StampaQuotidiana ,
Una
quarantina
d
'
anni
fa
,
in
un
suo
dotto
e
bizzarro
libro
che
non
credo
abbia
destato
molte
discussioni
:
La
scepsi
estetica
,
il
filosofo
Giuseppe
Rensi
si
sforzava
di
dimostrare
che
il
giudizio
estetico
è
sempre
soggettivo
e
non
può
aspirare
all
'
assolutezza
.
Secondo
il
Rensi
,
di
uno
che
avesse
preferito
,
supponiamo
,
Parzanese
a
Dante
,
Franz
Lehár
a
Beethoven
in
nessun
modo
poteva
dirsi
che
fosse
nel
falso
.
Nel
mondo
dell
'
estetica
non
c
'
era
verità
e
errore
,
ma
solo
il
gusto
individuale
,
sempre
vero
e
inconfutabile
.
La
tesi
non
fu
presa
molto
sul
serio
.
Teneva
allora
il
campo
la
filosofia
idealistica
,
per
la
quale
l
'
individuo
era
qualcosa
come
un
felice
inganno
,
una
illusione
;
e
ben
pochi
si
arrischiavano
a
mettere
in
dubbio
l
'
assolutezza
del
giudizio
estetico
.
Anche
in
questo
settore
o
spicchio
della
vita
individuale
l
'
individuo
era
battuto
a
favore
del
super
-
individuo
:
lo
Spirito
Universale
.
Nemmeno
mezzo
secolo
è
passato
,
e
già
i
filosofi
sembrano
correre
altre
vie
.
Due
mesi
or
sono
,
a
Venezia
,
in
un
«
simposio
di
estetica
»
,
l
'
insigne
storico
della
filosofia
medievale
Étienne
Gilson
affermò
che
la
ragione
umana
non
riesce
neppure
a
sfiorare
l
'
intimo
processo
della
creazione
artistica
.
La
ragione
,
secondo
Gilson
,
coglie
l
'
opera
d
'
arte
quand
'
esca
è
fatta
,
quando
è
diventata
un
oggetto
,
non
può
coglierla
nel
suo
divenire
.
Il
linguaggio
dell
'
artista
e
il
linguaggio
del
critico
non
sono
omogenei
.
Se
lo
fossero
,
il
critico
dell
'
arte
pittorica
si
esprimerebbe
dipingendo
;
il
critico
dell
'
arte
musicale
si
esprimerebbe
scrivendo
altra
musica
;
il
che
non
avviene
.
L
'
arte
è
dunque
creazione
di
oggetti
che
prima
non
esistevano
,
non
è
linguaggio
o
almeno
non
è
linguaggio
razionale
:
mentre
la
critica
,
che
ha
per
suo
strumento
il
linguaggio
,
non
è
che
ricognizione
di
oggetti
già
fatti
.
Caduto
il
principio
dell
'
imitazione
del
vero
nelle
arti
che
furono
dette
figurali
o
plastiche
(
nessuno
dei
molti
intervenuti
sembrò
porre
in
dubbio
la
necessità
di
questa
caduta
)
,
ne
consegue
che
non
può
darsi
critica
razionale
dei
prodotti
di
queste
arti
.
L
'
arte
d
'
oggi
,
in
gran
parte
delle
sue
manifestazioni
,
non
è
dunque
giudicabile
in
alcun
modo
;
anzi
l
'
arte
non
fu
giudicabile
mai
,
perché
l
'
antica
critica
fondata
sul
principio
della
mimesi
,
dell
'
imitazione
,
non
compiva
che
l
'
inventario
di
una
più
o
meno
felice
adeguazione
al
vero
,
ma
restava
muta
dinanzi
all
'
ineffabilità
dell
'
arte
.
A
riprova
delle
sue
idee
il
Gilson
portava
il
fatto
che
nel
mondo
delle
arti
non
ha
validità
il
principio
di
contraddizione
.
La
scienza
evolve
,
una
tesi
dimostrata
vera
elimina
la
tesi
contraria
.
In
arte
,
di
due
tesi
opposte
non
avviene
che
una
elida
l
'
altra
.
Non
potrete
mai
dimostrare
che
una
canzonetta
di
Modugno
sia
inferiore
all
'
Odissea
;
potrete
dire
che
sono
due
cose
diverse
.
(
Naturalmente
,
non
mi
valgo
sempre
degli
stessi
termini
del
Gilson
:
che
non
cita
Modugno
e
definisce
la
figuratività
come
imagerie
;
ma
il
senso
non
varia
.
)
La
prima
e
vera
obiezione
che
potrebbe
farsi
è
che
esiste
un
'
arte
:
la
poesia
,
la
quale
si
serve
della
parola
e
possiede
dunque
uno
strumento
omogeneo
a
quello
della
critica
.
Ma
il
Gilson
ha
previsto
l
'
obiezione
e
ha
tentato
di
smontarla
.
In
realtà
,
a
suo
avviso
anche
la
critica
della
poesia
si
fonda
sull
'
apprezzamento
della
imagerie
,
cioè
sull
'
involucro
che
fa
di
una
poesia
un
oggetto
,
ma
non
coglie
il
moto
irrazionale
che
sceglie
la
parola
(
quella
parola
e
non
un
'
altra
)
come
materia
.
La
critica
letteraria
si
risolve
perciò
in
una
storia
di
contenuti
,
o
tutt
'
al
più
in
un
'
indicazione
di
«
luoghi
»
più
o
meno
suggestivi
.
Il
più
e
il
meglio
le
sfugge
:
anche
la
poesia
non
conosce
evoluzione
ed
evade
dal
tempo
.
E
a
questo
punto
è
opportuno
notare
quanto
il
Gilson
sia
vicino
,
almeno
qui
,
al
pensiero
del
Croce
,
che
potrebbe
sembrare
toto
coelo
diverso
.
Anche
per
l
'
idealismo
crociano
non
si
dà
storia
della
poesia
,
ma
storia
di
poeti
;
anzi
qualcuno
,
portando
quel
pensiero
alle
ultime
conseguenze
,
crede
che
si
dia
solo
storia
delle
singole
opere
di
poesia
,
essendo
il
poeta
stesso
,
come
unico
autore
di
opere
diverse
,
un
'
astrazione
.
Come
si
vede
,
filosofi
di
opposte
tendenze
possono
,
per
diverse
vie
,
proporre
la
medesima
distruzione
dell
'
individuo
.
Non
so
se
la
tesi
del
Gilson
abbia
destato
obiezioni
.
A
Venezia
tutti
sembravano
convinti
che
la
distruzione
dell
'
imagerie
nelle
arti
visive
e
della
tonalità
naturale
(
ammesso
che
essa
esista
)
nella
musica
sia
ormai
conquista
della
quale
non
può
farsi
a
meno
.
L
'
unica
risposta
da
me
letta
porta
la
firma
di
uno
storico
dell
'
arte
medievale
,
Sergio
Bettini
,
ed
è
apparsa
sulla
rivista
della
Biennale
veneziana
(
«
La
Biennale
»
,
gennaio
-
marzo
1958
)
.
Il
Bettini
non
contraddice
del
tutto
il
Gilson
,
ma
propone
alcune
rettifiche
o
vie
d
'
uscita
.
Pensiamo
,
egli
dice
,
all
'
architettura
,
che
Aristotile
,
e
non
lui
solo
,
escludeva
dal
novero
delle
arti
appunto
perché
essa
non
si
propone
l
'
imitazione
del
vero
.
Oggi
tutte
le
opere
d
'
arte
dovranno
essere
«
lette
»
come
opere
architettoniche
,
prescindendo
definitivamente
dall
'
imagerie
che
può
formarne
il
pretesto
.
Se
è
arte
l
'
architettura
(
e
nessuno
osa
più
negarlo
)
,
se
noi
possiamo
leggerne
le
opere
anche
senza
tener
conto
della
loro
destinazione
pratica
,
così
potremo
leggere
come
opere
architettoniche
anche
le
più
strane
pitture
tachistes
o
informali
:
o
anche
,
aggiungiamo
noi
,
le
più
strazianti
musiche
elettroniche
.
Ma
è
una
lettura
,
riconosce
il
Bettini
,
estremamente
difficile
,
alla
quale
noi
non
siamo
ancora
addestrati
.
A
suo
avviso
,
nell
'
arte
che
ha
rinunziato
alla
mimesi
,
solo
un
capello
divide
il
capolavoro
dall
'
aborto
.
Compito
del
critico
è
di
cogliere
questa
differenza
infinitesimale
e
di
indicarla
;
ma
con
quali
parole
?
Forse
solo
con
una
interiezione
,
un
mugolio
.
Sostanzialmente
il
Bettini
sembra
d
'
accordo
col
Gilson
nel
ritenere
che
dell
'
arte
moderna
(
e
forse
d
'
ogni
arte
)
non
può
farsi
utile
discorso
.
II
critico
d
'
oggi
non
può
essere
che
un
rabdomante
che
con
la
sua
bacchetta
tocca
qui
e
tocca
là
;
ma
non
ha
nessun
monopolio
del
vero
.
Si
può
pensare
diversamente
da
lui
senza
essere
imputati
di
falsità
.
E
qui
si
torna
alle
idee
del
troppo
dileggiato
(
allora
)
Giuseppe
Rensi
.
Un
tempo
il
corso
e
ricorso
delle
stesse
idee
avveniva
lentamente
,
nel
giro
di
secoli
.
Oggi
s
'
è
fatto
rapidissimo
.
Torniamo
un
passo
addietro
.
Non
dovete
credere
che
questo
universale
relativismo
porti
l
'
accademico
di
Francia
Étienne
Gilson
a
un
pessimismo
assoluto
.
Se
la
ragione
umana
ha
dei
limiti
,
l
'
uomo
deve
lavorare
e
agire
con
gli
strumenti
di
cui
dispone
.
E
il
Gilson
,
trasferendosi
inopinatamente
sul
piano
dell
'
empiria
,
pensa
che
studiando
le
correnti
e
le
modificazioni
del
gusto
individuale
si
possa
disporre
le
opere
d
'
arte
nel
tempo
e
si
possa
classificarle
secondo
criteri
di
probabile
validità
estetica
.
È
vero
:
su
un
piano
strettamente
teorico
sarà
sempre
impossibile
confutare
chi
preferisca
le
sculture
di
fil
di
ferro
esposte
a
Venezia
alle
opere
di
Michelangelo
:
chi
anteponga
alla
Gioconda
un
paio
(
stracciato
)
di
calze
di
nylon
debitamente
esposte
in
cornice
.
Ma
esiste
pure
,
di
epoca
in
epoca
,
un
consenso
delle
maggioranze
,
un
certo
numero
di
indicazioni
collettive
che
non
possiamo
trascurare
.
Si
trasformi
dunque
l
'
indagine
estetica
in
uno
studio
statistico
dei
gusti
e
delle
«
mode
»
:
si
fondino
a
tale
intento
istituti
di
ricerca
ad
hoc
;
e
forse
si
potrà
individuare
qualche
norma
utile
agli
artisti
e
ai
profani
«
consumatori
»
d
'
arte
.
Ma
potranno
simili
norme
sfuggire
alle
accuse
di
soggettività
che
si
muovono
al
giudizio
dei
singoli
?
In
verità
,
questa
parte
del
discorso
del
Gilson
,
del
resto
appena
abbozzata
,
ci
sembra
singolarmente
campata
nelle
nuvole
.
Oggi
la
pietra
d
'
inciampo
delle
speculazioni
estetiche
non
è
più
data
dall
'
architettura
,
ma
dalla
poesia
,
dall
'
arte
della
parola
.
La
poesia
,
che
per
metà
è
discorso
e
per
metà
è
altra
cosa
,
è
orinai
un
'
intrusa
in
considerazioni
di
questo
genere
.
Lo
è
,
d
'
altronde
,
sempre
stata
:
fin
da
quando
si
è
parlato
della
poesia
e
«
delle
arti
»
,
unificando
e
insieme
distinguendo
.
Non
è
mai
avvenuto
,
nemmeno
nelle
punte
estreme
del
surrealismo
,
che
un
poeta
,
uno
scrittore
,
rinunciasse
del
tutto
alla
raffigurazione
,
all
'
imagerie
.
Ammettiamo
pure
che
le
manifestazioni
non
figurali
delle
arti
visive
abbiano
avuto
il
merito
(
o
l
'
effetto
)
di
porre
in
crisi
l
'
arte
figurativa
,
l
'
abbiano
resa
più
che
mai
difficile
:
e
ammettiamo
altresì
che
da
almeno
cent
'
anni
,
per
la
suggestione
che
le
viene
dalle
altre
arti
,
la
poesia
stessa
si
sia
fatta
sempre
meno
mimetica
,
meno
rappresentativa
.
Resta
pur
sempre
la
speranza
che
l
'
arte
della
parola
,
arte
inguaribilmente
semantica
,
presto
o
tardi
faccia
sentire
il
suo
contraccolpo
anche
sulle
arti
che
pretendono
di
essersi
affrancate
da
ogni
obbligo
verso
l
'
identificazione
e
la
rappresentazione
del
vero
.