguto
:
peccatore
impenitente
sino
all
'
ultimo
,
ripicchiato
,
vago
di
gingilli
e
di
mode
,
che
morendo
lasciò
nel
guardaroba
centododici
paia
di
pantaloni
!
Ma
torniamo
al
giornale
.
Enrico
Panzacchi
aveva
promesso
due
cose
:
leggere
il
discorso
inaugurale
a
piè
della
statua
e
scrivere
un
articolo
per
il
giornale
nascituro
.
Capitò
all
'
alba
in
frac
e
cravatta
bianca
,
ricusò
una
tazza
di
caffè
e
chiese
una
penna
:
all
'
articolo
non
aveva
neppure
pensato
,
del
discorso
aveva
scritto
due
pagine
a
mala
pena
.
E
lì
nella
stanza
del
Sindaco
,
non
visitata
sino
a
quel
giorno
dalle
vergini
Muse
,
improvvisò
quello
studio
critico
che
avete
letto
(
No
?
leggetelo
e
ve
ne
troverete
bene
)
nel
volume
delle
Teste
quadre
.
La
orazione
parve
breve
a
tutti
,
a
me
eterna
;
avrei
voluto
che
l
'
amico
si
sbrigasse
;
due
periodi
più
,
due
meno
la
fama
del
Giusti
rimaneva
tal
quale
,
ma
senza
la
prosa
del
Panzacchi
il
giornale
non
veniva
alla
luce
.
Uscì
,
come
Dio
volle
,
e
le
angustie
si
fecero
anche
più
dure
.
Primo
,
ineffabile
strazio
i
consigli
.
Peuh
!
ammoniva
un
avvocato
semi
-
illustre
,
tra
una
sonata
e
l
'
altra
della
banda
municipale
in
piazza
Colonna
.
Peuh
!
Tentativi
,
nobili
tentativi
,
ma
tentativi
.
Conati
.
Il
mondo
,
caro
Martini
,
non
legge
più
;
ha
troppo
da
fare
.
Capisco
:
il
vostro
non
è
un
libro
,
è
un
giornale
,
ma
fa
lo
stesso
.
Oh
!
Ci
sarebbe
,
sicuro
,
da
farlo
un
giornale
;
ma
niente
letteratura
;
un
giornale
finanziario
a
un
soldo
;
s
'
incassano
50,000
lire
di
annunzi
per
anno
.
Piglio
io
l
'
appalto
.
Conati
,
amico
mio
.
Generosi
,
non
lo
nego
:
ma
conati
.
E
poi
,
chi
scriverà
?
Gli
italiani
son
pigri
.
Basta
,
provate
.
Cercate
i
migliori
,
e
forse
...
Associatevi
,
associatevi
,
date
retta
a
me
:
l
'
associazione
è
la
gran
forza
del
mondo
moderno
.
Cerea
.
Non
ho
mai
capito
perché
,
a
dare
il
buon
esempio
,
non
si
associava
lui
per
il
primo
.
Poi
veniva
il
giornalista
provetto
che
conosce
il
suo
pubblico
:
si
piantava
innanzi
a
me
,
colle
lenti
sul
naso
,
le
mani
in
tasca
e
alzava
la
testa
e
torceva
le
pupille
come
uno
strabico
per
darsi
il
gusto
,
lui
più
piccolo
,
di
guardarmi
dall
'
alto
in
basso
.
Amico
mio
,
quello
è
un
giornale
che
ti
muore
in
mano
fra
un
mese
.
Un
articolo
sul
Beccaria
?
Ma
ci
hai
pensato
?
Sul
Beccaria
?
Ma
come
si
fa
a
scovare
il
Beccaria
?
Neanche
a
farlo
apposta
.
E
poi
tre
colonne
e
mezzo
!
Io
,
lo
sai
,
son
vecchio
di
queste
cose
:
i
giornali
si
fanno
col
metro
.
«
Lei
mi
farà
trentacinque
centimetri
d
'
articolo
»
:
se
no
,
il
pubblico
non
legge
.
E
fa
'
metter
de
'
cartelloni
,
santo
Dio
!
sulle
cantonate
!
Pare
un
giornale
clandestino
.
E
nomi
,
nomi
,
nomi
.
E
articoli
brevi
,
e
roba
leggera
,
commovente
.
Pensa
alle
donne
e
il
Beccaria
lascialo
in
santa
pace
.
Quattro
cose
,
tienlo
bene
a
mente
:
le
donne
,
i
nomi
,
i
cartelloni
e
il
metro
.
Tò
!
un
endecasillabo
Le
donne
,
i
cavalier
,
l
'
armi
e
gli
amori
.
Ciao
.
Dopo
queste
due
cavatine
,
il
coro
.
Il
giornale
era
uggioso
,
era
peso
,
era
insopportabile
.
Non
si
adoperava
in
Italia
che
una
sola
forma
di
maledizione
:
che
tu
possa
leggere
il
Fanfulla
della
Domenica
!
Chi
ci
voleva
una
cosa
,
chi
un
'
altra
:
i
più
l
'
attualità
.
«
Non
muore
nessuno
,
non
muore
nessuno
»
smaniava
ogni
giorno
uno
dei
compilatori
invocando
l
'
attualità
dalla
biografia
d
'
un
illustre
defunto
.
Il
grand
'
uomo
non
si
risolse
a
morire
in
quel
subito
,
per
far
piacere
all
'
amico
:
ma
il
giornale
visse
.
Vita
,
mi
sia
conceduto
affermarlo
,
non
inonorata
né
inutile
.
Ed
oggi
,
daccapo
;
daccapo
cogli
stessi
intenti
,
colla
stessa
energia
,
colla
stessa
schiettezza
:
daccapo
quali
che
sieno
gl
'
impedimenti
che
ci
si
frappongano
o
la
sorte
che
ci
si
prepari
.
Già
,
la
sorte
di
noi
che
ci
affatichiamo
in
questa
tormentosa
opera
del
giornalismo
,
vuoi
politico
,
vuoi
letterario
,
è
una
sola
.
Dopo
aver
lavorato
ogni
giorno
e
nutriti
gli
altri
de
'
propri
studi
e
svagatili
colle
proprie
fantasie
,
ed
esserci
stillati
il
cervello
a
contentare
gli
incontentabili
;
dopo
aver
sofferto
le
calunnie
de
'
malvagi
e
i
dileggi
degli
sciolti
e
costretto
noi
stessi
a
serbare
nelle
pubbliche
polemiche
quella
pacatezza
di
cui
ci
saremmo
volentieri
liberati
nel
disputare
a
quattr
'
occhi
;
e
misurati
gli
atti
propri
e
le
proprie
parole
In
verbis
etiam
tenuis
cautusque
serendis
,
che
ci
resta
di
tanti
sopraccapi
,
di
così
assidua
fatica
,
di
così
difficile
pazienza
?
Uditeli
i
lamenti
di
quanti
più
famosi
salirono
ai
massimi
gradi
di
quest
'
arte
effimera
del
giornale
,
rumore
d
'
un
giorno
,
potenza
d
'
un
momento
.
Chi
tocca
più
,
se
non
forse
i
custodi
delle
biblioteche
per
spolverarli
ogni
tanto
,
i
settanta
volumi
delle
Nouvelles
de
la
Republique
des
lettres
?
E
Pietro
Bayle
fu
de
'
giornalisti
il
primo
e
il
più
grande
!
Quel
pezzo
di
foglio
sciagattato
,
stracciato
,
strascicato
per
le
tavole
dei
caffè
,
macchiato
di
birra
e
di
vino
,
ecco
l
'
opera
mia
e
la
mia
vita
e
la
mia
anima
e
il
mio
ingegno
,
e
le
lezioni
de
'
miei
maestri
,
il
mio
zelo
,
la
mia
ambizione
,
la
mia
fortuna
hic
jacent
.
E
gli
altri
scritti
più
gravi
muoiono
,
lo
so
;
ma
il
non
omnis
moriar
o
il
plaudite
cives
sono
felici
speranze
di
chi
compie
il
libro
o
dà
al
dramma
l
'
ultima
mano
;
inganno
non
consentito
a
noi
che
istilliamo
nell
'
opera
nostra
giorno
per
giorno
il
germe
dell
'
oblio
.
Giornalisti
e
trappisti
,
uno
stesso
ammonimento
e
una
stessa
divisa
:
fratelli
,
bisogna
morire
.
E
nondimeno
chi
entrò
in
questa
via
non
se
ne
ritrarrà
se
non
quando
abbia
logora
la
salute
e
infrante
le
membra
.
Chi
ha
la
testa
alle
melanconie
il
dì
de
'
conforti
?
E
bisogna
aver
fatto
un
giornale
dubitando
delle
sorti
sue
e
della
sua
vita
,
per
sapere
che
conforto
sieno
l
'
aiuto
e
la
simpatia
de
'
migliori
.
Bisogna
aver
annunziato
il
Fanfulla
della
Domenica
senza
un
'
ombra
di
manoscritto
per
capire
che
cosa
portassero
con
sé
,
quando
giunsero
,
uno
scritto
del
Carducci
,
una
novella
del
Guerrini
,
e
gli
articoli
del
Bartoli
,
del
Nencioni
,
del
Chiarini
,
del
De
Zerbi
,
degli
altri
che
allora
mi
soccorsero
ed
oggi
mi
seguono
;
bisogna
aver
sfogliato
,
trepido
,
tutta
quanta
la
raccolta
di
un
giornale
compilato
per
quattro
anni
con
amore
operoso
,
per
sapere
che
beato
orgoglio
si
senta
nel
ripetere
sicuri
a
se
stessi
:
posso
avere
sbagliato
,
ma
non
ho
mentito
mai
.
L
'
animo
s
'
invigorisce
,
le
forze
s
'
accrescono
preparate
ad
ogni
traversia
,
disposte
a
ogni
prova
più
ardua
:
e
ci
si
sente
il
coraggio
di
presentarsi
di
nuovo
ai
lettori
culti
ed
onesti
,
di
chieder
loro
anche
una
volta
la
confidenza
,
necessaria
perché
non
sia
inefficace
l
'
opera
che
continuiamo
e
a
cui
ci
consacriamo
risoluti
ed
interi
.
Roma
,
4
febbraio
1882
.
StampaPeriodica ,
Una
volta
si
diceva
:
«
i
Goncourt
»
,
né
l
'
un
fratello
si
distingueva
dall
'
altro
;
le
loro
opere
andavano
innanzi
al
pubblico
,
le
loro
lettere
pervenivano
agli
amici
firmate
con
ambedue
i
nomi
,
Giulio
ed
Edmondo
;
tracciavano
insieme
il
piano
de
'
loro
lavori
,
poi
ci
pensavano
ognun
da
sé
,
scrivevano
ciascuno
per
conto
proprio
:
ma
dalla
consuetudine
degli
studi
comuni
,
dalla
convivenza
non
interrotta
,
tale
era
uscita
una
conformità
intellettuale
e
morale
che
non
di
rado
l
'
uno
e
l
'
altro
,
rispetto
a
un
istesso
argomento
,
sentivano
e
scrivevano
ad
un
modo
.
Frutti
di
questo
doppio
e
pur
simile
lavoro
diuturno
furono
Germinie
Lacerteux
,
Manette
Salomon
,
Renée
Mauperin
,
de
'
più
notevoli
romanzi
di
questo
tempo
,
e
l
'
Henriette
Marechal
,
audacissimo
dramma
,
caduto
all
'
Odeon
tra
'
fischi
della
masnada
guidata
da
un
oscuro
abitatore
del
quartier
latino
,
avvocato
senza
clienti
,
il
Gambetta
;
non
perché
il
dramma
gli
paresse
cattivo
,
ma
perché
gli
autori
andavano
in
casa
della
Principessa
Matilde
.
La
recente
caduta
di
lui
non
ebbe
forse
causa
diversa
:
alla
più
parte
di
coloro
che
gli
si
scandagliarono
contro
non
parve
forse
il
suo
governo
peggiore
d
'
un
altro
:
intollerabile
bensì
ch
'
egli
preferisse
le
nuove
sale
lucenti
del
Palazzo
Borbone
ai
biliardi
affumicati
del
Caffè
di
Madrid
!
Un
giorno
,
saranno
dodici
anni
fra
poco
,
quella
feconda
comunione
fu
spezzata
ad
un
tratto
.
Il
più
giovine
de
'
fratelli
,
Giulio
,
morì
:
morì
della
malattia
della
quale
morremo
noi
tutti
,
qualunque
sia
l
'
occasione
ch
'
essa
scelga
a
percuoterci
,
qualunque
sia
il
nome
onde
la
battezzino
i
medici
:
morì
per
la
perpetua
tensione
dello
spirito
,
per
lo
sforzo
senza
riposo
,
per
la
fatica
del
maneggiare
la
penna
,
assai
più
grave
arnese
a
chi
l
'
ha
sempre
fra
mano
che
la
marra
o
la
vanga
.
Quel
giorno
anche
Teofilo
Gautier
il
quale
aveva
insegnato
colla
parola
e
coll
'
esempio
che
bisogna
serbare
il
pudore
della
commozione
pianse
in
pubblico
dietro
al
feretro
,
dal
villino
d
'
Auteil
al
cimitero
di
Montmartre
:
pianse
un
amico
morto
giovane
e
due
baldi
intelletti
perduti
.
Due
;
e
il
vaticinio
si
avverò
:
i
libri
pubblicati
da
Edmondo
dopo
quel
tempo
son
difatti
libri
incompiuti
:
la
Fille
Eliza
,
i
Frères
Zemganno
,
questa
stessa
Faustin
appaiono
quasi
materiali
aspettanti
invano
chi
scelga
con
giudizio
e
disponga
con
ordine
;
libri
accozzati
,
non
discussi
.
Si
direbbe
che
,
assuefatto
ai
consigli
del
morto
,
il
superstite
reputi
quasi
irriverente
chiedere
consiglio
a
sé
stesso
intorno
all
'
opera
propria
!
O
c
'
è
forse
un
'
altra
ragione
.
Un
quindici
anni
fa
,
prima
assai
che
le
battaglie
parlamentari
chiamassero
sotto
le
bandiere
anche
me
milite
debole
e
pigro
,
accompagnai
un
amico
,
gentiluomo
di
casata
antica
,
lindo
,
elegante
,
pieno
di
delicature
,
in
un
suo
giro
elettorale
.
Che
triste
fatica
!
Gli
toccava
perorare
nelle
stalle
,
banchettare
nelle
bettole
,
baciare
sul
viso
inzavardato
i
bambini
del
collegio
,
stringere
mani
!
...
che
,
in
barba
alla
legge
,
lasciarono
certo
più
d
'
un
segno
sopra
la
scheda
.
Che
vuoi
?
mormorava
contrito
Oramai
ci
sono
,
bisogna
starci
.
La
sera
,
subito
appena
fermato
il
legno
alla
porta
di
casa
,
non
scendeva
,
schizzava
:
e
senza
ascoltare
neppure
uno
dei
molti
che
gli
s
'
affollavano
intorno
,
colle
braccia
tese
in
alto
correva
su
per
le
scale
gridando
a
squarciagola
:
sapone
,
sapone
,
sapone
!
Tale
,
secondo
me
,
il
Goncourt
.
Egli
è
dei
pochi
per
i
quali
lo
Zola
abbia
consentito
a
scerpare
una
fronda
da
quella
pianta
di
alloro
sotto
cui
si
sdraia
persuaso
.
S
'
è
oramai
rassegnato
a
eseguire
in
tutto
e
per
tutto
gli
ordini
del
maestro
;
s
'
è
imposto
di
cercare
i
documenti
umani
nei
lupanari
,
nei
circhi
,
nelle
taverne
,
nei
camerini
delle
prime
e
delle
seconde
donne
;
e
lo
fa
:
ma
il
farlo
ripugna
a
lui
uomo
elegante
,
educato
alla
castigatezza
del
linguaggio
,
assuefatto
alle
contegnose
reticenze
della
gente
per
bene
.
Sopporta
per
rifornire
l
'
archivio
delle
sue
note
il
lezzo
di
certe
alcove
,
il
tanfo
di
certi
palcoscenici
,
ma
tornato
a
casa
,
in
quella
casa
ch
'
egli
stesso
ha
descritta
,
tra
le
acque
forti
dell
'
Eisen
e
le
porcellane
di
Sèvres
,
fra
i
quadri
del
Watteau
e
i
ricami
di
Maria
Lezinska
,
non
gli
basta
l
'
animo
a
rimuginare
quella
sozza
congerie
.
Lo
nausea
quel
dovere
incastonare
in
un
dialogo
ordinato
con
laboriosa
economia
la
frase
ch
'
ei
non
pronunzierebbe
neanche
innanzi
al
suo
servitore
:
e
non
scerne
,
non
dispone
,
non
sintetizza
:
scodella
addirittura
i
suoi
taccuini
:
onde
la
mancanza
di
quella
lenta
elaborazione
che
conservando
trasforma
e
impiccolisce
il
volume
aumentando
la
massa
,
e
dalla
materia
greggia
che
è
a
disposizione
di
tutti
trae
per
il
paziente
ingegno
d
'
uno
solo
l
'
opera
d
'
arte
.
Così
può
giudicare
chi
conosce
l
'
indole
e
le
costumanze
dell
'
uomo
,
ma
può
anche
sbagliare
;
e
ad
ogni
modo
qui
dell
'
uomo
non
si
tratta
,
si
tratta
del
libro
.
Discorriamo
del
libro
.
Una
attrice
,
la
Faustin
,
s
'
innamorò
di
un
inglese
il
quale
sul
più
bello
fu
costretto
a
partire
per
l
'
Indie
.
La
Faustin
pianse
,
inconsolabile
dell
'
abbandono
:
nondimeno
accolse
le
offerte
di
un
banchiere
ricco
a
milioni
che
rovina
il
prossimo
per
sodisfare
ogni
più
bizzarro
capriccio
di
lei
.
Se
essa
chiedesse
la
luna
,
Blancheron
troverebbe
il
modo
di
comprargliela
.
Tempo
perso
:
per
far
ch
'
egli
faccia
,
a
cancellare
dalla
mente
della
Faustin
l
'
imagine
di
William
Rayne
non
ci
riesce
.
Quell
'
imagine
la
segue
fino
presso
il
dotto
solitario
che
vive
chiuso
in
una
soffitta
sei
mesi
dell
'
anno
tra
centinaia
d
'
uccelli
gorgheggianti
e
volanti
e
dov
'
ella
va
a
farsi
leggere
Euripide
in
greco
:
la
segue
fin
nella
sala
d
'
armi
dov
'
ella
entra
per
caso
e
dove
le
acri
esalazioni
di
sudore
ond
'
è
impregnata
la
stanza
le
mettono
addosso
il
prurito
di
darsi
lì
per
lì
al
maestro
di
scherma
;
la
segue
a
cena
dove
così
incantevole
le
suona
agli
orecchi
la
voce
del
giovinotto
il
quale
le
siede
accanto
,
che
ella
gli
dà
non
richiesta
,
un
appuntamento
;
e
dove
un
'
ora
dopo
si
scorda
perfino
d
'
aver
discorso
con
lui
.
E
intanto
s
'
approssima
la
recita
della
Fedra
,
prova
solenne
.
L
'
inglese
quando
si
dice
il
caso
!
torna
giusto
in
quel
punto
;
cerca
della
Faustin
,
la
ritrova
,
la
consola
,
l
'
ama
come
quando
partì
.
Ella
che
recita
la
Fedra
non
più
per
il
pubblico
ma
per
lui
,
si
palesa
naturalmente
attrice
grandissima
degna
di
succedere
alla
Duchesnois
,
alla
Clairon
,
alla
Rachel
;
così
l
'
Inghilterra
stitica
tanto
ne
'
trattati
di
commercio
dà
senza
saperlo
alla
Francia
una
gloria
di
più
.
Licenziato
con
parole
che
nel
Racine
non
si
trovano
,
il
Blancheron
non
hanno
forse
un
'
anima
i
banchieri
?
si
affoga
.
Ma
l
'
inglese
è
geloso
:
geloso
di
tutti
e
specialmente
dei
palchi
,
dei
posti
distinti
e
della
platea
:
e
l
'
attrice
all
'
apice
della
gloria
e
della
fortuna
si
ritira
dal
teatro
e
va
con
lui
a
stabilirsi
in
una
villa
presso
il
lago
di
Costanza
.
Se
i
lettori
non
lo
avessero
indovinato
,
aggiungerei
che
nelle
solitudini
di
Lindau
una
fiera
battaglia
si
combatte
tra
l
'
attrice
e
la
donna
:
quella
vogliosa
di
nuovi
trionfi
,
questa
risoluta
a
non
dare
dispiaceri
all
'
uomo
che
adora
.
L
'
attrice
passa
gl
'
interi
giorni
a
rimpiangere
:
come
passi
la
donna
le
notte
intere
il
Goncourt
dice
con
molta
crudezza
di
parole
e
precisa
abbondanza
di
particolari
.
In
una
di
quelle
notti
William
è
colto
da
una
malattia
fulminea
,
strana
,
qualificata
per
tale
anche
dal
medico
di
Lindau
,
che
nemmen
lui
l
'
ha
mai
vista
,
né
l
'
ha
mai
trovata
descritta
ne
'
libri
.
Come
è
indietro
la
scienza
!
Sebbene
amante
appassionata
di
William
,
disperata
di
salvarlo
e
desolata
di
perderlo
,
la
Faustin
non
può
dimenticarsi
d
'
essere
attrice
:
e
mentre
egli
sta
per
morire
,
ella
presso
al
letto
e
davanti
allo
specchio
osserva
ed
imita
le
contrazioni
del
muscolo
risorio
e
del
gran
zigomatico
che
danno
alla
faccia
del
moribondo
aspetti
paurosamente
grotteschi
.
Impara
l
'
arte
e
mettila
da
parte
.
L
'
altro
la
scorge
:
suona
,
raccogliendo
le
forze
estreme
,
il
campanello
,
e
al
cameriere
che
si
presenta
ordina
:
Turn
out
that
woman
.
Mandate
via
questa
donna
.
Questa
,
sceverata
dalle
sconcezze
del
dialogo
,
dagli
episodi
nauseabondi
,
è
la
tela
di
un
romanzo
ordita
,
dice
,
sui
soliti
documenti
umani
.
Dice
e
sarà
:
ma
una
delle
due
:
o
il
Goncourt
ha
visto
male
,
o
non
ha
saputo
riprodurre
ciò
che
ha
visto
.
Metto
pegno
che
se
il
libro
andasse
per
le
mani
di
centomila
lettori
,
non
uno
penserebbe
«
quella
donna
l
'
ho
conosciuta
o
ne
ho
conosciuta
una
simile
.
»
Non
tutte
le
contradizioni
di
quel
carattere
si
posson
desumere
da
questo
sunto
brevissimo
;
ma
sono
tali
e
tante
che
mancherebbe
qui
lo
spazio
ad
enumerarle
.
Il
Goncourt
avverte
più
volte
:
la
Faustin
era
una
donna
nervosa
.
Me
ne
dispiace
tanto
:
ma
la
parola
che
non
ha
nessun
preciso
significato
nella
scienza
non
basta
nell
'
arte
a
scusare
così
gran
cumulo
d
'
inverisimiglianze
.
E
fosse
pur
vera
ogni
cosa
,
ecco
il
gran
guaio
dell
'
andare
a
scegliere
i
personaggi
del
romanzo
o
del
dramma
nella
teratologia
morale
.
I
tipi
,
i
caratteri
che
durano
nell
'
epopea
,
nel
dramma
,
nel
romanzo
,
durano
perché
sono
umani
:
e
sono
umani
perché
chi
li
consideri
anche
dopo
centinaia
d
'
anni
può
dire
a
se
stesso
:
«
Sì
;
quella
figura
l
'
ho
vista
:
di
faccia
,
di
profilo
,
di
scorcio
,
poco
importa
,
ma
l
'
ho
vista
:
i
sentimenti
che
quest
'
uomo
esprime
son
quelli
stessi
che
io
ho
provati
o
osservati
in
altri
:
gli
atti
che
compie
altri
li
compié
,
ed
io
intendo
come
e
perché
li
compiesse
.
»
Sopra
tali
figure
esercitano
i
secoli
il
loro
sindacato
:
ma
qui
?
Voi
dite
:
«
tutto
è
vero
dall
'
alfa
all
'
omega
.
»
E
chi
me
lo
accerta
?
Come
è
possibile
il
raffronto
?
Oggi
lo
dite
voi
ed
io
,
per
voi
,
credo
:
ma
fra
cinquant
'
anni
quando
né
voi
né
io
saremo
più
a
questo
mondo
,
quando
all
'
opera
vostra
mancherà
il
sussidio
della
vostra
parola
,
chi
crederà
al
vostro
vantato
scrupolo
d
'
osservatore
?
E
poi
,
chi
mi
sta
garante
che
abbiate
osservato
bene
,
bene
rappresentato
il
vero
?
Avete
visto
un
feto
con
trentacinque
gambe
?
Vi
siete
sbagliato
,
caro
mio
;
mostratemelo
nello
spirito
e
vi
crederò
.
Andiamo
innanzi
.
Poiché
lo
Zola
desidera
che
i
romanzi
sieno
processi
verbali
,
nulla
più
,
nulla
meno
,
questo
del
Goncourt
gli
piacerà
.
Per
oltre
trecento
pagine
l
'
autore
narra
,
descrive
ogni
minimo
atto
de
'
suoi
personaggi
.
Or
fra
questi
atti
ve
n
'
ha
,
com
'
è
naturale
,
che
son
comuni
a
tutti
gli
uomini
e
che
non
parrebbe
necessario
di
rilevare
.
Dalla
frettolosa
trasandataggine
del
Sue
e
del
Capendu
siamo
passati
all
'
eccesso
opposto
:
questi
null
'
altro
dicevano
de
'
loro
personaggi
se
non
quanto
si
riferisse
direttamente
e
immediatamente
all
'
azione
;
il
Goncourt
e
i
compagni
suoi
vogliono
che
se
ne
sappia
ogni
cosa
.
Ma
che
importa
,
Dio
buono
!
che
importa
mi
raccontiate
che
il
vostro
eroe
si
svegliò
la
mattina
,
s
'
infilò
gli
stivali
,
si
fece
il
fiocco
alla
cravatta
,
bevve
una
tazza
di
caffè
e
accese
un
sigaro
?
Che
importa
me
lo
descriviate
nell
'
atto
di
trarre
un
fiammifero
dalla
scatola
?
Che
giova
alla
identità
del
carattere
?
Il
più
onesto
padre
di
famiglia
e
il
più
sozzo
furfante
si
mettono
l
'
uno
e
l
'
altro
le
scarpe
,
e
accendono
tutti
due
i
fiammiferi
nel
medesimo
modo
.
Sarà
,
se
volete
,
roba
buona
per
voi
scrittore
,
pegno
della
vostra
diligenza
;
ma
risparmiatela
a
noi
che
del
carattere
non
vi
domandiamo
se
non
contrassegni
essenziali
.
A
che
serve
ch
'
io
sappia
,
per
dirne
una
,
che
nei
cocenti
spasmi
della
voluttà
alla
Faustin
scappò
detto
una
tal
volta
maman
?
E
se
avesse
detto
nonna
,
quale
sarebbe
il
divario
?
Ditemi
pure
,
per
darmi
un
segno
dell
'
opulenza
di
William
ch
'
egli
teneva
dodici
servitori
:
ma
non
mi
regalate
quattro
pagine
di
censimento
col
nome
e
gli
uffici
di
ciascuno
di
loro
.
Il
boy
faceva
le
commissioni
e
aveva
sedici
anni
:
il
footman
stava
nell
'
anticamera
e
aveva
delle
bellissime
gambe
.
E
va
bene
.
Ma
se
il
boy
con
un
anno
di
più
avesse
fatto
qualch
'
altra
cosa
,
se
madre
natura
fosse
stata
co
'
garetti
del
footman
meno
benigna
di
contorni
apollinei
,
la
gelosia
di
William
sarebbe
stata
minore
,
o
migliore
l
'
animo
della
Faustin
?
C
'
è
,
fo
per
saperlo
,
giacché
il
vostro
romanzo
è
scientifico
,
c
'
è
una
scienza
nuova
che
determina
i
rapporti
tra
i
sentimenti
dei
padroni
e
le
gambe
de
'
servitori
?
E
giacché
si
parla
di
scienza
,
questi
necessarii
portati
dell
'
atavismo
,
fondamento
dei
vostri
romanzi
,
sono
proprio
tenuti
dagli
scienziati
per
verità
indiscutibili
?
E
qual
è
il
fisiologo
che
insegna
,
ciò
che
voi
asserite
assiomaticamente
,
che
i
biondi
son
più
crudeli
de
'
bruni
?
Purché
con
questo
sconfinare
di
ogni
parte
dello
scibile
,
con
tanta
scienza
che
entra
nel
romanzo
,
un
po
'
di
romanzo
non
entri
nella
scienza
:
badiamo
!
Così
delle
descrizioni
.
S
'
intende
la
descrizione
là
dove
si
tratta
di
determinare
l
'
ambiente
,
perché
a
sua
volta
l
'
ambiente
determini
l
'
indole
,
le
consuetudini
del
personaggio
;
ma
il
descrivere
la
strada
che
questi
percorre
,
il
teatro
dove
va
,
la
bottega
del
sarto
da
cui
si
serve
è
inutile
,
e
per
giunta
noioso
.
Che
si
descriva
la
camera
,
tutta
quanta
la
casa
della
Faustin
,
passi
:
ma
perché
la
si
conduce
a
una
vendita
di
mobilia
usata
,
che
noi
ci
abbiamo
a
succiare
l
'
inventario
illustrato
delle
seggiole
e
dei
canapé
,
messi
all
'
incanto
,
come
se
non
si
fossero
visti
né
seggiole
,
né
canapé
,
né
incanti
in
vita
nostra
,
è
una
pretensione
curiosa
.
Di
questo
lo
Zola
ha
ormai
convenuto
:
ma
non
ne
sono
,
pare
,
persuasi
i
discepoli
.
Sola
originalità
degli
imitatori
,
la
esagerazione
.
E
quello
che
dei
luoghi
o
degli
oggetti
è
a
dire
anche
dalle
descrizioni
,
del
fisico
de
'
personaggi
.
La
Faustin
è
tratteggiata
cinque
volte
:
ora
ha
la
bocca
semi
-
aperta
semblable
à
une
fleur
rose
au
fond
de
laquelle
il
y
a
de
l
'
ombre
humide
;
ora
scollata
mostra
dans
la
courbe
suave
de
son
dos
,
près
de
l
'
attache
des
bras
deux
petites
fossettes
qui
rient
;
ora
fissa
gli
occhi
grigi
,
des
yeux
à
la
fois
obscurs
et
clairs
,
des
yeux
que
la
mauvaise
humeur
faisait
noirs
et
presque
méchants
,
des
yeux
que
la
sympathie
faisait
bleus
et
tout
doux
;
ora
finalmente
l
'
acconciatura
del
capo
donne
à
son
regard
cerné
et
souriant
un
rien
du
regard
d
'
un
demon
angélique
.
Occhi
grigi
che
diventano
neri
e
turchini
secondo
le
circostanze
e
hanno
sguardi
di
angelico
demonio
.
Riconosceteli
.
Ora
finalmente
si
disegnano
tutte
linee
del
suo
gracile
corpo
quand
'
ella
si
siede
accanto
ad
William
avec
le
frou
frou
que
fait
la
soie
de
la
robe
d
'
une
femme
heureuse
.
Donne
felici
vestite
di
seta
Che
per
la
via
della
pietà
passate
,
diteci
voi
qual
è
il
frou
frou
,
privilegio
delle
vostre
gonne
e
indizio
della
nostra
felicità
.
Taccio
de
'
personaggi
secondari
,
o
insulsi
o
grotteschi
;
né
domando
Dio
me
ne
guardi
al
lavoro
dell
'
arte
intenti
o
morali
o
civili
.
Ma
perché
(
ripeto
una
cosa
detta
le
mille
volte
e
che
certi
traviamenti
fanno
sempre
utile
a
dirsi
)
perché
condurci
sempre
tra
gli
sciocchi
o
i
marioli
,
tra
i
mezzani
e
le
cortigiane
,
senza
che
ci
sia
caso
di
imbattersi
in
una
persona
di
garbo
?
Sta
bene
il
vero
,
ma
il
vero
tutto
quanto
;
non
soltanto
la
realtà
più
disgustosa
e
più
scempia
.
Perché
non
guardare
che
uno
dei
tanti
aspetti
della
natura
,
perché
frugare
soltanto
e
sempre
in
un
cantuccio
del
mondo
?
Che
differenza
,
se
no
,
tra
gli
Arcadi
e
voi
?
Voi
cercate
le
sources
de
Balzac
,
voi
volete
sapere
e
dire
où
en
est
le
mouvement
que
l
'
auteur
de
la
Comédie
humaine
a
déterminé
dans
la
littérature
.
Ma
ha
egli
solamente
messo
al
mondo
il
Balzac
Madame
Marneffe
e
Vautrin
?
E
Orsola
Mirouet
,
e
la
Fosseuse
e
Eugenia
Grandet
e
Renée
de
Maucombe
,
e
Mademoiselle
d
'
Esgrignon
,
e
il
curato
Bonnet
e
Minoret
,
e
Giuseppe
Le
Bas
e
Benassis
e
i
due
Birotteau
?
Cito
i
primi
che
mi
tornano
alla
memoria
.
Il
Balzac
ha
tentato
gli
abissi
d
'
ogni
corruzione
nella
Recherche
de
l
'
absolu
,
è
salito
fino
in
troppo
alte
regioni
col
Lys
dans
la
Vallée
:
e
il
capitolo
più
vasto
e
più
vero
della
commedia
umana
,
Les
parents
pauvres
,
è
anche
il
capitolo
più
vario
.
Triste
anch
'
egli
,
lo
so
;
Shakespeare
e
Molière
furono
tristi
del
pari
;
sunt
lacrymae
rerum
;
non
è
gaio
il
mondo
,
né
possono
essere
allegri
gl
'
istoriografi
della
natura
e
della
società
:
ma
i
libri
loro
si
depongono
mal
volentieri
e
colle
lacrime
agli
occhi
,
i
vostri
si
buttan
via
schifati
e
sdegnosi
.
Gli
è
che
essi
vedevano
tutto
quanto
il
vero
:
voi
sperimentate
;
«
nous
experimentons
;
son
parole
dello
Zola
cela
veut
dire
que
nous
devons
pendant
longtemps
encore
employer
le
faux
pour
arriver
au
vrai
...
»
«
J
'
ai
fait
de
l
'
ordre
avec
du
désordre
»
diceva
il
cittadino
Caussidière
.
Paradossi
.
Per
la
via
del
falso
al
vero
non
ci
s
'
arriva
:
il
vero
è
:
e
quando
si
ha
l
'
ingegno
del
Goncourt
si
vede
e
si
riproduce
;
si
finisce
col
non
vederlo
più
quando
l
'
ingegno
ottenebrato
dalle
bizzose
cocciutaggini
della
scuola
,
si
strascica
dietro
alla
più
implacata
nemica
che
l
'
arte
abbia
la
moda
.
StampaPeriodica ,
Il
primo
volume
di
poesie
,
pubblicato
due
anni
fa
da
Gabriele
D
'
Annunzio
,
ha
per
epigrafe
questi
due
versi
di
Felicia
Hemans
:
«
I
come
!
come
!
ye
have
call
'
d
me
long
,
I
come
o
'
er
the
mountains
with
light
and
song
.
»
Infatti
il
poeta
,
allora
appena
sedicenne
,
ci
veniva
dai
nativi
Abruzzi
,
ricco
di
luce
e
di
canto
e
già
in
quel
suo
primo
libro
,
fra
molte
reminiscenze
,
si
fanno
sentire
note
originali
,
fresche
di
giovanile
ispirazione
,
e
il
colorito
e
la
melodia
ne
sono
i
pregi
caratteristici
.
Era
molto
facile
appuntare
i
difetti
e
le
inesperienze
dell
'
artista
adolescente
,
in
quel
volumetto
:
ma
nessuno
poteva
in
buona
fede
mettere
in
dubbio
che
quelle
prime
note
uscivano
dall
'
anima
di
un
vero
poeta
;
e
quel
preludio
già
annunziava
una
nuova
voce
fra
tanti
echi
che
ci
assordiscono
e
ci
annoiano
da
dieci
anni
in
qua
.
Il
Canto
novo
pubblicato
oggi
mette
in
aperta
luce
i
pregi
del
D
'
Annunzio
,
e
i
difetti
.
È
dovere
della
critica
indicare
gli
uni
e
gli
altri
,
pesandoli
in
equa
bilancia
.
La
natura
è
stata
liberale
,
anzi
prodiga
di
doni
al
D
'
Annunzio
;
egli
ha
,
in
potenza
,
facoltà
poetiche
realmente
straordinarie
.
Immaginazione
,
osservazione
,
colorito
,
melodia
,
efficacia
di
parola
,
calore
di
simpatia
umana
,
vivo
sentimento
della
natura
,
entusiasmo
lirico
.
Ma
questi
doni
preziosi
,
uno
solo
dei
quali
è
bastato
a
molti
per
farsi
nome
in
Italia
,
ei
li
converte
spesso
in
difetti
con
l
'
abusarne
.
Egli
è
un
vero
figliuol
prodigo
della
poesia
.
Ha
come
una
plètora
di
immagini
e
di
colori
.
Ama
la
natura
di
un
amore
istintivo
,
sfrenato
.
Non
adora
l
'
arte
come
una
casta
vergine
,
ma
sembra
dirle
invece
:
Veni
et
inebriemur
uberibus
!
...
Vi
è
in
lui
una
esuberanza
,
un
'
ebbrezza
,
una
febbre
di
sensi
più
che
di
sentimenti
,
un
orgoglio
di
gioventù
e
di
salute
che
gli
dà
le
vertigini
e
le
comunica
ai
suoi
lettori
.
La
sua
poesia
e
la
sua
prosa
bisogna
leggerle
a
piccole
dosi
,
per
gustarle
e
apprezzarle
;
la
luce
dei
suoi
paesaggi
è
così
abbagliante
che
verrebbe
voglia
,
leggendo
,
di
mettersi
le
lenti
da
sole
.
Canto
novo
e
Terra
vergine
sono
una
vera
kermesse
di
immagini
,
di
colori
,
di
suoni
;
i
paesaggi
reali
e
fantastici
si
succedono
come
in
una
sfolgorante
galleria
;
profili
e
ritratti
di
pescatrici
e
di
montanari
,
di
pazzi
e
di
frati
,
di
bambine
e
di
vecchie
,
belli
e
grotteschi
,
strani
e
veri
,
vivi
sempre
e
indimenticabili
,
schizzati
spesso
alla
brava
,
a
pochi
tratti
,
ci
vengono
messi
sott
'
occhio
,
e
sono
direi
quasi
imposti
ai
nostri
sguardi
,
da
una
straordinaria
,
ma
spesso
abusata
,
potenza
di
colorito
.
Nel
Canto
novo
,
il
paesaggio
,
ora
reale
ora
fantastico
,
è
popolato
e
animato
da
figure
voluttuose
di
giovani
innamorati
,
dal
tragico
episodio
di
Rossaccio
,
dall
'
apparizione
finale
del
poeta
l
'
altero
fanciullo
che
cavalca
in
arme
brunita
per
la
scabra
compagna
,
e
si
affretta
alle
pugne
,
e
a
cui
arde
nell
'
occhio
di
falco
un
superbo
pensiero
...
Vi
sono
al
principio
del
volume
dei
notturni
di
una
ineffabile
melodia
Swinburniana
,
delle
misteriose
marine
a
lume
di
luna
,
murmuri
arcani
di
fronde
e
d
'
acque
,
che
fa
meraviglia
veder
espressi
e
fermati
nel
verso
.
Il
D
'
Annunzio
che
tanto
abusa
del
sole
,
appar
qui
come
trasfigurato
e
risponde
vittoriosamente
a
chi
lo
accusa
di
non
saper
descriver
altro
che
quello
che
salta
agli
occhi
.
«
O
falce
di
luna
calante
che
brilli
su
l
'
acque
deserte
,
o
falce
d
'
argento
,
qual
messe
di
sogni
ondeggia
al
tuo
mite
chiarore
qua
giù
!
Un
grande
arco
amazonio
di
rame
folgora
tra
lievi
nugole
;
ferme
la
barca
ha
l
'
àncore
nel
fondo
;
immobile
a
poppa
io
vigilo
.
Un
diadema
fulvido
da
'
l
cielo
irradia
l
'
acque
di
gemmee
faville
,
a
'
l
fondo
le
alighe
destate
anelano
un
raggio
.
Un
pallido
raggio
a
lor
giunge
;
guardano
le
malinconiche
su
per
lo
speglio
.
Venti
l
'
alighe
pregano
oh
,
date
palpiti
al
mare
!
dàtene
!
Una
biscia
azzurrognola
ricurva
luccica
nel
violaceo
lembo
del
cielo
;
cantici
umani
vengono
stanchi
per
Paure
.
O
pescatore
,
ammàina
!
dicon
quei
cantici
È
il
novilunio
;
di
sirene
un
esercito
sott
'
acqua
insidie
prepara
:
ammàina
!
Poche
pagine
dopo
,
ecco
un
paesaggio
meridionale
che
rassomiglia
a
un
luminoso
quadro
del
Michetti
,
col
quale
il
poeta
ha
molte
ed
evidenti
analogie
.
«
Come
gioconde
l
'
ombre
si
allungano
giù
dai
ciliegi
!
Dinanzi
l
'
arida
giallezza
de
'
liti
e
il
fiammante
,
a
'
l
sol
di
giugno
tacito
mare
;
lungi
,
su
'
l
cielo
chiaro
,
la
sagoma
di
Francavilla
,
netta
agilissima
tra
'
l
verde
;
più
lungi
,
sfumate
molli
caligini
di
viola
.
»
Ma
qui
,
nella
seconda
di
queste
strofe
,
abbiamo
l
'
esempio
di
una
caratteristica
della
poesia
e
della
prosa
del
D
'
Annunzio
la
quale
spesso
degenera
in
difetto
,
anzi
è
per
sé
stessa
un
difetto
,
voglio
dire
l
'
abitudine
di
servirsi
delle
parole
come
delle
tinte
di
una
tavolozza
,
violando
così
i
limiti
delle
due
arti
.
Questa
smania
coloritrice
lo
spinge
a
esprimere
anche
le
idee
puramente
letterarie
con
lo
stesso
metodo
con
cui
esprime
le
idee
puramente
plastiche
e
visuali
.
A
me
piacerebbe
che
qualche
volta
almeno
,
il
D
'
Annunzio
temperasse
il
bagliore
delle
sue
materiali
descrizioni
con
qualcuno
di
quelli
epiteti
che
uniscono
alla
sensazione
un
sentimento
,
e
da
cui
resulta
la
vera
impressione
poetica
:
qualche
cosa
come
il
noctis
signa
severa
di
Lucrezio
,
l
'
amica
silentia
lunae
di
Virgilio
,
e
tanti
altri
consimili
di
Dante
e
del
Petrarca
.
Talora
questa
abitudine
di
ricorrere
al
vocabolo
puramente
pittorico
,
e
di
dipingere
sempre
tutto
,
nuoce
all
'
effetto
di
alcune
delle
sue
più
belle
poesie
.
Per
esempio
,
nei
versi
dove
ci
descrive
il
povero
pescatore
che
seminudo
sopra
lo
scoglio
contempla
il
sughero
galleggiante
sull
'
acqua
verdastra
,
e
sta
lì
immobile
come
fuso
nel
bronzo
antico
,
e
gli
passan
vicine
le
barche
dei
signori
,
bianche
di
ombrelli
,
gettandogli
in
faccia
un
'
ondata
di
risa
e
allora
gli
balena
un
lampo
nei
torbidi
occhi
,
e
scricchiola
la
povera
canna
serrata
entro
il
convulso
pugno
d
'
acciajo
...
fra
tanti
belli
e
potenti
versi
stuona
orribilmente
,
al
mio
orecchio
,
il
verso
:
«
Gialla
è
la
canna
nel
ciel
turchino
.
»
Ma
io
non
mi
curo
saperlo
,
non
voglio
saperlo
,
in
tal
momento
,
cotesto
effetto
pittorico
.
Mi
interessa
solo
ciò
che
direttamente
riguarda
l
'
uomo
.
Se
la
canna
fa
una
macchia
gialla
sul
turchino
del
cielo
,
è
un
particolare
di
cui
deve
occuparsi
il
Michetti
pittore
,
non
il
D
'
Annunzio
poeta
.
E
per
l
'
appunto
in
questo
difetto
i
suoi
imitatori
(
ne
conta
già
parecchi
fra
i
giovani
)
si
sforzano
di
emularlo
,
di
sorpassarlo
.
E
così
leggiamo
settimanalmente
nei
varj
giornali
letterarj
d
'
Italia
bozzetti
e
novelle
pieni
di
mari
paonazzi
,
di
cieli
violacei
,
di
biacca
,
di
lacca
,
di
opale
,
di
oltremare
,
di
amatista
,
e
via
discorrendo
...
E
ciò
nuoce
al
D
'
Annunzio
nella
pubblica
opinione
più
dei
suoi
propri
difetti
,
che
son
sempre
largamente
compensati
da
singolari
pregi
.
Né
è
da
tacere
com
'
egli
,
così
avvezzo
alla
osservazione
e
alla
descrizione
del
caldo
paesaggio
abruzzese
,
abbia
saputo
veder
con
occhio
d
'
artista
e
di
poeta
le
linee
caratteristiche
del
paesaggio
fiorentino
;
per
esempio
in
queste
strofe
:
«
Oh
brevi
soste
là
tra
'
cinerei
olivi
,
e
al
piano
slanci
di
cupole
su
'
l
cielo
,
e
da
lungi
nevate
le
prime
vette
del
Casentino
!
Silenziose
l
'
acque
de
l
'
Africo
tra
l
'
erba
corta
scorreano
:
i
vetrici
chiazzati
di
musco
,
rossastri
,
senza
una
voce
tremuli
,
in
fila
;
senza
una
voce
in
fila
tremuli
i
pioppi
dentro
l
'
azzurro
ergeano
in
su
come
verghe
di
argento
lucide
a
'
l
sole
le
nude
rame
.
»
Ma
ciò
che
meglio
risponde
all
'
indole
dell
'
ingegno
poetico
del
D
'
Annunzio
la
sua
più
viva
simpatia
la
sua
più
costante
e
felice
ispirazione
è
il
mare
.
Egli
lo
ama
di
un
amore
passionato
:
lo
contempla
,
lo
vagheggia
,
lo
descrive
in
tutti
i
suoi
aspetti
,
in
tutte
le
stagioni
,
a
tutte
l
'
ore
.
Ha
per
lui
dei
gridi
d
'
entusiasmo
,
dei
sospiri
d
'
amante
.
Le
più
belle
poesie
di
Canto
novo
sono
delle
marine
.
È
una
nota
poetica
famigliare
a
qualche
vecchio
poeta
italiano
,
(
il
Marino
per
esempio
)
e
non
si
sa
perché
tanto
negletta
poi
dagli
scrittori
della
penisola
.
Leggendo
i
nostri
più
insigni
poeti
moderni
,
si
direbbe
che
vivono
tutti
nel
paese
più
continentale
d
'
Europa
;
che
non
esistono
né
il
Mediterraneo
né
l
'
Adriatico
.
Scelgo
qua
e
là
nel
volume
del
D
'
Annunzio
dei
versi
che
diano
un
'
idea
di
questa
ricca
e
caratteristica
vena
poetica
:
«
A
'
l
mare
,
a
'
l
mare
,
Lalla
,
al
mio
libero
,
tristo
,
fragrante
,
verde
Adriatico
,
a
'
l
mar
dei
poeti
,
al
presente
dio
che
mi
tempra
nervi
e
canzoni
!
....
freschissime
l
'
albe
di
giugno
surgono
:
brividi
e
fremiti
increspano
l
'
acque
;
cantano
a
'
l
vento
le
selve
in
fiore
.
Splendidamente
azzurro
s
'
affaccia
il
gran
mar
tra
li
ulivi
.
Si
frangono
l
'
acque
odorose
con
fievole
musica
a
'
l
lido
;
scintillano
l
'
Orse
nel
cielo
profondo
:
un
filo
di
luna
su
'
l
mar
tramontò
.
Io
veleggio
pe
'
l
golfo
si
come
un
buon
nauta
sannite
tra
'
delfini
scherzanti
,
greggia
a
le
muse
cara
.
Corrono
per
selve
di
rossi
coralli
le
nozze
,
via
per
le
vive
selve
corre
la
primavera
.
»
Il
mare
gli
suggerisce
talora
spaventose
e
tragiche
fantasie
:
questo
naufragio
per
esempio
,
che
sembra
visto
in
un
momento
di
lucida
intensa
visione
febbrile
,
e
che
vi
fa
raccapricciare
come
una
pagina
di
Edgardo
Poe
:
«
Ancora
,
ancor
su
l
'
ultima
bandiera
come
un
enorme
grappolo
vivente
,
i
naufraghi
per
entro
a
la
bufera
gittan
le
grida
disperatamente
.
E
in
vano
.
Scenderà
la
nave
nera
,
orrida
bara
,
in
grembo
a
la
muggente
profondità
de
l
'
acque
:
una
brughiera
d
'
alghe
l
'
aspetta
altissima
e
silente
.
I
polpi
guateran
con
li
affamati
occhi
da
la
giallastra
iride
immane
quel
tragico
viluppo
d
'
annegati
;
poi
lì
,
in
un
gioco
di
penombre
strane
,
come
serpi
staranno
aggrovigliati
tentacoli
di
polpi
a
membra
umane
.
»
La
prosa
di
Terra
vergine
ha
gli
stessi
pregi
e
anche
gli
stessi
difetti
dei
versi
di
Canto
novo
.
La
lingua
è
buona
generalmente
,
lo
stile
franco
e
sicuro
:
si
sente
che
l
'
autore
ha
vissuto
per
anni
interi
in
Toscana
.
Egli
non
dubita
,
non
tentenna
mai
nella
scelta
della
sua
frase
e
se
pecca
per
sovrabbondanza
di
epiteti
pittoreschi
,
non
pecca
mai
per
improprietà
di
vocabolo
.
Anche
nella
eccessività
delle
sue
descrizioni
resta
sempre
italiano
.
Ed
è
questo
uno
dei
più
grandi
pregi
del
D
'
Annunzio
,
tanto
più
notevole
quanto
oggi
è
più
raro
oggi
che
fra
noi
sembra
quasi
inevitabile
l
'
andare
sulla
falsariga
dei
Goncourt
o
dello
Zola
.
I
ritratti
,
i
paesaggi
,
son
fatti
generalmente
con
poche
parole
:
vi
è
troppo
colorito
,
troppo
sfolgorio
,
troppi
epiteti
,
ne
convengo
;
ma
in
compenso
non
vi
trovate
mai
quei
tremendi
cataloghi
e
inventari
che
tanto
ci
impazientiscono
quando
non
ci
addormentano
...
Nei
diversi
racconti
o
bozzetti
c
'
è
varietà
di
tipi
e
di
scene
;
da
Fra
Lucerta
a
Toto
dalla
Gatta
a
Lazzaro
:
ma
nell
'
insieme
si
rassomiglian
troppo
nella
fattura
,
per
dir
così
:
vi
è
in
tutti
una
troppo
costante
ricerca
e
preoccupazione
dell
'
effetto
.
Mi
piacerebbe
che
a
queste
calde
pagine
si
alternasse
qualche
pagina
di
tranquilla
analisi
,
di
semplice
narrazione
;
e
allora
mi
troverei
riposato
e
preparato
a
nuovi
effetti
.
Qui
invece
non
c
'
è
mai
né
crepuscolo
né
ombra
è
un
continuo
miraggio
,
un
lusso
abbagliante
di
colori
,
che
finisce
con
lo
stancarmi
.
-
Ma
d
'
altra
parte
,
quanta
originalità
d
'
invenzione
,
quanta
verità
ed
efficacia
,
in
questo
volume
!
Chi
potrà
scordarsi
,
una
volta
lettolo
,
di
Fra
Lucertola
nel
suo
chiostro
,
di
Fiora
e
Tulespre
alla
Pescara
,
di
Cincinnato
sulla
riva
del
mare
,
dell
'
omicidio
di
Dalfino
,
della
Gatta
che
pesca
e
canta
?
«
Nel
mare
ci
stava
dentro
tutta
la
mattinata
a
pescar
le
telline
,
ci
stava
anche
quando
le
onde
crescenti
le
spumavan
d
'
intorno
spruzzandole
la
gonna
succinta
,
e
la
facevano
traballare
;
e
in
quei
momenti
era
una
splendida
figura
anche
ne
'
cenci
,
mentre
i
gabbiani
sentendo
la
bufera
le
turbinavano
sul
capo
.
«
Non
era
triste
però
:
i
suoi
canti
avevano
una
monotonia
malinconica
,
ritmi
bizzarri
che
facean
pensare
agli
incantatori
egiziani
;
lei
li
diceva
guardando
una
nuvola
,
un
uccello
,
una
vela
,
con
le
pupille
sbarrate
,
quasi
attonite
,
affondando
nella
sabbia
la
sua
piccola
rete
,
senza
stancarsi
mai
.
«
Le
sue
compagne
cantavano
anche
loro
;
ma
a
volte
erano
vinte
da
un
senso
di
sgomento
,
di
solitudine
,
di
angoscia
,
a
quelle
note
,
a
quella
voce
;
e
tacevano
e
chinavano
il
capo
scottato
dal
solleone
,
e
provavano
più
gelidi
i
brividi
su
pe
'
ginocchi
,
più
doloroso
nelle
pupille
il
barbaglio
di
quell
'
incendio
:
e
tendevano
le
braccia
affrante
,
mentre
la
cantilena
della
Gatta
perdevasi
nella
immensa
afa
accidiosa
.
»
Verità
ed
efficacia
,
proprietà
e
precisione
,
nulla
manca
,
secondo
me
,
a
questa
pagina
di
prosa
e
notisi
che
di
simili
ve
ne
sono
parecchie
in
questo
volume
.
Talora
il
D
'
Annunzio
ci
sa
descrivere
una
scena
,
e
fare
un
quadro
o
un
ritratto
,
anche
in
pochissime
parole
.
Ecco
,
per
esempio
,
in
cinque
o
sei
righe
,
dipinto
il
mare
in
tempesta
ed
in
calma
:
«
Col
garbino
quella
notte
venne
anche
la
burrasca
;
e
il
mare
arrivava
fino
alle
case
,
con
certi
urli
da
far
rabbrividire
...
«
La
mattina
dopo
,
l
'
Adriatico
era
calmo
,
viscido
come
nafta
,
senza
l
'
anima
di
una
vela
,
muto
,
spietato
.
»
E
quanto
è
evidente
nella
sua
brevità
questa
descrizione
del
corpo
di
Zolfina
morta
di
tifo
.
«
Biasce
l
'
andò
a
vedere
la
sua
povera
morta
.
Guardò
istupidito
,
con
occhi
vitrei
,
la
bara
tutta
olezzante
di
fiori
freschi
,
fra
cui
si
allungava
quello
sfacelo
di
carni
giovani
,
quel
putridume
di
umori
già
fermentanti
sotto
la
candidezza
del
lino
.
»
I
tre
racconti
che
a
me
paiono
più
ricchi
di
solide
qualità
artistiche
,
sono
Fra
Lucerta
,
Cincinnato
,
e
la
Gatta
.
Il
più
semplice
,
il
più
commovente
,
un
vero
e
patetico
idillio
,
è
Toto
.
La
scena
d
'
amor
nascente
fra
Toto
e
la
Ninní
è
descritta
con
una
grazia
ed
una
freschezza
ingenuamente
rurali
.
La
fine
fa
piangere
:
quei
presentimenti
,
quei
terrori
dell
'
inverno
vicino
nei
due
poveri
ragazzi
abbandonati
quell
'
ultima
corsa
di
Toto
con
la
morticina
in
collo
,
non
si
dimentican
più
.
Toto
spande
un
'
ombra
di
soave
malinconia
fra
tanti
gridi
passionati
,
fra
tanto
sangue
,
fra
tanto
incendio
di
sole
che
avvampa
in
tutto
il
resto
del
libro
.
Vorrei
poter
cancellare
da
Canto
novo
e
da
Terra
vergine
alcune
espressioni
troppo
sensuali
che
a
me
paiono
inescusabili
.
Mi
limiterò
a
indicarne
e
deplorarne
due
o
tre
:
«
Il
petto
della
Zarra
ficcava
nel
sangue
la
smania
de
'
morsi
...
»
«
Tulespre
(
a
un
gesto
provocante
di
Fiora
)
sentì
l
'
odore
della
femmina
,
più
acuto
e
più
inebriante
che
l
'
odore
del
fieno
...
»
Queste
espressioni
sono
inoltre
di
cattivo
gusto
;
e
il
D
'
Annunzio
dovrebbe
d
'
ora
innanzi
guardarsene
,
anche
per
amore
dell
'
Arte
.
I
pregi
singolari
del
D
'
Annunzio
come
poeta
e
come
prosatore
,
sui
quali
volentieri
mi
son
trattenuto
,
sono
eclissati
,
come
più
volte
ho
detto
in
questo
mio
studio
,
da
vari
difetti
.
Ma
sarebbe
ingiusto
dimenticare
che
questi
ultimi
sono
in
gran
parte
inerenti
alla
giovanissima
età
dell
'
autore
.
A
diciotto
anni
,
con
quel
suo
temperamento
meridionale
,
e
con
quella
immaginazione
,
è
difficile
distinguersi
per
castigatezza
di
stile
,
sobrietà
di
colorito
,
armonia
di
composizione
,
profondità
di
psicologica
analisi
.
Egli
nuota
ora
in
piena
luce
di
sole
e
grida
ai
quattro
venti
che
è
pieno
di
salute
,
di
poesia
,
di
coraggio
e
di
vita
.
L
'
amore
,
la
natura
,
il
fresco
sorriso
della
sua
Lalla
,
i
fiori
selvaggi
dei
suoi
Abruzzi
,
il
verde
fragrante
Adriatico
,
sono
le
luminose
sue
ispirazioni
...
Pur
troppo
la
vita
gli
insegnerà
tante
cose
fosche
e
glaciali
e
l
'
iride
che
si
riflette
oggi
nelle
sue
pagine
sarà
offuscata
quando
la
vedrà
attraverso
le
inevitabili
lacrime
.
Ma
intanto
l
'
aura
di
giovinezza
che
emana
dalle
pagine
di
questi
due
volumi
come
da
un
giardino
di
rose
,
è
già
un
pregio
singolare
ed
anche
quando
il
D
'
Annunzio
ci
avrà
dato
,
come
gli
auguro
e
credo
,
cose
più
artisticamente
perfette
,
si
tornerà
sempre
volentieri
a
rileggere
alcune
strofe
del
Canto
novo
,
alcune
pagine
di
Terra
vergine
,
come
si
torna
volentieri
col
pensiero
alle
memorie
dei
nostri
primi
belli
anni
.
StampaPeriodica ,
Son
dieci
anni
,
che
non
rivedeva
Brusuglio
.
L
'
ultima
volta
che
son
venuto
a
vedervi
il
Manzoni
,
fu
nell
'
autunno
,
se
non
erro
,
del
1872;
ed
egli
non
mi
parve
quello
di
prima
.
Mi
soleva
fare
gran
festa
;
ma
non
so
come
,
mi
persuasi
che
me
ne
facesse
meno
.
Avevo
qualche
mese
prima
scritto
nella
Nuova
Antologia
del
Concilio
tenuto
in
Roma
da
Pio
IX
e
del
movimento
Vecchio
-
Cattolico
di
Germania
.
Egli
non
approvò
in
cuor
suo
ciò
che
io
dicevo
dell
'
uno
e
dell
'
altro
.
Mi
credette
ardito
più
del
dovere
nelle
censure
della
Chiesa
di
Roma
e
nel
patrocinio
della
nuova
eresia
.
Per
l
'
avvenire
di
questa
non
sentiva
nessuna
fiducia
,
né
per
le
sue
dottrine
nessun
rispetto
.
L
'
infallibilità
del
Pontefice
,
com
'
era
stata
definita
dal
Concilio
,
a
lui
pareva
un
dottrina
logicamente
dedotta
e
necessaria
.
Il
dissenso
mio
con
lui
su
questi
punti
lo
faceva
con
me
meno
espansivo
del
solito
.
Pure
non
me
ne
parlò
;
ed
io
seppi
d
'
altra
parte
,
dimandando
,
donde
nascesse
quella
sua
taciturnità
meco
insolita
.
E
appunto
perché
insolita
,
e
perché
il
dissenso
con
uno
cui
voleva
bene
gli
era
stato
cagione
,
sinché
la
sua
salute
s
'
era
conservata
in
tutto
buona
,
non
già
di
tacere
,
ma
di
parlare
,
poiché
nessuno
amava
più
di
lui
il
discutere
e
il
conversare
,
appunto
perciò
,
dico
,
e
per
tutto
l
'
insieme
io
mi
persuasi
,
che
qualche
turbamento
vi
fosse
nell
'
intelletto
di
lui
.
Pure
lavorava
tuttora
,
ma
a
stento
;
e
si
lagnava
che
nello
scritto
a
cui
allora
attendeva
,
andasse
avanti
a
mala
pena
e
a
passi
di
formica
,
se
pure
.
Qualche
anno
prima
,
nell
'
ottobre
del
1868
,
nel
ricercare
un
libro
nella
sua
stanza
di
studio
era
caduto
dalla
sedia
su
cui
era
salito
,
per
non
aver
voluto
porre
il
piede
sul
sedile
di
paglia
,
temendo
di
sfondarlo
,
bensì
sullo
stretto
orlo
di
legno
,
a
cui
quello
è
inchiodato
.
Di
quella
caduta
pareva
risanato
affatto
,
come
poi
non
risanò
di
quella
sui
gradini
di
San
Fedele
.
Rifaceva
le
sue
passeggiate
solite
,
come
le
aveva
fatte
per
sessanta
anni
.
Poiché
non
v
'
era
uomo
di
più
tenaci
abitudini
delle
sue
.
Levatosi
la
mattina
alle
8
œ
,
usciva
di
stanza
subito
,
e
prendeva
in
sala
il
suo
cioccolatte
,
senza
pane
né
altro
.
Poi
,
accompagnato
da
qualcuno
,
faceva
il
lungo
giro
del
giardino
,
discorrendo
degli
alberi
che
trovava
lungo
il
cammino
,
piantati
tutti
da
lui
,
e
in
tempi
che
quelle
specie
eran
rare
od
uniche
in
Lombardia
,
e
ricordando
da
chi
gli
avesse
avuti
,
ovvero
parlando
di
qualunque
altro
soggetto
,
che
gli
occorresse
.
Dopo
il
qual
passeggio
si
ritirava
nella
sua
stanza
di
studio
,
e
vi
rimaneva
sino
a
venticinque
minuti
prima
dell
'
ora
del
desinare
;
che
era
le
cinque
.
Questi
venticinque
minuti
erano
impiegati
a
percorrere
dieci
volte
,
cinque
all
'
andare
e
cinque
al
tornare
,
un
viale
,
d
'
un
trecento
passi
,
ombreggiato
da
platani
,
sul
fianco
destro
della
casa
.
E
bisognava
spendervi
due
minuti
e
mezzo
per
lo
appunto
nell
'
andata
,
e
altrettanti
nel
ritorno
;
e
se
per
caso
si
fosse
affrettato
il
passo
,
il
Manzoni
,
coll
'
orologio
alla
mano
,
aspettava
,
prima
di
voltare
,
che
fosser
passati
.
Poi
s
'
andava
a
desinare
;
e
la
sera
si
conversava
sino
alle
undici
;
però
il
Manzoni
prendeva
sempre
seco
un
libro
,
per
lo
più
un
classico
,
e
quando
non
aveva
con
chi
conversare
o
la
conversazione
languiva
,
apriva
il
libro
e
leggicchiava
qua
e
là
.
E
talora
comunicava
le
osservazioni
che
gli
sorgevano
nello
spirito
a
chi
gli
stava
attorno
,
o
rientrava
con
quelle
nella
conversazione
.
La
sua
stanza
di
studio
è
rimasta
tale
e
quale
.
A
pian
terreno
,
non
ben
grande
,
con
due
cancellate
alle
finestre
che
guardano
nel
giardino
,
nel
fianco
destro
della
casa
,
è
tutta
intorno
intorno
circondata
di
scaffali
di
libri
,
che
vanno
sino
al
soffitto
.
La
più
parte
di
questi
erano
sempre
gli
stessi
,
ma
ogni
anno
nel
venire
a
villeggiare
il
Manzoni
ne
portava
di
nuovi
,
secondo
occorrevano
al
lavoro
cui
voleva
attendere
,
e
li
riportava
alla
fine
della
villeggiatura
a
Milano
.
Poiché
egli
è
morto
nella
città
,
i
libri
che
si
vedono
ora
nella
sua
stanza
di
Brusuglio
sono
di
quelli
che
vi
solevano
restar
sempre
;
i
classici
latini
dell
'
edizione
Bipontina
,
gli
italiani
della
milanese
,
un
Sant
'
Agostino
e
un
San
Giovanni
Crisostomo
della
Maurina
,
l
'
Enciclopedia
francese
,
la
Storia
Universale
tradotta
dall
'
inglese
e
pubblicata
in
molti
volumi
in
quarto
in
Venezia
,
il
Tillemont
,
e
molti
libri
di
agricoltura
.
Il
Manzoni
amava
i
libri
anche
nel
loro
di
fuori
;
sopra
alcuni
ha
notato
che
erano
rari
;
ma
ne
schiccherava
i
margini
;
né
v
'
è
edizione
,
per
bella
che
fosse
,
che
lo
trattenesse
dal
farlo
.
Stanza
di
studio
più
semplicemente
mobigliata
di
questa
non
si
può
pensare
.
Di
rimpetto
alla
porta
d
'
entrata
v
'
ha
tra
i
due
scaffali
di
libri
una
nicchia
nella
quale
i
palchetti
di
quelli
continuano
.
In
questa
v
'
è
la
sua
sedia
a
bracciuoli
,
e
dinanzi
un
tavolino
.
Davanti
alla
libreria
,
nella
parte
di
destra
,
un
altro
tavolino
,
quello
che
usò
nel
collegio
,
e
sopra
questo
una
bilancia
,
nella
quale
egli
soleva
pesare
gli
abiti
che
indossava
.
Poiché
era
minutissimo
nel
volerli
più
o
meno
grevi
o
leggieri
secondo
la
temperatura
non
del
giorno
solo
,
ma
dell
'
ora
;
sicché
si
vestiva
e
spogliava
più
volte
.
Davanti
alla
parete
sinistra
un
tavolino
tondo
.
Sparse
per
la
stanza
poche
sedie
,
qualcuna
a
bracciuoli
.
Quando
s
'
era
ritirato
in
cotesta
stanza
,
non
voleva
che
si
facesse
per
la
casa
nessun
rumore
che
potesse
giungere
sino
a
lui
.
Però
si
levava
da
tavolino
di
tratto
in
tratto
,
e
per
il
balcone
della
stanza
avanti
alla
sua
usciva
nel
giardino
e
passeggiava
lungo
le
mura
qualche
minuto
.
Suo
figlio
Pietro
aveva
la
stanza
vicino
alla
sua
;
e
il
padre
,
anche
quand
'
egli
era
andato
a
dormire
,
soleva
di
botto
svegliarlo
per
dimandargli
tale
o
talaltra
cosa
.
Pier
,
te
dormet
?
era
la
solita
dimanda
con
cui
principiava
a
svegliarlo
.
Onde
Pietro
non
aveva
altra
difesa
che
questa
:
buttare
dell
'
acqua
avanti
alla
porta
dello
studio
;
poiché
il
Manzoni
non
avrebbe
messo
il
piede
in
un
luogo
umido
a
nessun
patto
mai
;
sicché
quel
po
'
d
'
acqua
lo
forzava
a
tornarsene
e
a
rinviare
a
più
tardi
la
domanda
.
In
questa
stanza
il
Manzoni
ha
scritto
i
Promessi
sposi
;
e
per
non
dire
d
'
altro
,
il
Cinque
maggio
.
Il
quale
fu
scritto
in
una
notte
;
e
rimase
come
uscì
al
primo
getto
;
cosa
ben
rara
per
uno
scrittore
,
del
quale
credo
che
nessun
abbia
più
corretto
e
ricorretto
gli
scritti
suoi
,
sia
stato
più
difficile
a
contentarsi
di
ciò
che
avesse
scritto
alla
prima
,
e
solesse
ritornarvi
su
più
volte
.
Era
nel
giardino
colla
moglie
e
colla
madre
seduto
su
una
panca
,
quando
la
notizia
della
morte
di
Napoleone
giunse
a
Brusuglio
.
La
commozione
che
n
'
ebbe
fu
grande
;
ma
non
lo
distolse
dalle
sue
abitudini
solite
.
Desinò
secondo
l
'
usato
,
e
la
sera
la
musa
lo
prese
per
i
capelli
e
lo
forzò
a
scrivere
l
'
ode
concitata
più
che
altra
ode
sua
,
ed
inspirata
non
meno
dalla
grande
gloria
che
dalla
grande
sventura
.
Com
'
è
rimasta
intatta
la
sua
stanza
di
studio
,
così
anche
la
sua
stanza
da
letto
,
più
semplice
ancora
.
In
un
'
alcova
sta
il
letto
,
basso
,
di
legno
;
sulla
parete
un
crocifisso
;
qualche
sedia
di
qua
e
di
là
,
ed
un
tavolino
:
ecco
tutto
.
Ricordo
ancora
,
quando
,
venutolo
a
trovare
un
giorno
ch
'
egli
non
s
'
era
potuto
levare
,
per
ragione
della
caduta
nella
biblioteca
,
se
non
isbaglio
mi
fece
leggere
accanto
a
lui
l
'
introduzione
alle
considerazioni
sue
sulla
Rivoluzione
francese
,
opera
non
mai
finita
,
e
della
quale
la
parte
che
n
'
ha
lasciata
scritta
non
è
stata
ancor
pubblicata
.
Così
,
qui
a
Brusuglio
,
tutto
ancora
ricorda
il
Manzoni
.
Il
paese
deve
averne
obbligo
a
Pietro
Brambilla
,
un
cavalier
,
si
può
dire
,
che
tutta
Italia
onora
,
smarritosi
tra
i
banchieri
e
gli
uomini
di
finanza
,
dei
quali
nessuno
lo
supera
per
sagacia
ed
ingegno
,
ma
che
son
superati
tutti
da
lui
per
altezza
e
generosità
di
animo
.
Morto
Pietro
Manzoni
un
mese
prima
del
padre
Alessandro
,
Pietro
Brambilla
che
si
era
fidanzato
con
Vittoria
,
la
primogenita
di
Pietro
,
innanzi
che
questi
morisse
annunciò
pubblicamente
il
matrimonio
in
quel
tratto
di
tempo
così
triste
per
la
famiglia
tutta
,
che
scorse
tra
le
due
morti
,
e
consolò
colla
speranza
che
ai
figliuoli
e
a
'
nepoti
non
sarebbe
mancato
un
aiuto
e
una
guida
le
ultime
ore
del
padre
e
i
rari
momenti
di
lucido
intervallo
dell
'
avo
.
Pietro
Brambilla
ha
comperato
Brusuglio
,
e
lo
custodisce
come
ricordo
di
una
gloria
,
che
appartiene
ora
anche
a
lui
.
Questa
casa
,
questi
alberi
,
la
montagnola
alzata
in
fondo
al
giardino
collo
sterro
del
fosso
che
lo
circonda
da
tre
lati
,
la
vista
che
si
scovre
da
essa
del
monte
Rosa
e
dei
monti
del
lago
Maggiore
e
del
lago
di
Como
,
e
più
in
là
,
più
in
là
,
come
il
Manzoni
si
compiaceva
ad
indicare
a
parte
a
parte
,
non
sono
il
più
piccolo
lato
della
vita
e
dello
spirito
del
grande
scrittore
.
Si
sente
,
s
'
intende
sopratutto
qui
un
aspetto
suo
;
non
il
maggiore
,
ma
non
il
men
singolare
,
sopratutto
nella
storia
della
letteratura
nostra
;
l
'
aspetto
,
voglio
dire
,
del
gentiluomo
in
lui
.
Poiché
di
gentiluomini
letterati
ne
abbiamo
avuti
di
certo
altri
;
ma
letterato
gentiluomo
credo
che
sia
stato
il
primo
lui
.
E
a
certi
segni
si
dovrebbe
temere
non
che
sia
stato
anche
l
'
ultimo
,
poiché
ne
possiamo
ricordare
dopo
lui
qualche
altro
;
ma
se
il
seme
se
ne
debba
disperdere
.
Invece
il
bisogno
era
,
che
germogliasse
e
moltiplicasse
.
StampaPeriodica ,
Dicendo
le
ultime
parole
su
gli
avanzi
mortali
di
Giuseppe
Regaldi
,
che
la
città
e
la
Università
di
Bologna
onorando
e
commemorando
restituiscono
agli
affetti
de
'
suoi
e
della
terra
natale
,
io
farò
prova
di
vincere
la
tristezza
che
m
'
invade
dinanzi
al
mancare
di
questo
collega
che
anche
mi
fu
per
quindici
anni
amico
buono
,
al
disparire
di
questo
quasi
ultimo
raggio
della
poesia
de
'
nostri
padri
.
I
pianti
delle
prefiche
e
gli
strilli
dei
panegiristi
sono
per
i
morti
volgari
:
dalle
bare
degli
uomini
che
servirono
nobilmente
la
patria
sorge
il
documento
della
vita
loro
a
confortare
ad
ammonire
a
illuminare
i
superstiti
.
Se
bene
a
ripensare
che
della
gioventù
di
quest
'
uomo
,
il
quale
passò
biondo
cantore
fra
le
genti
latine
,
che
vedendolo
e
udendolo
si
domandavano
ammirate
Or
come
ritornano
gli
aedi
e
i
trovatori
nell
'
età
della
stampa
e
delle
gazzette
?
se
bene
,
dico
,
a
ripensare
che
di
quella
gioventù
ed
energia
di
spiriti
,
di
quell
'
espansione
dell
'
anima
,
di
quelle
gioie
,
di
quelle
glorie
,
di
quelli
amori
,
resta
a
pena
una
languida
memoria
,
e
che
sparirono
come
l
'
ombra
d
'
un
sogno
;
se
bene
,
a
ripensare
tutto
cotesto
,
la
tristezza
è
necessaria
e
profondamente
umana
.
Ma
lasciamo
alla
storia
letteraria
le
ricordanze
di
questo
ultimo
dei
trovatori
,
il
quale
fu
anche
egli
attratto
,
come
i
predecessori
suoi
del
medio
evo
,
dalla
visione
del
mistico
oriente
,
dal
desio
dei
pellegrinaggi
nella
terra
madre
dei
popoli
,
delle
religioni
e
delle
scienze
,
e
infine
,
come
i
trovatori
antichi
si
rendevano
a
Dio
raccogliendo
nella
solitudine
d
'
un
chiostro
l
'
età
sfiorita
,
si
raccolse
,
obbedendo
ai
tempi
,
in
miglior
solitudine
,
per
consacrare
alla
scienza
e
all
'
insegnamento
gli
anni
della
vita
matura
nell
'
esperienza
.
Alla
storia
letteraria
il
giudizio
e
la
lode
del
facile
poeta
ritemperato
nei
forti
studi
e
nei
fermi
ideali
.
A
noi
,
suoi
colleghi
ed
amici
,
a
voi
,
suoi
discepoli
,
la
testimonianza
del
culto
ch
'
egli
ebbe
per
l
'
arte
e
la
scienza
,
della
religione
ch
'
egli
portò
nell
'
adempimento
del
dovere
:
della
religione
del
dovere
,
che
è
la
qualità
più
alta
del
carattere
e
la
parte
più
nobile
della
vita
,
perché
la
più
disinteressata
.
Per
degnamente
apprezzare
la
coscienza
di
Giuseppe
Regaldi
e
trar
documenti
dal
suo
esempio
,
bisogna
aver
veduto
e
udito
come
cotesto
poeta
estemporaneo
si
fosse
condotto
a
pesare
,
infaticato
e
incontentabile
,
su
bilance
sempre
nuove
di
giudizio
e
disamina
,
non
pure
ogni
fatto
,
ogni
cifra
,
ogni
asserzione
,
ma
ogni
espressione
ed
ogni
parola
,
prima
di
pronunziarla
dalla
cattedra
o
di
consegnarla
al
libro
:
bisogna
aver
saputo
e
veduto
com
'
egli
,
così
innanzi
negli
anni
,
vegliasse
le
notti
o
sorgesse
con
l
'
alba
per
preparare
in
lunghe
cure
di
ricerche
e
raffronti
quelle
lezioni
di
storia
,
delle
quali
gli
uditori
ammiravano
la
colorita
facondia
.
Come
egli
,
già
strascinantesi
negli
ultimi
passi
della
vita
,
fosse
rigido
osservatore
dell
'
officio
suo
a
tutte
le
lezioni
,
nelle
ore
anche
men
comode
,
nelle
stagioni
anche
più
rigide
,
gli
studenti
lo
sanno
:
lo
sappiamo
,
con
dolore
,
noi
suoi
amici
,
che
in
vano
ci
adoperammo
a
persuaderlo
di
risparmiarsi
.
Il
voto
supremo
del
vecchio
era
finire
il
suo
Egitto
:
come
chiamava
egli
il
libro
,
pubblicato
nell
'
ultima
estate
,
ove
raccolse
le
sue
peregrinazioni
di
poeta
e
i
suoi
studi
di
professore
.
Gli
ultimi
due
anni
della
vita
egli
travagliò
intorno
all
'
Egitto
,
quasi
ricercando
dall
'
oriente
la
luce
che
gli
consolasse
e
riscaldasse
il
solitario
crepuscolo
.
Finito
il
suo
Egitto
,
al
Regaldi
parve
oramai
finita
la
parte
sua
nel
mondo
;
e
rassegnato
chinò
il
bianco
capo
sotto
il
volo
della
Parca
che
veniva
.
E
la
Parca
lo
toccò
pur
allora
uscito
dalle
soglie
dell
'
Università
,
dal
tempio
,
così
egli
diceva
,
della
sapienza
:
lo
toccò
e
gli
disse
:
Basta
,
buono
operaio
;
va
,
e
riposa
.
Or
ecco
quello
che
avanza
di
Giuseppe
Regaldi
.
La
spoglia
e
gli
affetti
ultimi
del
poeta
,
la
gentile
alterezza
della
sua
fama
,
alla
terra
nativa
:
le
sue
ispirazioni
e
gli
studi
alla
storia
letteraria
e
civile
d
'
Italia
:
a
noi
suoi
colleghi
ed
amici
,
la
memoria
,
sempre
onorata
,
sempre
cara
,
delle
virtù
sue
e
della
bontà
;
a
voi
,
giovani
,
l
'
ammaestramento
e
l
'
esempio
.
O
giovani
,
ogni
qual
volta
vi
avviene
(
in
questi
anni
ahi
troppo
spesso
)
di
assistere
al
passaggio
supremo
di
alcuno
dei
valenti
di
quella
generazione
che
cooperò
a
riconstituirvi
la
patria
,
a
riconstituire
di
tanti
volghi
dispersi
,
la
più
gloriosamente
dotata
delle
nazioni
latine
,
o
giovani
,
voi
dovete
pensare
:
pensare
quanto
voi
dovete
ai
vostri
maggiori
,
quanto
da
voi
aspetta
la
patria
.
I
vostri
maggiori
,
o
giovani
,
come
apprese
loro
il
padre
ideale
della
nuova
Italia
,
vollero
,
sempre
vollero
,
fortemente
vollero
;
e
vollero
le
nobili
e
alte
cose
.
Giuseppe
Regaldi
diceva
a
me
nelle
famigliari
conversazioni
,
e
lo
scrisse
per
avventura
in
alcun
de
'
suoi
libri
:
Io
ebbi
sempre
innanzi
tre
ideali
che
mi
si
andavano
a
grado
a
grado
allargando
nella
poesia
e
negli
studi
:
Dio
,
Patria
,
Umanità
.
Tre
grandi
ideali
in
vero
,
o
giovani
:
Dio
empié
la
storia
dei
popoli
semiti
:
la
Patria
fece
la
storia
di
Grecia
e
di
Roma
;
l
'
Umanità
va
informando
la
storia
nuova
iniziata
dal
pensiero
rivendicatosi
a
libertà
.
E
o
che
gl
'
ideali
della
Patria
e
dell
'
Umanità
si
voglia
considerare
come
trasformantisi
rispecchiati
nell
'
ideale
immanente
di
Dio
,
o
che
gl
'
ideali
di
Dio
e
della
Patria
si
considerino
come
trasformantisi
e
modificati
nell
'
ideale
permanente
dell
'
Umanità
,
il
vero
è
che
senza
ideali
le
civiltà
non
fioriscono
,
che
senza
ideali
non
v
'
è
disciplina
non
v
'
è
instituzione
.
L
'
arte
,
per
sé
sola
,
è
trastullo
inutile
:
la
scienza
,
fine
a
sé
stessa
,
è
inutile
tormento
:
ambedue
conspiranti
all
'
azione
fraternamente
umana
nella
luce
che
viene
dagli
esempi
degli
spiriti
magni
sono
la
corona
della
vita
.
Milizia
è
la
vita
degli
uomini
su
la
terra
sentenziò
il
savio
orientale
:
milizia
di
combattenti
per
il
vero
e
per
il
buono
,
dove
solo
è
la
felicità
.
E
se
questo
pensando
,
se
ripensando
al
passato
e
all
'
avvenire
d
'
Italia
,
con
una
mano
sul
cuore
,
voi
solleverete
un
momento
gli
occhi
al
cielo
della
patria
,
vi
parrà
,
o
giovani
,
vedere
i
vostri
padri
,
i
vostri
morti
,
accennarvi
dall
'
alto
e
inanimarvi
con
gli
scudi
circonfusi
di
gloria
e
rutilanti
di
luce
,
con
i
vessilli
sventolanti
vittoria
nell
'
azzurra
eternità
senza
passione
.
Bologna
,
16
Febbraio
1883
.
StampaPeriodica ,
Per
quindici
giorni
,
dalla
metà
alla
fine
di
novembre
scorso
,
tutta
Parigi
letteraria
si
è
occupata
di
questo
nuovo
poeta
.
Non
nuovo
affatto
.
Egli
era
l
'
idolo
,
il
maestro
le
maître
di
un
oscuro
cenacolo
letterario
composto
di
falsi
bohèmes
,
di
scrittori
falliti
,
di
chiacchieroni
d
'
arte
,
di
vagabondi
e
di
oziosi
nella
poesia
.
Quando
una
di
queste
piccole
accademie
si
forma
,
questi
spostati
,
questi
sognatori
inetti
,
questi
letterari
magniloquenti
e
impotenti
,
trovano
subito
un
genio
sconosciuto
da
poter
adorare
e
Parigi
è
piena
di
questi
cenacoli
stravaganti
,
vere
orgie
intellettuali
che
spossano
le
ultime
forze
di
quegli
ingegni
mediocri
.
Sarah
Bernhardt
ha
preso
con
due
ditini
della
sua
lunga
e
sottile
mano
il
poeta
ignoto
e
lo
ha
presentato
al
pubblico
di
Parigi
,
ai
cronisti
letterari
,
agli
scrittori
,
agli
editori
,
ai
direttori
di
teatro
.
Immediatamente
il
battesimo
letterario
è
caduto
sulla
fronte
del
poeta
in
forma
di
articoli
,
di
profili
,
di
cronache
,
di
indiscrezioni
,
di
novellette
.
Gli
è
che
questo
Rollinat
si
presta
meravigliosamente
all
'
articolo
.
Egli
comincia
dall
'
essere
impiegato
alle
pompe
funebri
,
il
che
gli
dà
subito
un
carattere
di
protagonista
d
'
Hoffmann
;
poi
ha
il
volto
pallido
,
una
criniera
leonina
foltissima
,
gli
occhi
neri
e
fatali
,
la
bocca
seria
,
pensosa
e
veste
di
nero
e
nel
ritratto
che
ho
qui
innanzi
è
avvolto
in
una
pelliccia
nera
.
Poi
egli
improvvisa
spesso
le
sue
poesie
,
in
un
salotto
tetro
,
coi
lumi
abbassati
,
tre
o
quattro
astanti
silenziosi
e
una
donna
magra
,
vestita
di
bianco
,
che
suoni
,
in
minore
,
una
polacca
malaticcia
di
Chopin
.
Poi
egli
siede
al
pianoforte
e
le
sue
poesie
le
canta
,
a
mezza
voce
,
sopra
ritmi
bizzarri
,
scotendo
la
grossa
testa
chiomata
,
ripetendo
malinconicamente
il
ritornello
musicale
e
poetico
.
Poi
egli
è
nevrotico
,
come
sono
tutti
un
po
'
,
a
Parigi
,
da
Sarah
Bernhardt
a
Barbey
d
'
Aurevilly
,
da
Luisa
Michel
a
Sardou
,
da
Cassagnac
a
Rochefort
.
Salvo
che
Rollinat
è
molto
nevrotico
;
anzi
il
suo
grosso
volume
di
poesie
,
uscito
dieci
giorni
fa
,
dall
'
editore
Charpentier
,
è
intitolato
:
les
névroses
.
Il
contenuto
di
questa
sua
forma
poetica
è
il
fantastico
.
Rollinat
ha
dovuto
leggere
e
rileggere
,
sempre
,
Edgardo
Poe
,
tanto
sono
forti
in
lui
le
influenze
del
grande
scrittore
americano
.
Ma
il
fantastico
di
Poe
ha
un
tale
carattere
di
lucidità
,
una
costruzione
così
matematica
,
una
evidenza
così
netta
e
così
terribile
talvolta
,
da
rimanere
una
forma
aristocratica
e
squisitamente
sensibile
dell
'
arte
.
Quest
'
uomo
mezzo
pazzo
,
mezzo
alcoolizzato
,
portava
nelle
sue
mostruose
concezioni
una
profondità
d
'
analisi
fredda
,
un
lavorío
tranquillo
e
impersonale
,
rigido
,
inflessibile
.
Era
il
sogno
squadrato
e
misurato
col
compasso
;
il
paradosso
immenso
dimostrato
,
l
'
impossibile
che
pareva
realtà
,
l
'
incubo
disegnato
nei
suoi
contorni
precisi
,
la
follia
diventata
logica
.
Il
più
solido
ragionatore
non
resiste
alla
prolungata
lettura
di
Poe
,
tanto
lo
seduce
,
lo
conquide
l
'
efficacia
assoluta
,
precisa
di
quel
fantastico
.
Invece
il
fantastico
di
Rollinat
,
fabbricato
su
ricordi
di
Poe
e
di
Hoffmann
,
è
un
vagabondaggio
di
sogni
paurosi
che
lasciano
glaciale
il
lettore
,
è
una
vecchia
ridda
di
spettri
troppo
conosciuti
,
è
l
'
incubo
convenzionale
o
cercato
troppo
o
assolutamente
nebuloso
.
Il
fantastico
in
poesia
,
come
il
paesaggio
in
pittura
,
è
una
forma
altissima
,
accessibile
solo
alle
nature
più
elette
.
Chi
vi
si
arrischia
senza
queste
acute
,
raffinate
,
tormentose
qualità
d
'
intelligenza
,
corre
il
grave
pericolo
di
essere
volgare
.
Così
Rollinat
.
Immediatamente
dopo
l
'
imitazione
di
Poe
,
viene
quella
di
Baudelaire
anzi
,
questa
seconda
più
chiara
,
trattandosi
di
poeta
e
poeta
.
Come
Baudelaire
,
Rollinat
canta
i
cieli
clorotici
,
le
donne
-
serpenti
,
le
apparizioni
notturne
,
le
vergini
anemiche
dalle
labbra
bianche
,
i
paesaggi
metallici
e
senz
'
aria
.
Egli
ha
come
Baudelaire
la
passione
piena
di
terrore
pei
gatti
,
egli
ha
come
Baudelaire
la
passione
voluttuosa
pei
profumi
.
Di
Baudelaire
egli
imita
la
forma
del
periodo
,
il
verso
finale
d
'
ogni
poesia
,
il
titolo
,
tanto
che
molti
pezzi
delle
Névroses
sembrano
decalcati
su
quelli
dei
Fleurs
du
mal
.
Ma
le
qualità
simpatiche
di
Baudelaire
,
quella
brevità
quasi
sdegnosa
dell
'
artista
che
non
vuole
far
dilagare
la
forza
del
pensiero
nel
flusso
della
parola
,
quella
misura
del
colore
e
del
sentimento
,
quella
cesellatura
della
forma
come
un
gioiello
del
Cellini
mancano
nel
Rollinat
.
Quello
che
Baudelaire
dice
in
quattordici
versi
,
pieni
di
senso
intimo
nella
scelta
delle
parole
,
quasi
nella
loro
posizione
,
Rollinat
lo
allunga
in
quindici
strofe
,
perdendo
così
ogni
efficacia
.
La
poesia
Réversibilité
di
Baudelaire
che
comincia
:
Ange
plein
de
gaieté
,
connaissez
-
vous
l
'
angoisse
?
si
sperde
miserabilmente
nell
'
Introuvable
di
Rollinat
.
È
come
un
motivo
saliente
,
concentrato
e
vivo
,
su
cui
uno
scolaro
esagera
una
quantità
di
variazioni
insistenti
salendo
alle
ottave
acute
,
scendendo
a
quelle
gravi
,
dando
prima
l
'
oppressione
,
poi
la
nausea
all
'
uditorio
.
La
fierezza
di
Baudelaire
che
consisteva
nel
non
concedere
nulla
alla
rettorica
,
nulla
all
'
effetto
teatrale
,
nulla
al
pubblico
,
scompare
in
Rollinat
.
Egli
si
preoccupa
del
lettore
,
teme
che
egli
non
comprenda
bene
,
ritorna
su
quello
che
ha
detto
,
lo
spiega
,
lo
infiora
e
giù
i
trilli
,
le
appoggiature
,
gli
allargamenti
sul
motivo
conosciuto
.
L
'
opera
di
Baudelaire
ha
questa
impronta
quasi
selvaggia
del
poeta
che
scrive
per
i
pochi
e
del
resto
non
si
cura
:
è
un
'
opera
orgogliosa
ed
aspra
,
piena
di
fermezza
nei
suoi
pregi
.
Invece
l
'
opera
di
Rollinat
è
molliccia
,
molto
facile
,
indulgente
alla
sciocchezza
dei
lettori
,
piena
di
concessioni
borghesi
.
Poi
,
in
questo
grosso
volume
straripa
un
subbiettivismo
affogante
.
Questo
poeta
non
sa
vedere
,
pensare
,
ideare
,
niente
fuori
di
sé
.
Il
suo
ideale
è
nell
'
anima
propria
,
anzi
nelle
proprie
sensazioni
,
sottomesse
a
un
'
osservazione
,
che
è
quasi
sempre
ammirazione
.
Sue
le
lagrime
,
i
sorrisi
,
i
singhiozzi
,
gli
strappi
,
i
sussulti
,
gli
incubi
,
i
succubi
,
le
paure
,
le
follie
il
mondo
intorno
non
esiste
,
altri
viventi
non
esistono
,
altri
cuori
non
battono
.
Mai
l
'
egoismo
sensuale
trovò
tanto
largamente
la
forma
poetica
.
Mentre
nei
veri
e
forti
poeti
vi
è
la
tendenza
all
'
irradiazione
,
in
Rollinat
vi
è
la
tendenza
a
una
restrizione
assoluta
nel
proprio
individuo
.
Egli
non
ha
il
disdegno
dell
'
umanità
che
può
essere
sorgente
di
buona
poesia
,
ma
ne
ha
la
dimenticanza
.
Anche
i
suoi
paesaggi
sono
subbiettivi
,
uno
tutto
rosso
,
l
'
altro
tutto
verde
,
l
'
altro
tutto
bigio
,
come
egli
li
vede
,
in
una
specie
di
sogno
fantastico
,
che
è
il
Daltonismo
della
immaginazione
.
E
finalmente
quello
che
dà
un
carattere
di
monotonia
,
di
romanza
per
camera
,
è
il
ritornello
continuo
,
è
la
ripetizione
costante
dell
'
ultimo
verso
alla
fine
di
ogni
quartina
,
di
ogni
ottava
,
è
questo
martellamento
fastidioso
che
rammenta
i
componimentini
poetici
recitati
dai
bimbi
per
l
'
onomastico
del
nonno
.
Gli
è
che
Rollinat
ha
da
cantare
i
suoi
versi
.
Eppure
,
questo
libro
di
versi
,
non
è
scritto
senza
un
singolare
ingegno
poetico
.
Qua
e
là
sgorga
una
nota
pura
e
originale
,
trapela
un
raggio
sottile
e
acuto
di
luce
propria
.
In
sostanza
quello
che
guasta
questo
libro
è
la
ricerca
affannata
del
bizzarro
,
la
volontà
di
fare
l
'
orrido
a
ogni
costo
,
il
desiderio
di
stordire
con
l
'
immane
,
con
l
'
inaudito
è
il
partito
preso
dello
scrittore
,
la
rovina
dell
'
opera
.
Manca
a
Rollinat
la
serenità
larga
dell
'
artista
,
gli
manca
l
'
indipendenza
.
Avido
di
successo
,
egli
lo
domanda
a
tutte
le
stravaganze
e
a
tutti
i
pimenti
.
Senza
questa
sciagurata
tendenza
,
egli
sarebbe
un
altro
Coppée
,
vale
a
dire
un
poeta
armonioso
,
delicato
,
placidamente
lacrimoso
e
roseamente
innamorato
,
miniaturista
elegante
,
sinfonia
in
tôno
minore
,
gruppo
di
fiori
dai
profumo
blandi
.
Attraverso
les
névroses
si
scatena
una
danza
macabra
di
scheletri
e
vi
si
respira
un
forte
odore
di
acido
fenico
.
Vi
si
sente
dentro
l
'
impiegato
alla
pompe
funebri
.
StampaPeriodica ,
La
nostra
generazione
,
non
voglio
negarlo
,
avrà
tutte
le
virtù
;
certo
,
crede
d
'
averne
molte
che
non
ebbero
le
generazioni
passate
:
ma
una
ve
n
'
ha
che
nei
nostri
padri
fu
tanto
forte
e
a
noi
pare
sia
stata
negata
inesorabilmente
:
la
compassione
.
La
nostra
generazione
ha
troppa
fretta
,
perché
gli
rimanga
tempo
da
compatire
;
se
nella
corsa
vertiginosa
che
la
sospinge
in
alto
i
deboli
rimangono
a
mezza
strada
spossati
,
non
sarà
certo
ora
che
li
raccoglieremo
pietosamente
per
metterli
bocconi
a
bisdosso
dei
muli
dell
'
ambulanza
:
chi
muore
giace
;
le
file
che
incalzano
non
sanno
guardarsi
i
piedi
,
e
passano
sopra
.
Si
cammina
,
non
v
'
è
da
dubitare
;
e
non
mi
parrebbe
strano
se
una
delle
prossime
legislature
cercasse
d
'
avvalorare
la
legge
suprema
della
vita
ordinando
la
soppressione
assoluta
dei
deboli
:
qualche
cosa
da
sostituire
al
Taigeta
si
troverebbe
.
Certo
,
la
nuova
vita
sociale
,
che
offre
ogni
altezza
libera
a
chi
la
vuoi
raggiungere
,
doveva
,
animata
dalle
idee
nuove
,
portare
a
queste
conseguenze
;
ma
nell
'
insolita
ferocia
entra
senza
dubbio
per
un
pochino
anche
la
reazione
contro
la
troppo
tenerezza
di
cuore
dei
padri
.
Gran
parte
del
romanticismo
non
fu
,
a
guardarlo
bene
,
che
una
società
di
mutuo
soccorso
fra
i
deboli
:
uniti
,
essi
capirono
che
avrebbero
fatto
passare
la
propria
fiacchezza
come
una
tirannia
.
Oh
la
bella
schiera
di
fatali
dalle
bionde
capigliature
spioventi
che
il
vento
dell
'
ispirazione
sollevava
e
agitava
!
povere
arpe
eolie
,
essi
aspettavano
la
mano
invisibile
che
flagellasse
le
corde
tese
oltre
l
'
ordinario
;
gentili
giovinette
angelicate
,
essi
reclinavano
la
testa
sul
braccio
manco
levato
,
e
i
lunghi
capelli
raccolti
in
sette
corde
d
'
oro
,
poi
riuniti
tutti
fra
un
dito
e
l
'
altro
del
piede
,
facevano
l
'
arpa
divina
su
cui
la
mano
destra
doveva
correre
guidata
dall
'
alto
.
Ora
,
all
'
esigenza
del
pubblico
ci
vuol
altro
.
Si
guardi
il
Carducci
in
Italia
;
si
guardi
Zola
in
Francia
.
Se
qualche
atteggiamento
speciale
ce
li
raffigura
nella
loro
lotta
col
pubblico
,
essi
non
possono
apparire
che
atleti
:
hanno
le
maniche
rimboccate
fino
all
'
ascella
,
e
le
loro
braccia
si
gonfiano
di
muscoli
michelangioleschi
a
domar
le
sette
teste
dell
'
idra
ribelle
.
Col
pubblico
,
insomma
,
gli
scrittori
ora
son
uomini
,
e
cercano
di
vincere
;
quarant
'
anni
sono
eran
donne
,
e
come
le
donne
si
corazzavano
di
debolezza
.
Ma
la
lotta
,
per
questo
,
non
è
che
assai
più
pericolosa
.
Guai
se
gli
atleti
vacillano
!
Guai
se
un
di
quei
tremiti
istantanei
e
irragionevoli
,
che
hanno
anche
i
più
gagliardi
,
pervade
loro
le
braccia
e
le
fa
sentire
ai
vinti
infiacchite
:
la
riscossa
è
pronta
,
e
alla
riscossa
segue
la
vendetta
feroce
,
implacabile
.
Perché
,
anche
la
tirannìa
intellettuale
è
una
tirannìa
,
e
delle
più
difficili
a
sopportare
:
se
gli
uomini
riescono
a
scuoterla
,
non
v
'
ha
dubbio
,
si
vendicano
Contro
Zola
questa
vendetta
comincia
di
già
:
in
Francia
non
ancora
,
perché
la
Francia
è
stata
più
lenta
a
piegare
;
ma
proprio
e
specialmente
in
Italia
dove
il
fiero
novelliere
ebbe
più
pronta
e
intera
vittoria
.
Si
loda
,
sì
ancora
,
per
forza
d
'
inerzia
;
ma
si
compra
anche
,
più
che
per
ammirare
per
giudicare
.
Si
giudica
anzi
,
senza
comprare
e
senza
leggere
;
si
condanna
anche
a
torto
,
solo
perché
si
sente
venuta
l
'
ora
di
condannare
.
E
questo
è
il
peggiore
dei
sintomi
:
vuoi
dire
che
all
'
accusato
non
si
concede
difesa
,
che
,
consenta
o
no
la
giustizia
apparente
,
la
giustizia
suprema
vuole
inesorabilmente
così
.
La
nuova
generazione
italiana
ha
addosso
una
gran
fregola
novellistica
;
ella
si
sente
,
e
forse
ha
,
linfa
bastante
a
buttate
vigorose
e
durevoli
:
ma
per
questo
,
ella
sente
,
è
necessario
l
'
affrancamento
dalla
servitù
zoliana
;
per
questo
è
necessario
che
Zola
cada
.
Contro
una
forza
di
questo
genere
non
v
'
è
remissione
:
expedit
ut
moriatur
unus
homo
pro
populo
.
Ma
bisogna
anche
dire
che
Zola
fa
per
conto
suo
tutto
il
possibile
per
affrettare
la
morte
.
Non
giova
ch
'
egli
si
mantenga
all
'
altezza
acquistata
:
uno
scrittore
che
non
aggiunge
ogni
primavera
nuove
penne
e
più
forti
alle
sue
ali
,
è
caduto
.
La
Page
d
'
amour
,
Nana
,
Pot
-
Bouille
furon
tutte
battute
d
'
ala
per
reggersi
;
ora
Au
bonheur
des
dames
è
lo
stesso
:
il
pubblico
non
vuol
altro
;
egli
sa
oramai
che
al
forte
novelliere
manca
la
forza
che
un
nuovo
slancio
gli
chiederebbe
.
Quest
'
ultimo
romanzo
(
come
del
resto
quasi
tutti
gli
altri
di
Zola
,
ed
è
naturale
)
sfuma
al
racconto
:
se
ne
dà
il
primo
schema
con
una
frase
:
la
lotta
del
gran
commercio
col
piccolo
.
Il
gran
commercio
,
polipo
immane
,
conoscitore
sicuro
di
tutte
le
debolezze
moderne
applica
ad
ognuna
di
esse
le
sue
ventose
,
e
tira
a
suo
profitto
il
danno
comune
:
intorno
i
piccoli
commercianti
,
retti
soli
dall
'
abitudine
,
sdegnando
ogni
lusinga
intesa
a
mantenere
fedele
la
donna
muoiono
a
uno
a
uno
d
'
inedia
e
le
donne
li
abbandonano
attratte
in
folla
dal
fascino
del
gran
seduttore
.
Mouret
stesso
,
il
protagonista
,
lo
mostra
all
'
opera
.
«
Prima
di
tutto
è
la
potenza
moltiplicata
dell
'
accumulazione
,
tutte
le
merci
radunate
in
un
luogo
a
sostenersi
e
a
incalzarsi
;
mai
mancanze
,
sempre
l
'
articolo
della
stagione
è
là
:
l
'
avventrice
si
trova
stretta
,
compra
il
panno
qui
,
là
il
filo
,
in
un
altro
luogo
il
mantello
;
si
veste
,
poi
trova
cose
non
prevedute
,
cede
al
bisogno
dell
'
inutile
e
dell
'
elegante
.
Poi
la
marca
a
prezzi
fissi
.
La
gran
rivoluzione
parte
da
questa
novità
.
Se
il
vecchio
commercio
,
il
commercio
minuto
agonizza
,
è
perché
non
può
sostenere
la
lotta
al
ribasso
intrapresa
dalla
marca
.
Ora
la
concorrenza
avviene
sotto
gli
occhi
stessi
del
pubblico
:
un
'
occhiata
alle
vetrine
stabilisce
i
prezzi
,
ogni
magazzino
ribassa
contentandosi
del
minore
guadagno
possibile
:
nessuna
truffa
,
non
arricchimenti
meditati
a
lungo
sur
un
genere
venduto
il
doppio
del
costo
,
ma
operazioni
correnti
,
un
tanto
per
cento
regolare
defalcato
da
tutti
i
generi
;
la
fortuna
affidata
al
buon
andamento
d
'
una
vendita
,
tanto
più
larga
quanto
si
faceva
alla
luce
.
La
rivoluzione
metteva
lo
scompiglio
nella
piazza
,
trasformava
Parigi
,
perché
era
fatta
con
la
carne
e
col
sangue
della
donna
.
Questa
l
'
anima
del
gran
mostro
:
chi
glie
la
infonde
è
Mouret
.
Agitato
da
quest
'
anima
,
esso
cresce
fino
a
proporzioni
inaudite
.
Tutte
le
lusinghe
per
le
quali
si
può
attirare
la
donna
esso
le
sfoggia
;
tutte
le
vie
per
le
quali
l
'
oro
può
rifluire
alle
sue
vene
le
trova
:
e
il
suo
sangue
poi
serve
a
nutrire
tutto
un
popolo
di
larve
umane
,
un
gran
falanstèro
,
che
nella
mente
di
Zola
sarebbe
un
'
immagine
delle
famiglie
operaie
che
avrà
la
società
di
quest
'
altro
secolo
.
A
capo
,
Mouret
.
Ma
dal
basso
,
dalla
rovina
generale
del
commercio
minuto
si
leva
una
cara
e
soave
immagine
di
giovinetta
.
Fattasi
forte
della
sua
debolezza
ella
entra
fra
quel
popolo
di
larve
maligne
e
lo
domina
;
rassegnata
e
costante
,
ferma
,
incrollabile
sotto
la
grazia
apparente
delle
maniere
essa
sale
sempre
più
alto
,
fino
a
che
non
arriva
alle
braccia
aperte
di
Mouret
,
divenuta
«
onnipotente
»
.
Zola
,
certo
,
non
ci
ha
pensato
,
si
potrebbe
giurare
;
ma
la
distribuzione
delle
masse
di
quest
'
azione
richiama
,
a
rovescio
,
la
distribuzione
del
Ruy
-
Blas
.
Là
è
la
nobiltà
che
crolla
,
finita
,
di
contro
all
'
ascensione
del
popolo
;
solo
della
nobiltà
una
donna
rimane
alta
su
le
ruine
,
e
dal
popolo
si
stacca
un
uomo
,
un
servo
,
che
sale
tanto
da
arrivar
fino
a
lei
.
Questo
raffronto
non
è
senza
ragione
:
non
se
n
'
abbia
a
male
il
mio
amico
Renier
,
ma
l
'
idea
prima
di
questo
romanzo
sperimentale
è
romantica
.
Proprio
così
.
Nella
maggior
parte
dei
romanzi
di
Zola
c
'
è
il
mostro
che
divora
l
'
uomo
.
C
'
è
un
'
azione
meccanica
o
una
macchina
che
prende
gli
uomini
e
li
assorbe
,
costituendone
e
crescendone
la
propria
azione
,
o
adoperandoli
come
ordigni
.
La
piena
trascinatrice
o
la
macchina
:
nel
corso
dei
fatti
umani
,
Zola
non
intende
,
non
vede
,
non
riproduce
altro
.
Ora
questo
male
posa
sopra
una
concezione
debole
e
falsa
del
mondo
,
non
solo
umano
,
ma
organico
;
da
una
concezione
di
quel
mondo
puramente
e
rudimentalmente
meccanica
.
Nella
Conquête
de
Plassans
,
per
esempio
,
è
l
'
invasione
clericale
bonapartista
che
si
ripercuote
in
una
famiglia
;
nella
Curée
è
lo
sbrigliamento
degli
appetiti
,
lo
strepito
,
delle
mascelle
di
centomila
cani
affamati
che
assorda
Parigi
e
lo
copre
;
nel
Ventre
de
Paris
sono
i
grandi
mercati
;
nel
Pot
-
Bouille
la
casa
borghese
;
nel
Bonheur
des
dames
il
magazzino
titanico
.
Si
vedano
i
titoli
,
per
esempio
:
non
paia
pedanterìa
;
in
un
'
opera
d
'
immaginazione
i
titoli
rappresentano
generalmente
l
'
immagine
nella
quale
lo
scrittore
raccoglie
tutta
la
vita
dell
'
opera
.
Gli
altri
novellieri
,
generalmente
,
si
tengono
al
nome
del
protagonista
;
se
fanno
prevalere
l
'
analisi
psicologica
,
dànno
al
libro
il
nome
della
malattia
presa
in
esame
.
Zola
no
:
dà
il
nome
della
cosa
,
il
nome
dell
'
azione
che
domina
nel
racconto
senza
contrasto
,
il
nome
della
macchina
trionfatrice
.
E
questo
concetto
della
vita
,
scientificamente
falso
,
se
n
'
avveda
egli
o
no
,
gli
si
fa
sempre
più
fermo
e
sicuro
.
Nel
penultimo
romanzo
,
Pot
-
Bouille
,
è
la
casa
che
vive
,
non
gli
uomini
.
L
'
anima
della
casa
viene
alle
penombra
del
grande
scalone
silenzioso
,
trasfusa
dalle
grandi
porte
lucide
,
dietro
le
quali
s
'
intravedono
abissi
d
'
onestà
.
Letto
il
romanzo
,
di
quelle
donne
,
di
quegli
uomini
,
che
cosa
rimane
?
Nulla
.
Il
frutto
è
fresco
e
colorito
di
fuori
:
chi
lo
spacchi
e
apra
a
una
a
una
le
loggie
che
chiudono
i
semi
,
trova
in
tutte
una
famiglia
di
vermi
.
Tutto
il
romanzo
dà
l
'
impressione
del
brulicame
d
'
una
gran
verminaia
,
d
'
un
rosichío
senza
posa
di
boccucce
nere
.
Così
nel
Bonheur
des
dames
.
La
vita
è
lontana
,
molto
lontana
,
da
tutti
quei
piccoli
commercianti
,
da
tutti
quei
commessi
senza
numero
,
code
di
rondine
che
si
muovono
,
da
tutte
quelle
venditrici
,
abiti
di
seta
ripieni
.
Non
è
neppure
in
Dionisia
,
neppure
in
Mouret
.
Dionisia
non
è
veduta
,
è
voluta
;
Mouret
è
una
personificazione
.
Ciascuno
di
questi
uomini
sacrifica
la
sua
animuccia
primitiva
alla
grande
anima
del
magazzino
:
son
ordigni
,
non
uomini
,
ed
entrano
tutti
nel
moto
della
gran
macchina
:
le
loro
voci
muoiono
;
il
rombo
assordante
del
grande
arnese
le
assorbe
.
Ora
questa
,
come
costruzione
fantastica
potrà
anche
piacere
,
potrà
anche
esser
bella
:
anche
questa
è
mitologia
;
mitologia
che
non
oltrepassa
la
concezione
meccanica
,
che
non
arriva
alla
concezione
umana
,
frutto
insomma
di
mente
ristretta
:
ma
non
importa
;
come
ogni
mitologia
,
è
discutibile
ed
accettabile
.
Non
ci
si
domandi
però
se
lì
noi
troviamo
riprodotta
la
vita
:
risponderemmo
di
no
.
Non
ci
si
domandi
se
lì
noi
troviamo
arte
vera
;
risponderemmo
di
no
.
Che
i
novellieri
ci
diano
gli
uomini
vivi
,
e
noi
nelle
sue
novelle
troveremo
la
vita
;
che
li
facciano
immortali
con
gli
uomini
,
e
ci
troveremo
l
'
arte
.
Il
rombo
ci
darà
la
voce
d
'
un
alveare
;
a
darci
la
voce
degli
uomini
,
non
basta
:
per
questo
,
bisogna
ch
'
essi
parlino
,
bisogna
che
si
mostrino
e
operino
nel
dramma
.
Qui
lo
svolgimento
del
dramma
è
impedito
e
soffocato
dallo
strepito
disarmonico
dell
'
orchestra
.
StampaPeriodica ,
Luigi
Capuana
è
un
vecchio
giovine
,
o
,
se
vi
piace
meglio
,
un
giovine
vecchio
;
e
a
chi
lo
conosca
pel
complesso
della
sua
molta
attività
di
novellatore
e
di
critico
,
fa
una
strana
maraviglia
lo
spettacolo
di
quella
bella
maturità
vigorosa
improntata
nella
testa
calva
e
nel
poco
pelame
bianco
.
La
sua
persona
inclinante
sensibilmente
alla
pinguedine
parrebbe
in
punto
di
precipitare
nella
vecchiaia
adiposa
e
sonnacchiosa
;
ma
sotto
quell
'
apparenza
senile
si
sente
la
forza
del
sistema
muscolare
nel
pieno
rigoglio
dello
sviluppo
organico
,
e
dagli
occhietti
grigi
balena
la
gioventù
dello
spirito
.
Luigi
Capuana
è
giunto
,
ora
alla
perfezione
della
sua
costituzione
fisica
e
mentale
:
vi
è
giunto
col
sacrifizio
dei
suoi
capelli
e
della
barba
.
È
colpa
del
pelo
,
morto
troppo
presto
,
o
del
Capuana
,
maturato
con
troppa
lentezza
?
Io
non
ho
mai
veduto
la
sua
fede
di
nascita
,
e
non
credo
che
lo
stato
civile
sia
un
utile
elemento
di
critica
.
Certo
questo
singolare
scrittore
sta
ora
nel
sommo
della
sua
curva
,
e
le
ultime
opere
del
suo
intelletto
hanno
la
franchezza
robusta
della
virilità
piena
.
Non
piccolo
segno
questo
di
serietà
e
di
forte
tempra
artistica
in
un
paese
ove
da
vent
'
anni
in
qua
i
novellatori
vanno
innanzi
con
le
bende
sugli
occhi
,
deviando
e
tentennando
,
senza
sapere
quello
che
si
vogliono
,
né
quel
che
si
facciano
,
senz
'
altro
pensiero
che
di
una
faticosa
e
vana
produzione
di
materia
grezza
,
pubblicando
ad
un
tempo
un
libro
ove
qualche
barlume
d
'
arte
trapela
e
un
altro
che
non
è
se
non
lo
sforzo
della
più
abietta
e
più
miserabile
necessità
industriale
.
Il
Capuana
non
ha
avuto
mai
sdrucciolamenti
,
né
pencolamenti
,
né
pentimenti
;
ma
un
pensiero
solo
,
anzi
un
solo
caldissimo
e
purissimo
sentimento
di
religioso
amore
per
l
'
arte
lo
ha
tratto
sempre
più
in
alto
,
dalle
prime
prove
,
romantiche
tuttavia
e
mal
sicure
,
dei
Ritratti
di
donna
e
di
Giacinta
,
alle
opere
quasi
perfette
di
C
'
era
una
volta
e
di
Homo
.
Il
Capuana
ha
avuto
una
maturità
lenta
e
faticosa
.
A
lui
non
concessero
i
numi
una
materia
cerebrale
spumante
per
la
fermentazione
precoce
,
ed
effervescente
in
una
bella
fumata
di
vario
colore
,
graziosa
e
leziosa
e
capziosa
al
contrasto
dei
raggi
solari
,
né
volle
il
divo
Apolline
assentirgli
quel
facile
e
prezioso
talento
di
assimilazione
,
pel
quale
tanti
cervellini
mascolini
e
femminili
assorbono
tanto
materiale
d
'
importazione
francese
,
e
con
poca
fatica
di
ruminamento
lo
rivomitano
maldigerito
e
sporco
ancora
dei
colori
repubblicani
.
Egli
è
giunto
all
'
altezza
presente
non
senza
molto
sforzo
della
volontà
e
una
assai
pertinace
tensione
di
tutta
la
sua
attività
vitale
.
Non
si
è
ritrovato
sbalestrato
in
alto
per
un
capriccio
della
fortuna
o
del
favor
popolare
;
ma
ci
è
giunto
per
proposito
deliberato
,
arrampicandosi
.
Per
questo
,
mentre
gli
altri
che
pur
non
sono
rimasti
in
terra
,
si
guardano
intorno
sbigottiti
per
l
'
altezza
e
già
colti
dalla
vertigine
,
egli
sta
sicuro
e
spazia
intorno
tranquillamente
,
poiché
sa
il
terreno
,
e
la
via
fatta
,
e
quella
che
ancora
resta
a
fare
.
Guardatelo
nella
vita
privata
.
Non
cerca
i
convegni
,
ove
tra
il
fumo
dei
cattivi
sigari
,
nel
cemento
dell
'
adulazione
reciproca
,
si
gettano
e
si
ribadiscono
le
reputazioni
traballanti
.
Egli
vive
solitario
,
o
esercitando
quell
'
attività
non
usurpata
dall
'
arte
a
benefizio
del
comune
,
della
patria
Mineo
,
o
a
Roma
,
tra
pochi
amici
non
investiti
di
nessuna
potestà
sacerdotale
e
non
turiferarii
,
né
torcieri
,
né
vessilliferi
.
Egli
studia
e
lavora
,
e
fuma
sigarette
tranquillamente
,
estraneo
al
rimescolìo
delle
mediocrità
impazienti
nell
'
ambizione
,
gittando
senza
strepiti
e
senza
spavalderie
una
base
veramente
solida
al
futuro
romanzamento
italiano
.
Per
le
quali
cose
,
il
Capuana
non
può
essere
giudicato
equamente
da
un
libro
solo
;
ma
è
necessario
seguirlo
a
traverso
tutta
la
sua
attività
critica
e
risalire
tutta
la
curva
della
sua
ascensione
narrativa
per
abbracciare
l
'
efficace
opera
di
ammaestramento
e
di
moralizzamento
ch
'
egli
ha
fatto
e
va
tuttavia
facendo
nell
'
arte
del
novellatore
.
Egli
è
stato
dei
primi
a
gittar
le
grida
contro
l
'
empirismo
dell
'
arte
costituzionale
;
e
,
venuto
di
Sicilia
rozzo
ancora
e
immaturo
,
e
in
molta
parte
impreparato
e
ineducato
,
si
gittò
a
combattere
a
mezza
spada
con
quei
brillanti
spiriti
,
che
tra
l
'
accasermamento
italiano
in
Firenze
andavano
rivendendo
a
buon
mercato
le
scolature
del
Figaro
,
che
nella
rocca
di
Milano
abbandonata
dal
Manzoni
nelle
mani
dei
Farisei
costruivano
teoriche
estetiche
ed
etiche
tra
le
piramidi
del
Gorgonzola
e
le
cataste
dello
Stracchino
.
In
una
prefazione
che
il
buon
Leopoldo
Marenco
pose
innanzi
a
certa
sua
commedia
,
si
domanda
al
lettore
con
un
tono
tra
di
maraviglia
dispettosa
e
di
compassione
stizzosa
se
conoscono
un
certo
Capuana
che
osa
dir
male
di
lui
,
Leopoldo
Marenco
,
grande
ciambellano
della
pastorelleria
comica
e
del
lattime
teatrale
e
conferitore
patentato
di
speroni
d
'
oro
in
cartone
dipinto
a
tutti
gli
attori
giovani
del
felice
regno
d
'
Italia
.
E
si
seccavano
,
a
Firenze
e
a
Milano
,
di
questo
barbuto
nero
che
veniva
a
intorbidare
la
soave
persuasione
del
rinascimento
spirituale
crescente
all
'
ombra
del
gran
caprifico
della
Costituzione
;
poiché
temevano
una
novità
nella
loro
arte
da
rigattieri
peggio
d
'
una
riforma
dello
Statuto
,
e
un
pungiglione
critico
più
che
tutti
gli
assilli
repubblicani
.
Leone
Fortis
lo
guardò
come
il
cane
della
favola
quando
si
vide
insidiato
il
mucchio
della
paglia
,
e
Paolo
Ferrari
sudò
freddo
pel
tremito
e
per
l
'
orrore
vedendo
la
prima
volta
quella
barba
siciliana
.
Tutti
così
,
questi
robivecchi
provveditori
di
materiale
scenico
e
di
bambagia
gazzettiera
!
Non
hanno
nemmeno
la
virtù
della
resistenza
;
ma
si
oppongono
col
peso
della
loro
inerzia
,
e
brontolano
,
percossi
dalla
paura
e
dallo
stupore
.
Così
,
quando
Paolo
Ferrari
vide
nelle
vetrine
dei
librai
milanesi
il
libretto
di
Luigi
Lodi
consacrato
a
lui
,
si
voltò
a
Leone
Fortis
con
un
'
aria
d
'
uomo
infastidito
,
dicendo
:
Sarà
uno
dei
soliti
adulatori
.
Ma
come
ne
ebbe
letto
due
pagine
,
la
faccia
gli
diventò
verde
,
e
le
braccia
gli
cascarono
lungo
i
fianchi
,
e
il
libro
cadde
per
terra
.
E
pure
,
in
questo
ambiente
lombardo
riescì
il
Capuana
a
piantare
una
incudine
;
e
battendo
,
battendo
,
battendo
,
e
sempre
più
liberando
se
stesso
dalle
scorie
,
fu
il
primo
e
più
efficace
predicatore
dei
canoni
naturalisti
;
e
certamente
giovò
assai
a
fermare
sull
'
orlo
del
precipizio
il
suo
compatriota
Giovanni
Verga
,
che
da
principio
cedeva
troppo
volentieri
alle
furie
del
suo
intelletto
caldissimo
.
Il
Verga
giova
anch
'
esso
non
poco
a
porre
in
miglior
luce
il
Capuana
;
poiché
quel
siciliano
lombardizzato
e
incivilito
,
dopo
aver
gittato
molto
calore
della
fantasia
e
molto
fremito
nervoso
ad
aliare
un
alito
afrodisiaco
in
certa
bambagina
avviluppata
intorno
ad
esili
scheletri
narrativi
,
dopo
aver
buttato
le
ultime
scorie
romantiche
in
certi
strani
compiacimenti
di
lascivia
idilliaca
,
pareva
che
dovesse
morire
di
spinite
mentale
;
quando
,
inaspettatamente
,
ricomparve
rinnovato
,
riapparve
in
forma
d
'
un
uomo
maturo
e
del
più
serio
fra
i
nostri
artisti
leggieri
.
E
la
gente
,
maravigliando
,
se
bene
i
Malavoglia
seccassero
alquanto
i
lettori
,
lo
contrappose
ai
naturalisti
francesi
;
e
lo
vide
sempre
più
ascendere
sino
alla
gloria
delle
Novelle
rusticane
,
gridando
quasi
al
miracolo
.
E
nessuno
pensò
che
forse
una
buona
parte
del
miracolo
si
doveva
a
quel
singolare
martellatore
di
Luigi
Capuana
,
il
quale
,
dopo
aver
predicato
il
vangelo
naturalista
,
aveva
dedicato
ad
Emilio
Zola
un
romanzo
,
il
primo
romanzo
sperimentale
e
veramente
serio
stampato
in
Italia
dopo
il
Manzoni
.
La
grande
fortuna
di
Zola
in
Italia
procede
segnatamente
dal
Capuana
;
il
quale
,
mentre
i
capelli
cadevano
e
andavano
sempre
più
brizzolandosi
,
studiava
la
letteratura
contemporanea
in
Italia
e
in
Francia
con
più
di
serietà
,
che
non
i
farfallini
fanfulleggianti
che
camparono
quindici
anni
sul
panciotto
rosso
di
Teofilo
Gautier
e
sulle
bricciche
di
Alfonso
Karr
.
Di
più
egli
ebbe
una
fortunata
intuizione
;
una
di
quelle
intuizioni
che
non
possono
lampeggiare
se
non
in
un
intelletto
veramente
materiato
d
'
arte
.
Intese
tutto
il
beneficio
che
potrebbe
venire
all
'
arte
narrativa
dallo
studio
del
materiale
popolaresco
;
e
con
tanto
amore
studiò
e
si
compenetrò
delle
forme
e
dello
spirito
dell
'
arte
del
popolo
che
nel
1879
,
pubblicando
le
poesie
siciliane
di
Paolo
Maura
poté
aggiungervene
in
fine
due
che
paiono
affatto
simili
alle
popolari
,
che
ha
potuto
nell
'
autunno
scorso
pubblicare
un
libro
di
fiabe
,
le
quali
,
come
già
ho
avuto
occasione
di
dire
,
a
me
paiono
una
cosa
perfetta
.
E
nel
nuovo
volume
di
novelle
intitolato
Homo
!
che
certamente
con
le
Rusticane
del
Verga
è
il
migliore
libro
narrativo
pubblicato
in
Italia
dopo
i
Promessi
Sposi
,
l
'
utilità
degli
studi
di
letteratura
popolare
appare
evidente
.
Per
esempio
,
una
delle
novelle
,
Comparatico
,
che
io
senza
esitare
giudico
meravigliosa
,
è
tale
da
stare
gloriosamente
anche
nel
Decamerone
o
tra
le
più
perfette
cose
di
Balzac
,
è
un
rifacimento
in
prosa
italiana
d
'
una
storia
in
poesia
siciliana
che
il
Capuana
,
con
una
straordinaria
imitazione
dello
stile
e
dell
'
andamento
popolaresco
scrisse
,
nel
1868
,
e
presentò
al
Vigo
,
che
,
senza
punto
avvedersi
dell
'
inganno
,
la
stampò
nella
sua
Raccolta
amplissima
di
canti
popolari
siciliani
.
Confrontino
i
lettori
la
novella
e
la
storia
,
e
leggano
gli
altri
racconti
di
questo
volume
così
maschiamente
palpitante
di
umanità
,
così
vivo
,
così
forte
,
così
originale
;
e
mi
sappiano
dire
se
ho
avuto
torto
io
di
collocare
il
Capuana
sopra
tutti
quanti
gli
altri
romanzatori
d
'
Italia
.
StampaPeriodica ,
Un
arguto
e
gentile
scrittore
di
questo
giornale
due
settimane
fa
mi
domandava
:
«
Fa
il
piacere
,
lei
,
d
'
insegnarmi
che
cosa
è
un
poeta
porco
?
di
darmi
i
segni
caratteristici
,
o
,
alla
maniera
che
dicono
gli
impiegati
di
polizia
,
i
connotati
del
poeta
porco
?
»
E
soggiungeva
:
«
Se
si
parla
del
Casti
o
del
Batacchi
,
quell
'
aggettivo
viene
spontaneo
sulle
labbra
anche
a
me
;
ma
quando
siamo
in
presenza
di
un
artista
,
il
quale
crede
mostrare
serenamente
le
qualità
del
suo
ingegno
,
del
suo
gusto
e
del
suo
stile
,
quando
stiamo
a
sentire
un
periodo
o
una
strofa
magnifica
di
proprietà
,
di
fantasimi
e
di
armonia
,
ecc
.
,
ecc
.
,
come
faremo
e
in
che
modo
dovremo
fare
per
sapere
quando
comincia
la
porcheria
?
»
ecc
.
,
ecc
.
Poi
,
più
giù
,
detto
come
il
poeta
da
me
chiamato
porco
era
Gabriele
D
'
Annunzio
,
e
il
libro
pel
quale
io
lo
avevo
chiamato
porco
l
'
Intermezzo
di
rime
,
assicurava
i
lettori
di
aver
cercato
pagina
per
pagina
,
da
verso
a
verso
,
entro
l
'
elegante
volumetto
,
e
di
non
aver
trovato
nulla
,
proprio
nulla
,
né
di
porco
né
di
sporco
.
Queste
parole
io
me
le
sono
dovute
rileggere
più
volte
per
convincermi
che
c
'
era
proprio
scritto
quello
che
ci
leggevo
.
E
quando
mi
sono
convinto
,
ho
detto
fra
me
:
Che
giova
dare
al
mio
egregio
contradittore
le
spiegazioni
ch
'
egli
mi
chiede
?
che
giova
cercare
di
fargli
intendere
che
cosa
sono
la
decenza
e
la
moralità
nell
'
arte
?
che
giova
dargli
i
segni
caratteristici
del
poeta
porco
;
se
,
quando
io
glie
li
avrò
dati
,
lui
,
facendomi
una
risata
sul
viso
,
mi
risponderà
:
«
To
'
,
ma
questo
è
il
poeta
che
io
chiamo
verecondo
?
»
Posta
in
questi
,
che
sono
i
veri
suoi
termini
,
la
questione
è
bell
'
e
finita
.
Non
resta
che
citare
i
versi
pei
quali
io
chiamo
inverecondo
il
poeta
che
al
mio
contradittore
pare
verecondo
,
e
rimettersi
al
giudizio
delle
poche
persone
culte
e
serie
che
,
come
il
mio
contradittore
dice
,
sono
tuttavia
in
Italia
.
Apriamo
dunque
l
'
Intermezzo
di
rime
,
apriamolo
,
non
precisamente
dove
l
'
aprì
il
mio
contradittore
,
e
citiamo
:
Noi
ci
fermammo
.
A
noi
sovra
il
capo
il
fulgore
piovea
placido
e
fresco
;
ne
le
carni
un
languore
novo
metteane
,
quasi
penetrasse
la
cute
ammollendo
le
vene
.
Ora
un
desìo
di
acute
voluttà
mi
pungeva
,
innanzi
a
quella
bianca
vergine
inconsapevole
Io
sono
tanto
stanca
ella
disse
,
piegando
ne
la
persona
...
Oh
come
si
scoperse
la
gola
tra
l
'
onda
de
le
chiome
e
le
iridi
si
persero
,
fiori
ne
'
l
latte
,
in
fondo
a
'
l
cerchio
de
le
pàlpebre
!
Oh
come
il
sen
rotondo
sgorgò
fuor
de
la
tunica
!
Io
mi
sentii
su
li
occhi
scendere
un
denso
velo
;
e
le
caddi
ai
ginocchi
Adagio
a
'
ma
'
passi
.
Certi
dibattimenti
nei
tribunali
si
fanno
a
porte
chiuse
;
e
qui
non
c
'
è
porte
da
chiudere
;
qui
siamo
in
piazza
.
No
,
io
non
andrò
innanzi
nella
citazione
;
io
debbo
rispetto
ai
miei
lettori
ed
a
me
;
io
non
debbo
contaminare
di
citazioni
immonde
l
'
onesta
mia
prosa
.
Ma
a
tutto
c
'
è
il
suo
rimedio
:
sèguiti
la
citazione
il
mio
contradittore
;
lui
,
al
quale
paiono
verecondi
versi
ch
'
io
debbo
per
verecondia
tacere
,
non
può
averci
difficoltà
;
séguiti
dunque
a
citare
fino
a
tutta
la
pagina
34;
citi
,
se
non
gli
basta
,
qualche
ottava
della
Venere
d
'
acqua
dolce
,
fermandosi
specialmente
alla
pagina
65
:
e
,
terminate
le
citazioni
,
ripeta
in
cospetto
delle
poche
persone
culte
e
serie
che
ci
sono
tuttavia
in
Italia
la
sua
affermazione
,
che
cioè
entro
l
'
elegante
volumetto
egli
non
ha
trovato
niente
né
di
porco
né
di
sporco
;
la
ripeta
,
e
ripeta
poi
la
domanda
:
«
Che
sia
io
il
poco
pulito
animale
?
»
Quando
le
poche
persone
culte
e
serie
che
sono
tuttavia
in
Italia
gli
avranno
risposto
,
mi
faccia
poi
sapere
la
risposta
;
con
la
quale
rimarrà
completamente
esaurita
e
risolta
,
senza
disputa
nessuna
,
la
nostra
questione
.
Ma
no
,
veda
,
mio
bravo
signor
Lodi
,
nei
versi
del
D
'
Annunzio
che
io
ho
stigmatizzati
non
è
questione
di
nudità
,
com
'
Ella
sembrò
credere
,
o
volle
forse
far
credere
.
Il
sonetto
che
Ella
riporta
,
come
uno
dei
più
nudi
e
dei
meno
belli
(
anche
a
me
piace
assai
poco
)
,
non
mi
dà
molta
noia
:
ciò
che
nei
versi
del
D
'
Annunzio
mi
dà
noia
,
ciò
che
fece
traboccare
il
mio
sdegno
,
ora
,
dopo
quelle
citazioni
,
lo
avrà
,
spero
,
capito
anche
Lei
:
caso
mai
non
lo
avesse
capito
bene
,
ci
torneremo
sopra
.
Il
nudo
,
quando
è
fuso
in
bronzo
,
o
scolpito
in
marmo
,
mi
dà
tanto
poca
noia
,
che
io
non
solo
non
pensai
a
scandalizzarmi
,
com
'
Ella
nota
,
davanti
al
Nettuno
del
Giambologna
,
ma
non
ci
pensai
nemmeno
nelle
gallerie
di
Firenze
e
di
Roma
,
e
nel
museo
di
Napoli
,
dove
del
nudo
,
come
Lei
sa
,
ce
n
'
è
da
cavarsene
la
voglia
.
Veda
,
però
,
proprio
al
museo
di
Napoli
,
che
ebbi
la
fortuna
di
visitare
parecchi
anni
sono
in
compagnia
di
un
illustre
personaggio
,
il
senatore
Fiorelli
che
ci
accompagnava
,
dopo
che
avemmo
veduto
tutto
,
trasse
fuori
da
una
stanza
,
chiusa
al
pubblico
,
un
piccolo
gruppo
,
dinanzi
al
quale
io
restai
meravigliato
:
poche
opere
d
'
arte
avevo
vedute
di
tanta
perfezione
.
«
Oh
perché
dirà
Lei
se
quel
gruppo
è
tanto
bello
,
lo
tengono
chiuso
?
»
E
veda
,
rispondo
io
,
quel
gruppo
è
molto
meno
nudo
delle
altre
statue
,
perché
rappresenta
una
capra
,
che
,
come
Lei
sa
,
non
ha
bisogno
,
per
vestirsi
,
d
'
incomodare
la
sarta
,
e
un
satiro
,
che
per
buona
parte
del
corpo
è
vestito
anche
lui
,
vestito
di
un
abito
non
confezionato
a
Parigi
,
ma
insomma
vestito
.
E
veda
ancora
:
né
il
satiro
né
la
capra
non
mostrano
nessuna
di
quelle
parti
per
le
quali
fu
inventata
la
foglia
di
fico
.
«
Oh
dunque
?
»
Ecco
:
il
satiro
però
e
la
capra
stanno
fra
loro
in
una
certa
posizione
,
fanno
fra
loro
una
certa
faccenda
,
naturali
l
'
una
e
l
'
altra
fra
maschio
e
femmina
,
ma
che
tuttavia
le
leggi
e
le
usanze
della
nostra
civiltà
non
vogliono
,
per
molte
buone
ragioni
,
che
sieno
esposte
né
fatte
,
vuoi
realmente
,
vuoi
per
rappresentazione
artistica
,
sotto
gli
occhi
del
pubblico
.
Qui
,
vede
,
proprio
qui
,
mio
bravo
signor
Lodi
,
sta
il
punto
delicato
e
culminante
della
questione
:
qui
,
proprio
qui
,
comincia
,
anzi
è
cominciata
,
e
ci
siamo
proprio
in
mezzo
,
la
porcheria
dell
'
artista
che
crede
mostrare
serenamente
le
qualità
del
suo
ingegno
,
del
suo
gusto
e
del
suo
stile
;
qui
,
proprio
qui
,
io
potrei
cominciare
a
darle
(
se
oramai
non
fosse
inutile
)
i
connotati
del
poeta
porco
.
Io
non
sono
mica
un
impiegato
di
polizia
,
che
non
sappia
il
suo
mestiere
:
lo
so
almeno
tanto
bene
,
quanto
sanno
il
loro
gl
'
impiegati
,
diremo
così
,
di
pornografia
.
Mi
permetta
,
mio
bravo
signor
Lodi
,
Lei
che
ha
fatto
tante
domande
a
me
,
che
ne
faccia
una
io
a
Lei
.
Ecco
:
dica
,
Le
piacerebbe
,
Le
parrebbe
innocuo
,
decente
,
morale
,
che
quel
mirabile
gruppo
della
capra
e
del
satiro
,
riprodotto
in
terra
cotta
od
in
bronzo
,
stèsse
esposto
nelle
vetrine
del
Janetti
,
a
Roma
,
a
Torino
,
a
Firenze
,
dove
fanciulli
,
giovinetti
e
ragazze
potessero
liberamente
ammirarlo
?
Mi
risponda
schietto
e
franco
,
dimenticando
,
se
è
possibile
,
la
cattiva
causa
e
il
cattivo
poeta
che
ha
preso
a
difendere
;
mi
risponda
come
farebbe
a
caso
vergine
,
dopo
avere
interrogato
soltanto
la
sua
educazione
e
i
suoi
sentimenti
di
cittadino
onesto
,
che
desidera
alla
patria
una
generazione
d
'
uomini
sani
e
forti
di
corpo
e
di
mente
,
non
isfiaccolati
e
stupiditi
dalla
venere
terrena
e
solitaria
.
Se
Lei
mi
risponde
,
come
credo
,
di
no
(
e
me
lo
fanno
credere
i
nobili
sensi
e
il
forte
amor
patrio
pei
quali
mi
piacquero
parecchi
suoi
articoli
del
Don
Chisciotte
)
,
Lei
deve
anche
,
per
inesorabile
necessità
di
logica
,
convenire
che
è
tutt
'
altro
che
innocua
,
decente
e
morale
la
esposizione
che
il
D
'
Annunzio
ha
fatto
de
'
suoi
erotismi
nell
'
Intermezzo
di
rime
.
Andiamo
,
via
:
descrivere
tutte
le
particolarità
più
lascive
che
precedono
accompagnano
e
seguono
il
congresso
amoroso
di
un
giovinotto
con
una
signorina
che
gentilmente
si
presta
,
questo
Lei
lo
chiama
malinconie
profonde
,
amori
ardenti
e
nudità
candide
,
nobilmente
umane
,
che
non
hanno
mai
offeso
la
verecondia
di
alcuno
?
Andiamo
,
via
;
queste
cose
non
si
dicono
nemmeno
per
ridere
:
se
non
sapessi
che
Lei
è
uno
scrittore
onesto
e
gentile
,
quasi
quasi
crederei
che
,
scrivendole
,
avesse
voluto
farsi
beffe
de
'
suoi
lettori
e
di
me
.
Lei
finge
di
non
capire
la
cagione
del
mio
sdegno
per
il
richiamo
a
Virgilio
.
Ma
come
!
Sentirsi
nelle
membra
i
fremiti
della
libidine
per
il
ricordo
di
una
avventura
amorosa
,
prendere
cotesti
fremiti
per
ispirazione
poetica
,
e
apostrofare
il
gentile
poeta
mantovano
:
olà
,
dammi
tu
la
tua
arte
,
sì
ch
'
io
racconti
ai
bravi
giovinetti
italiani
,
ammiratori
dei
miei
versi
e
frequentatori
dei
postriboli
,
come
qualmente
io
mi
presi
diletto
della
bianca
vergine
inconsapevole
(
fra
parentesi
le
raccomando
quella
po
'
po
'
d
'
inconsapevolezza
..
come
!
far
questo
non
è
per
Lei
un
profanare
l
'
arte
e
Virgilio
?
Mi
scusi
,
ma
non
Le
credo
:
e
da
Lei
difensore
di
una
causa
spallata
m
'
appello
a
Lei
scrivente
senza
nessuna
causa
da
difendere
.
«
Ma
se
il
grande
Mantovano
,
dice
Lei
,
invitava
sotto
l
'
ombre
compiacenti
dei
faggi
i
giovanetti
pastori
,
perché
non
potrà
il
D
'
Annunzio
chiamare
nel
silenzio
odoroso
d
'
un
bosco
una
fanciulla
innamorata
?
»
Non
confondiamo
:
io
non
ho
mai
negato
al
D
'
Annunzio
il
diritto
di
chiamare
nel
silenzio
odoroso
dei
boschi
quante
fanciulle
gli
pare
;
gli
ho
solamente
negato
(
che
è
cosa
molto
diversa
)
il
diritto
di
raccontare
in
poesia
quel
che
va
a
fare
con
loro
,
quando
va
a
far
cose
che
non
si
ridicono
fra
la
gente
per
bene
.
Certi
amori
,
abbominevoli
per
noi
,
non
avevano
niente
di
turpe
per
gli
antichi
greci
e
romani
.
Anche
di
ciò
va
tenuto
conto
.
Tuttavia
io
non
mi
ricordo
che
nelle
ecloghe
di
Virgilio
ci
sia
nulla
che
faccia
arrossire
una
persona
beneducata
.
Veda
:
se
il
D
'
Annunzio
,
invece
di
descrivere
i
carnosi
fiori
del
petto
di
Yella
,
drizzantisi
al
lascivo
tentare
delle
sue
dita
,
si
fosse
contentato
,
come
il
pastore
Coridone
apostrofante
il
formoso
Alessi
,
di
sfogare
gli
ardori
suoi
parlando
di
pecore
e
di
capretti
,
di
noci
e
di
corbezzole
,
di
latte
e
di
cacio
fresco
;
o
se
,
magari
,
si
fosse
messo
a
sedere
sull
'
erba
,
lui
da
una
parte
e
la
sua
Yella
dall
'
altra
,
e
lì
,
Arcades
ambo
Et
cantare
pares
et
respondere
parati
,
avessero
intonato
un
duetto
a
uso
Coridone
e
Tirsi
(
il
D
'
Annunzio
,
secondo
me
,
sarebbe
stato
meglio
in
carattere
)
;
io
,
veda
,
invece
di
rinfrescare
queste
che
Lei
chiama
anticaglie
polemiche
,
e
mettere
Lei
nell
'
impaccio
di
domandarmi
i
connotati
del
poeta
porco
,
sarei
stato
zitto
zitto
a
sentire
,
facendo
molto
volentieri
la
parte
di
Melibeo
.
Mi
spiego
?
La
questione
non
è
del
fatto
amoroso
,
ma
della
parte
di
esso
che
si
racconta
,
e
del
modo
come
si
racconta
.
Pare
a
Lei
che
in
ciò
siavi
nessun
punto
di
contatto
fra
le
ecloghe
di
Virgilio
e
il
Peccato
di
maggio
e
la
Venere
d
'
acqua
dolce
?
Chiedo
perdono
agli
ammiratori
del
poeta
latino
della
sacrilega
domanda
a
cui
la
discussione
m
'
ha
condotto
.
Io
diceva
dunque
che
nei
versi
del
D
'
Annunzio
non
è
questione
di
nudità
,
e
che
della
nudità
sola
io
non
sono
molto
facile
a
scandalizzarmi
.
Mi
pare
d
'
aver
dimostrato
e
chiarito
tanto
quanto
quel
ch
'
io
diceva
:
tuttavia
,
se
il
signor
Lodi
permette
,
mi
proverò
a
chiarirlo
anche
meglio
.
Aggiungo
che
,
quando
la
rappresentazione
del
modo
non
è
fatta
a
sfogo
ed
eccitamento
di
sensualità
(
che
subito
si
conosce
)
,
io
non
me
ne
scandalizzo
niente
affatto
;
come
non
mi
scandalizzo
niente
affatto
se
prosatori
e
poeti
nominano
a
tempo
e
luogo
,
senza
reticenze
vigliacche
,
senza
impiastricciamenti
ipocriti
di
circonlocuzioni
e
di
metafore
,
cose
e
parole
che
fanno
arricciare
il
naso
alle
schifiltose
damine
.
Quando
il
Carducci
mandò
al
Fanfulla
della
Domenica
la
poesia
A
proposito
del
processo
Fadda
,
una
certa
strofe
diceva
:
Poi
se
un
puttin
di
bronzo
avvien
che
mostri
Un
po
'
di
pipi
al
sole
,
Protesterete
con
furor
d
'
inchiostri
,
Con
fulmin
di
parole
.
Il
Martini
,
allora
direttore
del
giornale
,
pregò
con
un
telegramma
il
Carducci
di
levare
quel
pipi
,
che
avrebbe
,
si
capiva
,
offeso
la
verecondia
delle
schifiltose
damine
,
le
quali
,
si
può
giurare
,
non
si
offendono
oggi
,
e
non
si
sarebbero
offese
allora
,
delle
nudità
candide
nobilmente
umane
,
come
dice
Lei
,
del
D
'
Annunzio
.
Io
son
fatto
d
'
una
pasta
molto
diversa
,
e
molto
più
rozza
,
s
'
intende
;
io
non
mi
scandalizzai
niente
affatto
di
quel
pipi
;
e
al
Carducci
che
me
ne
domandava
,
risposi
:
oh
lascialo
stare
!
Ma
il
Carducci
lo
levò
,
perché
non
metteva
il
conto
di
scontentare
per
così
poco
il
Martini
,
il
quale
dal
suo
punto
di
vista
aveva
centomila
ragioni
.
Intende
Lei
,
signor
Lodi
,
perché
io
,
che
non
mi
scandalizzai
di
quel
pipi
,
che
,
senza
turarmi
il
naso
,
leggo
in
Dante
la
parola
merda
,
che
non
mi
scandalizzo
al
resupina
jacens
,
con
quel
che
segue
,
di
Giovenale
,
chiamo
,
peggio
che
indecenti
,
oscene
e
corruttrici
certe
poesie
del
D
'
Annunzio
?
Se
non
lo
intende
ancora
,
cercherò
di
farglielo
intendere
con
un
esempio
.
E
giacché
ho
nominato
Giovenale
,
pigliamo
l
'
esempio
da
lui
.
Giovenale
dunque
e
il
D
'
Annunzio
(
chieggo
perdono
di
mettere
accanto
questi
due
nomi
)
descrivono
entrambi
il
petto
ignudo
d
'
una
donna
.
Tunc
nuda
papillis
prostitit
auratis
,
dice
con
le
parole
proprie
il
grande
poeta
latino
,
parlando
di
Messalina
:
il
piccolo
poeta
italiano
,
parlando
di
Yella
,
dice
,
come
vedemmo
,
con
una
similitudine
barocca
,
che
le
punte
del
suo
petto
si
dirizzavano
,
come
carnosi
fiori
,
ecc
.
La
rappresentazione
del
poeta
latino
per
me
è
moralissima
;
quella
dell
'
italiano
è
immorale
:
per
le
damine
,
la
cui
verecondia
sarebbe
stata
offesa
da
quel
po
'
di
pipi
del
puttino
di
bronzo
,
deve
,
io
credo
,
essere
perfettamente
il
contrario
.
Lei
,
signor
Lodi
,
dica
,
da
qual
parte
si
mette
?
Da
qualunque
parte
si
metta
,
non
Le
farò
il
torto
di
spiegarle
la
differenza
che
passa
fra
il
fatto
del
poeta
latino
e
quello
dell
'
italiano
.
A
Lei
parve
di
cogliermi
in
contradizione
perché
io
,
denunziante
al
procuratore
del
re
e
della
questura
la
poesia
del
D
'
Annunzio
,
non
denunziai
anche
quella
di
altri
poeti
ai
quali
dissi
mancare
il
senso
della
verecondia
.
Anzi
,
nota
Lei
«
ch
'
io
promisi
di
tradurre
le
Odi
amatorie
d
'
Orazio
»
;
e
noto
che
io
tradussi
parecchie
poesie
del
Heine
,
poeti
ambedue
non
verecondi
.
Scrissi
anche
,
è
vero
,
com
'
Ella
ricorda
,
che
«
la
verecondia
non
entra
per
nulla
nel
merito
artistico
di
un
poeta
e
dell
'
opera
sua
;
che
il
difetto
della
verecondia
nel
Byron
,
nel
De
Musset
,
nel
Heine
,
fu
parte
della
loro
sincerità
;
e
che
perciò
essi
rimangono
grandi
poeti
,
e
la
storia
del
loro
cuore
c
'
interessa
.
»
Dalle
quali
mie
parole
Ella
si
fa
strada
a
domandare
:
«
Se
interessa
ai
critici
di
ricercare
come
i
poeti
morti
sentirono
l
'
amore
,
perché
sarà
negato
ai
poeti
vivi
di
raccontarcelo
essi
stessi
?
»
Adagio
un
po
'
.
Qui
bisogna
distinguere
:
i
poeti
morti
son
morti
,
e
i
vivi
son
vivi
:
i
morti
non
si
può
fare
che
non
sieno
stati
ciò
che
furono
:
ai
vivi
,
se
non
ci
pare
che
siano
quel
che
vorremmo
,
abbiamo
il
diritto
,
e
in
certi
casi
il
dovere
,
di
dirlo
.
La
sincerità
è
una
bella
cosa
;
l
'
amo
anch
'
io
,
non
solo
nei
poeti
,
come
fu
notato
da
Lei
,
ma
in
tutti
gli
uomini
;
sotto
certe
condizioni
però
.
Se
io
,
puta
caso
,
conoscessi
un
giovinetto
dedito
all
'
ubriachezza
,
o
al
rubare
,
o
allo
scrivere
cose
oscene
(
io
qui
considero
lo
scrivere
non
come
opera
d
'
arte
,
ma
come
un
'
altra
azione
umana
qualunque
,
onesta
o
disonesta
)
,
io
non
mi
sentirei
mica
di
dirgli
:
figliuolo
mio
,
bisogna
esser
sinceri
,
fa
'
quello
a
che
ti
porta
la
tua
natura
,
cioè
séguita
ad
ubriacarti
,
o
a
rubare
,
o
a
scrivere
cose
oscene
,
gli
direi
piuttosto
:
quel
che
tu
fai
è
male
,
cerca
di
correggerti
.
Io
,
critico
,
studio
tutti
i
fatti
e
i
sentimenti
umani
rappresentati
dalla
parola
,
così
la
magnanimità
di
Dante
e
del
Petrarca
come
le
infamie
dell
'
Aretino
;
ma
io
,
uomo
,
desidero
ai
tempi
miei
(
poiché
desiderarlo
ai
passati
non
giova
)
dei
poeti
che
si
rassomiglino
piuttosto
agli
amanti
di
Beatrice
e
di
Laura
che
all
'
autore
dei
sonetti
illustranti
le
tavole
di
Giulio
Romano
.
Ho
detto
che
bisogna
distinguere
:
e
distinguo
anche
(
oh
come
distinguo
!
)
fra
i
grandi
poeti
che
dissi
mancare
di
verecondia
e
il
D
'
Annunzio
.
E
noto
che
,
quando
accennai
questo
difetto
in
essi
della
verecondia
,
lo
chiamai
difetto
,
non
pregio
.
In
Orazio
,
nel
Heine
e
nel
Byron
,
quel
che
c
'
è
di
men
verecondo
sono
quasi
sempre
accenni
fugaci
,
cui
spesso
scusa
od
attenua
lo
scherzo
o
la
satira
;
e
non
hanno
perciò
nel
lettore
anche
giovane
alcuna
trista
,
efficacia
:
in
ogni
modo
quelli
accenni
rimangono
come
piccole
macchie
in
grandi
opere
,
i
cui
intendimenti
sono
spesso
nobili
ed
alti
,
non
mai
corruttori
;
mentre
nelle
poesie
del
D
'
Annunzio
di
cui
ci
occupiamo
,
l
'
argomento
principale
,
lo
scopo
unico
di
tutta
l
'
arte
,
di
tutto
il
lavoro
dello
scrittore
,
è
la
pittura
della
sensualità
nelle
sue
manifestazioni
più
basse
.
Tutto
quel
che
c
'
è
nel
Peccato
di
maggio
,
è
preparazione
,
è
frangia
e
cornice
della
descrizione
dal
fatto
erotico
;
son
pennellate
di
colori
accesi
messe
nei
fondo
del
quadro
per
dare
risalto
agli
sdilinquimenti
afrodisiaci
della
coppia
in
amore
.
Quanto
al
De
Musset
,
non
l
'
ho
nominato
con
gli
altri
,
perché
lui
ha
veramente
la
gran
colpa
di
essere
un
po
'
il
babbo
di
tutta
questa
poesia
del
senso
,
che
,
oltre
farci
schifo
e
dispetto
,
ci
secca
maledettamente
con
la
monotonia
dei
suoi
fantasmi
,
dei
suoi
suoni
,
dei
suoi
colori
.
Il
linguaggio
di
essa
sta
tutto
in
dieci
paginette
del
vocabolario
;
il
cielo
nel
quale
spazia
servirebbe
egregiamente
di
sfondo
al
palcoscenico
di
un
teatrino
di
marionette
.
Ma
almeno
nel
De
Musset
,
oltre
i
fremiti
e
gli
spasimi
del
senso
,
c
'
è
anche
il
sentimento
ed
il
pensiero
,
che
mancano
affatto
nei
nostri
poetini
sensualisti
.
E
'
mi
fanno
l
'
effetto
di
giovani
scostumati
che
,
avendo
qualche
suono
musicale
negli
orecchi
,
e
qualche
diecina
di
aggettivi
luccicanti
nella
memoria
,
ma
niente
nel
cervello
e
nel
cuore
,
mettono
in
versi
le
loro
porcherie
e
credono
fare
della
poesia
.
Io
inchino
molto
a
credere
che
questa
brutta
fioritura
di
poesia
sensualistica
sia
indizio
,
non
solo
di
decadenza
morale
e
letteraria
come
fu
sempre
,
ma
fisica
.
Un
medico
e
scienziato
amico
mio
mi
faceva
osservare
che
uno
dei
segni
più
certi
e
costanti
di
rammollimento
cerebrale
negli
infelici
che
ne
sono
minacciati
è
il
mostrare
le
parti
pudende
.
Parlando
della
poesia
sensualistica
del
D
'
Annunzio
,
io
non
ho
voluto
affatto
entrare
nel
merito
letterario
di
essa
e
nella
questione
dell
'
arte
;
io
l
'
ho
,
come
dissi
,
considerata
semplicemente
come
un
'
azione
umana
,
secondo
i
criteri
dell
'
onesto
e
del
disonesto
.
Ciò
deve
apparire
evidente
in
questa
mia
chiacchierata
;
ma
mi
piace
dichiararlo
esplicitamente
e
richiamarci
sopra
l
'
attenzione
del
mio
gentile
contradittore
;
perché
,
caso
mai
gli
saltasse
in
testa
di
rispondermi
,
e
'
dovrebbe
non
uscire
dal
campo
morale
,
e
sforzarsi
di
mostrarmi
,
solamente
in
quello
,
non
dico
l
'
onestà
,
ma
la
non
disonestà
del
Peccato
di
maggio
e
della
Venere
d
'
acqua
dolce
.
Quanto
al
merito
letterario
di
queste
e
delle
altre
poesie
del
D
'
Annunzio
,
i
lettori
si
saranno
accorti
ch
'
io
sono
molte
miglia
lontano
dagli
apprezzamenti
e
dal
giudizio
del
mio
bravo
signor
Lodi
:
ma
,
quando
anche
lui
avesse
ragione
ed
io
torto
,
ciò
non
farebbe
nulla
alla
presente
questione
.
Le
due
poesie
del
D
'
Annunzio
potrebbero
,
come
opera
d
'
arte
,
essere
perfette
quanto
il
gruppo
della
capra
e
del
satiro
;
resterebbero
sempre
,
secondo
me
,
due
azioni
disoneste
.
L
'
arte
e
la
poesia
furono
sempre
uno
dei
più
costanti
affetti
,
una
delle
più
care
consolazioni
della
mia
vita
;
ma
se
dovessero
condurmi
ad
amare
,
o
anche
solamente
a
scusare
e
tollerare
la
disonestà
,
preferirei
diventare
analfabeta
.