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IERI E DOMANI. EQUILIBRI MONDIALI ( Spadolini Giovanni , 1972 )
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Nella migliore delle ipotesi , il presidente del consiglio Colombo incontrerà fra poche settimane il presidente Nixon - dopo Pompidou , Heath e Brandt - avendo alle spalle un retroterra politico carico di incertezze e di inquietudini . Il suo governo sarà e non sarà in crisi ; il disimpegno repubblicano ne accentuerà la precarietà senza magari superare il limite di rottura : i socialisti del Psi avranno tutto l ' interesse - parole e rimbrotti a parte - a guadagnare tempo e ad arrivare alla scadenza del loro difficile congresso nazionale fissato per la fine di febbraio ; la socialdemocrazia dovrà adeguarsi al rientro di Saragat e ripensare una nuova strategia ... E intanto i grandi problemi internazionali si allargano e si complicano , in sfere interessanti direttamente o indirettamente l ' Italia , senza che la nostra politica estera , pur nei limiti ben precisi assegnati al nostro paese , possa elevarsi a quel tono cui la abiliterebbe una situazione di stabilità e di compattezza democratica , ben oltre la nevrosi che caratterizza lo schieramento delle forze politiche . L ' anno che è finito da poche ore ha visto profondi e radicali rivolgimenti negli equilibri mondiali . In primo luogo : la fine della « diarchia » russo - americana , la sostituzione di un nuovo , e precario , e oscillante equilibrio tripolare a quello che era l ' assetto bipolare scaturito da Yalta , base di tutte le tensioni della guerra fredda ma anche di tutti i ripiegamenti della convivenza pacifica . Gli Stati Uniti hanno aperto alla Cina , e non solo attraverso le squadre di ping - pong ; fra due mesi la visita del presidente Nixon a Pechino consacrerà il nuovo meditato indirizzo della Casa Bianca , in un clima di lancinanti contraddizioni , che vede insieme la ripresa dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord - alleato del comunismo cinese - e le offerte di collaborazione militare del regime di Mao ai colonnelli sconfitti del Pakistan - supremo modello del feudalesimo asiatico . Tutti i miti sono crollati nel corso di questo 1971; tutte le illusioni sono state smentite . Dopo la rapida e crudele guerra indo - pakistana , nessuno crederebbe più al mito di Bandung , al mito di un terzo mondo svincolato dalla logica ferrea delle grandi potenze e quindi portatore di valori di pace , di fraternità , di coesistenza . L ' India erede del messaggio di Gandhi ha operato con la stessa logica severa e spietata dello Stato di Israele , ma senza nessuna delle giustificazioni storiche , di elementare sopravvivenza , che spiegano gli atteggiamenti e alimentano le intransigenze della Gerusalemme ebraica . Gli stessi schemi dei blocchi internazionali sono stati rovesciati : in omaggio al recente trattato di alleanza con Nuova Delhi , la Russia ha coperto l ' aggressione indiana , ha paralizzato l ' Onu per quattordici giorni , ha evitato , col ricorso al diritto di veto , che il Consiglio di Sicurezza potesse imporre una tregua alle ostilità prima dell ' ingresso delle truppe della signora Gandhi a Dacca . La Cina ha sostenuto il Pakistan , ma senza poter superare le barriere di neve dell ' Himalaia e l ' obiettivo squilibrio delle forze con l ' Urss . Cinesi e americani si sono trovati sullo stesso fronte , un fronte impotente , al palazzo di vetro . Il volto dell ' Onu è uscito trasformato dall ' esperienza dell ' anno . La Cina di Mao ha preso il posto di un vecchio e fedele alleato di Washington , Formosa , senza che le proteste americane superassero il limite del cartellone , dello spettacolo . La tribuna dell ' organizzazione internazionale ha immediatamente visto il divampare del contrasto russo - cinese in forme che hanno fatto dimenticare , o impallidire , gli episodi più aspri dell ' antagonismo russo - americano negli anni cupi della guerra fredda . È stato il crollo delle ideologie . L ' Unione Sovietica ha abbandonato ogni residua superstizione di « universalismo proletario » , ha liquidato ogni fedeltà , anche di facciata , alla tradizione leninista dell ' alleanza dei paesi poveri contro i paesi ricchi , delle nazioni proletarie contro quelle capitaliste e « sfruttatrici » . La pressione sui paesi comunisti dell ' Est europeo si è accentuata : sia pure con una tecnica più sfumata e articolata di quella sperimentata a Praga , con l ' uso dei carri armati sovietici , e sanzionata dal recentissimo plebiscito elettorale del 99 per cento , sul modello staliniano dei vecchi tempi . Le indocilità romene sono state domate ; la Jugoslavia è stata tenuta a freno - e quale freno ! - con le minacce del separatismo croato alternate ai fermenti di dissidenza nella stessa classe dirigente del partito comunista . Dalla parte opposta gli Stati Uniti hanno attenuato , per ragioni talvolta anche fondate e comprensibili , l ' impegno globale della loro politica , sia nell ' Atlantico sia nel Pacifico , hanno dato l ' impressione di una svolta verso un « isolazionismo » almeno psicologico . Alleati tradizionali , come il Giappone , sono stati messi in gravi difficoltà . La politica di apertura della Germania federale verso la Russia - la Ostpolitik di Brandt - ha potuto superare alcune tappe senza un vero condizionamento americano . Se non fosse stato per il provvido incontro delle Azzorre fra Nixon e Pompidou e per il compromesso che ne è scaturito circa la svalutazione del dollaro , la stessa tempesta monetaria di mezzo agosto avrebbe finito per compromettere gravemente i rapporti fra Stati Uniti e mondo europeo , vanificando i vincoli formali di un patto atlantico che si distacca sempre più dallo spirito e dalle convinzioni dei suoi aderenti . Occorre riconoscere che l ' Italia , e la diplomazia italiana , si sono comportate con sagacia e coerenza nell ' intera vicenda della crisi monetaria : in una posizione costantemente e consapevolmente tesa a superare i motivi di contrasto o di rottura fra Europa e Stati Uniti . E con i risultati di cui tutti i nostri soci hanno beneficiato , ma di cui non poco merito deve essere attribuito ai titolari della nostra politica estera ed economica . Le scadenze di domani trascendono ormai la dimensione monetaria e il pur grave problema degli scambi internazionali , avviato a soluzione dalla cancellazione della iniqua sovrattassa americana . Quello che è in giuoco , nel rimescolamento degli equilibri mondiali , è il ruolo dell ' Europa . Nixon assegnò al nostro continente la funzione di « quarto grande » quando elaborò , sulla guida di Kissinger , la strategia di apertura a Pechino e la via degli assetti tripolari . Senonché quel ruolo deve essere conquistato , e diciamolo pure riconquistato , attraverso gli sforzi e i sacrifici di tutti gli europei . Nulla deriva più dal diritto divino e tanto meno dal diritto della tradizione . L ' Europa sarà una realtà viva nella misura in cui vorrà esserlo : a cominciare dall ' Italia .