StampaQuotidiana ,
La
cosa
più
straordinaria
che
potesse
capitare
e
che
difatti
capitò
a
Dino
Buzzati
fu
di
fare
l
'
inviato
speciale
di
un
grande
giornale
in
tempo
di
guerra
.
Ci
riuscì
splendidamente
,
intendiamoci
.
Le
sue
corrispondenze
marinare
sono
ancora
oggi
dei
pezzi
di
antologia
,
e
ognuna
di
esse
costituisce
un
racconto
perfettamente
composto
nella
sua
armoniosa
architettura
.
Di
sbagliato
,
o
meglio
di
inutile
,
non
c
'
è
che
la
prima
riga
:
quella
che
precisa
il
luogo
,
il
giorno
,
il
mese
e
l
'
anno
in
cui
l
'
articolo
fu
scritto
.
Ma
era
il
giornale
ad
aggiungerla
,
perché
Buzzati
se
ne
dimenticava
sempre
.
In
realtà
le
sue
descrizioni
,
salvo
qualche
trascurabile
particolare
tecnico
,
erano
così
al
di
fuori
del
tempo
e
dello
spazio
,
che
avrebbero
potuto
benissimo
adattarsi
anche
a
Lepanto
,
a
Trafalgar
,
a
Tsushima
o
alle
Falkland
.
Qualcuno
in
redazione
si
preoccupava
di
interpolarvi
gl
'
indispensabili
riferimenti
,
e
anche
i
punti
e
le
virgole
.
Perché
Buzzati
scrive
senza
punteggiatura
,
e
non
ha
mai
capito
dov
'
è
che
finisce
una
frase
e
ne
comincia
un
'
altra
,
dov
'
è
che
bisogna
far
pausa
e
aprire
una
proposizione
subordinata
.
Buzzati
sfugge
le
regole
ortografiche
per
la
stessa
ragione
per
cui
sfugge
i
fatti
.
Quando
ha
finito
,
con
molta
fatica
,
il
suo
«
pezzo
»
,
vi
sparge
sopra
,
come
una
manciata
di
sale
,
un
congruo
numero
di
virgole
,
dove
vanno
vanno
.
Poi
rilegge
,
ha
paura
(
sempre
)
di
aver
scritto
soltanto
delle
sciocchezze
,
e
chiama
Gaetano
Afeltra
perché
gli
dia
un
giudizio
.
Il
più
magico
degli
scrittori
italiani
è
anche
il
più
incerto
di
sé
e
timoroso
.
Non
usa
la
macchina
da
scrivere
.
Compone
a
penna
con
una
calligrafia
da
bambino
,
chiarissima
,
e
spesso
ricopia
tre
o
quattro
volte
il
compitino
,
che
di
lontano
ricorda
sempre
un
po
'
la
lettera
che
si
usava
ai
«
cari
genitori
»
per
Natale
e
capodanno
.
Qua
e
là
poi
,
ogni
tanto
,
è
capace
di
disegnarvi
delle
figurine
,
specie
di
animali
;
e
si
vede
benissimo
che
mentalmente
egli
dedica
i
suoi
scritti
a
della
gente
come
lui
:
cioè
a
dei
bambini
di
trenta
,
quaranta
o
cinquant
'
anni
.
Eccolo
che
arriva
al
giornale
con
la
sua
Topolino
di
antiquato
modello
.
Non
la
rinnova
perché
è
avaro
,
e
lo
confessa
.
E
va
piano
perché
è
pauroso
,
ed
anche
questo
lo
confessa
.
Però
guida
con
i
guanti
infilati
come
se
si
trattasse
di
attraversare
l
'
Europa
,
e
ogni
volta
che
scende
è
tutta
una
liturgia
di
saluti
come
se
fosse
reduce
da
un
fortunoso
viaggio
in
terre
lontane
.
Buzzati
augura
il
buon
giorno
e
si
toglie
il
cappello
al
portiere
,
al
garagista
,
al
fattorino
,
all
'
impiegato
,
alla
dattilografa
e
perfino
a
tutti
i
colleghi
che
incontra
per
le
scale
.
Non
dà
del
«
lei
»
anche
a
me
,
solo
perché
potrebbe
sembrare
una
posa
;
ma
è
chiaro
che
il
«
tu
»
gli
costa
un
certo
sforzo
.
È
vestito
con
suprema
eleganza
.
Tanta
,
che
nessuno
si
è
mai
accorto
che
Buzzati
è
un
uomo
elegante
.
Porta
i
capelli
,
su
cui
gli
anni
hanno
cominciato
a
seminare
qualche
filo
d
'
argento
,
tagliati
corti
,
giacche
senza
attillatura
e
con
spalle
a
bottiglia
;
cravatte
di
colore
spento
,
annodate
in
modo
che
sembra
che
sia
stata
la
mamma
a
farlo
,
mormorandogli
all
'
orecchio
la
consueta
raccomandazione
:
«
E
non
sporcarti
,
eh
?
La
roba
a
lavarla
,
si
consuma
;
e
costa
tanto
,
al
giorno
d
'oggi...»
.
Dino
,
figlio
obbediente
,
non
sporca
mai
nulla
.
La
giacca
,
appunto
per
non
sporcarla
,
se
la
cambia
appena
entra
nel
suo
ufficio
;
e
ogni
poco
si
alza
per
andare
a
lavarsi
le
mani
.
Infatti
a
pensarci
bene
le
sue
pagine
si
sente
benissimo
che
sono
state
composte
da
mani
pulite
.
In
tutti
sensi
.
Quando
,
subito
dopo
la
Liberazione
,
ci
fu
,
al
«
Corriere
»
,
l
'
inchiesta
per
epurare
i
collaborazionisti
,
Buzzati
fu
,
a
quanto
pare
,
l
'
unico
,
fra
quelli
rimasti
al
lavoro
dopo
1'8
settembre
,
a
non
subire
processi
.
A
nessuno
poteva
venire
,
e
a
nessuno
infatti
venne
in
mente
di
incriminarlo
.
Il
primo
a
stupirsene
sinceramente
sarebbe
stato
lui
che
,
quando
io
dalla
prigione
in
cui
mi
trovavo
rinchiuso
gli
mandai
un
biglietto
per
supplicarlo
di
astenersi
dal
lavoro
,
ora
che
bisognava
svolgerlo
sotto
il
controllo
tedesco
,
mi
rispose
con
un
altro
biglietto
che
conteneva
questa
sola
parola
:
«
Perché
?
»
.
E
in
quell
'
interrogativo
era
riassunto
il
suo
ritratto
.
Buzzati
era
corrispondente
in
Abissinia
quando
la
guerra
scoppiò
.
Dopo
qualche
mese
venne
in
licenza
a
Milano
,
perché
era
la
licenza
che
gli
spettava
,
ed
egli
ha
,
delle
vacanze
,
una
concezione
burocratica
quasi
sacra
:
per
nessuna
ragione
al
mondo
vi
rinunzierebbe
,
quando
gli
toccano
.
Con
altrettanto
burocratica
puntualità
,
esaurite
le
ferie
,
si
presentò
al
direttore
Aldo
Borelli
per
salutarlo
prima
di
ripartire
per
Addis
Abeba
.
Borelli
lo
guardò
esterrefatto
di
sopra
gli
occhiali
:
c
'
era
dunque
qualcuno
che
ancora
non
si
rendeva
conto
che
un
ritorno
ad
Addis
Abeba
,
a
parte
le
difficoltà
e
i
pericoli
del
viaggio
,
significava
la
propria
consegna
nelle
mani
degl
'
inglesi
?
Si
,
c
'
era
:
Dino
Buzzati
.
Borelli
non
poteva
dargli
ordine
di
restare
in
patria
:
sarebbe
stato
un
gesto
di
disfattismo
e
di
sfiducia
nelle
sorti
delle
nostre
armi
.
«
Ma
»
,
disse
,
«
prima
di
vederla
ripartire
,
vorrei
che
lei
si
sentisse
del
tutto
a
posto
con
la
salute
...
»
«
Con
la
salute
!
?
»
,
rispose
Buzzati
col
suo
nasino
per
aria
.
«
Ma
io
non
sono
mica
malato
!...»
Borelli
si
grattò
la
testa
un
po
'
con
imbarazzo
,
un
po
'
con
rabbia
.
«
Come
non
è
malato
?
»
,
fece
.
«
Suvvia
,
a
chi
vuoi
darla
ad
intendere
?
»
«
Ma
no
,
direttore
,
le
assicuro
»
,
insisté
Dino
,
«
che
io
non
sono
malato
!...»
«
Ma
sì
che
è
malato
!
»
«
Ma
no
che
non
sono
malato
!...»
Borelli
lo
guardò
con
odio
,
strinse
i
pugni
,
li
sbatté
violentemente
sul
tavolo
rovesciando
il
calamaio
,
e
scoppiò
fragorosamente
:
«
E
io
le
dico
che
è
malato
,
vuol
capirla
o
non
vuol
capirla
?
...
Malato
di
cretinismo
,
per
la
Madonnal
...
Vada
a
curarsi
!...»
.
Pallido
in
volto
e
con
le
lacrime
agli
occhi
,
Buzzati
venne
da
Afeltra
e
da
me
per
tradurci
l
'
accaduto
in
queste
parole
:
«
Il
direttore
mi
ha
licenziato
!
»
.
Altrettanto
pallidi
e
con
le
lacrime
agli
occhi
,
Afeltra
ed
io
ci
precipitammo
dal
direttore
per
,
conoscere
i
motivi
di
sì
grave
decisione
e
,
se
possibile
,
farla
revocare
.
Borelli
ci
ascoltò
con
pazienza
,
poi
si
prese
la
testa
fra
le
mani
con
un
gesto
di
disperazione
,
e
sordamente
mugolò
:
«
L
'
ho
sempre
detto
,
io
,
che
gli
unici
veri
grandi
imbecilli
sono
i
poeti
»
.
Ci
fissò
,
poi
aggiunse
con
voce
carica
di
minaccia
:
«
Tornate
da
Buzzati
e
ditegli
da
parte
mia
che
è
un
grande
poeta
.
Grandissimo
.
Il
più
grande
che
abbia
incontrato
»
.
Afeltra
ed
io
impiegammo
parecchie
ore
per
spiegare
a
Dino
come
e
perché
Borelli
,
pur
impedendogli
di
tornare
in
Abissinia
,
non
aveva
inteso
affatto
licenziarlo
.
Egli
ci
ascoltava
col
nasino
per
in
su
,
gli
occhi
candidi
e
interrogativi
posati
ora
su
me
ora
su
Gaetano
,
la
cravatta
annodata
come
se
fosse
stata
la
mamma
a
farlo
.
Poi
disse
,
semplicemente
:
«
Ah
!
»
.
Ci
ripensò
,
parve
poco
convinto
,
e
aggiunse
perplesso
:
«
Ma
non
sarò
mica
,
senza
saperlo
,
ammalato
per
davvero
?
»
.
Perché
colui
che
,
per
obbedienza
agli
ordini
del
giornale
,
stava
per
affrontare
un
viaggio
rischiosissimo
e
la
certa
cattura
,
ha
una
paura
birbona
delle
malattie
.
Da
allora
Buzzati
continuò
a
stare
,
ufficialmente
richiamato
come
corrispondente
di
guerra
,
dove
lo
mettevano
.
E
lo
misero
dapprima
su
un
incrociatore
.
Fu
uno
dei
pochi
,
tra
noi
,
a
non
soffrire
il
mal
di
mare
e
a
farsi
amare
dai
marinai
.
Prese
parte
a
convogli
,
e
li
descrisse
come
cavalcate
di
neri
angeli
nella
notte
.
E
le
volte
che
gli
toccò
correre
un
rischio
,
lo
fece
con
sì
sorridente
impassibilità
e
tranquilla
modestia
che
passò
per
un
uomo
coraggiosissimo
.
Lo
è
infatti
,
in
un
certo
senso
:
nel
senso
cioè
che
i
rischi
Buzzati
non
li
vede
,
lui
che
traspone
tutto
al
soprannaturale
e
non
può
concepire
nemmeno
un
siluro
se
non
sotto
le
sembianze
di
un
mostruoso
ma
innocuo
delfino
.
L'8
settembre
il
giornale
diede
ordine
a
Buzzati
di
restare
al
lavoro
in
redazione
,
e
Buzzati
ci
restò
.
Ecco
perché
egli
non
comprese
il
biglietto
che
dalla
prigione
gli
mandai
,
nel
timore
del
castigo
in
cui
avrebbe
potuto
incorrere
più
tardi
.
Quale
castigo
?
dovette
domandarsi
con
la
stessa
aria
di
sbigottimento
che
gli
si
era
dipinta
sul
volto
il
giorno
in
cui
Borelli
,
per
salvarlo
senza
compromettersi
,
aveva
voluto
persuaderlo
che
era
malato
.
E
infatti
non
ne
subì
.
Perfino
di
fronte
a
degli
"
epuratori
"
,
cioè
alla
più
bassa
sottospecie
cui
l
'
umanità
,
in
nome
di
qualunque
ideologia
,
possa
degradarsi
,
l
'
innocenza
,
quando
è
dipinta
con
tanta
evidenza
sul
volto
e
nei
gesti
e
nelle
parole
di
un
uomo
come
lo
è
sul
volto
,
nei
gesti
e
nelle
parole
di
Dino
,
trova
la
forza
di
imporsi
.
Stanotte
Buzzati
deve
partire
per
ragioni
di
servizio
,
e
ancora
non
lo
sa
.
È
andato
a
letto
,
perché
è
sua
abitudine
coricarsi
presto
,
prima
ancora
che
in
redazione
giungesse
l
'
annunzio
della
spaventosa
tragedia
di
Albenga
,
dove
alcune
dozzine
di
bambini
milanesi
sono
morti
affogati
.
Chi
s
'
incarica
di
dargli
la
terribile
notizia
?
«
Be
'
»
,
dice
il
direttore
ad
Afeltra
,
«
glielo
dica
lei
.
È
un
fatto
orribile
,
siamo
d
'
accordo
.
Ma
,
in
fondo
,
tra
quei
poveri
morticini
,
non
c
'
è
mica
anche
un
figlio
di
Buzzati
!...»
Afeltra
ha
il
guizzo
di
un
sorriso
nei
suoi
neri
malinconici
furbi
occhi
di
napoletano
;
poi
mi
prende
in
disparte
:
«
Questo
pover
uomo
crede
che
,
per
Dino
,
sia
terribile
la
notizia
della
morte
dei
bambini
!
...
No
,
la
notizia
terribile
,
per
lui
,
è
che
ora
,
all
'
una
di
notte
,
deve
alzarsi
e
partire
!
»
.
E
non
sbaglia
.
Buzzati
ascolta
dall
'
altro
capo
del
filo
il
resoconto
della
sciagura
che
Afeltra
gli
colorisce
con
apocalittici
accenti
.
Poi
risponde
:
«
Povere
creature
!
...
Ne
riparliamo
domani
!
»
.
E
riattacca
il
ricevitore
.
Afeltra
mi
fissa
con
uno
sguardo
che
suona
:
"
Te
l
'
avevo
detto
,
io
?
"
e
lo
fa
richiamare
.
«
No
,
Dino
,
senti
...
»
,
ricomincia
con
voce
dolcissima
,
«
tu
mi
pare
che
non
hai
capito
bene
di
che
cosa
si
tratta
...
Sono
quasi
tutti
di
Milano
,
i
bambini
...
Qui
,
domani
,
tutta
la
città
è
in
lutto
,
e
capirai
che
il
giornale
non
può
uscire
con
la
notizia
nuda
e
cruda
...
»
«
No
,
certo
»
,
gracida
la
voce
di
Dino
,
«
dovete
mandar
qualcuno
...
»
,
e
riattacca
.
Per
la
terza
volta
Afeltra
lo
fa
chiamare
.
«
Dino
?
...
Carissimo
Dino
...
Sono
ancora
io
,
Gaetano
.
Senti
,
lasciami
parlare
...
Ad
Albenga
,
per
un
servizio
di
questo
genere
,
non
si
può
mandare
uno
qualunque
...
Ci
vogliono
una
penna
e
una
firma
...
Ci
vuole
soprattutto
un
cuore
che
batte
...
E
qui
,
a
portata
di
mano
,
non
abbiamo
nessuno
...
Piovene
,
come
sai
,
è
a
Parigi
...
Vergani
al
Tour
...
Corradi
in
Inghilterra
...
Grazzini
in
Sicilia
...
Montanelli
non
ha
cuore
,
o
passa
per
uno
che
non
ne
ha
:
il
che
agli
effetti
del
pubblico
,
è
lo
stesso
...
Cosa
dici
?
...
Hanno
suonato
alla
porta
?
...
Sì
,
va
'
a
aprire
,
va
'
:
è
l
'
autista
che
,
d
'
ordine
del
direttore
,
è
venuto
con
la
macchina
a
prenderti
per
condurti
ad
Albenga
...
»
Ed
è
lui
,
stavolta
,
a
riattaccare
il
ricevitore
.
Ma
le
fatiche
di
Afeltra
non
sono
finite
con
la
partenza
di
Buzzati
,
l
'
impareggiabile
purosangue
di
cui
egli
è
il
naturale
fantino
.
Con
trepida
impazienza
,
finito
,
alle
quattro
,
il
lavoro
in
tipografia
,
invece
di
coricarsi
,
si
chiude
nella
cabina
telefonica
ad
attendere
il
primo
resoconto
del
suo
puledro
.
Quando
torno
la
sera
,
lo
trovo
ancora
lì
,
con
la
cravatta
sbilenca
,
la
faccia
irta
di
barba
,
gli
occhi
lustri
di
gioia
.
«
Leggi
,
leggi
...
»
,
mi
dice
accennando
con
una
mano
il
dattiloscritto
in
cui
lo
stenografo
ha
già
tradotto
il
resoconto
telefonico
di
Dino
,
mentre
con
l
'
altra
sèguita
a
tenersi
poggiato
all
'
orecchio
il
ricevitore
.
«
Leggi
che
meraviglial
...
»
Lo
è
,
infatti
:
pagine
pulite
,
lisce
,
in
cui
la
Morte
traluce
come
una
cosa
viva
e
affabile
,
appena
riverberando
un
'
ombra
sui
cadaveri
allineati
sotto
il
suo
mantello
non
più
,
come
al
solito
,
lugubre
e
solenne
,
ma
cordiale
e
paterno
:
uno
dei
più
bei
reportages
,
forse
il
più
bello
,
fra
quelli
che
in
tanti
anni
di
mestiere
mi
son
capitati
da
leggere
.
«
No
,
no
,
aspetta
!
»
,
urla
Afeltra
all
'
apparecchio
.
«
La
chiusa
non
dev
'
essere
questa
!
...
La
chiusa
la
devi
fare
sul
torpedone
delle
mamme
che
sono
già
partite
da
Milano
per
venire
a
vedere
i
loro
bambini
morti
e
devono
essere
in
arrivo
costà
...
Sul
loro
urlo
di
dolore
...
»
«
E
perché
dovrebbero
urlare
?
»
,
risponde
placida
la
voce
di
Dino
,
al
'
altro
capo
del
filo
.
«
Come
"
perché
dovrebbero
urlare
"
!
?
»
,
esplode
Afeltra
con
voce
strozzata
.
«
...
Ma
che
vai
dicendo
,
Dino
!
?
...
I
loro
figli
...
»
«
Sono
così
belli
!
»
,
ribatte
dolcissima
la
voce
di
Buzzati
.
«
Li
vedessi
,
Gaetano
,
come
sono
belli
!
...
Sorridono
...
Angeli
che
,
per
diventarlo
,
sono
così
contenti
di
essere
morti
...
»
Quando
l
'
indomani
,
al
suo
ritorno
,
stringo
la
mano
a
Buzzati
per
complimentarmi
con
lui
dello
stupendo
articolo
che
ha
scritto
,
egli
rimane
ad
ascoltarmi
col
nasino
per
in
su
,
gli
occhi
candidi
e
interrogativi
posati
ora
su
me
ora
su
Gaetano
che
approva
,
la
cravatta
annodata
,
nonostante
il
viaggio
e
le
due
insonni
notti
,
come
se
fosse
stata
la
mamma
a
farlo
.
Poi
mi
chiede
:
«
Davvero
?
»
,
con
lo
stesso
tono
lievemente
incredulo
con
cui
mi
rivolse
la
stessa
domanda
allorché
,
letto
che
ebbi
Il
deserto
dei
tartari
,
gli
dissi
che
aveva
scritto
il
più
bel
romanzo
italiano
degli
ultimi
vent
'
anni
(
e
sono
ancora
dello
stesso
avviso
)
.
Lo
guardo
.
E
d
'
improvviso
mi
accorgo
che
,
come
i
bambini
che
ha
descritto
,
anche
lui
in
fondo
è
un
angelo
:
l
'
unico
che
,
per
diventarlo
,
non
abbia
avuto
bisogno
,
prima
,
di
morire
.