StampaPeriodica ,
È
lecito
che
gli
antifascisti
di
ieri
,
coloro
che
saggiarono
l
'
olio
di
ricino
e
il
manganello
squadrista
,
si
impanchino
oggi
ad
educatori
delle
giovani
generazioni
,
scrivendo
articolesse
su
tanti
giornaloni
?
È
lecito
che
fior
di
antifascisti
,
di
gente
che
negli
anni
bui
ha
tentato
in
tutti
i
modi
di
boicottare
il
Fascismo
e
se
non
ci
sono
riusciti
,
la
colpa
non
è
certo
loro
occupino
tuttora
posti
di
comando
,
a
marcio
dispetto
della
famosa
deliberazione
del
Gran
Consiglio
del
Fascismo
che
tali
incarichi
riserva
soltanto
alle
vecchie
e
fedeli
Camicie
nere
e
ai
giovani
delle
leve
fasciste
?
È
lecito
che
continuino
ad
essere
ammessi
nelle
Università
,
diciamo
così
,
"
civili
,
"
giovani
afascisti
,
mentre
le
Università
militari
giustamente
richiedono
come
imprescindibile
titolo
di
ammissione
la
tessera
del
Partito
?
È
lecito
che
nell
'
anno
XIII
si
possa
conseguire
la
laurea
a
pieni
voti
e
con
lode
,
pure
ignorando
la
data
della
Marcia
su
Roma
?
È
lecito
che
novissimi
camerati
,
vecchi
d
'
età
ma
giovanissimi
di
tessera
,
ravveduti
da
pochi
mesi
ma
non
ancora
messi
alla
prova
dal
Fascismo
,
montino
la
guardia
ai
Sacrari
dei
Caduti
,
alle
reliquie
dei
Martiri
e
ai
gagliardetti
insanguinati
dai
precursori
già
irrisi
?
Non
esiste
una
sacrosanta
disposizione
di
S
.
E
.
il
Segretario
del
Partito
che
affida
solo
ai
vecchi
fascisti
la
scorta
ai
gagliardetti
e
quindi
le
guardie
d
'
onore
?
È
lecito
che
maddaleni
pentiti
che
indossano
per
la
prima
volta
la
nostra
Camicia
nera
ardiscano
già
atteggiarsi
a
quasi
-
gerarchi
,
ordinando
il
"
saluto
al
Duce
!
"
alle
squadre
fasciste
e
prendendo
insopportabili
atteggiamenti
napoleonici
?
È
lecito
che
i
Repaci
,
i
Ramperti
,
gli
Alvaro
,
i
Burzio
,
i
Filippo
Sacchi
e
in
una
parola
tutte
le
cariatidi
dell
'
antifascismo
d
'
un
tempo
,
si
spartiscano
oggi
le
terze
pagine
dei
giornali
,
mentre
un
giovane
scrittore
fascista
che
osi
presentarsi
in
una
redazione
chiedendo
lavoro
è
scacciato
fra
l
'
ilarità
generale
?
StampaPeriodica ,
Cesare
Zavattini
,
che
dirige
con
fine
umorismo
il
settimanale
"
Le
grandi
firme
,
"
ha
recentemente
pubblicato
una
piccola
storiella
,
dovuta
alla
lepida
penna
di
Guasta
,
ex
direttore
del
Travaso
delle
idee
.
Trattandosi
di
una
vecchia
conoscenza
,
ci
siamo
precipitati
a
leggere
la
storiella
,
e
da
essa
abbiamo
appreso
come
il
povero
Guasta
fosse
stato
licenziato
dal
proprio
direttore
per
avere
inventato
una
notizia
relativa
a
Franchot
Tane
...
Noi
sappiamo
benissimo
perché
Guasta
fu
licenziato
dal
suo
giornale
:
per
avere
inventato
una
serie
di
storielle
antifasciste
al
tempo
della
Quartarella
.
Altro
che
Franchot
Tane
!
StampaPeriodica ,
Collega
è
una
vecchia
parola
squarquoia
.
Sa
di
unto
,
di
falso
libertarismo
e
di
programmi
da
"
sole
dell
'avvenire."
Si
tratta
di
un
termine
antiguerriero
,
e
antieroico
:
colleghi
non
potevano
essere
Achille
e
Patroclo
,
Eurialo
e
Niso
...
Esiste
la
parola
camerata
la
cui
accezione
è
così
vasta
ed
esauriente
.
Per
le
varie
classi
poi
valga
la
nota
di
Nicola
Moscardelli
scritta
sull
'
Ics
e
riportata
da
Meridiano
.
Egli
protesta
giustamente
a
nome
della
categoria
giornalistica
"
contro
l
'
uso
della
parola
collega
,
come
equivalente
al
termine
di
'
giornalista
'
.
StampaPeriodica ,
Le
donne
in
brachesse
sono
state
sistemate
e
se
Dio
vuole
non
si
vedono
più
per
le
strade
certe
idiote
sfasature
.
Ora
però
bisogna
dire
qualche
parolina
all
'
orecchio
di
quelle
femminucce
di
corto
e
fragile
intelletto
le
quali
,
prese
da
vera
e
propria
mania
autolesionista
,
imbestialiscono
contro
i
propri
connotati
per
cui
quelli
segnati
,
putacaso
,
su
di
un
qualsiasi
documento
di
identificazione
sono
affatto
dissimili
da
quelli
avuti
da
madre
natura
.
Si
vedono
infatti
in
circolazione
molte
signorine
,
e
disgraziatamente
anche
molte
signore
,
sul
conto
delle
quali
è
lecito
pensare
che
si
credano
in
perenne
fregola
di
sabato
grasso
,
e
se
per
queste
signorine
e
signore
in
tempi
normali
ci
si
sente
presi
da
una
voglia
matta
di
ridere
,
tale
sensazione
,
in
tempo
di
guerra
,
si
tramuta
in
senso
di
pena
.
Capelli
color
di
stoppa
;
sopracciglia
depilate
e
trasportate
con
un
orribile
frego
semicircolare
a
metà
della
fronte
simile
in
tutto
e
per
tutto
a
quelli
col
quale
usano
truccarsi
i
pagliacci
da
circo
;
occhi
allucinati
dipinti
con
tutti
i
colori
dell
'
iride
;
taglio
della
bocca
deformato
da
labbra
artificiosamente
modellate
da
una
verniciatura
mal
riuscita
ma
sempre
buffonesca
;
alterazione
della
carnagione
,
del
viso
e
del
corpo
;
unghie
insudiciate
con
tutte
le
gradazioni
del
rosso
per
cui
si
ha
la
disgustosa
impressione
di
veder
gente
che
abbia
l
'
abitudine
di
affondare
quotidianamente
le
mani
in
piaghe
sanguinanti
.
Pazze
,
e
non
sempre
incruente
,
corse
in
bicicletta
con
esposizioni
cosciali
fino
a
limiti
critici
.
Tutto
questo
insulso
insieme
di
strafottenza
,
impudenza
e
impudicizia
forzata
che
,
se
forma
la
gioia
dei
gagà
e
dei
mantenuti
,
è
particolarmente
bollato
dai
nostri
valorosi
che
tornano
feriti
o
mutilati
dai
campi
di
battaglia
,
dovrebbe
avere
termine
senza
bisogno
di
un
'
altra
legge
,
come
quella
per
le
brachesse
,
per
richiamare
la
donna
nostra
al
senso
della
sua
vera
femminilità
che
noi
italiani
,
fascisti
,
e
affatto
vecchi
rincitrulliti
,
amiamo
nella
sua
limpida
,
serena
genuinità
di
nostra
gente
.
StampaPeriodica ,
Caro
"
Vent
'
anni
"
Il
26
marzo
1942
sul
treno
N
.
10
che
parte
alle
11,35
da
Roma
,
sulla
linea
Roma
-
Genova
,
al
2°
turno
del
vagone
ristorante
tre
uomini
con
distintivi
fascisti
ed
una
donna
hanno
consumato
il
pasto
normale
a
30
lire
a
testa
.
Senonché
hanno
consumato
,
oltre
alla
frutta
,
il
formaggio
,
poi
biscotti
e
liquori
sino
a
far
salire
il
conto
da
120
lire
normali
a
230
.
Conto
che
è
poi
stato
messo
in
tasca
per
la
presentazione
(
evidentemente
)
ed
il
rimborso
spese
.
Si
danno
le
indicazioni
di
cui
sopra
per
l
'
eventuale
rintracciamento
dei
fascisti
stessi
.
C
'
era
su
quel
treno
anche
un
cons
.
naz
.
a
cui
il
fatto
fu
riferito
.
Ma
quando
si
vollero
ricercare
i
quattro
era
troppo
tardi
.
Tuo
StampaPeriodica ,
È
di
moda
ormai
il
proclamare
morta
e
sepolta
l
'
idea
internazionalista
,
che
nel
suo
concetto
più
esteso
si
spinge
fino
a
quello
che
chiamano
utopia
,
cioè
alla
aspirazione
di
un
'
epoca
nella
quale
i
due
dati
storici
e
sociali
umanità
e
civiltà
si
identificano
;
e
tutto
l
'
intellettualismo
predominante
si
concentra
oggi
nella
rivalorizzazione
fino
alla
iperestesia
dei
concetto
di
nazione
,
posto
a
base
necessaria
ed
unica
,
e
quasi
condizione
esclusiva
di
esistenza
,
per
gli
Stati
.
Umanità
e
nazione
sono
così
divenuti
i
due
termini
della
tragica
antitesi
che
domina
l
'
età
nostra
;
tanto
che
uno
ha
quasi
vergogna
e
paura
di
passare
,
oltreché
per
antipatriota
,
anche
per
ignorante
,
se
non
accetta
e
non
proclama
la
grande
tesi
moderna
,
non
solo
della
nazione
principio
e
fine
di
una
coscienza
evoluta
,
ma
del
conseguente
ripudio
del
sogno
umanitarista
.
Non
si
tratta
però
che
di
un
grande
errore
,
o
meglio
di
un
grande
equivoco
,
contro
il
quale
il
pensiero
sociologico
ispirato
dalla
dottrina
e
dalla
esperienza
cristiana
ha
diritto
e
dovere
di
reagire
.
La
verità
è
che
non
esiste
conflitto
fra
l
'
idea
di
nazionalità
e
quella
di
umanità
,
più
di
quel
che
possa
esistere
un
conflitto
fra
l
'
idea
di
patria
e
quella
di
famiglia
.
Per
arrivare
al
concetto
di
umanità
bisogna
partire
dal
concetto
di
uomo
:
ma
l
'
uomo
non
ha
vita
se
non
nella
società
;
anzi
in
un
sistema
di
società
successive
,
le
quali
sono
come
altrettanti
circoli
concentrici
,
che
dall
'
uno
si
propagano
appunto
fino
alla
umanità
.
E
ancora
.
Come
il
concetto
di
vita
è
inseparabile
da
quello
di
società
,
quello
di
società
è
inseparabile
da
quello
di
organizzazione
:
ogni
società
,
a
cominciare
dalla
domestica
,
è
una
organizzazione
determinata
da
speciali
bisogni
,
interessi
e
sentimenti
.
L
'
umanità
è
l
'
ultimo
circolo
,
è
la
società
più
estesa
;
ma
,
se
essa
come
sentimento
può
sussistere
quasi
in
forma
di
entità
astratta
,
come
realtà
non
può
essere
se
non
la
risultante
di
tutte
le
entità
intermedie
nelle
quali
è
organizzata
la
vita
sociale
dell
'
uomo
.
Fissati
questi
principii
di
ordine
generale
che
sono
incontrovertibili
,
se
ne
deduce
che
lungi
dal
contrapporsi
alla
idea
di
umanità
,
l
'
idea
di
nazione
non
può
a
meno
di
farvi
riferimento
:
come
le
nazioni
sono
la
somma
di
famiglie
viventi
sopra
un
suolo
delimitato
da
confini
naturali
,
e
quindi
aventi
comunanza
di
beni
,
di
lingua
,
di
storia
,
di
fede
;
come
gli
Stati
sono
la
somma
di
enti
minori
,
regioni
,
provincie
,
comuni
,
ciascuno
dei
quali
rappresenta
una
classificazione
di
esigenze
sociali
e
di
funzioni
politiche
ed
amministrative
;
così
l
'
umanità
è
e
non
può
essere
che
la
somma
delle
nazioni
e
degli
Stati
,
che
è
quanto
dire
delle
patrie
;
né
è
lecito
supporre
che
si
radichi
saldamente
la
coscienza
di
umanità
in
chi
non
abbia
la
coscienza
di
patria
,
più
di
quel
che
sia
lecito
ammettere
buon
patriota
il
cittadino
che
non
sente
la
famiglia
e
il
comune
.
La
coesistenza
nell
'
uomo
civile
di
tutte
le
idee
graduate
corrispondenti
alle
successive
società
nelle
quali
si
organizza
la
sua
vita
,
è
naturalmente
più
o
meno
cosciente
,
più
o
meno
pacifica
,
più
o
meno
effettiva
a
seconda
dello
sviluppo
della
sua
coltura
e
delle
condizioni
storiche
e
ambientali
di
civiltà
.
Onde
non
si
può
ammettere
che
nella
coscienza
dell
'
uomo
colto
si
delinei
necessariamente
un
conflitto
tra
la
idea
di
umanità
e
quella
di
nazionalità
;
al
contrario
al
maggior
grado
di
coltura
dovrebbe
appunto
corrispondere
la
eliminazione
di
tale
conflitto
;
quanto
più
l
'
individuo
allargherà
i
confini
delle
proprie
cognizioni
,
tanto
più
facile
gli
riuscirà
stabilire
fra
le
due
idee
quella
armonia
e
quella
coordinazione
in
cui
tutti
riconosciamo
doversi
cercare
la
base
di
una
più
sicura
e
tranquilla
convivenza
degli
uomini
fra
loro
.
Qualche
teologo
ha
espresso
il
pensiero
(
all
'
estero
si
capisce
,
non
in
Italia
,
perché
qui
da
noi
il
fascismo
ha
reso
prudenti
e
cauti
anche
i
teologi
)
che
il
nazionalismo
sarà
l
'
eresia
che
la
Chiesa
dovrà
condannare
nel
secolo
XX
.
C
'
è
della
esagerazione
,
ma
c
'
è
della
verità
;
a
seconda
che
ci
si
intenda
sul
contenuto
della
parola
.
Quando
si
parla
di
nazionalismo
non
accettabile
dalla
dottrina
della
Chiesa
cattolica
,
non
si
intende
il
complesso
di
attività
dirette
a
valorizzare
politicamente
la
nazione
,
a
tenerne
viva
la
coscienza
,
a
permearla
di
un
profondo
e
operativo
spirito
di
solidarietà
,
di
difesa
,
di
emulazione
;
no
;
si
intende
il
nazionalismo
come
sistema
etico
sociale
,
quale
è
venuto
foggiandosi
nel
primo
decennio
del
secolo
attuale
un
po
'
in
tutti
i
paesi
d
'
Europa
,
ma
specialmente
pur
con
diversa
fisionomia
esteriore
in
Francia
,
in
Italia
,
in
Germania
.
Per
vero
,
come
sistema
etico
-
sociale
,
il
nazionalismo
mette
a
base
della
sua
dottrina
la
constatazione
di
un
fatto
;
il
fatto
cioè
che
i
rapporti
fra
le
nazioni
,
a
differenza
dei
rapporti
fra
gli
individui
,
sono
regolati
principalmente
dalla
forza
,
perché
mentre
l
'
individuo
può
attendere
la
giustizia
dallo
Stato
che
è
sopra
di
lui
,
la
nazione
,
che
non
ha
nessuno
sopra
di
sé
,
non
può
attenderla
che
da
sé
stessa
.
Di
qui
la
convinzione
nei
nazionalisti
che
la
civiltà
futura
lungi
dal
recarci
l
'
abolizione
della
guerra
,
la
renderà
semplicemente
più
rara
,
ma
appunto
per
questo
più
terribile
;
e
la
conseguente
affermazione
che
la
nazione
è
al
presente
,
sarà
in
avvenire
come
fu
per
il
passato
,
dominata
dalla
ferrea
necessità
della
lotta
per
la
vita
,
per
vincere
la
quale
non
può
sperare
se
non
nella
sua
forza
.
E
quando
dice
forza
,
il
nazionalismo
intende
armi
.
Stando
così
le
cose
è
naturale
,
anche
se
non
completamente
logico
o
per
lo
meno
non
assolutamente
necessario
,
che
il
nazionalismo
passi
alla
apologia
della
guerra
,
in
cui
non
ammette
che
ci
siano
soltanto
la
violenza
e
il
dolore
;
e
proclama
invece
che
essa
può
suscitare
e
ravvivare
altissime
virtù
morali
e
purissime
forze
ideali
,
e
riuscire
perfino
la
fiamma
purificatrice
di
un
popolo
che
nella
pace
si
corrompe
e
si
estenua
.
Quindi
il
nazionalismo
riprova
il
pacifismo
;
e
lo
riprova
pure
nella
sua
forma
ridotta
,
quando
cioè
si
rassegna
alla
guerra
come
ad
una
necessità
;
perché
la
guerra
,
così
tollerata
,
si
abbassa
e
si
avvilisce
,
mentre
essa
deve
rimanere
nella
coscienza
del
popolo
come
uno
strumento
il
più
valido
di
civiltà
,
e
quando
occorre
,
combattersi
con
entusiasmo
.
E
non
basta
.
Il
nazionalismo
si
spinge
più
innanzi
e
cerca
la
giustificazione
,
anzi
la
glorificazione
della
guerra
,
oltreché
nell
'
utilità
della
nazione
,
nel
vantaggio
della
società
;
in
quanto
la
pace
per
un
popolo
in
aumento
si
traduce
in
miseria
,
in
abbrutimento
,
in
morte
,
mentre
d
'
altra
parte
il
vero
miglioramento
umano
si
basa
sulla
selezione
e
sul
sacrificio
degli
individui
;
sul
sacrificio
cioè
di
quel
che
vive
oggi
a
quel
che
vivrà
domani
;
cosicché
la
morale
socialmente
utile
è
quella
di
un
popolo
che
tenda
a
conquistare
per
sé
la
massima
quota
di
dominio
,
nel
mondo
:
la
morale
per
dirla
col
linguaggio
di
uno
degli
apostoli
del
nazionalismo
imperialistica
;
in
una
parola
,
quella
morale
suscitatrice
di
energia
che
il
Sorel
chiamava
morale
dei
produttori
,
in
contrapposto
dell
'
imbelle
morale
dei
consumatori
.
Questa
la
struttura
dottrinaria
del
nazionalismo
;
e
l
'
averla
sommariamente
esposta
basterà
a
ciascuno
dei
nostri
lettori
per
chiarirne
le
inconciliabilità
con
parecchi
dei
principii
fondamentali
del
cristianesimo
.
In
altre
questioni
per
esempio
in
quelle
riflettenti
la
superiorità
dell
'
interesse
nazionale
sull
'
interesse
di
classe
,
e
la
preminenza
,
per
uno
Stato
,
dei
problemi
esterni
su
quelli
interni
potremo
coi
nazionalisti
essere
spesso
di
accordo
;
non
certo
nel
riconoscere
che
la
legge
fra
i
popoli
sia
,
istituzionalmente
,
la
forza
anziché
il
diritto
,
che
la
giustizia
collettiva
sia
diversa
da
quella
individuale
,
che
lo
stato
di
necessità
si
traduca
in
uno
stato
normale
,
che
l
'
individuo
debba
essere
sacrificato
alla
specie
,
e
che
la
civiltà
consista
nel
dominio
del
più
potente
.
Ecco
perché
,
mentre
noi
non
disconosceremo
mai
,
anzi
apprezzeremo
sempre
il
valore
di
un
elevato
spirito
nazionale
inteso
come
propulsore
di
energie
interne
alla
efficace
tutela
anche
dei
nostri
interessi
esterni
,
e
come
educatore
alla
dignità
ed
occorrendo
al
sacrificio
per
la
patria
,
non
potremmo
senza
dimenticare
e
misconoscere
gli
insegnamenti
più
nobili
e
più
santi
del
cristianesimo
che
consideriamo
come
la
legge
della
vera
civiltà
favorire
un
movimento
,
il
quale
,
all
'
infuori
delle
sue
giustificazioni
transeunti
,
tende
a
rimettere
in
onore
i
postulati
di
un
positivismo
di
vecchia
maniera
,
e
va
a
confondersi
,
per
altra
via
,
nello
stagno
pestifero
del
materialismo
storico
,
donde
germinò
già
l
'
infezione
del
socialismo
.
StampaPeriodica ,
Leone
XIII
nella
sua
celebre
enciclica
del
15
maggio
1891
(
Rerum
novarum
)
con
gesto
per
il
suo
tempo
ardito
e
coraggioso
,
quasi
a
conclusione
dell
'
ampia
disamina
dottrinale
compiuta
intorno
ai
vari
aspetti
della
questione
operaia
«
quella
che
oggi
maggiormente
interessa
il
mondo
»
com
'
egli
stesso
diceva
,
risollevava
dalla
polvere
secolare
un
istituto
o
dimenticato
o
ricordato
solo
da
pochi
,
quasi
sempre
con
poca
lode
,
se
non
con
qualche
infamia
:
la
corporazione
.
Già
nell
'
introduzione
della
enciclica
,
prima
di
additare
come
causa
del
disagio
degli
operai
l
'
usura
vorax
e
il
monopolio
della
produzione
e
degli
scambi
onde
un
piccolo
numero
di
ricchissimi
«
hanno
imposto
alla
infinita
moltitudine
dei
proletari
un
gioco
poco
men
che
servile
»
,
egli
aveva
scritto
:
«
Soppresse
nel
passato
secolo
le
corporazioni
di
arti
e
mestieri
,
senza
nulla
sostituire
in
loro
vece
,
nel
tempo
stesso
che
le
istituzioni
e
le
leggi
venivano
allontanandosi
dallo
spirito
cristiano
,
avvenne
che
a
poco
a
poco
gli
operai
rimanessero
soli
ed
indifesi
,
e
in
balia
alla
cupidigia
dei
padroni
e
di
una
sfrenata
concorrenza
»
.
E
nell
'
ultima
parte
dell
'
Enciclica
ritornava
sul
terna
:
segnalati
i
rimedii
del
male
,
prima
nel
ritorno
alla
religione
e
nella
sommissione
agli
insegnamenti
della
Chiesa
,
poi
nell
'
intervento
dello
Stato
a
regolare
la
protezione
del
lavoro
,
vi
aggiungeva
poi
quelli
delle
associazioni
di
assistenza
e
di
collaborazione
fra
le
classi
,
che
additava
tutte
riassunte
nella
corporazione
.
«
Tengono
però
il
primo
luogo
sono
le
parole
di
Leone
XIII
e
quasi
tutte
le
altre
contengono
,
le
corporazioni
di
arti
e
mestieri
;
manifestissimi
furono
presso
i
nostri
maggiori
i
vantaggi
di
tali
corporazioni
;
e
non
solo
a
pro
degli
artieri
,
ma
,
come
attestano
monumenti
in
gran
numero
,
ad
onore
e
perfezionamento
delle
arti
medesime
:
bensì
,
i
progressi
della
coltura
,
le
nuove
costumanze
e
i
cresciuti
bisogni
della
vita
esigono
che
queste
corporazioni
si
adattino
alle
condizioni
presenti
:
vediamo
con
piacere
formarsi
ovunque
associazioni
siffatte
,
sia
di
soli
operai
,
sia
miste
di
operai
e
padroni
;
ed
è
desiderabile
che
crescano
di
numero
e
di
operosità
:
dal
passato
possiamo
non
senza
ragione
preveder
l
'
avvenire
:
imperocché
le
umane
generazioni
si
succedono
;
ma
le
pagine
della
storia
si
rassomigliano
grandemente
,
perché
gli
avvenimenti
sono
governati
da
quella
Provvidenza
superna
,
la
quale
volge
e
indirizza
tutte
le
umane
vicende
a
quel
fine
che
ella
si
prefisse
nella
creazione
dell
'
umana
famiglia
»
.
Ma
per
comprendere
bene
che
cosa
la
pontificia
solenne
riabilitazione
del
corporativismo
significasse
,
gioverà
rapidamente
vedere
attraverso
le
diverse
fasi
che
esso
ha
avuto
nel
medio
evo
,
nella
età
moderna
e
nel
mondo
nostro
contemporaneo
la
evoluzione
di
un
istituto
già
vagheggiato
dai
primi
pionieri
di
una
restaurazione
sociale
cattolica
,
come
essenziale
alla
compagine
della
società
in
ogni
suo
grado
di
sviluppo
economico
;
gioverà
cioè
ricordare
che
cosa
fu
in
passato
quella
corporazione
che
,
avversata
così
aspramente
dai
socialisti
,
Leone
XIII
con
autorità
di
maestro
trentadue
anni
fa
additava
al
mondo
come
meritevole
di
essere
risollevata
e
rimessa
in
onore
.
Molto
hanno
disputato
gli
storici
per
sapere
se
le
corporazioni
medioevali
di
arti
e
mestieri
siano
sorte
come
trasformazione
ultima
di
un
istituto
romano
,
come
un
prodotto
spontaneo
delle
nuove
condizioni
politiche
ed
economiche
in
cui
le
città
dello
impero
,
alla
sua
decadenza
e
rovina
,
si
trovarono
:
certo
è
che
la
corporazione
si
presenta
come
una
associazione
intimamente
legata
alla
vita
dei
municipi
,
anzi
indispensabile
al
retto
funzionamento
degli
ordini
nuovi
:
più
che
rivestita
di
quel
doppio
ufficio
,
politico
ed
economico
,
che
gli
scrittori
sogliono
attribuirle
,
essa
si
potrebbe
definire
un
vero
potere
dello
Stato
,
diretto
al
conseguimento
di
quell
'
unico
bene
cittadino
,
nel
quale
si
assommano
gli
interessi
che
male
allora
si
sarebbero
potuti
distinguere
,
con
linguaggio
troppo
moderno
,
in
interessi
politici
,
religiosi
,
economici
,
commerciali
.
Il
Comune
medioevale
esaminato
soprattutto
nel
suo
tipo
italiano
era
un
organismo
semplice
e
completo
,
nel
quale
ogni
parte
si
è
formata
quasi
da
sé
,
non
tanto
per
deliberazioni
di
maggioranze
,
quanto
per
consenso
unanime
e
quasi
per
la
necessità
delle
cose
.
Così
è
naturale
che
un
istituto
politico
,
dove
i
nobili
ed
il
clero
rappresentavano
,
perché
organizzati
,
dei
veri
corpi
capaci
di
rispondere
alla
parte
loro
spettante
nella
vita
cittadina
,
il
resto
del
popolo
,
che
potremmo
dire
il
popolo
minuto
,
sentisse
il
bisogno
di
dare
a
sé
stesso
un
ordinamento
per
cui
esso
pure
fosse
posto
in
grado
di
adempiere
la
parte
sua
nella
economia
pubblica
,
e
che
in
pari
tempo
,
dove
fosse
necessario
,
lo
rendesse
atto
a
difendere
la
propria
influenza
quando
altri
tentasse
menomarla
.
Il
bisogno
della
difesa
è
a
credere
però
sia
stato
piuttosto
un
elemento
di
conservazione
e
di
sviluppo
delle
associazioni
popolari
,
che
non
la
causa
della
loro
origine
:
e
se
noi
le
troviamo
nella
forma
di
corporazioni
d
'
arti
e
mestieri
,
si
è
perché
il
genere
di
lavoro
è
l
'
unica
legittima
distinzione
nelle
classi
del
popolo
.
Che
a
tutti
gli
esercitanti
un
'
arte
fosse
nel
medioevo
fatto
obbligo
di
appartenere
alla
corrispondente
corporazione
,
non
risulta
da
nessun
dato
certo
;
ma
che
tutti
i
cittadini
vi
appartenessero
,
non
solo
per
vantaggio
professionale
,
ma
specialmente
per
la
necessità
che
portava
in
quel
tempo
ogni
uomo
a
dovere
prendere
un
posto
qualsiasi
nella
vita
pubblica
intimamente
fusa
con
la
privata
,
non
è
dubbio
;
meno
sicuro
è
invece
il
fatto
che
fosse
uso
dei
nobili
(
come
si
sa
di
Firenze
)
di
iscriversi
in
alcune
corporazioni
per
partecipare
a
quelle
funzioni
politiche
che
le
corporazioni
stesse
gradatamente
poi
assunsero
.
Benché
accolta
anche
da
storici
autorevoli
,
deve
dirsi
pregiudizio
infondato
l
'
opinione
che
le
corporazioni
medioevali
avessero
scopi
gretti
e
quasi
pericolosi
alla
società
,
scopi
che
il
Cibrario
,
per
esempio
,
riassumeva
nei
seguenti
:
1
)
far
nominare
agli
uffici
il
maggior
numero
di
soci
;
2
)
far
prevalere
nei
consigli
la
sentenza
della
società
;
3
)
vendicarsi
d
'
ogni
benché
lievissima
offesa
ricevuta
nelle
persone
e
negli
averi
dei
proprii
membri
;
4
)
sottrarre
i
ministri
di
quelle
vendette
alla
punizione
meritata
.
Questi
non
furono
che
difetti
accidentali
nel
medioevo
,
e
si
accentuarono
poi
nelle
corporazioni
dell
'
età
successiva
quand
'
esse
,
col
cadere
dei
regimi
popolari
,
vennero
a
mancare
di
una
funzione
propria
ed
integrante
nella
vita
del
comune
,
e
rimasero
come
semplici
rappresentanze
professionali
.
L
'
evoluzione
si
operò
logicamente
e
quasi
insensibilmente
:
si
cominciò
col
togliere
loro
il
diritto
di
crearsi
le
proprie
leggi
,
subordinandole
a
quelle
che
prima
invece
risultavano
appunto
dal
complesso
e
dall
'
attrito
delle
particolari
;
poi
si
privarono
virtualmente
del
diritto
d
'
esistere
,
facendo
dipendere
la
loro
personalità
dal
consenso
del
principe
,
il
quale
non
è
già
che
le
volesse
sopprimere
,
cosa
impossibile
date
le
condizioni
del
lavoro
,
dell
'
industria
e
del
commercio
;
ma
le
voleva
legate
a
sé
interamente
,
perché
non
esercitassero
altro
ufficio
che
quello
economico
,
e
non
se
ne
arrogassero
più
uno
politico
.
Il
principio
che
l
'
ente
intermedio
tra
lo
Stato
e
l
'
individuo
non
acquisti
vita
se
non
dal
riconoscimento
dello
Stato
stesso
,
questo
principio
,
assolutamente
sconosciuto
nel
medioevo
e
negli
ordinamenti
comunali
,
fu
rassodato
nel
formarsi
delle
monarchie
e
delle
signorie
,
e
rimase
come
vera
differenza
specifica
tra
la
corporazione
medioevale
e
quella
della
età
moderna
.
Dalla
negata
libertà
a
chiunque
di
associarsi
per
tutelare
i
propri
diritti
professionali
,
venne
così
l
'
assolutismo
che
caratterizza
le
corporazioni
dei
seicento
e
del
settecento
;
gli
esclusi
dalla
corporazione
ufficiale
non
possono
costituirsi
in
corpo
e
gareggiare
coi
corpi
precedenti
,
sia
pure
se
di
loro
più
forti
,
perché
lo
Stato
a
cui
non
giova
,
lo
impedisce
:
la
legittima
concorrenza
nel
lavoro
vien
meno
,
perché
viene
meno
la
libertà
del
lavoro
;
la
quale
non
è
violata
per
sé
dalle
corporazioni
,
bensì
dalle
intromissioni
dello
Stato
a
riconoscerle
o
meno
,
ed
a
guastarne
lo
spirito
.
Per
tale
modo
i
loro
statuti
,
man
mano
che
ci
avviciniamo
alla
fine
del
secolo
XVIII
,
vanno
moltiplicandosi
con
troppe
riforme
funzionali
,
e
con
una
complicata
giurisprudenza
sulle
frequentissime
controversie
;
e
leggendoli
si
riporta
l
'
impressione
che
quanto
più
le
corporazioni
si
chiudono
nell
'
ambito
dei
privilegi
,
tanto
più
si
allontanano
da
quell
'
ideale
di
associazione
libera
,
forte
,
importante
nella
vita
cittadina
,
che
tutti
intravvediamo
nella
corporazione
medioevale
.
I
privilegi
,
che
costituiscono
l
'
essenza
del
diritto
corporativo
nel
secolo
XVIII
,
sono
noti
:
basti
il
ricordare
che
,
mentre
nei
secoli
precedenti
,
e
specie
nei
primi
tre
del
secondo
millennio
,
le
corporazioni
ebbero
a
ragione
del
loro
essere
la
protezione
del
lavoro
mediante
l
'
associazione
di
tutti
i
lavoratori
,
esse
finirono
coll
'
assumere
carattere
di
casta
chiusa
:
molti
dei
loro
benefici
effetti
,
quali
l
'
infranamento
della
concorrenza
,
l
'
equa
determinazione
dei
salari
e
dei
rapporti
tra
lavoranti
e
maestri
,
durarono
,
ma
neutralizzati
dallo
spirito
monopolizzatore
che
pareva
avessero
ereditato
dallo
Stato
,
dopo
che
questo
si
era
attribuito
il
diritto
di
vita
e
di
morte
su
di
loro
,
ed
aveva
mostrato
d
'
altra
parte
di
non
apprezzarle
se
non
come
strumento
fiscale
,
che
accollandosi
tutto
l
'
estimo
fissato
a
carico
di
ciascuna
professione
,
gli
rendeva
più
semplice
e
più
sicura
l
'
esazione
dei
tributi
:
di
qui
l
'
impiego
della
corporazione
ad
esercitare
una
vigilanza
rigorosa
,
perché
nessuno
elemento
imponibile
sfuggisse
alla
propria
giurisdizione
,
e
non
potesse
produrre
e
vendere
se
non
chi
pagasse
;
di
qui
ancora
l
'
impegno
dello
Stato
nel
garantire
alle
sue
agenzie
esattrici
i
privilegi
necessari
a
render
possibile
l
'
adempimento
dei
loro
obblighi
.
Nessuna
meraviglia
quindi
se
le
corporazioni
sulla
fine
del
secolo
XVIII
,
non
furono
in
grado
di
resistere
al
movimento
liberista
della
nuova
scienza
economica
,
e
che
i
governi
le
poterono
abolire
senza
contrasto
,
anzi
in
mezzo
al
plauso
che
pareva
generale
.
Senonché
a
neppure
un
secolo
di
distanza
per
parte
degli
economisti
che
cominciavano
a
ribellarsi
contro
il
liberalismo
,
venne
la
critica
la
quale
si
può
riassumere
nei
termini
seguenti
.
Coloro
che
operarono
la
soppressione
radicale
delle
corporazioni
dissero
di
voler
togliere
di
mezzo
il
monopolio
,
per
instaurare
il
regno
della
concorrenza
e
della
libertà
del
lavoro
;
ma
essi
non
si
accorsero
che
l
'
istituto
che
abbattevano
non
era
per
sé
la
causa
del
monopolio
,
ma
lo
era
soltanto
perché
degenerato
dalla
sua
natura
;
e
che
il
correggerlo
e
il
migliorarlo
col
togliergli
le
superfetazioni
assolutiste
,
sarebbe
stato
il
modo
migliore
per
garantire
e
la
concorrenza
e
la
libertà
del
lavoro
stesso
;
le
quali
invece
,
affidate
alla
tutela
di
un
sistema
prettamente
individualista
,
hanno
concorso
a
creare
una
dolorosa
situazione
di
conflitto
fra
capitale
e
lavoro
,
culminante
nell
'
abuso
del
diritto
di
coalizione
,
cioè
di
sciopero
e
di
serrata
.
Infatti
la
stessa
concorrenza
sfrenata
ha
prodotto
la
speculazione
disonesta
e
lo
sfruttamento
della
mano
d
'
opera
,
ed
ha
resa
irrisoria
proprio
la
libertà
di
lavoro
;
ha
fatto
sorgere
il
grande
industrialismo
,
che
è
un
monopolio
più
feroce
dell
'
antico
,
ha
separato
in
due
classi
nemiche
quegli
ordini
di
cittadini
che
le
corporazioni
tenevano
affratellati
,
cioè
i
detentori
degli
strumenti
di
lavoro
e
coloro
che
li
usano
,
ed
ha
scritto
,
si
può
dire
,
la
prima
riga
del
programma
del
socialismo
scientifico
:
socializzazione
degli
strumenti
di
lavoro
.
Inoltre
,
disgregando
le
rappresentanze
professionali
,
ha
tolto
efficacia
politica
al
lavoro
,
ed
ha
da
una
parte
reso
sempre
più
forte
il
potere
centrale
,
dall
'
altra
sempre
più
deboli
gli
individui
.
Infine
è
questo
un
punto
di
vista
speciale
alla
scuola
sociale
cattolica
,
che
Leone
XIII
non
poteva
a
meno
di
ammettere
in
luce
particolare
quando
si
pensi
al
carattere
eminentemente
religioso
che
il
regime
corporativo
rivestiva
,
colle
regole
che
imponevano
il
riposo
festivo
e
i
convegni
periodici
di
tutti
gli
iscritti
e
speciali
solennità
religiose
,
si
capisce
quale
potente
elemento
di
moralità
e
di
ordine
sociale
e
quindi
quale
freno
e
quale
regola
all
'
esuberanza
dei
desideri
,
all
'
avidità
dei
guadagni
,
alla
disonestà
dei
contratti
e
dei
lavori
,
allo
sfruttamento
degli
operai
,
sia
stato
tolto
colla
soppressione
delle
corporazioni
.
Dalla
critica
al
programma
il
passo
è
breve
;
onde
è
naturale
che
dai
primi
saggi
di
una
ricostruzione
sistematica
di
sociologia
cristiana
sia
uscita
formulata
una
tesi
,
che
fu
poi
quasi
universalmente
accettata
dagli
studiosi
cattolici
,
che
trovò
la
sua
definitiva
sanzione
nella
parola
pontificia
;
che
cioè
il
sistema
corporativo
sano
sia
pure
colle
modificazioni
anche
istituzionali
reclamate
dallo
sviluppo
moderno
delle
dottrine
e
dei
fatti
economici
deve
ritornare
ad
essere
lo
strumento
di
un
migliore
e
più
stabile
assetto
dell
'
organismo
sociale
fondato
sulla
armonia
degli
interessi
e
sulla
collaborazione
dei
ceti
produttori
.
Una
tale
affermazione
di
massima
messa
innanzi
primamente
dai
cattolici
sociali
di
Germania
,
ha
costituito
poi
per
molti
anni
la
base
principale
dell
'
azione
dei
sociali
cristiani
francesi
,
e
la
Corporation
appunto
si
intitolò
l
'
organo
dell
'
Oeuvre
des
cercles
oeuvriers
fondata
dal
De
Mun
e
dal
La
Tour
du
Pin
poco
dopo
il
1870;
e
fu
ben
presto
accettata
anche
dalla
scuola
belga
;
ma
l
'
impresa
di
ridare
vita
vera
alla
organizzazione
corporativa
era
delle
più
ardue
,
e
per
certi
rispetti
appariva
impossibile
:
vi
ostavano
il
regime
della
grande
industria
colla
applicazione
sempre
maggiore
delle
macchine
e
colla
divisione
del
lavoro
;
lo
spirito
liberale
,
anzi
liberista
,
delle
leggi
e
la
tradizione
giuridica
formatasi
dopo
la
rivoluzione
francese
e
penetrata
più
o
meno
in
tutte
le
legislazioni
moderne
;
il
principio
della
laicità
introdotto
come
postulato
essenziale
in
tutti
gli
ordini
civili
,
e
per
il
quale
sarebbe
venuto
a
mancare
quel
cemento
religioso
che
era
stato
fattore
così
poderoso
di
coesione
e
di
disciplina
nel
regime
corporativo
antico
;
e
infine
l
'
opposizione
del
socialismo
orientato
definitivamente
verso
la
lotta
di
classe
,
e
nella
concezione
del
quale
le
categorie
non
dovevano
essere
che
i
battaglioni
d
'
un
grande
esercito
,
il
proletariato
,
movente
alla
conquista
dei
poteri
pubblici
,
e
quindi
alla
creazione
di
uno
Stato
che
fosse
espressione
politica
della
collettività
lavoratrice
,
e
sopprimesse
ogni
gerarchia
sociale
;
solo
più
tardi
sarebbe
maturato
in
seno
al
socialismo
il
sindacalismo
vero
e
proprio
,
il
quale
concepisce
la
ricostruzione
politica
non
più
secondo
un
tipo
unitario
ed
egualitario
,
ma
secondo
un
tipo
di
organismi
professionali
associati
,
e
indipendenti
da
un
potere
politico
vero
e
proprio
.
D
'
altra
parte
i
propugnatori
della
restaurazione
corporativa
a
tipo
cristiano
non
sempre
erano
concordi
nel
modo
di
arrivarvi
o
almeno
di
tendervi
;
e
furono
vive
le
dispute
fra
quelli
che
volevano
la
corporazione
obbligatoria
,
cioè
imposta
con
legge
e
regolata
da
leggi
,
e
quelli
che
la
volevano
libera
,
sebbene
dallo
Stato
riconosciuta
come
persona
giuridica
e
quindi
dotata
della
facoltà
di
possedere
;
così
molto
si
scrisse
dagli
uni
in
favore
della
corporazione
mista
,
cioè
costituita
da
padroni
e
da
operai
insieme
,
come
l
'
unica
che
potesse
realizzare
l
'
ideale
della
armonia
fra
capitale
e
lavoro
,
dagli
altri
in
favore
della
corporazione
pura
o
semplice
,
cioè
composta
o
di
soli
padroni
o
di
soli
operai
,
in
considerazione
della
evidente
necessità
che
l
'
ente
non
fosse
minato
nella
sua
funzione
da
opposizioni
d
'
interessi
,
ma
ciascun
gruppo
d
'
interessi
curasse
separatamente
la
propria
difesa
,
e
l
'
armonia
sorgesse
così
non
da
una
fusione
,
ma
da
una
collaborazione
.
Tutto
questo
movimento
di
idee
,
parallelo
e
per
un
certo
riguardo
concorrente
con
quello
degli
scrittori
e
degli
organizzatori
socialisti
,
mise
capo
in
Francia
alla
legge
del
21
marzo
1884
,
la
quale
abrogando
il
decreto
della
costituente
del
1791
autorizzava
la
istituzione
dei
sindacati
semplici
;
essa
divenne
il
punto
di
partenza
per
coloro
che
dalla
teoria
fossero
voluti
passare
alla
pratica
;
all
'
infuori
di
qualche
buon
risultato
nei
Cercles
oeuvriers
di
De
Mun
e
in
alcune
iniziative
belghe
e
del
saggio
mirabile
offerto
da
Leone
Harmel
e
Val
de
Bois
,
non
si
sarebbe
nel
vero
dicendo
che
il
successo
abbia
coronato
l
'
opera
dei
volenterosi
;
e
nella
Francia
stessa
durava
ancora
nel
1891
,
come
durava
in
Italia
,
una
corrente
ostile
al
corporativismo
,
il
quale
non
veniva
ammesso
neppur
come
lecito
nella
sua
forma
pura
che
è
l
'
unica
possibile
modernamente
.
La
parola
di
Leone
XIII
non
valse
certo
a
rimuovere
le
enormi
difficoltà
pratiche
che
ostavano
alla
realizzazione
dell
'
ideale
,
ma
essa
,
in
questa
come
in
altre
controversie
,
ebbe
un
grande
vantaggio
di
por
termine
alle
discussioni
,
alle
incertezze
,
ai
dubbi
,
e
di
legittimare
una
ispirazione
ed
un
indirizzo
che
avrebbero
poi
operato
efficacemente
orientando
i
cattolici
verso
un
programma
di
democrazia
sociale
aperta
e
schietta
.
Se
ben
si
guarda
,
sta
qui
la
indiscutibile
importanza
storica
della
Rerum
Novarum
;
non
chiedetene
i
frutti
immediati
;
come
nella
questione
del
corporativismo
,
così
in
tutte
le
altre
da
essa
trattate
e
risolte
,
valse
la
certezza
acquistata
dai
cattolici
che
nella
dottrina
e
nella
disciplina
della
Chiesa
lungi
dal
trovare
ostacoli
alla
loro
espansione
,
avrebbero
attinto
invece
da
allora
in
avanti
,
incoraggiamento
ed
appoggio
.
Tale
è
del
resto
l
'
ufficio
dell
'
autorità
docente
ben
intesa
;
quello
cioè
di
intervenire
in
un
momento
opportuno
,
a
discriminare
la
verità
dall
'
errore
,
il
giusto
dall
'
ingiusto
,
e
regolare
con
precise
definizioni
il
materiale
di
studi
e
di
esperienze
accumulato
dalla
libera
discussione
e
dall
'
azione
dei
migliori
,
e
fissare
così
una
tappa
nel
cammino
della
civiltà
,
traducendo
definitivamente
in
tesi
la
ipotesi
che
ne
sia
degna
e
concedendo
la
pienezza
del
diritto
nella
città
e
Dio
alle
opere
degli
uomini
di
buona
volontà
.
StampaPeriodica ,
Concediamo
pure
che
la
Germania
abbia
avuto
grandi
scrittori
ma
concedete
che
da
qualche
tempo
non
ne
produce
più
.
I
tedeschi
,
però
,
se
non
sono
modesti
sono
ingegnosi
.
Non
potendo
fabbricare
i
geni
con
la
stessa
facilità
colla
quale
fabbricano
le
macchine
elettriche
e
i
soldatini
di
piombo
,
hanno
pensato
d
'
importarli
dall
'
estero
e
hanno
cominciato
a
covare
i
pulcini
dell
'
altre
chioccie
.
Quando
,
in
un
paese
vicino
,
c
'
è
qualche
genio
infelice
,
qualche
scrittore
poco
noto
,
qualche
ingegno
non
abbastanza
apprezzato
i
tedeschi
lo
traducono
,
lo
esaltano
,
lo
applaudono
,
lo
adottano
come
figlio
e
tentano
di
imporlo
anche
alla
madre
originaria
.
Cominciarono
col
conte
di
Gobineau
il
quale
,
ignoto
in
Francia
,
trovò
in
Germania
ammiratori
editori
e
strombazzatori
e
perfino
un
certo
numero
di
persone
che
fondarono
una
Vereinigung
in
suo
nome
.
Continuarono
con
Houston
Chamberlain
,
un
inglese
che
aveva
scritto
in
francese
,
e
che
diventò
celebre
coi
famosi
Grundlage
des
XIX
Jahrhunderts
;
con
Oscar
Wilde
del
quale
pubblicarono
il
De
Profundis
in
tedesco
prima
che
in
inglese
,
di
cui
risuscitarono
le
commedie
e
tradussero
tutte
le
opere
,
e
ora
stanno
facendo
lo
stesso
col
bizzarro
critico
e
commediografo
inglese
Bernard
Shaw
,
l
'
autore
di
Man
and
Superman
.
Neppure
noi
Italiani
ci
possiamo
lamentare
:
Salvatore
Farina
,
l
'
onesto
novelliere
piemontese
che
ormai
non
leggono
più
neanche
le
maestrine
di
sobborgo
,
è
stato
innalzato
agli
onori
della
Universal
Bibliothek
di
Reclam
e
passa
per
uno
dei
più
grandi
scrittori
italiani
.
Un
giovine
affatto
ignoto
in
Italia
,
Silvio
Pagani
,
che
alcuni
anni
fa
pubblicava
nella
Gazzetta
Letteraria
alcune
fantasie
simboliche
dialogate
è
stato
tradotto
in
tedesco
e
rappresenta
a
Berlino
la
nostra
giovine
letteratura
.
La
Germania
impotente
e
infeconda
,
vuol
allevare
come
suoi
i
figli
disgraziati
degli
altri
.
Essa
sta
diventando
il
Brefotrofio
intellettuale
dell
'
Europa
e
tutto
il
suo
sforzo
consiste
nel
volerci
fare
ammirare
in
caratteri
gotici
ciò
che
altri
popoli
più
geniali
non
vollero
leggere
in
caratteri
latini
.
StampaPeriodica ,
...
A
un
certo
punto
,
da
un
discorso
ad
un
altro
,
non
so
come
,
Paolo
vien
fuori
con
questa
domanda
:
-
Ma
insomma
,
ci
spiega
un
po
lei
chi
è
questo
Mussolini
?
Provo
come
una
scossa
,
piacevolissima
.
Godo
,
intimamente
,
profondamente
,
di
udire
pronunziare
questo
nome
quassù
,
in
questa
zona
di
silenzio
dove
si
arresta
e
non
penetra
nemmeno
l
'
eco
di
tante
fragorose
e
inutili
celebrità
.
Ed
io
spiego
chi
è
"
questo
"
Mussolini
.
Le
buone
donne
,
l
'
onesto
famiglio
,
mi
ascoltano
con
occhi
intenti
,
bevono
le
mie
parole
avidi
,
sorridono
di
soddisfatta
approvazione
.
Hanno
riconosciuto
subito
uno
dei
loro
,
un
figlio
delle
grandi
altitudini
sole
:
sa
di
corroborante
aroma
silvestre
,
riflette
il
puro
inarcato
cielo
come
la
più
alta
fonte
sotto
il
più
alto
macigno
dell
'
ultima
cima
.
È
un
fratello
,
è
il
fratello
straordinariamente
dotato
,
che
porta
impressi
nella
carne
e
nell
'
anima
,
certi
,
indubitabili
,
tremendi
ai
nemici
,
dolci
a
chi
l
'
ama
,
i
segni
della
"
più
vasta
orma
.
"
Non
ci
sono
che
gli
invidiosi
o
i
dolci
di
sale
che
non
vogliono
o
non
sanno
riconoscere
questo
grande
fatto
nuovo
.
Ma
la
gente
sana
,
perfino
i
più
semplici
,
i
perfetti
ignoranti
,
questi
più
di
tutti
,
hanno
compreso
,
ormai
,
perfettamente
.
Ne
ho
la
riprova
vedendo
i
miei
ascoltatori
annuenti
e
partecipi
della
mia
commossa
sincerità
e
confermati
dalle
mie
parole
nella
loro
volontà
di
persuadersi
e
di
credere
...
StampaPeriodica ,
È
conciliabile
il
fascismo
con
la
democrazia
?
vi
è
tra
le
due
parole
,
e
le
due
cose
,
antagonismo
irriducibile
,
intimo
e
insanabile
conflitto
,
insuperabile
antitesi
o
è
possibile
concepire
ed
attuare
tra
questi
due
termini
un
modus
vivendi
durevole
,
un
accordo
pacifico
ed
operoso
?
Se
si
ricordano
certe
sdegnose
affermazioni
del
duce
del
fascismo
,
le
sue
sanguinose
irrisioni
a
certi
cadaveri
quattriduani
e
a
certe
stolide
ubbie
che
sarebbero
appunto
quei
principii
di
libertà
,
di
uguaglianza
politica
,
di
democrazia
che
furono
il
patrimonio
ideale
del
secolo
decimonono
sul
terreno
politico
-
sociale
;
se
si
osservano
le
molteplici
e
concordi
affermazioni
in
merito
della
stampa
e
delle
individualità
più
espressive
del
fascismo
;
se
si
esamina
,
dal
punto
di
vista
dottrinale
,
quella
che
è
stata
in
subiecta
materia
la
prassi
del
fascismo
,
sia
come
azione
di
partito
,
sia
come
azione
di
governo
,
difficilmente
si
possono
nutrire
eccessive
illusioni
.
Dopo
un
cinquantennio
di
entusiasmi
democratici
ingenuamente
iperbolici
,
il
fascismo
non
segnerebbe
soltanto
un
tempo
d
'
arresto
,
ma
rappresenterebbe
realmente
un
movimento
di
reazione
,
l
'
inizio
di
un
periodo
di
antidemocratici
furori
.
Questo
problema
,
dei
rapporti
tra
democrazia
e
fascismo
,
si
è
posto
recentemente
Eugenio
Rignano
,
il
noto
direttore
di
Scientia
ed
appassionato
cultore
di
problemi
politici
e
sociali
,
in
un
succoso
volumetto
«
Democrazia
e
fascismo
»
che
ha
visto
la
luce
in
quella
«
Biblioteca
di
coltura
politica
»
diretta
dall
'
on
.
Franco
Ciarlantini
.
Poiché
habent
sua
fata
libelli
,
a
questo
libro
è
capitato
un
caso
abbastanza
curioso
:
il
Rignano
è
un
simpatizzante
del
socialismo
;
certe
sue
ardite
proposte
di
riforma
,
in
ispecie
del
diritto
successorio
,
testimoniano
di
una
mentalità
tuttaltro
che
conservatrice
.
Ma
per
questo
suo
studio
gli
è
occorso
di
vedersi
citato
dall
'
on
.
Mussolini
in
persona
,
quasi
come
un
cortigiano
,
in
ritardo
,
del
nuovo
regime
,
convertitosi
forse
per
celate
aspirazioni
al
laticlavio
;
mentre
egli
è
persuaso
di
avere
scritto
il
suo
saggio
precisamente
con
l
'
intenzione
di
dimostrare
al
fascismo
quanto
sia
superiore
,
moralmente
e
politicamente
,
la
democrazia
sul
confronto
di
ogni
altro
sistema
diverso
e
contrario
di
regime
.
Ma
«
fascista
»
è
stato
giudicato
il
libro
anche
da
vecchi
amici
dell
'
autore
,
di
parte
socialista
,
come
Claudio
Treves
.
Il
Ciarlantini
,
meno
reciso
,
si
limita
,
presentando
al
pubblico
lo
studio
del
Rignano
,
ad
avvertire
ch
'
esso
serve
ottimamente
«
per
intendere
lo
stato
d
'
animo
di
tutta
una
vasta
categoria
di
persone
che
pur
senza
aderire
al
fascismo
nelle
sue
manifestazioni
più
vivaci
e
intransigenti
,
ne
valutano
con
serietà
la
importanza
storica
e
desidererebbero
vederlo
volgersi
verso
nuovi
indirizzi
che
non
possono
essere
a
priori
respinti
da
nessun
spirito
illuminato
»
.
Poiché
il
Rignano
dichiara
che
la
sua
massima
aspirazione
è
quella
di
«
contribuire
,
sia
pure
in
minima
parte
,
ad
attutire
l
'
asprezza
delle
contese
dei
partiti
e
ad
avviare
il
paese
verso
una
maggiore
pacificazione
degli
animi
»
,
e
poiché
realmente
è
questo
,
oggi
,
per
il
nostro
paese
il
massimo
dei
suoi
bisogni
,
è
ovvio
che
una
simile
aspirazione
sia
accompagnata
dai
migliori
e
più
fervidi
auguri
,
con
la
avvertenza
per
altro
,
che
l
'
invocata
pacificazione
non
si
risolva
in
un
vano
baiser
de
Lamourette
,
ma
sbocchi
davvero
in
un
consenso
libero
e
convinto
di
volontà
consapevoli
e
spontanee
.
L
'
augurio
è
lecito
e
doveroso
anche
se
,
pel
momento
almeno
,
esso
sembri
assai
lontano
,
da
qualsiasi
probabilità
di
successo
.
Da
una
parte
infatti
ecco
l
'
on
.
Treves
che
,
nella
Critica
sociale
,
fa
una
carica
a
fondo
contro
le
opinioni
,
assai
più
fasciste
che
democratiche
,
del
nostro
autore
scrivendo
:
«
Il
fatto
è
e
siamo
certi
di
colpire
di
stupore
e
di
incredulità
l
'
Autore
col
rivelarglielo
che
il
suo
discorso
è
fascista
;
fascista
per
l
'
interpretazione
che
esso
dà
ai
fenomeni
;
fascista
per
l
'
estimazione
con
cui
accoglie
i
risultati
della
rivoluzione
fascista
.
La
sua
«
democrazia
»
si
svia
,
evapora
nelle
buone
intenzioni
liberali
.
Ma
se
egli
non
ha
riserve
a
fare
sui
«
miracoli
»
compiuti
dal
fascismo
al
potere
,
se
non
ha
il
sospetto
del
sofisma
post
hoc
ergo
propter
hoc
onde
attribuisce
l
'
ordine
,
la
cessazione
degli
scioperi
,
la
riduzione
delle
spese
e
del
deficit
dello
Stato
esclusivamente
all
'
azione
fascista
e
non
a
certe
cause
naturali
(
crisi
economica
,
disoccupazione
,
vietata
emigrazione
,
cessazione
delle
spese
di
guerra
,
allontanamento
dei
furori
bellici
,
ecc
.
)
,
se
egli
crede
al
«
rinsaldarsi
della
compagine
nazionale
»
dove
altri
,
come
i
socialisti
unitari
,
per
i
quali
il
Rignano
ha
simpatie
,
dicono
nel
loro
Manifesto
elettorale
:
una
gente
sta
sull
'
altra
colle
ginocchia
sul
petto
!
e
ne
dà
merito
all
'
azione
fascistica
;
egli
è
fuori
di
ogni
coerenza
quando
,
in
nome
della
democrazia
,
reclama
allargamenti
liberali
e
restaurazioni
parlamentari
.
Ma
viva
,
viva
il
potere
personale
capace
di
così
mirifiche
cose
!
La
democrazia
non
è
un
fine
,
è
un
mezzo
.
Quando
il
suo
contrario
si
dimostra
con
mezzi
di
tanto
più
efficaci
,
viva
il
suo
contrario
!
Che
vale
il
Rignano
conchiuda
invocando
con
Stuart
Mill
uno
stato
che
non
rimpicciolisca
i
suoi
uomini
?
Questa
proposizione
si
allaccia
all
'
idea
del
concorso
,
della
gara
libera
di
tutte
le
capacità
.
Ma
se
l
'
evento
avesse
dimostrato
,
con
l
'
autorità
del
fatto
compiuto
,
che
tale
gara
è
neutralizzatrice
di
capacità
anzi
che
eccitatrice
di
grandezze
,
che
un
uomo
solo
,
onnipotente
può
fare
,
anzi
ha
fatto
,
meglio
di
tutto
ciò
che
si
sarebbe
potuto
aspettare
dal
concorso
,
dalla
gara
,
dal
Parlamento
,
e
persino
dall
'
azione
della
natura
,
ecc
.
,
la
causa
sarebbe
vinta
per
l
'
antidemocrazia
.
In
verità
,
coi
fatti
che
il
Rignano
accetta
,
non
ci
crederemmo
autorizzati
come
fa
l
'
Autore
ad
appellarci
a
Stuart
Mill
,
ma
a
Tommaso
Hobbes
e
,
magari
,
a
Giuseppe
De
Maistre
.
Dall
'
altro
lato
ecco
l
'
on
.
Ciarlantini
,
se
non
proprio
accusare
un
fin
de
non
recevoir
,
esprimersi
in
modo
non
troppo
confortante
alla
predicazione
democratica
che
il
Rignano
,
nuovo
Daniele
nella
fossa
dei
leoni
,
fa
ai
fascisti
,
osservandogli
con
un
sorriso
lievemente
ironico
che
è
«
esagerata
la
sua
preoccupazione
intorno
alla
limitazione
della
libertà
di
cui
si
renderebbe
colpevole
il
governo
fascista
»
e
ribadendo
il
chiodo
del
governo
«
pedagogia
per
adulti
»
,
aliena
per
necessità
del
momento
dalle
«
forme
della
tradizionale
blandizia
»
e
improntata
ad
«
energie
e
fermezza
»
.
Per
Ciarlantini
«
il
governo
di
un
paese
è
,
in
grande
,
come
il
governo
di
una
scuola
e
di
una
famiglia
»
;
ma
di
una
scuola
si
tratterebbe
di
sapere
in
cui
è
riabilitata
la
malfamata
ferula
del
pedagogo
,
e
di
una
famiglia
in
cui
la
patria
potestà
risuscita
i
poteri
discrezionali
delle
XII
Tavole
?
Non
possiamo
seguire
particolareggiatamente
il
Rignano
nella
sua
trattazione
;
accenneremo
soltanto
.
Dopo
avere
definito
la
caratteristica
del
fenomeno
democratico
«
nella
tendenza
di
un
numero
sempre
maggiore
di
componenti
la
società
ad
accedere
alla
società
stessa
,
anziché
per
imposizione
esterna
,
per
libero
assenso
e
consenso
»
,
dopo
avere
rapidamente
passato
in
rassegna
i
vantaggi
della
democrazia
,
le
accuse
spesso
infondate
che
le
si
muovono
e
i
pericoli
che
realmente
possono
insidiarla
demagogismo
,
parlamentarismo
,
eccessivo
frazionamento
dei
partiti
,
e
concluso
che
il
massimo
pericolo
è
quello
«
che
una
data
classe
,
forte
per
numero
di
aderenti
,
per
organizzazione
e
coscienza
collettiva
,
per
la
sua
grande
importanza
sull
'
economia
nazionale
,
perda
,
in
seguito
ad
errate
dottrine
divulgate
e
accettate
,
sia
pure
in
buona
fede
nel
proprio
seno
,
il
senso
di
solidarietà
sociale
che
la
lega
a
tutte
le
società
restanti
,
ed
elevando
i
propri
antagonismi
di
classe
al
di
sopra
dell
'
interesse
generale
,
che
è
pur
supremo
interesse
suo
proprio
,
minacci
il
dissolvimento
sociale
»
;
il
Rignano
identifica
questo
pericolo
non
col
socialismo
in
genere
,
ma
con
quella
sua
forma
particolare
e
antisociale
che
è
il
marxismo
.
Al
marxismo
si
devono
quei
due
caratteristici
fenomeni
che
crearono
,
con
la
guerra
,
il
bolscevismo
;
la
mentalità
disfattista
e
la
utopia
della
dittatura
del
proletariato
.
Entrambi
questi
fenomeni
minacciano
alla
base
la
vita
nazionale
e
internazionale
dei
diversi
paesi
d
'
Europa
;
da
ciò
un
correre
precipitoso
ai
ripari
con
un
ritorno
verso
la
direzione
coercitiva
autocratica
ed
antidemocratica
,
ritorno
che
in
Italia
si
concretava
appunto
nel
fascismo
.
La
causa
della
democrazia
fu
coinvolta
nella
débacle
del
marxismo
perché
«
socialismo
e
democrazia
hanno
scontato
insieme
la
colpa
,
ad
un
tempo
economica
,
morale
e
politica
,
di
non
avere
sconfessato
in
tempo
e
di
non
avere
mai
combattuto
con
la
dovuta
energia
le
dottrine
marxiste
antisociali
»
.
Nell
'
esame
dello
svolgersi
delle
vicende
politiche
dell
'
immediato
dopo
guerra
il
Rignano
accoglie
,
per
così
dire
,
la
versione
fascista
,
la
versione
cioè
che
attribuisce
al
fascismo
il
merito
principale
e
quasi
esclusivo
di
avere
organizzato
e
debellato
il
pericolo
bolscevico
in
Italia
.
E
qui
ci
sembra
che
la
interpretazione
dei
fatti
non
risponda
pienamente
all
'
esattezza
.
Certo
il
fascismo
è
stato
,
fin
dal
suo
sorgere
,
antesignano
della
lotta
antibolscevica
;
ma
è
pure
debito
di
giustizia
il
riconoscere
che
il
bolscevismo
aveva
già
da
tempo
,
iniziata
la
sua
curva
discendente
quando
ancora
il
fascismo
era
,
politicamente
,
una
quantité
negligeable
.
Nelle
elezioni
del
1919
,
quando
la
minaccia
era
più
urgente
e
grave
,
la
barriera
vera
e
reale
opposta
al
dilagare
delle
onde
sovversive
fu
rappresentata
da
quel
partito
popolare
che
mandava
alla
Camera
cento
deputati
e
la
cui
valutazione
,
da
parte
del
Rignano
,
è
improntata
al
solito
clichet
,
altrettanto
banale
quanto
ingiusto
,
limitandosi
a
rimproverargli
le
«
eccessive
esigenze
»
cagione
di
continue
crisi
ministeriali
e
disconoscendo
o
ignorando
il
vigore
col
quale
aveva
disimpegnato
la
sua
funzione
di
baluardo
di
conservazione
sociale
,
quando
appunto
nelle
file
dei
molteplici
gruppi
e
partiti
liberali
era
penetrato
il
più
profondo
scoraggiamento
consigliero
delle
più
ampie
rinuncie
e
delle
fughe
più
precipitose
.
Questa
benemerenza
del
P
.
P
.
di
fronte
al
paese
,
che
è
stata
riconosciuta
da
uomini
equilibrati
e
non
sospetti
come
gli
onorevoli
Bonomi
e
De
Nicola
,
non
avrebbe
dovuto
essere
taciuta
dal
Rignano
.
Il
quale
anche
non
poteva
ignorare
che
un
processo
di
revisione
e
di
reazione
alla
ubbriacatura
bolscevica
si
era
andato
determinando
nell
'
interno
stesso
del
partito
socialista
,
con
un
ritmo
forse
troppo
lento
(
in
confronto
delle
necessità
dei
tempi
eccessivamente
rapide
e
urgenti
)
ma
continuo
e
sicuro
;
e
se
nel
congresso
di
Bologna
dove
pure
l
'
onorevole
Turati
pronunciava
quel
suo
discorso
che
fu
un
ammirevole
atto
di
coraggio
prevalse
l
'
infatuazione
bombaccesca
,
a
quello
di
Livorno
si
effettuava
la
scissione
tra
socialisti
e
comunisti
,
e
a
quello
successivo
di
Milano
l
'
ulteriore
scissione
tra
massimalisti
e
unitari
.
Altrettanti
fenomeni
politici
che
dimostravano
non
soltanto
il
decrescere
dell
'
infezione
bolscevica
,
ma
la
scomparsa
d
'
ogni
serio
pericolo
.
Rinsavite
in
gran
parte
le
masse
socialiste
,
salde
nella
loro
costituzione
di
partito
essenzialmente
d
'
ordine
le
masse
del
nuovo
partito
popolare
,
animate
da
quei
principii
religiosi
che
il
Rignano
-
infatuato
nel
suo
positivismo
biosociologico
e
afflitto
da
insanabile
odium
antiteologicum
ha
il
torto
di
svalutare
anche
sotto
l
'
aspetto
,
pure
innegabile
,
di
grande
forza
morale
e
di
energia
plasmatrice
del
benessere
sociale
,
vera
«
armonia
di
tutta
la
vita
»
assai
più
solida
di
quella
,
frutto
dell
'
evoluzione
biologica
in
cui
si
assomma
tutta
la
fede
del
nostro
positivista
;
la
situazione
politica
del
nostro
paese
avrebbe
potuto
avviarsi
ad
uno
stabile
e
pacifico
assetto
,
ad
un
equilibrio
armonioso
delle
varie
tendenze
e
dei
diversi
elementi
in
lotta
pacifica
e
civile
,
solo
che
il
partito
liberale
non
avesse
tradito
la
propria
funzione
e
rinnegato
le
proprie
tradizioni
.
Ma
come
prima
,
gettate
le
armi
e
lo
scudo
,
s
'
era
dato
a
fuggire
,
pronto
alle
più
vergognose
dedizioni
,
così
,
appena
scomparso
e
non
per
merito
suo
il
pericolo
,
il
liberalismo
italiano
non
seppe
resistere
all
'
acre
voluttà
di
prendersi
larga
vendetta
della
paura
sofferta
e
si
buttò
sulle
tracce
del
fascismo
come
quello
che
gli
parve
più
idoneo
strumento
di
una
tale
vendetta
.
Ingenuo
calcolo
di
chi
troppo
facilmente
dimenticava
la
saggezza
di
certe
nostre
vecchie
favolette
.
Il
fascismo
lungi
dal
piegarsi
a
fare
da
«
bravo
»
alla
borghesia
liberale
,
consapevole
ormai
della
sua
forza
di
fronte
alla
debolezza
altrui
,
ne
approfittava
tosto
per
dichiarare
la
bancarotta
del
liberalismo
,
per
impadronirsi
del
governo
,
e
per
identificarsi
addirittura
con
lo
Stato
,
se
pure
non
addirittura
con
la
Nazione
,
come
pure
pretenderebbero
alcuni
,
e
non
pochi
,
dei
suoi
.
Questo
ci
pare
,
grosso
modo
,
un
curriculum
degli
avvenimenti
più
rispondente
alla
realtà
di
quello
accolto
e
fatto
proprio
dal
Rignano
nella
sua
esposizione
.
Ma
forse
l
'
autore
ha
creduto
con
ciò
di
propiziarsi
meglio
l
'
uditorio
al
quale
voleva
porgere
consiglio
che
prevedeva
alquanto
ostico
.
Non
si
può
negare
infatti
che
nel
capitolo
ultimo
del
suo
libro
«
l
'
antidemocraticismo
fascista
»
l
'
autore
parli
abbastanza
chiaramente
e
con
una
commossa
eloquenza
per
un
ritorno
del
fascismo
ai
calpestati
principii
della
democrazia
,
in
favore
della
libertà
di
stampa
e
di
associazione
,
per
un
regime
costituzionale
e
contro
la
dittatura
,
per
l
'
abolizione
di
milizie
organizzate
non
a
servizio
di
tutta
la
nazione
,
ma
di
un
determinato
partito
,
per
una
vera
e
reale
normalizzazione
insomma
,
della
nostra
vita
politica
.
«
Se
è
vero
conclude
l
'
autore
che
due
sono
oggi
le
correnti
che
si
dibattono
in
seno
al
fascismo
,
l
'
una
rappresentata
dal
capo
del
governo
e
dai
migliori
uomini
del
partito
che
comprendono
la
necessità
di
questo
auspicato
ritorno
graduale
a
condizioni
completamente
normali
,
e
l
'
altra
più
intransigente
che
vorrebbe
perseverare
magari
con
ancor
maggiore
risolutezza
sulla
china
autoritaria
assolutistica
,
carità
di
patria
deve
spingere
a
fare
i
più
fervidi
voti
che
prevalga
la
prima
corrente
sulla
seconda
»
.
Abbiamo
già
espresso
,
a
proposito
di
questi
voti
,
quale
deve
e
non
può
non
essere
il
pensiero
di
quanti
pongono
la
patria
al
di
sopra
della
fazione
.
In
spe
contra
spem
.
È
una
speranza
che
non
deve
mai
lasciarci
anche
se
la
vicenda
del
tempo
e
dei
fatti
sembra
svolgersi
non
troppo
propizia
ad
una
sollecita
realizzazione
dei
nostri
voti
.