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Non c ' è nulla di temerario nell ' idea d ' un nuovo film sulla Bibbia . Da secoli le arti figurative si ispirano al Libro dei libri , tentando di tradurne la lettera in linguaggio visivo e renderne il senso immediato . Ovvio che anche il cinema , il più moderno dei mezzi espressivi , e in potenza il più ricco , voglia di tanto in tanto provare il proprio fiato su quelle pagine venerabili . Temeraria , invece , sempre , è l ' ambizione di trarne uno spettacolo che ne conservi la molteplicità , la profondità di significati , e ne rispetti il valore ultimo e supremo di parola sacra . Biblico peccato d ' orgoglio . Oggi soprattutto , che l ' alleanza fra Dio e l ' uomo è spezzata , tutti i frutti del male son colti , l ' attesa di un messia si è convertita in angoscia atomica . Meglio : oggi che l ' idea poetica dell ' avvento ci scalda a un livello spirituale tanto segreto da impedire alla alterigia razionalista , al pudore , di sperare che l ' antico messaggio sia diretto anche a noi . In più , la natura e lo stile della Bibbia , dove s ' intrecciano il mito e la storia , e una prosa succinta , una sintassi tutta cose , radunano immagini e fatti secondo remoti schemi narrativi e psicologici . Ancora : la sublimità del simbolo , per cui il pomo offerto dal serpente , la lama di Abramo su Isacco sono insostenibili alla ragione e alla morale di oggi , e vederli in misura concreta molto distrae dal loro vero significato emblematico di rivolta e ubbidienza . Nonché soffrire , la Bibbia si spegne quando il suo nucleo tragico , appena percettibile con l ' emozione poetica , è spicciolato da un illustratore che non partecipa ( proprio per insufficienza strumentale ) della sua densità espressiva , e crede di assorbirne il contenuto misterioso nella solennità della forma . Più il testo è risolto in spettacolo sontuoso , e meno agisce dall ' interno ; più colpisce l ' occhio e meno incide sul sentimento . Un film sulla Bibbia , allora , va concepito e realizzato in umiltà , nell ' augurio che l ' abile operazione commerciale commuova per vie traverse : mormori la memoria di Dio , rinfreschi la presenza di un mito drammatico , realizzi un ecumenico consenso sul valore del sacro nella società contemporanea nonostante la natura di un linguaggio che tradisce per mille vie la propria origine profana . Questo è il punto : in quale misura La Bibbia di De Laurentiis e di Huston , anzi il cinema dei colossi religiosi , riesca ad esprimere essenze ineffabili con dati visivi consunti dall ' uso , possa reinventare una verginità percettiva dello spirito , e darci , oltre la scorza lucente , il sapore della polpa poetica , quella epopea del dolore e della speranza cantata nel Libro da figure senza volto . Perché è vero che l ' Antico Testamento ha qualità sceniche e narrative straordinarie , ma soltanto finché la struttura è stilizzata in una zona astratta della realtà , nell ' infanzia del sentire ; date capelli biondi e guance rase ad Adamo , chioma soave e anca flessuosa ad Eva , vizioso ceffo a Nimrod , a Sara il volto di Ava Gardner , e così via , e tutta la molla del mito si scarica in uno scatto irreparabile . Ebbene , questa Bibbia è quanto bisognava attendersi da un ' industria che secondo la propria logica interna intende Iddio come un prodotto di consumo per i grandi mercati internazionali , e non può o non vuole correre il rischio di innovare , di andar contro gli schemi mentali e rappresentativi della tradizione illustrativa popolare , di rompere i luoghi comuni che danno un infantile senso di sicurezza alle folle ( infatti il Vangelo di Pasolini ha dato scandalo ) . Era ineluttabile che scelto come sceneggiatore Christópher Fry , lo stesso di Barabba , e respinta come troppo intelligente l ' interpretazione vibrante di modernità proposta da Bresson , e finalmente chiamato il versatile John Huston a seguire gli ordini di De Laurentiis , La Bibbia veleggiasse lungo i lidi sicuri della convenzione , annullasse quasi ogni scintilla di fantasia creatrice nel dogma del gigantismo , del bell ' effetto , d ' una suggestività traslucida , sempre nella speranza di acquistare con la moneta della stereofonia e dello schermo panoramico un ' equivalenza poetica alla quale soltanto un autore di fortissima personalità avrebbe forse potuto avvicinarsi . È un fatto che se il film , nonostante i molti palpiti visivi , manca di illuminazioni morali , storiche e religiose è perché gli stimoli emotivi , lirici e culturali , sono disciplinati sino alla inerzia nei binari di una cauta invenzione , soffocati dall ' enfasi della musica e soprattutto dall ' avere applicato stereotipi ormai logorati dal cinema in costume ( nel taglio narrativo , nella recitazione , nell ' uso di luci e colori ) a un testo che avrebbe giustificato qualunque arditezza . Se facendo di necessità virtù dobbiamo insomma inserire il colosso in uno dei più lavorati filoni del cinema di massa , e metterlo nella famiglia dei Dieci comandamenti , di Ben Hur , di Barabba , diciamo che La Bibbia ha , accanto al merito d ' una maggiore serietà d ' impianto , un sensibile svantaggio nella minore compattezza , e nell ' accumulo degli stili , per cui si trapassa dalla cartolina cromata al terribilismo naturalistico , dal bozzettismo dell ' aneddoto al grave realismo dell ' epopea , dal pittoresco delle maschere all ' intimismo degli affetti domestici . Mancando di unità linguistica ( l ' unico filo è dato dalla voce di Dio incarnatasi in Arnoldo Foà ) , La Bibbia si offre dunque come una Genesi a puntate , non più in brossura ma in marocchino rosso , e dove tuttavia la sostanza teologica è diluita , nella sua accezione letterale , per il pubblico della cultura a dispense . Allora il racconto si giudica per capitoli , via via che l ' immaginazione degrada dal mito alla storia : la Creazione , la Cacciata , Caino e Abele , Noè , la torre di Babele , Abramo . E nel primo l ' alba dell ' universo , la nascita dell ' uomo , e come è risolto il problema del diavolo - serpente , scuseranno l ' insipidezza di Adamo ed Eva , la splendida ovvietà paesistica dell ' Eden , le occhiate dei progenitori , il morso al frutto proibito , i muscoli di Caino ; in Noè ( interpretato ai limiti della macchietta da Huston stesso ) lo strepito dell ' Arca , certi arguti passaggi , faranno risaltare la piattezza della famiglia , quel suo lasciarsi docilmente manovrare dal regista per non dar ombra al patriarca ; a Babele , ammirata la fabbrica immensa , si toccherà il grottesco nell ' abbigliamento da retrobottega teatrale , nel pallido estro dei truccatori , nelle battute in lingua artificiale . E così si arriva alla storia di Abramo , alle sue espansioni coniugali con Sara a ritmo di versetti , alla schiava che si contempla l ' ombra del ventre , al suo maligno offrire fichi secchi e uva passa all ' annosa padrona : atroci rivincite di un repertorio inzuppato di qualunquismo lessicale e figurativo . Finché , procedendo l ' altalena , dal limpido passaggio degli angeli ( ecco un momento di riuscita levità ) alla turpe rappresentazione di Sodoma ( ecco sfrenarsi la carnevalesca voluttà delle vernici , con acconcio commento di gemiti erotici ) , si tocca l ' estrema zattera di salvataggio : lo strazio di Abramo in un monologo vagamente shakespeariano fra le livide rovine di Sodoma - l ' idea non per nulla è di Orson Welles - e l ' angoscioso sacrificio del piccolo Isacco . Dove la puntualità del ricatto sentimentale non impedisce di riconoscere che il film , sinora sorretto su suggestioni scenografiche chiamate a nascondere la zavorra del dialogo interpolato al testo originario , trova finalmente il sigillo della classe di Huston , un lampo di commozione nell ' austera semplicità d ' un tramonto . Cosa resta dopo quasi tre ore di proiezione ? La nostalgia per le miniature squisite con cui durante dieci secoli monaci e artisti hanno cantato in penombra le lodi del Signore , la dolce memoria dell ' infanzia che coglie l ' immagine nella parola , l ' onore di un libro che col minimo dei mezzi raggiunge un ' espressività inattingibile altrimenti . Fatti i conti , posti su un piatto lo sconforto per l ' impotenza di confrontare la luminosa , la terribile concisione dei versetti alla magniloquenza del technicolor , e sull ' altro il gusto delle platee per ogni messa in scena governata dai miliardi , la bilancia segna il peso e il carattere d ' una civiltà che dissipa nella labilità della visione ogni residua virtù interiore . Ma è il nostro mondo che ci dà questa Bibbia : prima di lamentarci , uno per uno guardiamoci allo specchio . Saremo benevoli .