StampaQuotidiana ,
In
una
serie
di
scritti
minori
,
che
troveranno
,
spero
,
la
loro
fusione
in
un
libro
che
riuscirà
davvero
fondamentale
,
Sergio
Cotta
affronta
alcuni
dei
problemi
più
sentiti
:
ciò
che
rappresentino
nel
nostro
tempo
giustizia
,
diritto
e
politica
.
Credo
tutti
concordiamo
sulla
equivocità
di
ciascuno
di
questi
termini
:
giacché
la
storia
ci
dimostra
quanto
in
ogni
civiltà
ed
in
ogni
epoca
varii
il
concetto
del
giusto
;
come
la
legalità
possa
essere
posta
al
servizio
così
dei
più
alti
ideali
di
bene
,
come
della
iniquità
più
profonda
(
la
legge
ha
persino
talora
obbligato
il
figlio
a
denunciare
i
genitori
per
le
loro
opinioni
avverse
al
regime
dominante
)
;
la
politica
,
poi
,
dovrebbe
significare
l
'
arte
di
reggere
la
cosa
pubblica
nel
migliore
dei
modi
,
quello
che
comunemente
si
chiama
il
«
modo
giusto
»
(
e
ritorniamo
alle
varie
maniere
con
cui
si
può
concepire
la
giustizia
)
;
ma
è
spesso
interpretata
come
l
'
arte
del
dominio
,
il
modo
di
conquistare
e
conservare
il
potere
.
In
uno
scritto
«
Diritto
e
politica
»
pubblicato
nella
rivista
Justitia
,
Cotta
parte
dal
monito
di
Francesco
Carnelutti
,
negli
ultimi
anni
,
quando
sempre
più
confidava
nella
carità
cristiana
:
«
Sempre
meno
diritto
!
»
:
altamente
significativo
in
chi
era
stato
uno
dei
più
alti
costruttori
del
diritto
positivo
.
Facile
constatare
come
questo
monito
non
sia
stato
raccolto
,
come
il
legislatore
,
pungolato
dai
vari
gruppi
,
prolifichi
sempre
più
nella
creazione
di
nuove
norme
.
Cotta
,
cristiano
convinto
,
riconosce
che
la
legalità
implica
misura
di
diritti
e
di
doveri
;
mentre
la
vita
cristiana
trascende
nella
pienezza
dell
'
amore
,
ogni
contrapposizione
di
diritti
e
di
doveri
(
l
'
esempio
del
dovere
del
povero
di
restituire
al
ricco
ciò
che
ha
ottenuto
in
prestito
,
che
contrasta
alla
carità
cristiana
)
.
Questa
è
però
solo
una
fonte
secondaria
dell
'
antigiuridicismo
ampiamente
oggi
diffuso
specie
tra
i
giovani
,
nel
senso
che
non
si
chiede
più
l
'
applicazione
della
legge
,
quanto
un
continuo
adattamento
di
questa
applicazione
a
quella
che
alle
varie
tendenze
politiche
,
e
così
a
quelle
dominanti
,
sembra
realizzazione
della
giustizia
:
che
viene
poi
a
identificarsi
con
quello
che
a
ciascuno
appare
il
più
equo
assetto
sociale
.
Ora
,
sempre
ci
furono
reciproche
influenze
tra
politica
e
diritto
;
ma
il
diritto
fu
sempre
considerato
il
limite
della
politica
e
non
viceversa
.
Che
la
normativa
abbia
trovato
tradizionale
espressione
nel
termine
legge
,
significa
che
si
riteneva
che
in
questo
termine
confluissero
leggi
giuridiche
,
morali
,
di
natura
,
divine
,
in
una
apertura
che
abbracciasse
l
'
intero
universo
dell
'
uomo
composto
in
una
regolare
armonia
.
L
'
autonomia
del
singolo
dev
'
essere
strumento
necessario
perché
l
'
uomo
non
si
esaurisca
nel
cittadino
.
L
'
idea
di
una
legalità
connessa
soltanto
ad
ordinamenti
politici
,
postula
il
rinnegamento
di
un
diritto
universale
.
L
'
art.
3
della
nostra
Costituzione
,
sacrosanto
principio
di
eguaglianza
,
se
interpretato
,
come
alcuni
vogliono
,
quale
una
gigantesca
clausola
equitativa
,
che
consente
al
giudice
di
giudicare
secondo
equità
,
porta
alla
dissoluzione
dell
'
ordinamento
giuridico
.
Resta
la
norma
Quod
judici
placuit
legis
habeat
vigore
;
viene
meno
il
senso
dell
'
universale
normatività
del
diritto
e
così
la
sicurezza
del
vivere
.
Se
,
come
oggi
,
si
affievolisce
la
solidarietà
civica
ed
in
uno
Stato
si
affermano
diverse
forze
politiche
,
il
legame
giuridico
(
che
dovrebbe
essere
pacificatore
)
attraverso
il
giudice
politicizzante
fa
del
diritto
uno
strumento
di
lotta
;
e
si
perpetua
la
divisione
del
mondo
secondo
nazioni
,
ideologie
,
asserite
verità
in
contrasto
tra
loro
.
Ho
scritto
altre
volte
che
se
tutti
aspirano
alla
giustizia
,
allorché
si
tratti
poi
di
valutare
se
una
legge
od
un
comportamento
siano
o
meno
giusti
,
le
opinioni
appaiono
sempre
disparate
.
Nell
'
articolo
«
Primato
o
complementarità
della
giustizia
?
»
sulla
Rivista
internazionale
di
scienze
giuridiche
Cotta
osserva
che
nell
'
opinione
generalizzata
dell
'
uomo
d
'
oggi
la
giustizia
sovrasta
tutti
gli
altri
valori
ispiratori
che
guidano
l
'
azione
.
(
E
sarei
tratto
a
dire
che
sempre
l
'
uomo
ha
detto
a
parole
di
volere
la
giustizia
,
anche
quando
riteneva
giusto
che
ci
fossero
ceti
privilegiati
,
con
un
trattamento
particolare
,
se
poi
Cotta
non
aggiungesse
che
la
giustizia
di
cui
si
afferma
il
primato
è
intesa
in
una
prospettiva
essenzialmente
politica
;
è
cioè
uno
dei
modi
con
cui
nei
vari
periodi
si
ritenne
o
meno
giusto
un
comportamento
;
oggi
è
la
giustizia
a
vantaggio
dei
più
poveri
)
.
Non
solo
gli
altri
valori
che
un
tempo
apparvero
le
grandi
mire
da
raggiungere
non
valgono
se
non
accompagnati
alla
giustizia
(
libertà
senza
giustizia
=
privilegio
;
sviluppo
senza
giustizia
=
sfruttamento
;
ordine
,
legalità
,
pace
senza
giustizia
=
disordine
,
ipocrisia
,
imposizione
-
scrive
Cotta
)
,
ma
egli
va
oltre
.
Per
un
cattolico
convinto
come
lui
,
la
somma
virtù
è
la
carità
;
ma
,
osservatore
acuto
del
proprio
tempo
,
constata
altresì
che
-
nel
sentire
d
'
oggi
-
carità
senza
giustizia
è
considerata
paternalismo
(
storia
delle
parole
:
divenuta
spregiativa
quella
che
indica
l
'
affetto
protettivo
del
padre
verso
i
figli
)
,
sentimentalismo
.
Carità
,
libertà
,
sviluppo
apparvero
valori
che
dovessero
segnare
le
direttive
della
umanità
in
epoche
relativamente
a
noi
vicine
.
Ma
il
primato
della
libertà
si
è
iscritto
in
una
visione
ottimistica
,
che
non
ha
riscontro
nella
realtà
,
e
conduce
alla
selezione
del
migliore
,
del
più
atto
.
Lo
sviluppo
esige
ordinamento
,
limitazione
della
libertà
di
ciascuno
,
e
si
iscrive
nel
quadro
di
un
economismo
utilizzante
;
e
si
è
visto
che
favorisce
i
paesi
ed
i
ceti
più
sviluppati
,
va
a
ritmo
rallentato
per
i
più
poveri
.
Ma
la
carità
?
Come
avviene
che
tanti
cristiani
sembrino
subordinarla
alla
incidenza
sociale
della
giustizia
?
«
Il
fatto
è
che
la
carità
è
pazienza
,
sopportazione
,
sacrificio
e
rischio
accettati
gioiosamente
:
tutto
perdona
e
nulla
pretende
»
;
riflette
un
'
idea
tutta
propria
e
singolare
della
dignità
umana
,
che
non
si
esprime
nella
rivendicazione
dei
propri
diritti
,
bensì
nel
dono
e
nel
perdono
fino
al
sacrificio
di
sé
.
Ma
se
posso
tollerare
il
torto
fatto
a
me
,
posso
tollerare
quello
fatto
agli
altri
?
Essa
non
dà
la
sicurezza
,
e
non
riconosce
una
eguale
dignità
per
tutti
.
Ma
Cotta
,
mentre
constata
che
il
primato
della
giustizia
supera
il
soggettivismo
ed
il
volontarismo
nel
fare
,
l
'
economismo
puro
,
il
dono
-
sacrificio
,
riconosce
che
la
giustizia
di
cui
oggi
si
afferma
il
primato
è
intesa
in
una
prospettiva
essenzialmente
politica
:
è
contrapposta
non
solo
alla
legge
positiva
,
ma
alla
categoria
del
giuridico
,
là
dove
strutturalmente
diritto
e
giustizia
non
differiscono
.
La
espressione
«
giustizia
sociale
»
designa
l
'
ordine
armonioso
di
una
comunità
;
ma
quest
'
ordine
può
essere
contrapposto
a
quello
di
un
'
altra
(
penso
al
sentire
della
comunità
svizzera
rispetto
ai
bisogni
delle
comunità
più
povere
)
.
Per
sostenere
il
primato
della
giustizia
occorre
considerarla
in
una
dimensione
universale
,
ed
allora
non
può
essere
attuata
che
attraverso
il
diritto
:
la
vecchia
concezione
del
diritto
,
non
equivalente
a
legge
nazionale
,
ma
agli
eterni
concetti
di
giusto
e
d
'
ingiusto
,
non
può
realizzarsi
che
mediante
la
giuridicità
.
Senza
di
questa
non
riusciremo
mai
ad
attuare
la
giustizia
:
chi
amministrerà
la
comunità
in
cui
essa
si
realizza
?
Chi
proteggerà
dai
violenti
,
che
sempre
esisteranno
?
Fissato
una
volta
un
ordine
armonioso
e
globale
,
poiché
né
lo
sviluppo
,
né
la
tecnica
si
arrestano
,
senza
un
ordine
giuridico
esso
o
degenererebbe
,
o
esigerebbe
l
'
arresto
di
ogni
altro
fattore
.
San
Paolo
non
è
superato
,
non
siamo
all
'
epoca
post
-
cristiana
,
se
non
per
chi
non
ha
una
concezione
anarcoide
del
cristianesimo
primitivo
:
ma
San
Paolo
è
completato
dalla
filosofia
greca
(
le
cui
grandi
linee
ben
conosceva
)
:
la
giuridicità
condizione
necessaria
per
l
'
attuazione
della
giustizia
.