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Deserto rosso di Michelangelo Antonioni ( Grazzini Giovanni , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Povera Giuliana . Ha già tentato una volta di uccidersi , ma non ce l ' ha fatta , e nell ' incidente automobilistico ha preso una tal botta in testa che nonostante un mese di clinica non è più riuscita a trovare il suo equilibrio . Invece di mandarla in convalescenza in campagna , o a distrarsi in un ' allegra stazione turistica , il marito , ingegnere , se l ' è riportata , col figlioletto , sui luoghi dove lavora : nella zona industriale di Ravenna , tra altiforni , ciminiere , serbatoi , un paesaggio deprimente , grigio e fumoso . Sfido io , la poverina dà fuori da matta . Anziché « reinserirsi nella realtà » , continua a soffrire di angosce e di incubi notturni , striscia lungo i muri , è tutta un brivido . Né il marito , che ha già dato prova di insipienza , muove un dito per aiutarla : non la incoraggia nel proposito , da lei manifestato , di aprire una boutique , anzi le mette intorno degli amici stupidi e sporcaccioni , con i quali la porta a passare una giornata in una baracca sul mare . La casa , povera Giuliana , è deprimente , arredata con mobili e soprammobili provvisori ; il bambino , Dio mio , non ride mai , è un mostriciattolo che armeggia con giocattoli avveniristici , e si diverte a spaventare la mamma . E gli operai ? Persino fra di loro la nevrosi ha mietuto vittime . Quando arriva Corrado , un collega del marito , Giuliana tenta di sciogliersi : un po ' impietosito dalle condizioni di lei , un po ' attirato dalla malattia della donna , in cui crede di riconoscere le proprie inquietudini di uomo randagio , Corrado le gironzola intorno . Vorrebbe aiutarla , e anche lei per un poco ci spera , ma tutto finisce in una camera d ' albergo . Non sarà certo Corrado che potrà guarire Giuliana dalla nevrosi . È il male del secolo , tutti ne siamo affetti . Matti incurabili , l ' unico conforto ci viene dal tenere per mano un bambino e dall ' avere coscienza della nostra condizione . La colpa di tutto ? Innanzi tutto , della civiltà industriale . Gli uccellini , che hanno un cervello da uccellino , l ' hanno capito che dalle ciminiere esce un veleno mortifero , e non ci passano più . Gli uomini , invece , testoni , ci vanno a vivere in mezzo , peggio per loro . Questo il nocciolo della storia raccontata dal Deserto rosso , il film di Antonioni presentato stasera alla Mostra di Venezia . La sua fragilità ideologica è evidente a chiunque non sia malato di intellettualismo . Antonioni non aggiunge nessun zuccherino alla sua pessimistica analisi del mondo contemporaneo , disumanizzato dal progresso scientifico ; ma la sua condanna della civiltà delle macchine sembra ormai coinvolgere l ' eterna condizione dell ' uomo . Giuliana , per far star quieto il bambino , favoleggia di un mondo primitivo , di una ragazzina libera e felice nell ' acqua di un ' isola , e tuttavia inquietata da un ' oscura presenza : qui ( l ' unica apertura ridente del film ) , non soltanto si proietta lo stato d ' animo della novellatrice , ma lo stesso rimpianto del regista , che transita per « questa nostra dimora terrestre » . come ama chiamarla , nostalgicamente rammemorando gli evi felici della pesca e della pastorizia , tuttavia già incrinati dalla minaccia dei mostri . Abbastanza superficiale nel voler far dipendere tutti i guai contemporanei , con un determinismo ottocentesco , dall ' inferno industriale , il film rivela la sua origine intellettualistica nel fatto che la molla dell ' ispirazione non è scattata per l ' intuizione di un carattere o di un nodo sentimentale , già fusi con un ' atmosfera , ma , per ammissione dell ' autore , di rimbalzo a una visita agli stabilimenti di Ravenna , vedendo le risorse rappresentative che si potevano trarre da quel rauco paesaggio di bitume e di strutture meccaniche . Poiché l ' ambiente preesisteva , Antonioni vi ha calato dentro dei personaggi che dovevano forzosamente aderirvi . Se sono risultati delle maschere schematiche , alle cui disavventure non partecipiamo , è perché la tesi era già risolta nel momento stesso dell ' impostazione , e il rapporto fra i personaggi e i luoghi non comportava più , come ancora nell ' Eclissi , alcuna dialettica . Si trattava semplicemente di un ' opera di giustapposizione , alla quale erano estranei ogni senso del dramma e ogni palpito di passione . Se è questo che Antonioni voleva , ci è riuscito perfettamente . Usando il colore , con entusiasmo da neofita , e anche la musica elettronica , per esprimere unitariamente la desolazione del panorama e lo squallore dei personaggi , egli ha saputo con maestria costruire un universo disameno che riesce a deprimerci tutti , benché nessuno sappia dimenticare che il catalizzatore della storia è un caso clinico , e perciò scarsamente generalizzante . L ' aver poi , come egli ha fatto , dipinto l ' erba e gli alberi , per renderne il colore più funzionale , conferma quanto si diceva : che il regista , intervenendo sugli oggetti per farli combaciare ai sentimenti , ha coinvolto se stesso in quel processo che demolisce l ' antico rapporto fra uomo e natura contro il quale protesta . Di per sé il colore è adoperato con bellissimi effetti : su una base neutra , il grigio della desolazione , Antonioni ha giocato estraendo dalla tavolozza del technicolor e dell ' eastmancolor pastosità che a tutt ' oggi restano insuperate , e pongono il film fra le più alte conquiste della sensibilità cromatica del regista italiano . Il clima scenografico è perciò di straordinaria potenza evocatrice ( come talune invenzioni , basti citare il bastimento che sembra navigare fra gli alberi , sono la conferma di un genio cinematografico su cui non occorre nemmeno discutere ) . Ma a che vale aver raggiunto con tanta gloria il traguardo del colore , se esso è messo al servizio di una tesi superficiale , di una storia priva di sviluppi narrativi sia pure interiori , di personaggi per i quali non proviamo né simpatia né pietà , e di una recitazione molto modesta ? Se Deserto rosso non è stato una delusione , perché tale in ogni caso da suscitare polemiche culturali ( e per scrupolo di informazione si aggiunge che qui a Venezia il film è piaciuto a molti ) , nell ' interpretazione ha però mancato quasi tutte le promesse : 1'esagitazione di Giuliana , interpretata da una Monica Vitti stanca di impersonare donne angosciate , è tutta rovesciata all ' esterno . Richard Harris , nella parte di Corrado , è di una totale inespressività , degli altri non si ricorda nemmeno il nome . Perché anche la recitazione manca di fluidità e il difetto di un film pur figurativamente così suggestivo come Deserto rosso è nella visionaria fantasia di un intellettuale di provincia che ha identificato il diavolo con le fabbriche , e crede che tutta l ' umanità sia chiusa in un cerchio di dannati , ciascuno nella sua gabbia . Andiamo a Ravenna , e vediamo quanti sono gli operai , gli ingegneri , le mogli dei tecnici che si comportano come nel film .