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Verso la fine del quattrocento grande era il disordine in cui s ' aggirava il concetto della lingua nostra e delle lettere , che da un lato erano declinanti , dall ' altro sentivano se stesse per anche non bene mature . Da noi si chiama buon secolo della lingua nostra quello di Dante o del Petrarca e del Boccaccio ; ma gli scrittori in quella età non ebbero tanta fiducia di se stessi né tanta superbia . Il che si dimostra in primo luogo dal disputare che si fece subito intorno alla lingua , la quale avendo taccia , di bassezza non era , autorevole bastantemente sulla nazione ; era un dialetto venuto su quando una spinta maravigliosa fu data agli ingegni , ma senza corredo di scienza bastante . Sentìano mancare all ' efficacia della lingua l ' arte del dire ; in quella età noi cerchiamo la potenza della parola e della frase , ma non vi troviamo bastante evidenza dei costrutti , e l ' orditura dei periodi si dimostra per lo più timida o intralciata . Questo sentivano gli scrittori , massimamente poi quando ebbero assaggiato gli autori latini : Filippo Villani ( nel Proemio ) tace di Giovanni , e di Matteo suo padre dice avere egli usato « lo stile che a lui fu possibile ; apparecchiando materia a più dilicati ingegni d ' usare più felice e più alto stile » . Né avrebbe il Boccaccio al nostro idioma fatto la violenza ch ' egli fece , so non avesse egli nella prosa creduto trovarlo come giacente e da cercare altrove i modi e le forme a dargli grandezza . Le varie parti della coltura non avendo le uno con lo altre avuto in Italia proporzione sufficiente , quei primi sommi parve , si alzassero come giganti per virtù propria , dopo sé lasciando un intervallo per cui le lettere cominciassero un altro corso dove i primi gradi già fossero stati con inverso ordine preoccupati . Il che nelle arti belle non avvenne , e quindi poterono esse regolatamente salire alla loro perfezione : ma le lettere invece di Giotto ebbero subito Michelangelo , terrore agli altri piuttosto che guida ; ed il Boccaccio avendo trovato la lingua già bene adulta ma inesperta , la fece andare per mala via : il solo Petrarca più degli altri fortunato , lasciò dietro sé lunga e prospera discendenza . Avvenne per questa mala sorte che la lingua innanzi di farsi e di tenersi donna e madonna come si conveniva a tali uomini ed a tale popolo , non bene osasse distaccarsi dal latino che stava siccome suo legittimo signore , talché all ' italiano si diede per grazia l ' umile titolo di volgare . Né questa ignobile appellazione cessava col volger dei tempi , le traduzioni dal latino s ' intitolavano volgarizzamenti ed anche oggi quel che si scrive da noi letterati diciamo scrivere in volgare , Dio ce lo perdoni . Ma quando pei cercatori dei libri classci il latino fu ogni cosa , e chi non facesse di quello il suo unico studio ebbe nome d ' uomo senza lettere ; allora alla lingua stata compagna , dei loro affetti mandarono i dotti il libello del ripudio , anzi fu cacciata via come la serva quando torna la matrona . Sarebbe al Poggio ed ai suo pari sembrato vergogna scrivere italiano , onde egli scriveva latine le Istorie dei tempi suoi e le Lettere e perfino le Facezie . I poveri scritti di chi aveva narrato le cose come le aveva fatte , si traducevano in latino perché si acquistassero un poco di stima . Né Pico Della Mirandola fu il primo che dicesse mancare le cose al Petrarca e a Dante le parole ; questi era stato già tempo innanzi vituperato come sciupatore del bello classico da Niccolò Niccoli erudito raccoglitore di vecchi libri , che lui chiamava ( così almeno lo fanno parlare ) « poeta da fornai e da calzolaj » , perché non seppe né bene intendere Virgilio né avviarsegli dietro pei compi floridi della poesia ( Leonardi Aretini Dialog . I Ad Petrum Istrum . Fu già stampato a Basilea , ed è manoscritto nella Laurenziana ) . Più tardi Cristoforo Landino , che fra tutti difese la lingua toscana e la usava felicemente , sentenziò pure « ch ’ era mestieri essere latino chi vuole essere buono toscano » ( Orazione di Cristoforo Landino , Firenze , 1853 ) . Encomia l ' industria che Leon Battista Alberti pose a trasferire in noi l ' eloquenza dei latini ; né certo si vuole togliere merito a siffatto uomo , né a Matteo Palmieri né ad altri lodati con lui : ma fatto è poi che seguitare nell ' italiano le norme latine come essi fecero , tolse loro di essere letti mai popolarmente , così che si giacquero per lungo tempo come dimenticati , ed oggi guardandoli a fine di studio ne pare di leggere una lingua morta . Cotesti almeno erano uomini educati ai buoni studi : ve n ' erano altri d ' ingegno più rozzo , i quali per volere essere eloquenti in verso ed in prosa , cercando norme all ' italiano fuori di se stesso , facevano certi pasticci di lingua , né latina né volgare , la quale usciva come per singhiozzi , che Dio ce ne scampi ; di che strani esempi potrei allegare se fosse qui luogo . Ma vale fra tutti quello di Giovanni Cavalcanti , autore di Storie fiorentine a mezzo il quattrocento : non fu senza ingegno , e dove narrando le cose interne della repubblica descrive gli umori o riferisce i parlari dei cittadini , dice il fatto suo con evidenza sovente felice ; ma , quando vuol essere ornato o facondo e soprattutto nelle descrizioni , tenendo dietro agli esempi dei latini non bene letti o non bene intesi , diventa oltremodo fastidioso per lungaggini e peggio ancora per l ' ambizione dei falsi colori : costui che avrebbe potuto essere buon cronista , fu dall ' abuso dei precetti che allora correvano condotto ad essere malo istorico . Così andarono le cose nella repubblica delle lettere fino a Lorenzo dei Medici e al Poliziano ; questi certamente mostrò nelle Stanze scritte da lui a venticinque anni e poi non finite , una squisita forma di poesia che annunziava già i tempi nuovi di cui può dirsi prima e gentile apparizione . Cionondimeno quell ' uomo stesso faceva latini poi finché visse i versi e le prose fino al racconto della Congiura dei Pazzi , fatto domestico e tremendo al quale era stato in mezzo e che tante passioni doveva destargli nell ' animo . Nella poesia il Poliziano pareva trovarsi più in casa sua quando scriveva latino : più imitatore in quelle stanze di fina bellezza che s ' era arrischiato egli a scrivere italiane . Lorenzo dei Medici si scusa d ' avere in lingua volgare commentato i suoi Sonetti , tale quale come Dante se n ' era scusato dugent ' anni prima . Ma nulla dunque si era fatto in quei dugent ' anni quanto all ' uso della nostra lingua ? S ' era fatto molto ed ogni giorno si faceva ; ma il male stava in ciò che tale uso procedeva bipartito , essendo pel naturale andamento suo più cólto nei popoli ma insieme più guasto nei libri . Un assai grande numero di lettere scritte nel quattrocento furono in questi anni pubblicate , e ne abbiamo noi vedute molte manoscritte ; e molte tratte dagli Archivi di Firenze sono allegate nel grande Vocabolario . Ora le lettere familiari danno sempre l ' espressione più naturale e più immediata del vivo parlare , e chi le raffrontiad altre più antiche le troverà scritte in modo che annunzia lingua più adulta e più conforme a quella che poi fu la moderna italiana lingua . Ma nei libri stessi umili in quel secolo , sebbene pallido ne sia lo stile , pure il discorso procedeva meglio ordinato e più finito e più somigliante ed acuto già fatto ; ma non però bello quanto promettevano le grazie e il fuoco delle età prime . Io pure grido , studiamo il trecento , secolo che aveva in sé certamente quella potenza che più non ebbe la lingua nostra ; ma vero è poi che di tutte le nazioni gli antichi scrittori si riveriscono come vecchi intanto che si amano come fanciulli ; si ammirano per la ingenuità loro e per la forza , ma non si saprebbe né si vorrebbe per l ' appunto scrivere a quel modo . Tuttociò avviene sempre e dappertutto ; ma fu a noi tristo privilegio che la lingua o si dovesse o si credesse dovere attingere dal trecento , quasiché in essa il corso del tempo facesse il vuoto o altro non avesse fatto che guastarla . Negli ultimi anni del quattrocento aveva la lingua dunque per se medesima progredito quanto a una struttura più regolare , ma dall ' essere usata poco e trascuratamente nei libri , pareva e anche oggi a noi pare , in fatto essere decaduta da ciò che ella era nel secolo precedente . Lorenzo de ' Medici , il Landino ed altri dicono spesso alla lingua nostra essere mancati gli uomini e lo stile di chi la usasse ; il che fu vero quanto allo scriverla come abbiamo qui sopra notato ; ma fu anche vero quanto al parlare questa lingua in modo che fosse norma ed esempio agli scrittori : su questo punto conviene ora , un poco fermarsi . Mi sovviene avere una volta udito il Foscolo dire nell ' impeto del discorso che « la lingua nostra non era stata mai parlata » nella quale enfasi di parola pare a me stesse il germe di un vero che ora si svolge sotto agli occhi nostri . Ma il campo non era libero a quel tempo , e si disputava chi avesse ragione se il Cesari purista , o il Cesarotti licenzioso , o il Perticari con quella sua lingua che stava per aria . Oggi il Manzoni sgombrando quel campo ha dato a noi terreno fermo col fare consistere nell ’ uso ogni cosa : né chi voglia uscire da quella dottrina può stare sul vero . Ma se a dire lingua si dice qualcosa fuori d ' iena , semplice nomenclatura , e se invece si tenga essere l ’ espressione di tutto il pensare d ' un popolo colto , certo è che gli usi di questa lingua sono diversi ( quanto diverse le relazioni cui deve servire ; e che in ciascuna , oltre all ' essere disuguale il numero delle parole che si adoprano , varia è anche la scelta di queste parole : al che si aggiunga ( e ciò è capitale ) che oltre alle parole , le frasi e il giro e i collocamenti di esse o la contestura del periodo ed in certi suoi elementi la forma di tutto il discorso che sempre ha del proprio e del distinto in ogni nazione , tutte queste cose fanno insieme la lingua di quella nazione . So che la lingua in tal modo intesa dovrebbe piuttosto chiamarsi linguaggio , ma so che a distinguere con secco rigore l ' una dall ' altra , queste due parole , starebbe la lingua tutta intera nei vocabolari dov ' ella si giace come cosa morta . Sotto questo aspetto bisogna pur dire che la lingua che si parla differisce in molte sue forme dalla lingua che si scrive , secondo che variano parlando o scrivendo gli intendimenti , le volontà ed in qualche modo lo stato degli animi in chi mette fuori il suo pensiero , e in chi lo ascolta presente o deve poi da sé leggerlo sulla carta . Per esempio , nella rapidità del discorso familiare non sempre avviene fare periodi che stieno in gambe come suol dirsi , perché in tal caso alla intelligenza molti aiuti provvedono , e la parola come alterata da una concitazione d ' affetti ne diventa spesso più efficace . Chiaro esprimeva questo pensiero Giovan Battista Gelli nella Prefazione d ' una sua Commedia stampata in Firenze l ' anno 1550 : « Altra lingua è quella che si scrive ne le cose alte e leggiadre , e altra è quella che si parla familiarmente ; sì che non sia alcuno che creda che quella nella quale scrisse Tullio , sia quella che egli par - lava giornalmente » , questo dice il Gelli , né intendevano del comun parlare coloro che innanzi di lui scrivevano essere mancati gli uomini alla lingua ( Landino , Proemio al Commento sulla Divina Commedia ) Ma se poi si guardi non più al discorso familiare , sibbene a quello di chi parla solo ed a bell ' agio e non interrotto , in faccia ad un pubblico o ad una qualsiasi radunanza ; allora il linguaggio s ' avvicina molto allo scrivere , di cui ben fu detto non essere altro che un pensato parlare : nondimeno chi ponga mente per non dire altro al tempo elle mette generalmente più lungo in questo pensare l ' uomo che scrive di colui che parla , non che al discorso che n ' esce fuori ; noterà essere delle differenze per cui la parola scritta è meno viva sempre di quella ch ' esce parlando quanto mai si possa pensatamente . Si vede nei libri quando l ' autore poco avvezzo a dire le cose , va cercando ed esse una forma che si adatti ai libri : nei Greci antichi e nei Latini ci si fa innanzi sempre l ' oratore . Imperocché allo scrivere con efficacia è grande aiuto l ' uso del parlare , dove uno s ' addestra a certo artifizio cui più di rado pervengono le scritture , dico quella distribuzione sagace di concisione e di abbondanza e di facilità e di sostenutezza , e quei colori appropriati a ' luoghi secondo richiedono i varii argomenti e le diverse parti dell ' orazione : s ' imparano queste cose dagli effetti che in altrui produce la nostra parola . Laonde a chi scrive manca una scuola molto essenziale quando egli non abbia la mente già instrutta in quelle forme per cui si esprimono parlando le cose che egli vuole scrivere . la quale mancanza che fu in Italia , dai tempi antichi e si protrasse poi nei moderni , ha dato spesso ai nostri libri certa aridità solenne la quale ebbe nome di stile accademico . Da questo vizio salvò i Francesi la conversazione , la quale fu ad essi come una sorta di vita pubblica e informò lo scrivere in ogni qualsiasi più grave argomento ; talché gli scrittori nel tempo medesimo che ne acquistavano maggior vita , divennero anche più facilmente e più generalmente popolari , così da esercitare nella lingua qual maestrato il quale ha bisogno la lingua medesima che venga dai libri . Questa , sorta di maestrato quale si sia , disse tanto bene Vito Fornari in un recente suo libretto , chi ' io farei torto al mio concetto se non lo esprimessi con le medesime sue parole . « Se egli è giusto il dire che il linguaggio non istà tutto negli scrittori , non si vorrà per questo affermare che si trovi intero fuori degli scrittori . Certi fatti mentali , e certe più fine relazioni e determinazioni del pensiero , non si vedono distintamente e non vengono significate , se non quando si scrive , cosicché alcuna piccola parte de ' vocaboli o molta parte de ' modi di dire o de ' costrutti non si può imparare altrove che nelle scritture » ( Lettera stampata nel Propugnatore , Bologna , 1869 ) . Per essere in questo modo imperfetta la lingua nostra poté nel secolo di cui scriviamo essere accusata « di viltà e non capace o degna di alcuna eccellente materia e subietto » , come attesta Lorenzo de ' Medici in quel commento del quale abbiamo poc ' anzi discorso . Bene egli l ' assolse da tale accusa , con argomenti di ragione e con gli esempi di Dante e del Petrarca e del Boccaccio . Ma quasi non fossero per sé valevoli quegli esempi , afferma al suo tempo essere la lingua « tuttora nella adolescenza perché ognora più si fa elegante e gentile . E potrebbe facilmente nella gioventù e adulta età sua venire ancora in maggiore perfezione , tanto più se il Fiorentino impero venisse ad ampliarsi e a distendersi maggiormente » ( Proemio al Commento sulle Canzoni ) ; pensiero nel quale stavano adombrati , ma certo assai timidamente , il male e il rimedio . Tali erano dunque le condizioni di questa lingua negli ultimi anni del quattrocento ; l ' abbiamo veduta per l ' andamento suo naturale progredire nelle sue più familiari ed umili forme , o nella opinione dei letterati intanto scadere . Ma ricorrendo ora col pensiero per tutto quello che si è fin qui scritto , abbiamo noi ed avrà chi legge , dovuto accorgersi che il discorso nostro non v ' era mai stato caso che uscisse fuori dei confini della Toscana . Di ciò cagione fu la mancanza non dirò intera ma poco meno , di libri o scritture in lingua italiana usciti dalle altre provincie d ' Italia . Volere discernere se dalla cultura dei primi Toscani uscisse la lingua o dalla lingua la colture , somiglierebbe troppo l ' antica lite di precedenza che fu tra l ' ovo e la gallina ; poiché la lingua essendo una materiale determinazione dei pensieri e degli affetti che si produssero dentro a quel popolo che la forma , diviene strumento che rende capace quel popolo a nuove produzioni del pensiero e a viepiù estendere la sua coltura . Oltrediché una lingua è monca e dappoco finch ' ella non abbia la sua finitezza negli usi letterarii , cioè finché non sia capace ad esprimere le cose pensate fuori del continuo uso e prima ordinate dalla lenta opera degli intelletti , finché non abbia insomma prodotto dei libri . Ciò avvenne in Toscana subito dopo al 1230 , prima di quel tempo dovendosi credere non bene compita questa moderna favella come Dante la chiamava . Ma ebbe ad un tratto scrittori in buon numero , e si cominciò a tradurre in lingua volgare gli autori latini ; tanta fiducia ebbe acquistata allora il pensiero in quella sua nuova e giovane forma . E furono gli anni nei quali Firenze , divenuta possente ad un tratto , si rivendicava in libertà , fondava una repubblica popolare , pigliava in Italia egemonia delle città guelfe , diveniva maestra delle Arti e produceva il libro di Dante . La lingua latina come noi l ' abbiamo era il portato di una solenne elaborazione del pensiero la quale si fece dentro a Roma stessa , sovrapponendosi alla forma latina che aveva quivi il parlare dei greco - italici : nata nel fôro e nel Senato o già sovrana sul Campidoglio , si distendeva per tutta Italia come lingua insieme politica e letteraria ; discesa quindi nelle Basiliche dei cristiani , divenne propria della religione . Nacque il volgare nel modo stesso ma con effetti dissomiglianti dentro ad un popolo d ' artisti , ed ebbe tosto una letteratura che per due secoli manteneva l ' impronta in se stessa . della città che l ' avea formata . In quella stavano per due secoli tutte le lettere italiane ; ma perché s ' intenda come le altre provincie nulla a quel moto partecipassero , vorremmo che studi maggiori si facessero sopra i vari dialetti d ' Italia , mostrando per quali più lenti passi si conducessero anch ' essi ad avere scrittori che fossero da contare oggi tra gli Italiani . Allora si vedrebbe fino a qual punto ciò conseguissero per via d ' imprestiti sopra i libri d ' autori toscani , ma né potevano questo fare né il farlo sarebbe stato sufficiente finché i dialetti più inferiori avessero tutta serbata l ' antica loro povertà . E rozzezza . Era il toscano in fine dei conti un italiano più compiuto e più determinato , più omogeneo in se stesso e più latino , perché il parlare dell ' antica plebe a questo più affine , aveva , in se stesso trovato la forma della lingua nuova a cui si era più presto condotto . Nello altre provincie più era da fare , e quello che si fece , rimase dialetto perché le misture avevano in sé troppo forti discordanze ; i suoni , gli accenti sempre non erano italiani . A mezzo il dugento uno scrittore pugliese Matteo Spinelli da Giovinazzo , avrebbe prima dal Malespini in una sua Cronaca mostrato esempio di lingua italiana che poi rimaneva lungamente solitario . Né un tale fatto io seppi mai come spiegarmi : se non che adesso da un erudito tedesco viene accertato , la Cronaca del pugliese non essere altro che una falsificazione fatta tre secoli dopo ; il che era facile sospettare dal dettato corrente più che non sia quello dell ' ispido Malespini , e dove si scorge sopra una forma tutta moderna spruzzate parole e desinenza napoletane da chi a quel gioco s ' era dilettato ( Bernardi , Dissertazione , ecc . , Berlino , 1868 ) . Gran tempo corse prima e uscissero da quello provincie e meno ancora dalle settentrionali , libi di prosa scritti in una lingua la quale non fosse come rinchiusa nel natio dialetto . Ne abbiamo esempio in quella vita di Cola di Rienzo la quale fu scritta dal romano Fortifiocca dopo alla metà del trecento . Qui perché siamo nella Italia media , la penna corre facile e sciolta ; ma tanto è ivi del romanesco , tanto le alterazioni dei suoni e quelle che a tutto il resto d ' Italia infino d ' allora comparivano brutture , da porre quel libro fuori del registro dei libri italiani . Quanto alle letterefamiliari un maggiore studio sarebbe da farne secondo i tempi e le provincie , ma , per via d ' esempio , quelle clic abbiamo degli Sforza irte e stentate , fanno contrasto alle bellissime elle allora e prima scrivevano l ' Albizi e altri Commissari fiorentini ( Commissioni di Rinaldo degli Albizzi , vol . I , 2 , Firenze . – Il terzo è in corso di stampa ) Le cronache in lingua italiana ma di autori non toscani che si hanno dalla metà , del XIV fino verso la fine del XV secolo nulla c ’ insegnano di quello che importi al nostro proposito , perché il Muratori che lo pubblicava badando ai fatti e non volendo ml oscurarli con le rozzezze dei dialetti , né tener dietro alle ignoranze dei copisti , tradusse ( com ' egli accennava nelle prefazioni ) coteste Cronache nella lingua comune al suo tempo . Generalmente però è da notare che appartengono all ' Italia media o alla Venezia , poche estendendosi verso il mezzogiorno : in quelle provincie la lingua italiana si era formata più ( l ' accordo con se stessa per la maggiore affinità che era tra ' popoli primitivi , e poté quindi salire al grado di lingua scritta più presto che non potessero quelle dov ' erano popoli usciti di razza celtica od iberica . Lo versioni dei romanzi di cavalleria generalmente scritti in lingua francese , dovrebbe cercarsi se alle volte non appartenessero ai luoghi dov ' ebbe maggiore entrata questo idioma . Tutto ciò vorrei che gli eruditi ci dichiarassero , pigliando esempio dalla non mai infingarda curiosità degli uomini tedeschi . Ma si tenga a monte come tra l ' uso della poesia e quello della prosa le cose andassero in modo diverso . La poesia lirica fu italiana dai suoi primordi e si mantenne : da Ciullo d ' Alcamo siciliano al Guinicelli bolognese ed al Petrarca un andamento sempre uniforme la conduceva fino al sommo della perfezione per una via che rimase sempre l ' istessa nel corso dei secoli . Emancipatasi dal latino prima della prosa , fa in essa più certo l ' uso della lingua ed ebbe consenso che l ' altra non ebbe : quindi noi troviamo che in sulla fine del quattrocento v ' era una lingua nazionale della poesia , che nulla ha per noi né d ' antiquato né di provinciale ; il che non può dirsi dei libri di prosa . Ma quello era il tempo nel quale in Europa non che in Italia pareano le cose pigliare un essere tutto nuovo ; ciascuna nazione d ' allora in poi ebbe la propria sua lingua più o meno perfetta , ma in tutto recata a foggia moderna . Era un procedere naturale , ma che in Italia più vivo che altrove , doveva estendersi dappertutto : le minori città meno chiuse in se medesime poiché avevano perduto ciascuna , la fiera indipendenza municipale , si aggregavano alle grandi , e l ' una con l ' altra più si mescolavano ; la vita più agiata voleva relazioni più frequenti , gli Stati col farsi più vasti creavano nuovi centri di cultura , le corti ambivano essere accademie . Intanto lo studio classico diffuso per tutta l ' Italia valeva molto a correggere quei volgari ch ' erano rimasti infino allora meno latini ; dal fondo di ciascun dialetto cavava lo studio dei libri classici una forma , la quale applicata all ' uso colto di quei dialetti , faceva quest ’ uso naturalmente essere più italiano e più capace di trarre a sé quella finitezza che prima avevano acquistata i soli libri dei Toscani : venivano i suoni a farsi più molli , più agevole certa speditezza di costrutti ; molte proprietà di lingua che i Toscani avevano appreso dall ' uso antico tra loro , gli altri imparavano dal latino . Notava sapientemente il Tommaseo come le etimologie sieno più assai che non si crederebbe mantenute dall ' uso del popolo non che da quello dei grandi scrittori : ciò era in Toscana più spesso che altrove ; negli altri dialetti gli uomini colti le ritrovavano qualche volta per lo studio dell ' antico latino e quindi le riconducevano nei libri . A questo modo il latino ch ’ era stato impedimento allo scrivere dei Toscani , condusse nelle altre provincie i dialetti a meglio rendersi italiani . In questo tempo era trovata la stampa , dal che la parola aveva acquistato come un nuovo organo a diffondersi . In tutti i tempi fino allora ed in tutti i luoghi chi si metteva a scrivere un libro sapeva bene che sarebbe andato in mano di pochi ; cercavano quindi il loro teatro a così dire nella posterità : di qui è che i libri ne uscivano più pensati e meno curanti di essere popolari ; questo vantaggio hanno i libri classici e quindi più servono alla disciplina del pensiero . Mia lasciando stare queste cose , gli autori toscani , eccetto i poeti , scrivevano fino allora per la provincia loro , né credeano essere intesi nelle altre : quindi è che i libri che apparissero meritevoli venivano tradotti in lingua latina per dare ad essi , così dicevano , maggiore divulgazione . Quando poi si cominciò a stampare ( com ’ è naturale ) quei libri ch ’ erano più cercati , ebbe il Petrarca la prima edizione l ' anno 1470 , e la ebbe il Boccaccio nel tempo medesimo ; nel 1472 tre non delle non maggiori città d ' Italia si onoravano pubblicando ciascuna il Poema di Dante che usciva a Napoli poi nel 1473 , ed aveva ben tosto l ' aggiunta , di nuovi commenti , ma in lingua latina . D ' altri toscani antichi non mi pare che avesse edizioni in quei primi anni altri che il Cavalca sparsamente per l ' Italia ma per tutte quasi le varie sue opere ; e oltre lui pochi degli ascetici : stamparono questi perché erano i soli elle avessero faina allora in Italia . Nel mentre che autori delle altre provincie pubblicavano commentato in lingua latina il libro di Dante , un toscano che da principio soleva scrivere latina ogni cosa , Cristoforo Landino , poneva le mani a stenderne un molto ampio commento in lingua italiana . Di già i vecchi commentatori del trecento pareano a lui essere un poco antiquati ed io per me credo che senza la stampa non avrebbe egli pensato un lavoro il quale intendeva riuscisse , come ora si direbbe , popolare . Lo stesso Landino avea pubblicato l ' anno 1476 una versione dell ' Istoria naturale di Plinio , dov ' entra un numero stragrande di voci ; questa ed il Commento che fu stampato nel 1481 io credo non poco servissero agli scrittori tuttora inesperti che ebbero in quei libri un esemplare di lingua vivente ma non toscana soverchiamente , perché il Landino per antico abito disdegnava quei modi di scrivere che a lui sapessero di plebeo . Nello stesso anno 1481 usciva il Morgante di Luigi Pulci , e insieme i tre libri non poco servirono a rendere meglio familiare l ' uso dello scrivere in lingua comune . Imperocché il Pulci che sollevava l ' ottava rima dalla pesantezza del Boccaccio e dalle bassezze degli altri , scrittore di vena copiosa e facile , ha in sé qualcosa quanto alla lingua , di meglio compito nella struttura del discorso , di più andante nei periodi , qualcosa insomma di più avanzato e più universale di quello che fosse generalmente negli autori del trecento e che annunzia maggiore coltura . Lorenzo de ' Medici e Angiolo Poliziano ebbero fama e non del tutto immeritata come restauratori del buono scrivere italiano . Lorenzo promosse l ' uso di questa lingua e lo difese dandone egli stesso in verso e in prosa pregiati esempi . Seguendo il genio suo nativo che lo conduceva bene all ' acquisto della grandezza , cercò egli essere popolare ; la conversazione lo avea formato più che lo studio dei libri greci e de ' latini che a lui erano passatempo : si atteneva quindi assai di buon grado all ' uso fiorentino in quelle minori poesie , le quali o sacre o sollazzevoli , bramava che fossero cantate dal popolo ; facea versi anche po ' contadini . Per tutto questo meritò bene della lingua più ancora che non facesse il classico Poliziano il quale insegnava a trarre la forma della poesia italiana dai greci autori e dai latini . Finiva il secolo , e la lingua toscana pareva che già s ' avviasse a farsi italiana . Alle altre provincie secondo che divenivano più cólte , non bastava l ' uso di quei volgari plebei a cui rimase nome di dialetti ; perché a cotesto uso mancavano spesso non che le voci per cui si esprimono idee non pensate dagli uomini rozzi , ma più ancora le frasi o locuzioni e il giro e la forma di quel discorso più condensato che si chiama scelto , più breve e rapido perché cerca comprendere un maggior numero d ' idee ; forma che serve generalmente a chi si mette a scrivere un libro . Non so che i dialetti fossero insegnati nelle scuole , né che si pensasse molto a coltivarli come lingua letteraria . Ciò tanto è vero che il fare libri nel dialetto proprio agli autori non toscani cominciò tardi e fu per gioco e come una sorta di prova non tanto facile , perché lo scrittore deve in quel suo dialetto cacciare e costringere le frasi e i costrutti ch ' egli era solito pigliare da un uso più colto e più universale . Ma per contrario , quando nel primo tempo l ' autore avvezzo al suo dialetto voleva innalzarlo fino a quella lingua , ch ' era intesa da tutti , ne aveva in sé il germe che la coltura vi avea già posto : e il nuovo processo veniva spontaneo , essendo per molta parte il compimento di quell ' antico suo parlare . È stato già detto che a scrivere bene in lingua italiana , la meglio è cercarla in ciascuno nel fondo del suo dialetto , perché a correggere o a dirozzare questo si vede uscirne fuori quella lingua , comune di cui la lingua toscana già diede agli altri dialetti la forma e che n ' è il fiore e la perfezione . Ma questi dialetti poiché non bastavano a quell ' uso più ampio e più scelto , chiunque , volesse parlare o scrivere in tal modo , non poteva pigliarne le forme da un altro dialetto , perché non s ' intendono questi fra loro ; poteva bene da quel linguaggio e da quell ' uso più accettabile universalmente , che vivo in Toscana corregge da per tutto i plebei parlari perché più italiano di ciascuno d ' essi . Ciò veramente poteva in qualche parte dirsi opera di traduzione , ma non di quella che si fa pigliando parole e forme da lingua straniera ; e questo fu il caso di quei primi non toscani , i quali sul finire del secolo XV cominciarono a scrivere libri in lingua toscana . Vorremmo allegare qui alcuni di quelli sparsi documenti che a noi fu lecito di raccogliere da varie provincie d ' Italia , se fosse qui luogo a minute ricerche o se quelle che abbiamo fatte ci apparissero comprendere tutta la vasta materia . Crediamo però che i pochi esempi sieno conferma di quello che abbiamo sopra accennato quanto alla difficoltà che avevano maggiore o minore le altre provincie a farsi nello scrivere italiane , secondo le varie qualità delle misture ch ' erano entrate in ciascun dialetto . Abbiamo un Testamento politico di Ludovico il Moro scritto sulla fine del quattrocento in lingua milanese che vorrebb ' essere italiana ( Documenti di storia italiana , copiati a Parigi da G . Molini , tom . I in fine ) ; e nella città stessa abbiamo l ' istoria di Bernardino Corio che finisce al primo entrare del secolo susseguente : qui sembra il dialetto nascondersi affatto , ma lo stile duro e faticato ha proprio l ’ aspetto d ' un nuovo e non sempre felice sforzo che l ' autore fece usando una lingua che tutti leggessero . Questa , e l ' istoria napoletana di Pandolfo Collenuccio da Pesaro credo sieno i primi libri dove il toscano fosse cercato da scrittori non toscani : il Corio di molto sopravanzò l ' altro per la materia , ma il Pesarese più franco e sicuro in quanto alla lingua , scrive anche in modo assai più scorrevole . Generalmente gli uomini più meridionali e su su venendo quelli della sponda dell ' Adriatico , si erano prima fidati più degli altri al natio dialetto così da usarlo anche nello scrivere . I Veneziani , etruschi d ' origine , come hanno dialetto meno degli altri discordante , così lo usarono sebbene con qualche temperamento sino al finire della repubblica nelle arringhe che si facevano in Senato o nella sala del Gran Consiglio , tanto che v ' era un ' eloquenza in veneziano , quale non credo che fosse nemmeno in Firenze dove il Gran Consiglio durò poco e prima era scarso l ’ uso del parlare in modo solenne . La vita e la lingua qui erano nel popolo , da cui venivano come a scuola gli scrittori quando al principio del cinquecento l ' urto straniero ci ebbe insegnato a rendere cose quanto si poteva nazionali , la vita almeno civile e la lingua . Pochi anni prima di quel tempo Fra Girolamo Savonarola venuto giovane da Ferrara dove il parlare aveva qualcosa del veneto , cominciò in Firenze a predicare . « Da principio diceva ti e mi , di che gli altri Frati si ridevano » ( Cambi , Storia di Firenze , anno 1498; sta nelle Delizie , ecc . del P . Ildefonso ) . Divenne poi grande oratore avendo appreso qui la correttezza e la proprietà della favella , senza mai troppo cercare addentro nell ' uso più familiare di questo popolo Fiorentino . Dal quale poi trasse non poco un altro Ferrarese , l ' Ariosto , ma con quel fino e squisito gusto ch ' era a lui proprio ; e se io dovessi dire quali autori allora o poi meglio adoprassero nelle scritture quell ' idioma che solo era degno di essere nazionale , porrei senza fallo il nome dell ' Ariosto accanto a quelli di due Toscani , che sono il Berni ed il Machiavelli . Lo scrivere andante si poteva bene imparare anche da due poeti come questi , perciò infine la lingua della poesia viene dalla lingua della prosa , di cui non è altro che un uso più libero . Cosi alla fine questo volgare che aveva data ne ' suoi primordii una promessa poco attenuta , che fu negletto per oltre un secolo , o rinnegato da chi teneva il latino essere tuttavia l ' idioma illustre della nazione , questo volgare divenne allora quel che non era ma prima stato , lingua italiana . A questo effetto andavano tutte insieme le cose allora in Italia : già la coltura diffondendosi agguagliava presso a poco l ’ intera nazione ad un comune livello , intantoché le armi forestiere distruggevano in un con le forze provinciali e cittadine quanto nei piccoli Stati soleva in antico essere di splendore e di bellezza ; l ' idea , nazionale che allora spuntava cominciò a farsi strada nella lingua . Ma era troppo tardi : gli ingegni fiorivano , le lettere e le arti toccavano il colmo , l ’ Italia insegnava alle altre nazioni fino alle eleganze e alle corruttele della vita ; possedeva una esperienza accumulata d ’ uomini e di cose tale che una piccola città italiana aveva in corso più idee che non fossero allora in tutto il resto d ' Europa ; di scienza politica ve n ' era anche troppa . Ma quando poi sopravvennero i tempi duri , questo tanto sfoggiare d ' ingegni non approdò a nulla , perché le volontà in Italia , erano o guaste o consumate dall ' abuso , o vôlte a male . Quegli anni che diedero i grandi scrittori passarono in mezzo a guerre straniere dove gli Italiani da sé nulla fecero , nulla impedirono ; e come ne uscisse acconcia l ' Italia non occorre dire . Dopo le guerre o dopo i primi trent ' anni del cinquecento , erano i tempi ed il pensare ed il sentire di questa nazione tanto mutati da mostrare il vuoto che era sotto a quella civiltà splendida ma incompiuta ; da quelli anni in poi calava il nostro valore specifico ( se dirlo sia lecito ) , e il nostro livello a petto alle altre nazioni d ' Europa venne a discendere ogni giorno . Mancò nel pensiero , perché era mancato prima nella vita , l ' incitamento ad ogni cosa che non fosse chiusa dentro ad un cerchio molto angusto ; manco la fiducia che all ’ uomo deriva dall ’ aperto consentire insieme di molti : v ' era in Italia poco da fare . Né ai tanti padroni che aveva essa dentro andava , a genio che si facesse , ma già la stanchezza o una mala sorta d ' incuranza disperata menavano all ' ozio , interrotto solamente da quelle passioni che non hanno scusa nemmen dal motivo ; la conversazione tra gente svogliata o avvilita o malcontenta non pigliava vigore né ampiezza dai gravi argomenti ; i libri meno che per l ’ innanzi andavano al fondo nelle cose della vita : dice il Fornari molto bene che « tra ' letterati e lettori non v ' era in Italia quella comunicazione intima e piena » per cui la vita , la lingua , le lettere tra loro s ' ajutano . Noi crediamo che nei libri qualcosa debba essere che sia imparata fuori dei libri , perché altrimenti lo scrivere viene quasi a pigliare la forma d ' un gergo necessariamente arido e meno efficace , da cui s ' aliena , il comune dei lettori . Ciò avvenne bentosto in Italia , e fu in quel tempo quando la lingua più si voleva rendere universale e n ' era essa stessa , divenuta più capace avendo perdute allora le asprezze d ' un uso ristretto , e nel diffondersi la coltura avendo acquistato migliore esercizio nelle arti della composizione . Ma giusto in quel tempo questa lingua per certi rispetti più accuratamente scritta , fu meno parlata ; e la parola meno di prima fu espressione di forti pensieri ed autorevoli e accetti a molti : vennero fuori i letterati , sparve il cittadino ; scrivea per il pubblico chi nella , vita non era avvezzo parlare ad altri che alla sua combriccola : quindi l ' eloquenza cercò appropriarsi all ' uso delle accademie le quali erano una sorta di sparse chiesuole . Mancò alla lingua , un centro comune perché mancava alla nazione : ne avevano entrambe lo stesso bisogno che appunto allora cominciò ad essere più sentito , sebbene in modo confuso ed incerto ; nulla si poteva quanto alla nazione , rimedii alla lingua si cercavano in più modi , varii , discordanti e quasi a tentone . Un snodo semplice vi sarebbe stato , ed era l ' attingere copiosamente da quel dialetto ch ' era il più finito ; ma questo invece di tenere sugli altri l ' impero , vedeva in quel tempo scadere non poco o farsi dubbia , l ' autorità sua . Al solo pregio della lingua molti sdegnavano ubbidire : condizioni tutte differenti sarebbonsi allora volute in Italia perché tante voci , tante locuzioni , tante figure con l ’ acquistare sanzione solenne potessero farsi moneta corrente pel comune uso degli scrittori . Avrebbe la sede naturale della lingua dovuto almeno stare in alto cosicché tutte le parti d ' Italia a quella guardassero , e che al toscano fossero toccate lo condizioni dell ' idioma parigino ; « perché il toscano ( dice il Manzoni da pari suo ) faceva dei discepoli fuori dei suoi confini , il francese si creava dei sudditi ; quello era offerto , questo veniva imposto » . A questo modo solamente potea l ' ossequio delle altre provincie essere necessario o inavvertito , perché non venissero tra ' letterati a sorgere le contese che nate una volta non hanno mai fine . Se ( come fu detto ) lo stile è l ' uomo , la lingua può dirsi che sia la nazione : quindi all ' esservi una linguaggio bisognava , ci fosse una Italia , né altrimenti poteva cessare l ' eterna lagnanza che il linguaggio scritto si allontanasse troppo dai modi che si adoprano favellando ; né bene potesse fare sue le grazie e gli ardimenti del volgar nostro , il quale da molti ignorato ebbe anche taccia , di abbietto e triviale ( Alcune parole di questo discorso erano scritte fino dal 1826 , e sono stampate negli Atti dell ’ Accademia della Crusca ) . Cotesta accusa molto antica tutti parevano confermare contro alla povera nostra lingua , che ci avea colpa meno di tutti . Poco badando all ’ uso vivo , nelle scuole di lettere insegnavano per tutta Italia dopo ai latini quei pochi autori toscani che allora fossero conosciuti , cercando alla meglio di mettere insieme su questi esemplari una sorta di linguaggio comune che fosse atto alle scritture . Un letterato molta solenne , Gian Giorgio Trissino da Vicenza , poneva in credito il linguaggio illustre con la versione da lui fatta del libro De Vulgari Eloquio ; Baldassarre Castiglione mantovano , uomo e scrittore di bella fama , sebbene dichiari la lingua essere una consuetudine , biasima l ' andare sulle pedate dei toscani sia vecchi , sia nuovi : sentenziò il Bembo che l ' antica lingua stava nel Boccaccio , di cui gli piacevano le grandi cadenze ; tutti i chiarissimi dell ' Italia , per ben tre secoli dopo lui accettarono la sentenza . Ma della comune popolare come in Firenze si parlava e si scriveva , niuno voleva sapere : negli anni stessi del Bembo , cioè verso il 1530 , Marino Sanudo scriveva in una lettera stampata « che Leonardo Aretino trasse ( l ' Istoria di Firenze ) da un Giovanni Villani il quale scrisse in lingua rozza , toscana » ( Estratti del sig . Rawdon Brown , Tomo III , p . 318 ) . Il Bembo era il solo autore vivente di cui s ' innalzasse non contestata l ’ autorità : basta ciò solo a dimostrare come si vivesse in fatto di lettere , quando gli Spagnuoli furono rimasti padroni d ' Italia . Al Machiavelli nella sua patri istessa nuoceva la vita , gli nocque più tardi , quanto al numero dei lettori , l ' essere all ' Indice ; l ' Istoria , del Guicciardini fu lasciata , stampare , ed anche mutilata , solamente nel 1561 , due anni dopo a che l ' Italia per grande accordo tra ' potentati si può dire fosse bello e sotterrata , e quando la voce degli italiani ormai più non faceva , paura a nessuno ( Nel 1559 il Trattato di Castel Cambrese aveva finito le guerre d ’ Italia ; ma in quell ’ anno stesso dal piè delle Alpi si preparava il 1859 , tre secoli tondi e date che importano la storia della lingua ) . Frattanto era disputa più volte rinnovata se si dovesse dire lingua italiana o toscana o fiorentina : chi affermava la lingua essere in Firenze facea nondimeno poca stima degli autori che ivi nascessero ; in certe parole recate dal Bembo si va fino a dire che « a scrivere bene la lingua italiana , meglio è non essere fiorentino » . E in questa medesima città noi vedemmo quante incuranze o quanti dispregi soffrisse la lingua nei più eminenti tra ' suoi cultori : la Divina Commedia non vi ebbe più quasi edizioni , e verso il 1520 certi maestri di scuola vietavano agli scolari leggere il Petrarca . Questa ed altre cose che stanno a dimostrare la confusione dominante tra ' letterati sono a disteso esposte in un libro di qualche pregio e di molta noja che ha per titolo l ' Ercolano ; autore di esso fu Benedetto Varchi il quale pel vario ingegno non ebbe chi lo agguagliasse dentro a quella età che scendeva . In quel medesimo suo libro si vede come allora molto dominassero i grammatici ai quali avviene quel che ai fisiologi , perché entrambi avvezzi a tenere fermo il pensiero sopra le minute particelle delle cose , riescono spesso corti o disadatti a quelli studj più comprensivi che bene in antico nella loro massima estensione ebbero nome di umanità . Consente il Varchi prudenzialmente al Bembo : ma solo nelle apparenze ; confessa la lingua in Firenze essere trascurata , ma vuole si cerchi nel fondo dell ' uso , mettendo egli fuori per via , d ' esempi gran copia di voci e soprattutto di locuzioni familiari , dovizie nascoste da farne a chi scrive ricco patrimonio ( Varchi , Ercolano , Padova , 1744 , in 4° , pag . 84 e segg . – 357 e segg . – 446 e segg . – 508 e in molti luoghi ) . In questo avrebbe egli dato nel segno , né vi è anch ' oggi da fare di meglio , tantoché sarebbe alla unità della lingua mezzo utilissimo un Vocabolario com ' è proposto dal Manzoni . Ma il guajo stava in ciò che non erano i più di quei modi entrati abbastanza nell ' uso comune ; molti erano figure che un tempo ebbero qualche voga , capricci d ' un popolo arguto e faceto , e spesso allusioni a cose locali : cotesti Firenze non avea diritto d ' imporre all ' Italia . Inoltre non era , più questo popolo quello che aveva creato una lingua educatrice di tanti ingegni ; meno operando inventava meno , e fatto più inerte anche nell ' animo , i suoi discorsi andavano spesso a cose da ridere . I letterati seguendo in queste nuove condizioni l ' antico genio popolare e avendo qui molto in uggia il sussiego recato dagli Spagnuoli , si dilettavano oltre al giusto di certe bassezze da essi chiamalo grazie della lingua : così tra le bassezze e nobiltà false viveano le lettere poi tutto quel secolo . Ma dentro a quegli anni nacque Galileo . Le scienze matematiche e le fisiche hanno questo , che l ' uomo le pensa dentro a se medesimo , si tengono fuori dal corso vivo degli umani eventi , e vanno da sé per la via loro qualunque si sieno le cose all ' intorno . Galileo che pure in mezzo all ' sperimentare minuto e sottile teneva lo sguardo volto all ' universo , portò nella fisica , l ' ampiezza d ' una filosofia , degna li questo nome , e fu in secolo di decadenza , scrittore sommo , perché al bell ' ordine del discorso unisce la copia e una dignitosa naturalezza . Continuava da cento anni in Firenze la scuola fondata da Galileo e di sé lasciava traccie indelebili nelle scienze fisiche ; da quella uscirono anche uomini dotti nelle razionali , e assai le lettere se ne avvantaggiarono nella seconda metà del seicento . Ma quando la lingua , o le idee francesi predominarono e quando poi gli eccitamenti nuovi destarono gli animi degli Italiani a cercare almeno in fatto di lingua l ' unione vietata , la Toscana sofferse rimproveri dalle altre provincie quasi ella fosse gelosa , ma inutile custoditrice di quel tesoro che aveva in casa ma non lo adoprava . Più grave è fatto il nostro debito ora in tempi di sorti mutate , di sorti maggiori ma più difficili a portare ; noi siamo venuti ad esse non preparati , e s ' io dovessi quanto alle future condizioni della lingua fare un pronostico , direi senz ' altro : la lingua in Italia sarà quello che sapranno essere gli Italiani .
MEMORIE E PROPOSITI ( MARTINI FERDINANDO , 1882 )
StampaPeriodica ,
Non ci siamo lasciati senza rammarico ; lo vidi nascere quel Fanfulla della Domenica e mi costò , nei suoi primi giorni specialmente , ogni maniera di fatiche e di angoscie . S ' era di luglio : la mia Valdinievole , sorridente tra il verde delle pinete , inaugurava il monumento del Giusti e me aveva prescelto a ricevere le deputazioni , a sorvegliare l ' imbandigione delle tavole e a dar l ' aire ai fuochi d ' artifizio . Forse parve alla gente che io compiessi gli uffici o solenni o modesti con assai dignità : e non ero che un uomo scombussolato ; pensavo che il futuro giornale sarebbe stato il Fanfulla del martedì o del mercoledì , ma della domenica no di certo : perché nessuno aveva scritto una riga , ed io non potevo mandare in luce il foglio , candido come le nevi alpine , o come i sogni di una adolescente . Paragoni che non erano nuovi lo so : ma chi aveva tempo in quel brusio , in quell ' assillo di cercarne dei più originali ? E poi non si trattava mica di stamparli nel primo numero ! ... La sorella del poeta morta a 70 anni giorni or sono , ultima della famiglia non si sapeva capacitare che ci fossero musi lunghi quando la presidenza della Camera e i Lincei si muovevano a posta da Roma per fare omaggio alla memoria del suo Geppino ; i Lincei segnatamente le avevano ferito la fantasia . Vedendomi pensieroso a quel modo mi domandava ogni poco colla voce lenta e sottile : Che fa ? È stanco ? Lo credo , dopo tutto quello che ha fatto ! Ed era invece il non aver fatto , ciò che mi impensieriva ! Buona signora Ildegarde ! Mi sia lecito rammentarla qui col rispetto che meritò , colla affettuosa melanconia onde ricordo ogni cosa di quel tempo pieno di trepidazioni che or si rinnovano . Parlando di lei qui , mentre son calde ancora le ceneri sue , mi par quasi di invocare il patrocinio del suo illustre congiunto sopra queste pagine ; e mi dà nuovi vigori il desiderio di non far scomparire per me quel paesello che ci fu patria comune , e alla cui solitudine tanto più vanamente oggi sospiro quanto più cresce il dovere e la necessità del lavoro . Era una donna semplice , assai più meravigliata che persuasa della gloria che aveva a un tratto circondato il suo nome : della madre , bella così che discorrendo di lei i pochi decrepiti i quali la videro mezzo secolo fa si accendono ancora di fiamme quasi giovanili , non aveva né l ' ingegno acuto né le forme opulente ; mingherlina , asciutta , tirava , nel fisico , dal padre : ma tanto rimessa e pacifica quant ' egli disinvolto e irrequieto : culto , scettico , arguto : peccatore impenitente sino all ' ultimo , ripicchiato , vago di gingilli e di mode , che morendo lasciò nel guardaroba centododici paia di pantaloni ! Ma torniamo al giornale . Enrico Panzacchi aveva promesso due cose : leggere il discorso inaugurale a piè della statua e scrivere un articolo per il giornale nascituro . Capitò all ' alba in frac e cravatta bianca , ricusò una tazza di caffè e chiese una penna : all ' articolo non aveva neppure pensato , del discorso aveva scritto due pagine a mala pena . E lì nella stanza del Sindaco , non visitata sino a quel giorno dalle vergini Muse , improvvisò quello studio critico che avete letto ( No ? leggetelo e ve ne troverete bene ) nel volume delle Teste quadre . La orazione parve breve a tutti , a me eterna ; avrei voluto che l ' amico si sbrigasse ; due periodi più , due meno la fama del Giusti rimaneva tal quale , ma senza la prosa del Panzacchi il giornale non veniva alla luce . Uscì , come Dio volle , e le angustie si fecero anche più dure . Primo , ineffabile strazio i consigli . Peuh ! ammoniva un avvocato semi - illustre , tra una sonata e l ' altra della banda municipale in piazza Colonna . Peuh ! Tentativi , nobili tentativi , ma tentativi . Conati . Il mondo , caro Martini , non legge più ; ha troppo da fare . Capisco : il vostro non è un libro , è un giornale , ma fa lo stesso . Oh ! Ci sarebbe , sicuro , da farlo un giornale ; ma niente letteratura ; un giornale finanziario a un soldo ; s ' incassano 50,000 lire di annunzi per anno . Piglio io l ' appalto . Conati , amico mio . Generosi , non lo nego : ma conati . E poi , chi scriverà ? Gli italiani son pigri . Basta , provate . Cercate i migliori , e forse ... Associatevi , associatevi , date retta a me : l ' associazione è la gran forza del mondo moderno . Cerea . Non ho mai capito perché , a dare il buon esempio , non si associava lui per il primo . Poi veniva il giornalista provetto che conosce il suo pubblico : si piantava innanzi a me , colle lenti sul naso , le mani in tasca e alzava la testa e torceva le pupille come uno strabico per darsi il gusto , lui più piccolo , di guardarmi dall ' alto in basso . Amico mio , quello è un giornale che ti muore in mano fra un mese . Un articolo sul Beccaria ? Ma ci hai pensato ? Sul Beccaria ? Ma come si fa a scovare il Beccaria ? Neanche a farlo apposta . E poi tre colonne e mezzo ! Io , lo sai , son vecchio di queste cose : i giornali si fanno col metro . « Lei mi farà trentacinque centimetri d ' articolo » : se no , il pubblico non legge . E fa ' metter de ' cartelloni , santo Dio ! sulle cantonate ! Pare un giornale clandestino . E nomi , nomi , nomi . E articoli brevi , e roba leggera , commovente . Pensa alle donne e il Beccaria lascialo in santa pace . Quattro cose , tienlo bene a mente : le donne , i nomi , i cartelloni e il metro . Tò ! un endecasillabo Le donne , i cavalier , l ' armi e gli amori . Ciao . Dopo queste due cavatine , il coro . Il giornale era uggioso , era peso , era insopportabile . Non si adoperava in Italia che una sola forma di maledizione : che tu possa leggere il Fanfulla della Domenica ! Chi ci voleva una cosa , chi un ' altra : i più l ' attualità . « Non muore nessuno , non muore nessuno » smaniava ogni giorno uno dei compilatori invocando l ' attualità dalla biografia d ' un illustre defunto . Il grand ' uomo non si risolse a morire in quel subito , per far piacere all ' amico : ma il giornale visse . Vita , mi sia conceduto affermarlo , non inonorata né inutile . Ed oggi , daccapo ; daccapo cogli stessi intenti , colla stessa energia , colla stessa schiettezza : daccapo quali che sieno gl ' impedimenti che ci si frappongano o la sorte che ci si prepari . Già , la sorte di noi che ci affatichiamo in questa tormentosa opera del giornalismo , vuoi politico , vuoi letterario , è una sola . Dopo aver lavorato ogni giorno e nutriti gli altri de ' propri studi e svagatili colle proprie fantasie , ed esserci stillati il cervello a contentare gli incontentabili ; dopo aver sofferto le calunnie de ' malvagi e i dileggi degli sciolti e costretto noi stessi a serbare nelle pubbliche polemiche quella pacatezza di cui ci saremmo volentieri liberati nel disputare a quattr ' occhi ; e misurati gli atti propri e le proprie parole In verbis etiam tenuis cautusque serendis , che ci resta di tanti sopraccapi , di così assidua fatica , di così difficile pazienza ? Uditeli i lamenti di quanti più famosi salirono ai massimi gradi di quest ' arte effimera del giornale , rumore d ' un giorno , potenza d ' un momento . Chi tocca più , se non forse i custodi delle biblioteche per spolverarli ogni tanto , i settanta volumi delle Nouvelles de la Republique des lettres ? E Pietro Bayle fu de ' giornalisti il primo e il più grande ! Quel pezzo di foglio sciagattato , stracciato , strascicato per le tavole dei caffè , macchiato di birra e di vino , ecco l ' opera mia e la mia vita e la mia anima e il mio ingegno , e le lezioni de ' miei maestri , il mio zelo , la mia ambizione , la mia fortuna hic jacent . E gli altri scritti più gravi muoiono , lo so ; ma il non omnis moriar o il plaudite cives sono felici speranze di chi compie il libro o dà al dramma l ' ultima mano ; inganno non consentito a noi che istilliamo nell ' opera nostra giorno per giorno il germe dell ' oblio . Giornalisti e trappisti , uno stesso ammonimento e una stessa divisa : fratelli , bisogna morire . E nondimeno chi entrò in questa via non se ne ritrarrà se non quando abbia logora la salute e infrante le membra . Chi ha la testa alle melanconie il dì de ' conforti ? E bisogna aver fatto un giornale dubitando delle sorti sue e della sua vita , per sapere che conforto sieno l ' aiuto e la simpatia de ' migliori . Bisogna aver annunziato il Fanfulla della Domenica senza un ' ombra di manoscritto per capire che cosa portassero con sé , quando giunsero , uno scritto del Carducci , una novella del Guerrini , e gli articoli del Bartoli , del Nencioni , del Chiarini , del De Zerbi , degli altri che allora mi soccorsero ed oggi mi seguono ; bisogna aver sfogliato , trepido , tutta quanta la raccolta di un giornale compilato per quattro anni con amore operoso , per sapere che beato orgoglio si senta nel ripetere sicuri a se stessi : posso avere sbagliato , ma non ho mentito mai . L ' animo s ' invigorisce , le forze s ' accrescono preparate ad ogni traversia , disposte a ogni prova più ardua : e ci si sente il coraggio di presentarsi di nuovo ai lettori culti ed onesti , di chieder loro anche una volta la confidenza , necessaria perché non sia inefficace l ' opera che continuiamo e a cui ci consacriamo risoluti ed interi . Roma , 4 febbraio 1882 .
LA «FAUSTIN» DI EDMONDO DE GONCOURT ( MARTINI FERDINANDO , 1882 )
StampaPeriodica ,
Una volta si diceva : « i Goncourt » , né l ' un fratello si distingueva dall ' altro ; le loro opere andavano innanzi al pubblico , le loro lettere pervenivano agli amici firmate con ambedue i nomi , Giulio ed Edmondo ; tracciavano insieme il piano de ' loro lavori , poi ci pensavano ognun da sé , scrivevano ciascuno per conto proprio : ma dalla consuetudine degli studi comuni , dalla convivenza non interrotta , tale era uscita una conformità intellettuale e morale che non di rado l ' uno e l ' altro , rispetto a un istesso argomento , sentivano e scrivevano ad un modo . Frutti di questo doppio e pur simile lavoro diuturno furono Germinie Lacerteux , Manette Salomon , Renée Mauperin , de ' più notevoli romanzi di questo tempo , e l ' Henriette Marechal , audacissimo dramma , caduto all ' Odeon tra ' fischi della masnada guidata da un oscuro abitatore del quartier latino , avvocato senza clienti , il Gambetta ; non perché il dramma gli paresse cattivo , ma perché gli autori andavano in casa della Principessa Matilde . La recente caduta di lui non ebbe forse causa diversa : alla più parte di coloro che gli si scandagliarono contro non parve forse il suo governo peggiore d ' un altro : intollerabile bensì ch ' egli preferisse le nuove sale lucenti del Palazzo Borbone ai biliardi affumicati del Caffè di Madrid ! Un giorno , saranno dodici anni fra poco , quella feconda comunione fu spezzata ad un tratto . Il più giovine de ' fratelli , Giulio , morì : morì della malattia della quale morremo noi tutti , qualunque sia l ' occasione ch ' essa scelga a percuoterci , qualunque sia il nome onde la battezzino i medici : morì per la perpetua tensione dello spirito , per lo sforzo senza riposo , per la fatica del maneggiare la penna , assai più grave arnese a chi l ' ha sempre fra mano che la marra o la vanga . Quel giorno anche Teofilo Gautier il quale aveva insegnato colla parola e coll ' esempio che bisogna serbare il pudore della commozione pianse in pubblico dietro al feretro , dal villino d ' Auteil al cimitero di Montmartre : pianse un amico morto giovane e due baldi intelletti perduti . Due ; e il vaticinio si avverò : i libri pubblicati da Edmondo dopo quel tempo son difatti libri incompiuti : la Fille Eliza , i Frères Zemganno , questa stessa Faustin appaiono quasi materiali aspettanti invano chi scelga con giudizio e disponga con ordine ; libri accozzati , non discussi . Si direbbe che , assuefatto ai consigli del morto , il superstite reputi quasi irriverente chiedere consiglio a sé stesso intorno all ' opera propria ! O c ' è forse un ' altra ragione . Un quindici anni fa , prima assai che le battaglie parlamentari chiamassero sotto le bandiere anche me milite debole e pigro , accompagnai un amico , gentiluomo di casata antica , lindo , elegante , pieno di delicature , in un suo giro elettorale . Che triste fatica ! Gli toccava perorare nelle stalle , banchettare nelle bettole , baciare sul viso inzavardato i bambini del collegio , stringere mani ! ... che , in barba alla legge , lasciarono certo più d ' un segno sopra la scheda . Che vuoi ? mormorava contrito Oramai ci sono , bisogna starci . La sera , subito appena fermato il legno alla porta di casa , non scendeva , schizzava : e senza ascoltare neppure uno dei molti che gli s ' affollavano intorno , colle braccia tese in alto correva su per le scale gridando a squarciagola : sapone , sapone , sapone ! Tale , secondo me , il Goncourt . Egli è dei pochi per i quali lo Zola abbia consentito a scerpare una fronda da quella pianta di alloro sotto cui si sdraia persuaso . S ' è oramai rassegnato a eseguire in tutto e per tutto gli ordini del maestro ; s ' è imposto di cercare i documenti umani nei lupanari , nei circhi , nelle taverne , nei camerini delle prime e delle seconde donne ; e lo fa : ma il farlo ripugna a lui uomo elegante , educato alla castigatezza del linguaggio , assuefatto alle contegnose reticenze della gente per bene . Sopporta per rifornire l ' archivio delle sue note il lezzo di certe alcove , il tanfo di certi palcoscenici , ma tornato a casa , in quella casa ch ' egli stesso ha descritta , tra le acque forti dell ' Eisen e le porcellane di Sèvres , fra i quadri del Watteau e i ricami di Maria Lezinska , non gli basta l ' animo a rimuginare quella sozza congerie . Lo nausea quel dovere incastonare in un dialogo ordinato con laboriosa economia la frase ch ' ei non pronunzierebbe neanche innanzi al suo servitore : e non scerne , non dispone , non sintetizza : scodella addirittura i suoi taccuini : onde la mancanza di quella lenta elaborazione che conservando trasforma e impiccolisce il volume aumentando la massa , e dalla materia greggia che è a disposizione di tutti trae per il paziente ingegno d ' uno solo l ' opera d ' arte . Così può giudicare chi conosce l ' indole e le costumanze dell ' uomo , ma può anche sbagliare ; e ad ogni modo qui dell ' uomo non si tratta , si tratta del libro . Discorriamo del libro . Una attrice , la Faustin , s ' innamorò di un inglese il quale sul più bello fu costretto a partire per l ' Indie . La Faustin pianse , inconsolabile dell ' abbandono : nondimeno accolse le offerte di un banchiere ricco a milioni che rovina il prossimo per sodisfare ogni più bizzarro capriccio di lei . Se essa chiedesse la luna , Blancheron troverebbe il modo di comprargliela . Tempo perso : per far ch ' egli faccia , a cancellare dalla mente della Faustin l ' imagine di William Rayne non ci riesce . Quell ' imagine la segue fino presso il dotto solitario che vive chiuso in una soffitta sei mesi dell ' anno tra centinaia d ' uccelli gorgheggianti e volanti e dov ' ella va a farsi leggere Euripide in greco : la segue fin nella sala d ' armi dov ' ella entra per caso e dove le acri esalazioni di sudore ond ' è impregnata la stanza le mettono addosso il prurito di darsi lì per lì al maestro di scherma ; la segue a cena dove così incantevole le suona agli orecchi la voce del giovinotto il quale le siede accanto , che ella gli dà non richiesta , un appuntamento ; e dove un ' ora dopo si scorda perfino d ' aver discorso con lui . E intanto s ' approssima la recita della Fedra , prova solenne . L ' inglese quando si dice il caso ! torna giusto in quel punto ; cerca della Faustin , la ritrova , la consola , l ' ama come quando partì . Ella che recita la Fedra non più per il pubblico ma per lui , si palesa naturalmente attrice grandissima degna di succedere alla Duchesnois , alla Clairon , alla Rachel ; così l ' Inghilterra stitica tanto ne ' trattati di commercio dà senza saperlo alla Francia una gloria di più . Licenziato con parole che nel Racine non si trovano , il Blancheron non hanno forse un ' anima i banchieri ? si affoga . Ma l ' inglese è geloso : geloso di tutti e specialmente dei palchi , dei posti distinti e della platea : e l ' attrice all ' apice della gloria e della fortuna si ritira dal teatro e va con lui a stabilirsi in una villa presso il lago di Costanza . Se i lettori non lo avessero indovinato , aggiungerei che nelle solitudini di Lindau una fiera battaglia si combatte tra l ' attrice e la donna : quella vogliosa di nuovi trionfi , questa risoluta a non dare dispiaceri all ' uomo che adora . L ' attrice passa gl ' interi giorni a rimpiangere : come passi la donna le notte intere il Goncourt dice con molta crudezza di parole e precisa abbondanza di particolari . In una di quelle notti William è colto da una malattia fulminea , strana , qualificata per tale anche dal medico di Lindau , che nemmen lui l ' ha mai vista , né l ' ha mai trovata descritta ne ' libri . Come è indietro la scienza ! Sebbene amante appassionata di William , disperata di salvarlo e desolata di perderlo , la Faustin non può dimenticarsi d ' essere attrice : e mentre egli sta per morire , ella presso al letto e davanti allo specchio osserva ed imita le contrazioni del muscolo risorio e del gran zigomatico che danno alla faccia del moribondo aspetti paurosamente grotteschi . Impara l ' arte e mettila da parte . L ' altro la scorge : suona , raccogliendo le forze estreme , il campanello , e al cameriere che si presenta ordina : Turn out that woman . Mandate via questa donna . Questa , sceverata dalle sconcezze del dialogo , dagli episodi nauseabondi , è la tela di un romanzo ordita , dice , sui soliti documenti umani . Dice e sarà : ma una delle due : o il Goncourt ha visto male , o non ha saputo riprodurre ciò che ha visto . Metto pegno che se il libro andasse per le mani di centomila lettori , non uno penserebbe « quella donna l ' ho conosciuta o ne ho conosciuta una simile . » Non tutte le contradizioni di quel carattere si posson desumere da questo sunto brevissimo ; ma sono tali e tante che mancherebbe qui lo spazio ad enumerarle . Il Goncourt avverte più volte : la Faustin era una donna nervosa . Me ne dispiace tanto : ma la parola che non ha nessun preciso significato nella scienza non basta nell ' arte a scusare così gran cumulo d ' inverisimiglianze . E fosse pur vera ogni cosa , ecco il gran guaio dell ' andare a scegliere i personaggi del romanzo o del dramma nella teratologia morale . I tipi , i caratteri che durano nell ' epopea , nel dramma , nel romanzo , durano perché sono umani : e sono umani perché chi li consideri anche dopo centinaia d ' anni può dire a se stesso : « Sì ; quella figura l ' ho vista : di faccia , di profilo , di scorcio , poco importa , ma l ' ho vista : i sentimenti che quest ' uomo esprime son quelli stessi che io ho provati o osservati in altri : gli atti che compie altri li compié , ed io intendo come e perché li compiesse . » Sopra tali figure esercitano i secoli il loro sindacato : ma qui ? Voi dite : « tutto è vero dall ' alfa all ' omega . » E chi me lo accerta ? Come è possibile il raffronto ? Oggi lo dite voi ed io , per voi , credo : ma fra cinquant ' anni quando né voi né io saremo più a questo mondo , quando all ' opera vostra mancherà il sussidio della vostra parola , chi crederà al vostro vantato scrupolo d ' osservatore ? E poi , chi mi sta garante che abbiate osservato bene , bene rappresentato il vero ? Avete visto un feto con trentacinque gambe ? Vi siete sbagliato , caro mio ; mostratemelo nello spirito e vi crederò . Andiamo innanzi . Poiché lo Zola desidera che i romanzi sieno processi verbali , nulla più , nulla meno , questo del Goncourt gli piacerà . Per oltre trecento pagine l ' autore narra , descrive ogni minimo atto de ' suoi personaggi . Or fra questi atti ve n ' ha , com ' è naturale , che son comuni a tutti gli uomini e che non parrebbe necessario di rilevare . Dalla frettolosa trasandataggine del Sue e del Capendu siamo passati all ' eccesso opposto : questi null ' altro dicevano de ' loro personaggi se non quanto si riferisse direttamente e immediatamente all ' azione ; il Goncourt e i compagni suoi vogliono che se ne sappia ogni cosa . Ma che importa , Dio buono ! che importa mi raccontiate che il vostro eroe si svegliò la mattina , s ' infilò gli stivali , si fece il fiocco alla cravatta , bevve una tazza di caffè e accese un sigaro ? Che importa me lo descriviate nell ' atto di trarre un fiammifero dalla scatola ? Che giova alla identità del carattere ? Il più onesto padre di famiglia e il più sozzo furfante si mettono l ' uno e l ' altro le scarpe , e accendono tutti due i fiammiferi nel medesimo modo . Sarà , se volete , roba buona per voi scrittore , pegno della vostra diligenza ; ma risparmiatela a noi che del carattere non vi domandiamo se non contrassegni essenziali . A che serve ch ' io sappia , per dirne una , che nei cocenti spasmi della voluttà alla Faustin scappò detto una tal volta maman ? E se avesse detto nonna , quale sarebbe il divario ? Ditemi pure , per darmi un segno dell ' opulenza di William ch ' egli teneva dodici servitori : ma non mi regalate quattro pagine di censimento col nome e gli uffici di ciascuno di loro . Il boy faceva le commissioni e aveva sedici anni : il footman stava nell ' anticamera e aveva delle bellissime gambe . E va bene . Ma se il boy con un anno di più avesse fatto qualch ' altra cosa , se madre natura fosse stata co ' garetti del footman meno benigna di contorni apollinei , la gelosia di William sarebbe stata minore , o migliore l ' animo della Faustin ? C ' è , fo per saperlo , giacché il vostro romanzo è scientifico , c ' è una scienza nuova che determina i rapporti tra i sentimenti dei padroni e le gambe de ' servitori ? E giacché si parla di scienza , questi necessarii portati dell ' atavismo , fondamento dei vostri romanzi , sono proprio tenuti dagli scienziati per verità indiscutibili ? E qual è il fisiologo che insegna , ciò che voi asserite assiomaticamente , che i biondi son più crudeli de ' bruni ? Purché con questo sconfinare di ogni parte dello scibile , con tanta scienza che entra nel romanzo , un po ' di romanzo non entri nella scienza : badiamo ! Così delle descrizioni . S ' intende la descrizione là dove si tratta di determinare l ' ambiente , perché a sua volta l ' ambiente determini l ' indole , le consuetudini del personaggio ; ma il descrivere la strada che questi percorre , il teatro dove va , la bottega del sarto da cui si serve è inutile , e per giunta noioso . Che si descriva la camera , tutta quanta la casa della Faustin , passi : ma perché la si conduce a una vendita di mobilia usata , che noi ci abbiamo a succiare l ' inventario illustrato delle seggiole e dei canapé , messi all ' incanto , come se non si fossero visti né seggiole , né canapé , né incanti in vita nostra , è una pretensione curiosa . Di questo lo Zola ha ormai convenuto : ma non ne sono , pare , persuasi i discepoli . Sola originalità degli imitatori , la esagerazione . E quello che dei luoghi o degli oggetti è a dire anche dalle descrizioni , del fisico de ' personaggi . La Faustin è tratteggiata cinque volte : ora ha la bocca semi - aperta semblable à une fleur rose au fond de laquelle il y a de l ' ombre humide ; ora scollata mostra dans la courbe suave de son dos , près de l ' attache des bras deux petites fossettes qui rient ; ora fissa gli occhi grigi , des yeux à la fois obscurs et clairs , des yeux que la mauvaise humeur faisait noirs et presque méchants , des yeux que la sympathie faisait bleus et tout doux ; ora finalmente l ' acconciatura del capo donne à son regard cerné et souriant un rien du regard d ' un demon angélique . Occhi grigi che diventano neri e turchini secondo le circostanze e hanno sguardi di angelico demonio . Riconosceteli . Ora finalmente si disegnano tutte linee del suo gracile corpo quand ' ella si siede accanto ad William avec le frou frou que fait la soie de la robe d ' une femme heureuse . Donne felici vestite di seta Che per la via della pietà passate , diteci voi qual è il frou frou , privilegio delle vostre gonne e indizio della nostra felicità . Taccio de ' personaggi secondari , o insulsi o grotteschi ; né domando Dio me ne guardi al lavoro dell ' arte intenti o morali o civili . Ma perché ( ripeto una cosa detta le mille volte e che certi traviamenti fanno sempre utile a dirsi ) perché condurci sempre tra gli sciocchi o i marioli , tra i mezzani e le cortigiane , senza che ci sia caso di imbattersi in una persona di garbo ? Sta bene il vero , ma il vero tutto quanto ; non soltanto la realtà più disgustosa e più scempia . Perché non guardare che uno dei tanti aspetti della natura , perché frugare soltanto e sempre in un cantuccio del mondo ? Che differenza , se no , tra gli Arcadi e voi ? Voi cercate le sources de Balzac , voi volete sapere e dire où en est le mouvement que l ' auteur de la Comédie humaine a déterminé dans la littérature . Ma ha egli solamente messo al mondo il Balzac Madame Marneffe e Vautrin ? E Orsola Mirouet , e la Fosseuse e Eugenia Grandet e Renée de Maucombe , e Mademoiselle d ' Esgrignon , e il curato Bonnet e Minoret , e Giuseppe Le Bas e Benassis e i due Birotteau ? Cito i primi che mi tornano alla memoria . Il Balzac ha tentato gli abissi d ' ogni corruzione nella Recherche de l ' absolu , è salito fino in troppo alte regioni col Lys dans la Vallée : e il capitolo più vasto e più vero della commedia umana , Les parents pauvres , è anche il capitolo più vario . Triste anch ' egli , lo so ; Shakespeare e Molière furono tristi del pari ; sunt lacrymae rerum ; non è gaio il mondo , né possono essere allegri gl ' istoriografi della natura e della società : ma i libri loro si depongono mal volentieri e colle lacrime agli occhi , i vostri si buttan via schifati e sdegnosi . Gli è che essi vedevano tutto quanto il vero : voi sperimentate ; « nous experimentons ; son parole dello Zola cela veut dire que nous devons pendant longtemps encore employer le faux pour arriver au vrai ... » « J ' ai fait de l ' ordre avec du désordre » diceva il cittadino Caussidière . Paradossi . Per la via del falso al vero non ci s ' arriva : il vero è : e quando si ha l ' ingegno del Goncourt si vede e si riproduce ; si finisce col non vederlo più quando l ' ingegno ottenebrato dalle bizzose cocciutaggini della scuola , si strascica dietro alla più implacata nemica che l ' arte abbia la moda .
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Il primo volume di poesie , pubblicato due anni fa da Gabriele D ' Annunzio , ha per epigrafe questi due versi di Felicia Hemans : « I come ! come ! ye have call ' d me long , I come o ' er the mountains with light and song . » Infatti il poeta , allora appena sedicenne , ci veniva dai nativi Abruzzi , ricco di luce e di canto e già in quel suo primo libro , fra molte reminiscenze , si fanno sentire note originali , fresche di giovanile ispirazione , e il colorito e la melodia ne sono i pregi caratteristici . Era molto facile appuntare i difetti e le inesperienze dell ' artista adolescente , in quel volumetto : ma nessuno poteva in buona fede mettere in dubbio che quelle prime note uscivano dall ' anima di un vero poeta ; e quel preludio già annunziava una nuova voce fra tanti echi che ci assordiscono e ci annoiano da dieci anni in qua . Il Canto novo pubblicato oggi mette in aperta luce i pregi del D ' Annunzio , e i difetti . È dovere della critica indicare gli uni e gli altri , pesandoli in equa bilancia . La natura è stata liberale , anzi prodiga di doni al D ' Annunzio ; egli ha , in potenza , facoltà poetiche realmente straordinarie . Immaginazione , osservazione , colorito , melodia , efficacia di parola , calore di simpatia umana , vivo sentimento della natura , entusiasmo lirico . Ma questi doni preziosi , uno solo dei quali è bastato a molti per farsi nome in Italia , ei li converte spesso in difetti con l ' abusarne . Egli è un vero figliuol prodigo della poesia . Ha come una plètora di immagini e di colori . Ama la natura di un amore istintivo , sfrenato . Non adora l ' arte come una casta vergine , ma sembra dirle invece : Veni et inebriemur uberibus ! ... Vi è in lui una esuberanza , un ' ebbrezza , una febbre di sensi più che di sentimenti , un orgoglio di gioventù e di salute che gli dà le vertigini e le comunica ai suoi lettori . La sua poesia e la sua prosa bisogna leggerle a piccole dosi , per gustarle e apprezzarle ; la luce dei suoi paesaggi è così abbagliante che verrebbe voglia , leggendo , di mettersi le lenti da sole . Canto novo e Terra vergine sono una vera kermesse di immagini , di colori , di suoni ; i paesaggi reali e fantastici si succedono come in una sfolgorante galleria ; profili e ritratti di pescatrici e di montanari , di pazzi e di frati , di bambine e di vecchie , belli e grotteschi , strani e veri , vivi sempre e indimenticabili , schizzati spesso alla brava , a pochi tratti , ci vengono messi sott ' occhio , e sono direi quasi imposti ai nostri sguardi , da una straordinaria , ma spesso abusata , potenza di colorito . Nel Canto novo , il paesaggio , ora reale ora fantastico , è popolato e animato da figure voluttuose di giovani innamorati , dal tragico episodio di Rossaccio , dall ' apparizione finale del poeta l ' altero fanciullo che cavalca in arme brunita per la scabra compagna , e si affretta alle pugne , e a cui arde nell ' occhio di falco un superbo pensiero ... Vi sono al principio del volume dei notturni di una ineffabile melodia Swinburniana , delle misteriose marine a lume di luna , murmuri arcani di fronde e d ' acque , che fa meraviglia veder espressi e fermati nel verso . Il D ' Annunzio che tanto abusa del sole , appar qui come trasfigurato e risponde vittoriosamente a chi lo accusa di non saper descriver altro che quello che salta agli occhi . « O falce di luna calante che brilli su l ' acque deserte , o falce d ' argento , qual messe di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua giù ! Un grande arco amazonio di rame folgora tra lievi nugole ; ferme la barca ha l ' àncore nel fondo ; immobile a poppa io vigilo . Un diadema fulvido da ' l cielo irradia l ' acque di gemmee faville , a ' l fondo le alighe destate anelano un raggio . Un pallido raggio a lor giunge ; guardano le malinconiche su per lo speglio . Venti l ' alighe pregano oh , date palpiti al mare ! dàtene ! Una biscia azzurrognola ricurva luccica nel violaceo lembo del cielo ; cantici umani vengono stanchi per Paure . O pescatore , ammàina ! dicon quei cantici È il novilunio ; di sirene un esercito sott ' acqua insidie prepara : ammàina ! Poche pagine dopo , ecco un paesaggio meridionale che rassomiglia a un luminoso quadro del Michetti , col quale il poeta ha molte ed evidenti analogie . « Come gioconde l ' ombre si allungano giù dai ciliegi ! Dinanzi l ' arida giallezza de ' liti e il fiammante , a ' l sol di giugno tacito mare ; lungi , su ' l cielo chiaro , la sagoma di Francavilla , netta agilissima tra ' l verde ; più lungi , sfumate molli caligini di viola . » Ma qui , nella seconda di queste strofe , abbiamo l ' esempio di una caratteristica della poesia e della prosa del D ' Annunzio la quale spesso degenera in difetto , anzi è per sé stessa un difetto , voglio dire l ' abitudine di servirsi delle parole come delle tinte di una tavolozza , violando così i limiti delle due arti . Questa smania coloritrice lo spinge a esprimere anche le idee puramente letterarie con lo stesso metodo con cui esprime le idee puramente plastiche e visuali . A me piacerebbe che qualche volta almeno , il D ' Annunzio temperasse il bagliore delle sue materiali descrizioni con qualcuno di quelli epiteti che uniscono alla sensazione un sentimento , e da cui resulta la vera impressione poetica : qualche cosa come il noctis signa severa di Lucrezio , l ' amica silentia lunae di Virgilio , e tanti altri consimili di Dante e del Petrarca . Talora questa abitudine di ricorrere al vocabolo puramente pittorico , e di dipingere sempre tutto , nuoce all ' effetto di alcune delle sue più belle poesie . Per esempio , nei versi dove ci descrive il povero pescatore che seminudo sopra lo scoglio contempla il sughero galleggiante sull ' acqua verdastra , e sta lì immobile come fuso nel bronzo antico , e gli passan vicine le barche dei signori , bianche di ombrelli , gettandogli in faccia un ' ondata di risa e allora gli balena un lampo nei torbidi occhi , e scricchiola la povera canna serrata entro il convulso pugno d ' acciajo ... fra tanti belli e potenti versi stuona orribilmente , al mio orecchio , il verso : « Gialla è la canna nel ciel turchino . » Ma io non mi curo saperlo , non voglio saperlo , in tal momento , cotesto effetto pittorico . Mi interessa solo ciò che direttamente riguarda l ' uomo . Se la canna fa una macchia gialla sul turchino del cielo , è un particolare di cui deve occuparsi il Michetti pittore , non il D ' Annunzio poeta . E per l ' appunto in questo difetto i suoi imitatori ( ne conta già parecchi fra i giovani ) si sforzano di emularlo , di sorpassarlo . E così leggiamo settimanalmente nei varj giornali letterarj d ' Italia bozzetti e novelle pieni di mari paonazzi , di cieli violacei , di biacca , di lacca , di opale , di oltremare , di amatista , e via discorrendo ... E ciò nuoce al D ' Annunzio nella pubblica opinione più dei suoi propri difetti , che son sempre largamente compensati da singolari pregi . Né è da tacere com ' egli , così avvezzo alla osservazione e alla descrizione del caldo paesaggio abruzzese , abbia saputo veder con occhio d ' artista e di poeta le linee caratteristiche del paesaggio fiorentino ; per esempio in queste strofe : « Oh brevi soste là tra ' cinerei olivi , e al piano slanci di cupole su ' l cielo , e da lungi nevate le prime vette del Casentino ! Silenziose l ' acque de l ' Africo tra l ' erba corta scorreano : i vetrici chiazzati di musco , rossastri , senza una voce tremuli , in fila ; senza una voce in fila tremuli i pioppi dentro l ' azzurro ergeano in su come verghe di argento lucide a ' l sole le nude rame . » Ma ciò che meglio risponde all ' indole dell ' ingegno poetico del D ' Annunzio la sua più viva simpatia la sua più costante e felice ispirazione è il mare . Egli lo ama di un amore passionato : lo contempla , lo vagheggia , lo descrive in tutti i suoi aspetti , in tutte le stagioni , a tutte l ' ore . Ha per lui dei gridi d ' entusiasmo , dei sospiri d ' amante . Le più belle poesie di Canto novo sono delle marine . È una nota poetica famigliare a qualche vecchio poeta italiano , ( il Marino per esempio ) e non si sa perché tanto negletta poi dagli scrittori della penisola . Leggendo i nostri più insigni poeti moderni , si direbbe che vivono tutti nel paese più continentale d ' Europa ; che non esistono né il Mediterraneo né l ' Adriatico . Scelgo qua e là nel volume del D ' Annunzio dei versi che diano un ' idea di questa ricca e caratteristica vena poetica : « A ' l mare , a ' l mare , Lalla , al mio libero , tristo , fragrante , verde Adriatico , a ' l mar dei poeti , al presente dio che mi tempra nervi e canzoni ! .... freschissime l ' albe di giugno surgono : brividi e fremiti increspano l ' acque ; cantano a ' l vento le selve in fiore . Splendidamente azzurro s ' affaccia il gran mar tra li ulivi . Si frangono l ' acque odorose con fievole musica a ' l lido ; scintillano l ' Orse nel cielo profondo : un filo di luna su ' l mar tramontò . Io veleggio pe ' l golfo si come un buon nauta sannite tra ' delfini scherzanti , greggia a le muse cara . Corrono per selve di rossi coralli le nozze , via per le vive selve corre la primavera . » Il mare gli suggerisce talora spaventose e tragiche fantasie : questo naufragio per esempio , che sembra visto in un momento di lucida intensa visione febbrile , e che vi fa raccapricciare come una pagina di Edgardo Poe : « Ancora , ancor su l ' ultima bandiera come un enorme grappolo vivente , i naufraghi per entro a la bufera gittan le grida disperatamente . E in vano . Scenderà la nave nera , orrida bara , in grembo a la muggente profondità de l ' acque : una brughiera d ' alghe l ' aspetta altissima e silente . I polpi guateran con li affamati occhi da la giallastra iride immane quel tragico viluppo d ' annegati ; poi lì , in un gioco di penombre strane , come serpi staranno aggrovigliati tentacoli di polpi a membra umane . » La prosa di Terra vergine ha gli stessi pregi e anche gli stessi difetti dei versi di Canto novo . La lingua è buona generalmente , lo stile franco e sicuro : si sente che l ' autore ha vissuto per anni interi in Toscana . Egli non dubita , non tentenna mai nella scelta della sua frase e se pecca per sovrabbondanza di epiteti pittoreschi , non pecca mai per improprietà di vocabolo . Anche nella eccessività delle sue descrizioni resta sempre italiano . Ed è questo uno dei più grandi pregi del D ' Annunzio , tanto più notevole quanto oggi è più raro oggi che fra noi sembra quasi inevitabile l ' andare sulla falsariga dei Goncourt o dello Zola . I ritratti , i paesaggi , son fatti generalmente con poche parole : vi è troppo colorito , troppo sfolgorio , troppi epiteti , ne convengo ; ma in compenso non vi trovate mai quei tremendi cataloghi e inventari che tanto ci impazientiscono quando non ci addormentano ... Nei diversi racconti o bozzetti c ' è varietà di tipi e di scene ; da Fra Lucerta a Toto dalla Gatta a Lazzaro : ma nell ' insieme si rassomiglian troppo nella fattura , per dir così : vi è in tutti una troppo costante ricerca e preoccupazione dell ' effetto . Mi piacerebbe che a queste calde pagine si alternasse qualche pagina di tranquilla analisi , di semplice narrazione ; e allora mi troverei riposato e preparato a nuovi effetti . Qui invece non c ' è mai né crepuscolo né ombra è un continuo miraggio , un lusso abbagliante di colori , che finisce con lo stancarmi . - Ma d ' altra parte , quanta originalità d ' invenzione , quanta verità ed efficacia , in questo volume ! Chi potrà scordarsi , una volta lettolo , di Fra Lucertola nel suo chiostro , di Fiora e Tulespre alla Pescara , di Cincinnato sulla riva del mare , dell ' omicidio di Dalfino , della Gatta che pesca e canta ? « Nel mare ci stava dentro tutta la mattinata a pescar le telline , ci stava anche quando le onde crescenti le spumavan d ' intorno spruzzandole la gonna succinta , e la facevano traballare ; e in quei momenti era una splendida figura anche ne ' cenci , mentre i gabbiani sentendo la bufera le turbinavano sul capo . « Non era triste però : i suoi canti avevano una monotonia malinconica , ritmi bizzarri che facean pensare agli incantatori egiziani ; lei li diceva guardando una nuvola , un uccello , una vela , con le pupille sbarrate , quasi attonite , affondando nella sabbia la sua piccola rete , senza stancarsi mai . « Le sue compagne cantavano anche loro ; ma a volte erano vinte da un senso di sgomento , di solitudine , di angoscia , a quelle note , a quella voce ; e tacevano e chinavano il capo scottato dal solleone , e provavano più gelidi i brividi su pe ' ginocchi , più doloroso nelle pupille il barbaglio di quell ' incendio : e tendevano le braccia affrante , mentre la cantilena della Gatta perdevasi nella immensa afa accidiosa . » Verità ed efficacia , proprietà e precisione , nulla manca , secondo me , a questa pagina di prosa e notisi che di simili ve ne sono parecchie in questo volume . Talora il D ' Annunzio ci sa descrivere una scena , e fare un quadro o un ritratto , anche in pochissime parole . Ecco , per esempio , in cinque o sei righe , dipinto il mare in tempesta ed in calma : « Col garbino quella notte venne anche la burrasca ; e il mare arrivava fino alle case , con certi urli da far rabbrividire ... « La mattina dopo , l ' Adriatico era calmo , viscido come nafta , senza l ' anima di una vela , muto , spietato . » E quanto è evidente nella sua brevità questa descrizione del corpo di Zolfina morta di tifo . « Biasce l ' andò a vedere la sua povera morta . Guardò istupidito , con occhi vitrei , la bara tutta olezzante di fiori freschi , fra cui si allungava quello sfacelo di carni giovani , quel putridume di umori già fermentanti sotto la candidezza del lino . » I tre racconti che a me paiono più ricchi di solide qualità artistiche , sono Fra Lucerta , Cincinnato , e la Gatta . Il più semplice , il più commovente , un vero e patetico idillio , è Toto . La scena d ' amor nascente fra Toto e la Ninní è descritta con una grazia ed una freschezza ingenuamente rurali . La fine fa piangere : quei presentimenti , quei terrori dell ' inverno vicino nei due poveri ragazzi abbandonati quell ' ultima corsa di Toto con la morticina in collo , non si dimentican più . Toto spande un ' ombra di soave malinconia fra tanti gridi passionati , fra tanto sangue , fra tanto incendio di sole che avvampa in tutto il resto del libro . Vorrei poter cancellare da Canto novo e da Terra vergine alcune espressioni troppo sensuali che a me paiono inescusabili . Mi limiterò a indicarne e deplorarne due o tre : « Il petto della Zarra ficcava nel sangue la smania de ' morsi ... » « Tulespre ( a un gesto provocante di Fiora ) sentì l ' odore della femmina , più acuto e più inebriante che l ' odore del fieno ... » Queste espressioni sono inoltre di cattivo gusto ; e il D ' Annunzio dovrebbe d ' ora innanzi guardarsene , anche per amore dell ' Arte . I pregi singolari del D ' Annunzio come poeta e come prosatore , sui quali volentieri mi son trattenuto , sono eclissati , come più volte ho detto in questo mio studio , da vari difetti . Ma sarebbe ingiusto dimenticare che questi ultimi sono in gran parte inerenti alla giovanissima età dell ' autore . A diciotto anni , con quel suo temperamento meridionale , e con quella immaginazione , è difficile distinguersi per castigatezza di stile , sobrietà di colorito , armonia di composizione , profondità di psicologica analisi . Egli nuota ora in piena luce di sole e grida ai quattro venti che è pieno di salute , di poesia , di coraggio e di vita . L ' amore , la natura , il fresco sorriso della sua Lalla , i fiori selvaggi dei suoi Abruzzi , il verde fragrante Adriatico , sono le luminose sue ispirazioni ... Pur troppo la vita gli insegnerà tante cose fosche e glaciali e l ' iride che si riflette oggi nelle sue pagine sarà offuscata quando la vedrà attraverso le inevitabili lacrime . Ma intanto l ' aura di giovinezza che emana dalle pagine di questi due volumi come da un giardino di rose , è già un pregio singolare ed anche quando il D ' Annunzio ci avrà dato , come gli auguro e credo , cose più artisticamente perfette , si tornerà sempre volentieri a rileggere alcune strofe del Canto novo , alcune pagine di Terra vergine , come si torna volentieri col pensiero alle memorie dei nostri primi belli anni .
UNA VISITA A BRUSUGLIO ( RUGGERO BONGHI , 1882 )
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Son dieci anni , che non rivedeva Brusuglio . L ' ultima volta che son venuto a vedervi il Manzoni , fu nell ' autunno , se non erro , del 1872; ed egli non mi parve quello di prima . Mi soleva fare gran festa ; ma non so come , mi persuasi che me ne facesse meno . Avevo qualche mese prima scritto nella Nuova Antologia del Concilio tenuto in Roma da Pio IX e del movimento Vecchio - Cattolico di Germania . Egli non approvò in cuor suo ciò che io dicevo dell ' uno e dell ' altro . Mi credette ardito più del dovere nelle censure della Chiesa di Roma e nel patrocinio della nuova eresia . Per l ' avvenire di questa non sentiva nessuna fiducia , né per le sue dottrine nessun rispetto . L ' infallibilità del Pontefice , com ' era stata definita dal Concilio , a lui pareva un dottrina logicamente dedotta e necessaria . Il dissenso mio con lui su questi punti lo faceva con me meno espansivo del solito . Pure non me ne parlò ; ed io seppi d ' altra parte , dimandando , donde nascesse quella sua taciturnità meco insolita . E appunto perché insolita , e perché il dissenso con uno cui voleva bene gli era stato cagione , sinché la sua salute s ' era conservata in tutto buona , non già di tacere , ma di parlare , poiché nessuno amava più di lui il discutere e il conversare , appunto perciò , dico , e per tutto l ' insieme io mi persuasi , che qualche turbamento vi fosse nell ' intelletto di lui . Pure lavorava tuttora , ma a stento ; e si lagnava che nello scritto a cui allora attendeva , andasse avanti a mala pena e a passi di formica , se pure . Qualche anno prima , nell ' ottobre del 1868 , nel ricercare un libro nella sua stanza di studio era caduto dalla sedia su cui era salito , per non aver voluto porre il piede sul sedile di paglia , temendo di sfondarlo , bensì sullo stretto orlo di legno , a cui quello è inchiodato . Di quella caduta pareva risanato affatto , come poi non risanò di quella sui gradini di San Fedele . Rifaceva le sue passeggiate solite , come le aveva fatte per sessanta anni . Poiché non v ' era uomo di più tenaci abitudini delle sue . Levatosi la mattina alle 8 œ , usciva di stanza subito , e prendeva in sala il suo cioccolatte , senza pane né altro . Poi , accompagnato da qualcuno , faceva il lungo giro del giardino , discorrendo degli alberi che trovava lungo il cammino , piantati tutti da lui , e in tempi che quelle specie eran rare od uniche in Lombardia , e ricordando da chi gli avesse avuti , ovvero parlando di qualunque altro soggetto , che gli occorresse . Dopo il qual passeggio si ritirava nella sua stanza di studio , e vi rimaneva sino a venticinque minuti prima dell ' ora del desinare ; che era le cinque . Questi venticinque minuti erano impiegati a percorrere dieci volte , cinque all ' andare e cinque al tornare , un viale , d ' un trecento passi , ombreggiato da platani , sul fianco destro della casa . E bisognava spendervi due minuti e mezzo per lo appunto nell ' andata , e altrettanti nel ritorno ; e se per caso si fosse affrettato il passo , il Manzoni , coll ' orologio alla mano , aspettava , prima di voltare , che fosser passati . Poi s ' andava a desinare ; e la sera si conversava sino alle undici ; però il Manzoni prendeva sempre seco un libro , per lo più un classico , e quando non aveva con chi conversare o la conversazione languiva , apriva il libro e leggicchiava qua e là . E talora comunicava le osservazioni che gli sorgevano nello spirito a chi gli stava attorno , o rientrava con quelle nella conversazione . La sua stanza di studio è rimasta tale e quale . A pian terreno , non ben grande , con due cancellate alle finestre che guardano nel giardino , nel fianco destro della casa , è tutta intorno intorno circondata di scaffali di libri , che vanno sino al soffitto . La più parte di questi erano sempre gli stessi , ma ogni anno nel venire a villeggiare il Manzoni ne portava di nuovi , secondo occorrevano al lavoro cui voleva attendere , e li riportava alla fine della villeggiatura a Milano . Poiché egli è morto nella città , i libri che si vedono ora nella sua stanza di Brusuglio sono di quelli che vi solevano restar sempre ; i classici latini dell ' edizione Bipontina , gli italiani della milanese , un Sant ' Agostino e un San Giovanni Crisostomo della Maurina , l ' Enciclopedia francese , la Storia Universale tradotta dall ' inglese e pubblicata in molti volumi in quarto in Venezia , il Tillemont , e molti libri di agricoltura . Il Manzoni amava i libri anche nel loro di fuori ; sopra alcuni ha notato che erano rari ; ma ne schiccherava i margini ; né v ' è edizione , per bella che fosse , che lo trattenesse dal farlo . Stanza di studio più semplicemente mobigliata di questa non si può pensare . Di rimpetto alla porta d ' entrata v ' ha tra i due scaffali di libri una nicchia nella quale i palchetti di quelli continuano . In questa v ' è la sua sedia a bracciuoli , e dinanzi un tavolino . Davanti alla libreria , nella parte di destra , un altro tavolino , quello che usò nel collegio , e sopra questo una bilancia , nella quale egli soleva pesare gli abiti che indossava . Poiché era minutissimo nel volerli più o meno grevi o leggieri secondo la temperatura non del giorno solo , ma dell ' ora ; sicché si vestiva e spogliava più volte . Davanti alla parete sinistra un tavolino tondo . Sparse per la stanza poche sedie , qualcuna a bracciuoli . Quando s ' era ritirato in cotesta stanza , non voleva che si facesse per la casa nessun rumore che potesse giungere sino a lui . Però si levava da tavolino di tratto in tratto , e per il balcone della stanza avanti alla sua usciva nel giardino e passeggiava lungo le mura qualche minuto . Suo figlio Pietro aveva la stanza vicino alla sua ; e il padre , anche quand ' egli era andato a dormire , soleva di botto svegliarlo per dimandargli tale o talaltra cosa . Pier , te dormet ? era la solita dimanda con cui principiava a svegliarlo . Onde Pietro non aveva altra difesa che questa : buttare dell ' acqua avanti alla porta dello studio ; poiché il Manzoni non avrebbe messo il piede in un luogo umido a nessun patto mai ; sicché quel po ' d ' acqua lo forzava a tornarsene e a rinviare a più tardi la domanda . In questa stanza il Manzoni ha scritto i Promessi sposi ; e per non dire d ' altro , il Cinque maggio . Il quale fu scritto in una notte ; e rimase come uscì al primo getto ; cosa ben rara per uno scrittore , del quale credo che nessun abbia più corretto e ricorretto gli scritti suoi , sia stato più difficile a contentarsi di ciò che avesse scritto alla prima , e solesse ritornarvi su più volte . Era nel giardino colla moglie e colla madre seduto su una panca , quando la notizia della morte di Napoleone giunse a Brusuglio . La commozione che n ' ebbe fu grande ; ma non lo distolse dalle sue abitudini solite . Desinò secondo l ' usato , e la sera la musa lo prese per i capelli e lo forzò a scrivere l ' ode concitata più che altra ode sua , ed inspirata non meno dalla grande gloria che dalla grande sventura . Com ' è rimasta intatta la sua stanza di studio , così anche la sua stanza da letto , più semplice ancora . In un ' alcova sta il letto , basso , di legno ; sulla parete un crocifisso ; qualche sedia di qua e di là , ed un tavolino : ecco tutto . Ricordo ancora , quando , venutolo a trovare un giorno ch ' egli non s ' era potuto levare , per ragione della caduta nella biblioteca , se non isbaglio mi fece leggere accanto a lui l ' introduzione alle considerazioni sue sulla Rivoluzione francese , opera non mai finita , e della quale la parte che n ' ha lasciata scritta non è stata ancor pubblicata . Così , qui a Brusuglio , tutto ancora ricorda il Manzoni . Il paese deve averne obbligo a Pietro Brambilla , un cavalier , si può dire , che tutta Italia onora , smarritosi tra i banchieri e gli uomini di finanza , dei quali nessuno lo supera per sagacia ed ingegno , ma che son superati tutti da lui per altezza e generosità di animo . Morto Pietro Manzoni un mese prima del padre Alessandro , Pietro Brambilla che si era fidanzato con Vittoria , la primogenita di Pietro , innanzi che questi morisse annunciò pubblicamente il matrimonio in quel tratto di tempo così triste per la famiglia tutta , che scorse tra le due morti , e consolò colla speranza che ai figliuoli e a ' nepoti non sarebbe mancato un aiuto e una guida le ultime ore del padre e i rari momenti di lucido intervallo dell ' avo . Pietro Brambilla ha comperato Brusuglio , e lo custodisce come ricordo di una gloria , che appartiene ora anche a lui . Questa casa , questi alberi , la montagnola alzata in fondo al giardino collo sterro del fosso che lo circonda da tre lati , la vista che si scovre da essa del monte Rosa e dei monti del lago Maggiore e del lago di Como , e più in là , più in là , come il Manzoni si compiaceva ad indicare a parte a parte , non sono il più piccolo lato della vita e dello spirito del grande scrittore . Si sente , s ' intende sopratutto qui un aspetto suo ; non il maggiore , ma non il men singolare , sopratutto nella storia della letteratura nostra ; l ' aspetto , voglio dire , del gentiluomo in lui . Poiché di gentiluomini letterati ne abbiamo avuti di certo altri ; ma letterato gentiluomo credo che sia stato il primo lui . E a certi segni si dovrebbe temere non che sia stato anche l ' ultimo , poiché ne possiamo ricordare dopo lui qualche altro ; ma se il seme se ne debba disperdere . Invece il bisogno era , che germogliasse e moltiplicasse .
AL FERETRO DI GIUSEPPE REGALDI ( CARDUCCI GIOSUÈ , 1883 )
StampaPeriodica ,
Dicendo le ultime parole su gli avanzi mortali di Giuseppe Regaldi , che la città e la Università di Bologna onorando e commemorando restituiscono agli affetti de ' suoi e della terra natale , io farò prova di vincere la tristezza che m ' invade dinanzi al mancare di questo collega che anche mi fu per quindici anni amico buono , al disparire di questo quasi ultimo raggio della poesia de ' nostri padri . I pianti delle prefiche e gli strilli dei panegiristi sono per i morti volgari : dalle bare degli uomini che servirono nobilmente la patria sorge il documento della vita loro a confortare ad ammonire a illuminare i superstiti . Se bene a ripensare che della gioventù di quest ' uomo , il quale passò biondo cantore fra le genti latine , che vedendolo e udendolo si domandavano ammirate Or come ritornano gli aedi e i trovatori nell ' età della stampa e delle gazzette ? se bene , dico , a ripensare che di quella gioventù ed energia di spiriti , di quell ' espansione dell ' anima , di quelle gioie , di quelle glorie , di quelli amori , resta a pena una languida memoria , e che sparirono come l ' ombra d ' un sogno ; se bene , a ripensare tutto cotesto , la tristezza è necessaria e profondamente umana . Ma lasciamo alla storia letteraria le ricordanze di questo ultimo dei trovatori , il quale fu anche egli attratto , come i predecessori suoi del medio evo , dalla visione del mistico oriente , dal desio dei pellegrinaggi nella terra madre dei popoli , delle religioni e delle scienze , e infine , come i trovatori antichi si rendevano a Dio raccogliendo nella solitudine d ' un chiostro l ' età sfiorita , si raccolse , obbedendo ai tempi , in miglior solitudine , per consacrare alla scienza e all ' insegnamento gli anni della vita matura nell ' esperienza . Alla storia letteraria il giudizio e la lode del facile poeta ritemperato nei forti studi e nei fermi ideali . A noi , suoi colleghi ed amici , a voi , suoi discepoli , la testimonianza del culto ch ' egli ebbe per l ' arte e la scienza , della religione ch ' egli portò nell ' adempimento del dovere : della religione del dovere , che è la qualità più alta del carattere e la parte più nobile della vita , perché la più disinteressata . Per degnamente apprezzare la coscienza di Giuseppe Regaldi e trar documenti dal suo esempio , bisogna aver veduto e udito come cotesto poeta estemporaneo si fosse condotto a pesare , infaticato e incontentabile , su bilance sempre nuove di giudizio e disamina , non pure ogni fatto , ogni cifra , ogni asserzione , ma ogni espressione ed ogni parola , prima di pronunziarla dalla cattedra o di consegnarla al libro : bisogna aver saputo e veduto com ' egli , così innanzi negli anni , vegliasse le notti o sorgesse con l ' alba per preparare in lunghe cure di ricerche e raffronti quelle lezioni di storia , delle quali gli uditori ammiravano la colorita facondia . Come egli , già strascinantesi negli ultimi passi della vita , fosse rigido osservatore dell ' officio suo a tutte le lezioni , nelle ore anche men comode , nelle stagioni anche più rigide , gli studenti lo sanno : lo sappiamo , con dolore , noi suoi amici , che in vano ci adoperammo a persuaderlo di risparmiarsi . Il voto supremo del vecchio era finire il suo Egitto : come chiamava egli il libro , pubblicato nell ' ultima estate , ove raccolse le sue peregrinazioni di poeta e i suoi studi di professore . Gli ultimi due anni della vita egli travagliò intorno all ' Egitto , quasi ricercando dall ' oriente la luce che gli consolasse e riscaldasse il solitario crepuscolo . Finito il suo Egitto , al Regaldi parve oramai finita la parte sua nel mondo ; e rassegnato chinò il bianco capo sotto il volo della Parca che veniva . E la Parca lo toccò pur allora uscito dalle soglie dell ' Università , dal tempio , così egli diceva , della sapienza : lo toccò e gli disse : Basta , buono operaio ; va , e riposa . Or ecco quello che avanza di Giuseppe Regaldi . La spoglia e gli affetti ultimi del poeta , la gentile alterezza della sua fama , alla terra nativa : le sue ispirazioni e gli studi alla storia letteraria e civile d ' Italia : a noi suoi colleghi ed amici , la memoria , sempre onorata , sempre cara , delle virtù sue e della bontà ; a voi , giovani , l ' ammaestramento e l ' esempio . O giovani , ogni qual volta vi avviene ( in questi anni ahi troppo spesso ) di assistere al passaggio supremo di alcuno dei valenti di quella generazione che cooperò a riconstituirvi la patria , a riconstituire di tanti volghi dispersi , la più gloriosamente dotata delle nazioni latine , o giovani , voi dovete pensare : pensare quanto voi dovete ai vostri maggiori , quanto da voi aspetta la patria . I vostri maggiori , o giovani , come apprese loro il padre ideale della nuova Italia , vollero , sempre vollero , fortemente vollero ; e vollero le nobili e alte cose . Giuseppe Regaldi diceva a me nelle famigliari conversazioni , e lo scrisse per avventura in alcun de ' suoi libri : Io ebbi sempre innanzi tre ideali che mi si andavano a grado a grado allargando nella poesia e negli studi : Dio , Patria , Umanità . Tre grandi ideali in vero , o giovani : Dio empié la storia dei popoli semiti : la Patria fece la storia di Grecia e di Roma ; l ' Umanità va informando la storia nuova iniziata dal pensiero rivendicatosi a libertà . E o che gl ' ideali della Patria e dell ' Umanità si voglia considerare come trasformantisi rispecchiati nell ' ideale immanente di Dio , o che gl ' ideali di Dio e della Patria si considerino come trasformantisi e modificati nell ' ideale permanente dell ' Umanità , il vero è che senza ideali le civiltà non fioriscono , che senza ideali non v ' è disciplina non v ' è instituzione . L ' arte , per sé sola , è trastullo inutile : la scienza , fine a sé stessa , è inutile tormento : ambedue conspiranti all ' azione fraternamente umana nella luce che viene dagli esempi degli spiriti magni sono la corona della vita . Milizia è la vita degli uomini su la terra sentenziò il savio orientale : milizia di combattenti per il vero e per il buono , dove solo è la felicità . E se questo pensando , se ripensando al passato e all ' avvenire d ' Italia , con una mano sul cuore , voi solleverete un momento gli occhi al cielo della patria , vi parrà , o giovani , vedere i vostri padri , i vostri morti , accennarvi dall ' alto e inanimarvi con gli scudi circonfusi di gloria e rutilanti di luce , con i vessilli sventolanti vittoria nell ' azzurra eternità senza passione . Bologna , 16 Febbraio 1883 .
MAURIZIO ROLLINAT ( SERAO MATILDE , 1883 )
StampaPeriodica ,
Per quindici giorni , dalla metà alla fine di novembre scorso , tutta Parigi letteraria si è occupata di questo nuovo poeta . Non nuovo affatto . Egli era l ' idolo , il maestro le maître di un oscuro cenacolo letterario composto di falsi bohèmes , di scrittori falliti , di chiacchieroni d ' arte , di vagabondi e di oziosi nella poesia . Quando una di queste piccole accademie si forma , questi spostati , questi sognatori inetti , questi letterari magniloquenti e impotenti , trovano subito un genio sconosciuto da poter adorare e Parigi è piena di questi cenacoli stravaganti , vere orgie intellettuali che spossano le ultime forze di quegli ingegni mediocri . Sarah Bernhardt ha preso con due ditini della sua lunga e sottile mano il poeta ignoto e lo ha presentato al pubblico di Parigi , ai cronisti letterari , agli scrittori , agli editori , ai direttori di teatro . Immediatamente il battesimo letterario è caduto sulla fronte del poeta in forma di articoli , di profili , di cronache , di indiscrezioni , di novellette . Gli è che questo Rollinat si presta meravigliosamente all ' articolo . Egli comincia dall ' essere impiegato alle pompe funebri , il che gli dà subito un carattere di protagonista d ' Hoffmann ; poi ha il volto pallido , una criniera leonina foltissima , gli occhi neri e fatali , la bocca seria , pensosa e veste di nero e nel ritratto che ho qui innanzi è avvolto in una pelliccia nera . Poi egli improvvisa spesso le sue poesie , in un salotto tetro , coi lumi abbassati , tre o quattro astanti silenziosi e una donna magra , vestita di bianco , che suoni , in minore , una polacca malaticcia di Chopin . Poi egli siede al pianoforte e le sue poesie le canta , a mezza voce , sopra ritmi bizzarri , scotendo la grossa testa chiomata , ripetendo malinconicamente il ritornello musicale e poetico . Poi egli è nevrotico , come sono tutti un po ' , a Parigi , da Sarah Bernhardt a Barbey d ' Aurevilly , da Luisa Michel a Sardou , da Cassagnac a Rochefort . Salvo che Rollinat è molto nevrotico ; anzi il suo grosso volume di poesie , uscito dieci giorni fa , dall ' editore Charpentier , è intitolato : les névroses . Il contenuto di questa sua forma poetica è il fantastico . Rollinat ha dovuto leggere e rileggere , sempre , Edgardo Poe , tanto sono forti in lui le influenze del grande scrittore americano . Ma il fantastico di Poe ha un tale carattere di lucidità , una costruzione così matematica , una evidenza così netta e così terribile talvolta , da rimanere una forma aristocratica e squisitamente sensibile dell ' arte . Quest ' uomo mezzo pazzo , mezzo alcoolizzato , portava nelle sue mostruose concezioni una profondità d ' analisi fredda , un lavorío tranquillo e impersonale , rigido , inflessibile . Era il sogno squadrato e misurato col compasso ; il paradosso immenso dimostrato , l ' impossibile che pareva realtà , l ' incubo disegnato nei suoi contorni precisi , la follia diventata logica . Il più solido ragionatore non resiste alla prolungata lettura di Poe , tanto lo seduce , lo conquide l ' efficacia assoluta , precisa di quel fantastico . Invece il fantastico di Rollinat , fabbricato su ricordi di Poe e di Hoffmann , è un vagabondaggio di sogni paurosi che lasciano glaciale il lettore , è una vecchia ridda di spettri troppo conosciuti , è l ' incubo convenzionale o cercato troppo o assolutamente nebuloso . Il fantastico in poesia , come il paesaggio in pittura , è una forma altissima , accessibile solo alle nature più elette . Chi vi si arrischia senza queste acute , raffinate , tormentose qualità d ' intelligenza , corre il grave pericolo di essere volgare . Così Rollinat . Immediatamente dopo l ' imitazione di Poe , viene quella di Baudelaire anzi , questa seconda più chiara , trattandosi di poeta e poeta . Come Baudelaire , Rollinat canta i cieli clorotici , le donne - serpenti , le apparizioni notturne , le vergini anemiche dalle labbra bianche , i paesaggi metallici e senz ' aria . Egli ha come Baudelaire la passione piena di terrore pei gatti , egli ha come Baudelaire la passione voluttuosa pei profumi . Di Baudelaire egli imita la forma del periodo , il verso finale d ' ogni poesia , il titolo , tanto che molti pezzi delle Névroses sembrano decalcati su quelli dei Fleurs du mal . Ma le qualità simpatiche di Baudelaire , quella brevità quasi sdegnosa dell ' artista che non vuole far dilagare la forza del pensiero nel flusso della parola , quella misura del colore e del sentimento , quella cesellatura della forma come un gioiello del Cellini mancano nel Rollinat . Quello che Baudelaire dice in quattordici versi , pieni di senso intimo nella scelta delle parole , quasi nella loro posizione , Rollinat lo allunga in quindici strofe , perdendo così ogni efficacia . La poesia Réversibilité di Baudelaire che comincia : Ange plein de gaieté , connaissez - vous l ' angoisse ? si sperde miserabilmente nell ' Introuvable di Rollinat . È come un motivo saliente , concentrato e vivo , su cui uno scolaro esagera una quantità di variazioni insistenti salendo alle ottave acute , scendendo a quelle gravi , dando prima l ' oppressione , poi la nausea all ' uditorio . La fierezza di Baudelaire che consisteva nel non concedere nulla alla rettorica , nulla all ' effetto teatrale , nulla al pubblico , scompare in Rollinat . Egli si preoccupa del lettore , teme che egli non comprenda bene , ritorna su quello che ha detto , lo spiega , lo infiora e giù i trilli , le appoggiature , gli allargamenti sul motivo conosciuto . L ' opera di Baudelaire ha questa impronta quasi selvaggia del poeta che scrive per i pochi e del resto non si cura : è un ' opera orgogliosa ed aspra , piena di fermezza nei suoi pregi . Invece l ' opera di Rollinat è molliccia , molto facile , indulgente alla sciocchezza dei lettori , piena di concessioni borghesi . Poi , in questo grosso volume straripa un subbiettivismo affogante . Questo poeta non sa vedere , pensare , ideare , niente fuori di sé . Il suo ideale è nell ' anima propria , anzi nelle proprie sensazioni , sottomesse a un ' osservazione , che è quasi sempre ammirazione . Sue le lagrime , i sorrisi , i singhiozzi , gli strappi , i sussulti , gli incubi , i succubi , le paure , le follie il mondo intorno non esiste , altri viventi non esistono , altri cuori non battono . Mai l ' egoismo sensuale trovò tanto largamente la forma poetica . Mentre nei veri e forti poeti vi è la tendenza all ' irradiazione , in Rollinat vi è la tendenza a una restrizione assoluta nel proprio individuo . Egli non ha il disdegno dell ' umanità che può essere sorgente di buona poesia , ma ne ha la dimenticanza . Anche i suoi paesaggi sono subbiettivi , uno tutto rosso , l ' altro tutto verde , l ' altro tutto bigio , come egli li vede , in una specie di sogno fantastico , che è il Daltonismo della immaginazione . E finalmente quello che dà un carattere di monotonia , di romanza per camera , è il ritornello continuo , è la ripetizione costante dell ' ultimo verso alla fine di ogni quartina , di ogni ottava , è questo martellamento fastidioso che rammenta i componimentini poetici recitati dai bimbi per l ' onomastico del nonno . Gli è che Rollinat ha da cantare i suoi versi . Eppure , questo libro di versi , non è scritto senza un singolare ingegno poetico . Qua e là sgorga una nota pura e originale , trapela un raggio sottile e acuto di luce propria . In sostanza quello che guasta questo libro è la ricerca affannata del bizzarro , la volontà di fare l ' orrido a ogni costo , il desiderio di stordire con l ' immane , con l ' inaudito è il partito preso dello scrittore , la rovina dell ' opera . Manca a Rollinat la serenità larga dell ' artista , gli manca l ' indipendenza . Avido di successo , egli lo domanda a tutte le stravaganze e a tutti i pimenti . Senza questa sciagurata tendenza , egli sarebbe un altro Coppée , vale a dire un poeta armonioso , delicato , placidamente lacrimoso e roseamente innamorato , miniaturista elegante , sinfonia in tôno minore , gruppo di fiori dai profumo blandi . Attraverso les névroses si scatena una danza macabra di scheletri e vi si respira un forte odore di acido fenico . Vi si sente dentro l ' impiegato alla pompe funebri .
AU BONHEUR DES DAMES ( SALVADORI GIULIO , 1883 )
StampaPeriodica ,
La nostra generazione , non voglio negarlo , avrà tutte le virtù ; certo , crede d ' averne molte che non ebbero le generazioni passate : ma una ve n ' ha che nei nostri padri fu tanto forte e a noi pare sia stata negata inesorabilmente : la compassione . La nostra generazione ha troppa fretta , perché gli rimanga tempo da compatire ; se nella corsa vertiginosa che la sospinge in alto i deboli rimangono a mezza strada spossati , non sarà certo ora che li raccoglieremo pietosamente per metterli bocconi a bisdosso dei muli dell ' ambulanza : chi muore giace ; le file che incalzano non sanno guardarsi i piedi , e passano sopra . Si cammina , non v ' è da dubitare ; e non mi parrebbe strano se una delle prossime legislature cercasse d ' avvalorare la legge suprema della vita ordinando la soppressione assoluta dei deboli : qualche cosa da sostituire al Taigeta si troverebbe . Certo , la nuova vita sociale , che offre ogni altezza libera a chi la vuoi raggiungere , doveva , animata dalle idee nuove , portare a queste conseguenze ; ma nell ' insolita ferocia entra senza dubbio per un pochino anche la reazione contro la troppo tenerezza di cuore dei padri . Gran parte del romanticismo non fu , a guardarlo bene , che una società di mutuo soccorso fra i deboli : uniti , essi capirono che avrebbero fatto passare la propria fiacchezza come una tirannia . Oh la bella schiera di fatali dalle bionde capigliature spioventi che il vento dell ' ispirazione sollevava e agitava ! povere arpe eolie , essi aspettavano la mano invisibile che flagellasse le corde tese oltre l ' ordinario ; gentili giovinette angelicate , essi reclinavano la testa sul braccio manco levato , e i lunghi capelli raccolti in sette corde d ' oro , poi riuniti tutti fra un dito e l ' altro del piede , facevano l ' arpa divina su cui la mano destra doveva correre guidata dall ' alto . Ora , all ' esigenza del pubblico ci vuol altro . Si guardi il Carducci in Italia ; si guardi Zola in Francia . Se qualche atteggiamento speciale ce li raffigura nella loro lotta col pubblico , essi non possono apparire che atleti : hanno le maniche rimboccate fino all ' ascella , e le loro braccia si gonfiano di muscoli michelangioleschi a domar le sette teste dell ' idra ribelle . Col pubblico , insomma , gli scrittori ora son uomini , e cercano di vincere ; quarant ' anni sono eran donne , e come le donne si corazzavano di debolezza . Ma la lotta , per questo , non è che assai più pericolosa . Guai se gli atleti vacillano ! Guai se un di quei tremiti istantanei e irragionevoli , che hanno anche i più gagliardi , pervade loro le braccia e le fa sentire ai vinti infiacchite : la riscossa è pronta , e alla riscossa segue la vendetta feroce , implacabile . Perché , anche la tirannìa intellettuale è una tirannìa , e delle più difficili a sopportare : se gli uomini riescono a scuoterla , non v ' ha dubbio , si vendicano Contro Zola questa vendetta comincia di già : in Francia non ancora , perché la Francia è stata più lenta a piegare ; ma proprio e specialmente in Italia dove il fiero novelliere ebbe più pronta e intera vittoria . Si loda , sì ancora , per forza d ' inerzia ; ma si compra anche , più che per ammirare per giudicare . Si giudica anzi , senza comprare e senza leggere ; si condanna anche a torto , solo perché si sente venuta l ' ora di condannare . E questo è il peggiore dei sintomi : vuoi dire che all ' accusato non si concede difesa , che , consenta o no la giustizia apparente , la giustizia suprema vuole inesorabilmente così . La nuova generazione italiana ha addosso una gran fregola novellistica ; ella si sente , e forse ha , linfa bastante a buttate vigorose e durevoli : ma per questo , ella sente , è necessario l ' affrancamento dalla servitù zoliana ; per questo è necessario che Zola cada . Contro una forza di questo genere non v ' è remissione : expedit ut moriatur unus homo pro populo . Ma bisogna anche dire che Zola fa per conto suo tutto il possibile per affrettare la morte . Non giova ch ' egli si mantenga all ' altezza acquistata : uno scrittore che non aggiunge ogni primavera nuove penne e più forti alle sue ali , è caduto . La Page d ' amour , Nana , Pot - Bouille furon tutte battute d ' ala per reggersi ; ora Au bonheur des dames è lo stesso : il pubblico non vuol altro ; egli sa oramai che al forte novelliere manca la forza che un nuovo slancio gli chiederebbe . Quest ' ultimo romanzo ( come del resto quasi tutti gli altri di Zola , ed è naturale ) sfuma al racconto : se ne dà il primo schema con una frase : la lotta del gran commercio col piccolo . Il gran commercio , polipo immane , conoscitore sicuro di tutte le debolezze moderne applica ad ognuna di esse le sue ventose , e tira a suo profitto il danno comune : intorno i piccoli commercianti , retti soli dall ' abitudine , sdegnando ogni lusinga intesa a mantenere fedele la donna muoiono a uno a uno d ' inedia e le donne li abbandonano attratte in folla dal fascino del gran seduttore . Mouret stesso , il protagonista , lo mostra all ' opera . « Prima di tutto è la potenza moltiplicata dell ' accumulazione , tutte le merci radunate in un luogo a sostenersi e a incalzarsi ; mai mancanze , sempre l ' articolo della stagione è là : l ' avventrice si trova stretta , compra il panno qui , là il filo , in un altro luogo il mantello ; si veste , poi trova cose non prevedute , cede al bisogno dell ' inutile e dell ' elegante . Poi la marca a prezzi fissi . La gran rivoluzione parte da questa novità . Se il vecchio commercio , il commercio minuto agonizza , è perché non può sostenere la lotta al ribasso intrapresa dalla marca . Ora la concorrenza avviene sotto gli occhi stessi del pubblico : un ' occhiata alle vetrine stabilisce i prezzi , ogni magazzino ribassa contentandosi del minore guadagno possibile : nessuna truffa , non arricchimenti meditati a lungo sur un genere venduto il doppio del costo , ma operazioni correnti , un tanto per cento regolare defalcato da tutti i generi ; la fortuna affidata al buon andamento d ' una vendita , tanto più larga quanto si faceva alla luce . La rivoluzione metteva lo scompiglio nella piazza , trasformava Parigi , perché era fatta con la carne e col sangue della donna . Questa l ' anima del gran mostro : chi glie la infonde è Mouret . Agitato da quest ' anima , esso cresce fino a proporzioni inaudite . Tutte le lusinghe per le quali si può attirare la donna esso le sfoggia ; tutte le vie per le quali l ' oro può rifluire alle sue vene le trova : e il suo sangue poi serve a nutrire tutto un popolo di larve umane , un gran falanstèro , che nella mente di Zola sarebbe un ' immagine delle famiglie operaie che avrà la società di quest ' altro secolo . A capo , Mouret . Ma dal basso , dalla rovina generale del commercio minuto si leva una cara e soave immagine di giovinetta . Fattasi forte della sua debolezza ella entra fra quel popolo di larve maligne e lo domina ; rassegnata e costante , ferma , incrollabile sotto la grazia apparente delle maniere essa sale sempre più alto , fino a che non arriva alle braccia aperte di Mouret , divenuta « onnipotente » . Zola , certo , non ci ha pensato , si potrebbe giurare ; ma la distribuzione delle masse di quest ' azione richiama , a rovescio , la distribuzione del Ruy - Blas . Là è la nobiltà che crolla , finita , di contro all ' ascensione del popolo ; solo della nobiltà una donna rimane alta su le ruine , e dal popolo si stacca un uomo , un servo , che sale tanto da arrivar fino a lei . Questo raffronto non è senza ragione : non se n ' abbia a male il mio amico Renier , ma l ' idea prima di questo romanzo sperimentale è romantica . Proprio così . Nella maggior parte dei romanzi di Zola c ' è il mostro che divora l ' uomo . C ' è un ' azione meccanica o una macchina che prende gli uomini e li assorbe , costituendone e crescendone la propria azione , o adoperandoli come ordigni . La piena trascinatrice o la macchina : nel corso dei fatti umani , Zola non intende , non vede , non riproduce altro . Ora questo male posa sopra una concezione debole e falsa del mondo , non solo umano , ma organico ; da una concezione di quel mondo puramente e rudimentalmente meccanica . Nella Conquête de Plassans , per esempio , è l ' invasione clericale bonapartista che si ripercuote in una famiglia ; nella Curée è lo sbrigliamento degli appetiti , lo strepito , delle mascelle di centomila cani affamati che assorda Parigi e lo copre ; nel Ventre de Paris sono i grandi mercati ; nel Pot - Bouille la casa borghese ; nel Bonheur des dames il magazzino titanico . Si vedano i titoli , per esempio : non paia pedanterìa ; in un ' opera d ' immaginazione i titoli rappresentano generalmente l ' immagine nella quale lo scrittore raccoglie tutta la vita dell ' opera . Gli altri novellieri , generalmente , si tengono al nome del protagonista ; se fanno prevalere l ' analisi psicologica , dànno al libro il nome della malattia presa in esame . Zola no : dà il nome della cosa , il nome dell ' azione che domina nel racconto senza contrasto , il nome della macchina trionfatrice . E questo concetto della vita , scientificamente falso , se n ' avveda egli o no , gli si fa sempre più fermo e sicuro . Nel penultimo romanzo , Pot - Bouille , è la casa che vive , non gli uomini . L ' anima della casa viene alle penombra del grande scalone silenzioso , trasfusa dalle grandi porte lucide , dietro le quali s ' intravedono abissi d ' onestà . Letto il romanzo , di quelle donne , di quegli uomini , che cosa rimane ? Nulla . Il frutto è fresco e colorito di fuori : chi lo spacchi e apra a una a una le loggie che chiudono i semi , trova in tutte una famiglia di vermi . Tutto il romanzo dà l ' impressione del brulicame d ' una gran verminaia , d ' un rosichío senza posa di boccucce nere . Così nel Bonheur des dames . La vita è lontana , molto lontana , da tutti quei piccoli commercianti , da tutti quei commessi senza numero , code di rondine che si muovono , da tutte quelle venditrici , abiti di seta ripieni . Non è neppure in Dionisia , neppure in Mouret . Dionisia non è veduta , è voluta ; Mouret è una personificazione . Ciascuno di questi uomini sacrifica la sua animuccia primitiva alla grande anima del magazzino : son ordigni , non uomini , ed entrano tutti nel moto della gran macchina : le loro voci muoiono ; il rombo assordante del grande arnese le assorbe . Ora questa , come costruzione fantastica potrà anche piacere , potrà anche esser bella : anche questa è mitologia ; mitologia che non oltrepassa la concezione meccanica , che non arriva alla concezione umana , frutto insomma di mente ristretta : ma non importa ; come ogni mitologia , è discutibile ed accettabile . Non ci si domandi però se lì noi troviamo riprodotta la vita : risponderemmo di no . Non ci si domandi se lì noi troviamo arte vera ; risponderemmo di no . Che i novellieri ci diano gli uomini vivi , e noi nelle sue novelle troveremo la vita ; che li facciano immortali con gli uomini , e ci troveremo l ' arte . Il rombo ci darà la voce d ' un alveare ; a darci la voce degli uomini , non basta : per questo , bisogna ch ' essi parlino , bisogna che si mostrino e operino nel dramma . Qui lo svolgimento del dramma è impedito e soffocato dallo strepito disarmonico dell ' orchestra .
LUIGI CAPUANA ( SCARFOGLIO EDOARDO , 1883 )
StampaPeriodica ,
Luigi Capuana è un vecchio giovine , o , se vi piace meglio , un giovine vecchio ; e a chi lo conosca pel complesso della sua molta attività di novellatore e di critico , fa una strana maraviglia lo spettacolo di quella bella maturità vigorosa improntata nella testa calva e nel poco pelame bianco . La sua persona inclinante sensibilmente alla pinguedine parrebbe in punto di precipitare nella vecchiaia adiposa e sonnacchiosa ; ma sotto quell ' apparenza senile si sente la forza del sistema muscolare nel pieno rigoglio dello sviluppo organico , e dagli occhietti grigi balena la gioventù dello spirito . Luigi Capuana è giunto , ora alla perfezione della sua costituzione fisica e mentale : vi è giunto col sacrifizio dei suoi capelli e della barba . È colpa del pelo , morto troppo presto , o del Capuana , maturato con troppa lentezza ? Io non ho mai veduto la sua fede di nascita , e non credo che lo stato civile sia un utile elemento di critica . Certo questo singolare scrittore sta ora nel sommo della sua curva , e le ultime opere del suo intelletto hanno la franchezza robusta della virilità piena . Non piccolo segno questo di serietà e di forte tempra artistica in un paese ove da vent ' anni in qua i novellatori vanno innanzi con le bende sugli occhi , deviando e tentennando , senza sapere quello che si vogliono , né quel che si facciano , senz ' altro pensiero che di una faticosa e vana produzione di materia grezza , pubblicando ad un tempo un libro ove qualche barlume d ' arte trapela e un altro che non è se non lo sforzo della più abietta e più miserabile necessità industriale . Il Capuana non ha avuto mai sdrucciolamenti , né pencolamenti , né pentimenti ; ma un pensiero solo , anzi un solo caldissimo e purissimo sentimento di religioso amore per l ' arte lo ha tratto sempre più in alto , dalle prime prove , romantiche tuttavia e mal sicure , dei Ritratti di donna e di Giacinta , alle opere quasi perfette di C ' era una volta e di Homo . Il Capuana ha avuto una maturità lenta e faticosa . A lui non concessero i numi una materia cerebrale spumante per la fermentazione precoce , ed effervescente in una bella fumata di vario colore , graziosa e leziosa e capziosa al contrasto dei raggi solari , né volle il divo Apolline assentirgli quel facile e prezioso talento di assimilazione , pel quale tanti cervellini mascolini e femminili assorbono tanto materiale d ' importazione francese , e con poca fatica di ruminamento lo rivomitano maldigerito e sporco ancora dei colori repubblicani . Egli è giunto all ' altezza presente non senza molto sforzo della volontà e una assai pertinace tensione di tutta la sua attività vitale . Non si è ritrovato sbalestrato in alto per un capriccio della fortuna o del favor popolare ; ma ci è giunto per proposito deliberato , arrampicandosi . Per questo , mentre gli altri che pur non sono rimasti in terra , si guardano intorno sbigottiti per l ' altezza e già colti dalla vertigine , egli sta sicuro e spazia intorno tranquillamente , poiché sa il terreno , e la via fatta , e quella che ancora resta a fare . Guardatelo nella vita privata . Non cerca i convegni , ove tra il fumo dei cattivi sigari , nel cemento dell ' adulazione reciproca , si gettano e si ribadiscono le reputazioni traballanti . Egli vive solitario , o esercitando quell ' attività non usurpata dall ' arte a benefizio del comune , della patria Mineo , o a Roma , tra pochi amici non investiti di nessuna potestà sacerdotale e non turiferarii , né torcieri , né vessilliferi . Egli studia e lavora , e fuma sigarette tranquillamente , estraneo al rimescolìo delle mediocrità impazienti nell ' ambizione , gittando senza strepiti e senza spavalderie una base veramente solida al futuro romanzamento italiano . Per le quali cose , il Capuana non può essere giudicato equamente da un libro solo ; ma è necessario seguirlo a traverso tutta la sua attività critica e risalire tutta la curva della sua ascensione narrativa per abbracciare l ' efficace opera di ammaestramento e di moralizzamento ch ' egli ha fatto e va tuttavia facendo nell ' arte del novellatore . Egli è stato dei primi a gittar le grida contro l ' empirismo dell ' arte costituzionale ; e , venuto di Sicilia rozzo ancora e immaturo , e in molta parte impreparato e ineducato , si gittò a combattere a mezza spada con quei brillanti spiriti , che tra l ' accasermamento italiano in Firenze andavano rivendendo a buon mercato le scolature del Figaro , che nella rocca di Milano abbandonata dal Manzoni nelle mani dei Farisei costruivano teoriche estetiche ed etiche tra le piramidi del Gorgonzola e le cataste dello Stracchino . In una prefazione che il buon Leopoldo Marenco pose innanzi a certa sua commedia , si domanda al lettore con un tono tra di maraviglia dispettosa e di compassione stizzosa se conoscono un certo Capuana che osa dir male di lui , Leopoldo Marenco , grande ciambellano della pastorelleria comica e del lattime teatrale e conferitore patentato di speroni d ' oro in cartone dipinto a tutti gli attori giovani del felice regno d ' Italia . E si seccavano , a Firenze e a Milano , di questo barbuto nero che veniva a intorbidare la soave persuasione del rinascimento spirituale crescente all ' ombra del gran caprifico della Costituzione ; poiché temevano una novità nella loro arte da rigattieri peggio d ' una riforma dello Statuto , e un pungiglione critico più che tutti gli assilli repubblicani . Leone Fortis lo guardò come il cane della favola quando si vide insidiato il mucchio della paglia , e Paolo Ferrari sudò freddo pel tremito e per l ' orrore vedendo la prima volta quella barba siciliana . Tutti così , questi robivecchi provveditori di materiale scenico e di bambagia gazzettiera ! Non hanno nemmeno la virtù della resistenza ; ma si oppongono col peso della loro inerzia , e brontolano , percossi dalla paura e dallo stupore . Così , quando Paolo Ferrari vide nelle vetrine dei librai milanesi il libretto di Luigi Lodi consacrato a lui , si voltò a Leone Fortis con un ' aria d ' uomo infastidito , dicendo : Sarà uno dei soliti adulatori . Ma come ne ebbe letto due pagine , la faccia gli diventò verde , e le braccia gli cascarono lungo i fianchi , e il libro cadde per terra . E pure , in questo ambiente lombardo riescì il Capuana a piantare una incudine ; e battendo , battendo , battendo , e sempre più liberando se stesso dalle scorie , fu il primo e più efficace predicatore dei canoni naturalisti ; e certamente giovò assai a fermare sull ' orlo del precipizio il suo compatriota Giovanni Verga , che da principio cedeva troppo volentieri alle furie del suo intelletto caldissimo . Il Verga giova anch ' esso non poco a porre in miglior luce il Capuana ; poiché quel siciliano lombardizzato e incivilito , dopo aver gittato molto calore della fantasia e molto fremito nervoso ad aliare un alito afrodisiaco in certa bambagina avviluppata intorno ad esili scheletri narrativi , dopo aver buttato le ultime scorie romantiche in certi strani compiacimenti di lascivia idilliaca , pareva che dovesse morire di spinite mentale ; quando , inaspettatamente , ricomparve rinnovato , riapparve in forma d ' un uomo maturo e del più serio fra i nostri artisti leggieri . E la gente , maravigliando , se bene i Malavoglia seccassero alquanto i lettori , lo contrappose ai naturalisti francesi ; e lo vide sempre più ascendere sino alla gloria delle Novelle rusticane , gridando quasi al miracolo . E nessuno pensò che forse una buona parte del miracolo si doveva a quel singolare martellatore di Luigi Capuana , il quale , dopo aver predicato il vangelo naturalista , aveva dedicato ad Emilio Zola un romanzo , il primo romanzo sperimentale e veramente serio stampato in Italia dopo il Manzoni . La grande fortuna di Zola in Italia procede segnatamente dal Capuana ; il quale , mentre i capelli cadevano e andavano sempre più brizzolandosi , studiava la letteratura contemporanea in Italia e in Francia con più di serietà , che non i farfallini fanfulleggianti che camparono quindici anni sul panciotto rosso di Teofilo Gautier e sulle bricciche di Alfonso Karr . Di più egli ebbe una fortunata intuizione ; una di quelle intuizioni che non possono lampeggiare se non in un intelletto veramente materiato d ' arte . Intese tutto il beneficio che potrebbe venire all ' arte narrativa dallo studio del materiale popolaresco ; e con tanto amore studiò e si compenetrò delle forme e dello spirito dell ' arte del popolo che nel 1879 , pubblicando le poesie siciliane di Paolo Maura poté aggiungervene in fine due che paiono affatto simili alle popolari , che ha potuto nell ' autunno scorso pubblicare un libro di fiabe , le quali , come già ho avuto occasione di dire , a me paiono una cosa perfetta . E nel nuovo volume di novelle intitolato Homo ! che certamente con le Rusticane del Verga è il migliore libro narrativo pubblicato in Italia dopo i Promessi Sposi , l ' utilità degli studi di letteratura popolare appare evidente . Per esempio , una delle novelle , Comparatico , che io senza esitare giudico meravigliosa , è tale da stare gloriosamente anche nel Decamerone o tra le più perfette cose di Balzac , è un rifacimento in prosa italiana d ' una storia in poesia siciliana che il Capuana , con una straordinaria imitazione dello stile e dell ' andamento popolaresco scrisse , nel 1868 , e presentò al Vigo , che , senza punto avvedersi dell ' inganno , la stampò nella sua Raccolta amplissima di canti popolari siciliani . Confrontino i lettori la novella e la storia , e leggano gli altri racconti di questo volume così maschiamente palpitante di umanità , così vivo , così forte , così originale ; e mi sappiano dire se ho avuto torto io di collocare il Capuana sopra tutti quanti gli altri romanzatori d ' Italia .
StampaPeriodica ,
Un arguto e gentile scrittore di questo giornale due settimane fa mi domandava : « Fa il piacere , lei , d ' insegnarmi che cosa è un poeta porco ? di darmi i segni caratteristici , o , alla maniera che dicono gli impiegati di polizia , i connotati del poeta porco ? » E soggiungeva : « Se si parla del Casti o del Batacchi , quell ' aggettivo viene spontaneo sulle labbra anche a me ; ma quando siamo in presenza di un artista , il quale crede mostrare serenamente le qualità del suo ingegno , del suo gusto e del suo stile , quando stiamo a sentire un periodo o una strofa magnifica di proprietà , di fantasimi e di armonia , ecc . , ecc . , come faremo e in che modo dovremo fare per sapere quando comincia la porcheria ? » ecc . , ecc . Poi , più giù , detto come il poeta da me chiamato porco era Gabriele D ' Annunzio , e il libro pel quale io lo avevo chiamato porco l ' Intermezzo di rime , assicurava i lettori di aver cercato pagina per pagina , da verso a verso , entro l ' elegante volumetto , e di non aver trovato nulla , proprio nulla , né di porco né di sporco . Queste parole io me le sono dovute rileggere più volte per convincermi che c ' era proprio scritto quello che ci leggevo . E quando mi sono convinto , ho detto fra me : Che giova dare al mio egregio contradittore le spiegazioni ch ' egli mi chiede ? che giova cercare di fargli intendere che cosa sono la decenza e la moralità nell ' arte ? che giova dargli i segni caratteristici del poeta porco ; se , quando io glie li avrò dati , lui , facendomi una risata sul viso , mi risponderà : « To ' , ma questo è il poeta che io chiamo verecondo ? » Posta in questi , che sono i veri suoi termini , la questione è bell ' e finita . Non resta che citare i versi pei quali io chiamo inverecondo il poeta che al mio contradittore pare verecondo , e rimettersi al giudizio delle poche persone culte e serie che , come il mio contradittore dice , sono tuttavia in Italia . Apriamo dunque l ' Intermezzo di rime , apriamolo , non precisamente dove l ' aprì il mio contradittore , e citiamo : Noi ci fermammo . A noi sovra il capo il fulgore piovea placido e fresco ; ne le carni un languore novo metteane , quasi penetrasse la cute ammollendo le vene . Ora un desìo di acute voluttà mi pungeva , innanzi a quella bianca vergine inconsapevole Io sono tanto stanca ella disse , piegando ne la persona ... Oh come si scoperse la gola tra l ' onda de le chiome e le iridi si persero , fiori ne ' l latte , in fondo a ' l cerchio de le pàlpebre ! Oh come il sen rotondo sgorgò fuor de la tunica ! Io mi sentii su li occhi scendere un denso velo ; e le caddi ai ginocchi Adagio a ' ma ' passi . Certi dibattimenti nei tribunali si fanno a porte chiuse ; e qui non c ' è porte da chiudere ; qui siamo in piazza . No , io non andrò innanzi nella citazione ; io debbo rispetto ai miei lettori ed a me ; io non debbo contaminare di citazioni immonde l ' onesta mia prosa . Ma a tutto c ' è il suo rimedio : sèguiti la citazione il mio contradittore ; lui , al quale paiono verecondi versi ch ' io debbo per verecondia tacere , non può averci difficoltà ; séguiti dunque a citare fino a tutta la pagina 34; citi , se non gli basta , qualche ottava della Venere d ' acqua dolce , fermandosi specialmente alla pagina 65 : e , terminate le citazioni , ripeta in cospetto delle poche persone culte e serie che ci sono tuttavia in Italia la sua affermazione , che cioè entro l ' elegante volumetto egli non ha trovato niente né di porco né di sporco ; la ripeta , e ripeta poi la domanda : « Che sia io il poco pulito animale ? » Quando le poche persone culte e serie che sono tuttavia in Italia gli avranno risposto , mi faccia poi sapere la risposta ; con la quale rimarrà completamente esaurita e risolta , senza disputa nessuna , la nostra questione . Ma no , veda , mio bravo signor Lodi , nei versi del D ' Annunzio che io ho stigmatizzati non è questione di nudità , com ' Ella sembrò credere , o volle forse far credere . Il sonetto che Ella riporta , come uno dei più nudi e dei meno belli ( anche a me piace assai poco ) , non mi dà molta noia : ciò che nei versi del D ' Annunzio mi dà noia , ciò che fece traboccare il mio sdegno , ora , dopo quelle citazioni , lo avrà , spero , capito anche Lei : caso mai non lo avesse capito bene , ci torneremo sopra . Il nudo , quando è fuso in bronzo , o scolpito in marmo , mi dà tanto poca noia , che io non solo non pensai a scandalizzarmi , com ' Ella nota , davanti al Nettuno del Giambologna , ma non ci pensai nemmeno nelle gallerie di Firenze e di Roma , e nel museo di Napoli , dove del nudo , come Lei sa , ce n ' è da cavarsene la voglia . Veda , però , proprio al museo di Napoli , che ebbi la fortuna di visitare parecchi anni sono in compagnia di un illustre personaggio , il senatore Fiorelli che ci accompagnava , dopo che avemmo veduto tutto , trasse fuori da una stanza , chiusa al pubblico , un piccolo gruppo , dinanzi al quale io restai meravigliato : poche opere d ' arte avevo vedute di tanta perfezione . « Oh perché dirà Lei se quel gruppo è tanto bello , lo tengono chiuso ? » E veda , rispondo io , quel gruppo è molto meno nudo delle altre statue , perché rappresenta una capra , che , come Lei sa , non ha bisogno , per vestirsi , d ' incomodare la sarta , e un satiro , che per buona parte del corpo è vestito anche lui , vestito di un abito non confezionato a Parigi , ma insomma vestito . E veda ancora : né il satiro né la capra non mostrano nessuna di quelle parti per le quali fu inventata la foglia di fico . « Oh dunque ? » Ecco : il satiro però e la capra stanno fra loro in una certa posizione , fanno fra loro una certa faccenda , naturali l ' una e l ' altra fra maschio e femmina , ma che tuttavia le leggi e le usanze della nostra civiltà non vogliono , per molte buone ragioni , che sieno esposte né fatte , vuoi realmente , vuoi per rappresentazione artistica , sotto gli occhi del pubblico . Qui , vede , proprio qui , mio bravo signor Lodi , sta il punto delicato e culminante della questione : qui , proprio qui , comincia , anzi è cominciata , e ci siamo proprio in mezzo , la porcheria dell ' artista che crede mostrare serenamente le qualità del suo ingegno , del suo gusto e del suo stile ; qui , proprio qui , io potrei cominciare a darle ( se oramai non fosse inutile ) i connotati del poeta porco . Io non sono mica un impiegato di polizia , che non sappia il suo mestiere : lo so almeno tanto bene , quanto sanno il loro gl ' impiegati , diremo così , di pornografia . Mi permetta , mio bravo signor Lodi , Lei che ha fatto tante domande a me , che ne faccia una io a Lei . Ecco : dica , Le piacerebbe , Le parrebbe innocuo , decente , morale , che quel mirabile gruppo della capra e del satiro , riprodotto in terra cotta od in bronzo , stèsse esposto nelle vetrine del Janetti , a Roma , a Torino , a Firenze , dove fanciulli , giovinetti e ragazze potessero liberamente ammirarlo ? Mi risponda schietto e franco , dimenticando , se è possibile , la cattiva causa e il cattivo poeta che ha preso a difendere ; mi risponda come farebbe a caso vergine , dopo avere interrogato soltanto la sua educazione e i suoi sentimenti di cittadino onesto , che desidera alla patria una generazione d ' uomini sani e forti di corpo e di mente , non isfiaccolati e stupiditi dalla venere terrena e solitaria . Se Lei mi risponde , come credo , di no ( e me lo fanno credere i nobili sensi e il forte amor patrio pei quali mi piacquero parecchi suoi articoli del Don Chisciotte ) , Lei deve anche , per inesorabile necessità di logica , convenire che è tutt ' altro che innocua , decente e morale la esposizione che il D ' Annunzio ha fatto de ' suoi erotismi nell ' Intermezzo di rime . Andiamo , via : descrivere tutte le particolarità più lascive che precedono accompagnano e seguono il congresso amoroso di un giovinotto con una signorina che gentilmente si presta , questo Lei lo chiama malinconie profonde , amori ardenti e nudità candide , nobilmente umane , che non hanno mai offeso la verecondia di alcuno ? Andiamo , via ; queste cose non si dicono nemmeno per ridere : se non sapessi che Lei è uno scrittore onesto e gentile , quasi quasi crederei che , scrivendole , avesse voluto farsi beffe de ' suoi lettori e di me . Lei finge di non capire la cagione del mio sdegno per il richiamo a Virgilio . Ma come ! Sentirsi nelle membra i fremiti della libidine per il ricordo di una avventura amorosa , prendere cotesti fremiti per ispirazione poetica , e apostrofare il gentile poeta mantovano : olà , dammi tu la tua arte , sì ch ' io racconti ai bravi giovinetti italiani , ammiratori dei miei versi e frequentatori dei postriboli , come qualmente io mi presi diletto della bianca vergine inconsapevole ( fra parentesi le raccomando quella po ' po ' d ' inconsapevolezza … .. come ! far questo non è per Lei un profanare l ' arte e Virgilio ? Mi scusi , ma non Le credo : e da Lei difensore di una causa spallata m ' appello a Lei scrivente senza nessuna causa da difendere . « Ma se il grande Mantovano , dice Lei , invitava sotto l ' ombre compiacenti dei faggi i giovanetti pastori , perché non potrà il D ' Annunzio chiamare nel silenzio odoroso d ' un bosco una fanciulla innamorata ? » Non confondiamo : io non ho mai negato al D ' Annunzio il diritto di chiamare nel silenzio odoroso dei boschi quante fanciulle gli pare ; gli ho solamente negato ( che è cosa molto diversa ) il diritto di raccontare in poesia quel che va a fare con loro , quando va a far cose che non si ridicono fra la gente per bene . Certi amori , abbominevoli per noi , non avevano niente di turpe per gli antichi greci e romani . Anche di ciò va tenuto conto . Tuttavia io non mi ricordo che nelle ecloghe di Virgilio ci sia nulla che faccia arrossire una persona beneducata . Veda : se il D ' Annunzio , invece di descrivere i carnosi fiori del petto di Yella , drizzantisi al lascivo tentare delle sue dita , si fosse contentato , come il pastore Coridone apostrofante il formoso Alessi , di sfogare gli ardori suoi parlando di pecore e di capretti , di noci e di corbezzole , di latte e di cacio fresco ; o se , magari , si fosse messo a sedere sull ' erba , lui da una parte e la sua Yella dall ' altra , e lì , Arcades ambo Et cantare pares et respondere parati , avessero intonato un duetto a uso Coridone e Tirsi ( il D ' Annunzio , secondo me , sarebbe stato meglio in carattere ) ; io , veda , invece di rinfrescare queste che Lei chiama anticaglie polemiche , e mettere Lei nell ' impaccio di domandarmi i connotati del poeta porco , sarei stato zitto zitto a sentire , facendo molto volentieri la parte di Melibeo . Mi spiego ? La questione non è del fatto amoroso , ma della parte di esso che si racconta , e del modo come si racconta . Pare a Lei che in ciò siavi nessun punto di contatto fra le ecloghe di Virgilio e il Peccato di maggio e la Venere d ' acqua dolce ? Chiedo perdono agli ammiratori del poeta latino della sacrilega domanda a cui la discussione m ' ha condotto . Io diceva dunque che nei versi del D ' Annunzio non è questione di nudità , e che della nudità sola io non sono molto facile a scandalizzarmi . Mi pare d ' aver dimostrato e chiarito tanto quanto quel ch ' io diceva : tuttavia , se il signor Lodi permette , mi proverò a chiarirlo anche meglio . Aggiungo che , quando la rappresentazione del modo non è fatta a sfogo ed eccitamento di sensualità ( che subito si conosce ) , io non me ne scandalizzo niente affatto ; come non mi scandalizzo niente affatto se prosatori e poeti nominano a tempo e luogo , senza reticenze vigliacche , senza impiastricciamenti ipocriti di circonlocuzioni e di metafore , cose e parole che fanno arricciare il naso alle schifiltose damine . Quando il Carducci mandò al Fanfulla della Domenica la poesia A proposito del processo Fadda , una certa strofe diceva : Poi se un puttin di bronzo avvien che mostri Un po ' di pipi al sole , Protesterete con furor d ' inchiostri , Con fulmin di parole . Il Martini , allora direttore del giornale , pregò con un telegramma il Carducci di levare quel pipi , che avrebbe , si capiva , offeso la verecondia delle schifiltose damine , le quali , si può giurare , non si offendono oggi , e non si sarebbero offese allora , delle nudità candide nobilmente umane , come dice Lei , del D ' Annunzio . Io son fatto d ' una pasta molto diversa , e molto più rozza , s ' intende ; io non mi scandalizzai niente affatto di quel pipi ; e al Carducci che me ne domandava , risposi : oh lascialo stare ! Ma il Carducci lo levò , perché non metteva il conto di scontentare per così poco il Martini , il quale dal suo punto di vista aveva centomila ragioni . Intende Lei , signor Lodi , perché io , che non mi scandalizzai di quel pipi , che , senza turarmi il naso , leggo in Dante la parola merda , che non mi scandalizzo al resupina jacens , con quel che segue , di Giovenale , chiamo , peggio che indecenti , oscene e corruttrici certe poesie del D ' Annunzio ? Se non lo intende ancora , cercherò di farglielo intendere con un esempio . E giacché ho nominato Giovenale , pigliamo l ' esempio da lui . Giovenale dunque e il D ' Annunzio ( chieggo perdono di mettere accanto questi due nomi ) descrivono entrambi il petto ignudo d ' una donna . Tunc nuda papillis prostitit auratis , dice con le parole proprie il grande poeta latino , parlando di Messalina : il piccolo poeta italiano , parlando di Yella , dice , come vedemmo , con una similitudine barocca , che le punte del suo petto si dirizzavano , come carnosi fiori , ecc . La rappresentazione del poeta latino per me è moralissima ; quella dell ' italiano è immorale : per le damine , la cui verecondia sarebbe stata offesa da quel po ' di pipi del puttino di bronzo , deve , io credo , essere perfettamente il contrario . Lei , signor Lodi , dica , da qual parte si mette ? Da qualunque parte si metta , non Le farò il torto di spiegarle la differenza che passa fra il fatto del poeta latino e quello dell ' italiano . A Lei parve di cogliermi in contradizione perché io , denunziante al procuratore del re e della questura la poesia del D ' Annunzio , non denunziai anche quella di altri poeti ai quali dissi mancare il senso della verecondia . Anzi , nota Lei « ch ' io promisi di tradurre le Odi amatorie d ' Orazio » ; e noto che io tradussi parecchie poesie del Heine , poeti ambedue non verecondi . Scrissi anche , è vero , com ' Ella ricorda , che « la verecondia non entra per nulla nel merito artistico di un poeta e dell ' opera sua ; che il difetto della verecondia nel Byron , nel De Musset , nel Heine , fu parte della loro sincerità ; e che perciò essi rimangono grandi poeti , e la storia del loro cuore c ' interessa . » Dalle quali mie parole Ella si fa strada a domandare : « Se interessa ai critici di ricercare come i poeti morti sentirono l ' amore , perché sarà negato ai poeti vivi di raccontarcelo essi stessi ? » Adagio un po ' . Qui bisogna distinguere : i poeti morti son morti , e i vivi son vivi : i morti non si può fare che non sieno stati ciò che furono : ai vivi , se non ci pare che siano quel che vorremmo , abbiamo il diritto , e in certi casi il dovere , di dirlo . La sincerità è una bella cosa ; l ' amo anch ' io , non solo nei poeti , come fu notato da Lei , ma in tutti gli uomini ; sotto certe condizioni però . Se io , puta caso , conoscessi un giovinetto dedito all ' ubriachezza , o al rubare , o allo scrivere cose oscene ( io qui considero lo scrivere non come opera d ' arte , ma come un ' altra azione umana qualunque , onesta o disonesta ) , io non mi sentirei mica di dirgli : figliuolo mio , bisogna esser sinceri , fa ' quello a che ti porta la tua natura , cioè séguita ad ubriacarti , o a rubare , o a scrivere cose oscene , gli direi piuttosto : quel che tu fai è male , cerca di correggerti . Io , critico , studio tutti i fatti e i sentimenti umani rappresentati dalla parola , così la magnanimità di Dante e del Petrarca come le infamie dell ' Aretino ; ma io , uomo , desidero ai tempi miei ( poiché desiderarlo ai passati non giova ) dei poeti che si rassomiglino piuttosto agli amanti di Beatrice e di Laura che all ' autore dei sonetti illustranti le tavole di Giulio Romano . Ho detto che bisogna distinguere : e distinguo anche ( oh come distinguo ! ) fra i grandi poeti che dissi mancare di verecondia e il D ' Annunzio . E noto che , quando accennai questo difetto in essi della verecondia , lo chiamai difetto , non pregio . In Orazio , nel Heine e nel Byron , quel che c ' è di men verecondo sono quasi sempre accenni fugaci , cui spesso scusa od attenua lo scherzo o la satira ; e non hanno perciò nel lettore anche giovane alcuna trista , efficacia : in ogni modo quelli accenni rimangono come piccole macchie in grandi opere , i cui intendimenti sono spesso nobili ed alti , non mai corruttori ; mentre nelle poesie del D ' Annunzio di cui ci occupiamo , l ' argomento principale , lo scopo unico di tutta l ' arte , di tutto il lavoro dello scrittore , è la pittura della sensualità nelle sue manifestazioni più basse . Tutto quel che c ' è nel Peccato di maggio , è preparazione , è frangia e cornice della descrizione dal fatto erotico ; son pennellate di colori accesi messe nei fondo del quadro per dare risalto agli sdilinquimenti afrodisiaci della coppia in amore . Quanto al De Musset , non l ' ho nominato con gli altri , perché lui ha veramente la gran colpa di essere un po ' il babbo di tutta questa poesia del senso , che , oltre farci schifo e dispetto , ci secca maledettamente con la monotonia dei suoi fantasmi , dei suoi suoni , dei suoi colori . Il linguaggio di essa sta tutto in dieci paginette del vocabolario ; il cielo nel quale spazia servirebbe egregiamente di sfondo al palcoscenico di un teatrino di marionette . Ma almeno nel De Musset , oltre i fremiti e gli spasimi del senso , c ' è anche il sentimento ed il pensiero , che mancano affatto nei nostri poetini sensualisti . E ' mi fanno l ' effetto di giovani scostumati che , avendo qualche suono musicale negli orecchi , e qualche diecina di aggettivi luccicanti nella memoria , ma niente nel cervello e nel cuore , mettono in versi le loro porcherie e credono fare della poesia . Io inchino molto a credere che questa brutta fioritura di poesia sensualistica sia indizio , non solo di decadenza morale e letteraria come fu sempre , ma fisica . Un medico e scienziato amico mio mi faceva osservare che uno dei segni più certi e costanti di rammollimento cerebrale negli infelici che ne sono minacciati è il mostrare le parti pudende . Parlando della poesia sensualistica del D ' Annunzio , io non ho voluto affatto entrare nel merito letterario di essa e nella questione dell ' arte ; io l ' ho , come dissi , considerata semplicemente come un ' azione umana , secondo i criteri dell ' onesto e del disonesto . Ciò deve apparire evidente in questa mia chiacchierata ; ma mi piace dichiararlo esplicitamente e richiamarci sopra l ' attenzione del mio gentile contradittore ; perché , caso mai gli saltasse in testa di rispondermi , e ' dovrebbe non uscire dal campo morale , e sforzarsi di mostrarmi , solamente in quello , non dico l ' onestà , ma la non disonestà del Peccato di maggio e della Venere d ' acqua dolce . Quanto al merito letterario di queste e delle altre poesie del D ' Annunzio , i lettori si saranno accorti ch ' io sono molte miglia lontano dagli apprezzamenti e dal giudizio del mio bravo signor Lodi : ma , quando anche lui avesse ragione ed io torto , ciò non farebbe nulla alla presente questione . Le due poesie del D ' Annunzio potrebbero , come opera d ' arte , essere perfette quanto il gruppo della capra e del satiro ; resterebbero sempre , secondo me , due azioni disoneste . L ' arte e la poesia furono sempre uno dei più costanti affetti , una delle più care consolazioni della mia vita ; ma se dovessero condurmi ad amare , o anche solamente a scusare e tollerare la disonestà , preferirei diventare analfabeta .