StampaQuotidiana ,
L
'
accusa
di
«
professionisti
»
o
-
peggio
-
di
«
mestieranti
»
della
politica
ricorre
spesso
sulla
bocca
degli
italiani
nei
confronti
dei
parlamentari
e
dei
dirigenti
di
partito
.
E
vi
ricorre
con
una
sfumatura
di
dispetto
e
di
disprezzo
.
Per
un
motivo
molto
semplice
:
che
del
professionalismo
la
gente
si
sofferma
a
considerare
solo
gli
aspetti
negativi
,
che
certamente
ci
sono
:
l
'
attaccamento
al
posto
,
il
carrierismo
,
l
'
opportunismo
eccetera
.
Ma
ce
ne
sono
anche
di
positivi
,
che
non
vanno
o
che
non
dovrebbero
venire
trascurati
:
la
dedizione
assoluta
,
la
formazione
di
competenze
specifiche
,
e
via
dicendo
.
Vediamo
un
po
'
anzitutto
di
precisare
fino
a
che
punto
il
professionismo
sia
invalso
,
cioè
quanti
siano
i
parlamentari
che
vivono
soltanto
di
politica
.
Gli
studiosi
fiorentini
che
hanno
compilato
il
volume
«
Il
Parlamento
italiano
»
ci
forniscono
delle
cifre
-
credo
-
abbastanza
precise
.
Io
non
voglio
affollarne
la
testa
del
povero
lettore
,
e
salto
quindi
a
quella
conclusiva
:
oggi
come
oggi
,
circa
la
metà
dei
nostri
parlamentari
non
hanno
altra
attività
che
quella
politica
,
la
quale
così
viene
a
rappresentare
per
essi
,
oltre
che
una
vocazione
,
una
«
sistemazione
»
.
La
prima
conseguenza
,
certamente
deteriore
,
di
questo
fatto
è
l
'
accanimento
della
lotta
per
la
conquista
o
il
mantenimento
del
seggio
.
Per
molti
,
il
problema
è
drammatico
:
non
impegna
soltanto
le
ambizioni
,
ma
addirittura
il
pane
.
Sempre
dalla
stessa
documentazione
risulta
che
appena
un
15
per
cento
dei
nostri
deputati
e
senatori
ha
di
che
vivere
anche
senza
la
politica
.
La
voce
pubblica
riassume
questa
situazione
dicendo
sommariamente
che
«
sono
tutti
alla
greppia
»
.
Esistono
tuttavia
,
fra
partito
e
partito
,
delle
differenze
sostanziali
.
I
comunisti
sono
quelli
che
meno
risentono
il
dramma
del
seggio
,
per
due
motivi
.
Prima
di
tutto
perché
la
ferrea
disciplina
di
partito
cui
sono
sottoposti
fa
di
loro
non
dei
«
rappresentanti
»
,
ma
dei
«
comandanti
alla
rappresentanza
»
,
e
quindi
li
scoraggia
in
partenza
da
ogni
pretesa
di
restarlo
.
Eppoi
perché
essi
sono
quasi
tutti
funzionari
di
partito
,
nel
cui
«
apparato
»
ritrovano
un
posto
,
quando
lo
perdono
in
Parlamento
.
Anche
i
democristiani
se
la
cavano
abbastanza
bene
perché
,
appartenendo
a
un
partito
che
ha
in
mano
tutte
le
leve
di
potere
,
dispongono
di
una
vasta
collezione
di
enti
pubblici
,
di
banche
,
di
compagnie
di
assicurazione
eccetera
,
in
cui
sistemarsi
se
vengono
esclusi
dalle
liste
o
trombati
alle
elezioni
.
Il
guaio
più
grosso
è
per
i
socialisti
che
,
essendo
rimasti
fin
qui
fuori
dal
governo
e
quindi
non
avendo
le
mani
in
nulla
,
e
non
disponendo
di
un
«
apparato
»
paragonabile
a
quello
comunista
in
cui
potersi
riaccusare
,
non
hanno
alternative
:
o
il
Parlamento
o
la
disoccupazione
.
Irriducibile
sensazione
Una
seconda
conseguenza
,
anch
'
essa
deteriore
,
è
l
'
estendersi
e
l
'
aggrovigliarsi
di
quella
equivoca
zona
di
«
sottogoverno
»
in
cui
tutti
i
partiti
cercano
dei
compensi
,
cioè
delle
«
sistemazioni
di
ricambio
»
.
Come
ho
detto
,
i
democristiani
sono
per
questo
in
una
posizione
di
privilegio
.
Ma
non
possono
aspirare
al
monopolio
.
E
questo
fa
sì
ch
'
essi
trovino
sempre
degli
alleati
,
quando
si
tratta
di
moltiplicare
i
«
carrozzoni
»
.
Intendiamoci
bene
:
con
ciò
non
voglio
dire
che
i
«
carrozzoni
»
si
moltiplicano
solo
per
questa
ragione
.
Ce
ne
sono
anche
altre
di
natura
ideologica
,
che
l
'
apertura
a
sinistra
ha
ora
accentuato
.
Ma
è
certo
che
il
professionalismo
politico
crea
nel
Parlamento
una
predisposizione
d
'
animo
favorevole
a
tutto
ciò
che
può
offrire
una
soluzione
di
ripiego
a
una
carriera
politica
abortita
o
spezzata
.
C
'
è
infine
una
terza
conseguenza
,
che
intacca
proprio
la
sostanza
delle
istituzioni
e
ne
altera
la
natura
.
La
dipendenza
degli
eletti
dal
rispettivo
partito
toglie
loro
sempre
di
più
il
carattere
di
«
rappresentanti
»
e
accentua
quello
di
«
funzionari
»
.
In
questo
consiste
la
«
partitocrazia
»
contro
cui
si
levano
tante
proteste
.
In
Italia
l
'
elettore
si
riconosce
sempre
meno
nel
suo
eletto
,
dal
quale
anzi
si
sente
perpetuamente
«
tradito
»
.
Se
gli
si
chiede
in
cosa
ravvisa
questo
tradimento
,
con
esattezza
non
sa
rispondere
.
Però
,
per
quanto
generica
,
questa
sensazione
in
lui
è
irriducibile
.
E
non
si
può
negare
che
abbia
qualche
fondamento
nella
realtà
dei
fatti
.
Lo
stesso
governo
per
esempio
,
quando
vuoi
venire
a
capo
di
uno
sciopero
,
non
si
rivolge
ai
rappresentanti
parlamentari
degli
scioperanti
perché
sa
benissimo
che
essi
non
li
rappresentano
affatto
.
Si
appella
alla
mediazione
degli
organizzatori
sindacali
,
cioè
tratta
direttamente
con
la
categoria
.
L
'
uomo
della
strada
non
afferra
molto
bene
i
perché
di
questa
situazione
,
ma
l
'
avverte
,
e
corre
alla
conclusione
più
facile
e
sommaria
:
la
colpa
-
dice
-
è
dei
partiti
che
non
fanno
,
come
dovrebbero
,
da
cinghia
di
collegamento
,
ma
da
diaframma
fra
eletti
ed
elettori
.
Essi
hanno
creato
-
dice
sempre
l
'
uomo
della
strada
-
una
specie
di
«
sovramondo
»
che
ha
confiscato
ogni
potere
di
decisione
e
che
non
si
sente
nemmeno
in
obbligo
di
rispondere
del
proprio
operato
agli
elettori
,
o
lo
fa
con
un
linguaggio
da
iniziati
,
che
praticamente
li
esclude
perfino
dalla
comprensione
dei
problemi
.
C
'
è
del
vero
.
Ma
,
prima
di
addossarne
la
colpa
ai
partiti
vediamo
un
po
'
come
tutto
questo
è
successo
.
Anzitutto
,
il
suffragio
universale
ha
reso
molto
più
arduo
il
compito
della
«
rappresentanza
»
.
Il
suffragio
ristretto
era
,
si
capisce
,
ingiusto
,
perché
concedeva
solo
a
una
minima
parte
della
popolazione
il
diritto
di
essere
rappresentata
,
e
creava
così
un
privilegio
.
Però
quella
parte
era
chiaramente
identificata
nei
suoi
interessi
e
nelle
sue
aspirazioni
.
Ci
voleva
poco
a
rappresentare
con
fedeltà
duemila
elettori
che
volevano
,
poniamo
,
una
scuola
o
una
ferrovia
.
Bastava
battersi
per
quella
scuola
e
per
quella
ferrovia
.
Oggi
un
povero
parlamentare
deve
rappresentare
,
se
è
deputato
,
dai
30
mila
ai
50
mila
elettori
;
e
se
è
senatore
,
il
doppio
.
Trovare
fra
loro
,
sparpagliati
come
sono
in
località
,
categorie
e
ceti
diversi
,
un
minimo
comun
denominatore
,
è
molto
più
difficile
.
Il
solo
rimedio
I
partiti
hanno
cercato
di
neutralizzare
questo
effetto
controproducente
del
suffragio
universale
,
ricreandone
uno
ristretto
nel
loro
ambito
.
Il
«
diaframma
»
è
qui
.
La
composizione
della
«
lista
»
dei
candidati
da
presentare
agli
elettori
è
infatti
una
pre
-
elezione
bell
'
e
buona
,
operata
autoritariamente
dalla
piccola
minoranza
dei
«
militanti
»
,
e
per
essi
nella
realtà
delle
cose
,
dalle
direzioni
dei
vari
partiti
.
Quella
che
viene
dagli
elettori
,
poi
,
non
è
che
una
conferma
della
scelta
già
fatta
o
,
al
massimo
,
una
scelta
nella
scelta
con
l
'
arma
-
piuttosto
spuntata
e
inefficace
-
delle
preferenze
.
Ecco
perché
si
sentono
«
traditi
»
.
Ma
non
c
'
era
altro
rimedio
,
e
quindi
non
si
può
considerarlo
una
«
colpa
»
.
La
colpa
,
caso
mai
,
va
ricercata
nel
modo
in
cui
è
stato
applicato
.
I
partiti
non
si
sono
resi
conto
di
una
cosa
,
su
cui
gli
studiosi
di
tutto
il
mondo
ormai
hanno
fornito
unanime
testimonianza
:
e
cioè
che
l
'
elettore
medio
,
a
qualunque
ceto
appartenga
,
ha
scarsi
interessi
politici
,
e
raramente
si
lascia
guidare
nella
scelta
da
operazioni
intellettuali
.
Non
solo
le
grandi
ideologie
come
il
liberalismo
o
il
socialismo
sono
per
lui
nebulose
astrazioni
.
Ma
anche
certi
problemi
concreti
,
come
la
difesa
delle
Costituzione
,
l
'
economia
di
mercato
,
la
pianificazione
,
l
'
indipendenza
della
magistratura
eccetera
,
lo
toccano
poco
.
E
più
sensibile
caso
mai
,
a
degli
«
slogans
»
massicci
tipo
«
via
i
capitalisti
»
,
«
la
terra
ai
contadini
»
,
«
meno
tasse
»
,
«
abbasso
i
forchettoni
»
eccetera
,
sebbene
sia
dimostrato
che
anche
questa
propaganda
ormai
intacca
poco
le
scelte
già
fatte
.
Ma
già
fatte
su
che
?
Ecco
il
punto
su
cui
è
nata
la
confusione
.
Gli
americani
e
gl
'
inglesi
questa
confusione
l
'
hanno
evitata
col
sistema
bipartitico
che
offre
due
sole
alternative
estremamente
chiare
:
conservazione
o
progresso
,
oppure
progresso
a
ritmo
più
lento
o
progresso
a
ritmo
più
affrettato
.
Il
lettore
non
concluda
subito
che
così
bisognava
fare
anche
in
Italia
.
Non
si
poteva
.
Perché
per
farlo
occorre
una
società
stabilizzata
e
priva
di
forze
centrifughe
.
Da
questo
lato
,
il
nostro
panorama
politico
è
semplicemente
pauroso
.
Se
tiriamo
le
somme
all
'
ingrosso
deducendole
dall
'
atteggiamento
dei
vari
partiti
,
ci
accorgiamo
che
mezza
Italia
rinnega
il
sistema
politico
che
si
è
dato
,
e
che
resiste
solo
perché
questo
rifiuto
viene
da
due
parti
opposte
-
l
'
estrema
destra
e
l
'
estrema
sinistra
-
che
alla
meglio
si
neutralizzano
.
In
queste
condizioni
,
che
bipartitismo
si
poteva
fare
?
Esso
presuppone
una
società
che
accetta
interamente
il
sistema
e
solo
si
diversifica
sui
tempi
della
conservazione
e
del
progresso
.
Grosso
guazzabuglio
Quello
a
cui
però
si
poteva
e
si
doveva
mirare
anche
in
un
sistema
pluripartitico
come
il
nostro
era
la
«
identificabilità
»
delle
rispettive
posizioni
politiche
.
Nei
Paesi
scandinavi
i
partiti
sono
quattro
.
E
,
sebbene
tutti
accettino
il
sistema
e
quindi
non
si
differenzino
tra
loro
che
per
lievi
diversità
,
si
caratterizzano
con
lineamenti
precisi
all
'
occhio
dell
'
elettore
.
In
Italia
,
su
otto
partiti
,
ci
sono
quattro
«
destre
»
(
quella
missina
,
quella
monarchica
,
quella
liberale
e
quella
democristiana
)
,
cinque
«
sinistre
»
(
comunista
,
socialista
,
socialdemocratica
,
repubblicana
e
democristiana
)
e
due
«
centri
»
(
quello
democristiano
e
quello
liberale
)
.
Non
basta
il
cervello
di
un
elettore
per
raccapezzarsi
in
un
simile
guazzabuglio
.
Ci
vuole
quello
di
uno
psichiatra
perché
siamo
nella
follia
pura
.
E
di
qui
che
nasce
il
puntiglioso
dogmatismo
ideologico
dei
nostri
partiti
,
che
in
esso
cercano
un
rimedio
alla
loro
mancanza
di
una
vera
e
chiara
fisionomia
.
Come
fanno
quattro
«
destre
»
,
cinque
«
sinistre
»
e
due
«
centri
»
a
distinguersi
fra
loro
,
se
non
sottolineando
fino
alla
caricatura
gli
elementi
che
li
dividono
?
Di
qui
,
la
corsa
agli
estremi
,
la
tendenza
al
radicalismo
e
la
perpetua
vocazione
alle
scissioni
.
Di
qui
la
lotta
di
fazione
portata
al
parossismo
,
tutta
dibattuta
su
schemi
astratti
,
su
sottigliezze
di
dottrina
,
che
richiedono
perfino
un
linguaggio
esoterico
,
fuori
gittata
dell
'
intelligenza
comune
.
E
di
qui
la
sensazione
,
sempre
più
diffusa
tra
il
pubblico
,
d
'
essere
«
tradito
»
dai
propri
rappresentanti
.
Regola
invertita
Anche
noi
giornalisti
ne
siamo
trascinati
.
I
resocontisti
e
commentatori
di
politica
interna
,
sulla
nostra
stampa
,
formano
ormai
una
famiglia
speciale
,
che
ha
finito
per
adottare
lo
stesso
linguaggio
dei
partiti
,
cioè
ha
perso
ogni
contatto
col
pubblico
.
Il
collega
Forcella
riconobbe
tempo
fa
che
di
lettori
di
articoli
politici
in
Italia
ce
ne
saranno
2500
,
sì
e
no
.
Magari
saranno
anche
25
mila
.
Restano
comunque
una
sparuta
minoranza
di
iniziati
a
,
qualcosa
che
sempre
più
somiglia
a
un
«
mistero
»
.
E
anche
questo
naturalmente
contribuisce
a
diminuire
il
carattere
«
rappresentativo
»
e
ad
accentuare
quello
partitocratrico
e
funzionaresco
del
Parlamento
.
L
'
indagine
statistica
degli
studiosi
fiorentini
ce
ne
fornisce
la
riprova
,
in
cifre
.
Alla
Costituente
del
1946
solo
,
l
'
un
per
cento
dei
partecipanti
venivano
dagli
«
apparati
»
dei
partiti
.
Oggi
sono
1'87
.
La
carriera
politica
diventa
sempre
più
esclusiva
e
chiusa
ad
apporti
esterni
.
Il
motivo
ce
lo
forniscono
altre
cifre
raccolte
dagli
studiosi
fiorentini
,
particolarmente
illuminanti
.
Dalle
loro
indagini
risulta
che
quasi
il
50
per
cento
dei
nostri
parlamentari
sono
figli
di
padri
che
hanno
,
come
titolo
d
'
istruzione
,
la
licenza
elementare
o
quella
di
scuola
media
inferiore
.
Nulla
di
scandaloso
,
in
sé
e
per
sé
.
Anzi
.
Ma
questo
ci
dice
cosa
è
diventata
oggi
la
carriera
politica
:
non
più
il
premio
e
il
coronamento
del
successo
conquistato
in
altri
campi
,
come
avveniva
una
volta
col
suffragio
ristretto
e
il
collegio
uninominale
,
quando
il
seggio
andava
al
«
notabile
»
locale
;
ma
la
scorciatoia
per
raggiungere
d
'
un
balzo
,
nello
spazio
di
una
sola
generazione
,
la
élite
dirigente
.
Prima
ci
si
doveva
inserire
,
economicamente
e
professionalmente
,
in
un
certo
ceto
almeno
medio
-
superiore
,
per
diventare
deputato
.
Oggi
si
diventa
deputato
appunto
per
inserirsi
in
questo
ceto
.
La
Camera
non
è
più
la
meta
,
ma
lo
strumento
di
una
«
promozione
»
sociale
.
Non
dico
,
badate
bene
,
che
sia
un
male
.
Dico
soltanto
che
la
regola
è
stata
invertita
e
che
questo
sovvertimento
contribuisce
la
sua
parte
al
professionalismo
e
ai
suoi
caratteri
,
quasi
corporativi
,
di
geloso
monopolio
.
Ma
la
verità
è
che
l
'
attività
politica
,
in
Italia
,
si
svolge
dentro
un
quadro
che
non
è
più
il
suo
,
perché
era
stato
predisposto
per
un
tipo
di
Stato
che
non
ha
più
nulla
a
che
fare
con
quello
in
cui
viviamo
.