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Quando arrivò la SADE... ( Merlin Tina , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Ad Erto , la SADE arrivò nel 1956 . Praticamente poteva agire come in ogni altro luogo , poiché aveva in tasca la concessione di sfruttamento delle acque del Vajont . Aveva , quindi , la « pubblica utilità » che la proteggeva , che le copriva ogni malversazione . Era un formidabile biglietto da visita , che le serviva da lasciapassare . Ma con i contadini di Erto le cose non erano tanto facili . È un popolo per certi versi primitivo , con punte di arguzia e di sospetto ; dal grande , generoso cuore verso gli amici , ma soprattutto libero da ogni costrizione . La saggezza gli deriva , forse , da una lunga tradizione di isolamento come comunità , che conserva gelosamente usi e costumi antichi , di una civiltà primitiva , appunto , ma basata sulla giustizia senza cavilli e sulla verità senza veli . Guidava , allora , l ' amministrazione comunale di Erto , la signora Caterina Filippin , che i suoi compaesani chiamavano familiarmente Cate . In quel periodo essa si batté coraggiosamente alla testa del suo popolo , contro gli espropri , che la SADE voleva risarcire a dieci lire il metro quadro . Parlamentò con i tecnici arrivati sul posto per le stime ; inoltrò ricorsi e controricorsi . Riuscì , anche , a rialzare le quotazioni che , tuttavia , rimanevano ancora troppo basse . Non era solo il valore reale del terreno che i contadini pretendevano . Su quella terra avevano giocato , erano cresciuti , avevano fatto l ' amore , erano nati i loro figli . Senza quella terra avrebbero dovuto andarsene dal paese anche i vecchi e le donne , come i più giovani già facevano per tradizione secolare , per miseria secolare . E dove si trapiantavano con l ' elemosina elargita dalla SADE ? Questo era il punto . Cedere sì , ma non prostituirsi . Inoltre , la SADE pretendeva d ' espropriare nuovi terreni , avendo deciso di rialzare ancora di più il livello d ' invaso . La concessione parlava , è vero , di una quota massima di 677 metri , ma la società elettrica , dopo aver fatto i suoi conti , intravide la possibilità di altri grandi guadagni , se avesse ottenuto l ' autorizzazione a sopraelevare il livello delle acque di altri 45 metri e mezzo , portandole a quota 722,50 . Inoltrò la domanda in tale senso al ministero dei Lavori Pubblici ed ottenne la nuova autorizzazione , malgrado l ' opposizione del Comune e dei privati cittadini . Con i proprietari il monopolio non intendeva troppo parlamentare . Aveva le carte scritte in mano e , a tempo debito , le avrebbe fatte valere . Era tanto sicuro di ciò che tirava le cose per le lunghe , apposta , per logorare la resistenza dei singoli . Aveva tempo davanti a sé . Stava costruendo la diga , per intanto . I contadini avrebbero creduto quando si fossero trovati davanti al lavoro compiuto ; alla grande e maestosa diga che doveva essere l ' orgoglio di tutti e alla « pubblica utilità » che ne derivava di invasare la valle . Per intanto non bisognava urtarli più del necessario . Per mantenere l ' ordine nel paese c ' erano i carabinieri . Il primo gruppo della Benemerita fu installato ad Erto qualche anno prima che arrivasse sul posto la SADE . Si disse che ce n ' era bisogno , a causa di risse e di adulteri , cui troppo spesso gli ertani si lasciavano andare . Facevano una netta distinzione tra quello che era di Dio e quello che era di Cesare pur essendo , sostanzialmente , religiosi . Anzi , la vita di Gesù aveva tanta attrattiva su di loro , che il venerdì santo quelli di Erto mettevano in scena all ' aperto , tra le vie e sulle colline del paese , una rappresentazione della passione di Cristo , forse tra le più belle che esistano ancora in Italia . Era , per la verità , di gusto pagano , ma ad essa si preparavano coscienziosamente tutto l ' anno , parti e costumi , con l ' orgoglio di far ben figurare il paese di fronte agli spettatori che convenivano ad Erto dalla provincia di Belluno e di Udine e da altre città del Veneto . Era una cosa loro , non volevano preti . I parroci succedutisi ad Erto avevano cercato molte volte di far smettere la tradizione , per oltraggio alla religione . Non vi erano riusciti . Un brutto giorno la sindachessa cambiò parere . Si mise a spargere la voce che , contro la SADE , nessuno la avrebbe spuntata . Tanto valeva cedere , prima che succedesse il peggio . Qualcuno s ' impaurì . Se lo diceva il sindaco che era sempre stato dalla parte dei contadini , voleva dire che ne sapeva qualcosa . Altri non rimasero convinti del nuovo atteggiamento assunto dalla prima cittadina del paese . La SADE , comunque , aveva raggiunto il suo scopo . I cittadini di Erto si trovavano divisi ed era il momento opportuno per approfondire il solco della discordia , per tirarne il proprio tornaconto . Il monopolio elettrico si mosse sul terreno diplomatico , come fosse entro un ministero . Avvicinò i dubbiosi e giocò , con loro , al rialzo dei prezzi . Dalla sua aveva già la sindachessa , che aveva dato l ' esempio cedendo le terre al monopolio . In capo a qualche mese la SADE aveva portato a termine il disegno che si era prefissa . Si era acquistata , pagando bene , la complicità e l ' omertà di alcuni proprietari che , ora , facevano la propaganda per la società . La SADE raccolse un magro frutto da questa manovra . I contadini più deboli e ormai senza una guida , si presentarono spontaneamente al monopolio , che pagò la loro terra a 18 lire il metro quadro . Ma la maggioranza si unì attorno a un capo , il signor Pietro Carrara , che guidava un comitato di protesta . La voce di questi montanari vessati dalla SADE arrivò fin dentro il Senato . Il senatore Giacomo Pellegrini , nel riferire il suo interessamento al comitato di Erto , espresse il convincimento che a Roma la cosa non interessava . Tutto andava come voleva la SADE , che aveva ancora l ' ultima carta nel mazzo da giocare . E la buttò sulla tavola vincendo il piatto . Fece sapere a quanti ancora resistevano che dovevano decidersi . O accettare con le buone , oppure sarebbero stati espropriati con la forza e i denari del risarcimento versati in banca a nome del titolare catastale del fondo . Era una operazione che le veniva consentita in virtù della concessione che teneva in mano per « pubblica utilità » . I lavori , nella valle , li doveva fare e lo Stato le dava questa facoltà . Era la fine per i montanari di Erto . Resistere ancora voleva dire non vedere forse mai quei pochi denari . I terreni , in moltissimi casi , erano ancora intestati al primitivo proprietario , morto da tanto tempo . Gli eredi erano molti e sparsi un po ' ovunque , ad Erto e in altre città italiane e straniere . Per entrarne in possesso , essi avrebbero dovuto fare lunghe pratiche burocratiche e procure notarili . Spendere molti denari . Alcuni cedettero al ricatto . Altri resistettero , ma si trovano ancora oggi con i soldi vincolati in una banca . La SADE aveva ormai mano libera per costruire l ' impianto . Ai contadini espropriati fu offerto un posto di lavoro sulla grande diga e molti di loro morirono nel corso della sua costruzione . È bene spiegare in che modo la SADE ottenne la concessione per lo sfruttamento delle acque del Vajont . Alla luce della terribile tragedia , il pensiero di come essa riuscì ad averla in mano fa semplicemente rabbrividire . Il decreto porta la data dell ' ottobre 1943 . L ' Italia era precipitata nel caos . Non esisteva , praticamente , un governo . A Roma , in quei giorni gli ebrei venivano rastrellati dai tedeschi . Nulla più era efficiente . Le donne italiane rivestivano di abiti borghesi i soldati fuggiaschi per sottrarli alla cattura . L ' unica cosa valida di quei momenti erano i gruppi antifascisti che si andavano organizzando per la lotta partigiana . Eppure , dentro il ministero dei Lavori Pubblici di Roma , la SADE trovò o pagò un funzionario disposto a mettere un timbro e una firma di un ministro fasullo sotto la concessione . Un documento che nessun governo del dopo guerra contestò mai al monopolio elettrico . Mentre il popolo italiano pensava ad organizzarsi e a lottare per la liberazione del paese , moriva per i propri ideali di democrazia e di giustizia sociale , la SADE maneggiava nei ministeri , imbrogliando le carte , per non perdere quella che credeva l ' ultima partita . Il Vajont aveva avuto un assurdo inizio prima di avere una tragica fine . La costruzione del lago artificiale e la sopraelevazione delle acque a quota 722,50 creava un altro grosso problema per i valligiani di Erto . Il centro veniva diviso da alcune sue frazioni , situate sul versante sinistro della valle . In quella zona sorgevano tre centri abitati : Pineda , Prada e Liron . Inoltre molti abitanti di Erto possedevano ancora terreni sul lato opposto del paese e case , dove si trasferivano con il bestiame dalla primavera all ' autunno . I contadini raggiungevano i due versanti in un batter d ' occhio , attraverso sentieri che percorrevano veloci quanto gli scoiattoli . Erano abituati da sempre a quelle primitive vie di comunicazione . Perciò avevano costruito i villaggi dall ' altra parte del paese , dove c ' era l ' unica buona terra da coltivare . Le donne s ' erano allenate fin da piccole a portare la gerla in spalla carica di fieno , letame e patate . I bambini percorrevano gli stessi sentieri per recarsi alla scuola del paese , anche con la neve . La SADE era tenuta , secondo quanto era scritto nel disciplinare di concessione , a mettere in opera tutte le misure necessarie per garantire il normale bisogno delle popolazioni . Ed esse volevano una passerella che attraversasse la valle . La SADE , in un primo tempo , accettò di costruirla . In seguito , probabilmente dopo l ' autorizzazione a sopraelevare il livello dell ' acqua , si rifiutò . Disse che avrebbe , invece , costruito una strada di circonvallazione , bella e panoramica . Per i contadini la strada significava sette chilometri di percorso per andare e tornare dal paese . A piedi , poiché , a quel tempo , nessuno possedeva neppure una motocicletta . Significava fatica e perdita di tempo per le donne che dovevano recarsi al paese per le spese , per i bambini che dovevano andare a scuola . Ed era un grosso inconveniente in caso di urgenti necessità , quali il medico o qualche ammalato grave da trasportare . Per di più , la strada veniva costruita su un percorso che ad ogni primavera con il disgelo e ad ogni autunno con le piogge , franava . La gente si oppose . Iniziò la seconda ondata di proteste anti - SADE . La società elettrica corse ai ripari . Capì che con i contadini di Erto bisognava mettere nero su bianco per convincerli . E il nero che stava scritto sulle sue carte ufficiali parlava chiaro in favore dei contadini . Bisognava , allora , modificare le carte . La sua mano era abbastanza lunga per arrivare dappertutto . Un giorno si presentò ad Erto con un nuovo disciplinare di concessione , con il quale il ministro competente la esonerava dal costruire il ponte perché « la natura del terreno non reggeva all ' opera » . Il terreno di Erto era tutto della stessa natura . Secondo le carte dei ministeri e della SADE il ponte non si poteva costruire perché era pericoloso , ma la diga e il bacino invece , si potevano fare . I contadini ricorsero contro il nuovo disciplinare . Nessuno li ascoltò . La SADE , intanto , segnò il tracciato della strada e cominciò a costruirla . Man mano che i lavori avanzavano espropriava i contadini , senza nemmeno chiedere il loro permesso . Passava sui loro terreni , rovinandoli ; davanti alle loro case ; sui loro cortili . « Pubblica utilità » - diceva . Gli ertani , umiliati e inferociti , protestarono giustamente , verso autorità locali , provinciali e nazionali , il loro diritto ad essere trattati almeno umanamente . Le loro proteste suonarono sempre a vuoto . Ci fu una persona , per la verità , che ritenne giuste le proteste dei contadini . Fu l ' ingegner Desidera , allora ingegnere capo del Genio Civile di Belluno . Questi , di sua iniziativa , fece fermare i lavori della strada . Il giorno dopo questa sua presa di posizione venne trasferito da Belluno . Una mattina , un contadino , esasperato , affrontò i tecnici della SADE brandendo un ' accetta . « Se fate ancora un passo sul mio vi ammazzo tutti » - gridò . I carabinieri lo andarono a prelevare e lo denunciarono per minaccia a mano armata . Cosa dovevano fare gli ertani di fronte alla prepotenza legalizzata , di fronte a una società privata che dettava legge , di fronte a uno Stato che proteggeva i forti contro i deboli ? Pensarono di costituire un consorzio di capi famiglia , che avesse veste giuridica per affrontare i potenti . Indissero una pubblica assemblea , che si tenne una domenica mattina , con il vento che spazzava via l ' ultima neve . Invitarono , per l ' occasione , i parlamentari della circoscrizione , di ogni partito . Tranne l ' on. Giorgio Bettiol di Belluno , nessuno si fece vivo . La riunione ebbe luogo il 3 maggio 1959 nella rustica sala da ballo dell ' ENAL , alla presenza del notaio dott. Adolfo Soccal di Belluno , che redasse l ' atto costitutivo e legalizzò le firme dei 136 capi famiglia , che sottoscrissero il documento . La riunione fu molto più numerosa . Intere famiglie si recarono sul luogo dell ' assemblea , anche molte donne con i bambini , che nel corso della prima messa domenicale avevano sentito le parole di esortazione del parroco don Doro , affinché tutti aderissero all ' iniziativa « sacrosanta » . Quella mattina successe un fatto che turbò un poco i presenti . Un imponente vecchio , Giovanni Martinelli , era giunto da oltre la valle con due cartelli . « Abbasso la SADE » e « Abbasso il governo » - c ' era scritto . Aveva ragione da vendere , visti i precedenti . I carabinieri si indispettirono e gli ordinarono di depositarli in un angolo . Lui si rifiutò fieramente . I carabinieri glieli strapparono con la forza , malgrado che egli tentasse di trattenerli . « Se non li molla la denuncio per resistenza a pubblico ufficiale » - scandì l ' uomo in divisa . Giovanni Martinelli aveva fatto la guerra del '15-'18; aveva aiutato i partigiani nell ' ultima guerra ; aveva avuto la casa bruciata dai tedeschi e , dal governo non aveva ricevuto una lira per i danni subiti . Era uno dei più energici nelle proteste ; uno dei più sicuri che la montagna dovesse franare e provocare una tragedia . Quella terribile notte del Vajont , l ' acqua gli avrebbe portato via un figlio di 23 anni . L ' assemblea si svolse con ordine , ma in un clima di ribellione che ognuno covava dentro il petto da tempo . Una vecchia disse : « Se i ladri vengono a rubare in casa mio , io ho ben il diritto di prendere il fucile e difendermi » . A presidente del consorzio fu eletta la signora Lina Carrara , moglie di quel Pietro Carrara , che fu uno dei primi animatori delle proteste anti - SADE . Egli , dopo l ' esproprio dei terreni , era stato costretto ad accettare lavoro dalla società elettrica . Morì in un infortunio occorsogli durante la costruzione della diga . Sua moglie , insegnante elementare a Pordenone , accettò subito l ' incarico degli ertani , in nome di una solidarietà umana che non si sentiva di tradire , verso i compaesani di suo marito , che avevano offerto il proprio sangue numerosi all ' epoca dell ' infortunio , nel generoso tentativo di salvarlo . Molti ertani parlarono quel giorno . Degli espropri , della strada e del costruendo bacino . Qualche mese prima , nel vicino lago artificiale di Forno di Zoldo , era franato un pezzo di montagna . Anche ad Erto il terreno era di natura franosa , in pendenza dal 40 al 70% . Il paese era addirittura costruito su terra di riporto alluvionale . I contadini portavano l ' esempio di Forno di Zoldo e di Vallesella di Cadore . In ambedue i casi l ' acqua dei laghi artificiali , col suo continuo movimento ondoso , aveva « mangiato » il terreno di natura franosa e provocato disastri . A Vallesella tutte le case si erano spaccate . Gli ertani manifestarono la loro apprensione e si proposero di condurre avanti una lotta organizzata « per la difesa e la rinascita della valle ertana » . Questa fu , appunto , la denominazione data al consorzio . Una giornalista dell ' Unità , presente all ' assemblea , riferì sul suo giornale la cronaca dell ' avvenimento , registrando le impressioni della popolazione di Erto in merito all ' invaso . Fu denunciata all ' autorità giudiziaria , dal brigadiere dei carabinieri Battistini , per « notizie false e tendenziose atte a turbare l ' ordine pubblico » . La denuncia aveva il chiaro scopo di intimorire gli ertani ; di stroncare la loro resistenza . Ottenne il risultato opposto , poiché molti contadini si offersero di andare a testimoniare al processo . Tra la denuncia e la celebrazione del processo passò un anno . Nel frattempo , precisamente il 6 novembre 1960 , dal monte Toc franarono alcune centinaia di metri cubi di materiale . Un appezzamento di bosco , della lunghezza di duecento metri , sprofondò nel lago . L ' ondata che si sollevò fu abbastanza grande , ma non fece vittime , essendo il livello dell ' acqua alquanto basso . Il franamento spazzò via numerose case che erano state espropriate per l ' invaso e provocò larghe fenditure in tutta la zona del Toc . Chi non aveva ancora creduto al pericolo si rese conto che il paese era destinato alla rovina . Il 30 novembre 1960 si celebrò il processo a carico dell ' Unità . I giudici di Milano ascoltarono con interesse la deposizione della giornalista e quella dei montanari di Erto . Esaminarono attentamente le fotografie che riproducevano la zona . Si informarono minuziosamente della situazione di Erto e Casso , facendo un po ' di confusione nel pronunciare i due strambi nomi . Gli ertani si appellarono ai giudici con foga contadina , affinché la loro sentenza fosse un allarme che destasse l ' attenzione delle autorità sulla sorte della zona . I giudici , alfine si ritirarono . Rimasero pochissimo in camera di consiglio . Quando ritornarono in aula lessero una sentenza di piena assoluzione , ritenendo che , nell ' articolo incriminato « nulla vi era di falso , di esagerato o di tendenzioso » . Ma neppure l ' autorevole sentenza di un tribunale indusse la pubblica autorità ad intervenire indifesa delle popolazioni minacciate . Il consorzio di Erto intensificò la lotta , interessando della sicurezza delle popolazioni prefetti , uffici del Genio Civile , la SADE , la Provincia , il Parlamento . Il consiglio provinciale votò all ' unanimità un ordine del giorno in data 13 febbraio 1961 sulla situazione di pericolo del Vajont , che fu personalmente recato a Roma da una delegazione dello stesso consiglio , guidata dal presidente dott. Alessandro da Borso . Di ritorno da Roma , nel riferire al consiglio sull ' esito della missione , egli espresse il suo sconforto dichiarando : « la SADE è uno Stato nello Stato » . La solita giornalista dell ' Unità scrisse un altro articolo , in data 21 febbraio 1961 , denunciando un pericolo che avrebbe potuto divenire tragedia . In esso , tra l ' altro , diceva : « Una enorme massa di 50 milioni di metri cubi di materiale , tutta una montagna sul versante sinistro del lago artificiale , sta franando . Non si può sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con terribile schianto . In questo ultimo caso non si possono prevedere le conseguenze . Può darsi che la famosa diga tecnicamente tanto decantata , e a ragione , resista . Se si verificasse il contrario e quando il lago fosse pieno , sarebbe un immane disastro per lo stesso paese di Longarone adagiato in fondovalle » . Qualcuno si domanderà : ma la SADE sapeva , era al corrente della situazione di pericolo nel Vajont ? La risposta è : si , la SADE sapeva perfettamente , ma aveva tutto l ' interesse a non renderlo pubblico , in vista della nazionalizzazione . L ' impianto doveva passare allo Stato in piena efficienza , affinché venisse ripagato per intero , dopo che era già stato sovvenzionato nel corso della sua costruzione con altissime percentuali sulla spesa totale , dal 60 all'80% . Tuttavia , in segreto , la SADE fece i suoi esperimenti . Incaricò l ' Istituto di idraulica dell ' Università di Padova , di cui era ed è titolare il prof. Ghetti , di effettuare una prova su modello per misurare , su scala ridotta , gli effetti della caduta del Toc e della tracimazione delle acque del lago oltre la diga . L ' esperimento venne fatto a Nove di Fadalto . Diede risultati sconcertanti , che furono tenuti segreti . In base alla prova effettuata , l ' acqua sarebbe tracimata in misura di 2-3 milioni di metri cubi e il Toc avrebbe franato di 50 milioni di metri cubi di materiale . La notte del 9 ottobre franò per 200 milioni di metri cubi di materiale e tracimò 60 milioni di metri cubi d ' acqua . L ' esperimento , condotto con dovizia di mezzi e da tecnici altamente qualificati , si dimostrò errato . Ma anche se l ' acqua del Vajont fosse precipitata nella misura calcolata sull ' abitato posto sotto la diga , dove si trovava anche la cartiera di Verona sarebbero morte due o trecento persone , nella migliore delle ipotesi . Per la SADE il problema era quello di poter continuare ad utilizzare il bacino , di non interrompere la produzione , quando la montagna sarebbe caduta . L ' invaso del Vajont era il più importante invaso dei collegati Boite - Maè - Piave - Vajont . Era un grosso bacino di riserva le cui acque , venivano avviate ad alimentare la grossa centrale di Soverzene in tempo di « magra » del Piave . Era , perciò , il più importante . Interrompere l ' attività del bacino , sia pure a causa di una grossa , minacciosa frana in movimento , voleva dire perdere miliardi di guadagno . Ormai il bacino era fatto e bisognava utilizzarlo al massimo . Si doveva andare avanti fin che si poteva . E prevedere il modo di utilizzare le acque anche dopo . Per la SADE il rischio valeva la candela . Il monopolio elettrico chiamò dall ' estero varie commissioni di esperti per studiare il problema . Essi consigliarono di costruire un tunnel di scarico sotterraneo , con sbocchi a monte e a valle della diga , nel caso che la montagna , cadendo , formasse due laghi . Erano già in grado di prevedere con esattezza come la caduta del Toc sarebbe avvenuta . La SADE li ascoltò e costruì l ' opera . Nella primavera del 1963 , poco prima del decreto di nazionalizzazione , il lago venne riempito per la prima volta fino a quota 702 metri . Per « precauzione » ci si tenne al di sotto di 20 metri dal massimo livello consentito . Bisogna dire che la commissione di collaudo nominata dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici non collaudò mai l ' impianto del Vajont . Tra gli stessi componenti esistevano opinioni opposte sulla validità dell ' opera fin dall ' autunno 1960 , all ' epoca della caduta della prima frana . Proprio per l ' esistenza di queste opinioni diverse la commissione divenne un organismo permanente , con facoltà di collaudo in corso d ' opera . Ciò voleva dire provare , tentare e vedere . Fino alla primavera del 1963 si erano fatti soltanto tentativi e prove . Il bacino veniva « invasato » di pochi metri alla volta e poi svuotato per misurare la stabilità del terreno . Nell ' estate del 1963 esso appariva colmo d ' acqua . Ma anche in questa occasione il collaudo non ebbe luogo . Il geologo prof. Penta dissentì dagli altri colleghi della commissione , manifestando seri dubbi sulla stabilità futura della zona . Il ministro dei Lavori Pubblici al quale furono presentate le due ipotesi contrarie formulate dai membri della commissione , accolse la più ottimista . E diede parere favorevole al pieno invaso del bacino senza che questo fosse stato mai collaudato dai tecnici . Dopo qualche mese , la spalla sinistra della diga presentò qualche difficoltà . Forse la pressione dell ' acqua era troppo forte . Si corse ai ripari , immettendo continuamente « iniezioni » di cemento nei punti ritenuti più vulnerabili . L ' operazione non risultò di grande sollievo . Bisognava ridurre il livello del lago , per salvare la diga . Riducendo l ' acqua era probabile che cadesse il Toc . La SADE si trovò di fronte a un grosso problema tecnico . Venne presa la decisione di abbassare le acque a ritmo lentissimo , tenendo contemporaneamente d ' occhio la montagna . I tecnici incominciarono a svuotare il lago mentre la frana avanzava , ormai , di 40 centimetri il giorno . Pensavano di poter terminare lo svaso entro la fine di novembre . Un mese prima della catastrofe , il vice - sindaco di Erto , Martinelli , scrisse una allarmante lettera all ' ENEL - SADE , alla Prefettura e al Genio Civile di Udine , esperimento seri dubbi sulla stabilità delle sponde del lago e chiedendo « di provvedere a togliere dal Comune di Erto e Casso le cause dello stato di pericolo pubblico prima che succedano , come in altri paesi , danni riparabili e non riparabili ; quindi mettere la popolazione di Erto in uno stato di tranquillità e di sicurezza e solo dopo rimettere in attività il bacino di Erto » . L ' ENEL - SADE rispondeva dichiarando « piuttosto azzardate » le previsioni del Comune , e asserendo che l ' abitato non correva assolutamente alcun pericolo . Una settimana prima della tragedia i tecnici in servizio sulla diga manifestano apertamente , ai dirigenti , la loro preoccupazione . Sordi boati e scosse del terreno sono all ' ordine del giorno . I tecnici parlano del pericolo anche con gli amici , tramite il filo del telefono : « Qui da un momento all ' altro si va tutti in barca » ; « Sto mangiando e la scodella balla » . Tre giorni prima del disastro l ' ing. Caruso dell ' ENEL , viene delegato a seguire in permanenza l ' andamento della frana . Il geometra Ritmajer che era stato trasferito a Venezia viene bloccato sulla diga . Gli operai addetti ai servizi non vogliono più andare a lavorare . Il vice - sindaco di Longarone , Terenzio Arduini , telefona al Genio Civile di Belluno per essere rassicurato sulle voci di grave pericolo che circola nella zona . Viene rassicurato . Nel pomeriggio del 9 , fino alle ultime ore prima della tremenda valanga d ' acqua , partono per Venezia , sede dell ' ENEL - SADE , drammatiche telefonate dai geometri sulla diga , annunciando l ' imminente pericolo . « Mi lasci vedova » grida la moglie del geometra Giannelli , inutilmente tentando di convincere il marito a non tornare al suo posto di lavoro . Alle ore 21 si risponde al geometra Ritmajer , che tempesta di telefonate la direzione di Venezia , di « dormire con un occhio aperto » ma di stare calmo , che a Venezia non si prevede tanto pericolo . Sempre alle 21 si mandano due carabinieri a Longarone nei villaggi sotto la diga per avvertire la popolazione di non allarmarsi « se dalla diga uscirà un po ' d ' acqua » . Alla stessa ora l ' ing. Caruso chiede ai carabinieri di far bloccare il traffico sulla statale d ' Alemagna , senza preoccuparsi che la strada passa proprio in mezzo al centro abitato di Longarone . Nessuno pensa di far evacuare i paesi . Probabilmente si fidava fin troppo della prova sul modello effettuata dia grandi professori , equivalente al gioco dei bambini che buttano sassi in un catino d ' acqua . Alle 10,45 il Toc frana nel lago , sollevando una paurosa ondata d ' acqua . Questa si alza terribile un centinaio di metri sopra la diga , tracima dalla stessa e piomba di schianto sull ' abitato di Longarone , spazzandolo via dalla faccia della terra . A monte della diga , un ' altra ondata impazzisce violenta da un alto all ' altro della valle , risucchiando dentro il lago interi villaggi . Oltre 2.500 vittime in tre minuti d ' apocalisse . L ' assassinio è compiuto .