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È LECITO? ( NO , 1934 )
StampaPeriodica ,
È lecito che gli antifascisti di ieri , coloro che saggiarono l ' olio di ricino e il manganello squadrista , si impanchino oggi ad educatori delle giovani generazioni , scrivendo articolesse su tanti giornaloni ? È lecito che fior di antifascisti , di gente che negli anni bui ha tentato in tutti i modi di boicottare il Fascismo e se non ci sono riusciti , la colpa non è certo loro occupino tuttora posti di comando , a marcio dispetto della famosa deliberazione del Gran Consiglio del Fascismo che tali incarichi riserva soltanto alle vecchie e fedeli Camicie nere e ai giovani delle leve fasciste ? È lecito che continuino ad essere ammessi nelle Università , diciamo così , " civili , " giovani afascisti , mentre le Università militari giustamente richiedono come imprescindibile titolo di ammissione la tessera del Partito ? È lecito che nell ' anno XIII si possa conseguire la laurea a pieni voti e con lode , pure ignorando la data della Marcia su Roma ? È lecito che novissimi camerati , vecchi d ' età ma giovanissimi di tessera , ravveduti da pochi mesi ma non ancora messi alla prova dal Fascismo , montino la guardia ai Sacrari dei Caduti , alle reliquie dei Martiri e ai gagliardetti insanguinati dai precursori già irrisi ? Non esiste una sacrosanta disposizione di S . E . il Segretario del Partito che affida solo ai vecchi fascisti la scorta ai gagliardetti e quindi le guardie d ' onore ? È lecito che maddaleni pentiti che indossano per la prima volta la nostra Camicia nera ardiscano già atteggiarsi a quasi - gerarchi , ordinando il " saluto al Duce ! " alle squadre fasciste e prendendo insopportabili atteggiamenti napoleonici ? È lecito che i Repaci , i Ramperti , gli Alvaro , i Burzio , i Filippo Sacchi e in una parola tutte le cariatidi dell ' antifascismo d ' un tempo , si spartiscano oggi le terze pagine dei giornali , mentre un giovane scrittore fascista che osi presentarsi in una redazione chiedendo lavoro è scacciato fra l ' ilarità generale ?
UN UMORISTA ( - , 1938 )
StampaPeriodica ,
Cesare Zavattini , che dirige con fine umorismo il settimanale " Le grandi firme , " ha recentemente pubblicato una piccola storiella , dovuta alla lepida penna di Guasta , ex direttore del Travaso delle idee . Trattandosi di una vecchia conoscenza , ci siamo precipitati a leggere la storiella , e da essa abbiamo appreso come il povero Guasta fosse stato licenziato dal proprio direttore per avere inventato una notizia relativa a Franchot Tane ... Noi sappiamo benissimo perché Guasta fu licenziato dal suo giornale : per avere inventato una serie di storielle antifasciste al tempo della Quartarella . Altro che Franchot Tane !
CAMERATA DICE TUTTO ( - , 1940 )
StampaPeriodica ,
Collega è una vecchia parola squarquoia . Sa di unto , di falso libertarismo e di programmi da " sole dell 'avvenire." Si tratta di un termine antiguerriero , e antieroico : colleghi non potevano essere Achille e Patroclo , Eurialo e Niso ... Esiste la parola camerata la cui accezione è così vasta ed esauriente . Per le varie classi poi valga la nota di Nicola Moscardelli scritta sull ' Ics e riportata da Meridiano . Egli protesta giustamente a nome della categoria giornalistica " contro l ' uso della parola collega , come equivalente al termine di ' giornalista ' .
AUTOLESIONISMO IDIOTA ( FANTONI GIOVANNI , 1941 )
StampaPeriodica ,
Le donne in brachesse sono state sistemate e se Dio vuole non si vedono più per le strade certe idiote sfasature . Ora però bisogna dire qualche parolina all ' orecchio di quelle femminucce di corto e fragile intelletto le quali , prese da vera e propria mania autolesionista , imbestialiscono contro i propri connotati per cui quelli segnati , putacaso , su di un qualsiasi documento di identificazione sono affatto dissimili da quelli avuti da madre natura . Si vedono infatti in circolazione molte signorine , e disgraziatamente anche molte signore , sul conto delle quali è lecito pensare che si credano in perenne fregola di sabato grasso , e se per queste signorine e signore in tempi normali ci si sente presi da una voglia matta di ridere , tale sensazione , in tempo di guerra , si tramuta in senso di pena . Capelli color di stoppa ; sopracciglia depilate e trasportate con un orribile frego semicircolare a metà della fronte simile in tutto e per tutto a quelli col quale usano truccarsi i pagliacci da circo ; occhi allucinati dipinti con tutti i colori dell ' iride ; taglio della bocca deformato da labbra artificiosamente modellate da una verniciatura mal riuscita ma sempre buffonesca ; alterazione della carnagione , del viso e del corpo ; unghie insudiciate con tutte le gradazioni del rosso per cui si ha la disgustosa impressione di veder gente che abbia l ' abitudine di affondare quotidianamente le mani in piaghe sanguinanti . Pazze , e non sempre incruente , corse in bicicletta con esposizioni cosciali fino a limiti critici . Tutto questo insulso insieme di strafottenza , impudenza e impudicizia forzata che , se forma la gioia dei gagà e dei mantenuti , è particolarmente bollato dai nostri valorosi che tornano feriti o mutilati dai campi di battaglia , dovrebbe avere termine senza bisogno di un ' altra legge , come quella per le brachesse , per richiamare la donna nostra al senso della sua vera femminilità che noi italiani , fascisti , e affatto vecchi rincitrulliti , amiamo nella sua limpida , serena genuinità di nostra gente .
PRENDETELI VIVI... ( - , 1942 )
StampaPeriodica ,
Caro " Vent ' anni " Il 26 marzo 1942 sul treno N . 10 che parte alle 11,35 da Roma , sulla linea Roma - Genova , al 2° turno del vagone ristorante tre uomini con distintivi fascisti ed una donna hanno consumato il pasto normale a 30 lire a testa . Senonché hanno consumato , oltre alla frutta , il formaggio , poi biscotti e liquori sino a far salire il conto da 120 lire normali a 230 . Conto che è poi stato messo in tasca per la presentazione ( evidentemente ) ed il rimborso spese . Si danno le indicazioni di cui sopra per l ' eventuale rintracciamento dei fascisti stessi . C ' era su quel treno anche un cons . naz . a cui il fatto fu riferito . Ma quando si vollero ricercare i quattro era troppo tardi . Tuo
A PROPOSITO DI NAZIONALISMO ( CIVITAS , 1923 )
StampaPeriodica ,
È di moda ormai il proclamare morta e sepolta l ' idea internazionalista , che nel suo concetto più esteso si spinge fino a quello che chiamano utopia , cioè alla aspirazione di un ' epoca nella quale i due dati storici e sociali umanità e civiltà si identificano ; e tutto l ' intellettualismo predominante si concentra oggi nella rivalorizzazione fino alla iperestesia dei concetto di nazione , posto a base necessaria ed unica , e quasi condizione esclusiva di esistenza , per gli Stati . Umanità e nazione sono così divenuti i due termini della tragica antitesi che domina l ' età nostra ; tanto che uno ha quasi vergogna e paura di passare , oltreché per antipatriota , anche per ignorante , se non accetta e non proclama la grande tesi moderna , non solo della nazione principio e fine di una coscienza evoluta , ma del conseguente ripudio del sogno umanitarista . Non si tratta però che di un grande errore , o meglio di un grande equivoco , contro il quale il pensiero sociologico ispirato dalla dottrina e dalla esperienza cristiana ha diritto e dovere di reagire . La verità è che non esiste conflitto fra l ' idea di nazionalità e quella di umanità , più di quel che possa esistere un conflitto fra l ' idea di patria e quella di famiglia . Per arrivare al concetto di umanità bisogna partire dal concetto di uomo : ma l ' uomo non ha vita se non nella società ; anzi in un sistema di società successive , le quali sono come altrettanti circoli concentrici , che dall ' uno si propagano appunto fino alla umanità . E ancora . Come il concetto di vita è inseparabile da quello di società , quello di società è inseparabile da quello di organizzazione : ogni società , a cominciare dalla domestica , è una organizzazione determinata da speciali bisogni , interessi e sentimenti . L ' umanità è l ' ultimo circolo , è la società più estesa ; ma , se essa come sentimento può sussistere quasi in forma di entità astratta , come realtà non può essere se non la risultante di tutte le entità intermedie nelle quali è organizzata la vita sociale dell ' uomo . Fissati questi principii di ordine generale che sono incontrovertibili , se ne deduce che lungi dal contrapporsi alla idea di umanità , l ' idea di nazione non può a meno di farvi riferimento : come le nazioni sono la somma di famiglie viventi sopra un suolo delimitato da confini naturali , e quindi aventi comunanza di beni , di lingua , di storia , di fede ; come gli Stati sono la somma di enti minori , regioni , provincie , comuni , ciascuno dei quali rappresenta una classificazione di esigenze sociali e di funzioni politiche ed amministrative ; così l ' umanità è e non può essere che la somma delle nazioni e degli Stati , che è quanto dire delle patrie ; né è lecito supporre che si radichi saldamente la coscienza di umanità in chi non abbia la coscienza di patria , più di quel che sia lecito ammettere buon patriota il cittadino che non sente la famiglia e il comune . La coesistenza nell ' uomo civile di tutte le idee graduate corrispondenti alle successive società nelle quali si organizza la sua vita , è naturalmente più o meno cosciente , più o meno pacifica , più o meno effettiva a seconda dello sviluppo della sua coltura e delle condizioni storiche e ambientali di civiltà . Onde non si può ammettere che nella coscienza dell ' uomo colto si delinei necessariamente un conflitto tra la idea di umanità e quella di nazionalità ; al contrario al maggior grado di coltura dovrebbe appunto corrispondere la eliminazione di tale conflitto ; quanto più l ' individuo allargherà i confini delle proprie cognizioni , tanto più facile gli riuscirà stabilire fra le due idee quella armonia e quella coordinazione in cui tutti riconosciamo doversi cercare la base di una più sicura e tranquilla convivenza degli uomini fra loro . Qualche teologo ha espresso il pensiero ( all ' estero si capisce , non in Italia , perché qui da noi il fascismo ha reso prudenti e cauti anche i teologi ) che il nazionalismo sarà l ' eresia che la Chiesa dovrà condannare nel secolo XX . C ' è della esagerazione , ma c ' è della verità ; a seconda che ci si intenda sul contenuto della parola . Quando si parla di nazionalismo non accettabile dalla dottrina della Chiesa cattolica , non si intende il complesso di attività dirette a valorizzare politicamente la nazione , a tenerne viva la coscienza , a permearla di un profondo e operativo spirito di solidarietà , di difesa , di emulazione ; no ; si intende il nazionalismo come sistema etico sociale , quale è venuto foggiandosi nel primo decennio del secolo attuale un po ' in tutti i paesi d ' Europa , ma specialmente pur con diversa fisionomia esteriore in Francia , in Italia , in Germania . Per vero , come sistema etico - sociale , il nazionalismo mette a base della sua dottrina la constatazione di un fatto ; il fatto cioè che i rapporti fra le nazioni , a differenza dei rapporti fra gli individui , sono regolati principalmente dalla forza , perché mentre l ' individuo può attendere la giustizia dallo Stato che è sopra di lui , la nazione , che non ha nessuno sopra di sé , non può attenderla che da sé stessa . Di qui la convinzione nei nazionalisti che la civiltà futura lungi dal recarci l ' abolizione della guerra , la renderà semplicemente più rara , ma appunto per questo più terribile ; e la conseguente affermazione che la nazione è al presente , sarà in avvenire come fu per il passato , dominata dalla ferrea necessità della lotta per la vita , per vincere la quale non può sperare se non nella sua forza . E quando dice forza , il nazionalismo intende armi . Stando così le cose è naturale , anche se non completamente logico o per lo meno non assolutamente necessario , che il nazionalismo passi alla apologia della guerra , in cui non ammette che ci siano soltanto la violenza e il dolore ; e proclama invece che essa può suscitare e ravvivare altissime virtù morali e purissime forze ideali , e riuscire perfino la fiamma purificatrice di un popolo che nella pace si corrompe e si estenua . Quindi il nazionalismo riprova il pacifismo ; e lo riprova pure nella sua forma ridotta , quando cioè si rassegna alla guerra come ad una necessità ; perché la guerra , così tollerata , si abbassa e si avvilisce , mentre essa deve rimanere nella coscienza del popolo come uno strumento il più valido di civiltà , e quando occorre , combattersi con entusiasmo . E non basta . Il nazionalismo si spinge più innanzi e cerca la giustificazione , anzi la glorificazione della guerra , oltreché nell ' utilità della nazione , nel vantaggio della società ; in quanto la pace per un popolo in aumento si traduce in miseria , in abbrutimento , in morte , mentre d ' altra parte il vero miglioramento umano si basa sulla selezione e sul sacrificio degli individui ; sul sacrificio cioè di quel che vive oggi a quel che vivrà domani ; cosicché la morale socialmente utile è quella di un popolo che tenda a conquistare per sé la massima quota di dominio , nel mondo : la morale per dirla col linguaggio di uno degli apostoli del nazionalismo imperialistica ; in una parola , quella morale suscitatrice di energia che il Sorel chiamava morale dei produttori , in contrapposto dell ' imbelle morale dei consumatori . Questa la struttura dottrinaria del nazionalismo ; e l ' averla sommariamente esposta basterà a ciascuno dei nostri lettori per chiarirne le inconciliabilità con parecchi dei principii fondamentali del cristianesimo . In altre questioni per esempio in quelle riflettenti la superiorità dell ' interesse nazionale sull ' interesse di classe , e la preminenza , per uno Stato , dei problemi esterni su quelli interni potremo coi nazionalisti essere spesso di accordo ; non certo nel riconoscere che la legge fra i popoli sia , istituzionalmente , la forza anziché il diritto , che la giustizia collettiva sia diversa da quella individuale , che lo stato di necessità si traduca in uno stato normale , che l ' individuo debba essere sacrificato alla specie , e che la civiltà consista nel dominio del più potente . Ecco perché , mentre noi non disconosceremo mai , anzi apprezzeremo sempre il valore di un elevato spirito nazionale inteso come propulsore di energie interne alla efficace tutela anche dei nostri interessi esterni , e come educatore alla dignità ed occorrendo al sacrificio per la patria , non potremmo senza dimenticare e misconoscere gli insegnamenti più nobili e più santi del cristianesimo che consideriamo come la legge della vera civiltà favorire un movimento , il quale , all ' infuori delle sue giustificazioni transeunti , tende a rimettere in onore i postulati di un positivismo di vecchia maniera , e va a confondersi , per altra via , nello stagno pestifero del materialismo storico , donde germinò già l ' infezione del socialismo .
StampaPeriodica ,
Leone XIII nella sua celebre enciclica del 15 maggio 1891 ( Rerum novarum ) con gesto per il suo tempo ardito e coraggioso , quasi a conclusione dell ' ampia disamina dottrinale compiuta intorno ai vari aspetti della questione operaia « quella che oggi maggiormente interessa il mondo » com ' egli stesso diceva , risollevava dalla polvere secolare un istituto o dimenticato o ricordato solo da pochi , quasi sempre con poca lode , se non con qualche infamia : la corporazione . Già nell ' introduzione della enciclica , prima di additare come causa del disagio degli operai l ' usura vorax e il monopolio della produzione e degli scambi onde un piccolo numero di ricchissimi « hanno imposto alla infinita moltitudine dei proletari un gioco poco men che servile » , egli aveva scritto : « Soppresse nel passato secolo le corporazioni di arti e mestieri , senza nulla sostituire in loro vece , nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano , avvenne che a poco a poco gli operai rimanessero soli ed indifesi , e in balia alla cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza » . E nell ' ultima parte dell ' Enciclica ritornava sul terna : segnalati i rimedii del male , prima nel ritorno alla religione e nella sommissione agli insegnamenti della Chiesa , poi nell ' intervento dello Stato a regolare la protezione del lavoro , vi aggiungeva poi quelli delle associazioni di assistenza e di collaborazione fra le classi , che additava tutte riassunte nella corporazione . « Tengono però il primo luogo sono le parole di Leone XIII e quasi tutte le altre contengono , le corporazioni di arti e mestieri ; manifestissimi furono presso i nostri maggiori i vantaggi di tali corporazioni ; e non solo a pro degli artieri , ma , come attestano monumenti in gran numero , ad onore e perfezionamento delle arti medesime : bensì , i progressi della coltura , le nuove costumanze e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni presenti : vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni siffatte , sia di soli operai , sia miste di operai e padroni ; ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità : dal passato possiamo non senza ragione preveder l ' avvenire : imperocché le umane generazioni si succedono ; ma le pagine della storia si rassomigliano grandemente , perché gli avvenimenti sono governati da quella Provvidenza superna , la quale volge e indirizza tutte le umane vicende a quel fine che ella si prefisse nella creazione dell ' umana famiglia » . Ma per comprendere bene che cosa la pontificia solenne riabilitazione del corporativismo significasse , gioverà rapidamente vedere attraverso le diverse fasi che esso ha avuto nel medio evo , nella età moderna e nel mondo nostro contemporaneo la evoluzione di un istituto già vagheggiato dai primi pionieri di una restaurazione sociale cattolica , come essenziale alla compagine della società in ogni suo grado di sviluppo economico ; gioverà cioè ricordare che cosa fu in passato quella corporazione che , avversata così aspramente dai socialisti , Leone XIII con autorità di maestro trentadue anni fa additava al mondo come meritevole di essere risollevata e rimessa in onore . Molto hanno disputato gli storici per sapere se le corporazioni medioevali di arti e mestieri siano sorte come trasformazione ultima di un istituto romano , come un prodotto spontaneo delle nuove condizioni politiche ed economiche in cui le città dello impero , alla sua decadenza e rovina , si trovarono : certo è che la corporazione si presenta come una associazione intimamente legata alla vita dei municipi , anzi indispensabile al retto funzionamento degli ordini nuovi : più che rivestita di quel doppio ufficio , politico ed economico , che gli scrittori sogliono attribuirle , essa si potrebbe definire un vero potere dello Stato , diretto al conseguimento di quell ' unico bene cittadino , nel quale si assommano gli interessi che male allora si sarebbero potuti distinguere , con linguaggio troppo moderno , in interessi politici , religiosi , economici , commerciali . Il Comune medioevale esaminato soprattutto nel suo tipo italiano era un organismo semplice e completo , nel quale ogni parte si è formata quasi da sé , non tanto per deliberazioni di maggioranze , quanto per consenso unanime e quasi per la necessità delle cose . Così è naturale che un istituto politico , dove i nobili ed il clero rappresentavano , perché organizzati , dei veri corpi capaci di rispondere alla parte loro spettante nella vita cittadina , il resto del popolo , che potremmo dire il popolo minuto , sentisse il bisogno di dare a sé stesso un ordinamento per cui esso pure fosse posto in grado di adempiere la parte sua nella economia pubblica , e che in pari tempo , dove fosse necessario , lo rendesse atto a difendere la propria influenza quando altri tentasse menomarla . Il bisogno della difesa è a credere però sia stato piuttosto un elemento di conservazione e di sviluppo delle associazioni popolari , che non la causa della loro origine : e se noi le troviamo nella forma di corporazioni d ' arti e mestieri , si è perché il genere di lavoro è l ' unica legittima distinzione nelle classi del popolo . Che a tutti gli esercitanti un ' arte fosse nel medioevo fatto obbligo di appartenere alla corrispondente corporazione , non risulta da nessun dato certo ; ma che tutti i cittadini vi appartenessero , non solo per vantaggio professionale , ma specialmente per la necessità che portava in quel tempo ogni uomo a dovere prendere un posto qualsiasi nella vita pubblica intimamente fusa con la privata , non è dubbio ; meno sicuro è invece il fatto che fosse uso dei nobili ( come si sa di Firenze ) di iscriversi in alcune corporazioni per partecipare a quelle funzioni politiche che le corporazioni stesse gradatamente poi assunsero . Benché accolta anche da storici autorevoli , deve dirsi pregiudizio infondato l ' opinione che le corporazioni medioevali avessero scopi gretti e quasi pericolosi alla società , scopi che il Cibrario , per esempio , riassumeva nei seguenti : 1 ) far nominare agli uffici il maggior numero di soci ; 2 ) far prevalere nei consigli la sentenza della società ; 3 ) vendicarsi d ' ogni benché lievissima offesa ricevuta nelle persone e negli averi dei proprii membri ; 4 ) sottrarre i ministri di quelle vendette alla punizione meritata . Questi non furono che difetti accidentali nel medioevo , e si accentuarono poi nelle corporazioni dell ' età successiva quand ' esse , col cadere dei regimi popolari , vennero a mancare di una funzione propria ed integrante nella vita del comune , e rimasero come semplici rappresentanze professionali . L ' evoluzione si operò logicamente e quasi insensibilmente : si cominciò col togliere loro il diritto di crearsi le proprie leggi , subordinandole a quelle che prima invece risultavano appunto dal complesso e dall ' attrito delle particolari ; poi si privarono virtualmente del diritto d ' esistere , facendo dipendere la loro personalità dal consenso del principe , il quale non è già che le volesse sopprimere , cosa impossibile date le condizioni del lavoro , dell ' industria e del commercio ; ma le voleva legate a sé interamente , perché non esercitassero altro ufficio che quello economico , e non se ne arrogassero più uno politico . Il principio che l ' ente intermedio tra lo Stato e l ' individuo non acquisti vita se non dal riconoscimento dello Stato stesso , questo principio , assolutamente sconosciuto nel medioevo e negli ordinamenti comunali , fu rassodato nel formarsi delle monarchie e delle signorie , e rimase come vera differenza specifica tra la corporazione medioevale e quella della età moderna . Dalla negata libertà a chiunque di associarsi per tutelare i propri diritti professionali , venne così l ' assolutismo che caratterizza le corporazioni dei seicento e del settecento ; gli esclusi dalla corporazione ufficiale non possono costituirsi in corpo e gareggiare coi corpi precedenti , sia pure se di loro più forti , perché lo Stato a cui non giova , lo impedisce : la legittima concorrenza nel lavoro vien meno , perché viene meno la libertà del lavoro ; la quale non è violata per sé dalle corporazioni , bensì dalle intromissioni dello Stato a riconoscerle o meno , ed a guastarne lo spirito . Per tale modo i loro statuti , man mano che ci avviciniamo alla fine del secolo XVIII , vanno moltiplicandosi con troppe riforme funzionali , e con una complicata giurisprudenza sulle frequentissime controversie ; e leggendoli si riporta l ' impressione che quanto più le corporazioni si chiudono nell ' ambito dei privilegi , tanto più si allontanano da quell ' ideale di associazione libera , forte , importante nella vita cittadina , che tutti intravvediamo nella corporazione medioevale . I privilegi , che costituiscono l ' essenza del diritto corporativo nel secolo XVIII , sono noti : basti il ricordare che , mentre nei secoli precedenti , e specie nei primi tre del secondo millennio , le corporazioni ebbero a ragione del loro essere la protezione del lavoro mediante l ' associazione di tutti i lavoratori , esse finirono coll ' assumere carattere di casta chiusa : molti dei loro benefici effetti , quali l ' infranamento della concorrenza , l ' equa determinazione dei salari e dei rapporti tra lavoranti e maestri , durarono , ma neutralizzati dallo spirito monopolizzatore che pareva avessero ereditato dallo Stato , dopo che questo si era attribuito il diritto di vita e di morte su di loro , ed aveva mostrato d ' altra parte di non apprezzarle se non come strumento fiscale , che accollandosi tutto l ' estimo fissato a carico di ciascuna professione , gli rendeva più semplice e più sicura l ' esazione dei tributi : di qui l ' impiego della corporazione ad esercitare una vigilanza rigorosa , perché nessuno elemento imponibile sfuggisse alla propria giurisdizione , e non potesse produrre e vendere se non chi pagasse ; di qui ancora l ' impegno dello Stato nel garantire alle sue agenzie esattrici i privilegi necessari a render possibile l ' adempimento dei loro obblighi . Nessuna meraviglia quindi se le corporazioni sulla fine del secolo XVIII , non furono in grado di resistere al movimento liberista della nuova scienza economica , e che i governi le poterono abolire senza contrasto , anzi in mezzo al plauso che pareva generale . Senonché a neppure un secolo di distanza per parte degli economisti che cominciavano a ribellarsi contro il liberalismo , venne la critica la quale si può riassumere nei termini seguenti . Coloro che operarono la soppressione radicale delle corporazioni dissero di voler togliere di mezzo il monopolio , per instaurare il regno della concorrenza e della libertà del lavoro ; ma essi non si accorsero che l ' istituto che abbattevano non era per sé la causa del monopolio , ma lo era soltanto perché degenerato dalla sua natura ; e che il correggerlo e il migliorarlo col togliergli le superfetazioni assolutiste , sarebbe stato il modo migliore per garantire e la concorrenza e la libertà del lavoro stesso ; le quali invece , affidate alla tutela di un sistema prettamente individualista , hanno concorso a creare una dolorosa situazione di conflitto fra capitale e lavoro , culminante nell ' abuso del diritto di coalizione , cioè di sciopero e di serrata . Infatti la stessa concorrenza sfrenata ha prodotto la speculazione disonesta e lo sfruttamento della mano d ' opera , ed ha resa irrisoria proprio la libertà di lavoro ; ha fatto sorgere il grande industrialismo , che è un monopolio più feroce dell ' antico , ha separato in due classi nemiche quegli ordini di cittadini che le corporazioni tenevano affratellati , cioè i detentori degli strumenti di lavoro e coloro che li usano , ed ha scritto , si può dire , la prima riga del programma del socialismo scientifico : socializzazione degli strumenti di lavoro . Inoltre , disgregando le rappresentanze professionali , ha tolto efficacia politica al lavoro , ed ha da una parte reso sempre più forte il potere centrale , dall ' altra sempre più deboli gli individui . Infine è questo un punto di vista speciale alla scuola sociale cattolica , che Leone XIII non poteva a meno di ammettere in luce particolare quando si pensi al carattere eminentemente religioso che il regime corporativo rivestiva , colle regole che imponevano il riposo festivo e i convegni periodici di tutti gli iscritti e speciali solennità religiose , si capisce quale potente elemento di moralità e di ordine sociale e quindi quale freno e quale regola all ' esuberanza dei desideri , all ' avidità dei guadagni , alla disonestà dei contratti e dei lavori , allo sfruttamento degli operai , sia stato tolto colla soppressione delle corporazioni . Dalla critica al programma il passo è breve ; onde è naturale che dai primi saggi di una ricostruzione sistematica di sociologia cristiana sia uscita formulata una tesi , che fu poi quasi universalmente accettata dagli studiosi cattolici , che trovò la sua definitiva sanzione nella parola pontificia ; che cioè il sistema corporativo sano sia pure colle modificazioni anche istituzionali reclamate dallo sviluppo moderno delle dottrine e dei fatti economici deve ritornare ad essere lo strumento di un migliore e più stabile assetto dell ' organismo sociale fondato sulla armonia degli interessi e sulla collaborazione dei ceti produttori . Una tale affermazione di massima messa innanzi primamente dai cattolici sociali di Germania , ha costituito poi per molti anni la base principale dell ' azione dei sociali cristiani francesi , e la Corporation appunto si intitolò l ' organo dell ' Oeuvre des cercles oeuvriers fondata dal De Mun e dal La Tour du Pin poco dopo il 1870; e fu ben presto accettata anche dalla scuola belga ; ma l ' impresa di ridare vita vera alla organizzazione corporativa era delle più ardue , e per certi rispetti appariva impossibile : vi ostavano il regime della grande industria colla applicazione sempre maggiore delle macchine e colla divisione del lavoro ; lo spirito liberale , anzi liberista , delle leggi e la tradizione giuridica formatasi dopo la rivoluzione francese e penetrata più o meno in tutte le legislazioni moderne ; il principio della laicità introdotto come postulato essenziale in tutti gli ordini civili , e per il quale sarebbe venuto a mancare quel cemento religioso che era stato fattore così poderoso di coesione e di disciplina nel regime corporativo antico ; e infine l ' opposizione del socialismo orientato definitivamente verso la lotta di classe , e nella concezione del quale le categorie non dovevano essere che i battaglioni d ' un grande esercito , il proletariato , movente alla conquista dei poteri pubblici , e quindi alla creazione di uno Stato che fosse espressione politica della collettività lavoratrice , e sopprimesse ogni gerarchia sociale ; solo più tardi sarebbe maturato in seno al socialismo il sindacalismo vero e proprio , il quale concepisce la ricostruzione politica non più secondo un tipo unitario ed egualitario , ma secondo un tipo di organismi professionali associati , e indipendenti da un potere politico vero e proprio . D ' altra parte i propugnatori della restaurazione corporativa a tipo cristiano non sempre erano concordi nel modo di arrivarvi o almeno di tendervi ; e furono vive le dispute fra quelli che volevano la corporazione obbligatoria , cioè imposta con legge e regolata da leggi , e quelli che la volevano libera , sebbene dallo Stato riconosciuta come persona giuridica e quindi dotata della facoltà di possedere ; così molto si scrisse dagli uni in favore della corporazione mista , cioè costituita da padroni e da operai insieme , come l ' unica che potesse realizzare l ' ideale della armonia fra capitale e lavoro , dagli altri in favore della corporazione pura o semplice , cioè composta o di soli padroni o di soli operai , in considerazione della evidente necessità che l ' ente non fosse minato nella sua funzione da opposizioni d ' interessi , ma ciascun gruppo d ' interessi curasse separatamente la propria difesa , e l ' armonia sorgesse così non da una fusione , ma da una collaborazione . Tutto questo movimento di idee , parallelo e per un certo riguardo concorrente con quello degli scrittori e degli organizzatori socialisti , mise capo in Francia alla legge del 21 marzo 1884 , la quale abrogando il decreto della costituente del 1791 autorizzava la istituzione dei sindacati semplici ; essa divenne il punto di partenza per coloro che dalla teoria fossero voluti passare alla pratica ; all ' infuori di qualche buon risultato nei Cercles oeuvriers di De Mun e in alcune iniziative belghe e del saggio mirabile offerto da Leone Harmel e Val de Bois , non si sarebbe nel vero dicendo che il successo abbia coronato l ' opera dei volenterosi ; e nella Francia stessa durava ancora nel 1891 , come durava in Italia , una corrente ostile al corporativismo , il quale non veniva ammesso neppur come lecito nella sua forma pura che è l ' unica possibile modernamente . La parola di Leone XIII non valse certo a rimuovere le enormi difficoltà pratiche che ostavano alla realizzazione dell ' ideale , ma essa , in questa come in altre controversie , ebbe un grande vantaggio di por termine alle discussioni , alle incertezze , ai dubbi , e di legittimare una ispirazione ed un indirizzo che avrebbero poi operato efficacemente orientando i cattolici verso un programma di democrazia sociale aperta e schietta . Se ben si guarda , sta qui la indiscutibile importanza storica della Rerum Novarum ; non chiedetene i frutti immediati ; come nella questione del corporativismo , così in tutte le altre da essa trattate e risolte , valse la certezza acquistata dai cattolici che nella dottrina e nella disciplina della Chiesa lungi dal trovare ostacoli alla loro espansione , avrebbero attinto invece da allora in avanti , incoraggiamento ed appoggio . Tale è del resto l ' ufficio dell ' autorità docente ben intesa ; quello cioè di intervenire in un momento opportuno , a discriminare la verità dall ' errore , il giusto dall ' ingiusto , e regolare con precise definizioni il materiale di studi e di esperienze accumulato dalla libera discussione e dall ' azione dei migliori , e fissare così una tappa nel cammino della civiltà , traducendo definitivamente in tesi la ipotesi che ne sia degna e concedendo la pienezza del diritto nella città e Dio alle opere degli uomini di buona volontà .
StampaPeriodica ,
Concediamo pure che la Germania abbia avuto grandi scrittori ma concedete che da qualche tempo non ne produce più . I tedeschi , però , se non sono modesti sono ingegnosi . Non potendo fabbricare i geni con la stessa facilità colla quale fabbricano le macchine elettriche e i soldatini di piombo , hanno pensato d ' importarli dall ' estero e hanno cominciato a covare i pulcini dell ' altre chioccie . Quando , in un paese vicino , c ' è qualche genio infelice , qualche scrittore poco noto , qualche ingegno non abbastanza apprezzato i tedeschi lo traducono , lo esaltano , lo applaudono , lo adottano come figlio e tentano di imporlo anche alla madre originaria . Cominciarono col conte di Gobineau il quale , ignoto in Francia , trovò in Germania ammiratori editori e strombazzatori e perfino un certo numero di persone che fondarono una Vereinigung in suo nome . Continuarono con Houston Chamberlain , un inglese che aveva scritto in francese , e che diventò celebre coi famosi Grundlage des XIX Jahrhunderts ; con Oscar Wilde del quale pubblicarono il De Profundis in tedesco prima che in inglese , di cui risuscitarono le commedie e tradussero tutte le opere , e ora stanno facendo lo stesso col bizzarro critico e commediografo inglese Bernard Shaw , l ' autore di Man and Superman . Neppure noi Italiani ci possiamo lamentare : Salvatore Farina , l ' onesto novelliere piemontese che ormai non leggono più neanche le maestrine di sobborgo , è stato innalzato agli onori della Universal Bibliothek di Reclam e passa per uno dei più grandi scrittori italiani . Un giovine affatto ignoto in Italia , Silvio Pagani , che alcuni anni fa pubblicava nella Gazzetta Letteraria alcune fantasie simboliche dialogate è stato tradotto in tedesco e rappresenta a Berlino la nostra giovine letteratura . La Germania impotente e infeconda , vuol allevare come suoi i figli disgraziati degli altri . Essa sta diventando il Brefotrofio intellettuale dell ' Europa e tutto il suo sforzo consiste nel volerci fare ammirare in caratteri gotici ciò che altri popoli più geniali non vollero leggere in caratteri latini .
StampaPeriodica ,
... A un certo punto , da un discorso ad un altro , non so come , Paolo vien fuori con questa domanda : - Ma insomma , ci spiega un po ’ lei chi è questo Mussolini ? Provo come una scossa , piacevolissima . Godo , intimamente , profondamente , di udire pronunziare questo nome quassù , in questa zona di silenzio dove si arresta e non penetra nemmeno l ' eco di tante fragorose e inutili celebrità . Ed io spiego chi è " questo " Mussolini . Le buone donne , l ' onesto famiglio , mi ascoltano con occhi intenti , bevono le mie parole avidi , sorridono di soddisfatta approvazione . Hanno riconosciuto subito uno dei loro , un figlio delle grandi altitudini sole : sa di corroborante aroma silvestre , riflette il puro inarcato cielo come la più alta fonte sotto il più alto macigno dell ' ultima cima . È un fratello , è il fratello straordinariamente dotato , che porta impressi nella carne e nell ' anima , certi , indubitabili , tremendi ai nemici , dolci a chi l ' ama , i segni della " più vasta orma . " Non ci sono che gli invidiosi o i dolci di sale che non vogliono o non sanno riconoscere questo grande fatto nuovo . Ma la gente sana , perfino i più semplici , i perfetti ignoranti , questi più di tutti , hanno compreso , ormai , perfettamente . Ne ho la riprova vedendo i miei ascoltatori annuenti e partecipi della mia commossa sincerità e confermati dalle mie parole nella loro volontà di persuadersi e di credere ...
DEMOCRAZIA E FASCISMO ( MOLTENI GIUSEPPE , 1924 )
StampaPeriodica ,
È conciliabile il fascismo con la democrazia ? vi è tra le due parole , e le due cose , antagonismo irriducibile , intimo e insanabile conflitto , insuperabile antitesi o è possibile concepire ed attuare tra questi due termini un modus vivendi durevole , un accordo pacifico ed operoso ? Se si ricordano certe sdegnose affermazioni del duce del fascismo , le sue sanguinose irrisioni a certi cadaveri quattriduani e a certe stolide ubbie che sarebbero appunto quei principii di libertà , di uguaglianza politica , di democrazia che furono il patrimonio ideale del secolo decimonono sul terreno politico - sociale ; se si osservano le molteplici e concordi affermazioni in merito della stampa e delle individualità più espressive del fascismo ; se si esamina , dal punto di vista dottrinale , quella che è stata in subiecta materia la prassi del fascismo , sia come azione di partito , sia come azione di governo , difficilmente si possono nutrire eccessive illusioni . Dopo un cinquantennio di entusiasmi democratici ingenuamente iperbolici , il fascismo non segnerebbe soltanto un tempo d ' arresto , ma rappresenterebbe realmente un movimento di reazione , l ' inizio di un periodo di antidemocratici furori . Questo problema , dei rapporti tra democrazia e fascismo , si è posto recentemente Eugenio Rignano , il noto direttore di Scientia ed appassionato cultore di problemi politici e sociali , in un succoso volumetto « Democrazia e fascismo » che ha visto la luce in quella « Biblioteca di coltura politica » diretta dall ' on . Franco Ciarlantini . Poiché habent sua fata libelli , a questo libro è capitato un caso abbastanza curioso : il Rignano è un simpatizzante del socialismo ; certe sue ardite proposte di riforma , in ispecie del diritto successorio , testimoniano di una mentalità tuttaltro che conservatrice . Ma per questo suo studio gli è occorso di vedersi citato dall ' on . Mussolini in persona , quasi come un cortigiano , in ritardo , del nuovo regime , convertitosi forse per celate aspirazioni al laticlavio ; mentre egli è persuaso di avere scritto il suo saggio precisamente con l ' intenzione di dimostrare al fascismo quanto sia superiore , moralmente e politicamente , la democrazia sul confronto di ogni altro sistema diverso e contrario di regime . Ma « fascista » è stato giudicato il libro anche da vecchi amici dell ' autore , di parte socialista , come Claudio Treves . Il Ciarlantini , meno reciso , si limita , presentando al pubblico lo studio del Rignano , ad avvertire ch ' esso serve ottimamente « per intendere lo stato d ' animo di tutta una vasta categoria di persone che pur senza aderire al fascismo nelle sue manifestazioni più vivaci e intransigenti , ne valutano con serietà la importanza storica e desidererebbero vederlo volgersi verso nuovi indirizzi che non possono essere a priori respinti da nessun spirito illuminato » . Poiché il Rignano dichiara che la sua massima aspirazione è quella di « contribuire , sia pure in minima parte , ad attutire l ' asprezza delle contese dei partiti e ad avviare il paese verso una maggiore pacificazione degli animi » , e poiché realmente è questo , oggi , per il nostro paese il massimo dei suoi bisogni , è ovvio che una simile aspirazione sia accompagnata dai migliori e più fervidi auguri , con la avvertenza per altro , che l ' invocata pacificazione non si risolva in un vano baiser de Lamourette , ma sbocchi davvero in un consenso libero e convinto di volontà consapevoli e spontanee . L ' augurio è lecito e doveroso anche se , pel momento almeno , esso sembri assai lontano , da qualsiasi probabilità di successo . Da una parte infatti ecco l ' on . Treves che , nella Critica sociale , fa una carica a fondo contro le opinioni , assai più fasciste che democratiche , del nostro autore scrivendo : « Il fatto è e siamo certi di colpire di stupore e di incredulità l ' Autore col rivelarglielo che il suo discorso è fascista ; fascista per l ' interpretazione che esso dà ai fenomeni ; fascista per l ' estimazione con cui accoglie i risultati della rivoluzione fascista . La sua « democrazia » si svia , evapora nelle buone intenzioni liberali . Ma se egli non ha riserve a fare sui « miracoli » compiuti dal fascismo al potere , se non ha il sospetto del sofisma post hoc ergo propter hoc onde attribuisce l ' ordine , la cessazione degli scioperi , la riduzione delle spese e del deficit dello Stato esclusivamente all ' azione fascista e non a certe cause naturali ( crisi economica , disoccupazione , vietata emigrazione , cessazione delle spese di guerra , allontanamento dei furori bellici , ecc . ) , se egli crede al « rinsaldarsi della compagine nazionale » dove altri , come i socialisti unitari , per i quali il Rignano ha simpatie , dicono nel loro Manifesto elettorale : una gente sta sull ' altra colle ginocchia sul petto ! e ne dà merito all ' azione fascistica ; egli è fuori di ogni coerenza quando , in nome della democrazia , reclama allargamenti liberali e restaurazioni parlamentari . Ma viva , viva il potere personale capace di così mirifiche cose ! La democrazia non è un fine , è un mezzo . Quando il suo contrario si dimostra con mezzi di tanto più efficaci , viva il suo contrario ! Che vale il Rignano conchiuda invocando con Stuart Mill uno stato che non rimpicciolisca i suoi uomini ? Questa proposizione si allaccia all ' idea del concorso , della gara libera di tutte le capacità . Ma se l ' evento avesse dimostrato , con l ' autorità del fatto compiuto , che tale gara è neutralizzatrice di capacità anzi che eccitatrice di grandezze , che un uomo solo , onnipotente può fare , anzi ha fatto , meglio di tutto ciò che si sarebbe potuto aspettare dal concorso , dalla gara , dal Parlamento , e persino dall ' azione della natura , ecc . , la causa sarebbe vinta per l ' antidemocrazia . In verità , coi fatti che il Rignano accetta , non ci crederemmo autorizzati come fa l ' Autore ad appellarci a Stuart Mill , ma a Tommaso Hobbes e , magari , a Giuseppe De Maistre . Dall ' altro lato ecco l ' on . Ciarlantini , se non proprio accusare un fin de non recevoir , esprimersi in modo non troppo confortante alla predicazione democratica che il Rignano , nuovo Daniele nella fossa dei leoni , fa ai fascisti , osservandogli con un sorriso lievemente ironico che è « esagerata la sua preoccupazione intorno alla limitazione della libertà di cui si renderebbe colpevole il governo fascista » e ribadendo il chiodo del governo « pedagogia per adulti » , aliena per necessità del momento dalle « forme della tradizionale blandizia » e improntata ad « energie e fermezza » . Per Ciarlantini « il governo di un paese è , in grande , come il governo di una scuola e di una famiglia » ; ma di una scuola si tratterebbe di sapere in cui è riabilitata la malfamata ferula del pedagogo , e di una famiglia in cui la patria potestà risuscita i poteri discrezionali delle XII Tavole ? Non possiamo seguire particolareggiatamente il Rignano nella sua trattazione ; accenneremo soltanto . Dopo avere definito la caratteristica del fenomeno democratico « nella tendenza di un numero sempre maggiore di componenti la società ad accedere alla società stessa , anziché per imposizione esterna , per libero assenso e consenso » , dopo avere rapidamente passato in rassegna i vantaggi della democrazia , le accuse spesso infondate che le si muovono e i pericoli che realmente possono insidiarla demagogismo , parlamentarismo , eccessivo frazionamento dei partiti , e concluso che il massimo pericolo è quello « che una data classe , forte per numero di aderenti , per organizzazione e coscienza collettiva , per la sua grande importanza sull ' economia nazionale , perda , in seguito ad errate dottrine divulgate e accettate , sia pure in buona fede nel proprio seno , il senso di solidarietà sociale che la lega a tutte le società restanti , ed elevando i propri antagonismi di classe al di sopra dell ' interesse generale , che è pur supremo interesse suo proprio , minacci il dissolvimento sociale » ; il Rignano identifica questo pericolo non col socialismo in genere , ma con quella sua forma particolare e antisociale che è il marxismo . Al marxismo si devono quei due caratteristici fenomeni che crearono , con la guerra , il bolscevismo ; la mentalità disfattista e la utopia della dittatura del proletariato . Entrambi questi fenomeni minacciano alla base la vita nazionale e internazionale dei diversi paesi d ' Europa ; da ciò un correre precipitoso ai ripari con un ritorno verso la direzione coercitiva autocratica ed antidemocratica , ritorno che in Italia si concretava appunto nel fascismo . La causa della democrazia fu coinvolta nella débacle del marxismo perché « socialismo e democrazia hanno scontato insieme la colpa , ad un tempo economica , morale e politica , di non avere sconfessato in tempo e di non avere mai combattuto con la dovuta energia le dottrine marxiste antisociali » . Nell ' esame dello svolgersi delle vicende politiche dell ' immediato dopo guerra il Rignano accoglie , per così dire , la versione fascista , la versione cioè che attribuisce al fascismo il merito principale e quasi esclusivo di avere organizzato e debellato il pericolo bolscevico in Italia . E qui ci sembra che la interpretazione dei fatti non risponda pienamente all ' esattezza . Certo il fascismo è stato , fin dal suo sorgere , antesignano della lotta antibolscevica ; ma è pure debito di giustizia il riconoscere che il bolscevismo aveva già da tempo , iniziata la sua curva discendente quando ancora il fascismo era , politicamente , una quantité negligeable . Nelle elezioni del 1919 , quando la minaccia era più urgente e grave , la barriera vera e reale opposta al dilagare delle onde sovversive fu rappresentata da quel partito popolare che mandava alla Camera cento deputati e la cui valutazione , da parte del Rignano , è improntata al solito clichet , altrettanto banale quanto ingiusto , limitandosi a rimproverargli le « eccessive esigenze » cagione di continue crisi ministeriali e disconoscendo o ignorando il vigore col quale aveva disimpegnato la sua funzione di baluardo di conservazione sociale , quando appunto nelle file dei molteplici gruppi e partiti liberali era penetrato il più profondo scoraggiamento consigliero delle più ampie rinuncie e delle fughe più precipitose . Questa benemerenza del P . P . di fronte al paese , che è stata riconosciuta da uomini equilibrati e non sospetti come gli onorevoli Bonomi e De Nicola , non avrebbe dovuto essere taciuta dal Rignano . Il quale anche non poteva ignorare che un processo di revisione e di reazione alla ubbriacatura bolscevica si era andato determinando nell ' interno stesso del partito socialista , con un ritmo forse troppo lento ( in confronto delle necessità dei tempi eccessivamente rapide e urgenti ) ma continuo e sicuro ; e se nel congresso di Bologna dove pure l ' onorevole Turati pronunciava quel suo discorso che fu un ammirevole atto di coraggio prevalse l ' infatuazione bombaccesca , a quello di Livorno si effettuava la scissione tra socialisti e comunisti , e a quello successivo di Milano l ' ulteriore scissione tra massimalisti e unitari . Altrettanti fenomeni politici che dimostravano non soltanto il decrescere dell ' infezione bolscevica , ma la scomparsa d ' ogni serio pericolo . Rinsavite in gran parte le masse socialiste , salde nella loro costituzione di partito essenzialmente d ' ordine le masse del nuovo partito popolare , animate da quei principii religiosi che il Rignano - infatuato nel suo positivismo biosociologico e afflitto da insanabile odium antiteologicum ha il torto di svalutare anche sotto l ' aspetto , pure innegabile , di grande forza morale e di energia plasmatrice del benessere sociale , vera « armonia di tutta la vita » assai più solida di quella , frutto dell ' evoluzione biologica in cui si assomma tutta la fede del nostro positivista ; la situazione politica del nostro paese avrebbe potuto avviarsi ad uno stabile e pacifico assetto , ad un equilibrio armonioso delle varie tendenze e dei diversi elementi in lotta pacifica e civile , solo che il partito liberale non avesse tradito la propria funzione e rinnegato le proprie tradizioni . Ma come prima , gettate le armi e lo scudo , s ' era dato a fuggire , pronto alle più vergognose dedizioni , così , appena scomparso e non per merito suo il pericolo , il liberalismo italiano non seppe resistere all ' acre voluttà di prendersi larga vendetta della paura sofferta e si buttò sulle tracce del fascismo come quello che gli parve più idoneo strumento di una tale vendetta . Ingenuo calcolo di chi troppo facilmente dimenticava la saggezza di certe nostre vecchie favolette . Il fascismo lungi dal piegarsi a fare da « bravo » alla borghesia liberale , consapevole ormai della sua forza di fronte alla debolezza altrui , ne approfittava tosto per dichiarare la bancarotta del liberalismo , per impadronirsi del governo , e per identificarsi addirittura con lo Stato , se pure non addirittura con la Nazione , come pure pretenderebbero alcuni , e non pochi , dei suoi . Questo ci pare , grosso modo , un curriculum degli avvenimenti più rispondente alla realtà di quello accolto e fatto proprio dal Rignano nella sua esposizione . Ma forse l ' autore ha creduto con ciò di propiziarsi meglio l ' uditorio al quale voleva porgere consiglio che prevedeva alquanto ostico . Non si può negare infatti che nel capitolo ultimo del suo libro « l ' antidemocraticismo fascista » l ' autore parli abbastanza chiaramente e con una commossa eloquenza per un ritorno del fascismo ai calpestati principii della democrazia , in favore della libertà di stampa e di associazione , per un regime costituzionale e contro la dittatura , per l ' abolizione di milizie organizzate non a servizio di tutta la nazione , ma di un determinato partito , per una vera e reale normalizzazione insomma , della nostra vita politica . « Se è vero conclude l ' autore che due sono oggi le correnti che si dibattono in seno al fascismo , l ' una rappresentata dal capo del governo e dai migliori uomini del partito che comprendono la necessità di questo auspicato ritorno graduale a condizioni completamente normali , e l ' altra più intransigente che vorrebbe perseverare magari con ancor maggiore risolutezza sulla china autoritaria assolutistica , carità di patria deve spingere a fare i più fervidi voti che prevalga la prima corrente sulla seconda » . Abbiamo già espresso , a proposito di questi voti , quale deve e non può non essere il pensiero di quanti pongono la patria al di sopra della fazione . In spe contra spem . È una speranza che non deve mai lasciarci anche se la vicenda del tempo e dei fatti sembra svolgersi non troppo propizia ad una sollecita realizzazione dei nostri voti .