StampaQuotidiana ,
Diversi
anni
fa
una
poverina
,
che
si
firmava
«
Zagara
sicula
»
,
chiese
a
una
rubrica
femminile
come
farsi
il
suo
paltoncino
nuovo
.
«
Nessun
dubbio
,
secondo
l
'
ultimo
Harper
'
s
Bazaar
-
rispose
feroce
Irene
Brin
-
:
Viola
,
e
con
le
frange
d
'
oro
!
»
.
E
qualche
mese
fa
,
a
Ferragosto
,
il
direttore
di
un
rotocalco
romano
,
rimasto
in
città
a
lavorare
,
incontrava
in
piazza
del
Popolo
un
letterato
fra
i
nostri
più
fini
,
che
gli
gridava
desolato
:
«
Abbiamo
sbagliato
!
Sono
'
tutti
'
in
Sardegna
!
»
.
In
quel
momento
,
chi
aveva
lanciato
la
Costa
Smeralda
affollata
di
facoltosi
dopolavoristi
,
stava
probabilmente
facendo
i
suoi
bagni
in
un
'
isoletta
greca
solitaria
;
mentre
le
modiste
che
impongono
«
allunga
!
»
o
«
stringi
!
»
da
una
stagione
all
'
altra
,
si
vestono
poi
come
vogliono
,
in
tutt
'
altri
modi
:
un
po
'
come
il
pastore
maligno
che
indica
il
sentiero
sbagliato
,
come
la
cuoca
malvagia
che
consiglia
:
«
per
far
bene
il
sufflé
?
dentro
la
farina
di
colpo
mentre
s
'
alza
!
»
.
In
letteratura
si
vede
lo
stesso
:
mode
che
si
succedono
con
rapidità
sconcertanti
,
precetti
capovolti
ogni
stagione
.
E
anche
qui
,
da
un
lato
,
personaggi
definibili
(
all
'
americana
)
«
indicatori
di
strade
»
,
cioè
iniziatori
di
voghe
.
Dall
'
altro
,
anime
candide
o
snob
che
li
seguono
,
come
una
tale
signora
inglese
tanto
sfortunata
da
incontrare
in
via
Cimarosa
un
gentiluomo
palermitano
famoso
per
i
suoi
brutti
scherzi
;
e
gli
ha
chiesto
dove
fosse
via
Pergolesi
.
«
Dentro
questo
portone
,
su
quattro
rampe
,
e
giù
in
fondo
-
le
risponde
lui
-
,
sembra
complicato
ma
è
una
scorciatoia
»
.
Lei
si
fida
,
e
si
trova
in
un
appartamento
dove
lui
è
già
lì
pronto
e
la
bastona
,
per
di
più
svillaneggiandola
:
«
brutta
sciocca
,
e
tu
vatti
a
fidare
di
chi
ti
dice
che
per
andare
da
una
via
all
'
altra
bisogna
salire
quattro
rampe
di
scale
!
»
.
Non
bisogna
dunque
dar
retta
agli
agenti
provocatori
?
Sì
,
invece
,
in
un
'
accademia
stagnante
come
la
nostra
società
letteraria
!
Viva
,
sempre
,
i
sobillatori
di
coscienze
!
Come
Pasolini
:
basta
stare
attenti
a
non
cadere
in
tutte
le
imboscate
dove
ci
trascinano
,
e
ce
ne
vorrebbero
cinquanta
come
lui
,
da
accompagnare
nelle
loro
avventure
...
Una
larga
sezione
della
nostra
cultura
gli
ha
deferito
questo
incarico
di
rischiare
,
a
nome
di
tutti
:
perché
è
vero
che
-
soprattutto
letterariamente
-
chi
scandalizza
i
puri
di
cuore
va
sacrificato
a
nome
della
collettività
(
che
è
rimasta
a
casa
,
a
godere
e
soffrire
)
;
però
è
pur
sempre
giusto
(
«
oportet
»
)
che
gli
scandali
avvengano
.
E
come
potremmo
non
entusiasmarci
per
l
'
efferato
virtuosismo
di
un
finto
capro
espiatorio
che
detta
di
anno
in
anno
il
«
compito
a
casa
»
ai
suoi
adepti
-
persecutori
,
li
costringe
all
'
idioma
romanesco
,
li
obbliga
ai
Vangeli
,
li
incatena
a
Freud
oppure
agli
studi
linguistici
,
se
li
tira
dietro
dove
vuole
,
e
finisce
dopo
tutto
canonizzato
in
apoteosi
?
Non
sempre
però
si
cadrà
senza
strillare
in
fondo
alla
trappola
aperta
.
Ultimamente
,
per
esempio
,
Pasolini
ha
dichiarato
in
un
'
intervista
al
«
Giorno
»
e
in
una
conferenza
dell
'
ACI
di
rinnegare
certe
sue
convinzioni
di
ieri
.
Ritiene
«
ancora
possibile
»
il
romanzo
;
non
lo
trova
più
«
esaurito
come
genere
»
;
soprattutto
constatando
l
'
esistenza
di
una
lingua
italiana
media
«
unificata
»
(
e
fino
a
ieri
mancante
)
.
Una
lingua
nazionale
e
non
pseudonazionale
:
basata
non
più
su
riferimenti
al
latino
,
ma
al
linguaggio
tecnologico
dei
politici
e
degli
industriali
;
e
prodotta
non
più
fra
Roma
e
Firenze
,
ma
fra
Milano
e
Torino
.
Parecchi
commentatori
si
sono
già
lamentati
:
che
«
scoperta
»
è
mai
questa
?
«
Ci
troviamo
impegolati
in
un
bel
pasticcio
»
,
scrive
Emanuelli
,
osservando
che
sarà
giusto
abbandonare
«
l
'
italiano
borghese
e
burocratico
»
.
Ma
non
sarà
uno
'
stratagemma
'
questo
«
abbandonare
anche
l
'
italiano
d
'
oggi
scoperto
poco
prima
come
'
lingua
'
nazionale
e
buttarsi
nelle
braccia
del
'
linguaggio
'
tecnologico
?...»
.
Cercando
di
non
franare
nell
'
autobiografia
,
come
lombardo
vorrei
osservare
qui
che
non
mi
sembra
d
'
essermi
mai
sentito
privo
di
uno
strumento
abbastanza
moderno
e
abbastanza
duttile
per
ogni
esigenza
,
che
non
deve
nulla
ai
dialetti
e
può
fare
a
meno
quando
vuole
d
'
ogni
parola
straniera
.
Questa
lingua
esisteva
.
E
forse
si
ha
torto
di
prendere
per
una
constatazione
di
carattere
generale
,
valevole
«
erga
omnes
»
,
quella
che
probabilmente
è
una
esperienza
privata
di
Pasolini
,
simile
alla
«
trouvaille
»
di
chi
arrivando
in
Piemonte
«
scopra
»
l
'
esistenza
del
barolo
e
del
barbera
.
Parlando
da
lettore
di
Saussure
,
poi
,
si
potrebbe
«
lavorare
»
secondo
le
leggi
della
linguistica
il
concetto
di
Emanuelli
:
sostituendo
al
suo
termine
di
«
linguaggio
»
quello
saussuriano
di
«
parola
»
,
per
sottolineare
il
carattere
«
individuale
e
momentaneo
»
della
terminologia
tecnologica
rispetto
alla
«
lingua
»
che
è
per
definizione
un
fatto
«
sociale
nella
sua
essenza
e
indipendente
dall
'
individuo
»
.
Come
lettore
di
Carlo
Dossi
,
infine
,
vorrei
suggerire
che
nelle
«
Note
azzurre
»
esiste
già
perfetta
e
incantevole
la
lingua
«
nazionale
»
secondo
«
questa
nuova
angolazione
linguistica
»
vagamente
nordista
sognata
da
Pasolini
.
Manca
qualche
stilema
olivettiano
o
moroteo
,
pazienza
.
Ma
è
uno
strumento
affascinante
ai
fini
della
narrativa
più
«
moderna
»
di
oggi
:
quella
delle
«
Note
azzurre
»
stesse
.
Cioè
un
romanzo
che
vede
la
realtà
per
elenchi
e
la
cultura
per
analogie
,
fa
i
suoi
usi
giusti
sia
dell
'
ironia
sia
dell
'
Inghilterra
,
sia
del
plurilinguismo
,
ed
è
talmente
aperto
che
si
può
cominciare
a
leggere
in
ogni
pagina
.