StampaQuotidiana ,
La
Camera
ha
votato
quasi
senza
discutere
i
pieni
poteri
al
governo
.
Dopo
il
voto
di
fiducia
al
ministero
,
che
tenne
a
presentarsi
alla
Camera
come
un
ministero
sorto
fuori
sopra
e
contro
ogni
designazione
parlamentare
,
la
sua
discussione
era
diventata
superflua
.
Del
resto
la
Camera
,
prima
di
accordare
al
governo
i
pieni
poteri
,
cioè
prima
di
sottoscrivere
l
'
atto
di
abdicazione
alle
sue
più
gelose
prerogative
,
si
era
autoesautorata
dimostrando
durante
tre
anni
di
non
saper
fare
alcun
uso
di
quelle
prerogative
e
rifiutandosi
costantemente
di
collaborare
con
qualsiasi
governo
per
il
bene
del
Paese
.
L
'
interesse
del
Paese
era
completamente
esulato
dall
'
aula
di
Montecitorio
e
ad
esso
era
stato
sostituito
l
'
interesse
,
anzi
gli
interessi
divergenti
dei
vari
partiti
e
delle
varie
fazioni
,
che
paralizzavano
ogni
azione
del
Parlamento
e
del
governo
.
Impotente
a
creare
e
a
muoversi
in
una
situazione
di
diritto
era
logico
e
necessario
che
la
Camera
dei
deputati
dovesse
accettare
una
situazione
di
forza
o
almeno
una
situazione
di
superiore
diritto
che
le
era
imposta
dalla
concorde
volontà
del
governo
e
del
Paese
.
La
Camera
,
che
non
aveva
osato
contrapporre
neppure
una
timida
protesta
alla
soluzione
extraparlamentare
della
crisi
,
non
poteva
più
rimettere
in
discussione
il
problema
del
governo
e
contrastare
al
governo
il
diritto
di
governare
nel
solo
modo
,
che
per
sua
colpa
era
ancora
possibile
,
soffermandosi
a
discettare
sulla
natura
e
sui
limiti
dei
pieni
poteri
.
Più
libero
e
meno
compromesso
dalla
sua
precedente
azione
era
invece
il
Senato
,
nel
quale
infatti
molti
oratori
hanno
fatto
largo
uso
del
loro
diritto
di
critica
.
Il
senatore
Albertini
soprattutto
si
è
fatto
portavoce
nel
Senato
di
quello
stato
d
'
animo
d
'
insoddisfazione
e
di
insofferenza
,
che
è
in
molti
,
per
l
'
urto
troppo
violento
che
tutto
un
sistema
d
'
idee
e
di
sentimenti
,
nel
quale
si
erano
placidamente
adattati
,
è
venuto
a
subire
con
l
'
avvento
del
Governo
Nazionale
.
Tale
stato
d
'
animo
,
che
nell
'
altro
ramo
del
Parlamento
non
avrebbe
potuto
manifestarsi
decorosamente
,
che
sotto
forma
di
una
fiera
protesta
,
assai
pericolosa
per
le
sue
conseguenze
,
poteva
invece
manifestarsi
nel
Senato
in
forma
di
blanda
ed
innocua
riserva
.
E
ciò
ha
fatto
con
molto
tatto
il
senatore
Albertini
,
il
quale
si
è
affrettato
a
dichiarare
che
le
sue
critiche
alle
origini
del
nuovo
governo
non
miravano
ad
uno
scopo
pratico
,
a
scuotere
cioè
la
fiducia
che
si
deve
avere
nel
nuovo
governo
per
l
'
opera
di
ricostruzione
necessaria
da
esso
iniziata
,
ma
soltanto
all
'
appagamento
di
un
obbligo
della
sua
coscienza
di
liberale
,
ferita
dal
modo
tenuto
dall
'
on
.
Mussolini
nel
dare
finalmente
un
governo
alla
Nazione
,
che
da
molti
anni
ne
era
priva
per
la
mala
volontà
del
Parlamento
.
Il
senatore
Albertini
in
sostanza
ha
detto
che
,
pure
approvando
il
fine
,
la
sua
coscienza
non
può
approvare
il
mezzo
adoperato
dall
'
on
.
Mussolini
.
Ora
in
questo
caso
di
coscienza
del
senatore
Albertini
sta
tutta
l
'
impotenza
del
patriottismo
liberale
.
Volere
un
governo
forte
e
volere
che
questo
governo
sia
l
'
espressione
del
Parlamento
,
quando
l
'
esperienza
ha
chiaramente
dimostrato
che
non
un
tale
governo
,
ma
un
governo
qualsiasi
il
Parlamento
è
incapace
di
dare
,
significa
volere
ci
si
passi
il
proverbio
volgare
la
botte
piena
e
la
moglie
ubbriaca
.
Sono
proprio
gli
scrupoli
del
senatore
Albertini
quelli
che
in
Italia
hanno
permesso
per
tanti
anni
alla
demagogia
di
sabotare
la
funzione
di
governo
.
È
un
pezzo
che
ci
sentiamo
ripetere
la
canzoncina
che
la
forma
parlamentare
è
quanto
di
meglio
sia
stato
trovato
a
presidio
della
volontà
e
della
libertà
dei
popoli
;
e
che
una
Camera
vale
sempre
più
di
un
'
anticamera
.
Ma
a
tutte
queste
belle
massime
il
popolo
italiano
contrappone
la
visione
della
realtà
del
suo
Parlamento
,
che
è
diventato
il
principale
e
forse
l
'
unico
ostacolo
alla
sua
salvezza
.
Padronissimo
il
senatore
Albertini
di
ritenere
che
vale
più
l
'
ossequio
alle
buone
norme
parlamentari
che
il
pareggio
del
bilancio
.
Ma
se
tutti
la
pensassero
come
lui
,
se
tutti
cioè
anteponessero
il
mezzo
al
fine
o
scambiassero
l
'
uno
con
l
'
altro
,
sarebbe
salvo
forse
il
Parlamento
,
ma
perirebbe
l
'
Italia
,
o
,
come
forse
è
più
verosimile
,
l
'
uno
precipiterebbe
con
l
'
altra
.
La
verità
è
che
le
istituzioni
non
sono
buone
o
cattive
in
se
stesse
,
ma
in
quanto
rispondono
ai
loro
fini
,
che
sono
quelli
di
assicurare
al
popolo
un
buon
governo
.
E
quanto
al
Parlamento
anche
noi
riteniamo
che
sia
uno
strumento
utile
nel
sistema
costituzionale
,
per
assicurare
una
migliore
forma
di
governo
,
ma
a
patti
che
esso
non
perda
la
coscienza
dei
propri
limiti
e
che
,
quando
la
perda
,
vi
sia
una
forza
che
ve
lo
riconduce
.
Ora
in
Italia
non
si
è
ancora
formata
una
coscienza
parlamentare
sanamente
nazionale
,
che
è
il
presupposto
istituzionale
della
sovranità
parlamentare
;
epperò
scosse
come
queste
ultime
o
come
quella
che
venne
dal
Re
in
persona
col
proclama
di
Moncalieri
,
sono
ancora
non
soltanto
possibili
,
ma
necessarie
e
utili
anche
costituzionalmente
.
La
stessa
costituzione
inglese
,
che
è
la
più
rigidamente
parlamentare
,
non
si
è
formata
in
un
solo
giorno
ed
ha
avuto
anche
le
sue
giornate
burrascose
,
prima
di
diventare
quel
meccanismo
giuridico
,
morale
e
psicologico
perfetto
che
è
oggi
.
Se
il
senatore
Albertini
avesse
considerato
quanto
è
avvenuto
come
un
momento
del
processo
di
formazione
della
nostra
costituzione
,
egli
avrebbe
sentito
sanguinare
meno
la
sua
coscienza
di
liberale
,
per
la
ferita
che
le
è
stata
inferta
dall
'
on
.
Mussolini
.
D
'
altra
parte
se
il
senatore
Albertini
ammette
la
bontà
del
fine
nella
soluzione
dell
'
on
.
Mussolini
,
e
riprova
soltanto
il
mezzo
,
egli
sarebbe
tenuto
a
dimostrare
in
modo
preciso
che
esistevano
altri
mezzi
per
raggiungere
lo
stesso
fine
.
Invece
il
senatore
Albertini
accenna
solo
fugacemente
alla
possibilità
di
arrivare
al
governo
fascista
,
o
appagandosi
in
un
primo
tempo
di
una
larga
partecipazione
fascista
ad
un
Ministero
di
transizione
,
per
poi
arrivare
al
predominio
dopo
le
elezioni
;
ovvero
di
rendere
inevitabile
un
governo
di
Mussolini
,
rifiutandosi
di
partecipare
ad
una
soluzione
Giolitti
,
Salandra
ed
Orlando
.
Ora
basta
accennare
a
queste
possibilità
di
soluzioni
puramente
parlamentari
per
capire
che
esse
non
avevano
alcuna
probabilità
di
successo
,
appunto
perché
parlamentari
.
Sul
terreno
parlamentare
infatti
l
'
elemento
popolare
e
l
'
elemento
socialista
avrebbero
conservata
intatta
la
loro
efficienza
e
avrebbero
mandato
a
monte
o
reso
precaria
qualsiasi
soluzione
fascista
.
D
'
altro
canto
non
si
trattava
affatto
di
risolvere
la
crisi
con
la
formazione
di
un
ministero
con
partecipazione
fascista
o
composto
di
soli
fascisti
,
ma
di
arrivare
alla
costituzione
di
un
governo
forte
:
di
un
governo
cioè
che
potesse
ottenere
dalla
Camera
i
pieni
poteri
e
farle
votare
la
riforma
elettorale
prima
di
scioglierla
.
Ora
sarebbe
stato
di
ciò
capace
un
ministero
,
sia
pure
presieduto
da
Mussolini
,
ma
sorto
per
trattative
parlamentari
e
per
via
di
esclusione
?
A
un
ministero
simile
,
se
avesse
voluto
mantenersi
nella
legalità
,
non
sarebbe
rimasta
altra
risorsa
,
fuorché
lo
scioglimento
della
Camera
,
prima
di
attuare
qualsiasi
riforma
elettorale
.
Diversamente
avrebbe
dovuto
ricorrere
a
mezzi
extralegali
e
violenti
.
Ora
è
infinitamente
vero
che
l
'
uso
della
forza
sia
venuto
direttamente
dalla
Nazione
che
non
dal
governo
.
Il
conflitto
fra
governo
e
Camera
è
assai
più
difficile
a
sanare
dato
che
non
convenga
,
per
difetto
del
sistema
elettorale
,
ricorrere
alle
elezioni
che
quello
fra
Camera
e
Paese
.
Tutto
considerato
,
i
mezzi
parlamentari
suggeriti
dal
senatore
Albertini
non
avrebbero
sortito
che
uno
dei
due
effetti
:
o
sciupare
per
sempre
il
fascismo
o
prorogare
,
rendendola
infinitamente
più
aspra
e
pericolosa
,
la
soluzione
violenta
.
La
verità
è
che
quando
il
fine
è
buono
e
il
mezzo
è
necessario
,
anche
il
mezzo
è
legittimo
.
StampaQuotidiana ,
Per
una
singolare
ironia
delle
cose
,
che
colorisce
con
un
tono
sinistramente
beffardo
la
realtà
economica
e
sociale
del
nostro
paese
,
l
'
Italia
si
trova
ancora
oggi
,
verso
la
fine
di
questo
gennaio
del
1921
,
mentre
la
fase
terminale
della
crisi
di
liquidazione
postbellica
batte
spaventosamente
alle
nostre
porte
,
alle
prese
col
fantasma
disgregatore
che
i
dissolvitori
delle
più
sane
energie
nazionali
hanno
animato
durante
le
recenti
convulsioni
sociali
del
paese
,
col
menzognero
ed
illusorio
proposito
di
tutelare
gli
interessi
delle
maestranze
operaie
,
col
solo
risultato
concreto
,
invece
,
di
fare
definitivamente
il
danno
totale
di
tutti
i
cittadini
,
borghesia
e
proletariato
insieme
compresi
.
Le
recentissime
vicende
dell
'
ottobre
e
del
novembre
sono
ancora
fresche
nella
memoria
di
tutti
,
per
indicare
i
gravissimi
danni
che
il
fantasma
dissolvitore
del
controllo
operaio
sulle
industrie
procura
,
con
il
fatto
del
suo
semplice
apparire
,
alla
vita
della
Nazione
.
Per
quanto
ristretta
nel
semplice
campo
della
metallurgia
e
della
meccanica
,
e
per
quanto
sviluppatasi
in
un
momento
in
cui
la
situazione
economica
mondiale
non
precipitava
ancora
verso
la
dégringolade
terminale
,
la
crisi
delineatasi
in
quei
due
mesi
,
susseguenti
al
decreto
con
cui
l
'
on
.
Giolitti
si
impegnò
a
presentare
alla
Camera
un
progetto
di
controllo
sulle
industrie
,
è
ancor
viva
nella
memoria
d
'
ognuno
.
Arresto
netto
di
ogni
produzione
;
indisciplina
nelle
fabbriche
;
sfiducia
degli
imprenditori
;
pronostici
estremamente
pessimisti
per
il
più
prossimo
avvenire
.
Il
più
semplice
accenno
vago
e
generico
quanto
mai
al
controllo
sulle
industrie
aveva
provocato
tutto
questo
.
E
se
la
situazione
migliorò
poi
un
poco
verso
la
fine
di
novembre
,
questo
fu
dovuto
all
'
universale
convincimento
che
di
fronte
agli
inconvenienti
ed
alle
ripercussioni
gravissime
della
crisi
appena
minacciata
del
controllo
operaio
,
frutto
di
una
ventata
di
follia
dissolvitrice
,
non
se
ne
dovesse
parlare
più
.
Il
disinteresse
con
cui
fu
accolto
il
fallimento
della
commissione
paritetica
,
sembrò
avvalorare
questa
generale
e
diffusa
convinzione
.
Per
iniziativa
invece
della
demagogia
di
governo
,
per
iniziativa
del
Presidente
del
Consiglio
e
del
Ministro
dell
'
Industria
,
la
vita
economica
italiana
viene
invece
improvvisamente
posta
allo
sbaraglio
,
e
sottoposta
alle
terribili
conseguenze
di
una
crisi
generale
di
sfiducia
mediante
la
presentazione
di
un
progetto
governativo
di
controllo
sindacale
,
col
quale
un
consesso
unilaterale
,
composto
di
soli
rappresentanti
delle
maestranze
,
avrebbe
il
diritto
di
controllo
su
ogni
ramo
d
'
industria
.
Non
si
tratta
di
consigli
nazionali
intendiamoci
bene
in
cui
industriali
ed
operai
siano
pariteticamente
rappresentati
.
Si
tratta
di
una
adesione
del
governo
alla
seconda
parte
del
progetto
socialista
,
che
dovrà
costituire
,
mediante
il
controllo
superiore
delle
sole
maestranze
su
ogni
ramo
d
'
industria
,
l
'
avviamento
alla
costituzione
di
un
ordinamento
industriale
socialcomunista
.
Si
tratta
di
un
progetto
che
,
appena
conosciuto
negli
ambienti
della
produzione
italiana
,
non
mancherà
di
diffondervi
il
più
vivo
panico
,
e
risuscitarvi
,
centuplicata
,
la
più
aperta
sfiducia
,
riaggravando
la
crisi
psicologica
,
arrestando
ogni
possibilità
di
superare
con
spirito
di
buona
volontà
,
di
fiduciosa
rassegnazione
,
i
giorni
bui
della
veniente
crisi
.
Perché
questo
è
,
appunto
,
l
'
aspetto
peculiare
della
situazione
creata
dalla
mossa
improvvisa
dell
'
on
.
Alessio
.
Avremo
campo
di
dimostrare
partitamente
le
enormità
del
progetto
ieri
presentato
:
da
quelle
che
riguardano
la
funzione
puramente
passiva
e
consultiva
,
senza
diritto
di
voto
,
che
i
due
rappresentanti
industriali
hanno
,
di
fronte
ai
nove
rappresentanti
del
personale
,
nelle
commissioni
di
controllo
,
alle
altre
che
creano
nella
fabbrica
due
nuovi
padroni
,
nelle
persone
dei
delegati
operai
delle
Commissioni
di
controllo
,
o
che
impongono
di
rivelare
elementi
estremamente
gelosi
della
vita
delle
aziende
,
quali
il
costo
e
i
metodi
della
produzione
.
Ma
oggi
,
prima
di
ogni
altro
,
s
'
impone
di
dire
chiaramente
al
Paese
che
,
comunque
costruito
e
architettato
dalla
fervida
fantasia
dei
riformatori
,
il
controllo
operaio
nelle
aziende
,
riducendo
al
minimo
l
'
autonomia
,
la
fiducia
in
se
stessi
,
la
prontezza
e
la
libertà
nel
provvedere
,
di
ogni
capo
di
azienda
industriale
,
costituisce
in
quest
'
ora
estremamente
grave
il
più
grave
colpo
portato
alla
malsicura
compagine
economica
del
paese
.
I
giornali
sono
zeppi
delle
notizie
sui
disastri
finanziari
,
sugli
arresti
di
lavoro
,
sulla
enorme
disoccupazione
,
sullo
svalutamento
degli
stocks
di
merci
,
che
preoccupano
oggi
gli
Stati
Uniti
e
l
'
Inghilterra
.
La
«
ondata
di
ribasso
»
,
ha
già
cominciato
a
provocarvi
le
sue
terrificanti
conseguenze
.
In
Italia
,
il
rincaro
dei
cambi
,
che
dopo
aver
fatto
tanto
male
fa
ora
un
pochino
di
bene
,
attenua
la
velocità
della
crisi
;
ma
questa
è
imminente
ed
inevitabile
,
ed
i
suoi
effetti
si
concretano
nei
fai
307
limenti
per
centinaia
di
milioni
,
già
avvenuti
e
pronosticati
sulle
principali
piazze
.
Fra
tre
o
quattro
mesi
la
crisi
si
sfrenerà
certo
implacabilmente
.
Orbene
,
è
in
questa
situazione
,
nella
quale
il
paese
ha
bisogno
di
salvaguardare
fino
al
millesimo
le
sue
possibilità
di
credito
,
che
proprio
il
Governo
del
Re
,
che
non
è
capace
di
imporre
la
parificazione
del
prezzo
del
pane
alle
condizioni
del
mercato
,
si
fa
promotore
di
una
legge
che
gettando
la
produzione
sulla
via
del
dissolvimento
bolscevico
annulla
totalmente
ogni
credito
che
il
lavoro
italiano
ha
nel
mondo
civile
.
È
di
ieri
la
notizia
che
gli
industriali
francesi
,
pur
così
ricchi
di
materie
prime
e
di
risorse
d
'
ogni
genere
,
hanno
rigettato
ogni
progetto
di
controllo
,
ritenendolo
esiziale
:
e
questo
,
con
l
'
adesione
del
governo
della
Repubblica
.
In
Italia
,
invece
,
proprio
da
parte
dei
pubblici
poteri
,
viene
contro
un
'
industria
che
priva
di
materie
prime
,
obbligata
a
pagare
a
prezzi
enormi
il
proprio
combustibile
,
isolata
dai
grandi
mercati
sta
oggi
,
di
fronte
alla
minaccia
della
crisi
mondiale
,
sull
'
orlo
del
fallimento
,
viene
oggi
,
diciamo
,
il
colpo
definitivamente
annientatore
:
quello
che
,
creando
per
ogni
ramo
d
'
industria
sotto
la
tutela
dello
Stato
un
consiglio
unilaterale
di
operai
,
autorizzato
a
dettar
legge
mediante
suoi
fiduciari
in
ogni
singola
impresa
,
toglie
ogni
libertà
agli
industriali
che
volessero
provvedere
con
alacrità
alla
attenuazione
della
prossima
crisi
,
e
toglie
ad
essi
rendendoli
mancipii
alle
loro
maestranze
ogni
volontà
ed
ogni
energia
morale
,
necessarie
a
guidarli
nella
necessaria
ricostruzione
.
Toglie
,
cioè
,
al
nostro
paese
,
l
'
unica
energia
che
poteva
non
farci
disperare
dell
'
avvenire
.
StampaQuotidiana ,
E
non
è
proprio
un
sogno
!
!
Abbiamo
assistito
ai
funerali
del
Conte
Camillo
Cavour
.
E
in
verità
,
quantunque
le
lagrime
che
ci
si
sgroppano
dal
cuore
attestino
questa
tremenda
realtà
,
non
sappiamo
ancora
persuaderci
che
lo
spettacolo
,
a
cui
abbiamo
assistito
,
non
sia
stato
che
una
tetra
fantasmagoria
.
Pur
troppo
,
era
il
Conte
di
Cavour
che
era
chiuso
là
in
quella
bara
,
ch
'
era
portato
via
su
quel
carro
parato
di
nero
.
Chi
sa
darci
ragione
di
questi
supremi
decreti
?
Una
vita
così
necessaria
e
preziosa
spenta
come
quella
di
un
altro
uomo
qualunque
!
!
Una
vita
che
fa
piangere
tutta
l
'
Italia
,
spenta
come
quella
di
tanti
inutili
che
brulicano
a
fastidio
della
patria
!
!
Solo
,
che
mentre
di
costoro
non
se
ne
darebbe
per
avvisato
nemmeno
il
loro
vicino
di
casa
,
per
quest
'
uomo
si
commuove
tutta
l
'
Europa
Civile
,
e
si
paralizza
nell
'
immenso
dolore
tutta
intera
una
Nazione
per
lui
solo
risorta
.
Povera
Italia
!
Egli
che
t
'
ha
presa
per
mano
,
che
ti
mostrò
a
chi
ti
sconfessava
,
che
gridò
incessantemente
a
tutti
e
dappertutto
,
perché
si
persuadessero
che
sei
viva
,
e
nobile
,
e
grande
,
e
che
non
meritavi
quindi
di
restartene
in
eterno
sepolta
;
Egli
che
ti
ha
portata
tant
'
alto
che
tutto
il
mondo
ora
ti
confessa
e
ti
onora
;
Egli
che
ti
ha
condotta
fino
alle
porte
del
Campidoglio
....
nel
mentre
stava
battendo
per
farti
entrare
,
è
morto
.
Ed
è
proprio
lui
quello
che
ieri
hai
veduto
portare
su
quel
carro
tirato
da
sei
bruni
cavalli
,
tutti
bardati
di
nero
!
E
quel
carro
era
preceduto
dalla
prode
nostra
armata
,
la
quale
portava
velate
a
bruno
quelle
bandiere
,
che
,
sovra
un
terreno
di
lunga
mano
da
lui
apparecchiato
,
s
'
eran
coperte
di
gloria
.
E
quella
nobile
armata
si
chiama
italiana
per
lui
!
!
!
Oh
aveva
ragione
d
'
essere
sì
mesta
!
Poi
veniva
tutta
intera
la
guardia
nazionale
,
palladio
delle
nostre
libertà
da
lui
così
onestamente
,
energicamente
difesa
;
e
non
vi
era
un
milite
che
avesse
potuto
snebbiar
la
sua
fronte
dalla
profonda
mestizia
che
siedeva
su
tutti
i
volti
.
E
la
salma
di
quest
'
Uomo
,
che
avea
coll
'
eloquenza
della
sua
parola
fatta
superba
la
Nazione
di
possederlo
,
passava
muta
in
mezzo
a
quei
senatori
e
deputati
,
che
furono
tante
volte
spettatori
estatici
dei
suoi
trionfi
,
che
subirono
tante
volte
il
fascino
della
sua
stragrande
potenza
.
Ed
ora
non
parla
più
.
Seguivano
la
guardia
nazionale
,
le
corporazioni
religiose
,
e
stavano
intorno
al
carro
i
ministri
e
presidenti
delle
due
Camere
,
coi
cavalieri
dell
'
Ordine
supremo
dell
'
Annunziata
.
Un
araldo
portava
sopra
un
cuscino
il
Collare
Supremo
del
defunto
.
Poi
venivano
i
cavalieri
dell
'
Ordine
,
gli
aiutanti
di
campo
del
Re
e
dei
Reali
Principi
,
i
Gran
Dignitari
dello
Stato
,
i
senatori
e
deputati
,
il
Consiglio
di
Stato
,
la
Corte
dei
Conti
,
la
Corte
d
'
Appello
,
il
Municipio
,
il
Corpo
Universitario
,
ed
i
Ministri
degli
Esteri
e
della
Marina
,
con
una
turba
infinita
di
altri
funzionari
.
Seguivano
quindi
la
Società
degli
Operai
di
Torino
,
in
corpo
con
bandiera
,
e
le
deputazioni
degli
Operai
tipografi
di
Milano
,
delle
Scuole
tecniche
con
bandiera
,
degli
Operai
di
Alessandria
,
di
Voghera
,
di
Caselle
,
di
Parma
,
le
Società
dei
Pristinai
di
Torino
,
dei
Cuochi
e
Camerieri
,
degli
Operai
delle
Strade
Ferrate
,
e
da
ultimo
l
'
Emigrazione
Veneta
e
Romana
,
ed
una
immensa
falange
di
volontari
garibaldini
,
tutti
colle
loro
bandiere
abbrunate
e
tutti
indistintamente
col
dolore
scolpito
sul
viso
.
Il
funebre
corteo
era
aperto
e
chiuso
da
un
picchetto
dei
Cavalleggeri
Ussari
di
Piacenza
e
percorse
l
'
itinerario
già
preventivamente
segnato
dagli
annunzi
ufficiali
.
Le
salve
dell
'
artiglieria
rompevano
a
larghi
intervalli
le
marce
funebri
delle
bande
dei
varii
Corpi
militari
,
e
lungo
tutto
lo
stradale
per
cui
passava
pendevano
dalle
finestre
le
brune
gramaglie
,
là
d
'
onde
ancor
ieri
l
'
altro
ondeggiavano
i
festoni
orifiamma
di
quella
prima
festa
,
che
solennizzava
la
Nazione
da
Cavour
unificata
.
E
compiuta
la
festa
,
il
Conte
Cavour
moriva
come
chi
avesse
tutto
compiuto
.
Il
tempo
,
durante
la
marcia
del
funebre
convoglio
,
pioveva
a
dirotto
.
Pure
la
popolazione
erasi
tutta
versata
sulle
vie
a
dar
l
'
estremo
saluto
a
Cavour
.
E
tutta
quella
gran
calca
di
gente
,
tutti
quei
grandi
dignitari
,
tutte
quelle
illustrazioni
della
Nazione
seguivano
il
feretro
come
se
a
tutti
nel
Conte
Cavour
fosse
mancato
il
padre
il
più
affettuoso
,
se
anche
taluni
si
fossero
talvolta
manifestati
suoi
avversari
.
Gli
è
che
proprio
sentivano
che
la
nostra
gran
madre
,
l
'
Italia
,
era
rimasta
vedova
.
Oh
abbiamo
un
bel
farci
violenza
per
consigliare
il
coraggio
,
abbiamo
un
bel
sentire
la
necessità
di
non
farci
più
piccoli
del
destino
,
abbiamo
un
bel
ripeterci
le
frasi
pompose
:
«
Gli
uomini
passano
,
le
nazioni
non
muoiono
»
,
ma
questa
intelligenza
europea
che
si
è
spenta
è
una
grande
,
è
un
'
immensa
,
è
una
irreparabile
sventura
.
E
quando
pensiamo
che
a
quest
'
Uomo
che
mette
a
lutto
colla
sua
morte
una
nazione
,
e
che
sgomenta
il
mondo
,
fecero
opposizione
certe
nullaggini
,
la
cui
morte
,
nonché
un
sospiro
,
non
darebbe
nemmanco
argomento
ad
un
Oh
!
E
che
si
pensavano
non
solo
discuterlo
,
ma
poterlo
surrogare
!
!
Oh
la
povera
gente
!
!
!
L
'
avete
veduta
questa
città
tetra
e
cupa
come
se
l
'
avessero
bombardata
?
Avete
veduto
tutte
quelle
liste
nere
che
sbarravano
tutti
i
negozii
con
scrittovi
sopra
:
Per
lutto
nazionale
!
Ditemi
quando
mai
un
sì
universale
dolore
ci
ha
tutti
così
investiti
?
Che
la
memoria
del
Conte
Cavour
ci
sia
sacra
,
o
Italiani
.
Che
nessuno
,
per
carità
,
turbi
con
insani
delirii
la
faticosa
soma
che
dovranno
adossarsi
gli
uomini
chiamati
a
succedergli
.
Noi
siam
pronti
di
gran
cuore
a
sorreggere
di
tutte
le
forze
nostre
in
questi
terribili
frangenti
gli
uomini
,
di
cui
la
voce
pubblica
comincia
a
pronunciare
il
nome
.
Non
iscoraggiamoli
in
quest
'
ora
di
solenne
sventura
,
con
ignobili
ed
inconsulte
parole
.
Pensiamo
che
la
Nazione
non
deve
già
tentare
alla
sventata
,
questa
o
quella
individualità
.
Ella
deve
affidarsi
ad
uomini
provati
,
ad
uomini
che
abbiano
fatto
qualche
cosa
per
lei
,
ad
uomini
che
,
alla
fermezza
dei
propositi
,
alla
grandezza
del
patriottismo
,
abbiano
mostrato
di
saper
congiungere
la
lealtà
,
l
'
onestà
,
la
dignità
del
carattere
.
Di
questi
uomini
la
Nazione
ne
ha
,
li
sperimentò
,
li
conosce
.
È
gravissimo
torto
il
tentare
di
sfiduciare
la
già
abbastanza
sconfortante
posizione
in
cui
versa
la
patria
.
Pensiamo
all
'
Italia
ed
al
Re
.
Ripariamo
presto
il
grande
vuoto
che
si
è
fatto
e
badiamo
a
non
aggiungere
,
alla
grande
sciagura
che
percosse
l
'
Italia
,
quella
più
funesta
ancora
di
indecorosi
garriti
.
E
la
tomba
di
Cavour
sia
il
tempio
della
nostra
concordia
.
StampaQuotidiana ,
La
salda
resistenza
dei
nostri
industriali
i
quali
,
pur
essendo
stati
lasciati
dal
Governo
perfettamente
soli
ed
indifesi
di
fronte
alle
gravi
violenze
massimaliste
,
hanno
sopportato
con
serena
fermezza
,
senza
farsene
minimamente
intimorire
,
i
danni
dell
'
ostruzionismo
sabotatore
prima
e
la
rovina
dell
'
invasione
delle
fabbriche
poi
,
ed
hanno
dato
in
questo
modo
un
alto
esempio
di
volontà
e
di
forza
a
tutta
la
classe
dirigente
italiana
pur
così
esitante
e
timida
dinanzi
alle
minaccie
rivoluzionarie
,
questa
salda
resistenza
degli
industriali
diciamo
comincia
a
dare
i
suoi
benefici
frutti
per
la
restaurazione
dell
'
ordine
nazionale
e
sociale
.
Anche
se
la
delusione
e
l
'
irritazione
per
la
inevitabile
sconfitta
dovessero
condurre
la
classe
operaia
ad
estendere
il
conflitto
con
un
inconsulto
e
disordinato
moto
,
con
una
isterica
convulsione
priva
di
obiettivi
concreti
,
un
risultato
preciso
è
stato
raggiunto
,
attraverso
le
resistenze
di
questi
giorni
:
la
persuasione
,
già
penetrata
nella
coscienza
delle
masse
e
degli
stessi
agitatori
,
della
insana
sterilità
della
tattica
massimalista
,
adottata
dai
metallurgici
in
questa
vertenza
.
Di
fronte
all
'
evidenza
della
realtà
,
le
fantastiche
illusioni
create
per
mesi
e
mesi
dalla
propaganda
comunista
,
esasperate
dal
tentativo
dei
cotonifici
Mazzonis
,
ed
alimentate
fra
le
masse
da
una
scambievole
esaltazione
,
sono
cadute
come
un
castello
di
carta
:
l
'
occupazione
delle
officine
,
che
era
parsa
ieri
lo
strumento
primo
della
vittoria
rivoluzionaria
,
si
è
rivelata
come
un
particolare
privo
di
efficacia
costruttiva
.
La
vittoria
borghese
,
appunto
,
sta
in
ciò
:
che
di
fronte
al
fatto
bruto
dell
'
occupazione
violenta
,
i
fattori
dell
'
intelligenza
,
della
capacità
professionale
,
degli
strumenti
delicatissimi
di
credito
e
di
organizzazione
creati
dalla
borghesia
in
un
secolo
e
mezzo
di
evoluzione
industriale
,
si
sono
affermati
in
tutta
la
loro
indispensabilità
.
I
massimalisti
affermano
che
«
i
tecnici
sabotano
la
produzione
»
,
perché
non
vogliono
sottomettere
le
loro
capacità
al
dominio
della
folla
innumere
e
briaca
.
Ma
in
realtà
,
gli
operai
hanno
dovuto
chinare
la
testa
dinnanzi
all
'
inevitabile
,
e
rinunziare
alla
conquista
di
fattori
essenziali
,
dei
soli
veramente
essenziali
,
e
pur
impalpabili
,
e
pur
irraggiungibili
se
non
con
un
paziente
e
tenace
lavoro
di
elevazione
morale
e
intellettuale
:
ché
il
sequestro
bruto
e
la
violenza
delinquente
contro
gli
ingegneri
,
contro
la
nuova
aristocrazia
che
conduce
il
Paese
nelle
moderne
battaglie
del
lavoro
,
non
riescono
certo
a
far
piegare
i
tecnici
fino
a
servire
padroni
cui
essi
si
sentono
superiori
.
L
'
articolo
dell
'
«
Avanti
!
»
è
un
indice
prezioso
di
questa
delusione
massimalista
,
di
questa
impotenza
degli
operai
,
che
dopo
aver
affermato
la
propria
maturità
alla
gestione
rivoluzionaria
,
ed
aver
atteso
l
occupazione
delle
fabbriche
come
l
'
occasione
definitiva
,
si
sentono
inerti
,
privi
come
sono
degli
instituti
economici
della
borghesia
e
,
confessando
che
le
fabbriche
in
loro
mano
sono
strumenti
inerti
ed
infruttiferi
,
pur
di
non
consegnarli
direttamente
agli
industriali
fanno
appello
attraverso
l
'
on
.
D
'
Aragona
,
alla
requisizione
:
alla
requisizione
dello
«
stato
borghese
»
!
E
per
quanto
non
possano
immediatamente
valutarsene
le
ripercussioni
,
questa
lezione
dell
'
esperienza
non
potrà
non
contribuire
a
ricondurre
nella
coscienza
universale
un
più
esatto
e
giusto
equilibrio
dei
valori
sociali
.
Insieme
a
questo
,
un
altro
frutto
della
odierna
resistenza
industriale
si
è
affermato
vantaggiosamente
.
Si
tratta
del
principio
affermato
nelle
trattative
di
Milano
dai
datori
di
lavoro
,
e
ormai
accettato
malgrado
le
incongruenze
e
le
assurdità
della
sua
proposta
dall
'
on
.
Labriola
per
il
Governo
e
dall
'
on
.
D
Aragona
,
per
la
Confederazione
del
Lavoro
.
Non
si
può
prevedere
se
l
'
odierna
fase
di
incertezza
condurrà
alla
ripresa
delle
trattative
o
alla
estensione
del
movimento
rivoluzionario
:
ma
è
certo
ormai
che
la
soluzione
dell
'
odierna
vertenza
,
e
di
quelle
che
sorgeranno
in
avvenire
durante
il
prossimo
difficile
e
grave
periodo
di
crisi
economica
,
dovrà
essere
ricercata
sulla
base
della
condizione
delle
industrie
,
della
loro
possibilità
o
meno
a
sostenere
nuovi
oneri
.
E
poiché
,
a
causa
di
questa
crisi
economica
,
in
avvenire
tali
condizioni
economiche
si
faranno
sempre
più
gravi
e
precarie
,
è
certo
che
l
'
affermazione
di
questo
principio
costituisce
una
notevole
conquista
degli
industriali
,
specialmente
se
lo
sviluppo
degli
instituti
giuridici
giungerà
fino
alla
creazione
di
organi
arbitrali
,
capaci
di
attutire
il
danno
nazionale
delle
grandi
vertenze
economiche
,
pari
a
quella
cui
assistiamo
tutti
con
il
cuore
gonfio
di
trepidazioni
per
le
sorti
avvenire
del
lavoro
e
della
produzione
italiana
.
Questi
sono
alcuni
punti
fermi
,
che
abbiamo
voluto
segnare
con
occhio
obbiettivo
e
sereno
.
Di
fronte
alla
lezione
dell
'
esperienza
,
vorranno
i
socialisti
e
gli
organizzatori
ostinarsi
in
una
sterile
negazione
rivoluzionaria
,
e
gettare
tutta
la
classe
operaia
in
una
lotta
immane
,
cui
manca
il
carattere
economico
ristretto
alla
vertenza
dei
metallurgici
,
e
di
cui
è
chiaro
il
significato
distruttore
e
sovversivo
.
Non
sappiamo
,
poiché
non
diamo
troppa
fede
alle
frasi
reboanti
degli
ordini
del
giorno
.
Ma
se
questo
avvenisse
,
abbiamo
motivo
di
credere
che
lo
Stato
,
rimasto
neutrale
per
uno
scrupolo
eccessivo
ed
errato
ma
comprensibile
,
nella
vertenza
economica
dei
metallurgici
,
ritroverebbe
intiere
davanti
al
pericolo
le
proprie
energie
di
difesa
.
E
,
attorno
allo
Stato
,
tutta
la
Nazione
sarebbe
concorde
nello
schiacciare
inesorabilmente
e
radicalmente
i
folli
provocatori
.
StampaQuotidiana ,
Qualunque
sia
il
capriccio
della
stagione
,
splenda
il
sole
o
lo
velino
le
nubi
,
c
'
è
una
cosa
che
nessuna
stagione
più
vela
,
c
'
è
una
bandiera
che
nessun
tempo
ci
fa
più
ammainare
,
c
'
è
una
fede
che
più
non
si
oscura
,
e
questa
cosa
è
la
libertà
,
questa
bandiera
è
quella
dai
tre
colori
,
questa
fede
è
quella
di
Vittorio
Emanuele
.
Erede
del
primo
Re
che
ha
sfoderata
la
spada
per
la
rivoluzione
,
figlio
del
primo
campione
scettrato
per
la
indipendenza
d
'
Italia
,
Vittorio
Emanuele
ha
piantata
la
statua
della
libertà
sopra
un
piedistallo
di
porfido
,
e
l
'
Alfiere
di
Piazza
Castello
che
colla
spada
sguainata
veglia
minaccioso
al
vessillo
italiano
,
non
simboleggia
che
la
fierezza
,
italiana
di
questo
Re
,
che
da
16
anni
sta
a
guardia
della
risurrezione
della
patria
,
e
della
sua
libertà
.
Salve
,
Re
d
'
Italia
!
Se
sei
superbo
del
tuo
valore
e
della
tua
fede
,
n
'
hai
d
'
onde
.
Gira
attorno
lo
sguardo
e
sotto
le
assise
dei
tuoi
guerrieri
,
sotto
il
fremito
di
gioia
di
questi
popoli
che
ti
salutano
,
nello
stesso
seguito
del
tuo
stato
maggiore
,
conterai
gli
uomini
che
un
dì
nemici
a
tuttoché
sapeva
di
regio
,
ora
esultano
con
Te
nella
esultanza
italiana
.
Dal
sasso
dell
'
algente
Cenisio
a
quello
delle
terre
vulcaniche
,
tutta
la
gentile
penisola
inneggia
oggi
alla
libertà
.
Dove
segnavano
barriere
i
patiboli
,
ora
sventolano
i
colori
d
'
Italia
,
e
se
due
sorelle
mancano
ancora
al
nazionale
tripudio
,
non
son
esse
,
nel
lutto
,
meno
di
noi
incrollabili
nella
fede
dell
'
avvenire
,
perché
san
bene
che
tutto
questo
vasto
territorio
di
gente
libera
,
non
può
da
umana
forza
esser
più
risospinto
nelle
tenebre
E
finché
arde
la
luce
,
finché
questa
fiamma
è
tenuta
alta
dalla
forte
tua
destra
,
o
Re
Vittorio
,
non
può
più
sorger
timore
di
smarrire
la
via
che
ci
conduca
tutti
all
'
ultima
mèta
.
La
Spagna
può
avere
i
suoi
Galindi
anche
nel
pieno
possesso
della
sua
indipendenza
,
ma
l
'
Italia
è
terra
privilegiata
troppo
da
Dio
,
perché
una
volta
rotta
la
lapide
del
suo
sepolcro
,
non
torni
maestra
di
civiltà
a
quanti
sono
nella
barbarie
.
Salve
,
o
Re
d
'
Italia
!
Era
ben
tempo
che
se
un
Re
Galantuomo
disertasse
dal
sinedrio
dei
Re
spergiuri
,
anche
i
popoli
disertassero
dalle
mene
settarie
per
salutarlo
loro
padre
e
fratello
.
E
Tu
sei
l
'
uno
e
l
'
altro
per
noi
,
che
sbattuti
per
secoli
nelle
ire
di
parte
,
e
nelle
torture
dei
despoti
,
ti
abbiam
veduto
scendere
dal
trono
per
accomunarti
nei
diritti
ai
tuoi
cittadini
,
lasciare
la
reggia
per
accomunarti
nei
perigli
del
campo
ai
tuoi
gloriosi
soldati
,
gittar
la
Corona
di
Principe
per
aver
la
gemma
dell
'
amore
della
Nazione
.
E
questa
Nazione
ti
ama
,
perché
Tu
le
provasti
di
amarla
,
né
ama
Te
solo
ma
la
tua
stirpe
intera
,
perché
per
quanto
audacemente
aneli
al
progresso
,
ella
sente
che
niuna
forma
,
o
niun
nome
,
potrebbe
accrescerle
lo
splendore
che
Tu
le
hai
conquistato
,
né
garantirle
più
fortemente
la
libertà
,
che
dai
gradini
del
trono
è
a
lei
discesa
.
Oh
che
quella
concordia
che
fu
prima
autrice
di
questo
glorioso
presente
,
non
sia
mai
una
vana
invocazione
,
e
quanti
amano
e
sperano
si
confondano
nei
voti
tuoi
,
che
sono
voti
sinceri
di
cittadino
più
che
di
Re
!
E
Voi
,
fratelli
nostri
,
che
tendete
ansanti
a
superare
i
confini
che
ancora
segnano
una
linea
di
lutto
in
Italia
,
non
vi
scoraggiate
per
ore
o
per
giorni
che
ci
dividano
ancora
da
voi
Quando
sentirete
echeggiare
le
grida
del
nostro
saluto
,
gioite
e
sperate
,
ché
queste
grida
non
sono
di
egoistico
tripudio
,
ma
sì
di
altissimo
orgoglio
per
trecentomila
figli
che
assordano
l
'
aria
col
rimbombo
dei
loro
moschetti
,
col
tuono
dei
loro
cannoni
,
sono
grida
di
libertà
che
alla
vigilia
del
6
giugno
l
'
Italia
manda
alla
tomba
di
Santena
,
per
tranquillare
lo
spirito
del
Conte
Cavour
,
sulle
profetate
sorti
d
'
Italia
.
Se
è
morto
Cavour
,
è
sempre
come
torre
fermo
Vittorio
Emanuele
,
e
Vittorio
Emanuele
è
il
Re
Galantuomo
.
Nel
1865
solennizzeremo
la
libertà
in
Piazza
San
Marco
.
StampaQuotidiana ,
Non
è
lecito
dubitare
.
A
Torino
il
Presidente
del
Consiglio
ha
dichiarato
nettamente
di
essere
dall
'
altra
parte
.
Per
il
controllo
degli
operai
sulle
industrie
.
Per
la
sottomissione
a
tutte
le
violenze
che
sono
state
compiute
e
sono
compiute
da
una
minoranza
,
mentre
la
maggioranza
degli
operai
ha
disertato
le
fabbriche
.
Presa
di
possesso
,
rapina
,
sequestro
di
persone
,
furto
,
non
sono
più
nemmeno
amnistiati
ché
è
tolto
ad
essi
il
carattere
di
reato
.
Si
elabora
il
nuovo
diritto
.
Il
Governo
si
compiace
di
dichiararsi
impotente
.
Così
,
in
questa
sorte
di
disgrazia
che
sono
i
governi
succedutisi
in
Italia
per
distruggere
la
vittoria
,
Giolitti
prende
apertamente
,
deliberatamente
la
successione
di
Nitti
.
Già
minacciando
di
continuare
l
'
opera
ne
fasta
nella
politica
adriatica
,
egli
oggi
si
pone
per
la
politica
interna
nel
quadro
della
politica
di
sconfitta
,
di
cui
abbiamo
segnati
i
caratteri
.
Quando
la
vertenza
era
dei
soli
metallurgici
,
già
il
Governo
aveva
dimostrato
di
favorire
la
tesi
aggressiva
operaia
e
cercava
giustificazioni
in
asseriti
torti
degli
industriali
.
Ma
oggi
queste
giustificazioni
sono
impossibili
.
La
vertenza
non
è
più
limitata
all
'
industria
metallurgica
.
Il
controllo
operaio
tocca
tutta
l
'
economia
nazionale
.
Ne
scrolla
le
basi
e
ne
minaccia
l
'
esistenza
,
in
piena
crisi
di
materie
prime
,
di
tonnellaggio
,
di
finanziamento
,
quando
era
necessario
concentrare
uno
sforzo
nazionale
per
scongiurare
il
pericolo
del
fallimento
.
Ebbene
l
'
on
.
Giolitti
appoggiandosi
a
quelle
frazioni
e
fazioni
plutocratiche
che
portano
in
sé
sempre
il
germe
della
sconfitta
,
l
'
abulia
nazionale
,
il
senso
della
sottovalutazione
,
l
'
on
.
Giolitti
,
non
ha
esitato
.
Egli
vuoi
continuare
nell
'
opera
di
defezione
dello
Stato
.
Già
nella
vertenza
dei
ferrovieri
secondari
,
il
ministro
dei
Lavori
Pubblici
,
aveva
operato
come
già
Nitti
nello
sciopero
dei
ferrovieri
.
Si
poteva
credere
ad
un
difetto
del
ministro
.
Invece
no
.
Siamo
di
fronte
ad
un
'
azione
di
governo
.
O
peggio
all
'
inazione
che
cerca
poi
di
incollarsi
per
etichetta
un
programma
.
Poiché
siamo
nella
continuazione
dello
stesso
sistema
dell
'
amnistia
ai
disertori
che
tradiva
i
combattenti
e
distruggeva
il
fondamento
nazionale
dello
Stato
;
delle
trattative
del
comm
.
Magno
col
sindacato
rosso
dei
ferrovieri
che
tradiva
i
ferrovieri
rimasti
fedeli
allo
Stato
.
Quando
il
governo
con
la
sua
viltà
e
partigianeria
ha
creato
una
situazione
di
crisi
,
e
il
paese
resta
smarrito
senza
guida
,
anzi
col
senso
del
tradimento
,
allora
giustifica
la
sua
inazione
con
le
condizioni
del
paese
stesso
.
Così
ha
fatto
Nitti
.
Così
continua
Giolitti
,
ritornato
al
potere
perché
attendeva
che
trovasse
un
punto
di
arresto
nella
china
fatale
.
E
non
c
'
è
nemmeno
lo
stile
di
una
sottomissione
ad
una
volontà
organizzata
poiché
questa
domanda
di
controllo
sulle
fabbriche
è
stata
improvvisata
perché
non
fosse
da
una
parte
misurata
l
'
impotenza
massimalistica
e
dall
'
altra
travolta
l
'
organizzazione
privilegiata
proletaria
,
le
cui
schiere
sono
quasi
tutte
costituite
dagli
esonerati
.
L
'
esperimento
della
presa
di
possesso
è
una
cosa
ridicola
destinata
all
'
esaurimento
.
Ma
come
Nitti
intervenne
a
trattare
col
sindacato
rosso
proprio
quando
lo
sciopero
ferroviario
era
vinto
,
così
Giolitti
interviene
in
favore
del
controllo
,
quando
l
'
esperimento
della
gestione
diretta
è
fallito
.
Quando
cioè
l
'
assenteismo
del
governo
,
che
ha
lasciato
occupare
le
fabbriche
,
poteva
forse
trovare
un
'
assolutoria
nella
dura
esperienza
cui
sono
costrette
le
masse
operaie
.
L
'
intervento
dell
'
on
.
Giolitti
è
però
la
confessione
di
una
defezione
dello
Stato
e
di
una
incapacità
di
governo
.
Con
la
prima
si
subisce
l
'
esperimento
di
una
gestione
,
quando
lo
Stato
doveva
garantire
all
'
economia
nazionale
il
massimo
sforzo
per
poter
fronteggiare
il
carico
finanziario
e
correggere
il
terribile
sbilancio
commerciale
.
Con
la
seconda
si
vuole
la
resa
a
discrezione
a
chi
non
ha
altra
forza
che
la
debolezza
,
lo
smarrimento
,
la
vergognosa
esibizione
di
sottomissione
della
parte
avversa
.
Oggi
gli
industriali
debbono
decidere
.
Ma
la
libertà
,
la
possibilità
della
loro
decisione
sono
infirmate
.
L
'
on
.
Giolitti
ha
dichiarato
di
non
essere
neutrale
.
Ma
partigiano
.
E
,
quel
che
è
peggio
,
partigiano
per
incoscienza
e
per
impotenza
.
Cioè
per
servitù
.
Così
la
generazione
di
Adua
tenta
di
strangolare
la
vittoria
.
StampaQuotidiana ,
È
morto
Corrado
Alvaro
.
Il
mio
primo
ricordo
di
lui
risale
al
tempo
in
cui
-
sradicato
dalla
nativa
Calabria
,
ventenne
,
mutilato
sul
Carso
,
fatto
esperto
da
una
prima
esperienza
giornalistica
al
«
Carlino
»
di
Bologna
e
poi
al
«
Corriere
della
Sera
»
-
arrivò
a
Roma
.
Doveva
essere
fra
il
'19
e
il
'20
.
Le
date
precise
non
contano
,
nel
ricordo
:
ma
il
colore
del
.
tempo
,
la
stagione
della
storia
.
Erano
giorni
decisivi
,
nel
senso
morale
,
soprattutto
per
la
generazione
dei
giovani
e
per
il
maturare
o
per
il
doloroso
frangersi
o
corrompersi
delle
loro
intelligenze
e
delle
loro
speranze
.
Giorni
decisivi
anche
per
l
'
arte
e
per
la
letteratura
,
e
non
solamente
in
Italia
.
Per
quanto
Marinetti
fosse
di
parere
contrario
,
il
futurismo
era
già
da
tempo
avviato
al
tramonto
.
Non
si
considerava
possibile
il
rinascere
dei
movimenti
fiorentini
della
«
Voce
»
di
«
Lacerba
»
.
«
La
Ronda
»
parlava
di
un
ritorno
all
'
ordine
,
riunendo
nelle
sue
pagine
le
prose
di
alta
solennità
di
Cardarelli
,
i
saggi
teatrali
di
Riccardo
Bacchelli
,
la
tempesta
immaginifica
del
grande
«
barocco
»
di
Bruno
Barilli
.
Era
una
stagione
molto
singolare
.
D
'
Annunzio
aveva
trovato
una
nuova
clausura
fra
gli
ulivi
del
lago
di
Garda
.
Grazia
Deledda
scriveva
con
regolarità
i
suoi
romanzi
,
lavorando
dalle
nove
alle
undici
del
mattino
in
una
modesta
villetta
impiegatizia
di
via
Porto
Maurizio
,
sulla
stessa
tavola
dove
avrebbe
poi
steso
la
tovaglia
per
la
colazione
della
sua
famiglia
.
Luigi
Pirandello
era
ancora
catalogato
fra
i
cosiddetti
«
scrittori
ameni
»
.
Federigo
Tozzi
entrava
da
Aragno
solo
per
uscirne
in
preda
a
un
violento
corruccio
.
Odiava
-
e
lo
dichiarava
-
le
chiacchiere
.
Fra
i
ragazzi
di
quegli
anni
-
che
forse
davano
un
po
'
presuntuosamente
del
«
tu
»
a
tutti
-
il
giovane
Alvaro
era
già
«
qualcuno
»
.
Le
sue
poesie
di
ispirazione
militare
-
le
Poesie
grigioverdi
,
stampate
da
un
libraio
editore
che
aveva
bottega
a
due
passi
da
Aragno
in
via
delle
Convertite
-
lo
avevano
reso
noto
.
Quei
versi
erano
stati
scritti
nella
corsia
di
un
ospedale
militare
,
a
Bologna
,
dove
il
sottotenente
Alvaro
-
bel
nome
romantico
e
spagnolesco
-
era
andato
a
rieducare
alla
meglio
le
mani
mutilate
.
Si
era
curiosi
,
quando
il
giovanotto
arrivò
a
Roma
,
di
vedere
da
quale
parte
si
sarebbe
indirizzato
,
in
quale
«
scuola
»
si
sarebbe
irreggimentato
,
quale
«
capo
»
avrebbe
scelto
.
Così
si
ragionava
a
diciotto
e
a
diciannove
anni
.
Quello
che
vedemmo
era
un
giovane
che
non
sorrideva
mai
,
o
pochissimo
,
che
aveva
rare
conoscenze
e
non
desiderava
forse
di
averne
.
Accompagnato
talvolta
dalla
giovane
moglie
,
sedeva
a
un
tavolino
appartato
del
famoso
caffè
letterario
,
dove
non
c
'
era
giornalista
che
non
entrasse
per
dare
un
'
occhiata
.
Era
piuttosto
piccolo
di
statura
:
un
vero
fante
,
un
vero
«
soldato
meridionale
»
come
quelli
che
aveva
avuto
vicini
in
guerra
:
ma
dei
«
meridionali
»
,
almeno
come
li
immaginano
i
«
manieristi
»
,
non
aveva
certamente
il
volto
.
Della
sua
terra
dell
'
Aspromonte
,
la
faccia
custodiva
un
'
antica
,
silente
melanconia
:
i
suoi
lineamenti
erano
in
modo
singolare
assomiglianti
a
quelli
di
un
mugik
russo
,
forse
di
un
piccolo
fante
russo
.
Il
suo
viso
sembrava
modellato
dallo
stesso
pollice
che
aveva
plasmato
il
volto
di
Massimo
Gorkij
.
Spesso
«
il
volto
è
l
'
uomo
»
,
è
modellato
dall
'
anima
dell
'
uomo
.
Ce
ne
accorgemmo
quando
ci
accadde
di
leggere
i
primi
racconti
firmati
da
Alvaro
.
La
melanconia
,
la
mestizia
,
la
desolazione
non
hanno
paesi
precisi
.
Il
dolore
umano
è
uguale
nella
steppa
slava
e
sui
monti
di
Calabria
.
Alvaro
veniva
dal
grande
ceppo
del
«
regionalismo
»
italiano
.
Solamente
le
acque
dello
stretto
di
Messina
lo
separavano
da
Giovanni
Verga
.
Era
dello
stesso
sangue
,
letterariamente
,
di
Federigo
Tozzi
,
così
duramente
radicato
fra
le
«
crete
»
senesi
e
i
vicoli
foschi
della
sua
Siena
.
Erano
tempi
,
in
sede
europea
,
di
narrativa
cosmopolita
.
Ma
su
Alvaro
non
operavano
gli
incantesimi
delle
metropoli
e
delle
terre
lontane
.
Il
suo
cuore
era
rimasto
ancorato
ai
monti
di
Calabria
come
quello
di
Grazia
Deledda
ai
sughereti
e
alla
«
tanca
»
della
sua
Sardegna
.
Si
trattava
di
una
fedeltà
poetica
:
la
fedeltà
ai
segreti
miti
tragici
della
povera
gente
nelle
ultime
,
contorte
vallate
dell
'
Appennino
.
In
quel
cerchio
di
ricordi
del
mondo
esplorato
e
vissuto
durante
la
prima
giovinezza
,
Alvaro
doveva
compiere
i
suoi
schietti
,
profondi
,
sicuri
approdi
di
scrittore
.
Nei
romanzi
-
in
quell
'
Uomo
nel
labirinto
,
che
resta
fra
gli
esemplari
della
sua
generazione
,
e
in
quell
'
Uomo
e
forte
pubblicato
molti
anni
dopo
-
la
sua
indagine
si
svolse
in
più
profonde
psicologie
,
in
più
folte
tenebre
,
in
più
complesse
angosce
.
Ma
il
suo
«
mondo
»
trovò
la
sua
definizione
completa
in
quei
racconti
della
sua
terra
che
concludono
,
in
una
misura
degna
del
maestro
e
della
tradizione
,
il
tempo
che
si
iniziò
con
Verga
e
che
ebbe
il
suo
ultimo
fiorire
con
Tozzi
e
con
Alvaro
.
Giornalista
fu
sempre
,
anche
se
negli
ultimi
anni
aveva
potuto
raccogliersi
e
risparmiarsi
in
pagine
e
fatiche
meno
rapidamente
professionali
,
sostando
anche
sui
piani
di
un
suo
meditare
che
si
volgeva
all
'
intimità
di
quella
«
condizione
umana
»
che
con
termine
più
facile
viene
chiamato
il
problema
delle
nuove
società
.
Era
stato
-
negli
anni
della
giovinezza
-
a
Parigi
:
e
più
tardi
in
Russia
.
Non
si
può
dimenticare
ciò
che
egli
seppe
vedere
allora
con
il
suo
sguardo
apparentemente
lento
e
quasi
immoto
.
Le
sue
emozioni
di
viaggiatore
in
mondi
lontani
erano
tutte
in
rapporto
a
una
facoltà
meditativa
che
pareva
derivasse
dal
fondo
greco
che
sta
alla
base
di
ogni
uomo
nato
in
vista
del
Mediterraneo
.
Per
tutta
la
vita
,
fu
un
«
uomo
in
disparte
»
chiuso
negli
stessi
silenzi
,
rotti
da
poche
parole
e
da
improvvisi
affetti
,
che
da
ragazzi
conoscemmo
al
terzo
piano
della
sua
casa
in
via
Sistina
dove
abitava
quasi
di
fronte
alle
finestre
dietro
alle
quali
aveva
vissuto
Gogol
'
.
La
vita
non
gli
era
stata
facile
,
era
stata
talvolta
dura
e
anche
di
alto
dolore
.
Dissentiva
dal
fascismo
,
ma
non
ebbe
,
alla
sua
caduta
,
rancori
o
ironie
.
Del
suo
paese
soffrì
la
tragedia
.
Era
un
animo
nobile
:
un
solitario
.
StampaQuotidiana ,
Ed
ora
che
importa
di
fare
?
Importa
di
far
conoscere
all
'
Italia
il
vero
carattere
dei
moti
di
Torino
.
Importa
si
sappia
che
Torino
ha
parlato
per
l
'
Italia
,
e
non
per
sé
,
come
vorrebbero
far
credere
i
nostri
nemici
.
Importa
che
il
nuovo
ministero
non
abbia
carattere
piuttosto
piemontese
che
siciliano
,
lombardo
che
napolitano
,
e
via
dicendo
.
Importa
in
una
parola
tener
fermo
più
che
mai
ad
un
programma
veramente
,
grandemente
ITALIANO
.
Perché
ci
siam
noi
dichiarati
ostili
alla
Convenzione
?
Forse
per
la
sola
ed
abbietta
ragione
ch
'
essa
ledeva
gli
interessi
di
Torino
?
No
certo
perché
se
un
tale
egoismo
avesse
forza
in
questi
paesi
,
invece
di
provocare
continuamente
per
un
decennio
intero
la
terza
riscossa
,
essi
sarebbero
chiusi
ad
ogn
'
idea
di
guerra
nazionale
,
per
godersi
una
pace
che
la
situazione
dell
'
Europa
avrebbe
guarentita
.
Torino
dunque
ha
avversata
la
Convenzione
colla
Francia
anzitutto
perché
la
crede
funestissima
all
'
Italia
.
E
qui
,
poiché
i
nostri
avversari
si
studiano
di
trarre
in
inganno
le
popolazioni
circa
le
origini
di
questa
discussione
,
ci
si
permetta
per
conto
nostro
un
po
'
di
rivista
retrospettiva
.
Il
giorno
in
cui
la
Convenzione
colla
Francia
fu
conosciuta
in
seguito
ad
una
indiscrezione
più
o
meno
volontaria
della
stampa
officiosa
,
noi
ignoravamo
ancora
la
clausola
segreta
del
trasferimento
della
capitale
,
né
vi
avremmo
pensato
neppur
per
sogno
,
sia
perché
avevamo
prestata
fede
alla
smentita
risolutissima
data
dall
'
Opinione
,
sia
perché
non
viene
in
mente
a
nessuno
che
un
fatto
interno
,
come
il
trasferimento
della
sede
del
governo
da
luogo
a
luogo
,
possa
fare
oggetto
di
convenzioni
internazionali
,
salvo
il
caso
in
cui
uno
dei
due
governi
subisca
la
legge
dell
'
altro
.
Noi
dunque
scrivemmo
il
seguente
articolo
:
«
Torino
,
17
settembre
La
conclusione
d
'
una
convenzione
od
accordo
colla
Francia
per
l
'
intiera
cessazione
dell
'
occupazione
francese
in
Roma
sembra
ormai
un
fatto
compiuto
e
(
salvo
il
caso
di
articoli
segreti
)
essa
sarebbe
un
avviamento
allo
scioglimento
definitivo
.
«
I
francesi
si
ritirerebbero
da
Roma
entro
due
anni
,
tempo
stimato
sufficentissimo
perché
il
governo
papale
possa
formarsi
una
forza
militare
sua
propria
.
«
Il
governo
italiano
dal
canto
suo
prenderebbe
l
'
impegno
di
non
invadere
né
lasciare
invadere
il
territorio
pontificio
,
sicché
i
romani
resterebbero
soli
giudici
di
conservare
o
licenziare
il
Papa
e
la
guardia
pretoriana
di
esso
.
«
Oltre
a
ciò
assumeremo
a
nostro
carico
una
parte
proporzionale
del
debito
romano
.
«
Come
ben
dice
il
Cittadino
d
'
Asti
«
non
è
questa
ancora
una
soluzione
,
ma
sarebbe
tuttavia
tale
atto
che
metterebbe
fine
ad
una
incertezza
Ia
quale
,
mentre
è
cagione
di
gravi
imbarazzi
alla
Francia
,
è
permanente
motivo
di
malessere
all
'
Italia
.
Eppertanto
tutto
il
partito
liberale
temperato
sarà
senza
dubbio
disposto
ad
accettarlo
come
un
pegno
della
più
intima
amicizia
che
sarebbe
ristabilita
tra
il
Regno
d
'
Italia
ed
il
governo
imperiale
di
Francia
»
.
«
Ma
ci
sono
dei
ma
assai
forti
che
meritano
molte
serie
considerazioni
.
«
Così
per
esempio
non
soccombiamo
sotto
il
peso
della
quistione
finanziaria
,
e
se
per
prima
condizione
ci
si
accrescono
i
debiti
,
evidentemente
i
due
anni
d
'
aspettativa
saranno
d
'
altrettanto
più
duri
per
noi
che
non
pel
governo
papale
.
«
Aspettando
gli
utili
cominceremo
con
averne
il
danno
.
«
Si
dirà
forse
che
questo
aumento
di
spesa
sarà
compensato
da
una
condizione
sottintesa
,
cioè
dal
disarmo
?
«
Ma
allora
per
non
aver
Roma
se
non
che
in
modo
eventuale
in
avvenire
noi
rinuncieremo
fin
d
'
ora
e
in
modo
esplicito
a
Venezia
.
«
La
questione
è
molto
grave
.
«
Sul
bilancio
della
guerra
si
possono
fare
molte
e
importantissime
economie
,
ma
non
tali
da
far
contrappeso
all
'
aggravio
che
ci
verrebbe
dall
'
assunto
debito
romano
,
se
pur
non
volessimo
intaccare
l
'
organizzazione
stessa
dell
'
esercito
anziché
limitarci
all
'
invio
di
più
classi
in
congedo
.
«
Oltre
a
ciò
è
forte
da
temere
che
i
partiti
invece
di
quietare
s
'
inasprissero
,
tanto
più
se
s
'
aggiungessero
altre
condizioni
ancora
ignote
.
«
In
conclusione
la
combinazione
immaginata
tra
il
governo
francese
e
l
'
italiano
,
nei
termini
in
cui
finora
è
fatta
conoscere
,
esprimerebbe
le
migliori
intenzioni
da
ambe
le
parti
;
ma
siccome
il
governo
italiano
si
addosserebbe
nuovi
pesi
immediati
senza
essere
sicuro
che
entro
i
due
anni
lo
scioglimento
di
Roma
arrivi
a
giorno
fisso
,
così
temiamo
assai
che
contro
il
volere
dei
contraenti
la
convenzione
invece
di
essere
utile
all
'
Italia
e
dannosa
al
governo
pontificio
sia
un
'
arma
a
doppio
taglio
che
possa
facilissimamente
ferire
l
'
Italia
sola
.
«
Infatti
in
due
anni
può
aver
luogo
un
mondo
di
avvenimenti
tutti
a
nostro
danno
,
e
non
un
solo
in
favore
,
perché
ad
ogni
modo
noi
saremo
vincolati
per
tutto
il
biennio
.
«
Il
primo
di
questi
avvenimenti
già
s
'
intende
,
sarebbe
il
pagamento
dei
milioni
del
debito
pontificio
;
e
questo
sarebbe
certo
.
«
Il
secondo
una
crisi
qualunque
in
Francia
che
desse
motivo
più
o
meno
fondato
al
governo
di
Parigi
di
prolungare
l
'
occupazione
anche
oltre
quei
due
anni
.
«
Il
terzo
una
crisi
qualunque
in
Italia
,
e
questa
pur
troppo
non
pare
improbabile
se
non
iscongiuriamo
la
fatale
iettatura
che
perseguita
le
nostre
finanze
.
«
Egli
è
evidente
che
al
primo
sorgere
d
'
un
pericolo
interno
ci
si
direbbe
dopo
il
biennio
:
«
Non
siete
forti
abbastanza
per
guarantire
che
il
Papa
non
sarà
attaccato
,
e
perciò
con
grandissimo
nostro
dispiacere
noi
resteremo
ancora
a
Roma
»
.
Di
guisa
che
la
convenzione
non
avrebbe
portato
alcun
altro
risultato
se
non
che
i
milioni
del
debito
papalino
invece
d
'
essere
pagati
dal
Papa
,
lo
sarebbero
dal
governo
italiano
,
cioè
dagli
avversari
politici
del
Papa
.
Saremmo
insomma
i
minchioni
della
farsa
.
«
La
condizione
dell
'
Italia
,
peggiorata
d
'
assai
,
potrebbe
divenir
tale
da
rendere
problematico
,
non
che
il
conseguimento
dell
'
Unità
completa
con
Roma
e
Venezia
,
anche
la
conservazione
di
ciò
che
esiste
fin
d
'
ora
.
«
Quindi
è
che
concludiamo
:
«
la
combinazione
di
cui
si
parla
può
essere
buona
ma
a
patto
che
la
nostra
condizione
finanziaria
non
ne
resti
aggravata
sotto
alcun
aspetto
,
e
che
non
sianvi
condizioni
che
gettino
la
discordia
fra
gli
italiani
,
come
sarebbe
quella
di
una
rinuncia
esplicita
od
implicita
a
Venezia
.
«
In
caso
diverso
meglio
,
assai
meglio
la
libertà
d
'
azione
finora
goduta
.
Essa
ha
certo
i
suoi
inconvenienti
ma
di
gran
lunga
minori
di
quelli
che
scaturirebbero
da
un
contratto
il
quale
in
fin
dei
conti
non
vincolerebbe
che
noi
soli
,
che
portando
nuovi
aggravi
e
fortissime
cagioni
di
discordie
tenderebbe
(
senza
volerlo
)
assai
più
allo
sfasciamento
che
al
consolidamento
di
questa
Italia
»
.
Ecco
in
qual
modo
oppugnammo
la
Convenzione
sin
dal
primo
giorno
,
e
la
pacatezza
di
parole
così
disinteressate
è
la
migliore
risposta
che
possiam
fare
ai
nostri
nemici
.
La
clausola
segreta
del
trasferimento
cominciò
a
trapelare
in
città
nella
giornata
stessa
del
17
.
E
non
era
per
fermo
tal
condizione
da
farci
mutar
parere
intorno
al
complesso
della
Convenzione
!
Noi
vi
vedemmo
l
'
abbandono
di
Roma
,
noi
vi
vedemmo
una
ragione
di
più
per
respingere
un
trattato
fatale
,
ma
indipendentemente
da
qualsiasi
considerazione
torinese
per
la
buona
ragione
che
non
esitammo
giammai
a
combattere
anche
Torino
quando
Torino
ci
parve
aver
torto
,
e
sono
note
le
nostre
polemiche
contro
il
municipio
durante
anni
ed
anni
.
Invano
i
nostri
avversari
vollero
trarci
sul
campo
municipale
facendo
suonar
alta
la
quistione
dei
compensi
.
Noi
non
riconoscemmo
che
la
quistione
italiana
.
Non
è
in
campo
Torino
;
è
in
campo
Roma
.
Torino
non
ha
protestato
per
se
sola
;
ha
protestato
per
l
'
Italia
.
Ed
è
questa
la
condotta
in
cui
dobbiamo
persistere
con
fermezza
.
Il
cambiamento
di
ministero
non
risolverebbe
la
quistione
(
come
ha
già
osservato
il
Diritto
)
;
ed
infatti
la
Convenzione
colla
Francia
esiste
tuttora
,
e
ci
crea
una
situazione
piena
di
difficoltà
.
Se
sarà
eseguita
,
evidentemente
non
diverrà
migliore
per
ciò
solo
che
la
eseguirà
Lamarmora
piuttostoché
Minghetti
e
Peruzzi
.
E
nel
caso
contrario
i
nostri
nemici
presenteranno
il
fatto
come
trionfo
esclusivo
del
così
detto
piemontesismo
,
per
suscitare
nel
resto
d
'
Italia
una
reazione
contro
Torino
e
il
Piemonte
.
Questa
situazione
,
di
cui
l
'
Italia
va
debitrice
al
ministero
scivolato
nel
sangue
,
è
molto
grave
.
E
se
per
risolverla
,
se
per
potere
annullare
una
Convenzione
che
già
sin
d
'
ora
ha
portato
all
'
Italia
assai
maggior
danno
che
una
battaglia
perduta
è
necessario
un
ministero
inaccessibile
all
'
accusa
di
piemontesismo
,
noi
saremo
i
primi
ad
appoggiarlo
.
Né
esitiamo
a
riconoscere
che
un
ministero
con
prevalenza
di
piemontesi
di
qualsiasi
colore
sarebbe
il
meno
acconcio
ad
ottenere
un
tale
risultato
.
Noi
crediamo
che
per
la
salvezza
d
'
Italia
la
Convenzione
non
debba
eseguirsi
,
ma
il
suo
annullamento
deve
essere
fatto
in
modo
che
non
sia
né
sembri
una
vittoria
esclusiva
di
Torino
.
Non
è
Torino
che
deve
vincere
,
ma
la
causa
d
'
Italia
,
la
causa
della
unità
,
la
causa
della
libertà
,
ROMA
!
StampaQuotidiana ,
A
che
cosa
miravano
,
da
quale
motivo
erano
animati
i
barricadieri
di
Firenze
e
gl
'
incendiari
di
Trieste
nel
perpetrare
i
loro
atti
terroristici
?
Non
dal
disagio
economico
e
tanto
meno
dalla
fame
.
La
fame
e
il
disagio
economico
non
possono
più
compiere
la
loro
classica
funzione
di
cattivi
consiglieri
presso
una
classe
che
oramai
ha
raggiunto
salari
notevolmente
più
alti
del
reddito
medio
che
l
'
economia
nazionale
comporti
.
Se
fosse
il
disagio
economico
ad
alimentare
un
qualsiasi
proposito
rivoluzionario
,
prima
di
arrivare
alle
odierne
categorie
di
rivoltosi
,
esso
dovrebbe
svolgere
la
sua
attività
istigatrice
presso
infinite
altre
categorie
e
ceti
,
che
,
pur
lottando
per
i
loro
miglioramenti
,
forniscono
invece
i
contingenti
più
numerosi
e
più
volenterosi
alla
difesa
dell
'
ordine
.
Nelle
attuali
condizioni
della
economia
nazionale
,
si
comprenderebbero
più
facilmente
gli
impiegati
dello
Stato
e
gli
ufficiali
dell
'
esercito
a
dar
fuoco
agli
uffici
e
alle
caserme
,
che
non
gli
operai
incendiare
gli
opifici
e
i
contadini
devastare
i
campi
.
E
non
dal
bisogno
di
scuotere
il
giogo
di
una
opprimente
oligarchia
politica
,
ché
il
cosiddetto
regime
di
libertà
e
il
suffragio
universale
e
i
pavidi
governi
borghesi
hanno
ormai
già
finito
di
trasformare
gli
oppressi
in
oppressori
e
d
'
insediare
le
camarille
socialiste
in
buona
parte
dei
municipi
italiani
.
E
neppure
infine
dalla
fondata
speranza
di
potere
instaurare
un
ordine
nuovo
quale
esso
sia
,
ché
essi
sanno
per
prova
quanto
salda
sia
la
fedeltà
dell
'
esercito
e
quanto
deliberato
il
proposito
di
tutte
le
classi
non
esclusa
la
grande
maggioranza
di
quelle
a
cui
essi
stessi
appartengono
,
a
non
consentire
attentati
all
'
ordine
costituito
.
Or
dunque
,
né
la
necessità
,
economica
o
politica
,
né
una
grande
passione
,
per
quanto
errata
,
né
uno
scopo
ritenuto
possibile
,
se
anche
non
probabile
,
possono
invocarsi
a
giustificare
,
o
almeno
a
spiegare
,
la
furia
insurrezionale
che
si
è
venuta
determinando
in
questi
ultimi
giorni
.
Siamo
dunque
di
fronte
alla
rivolta
gratuita
,
alla
rivolta
senza
causa
e
senza
scopo
,
alla
rivolta
per
la
rivolta
.
Un
simile
atto
nel
mondo
della
delinquenza
individuale
si
chiamerebbe
un
delitto
per
brutale
malvagità
.
La
cosa
e
il
nome
non
possono
mutare
se
invece
di
uno
siano
in
mille
,
o
in
diecimila
,
a
compiere
gli
stessi
fatti
.
Ciò
che
è
avvenuto
a
Firenze
e
a
Trieste
non
merita
il
nome
di
rivoluzione
e
neppure
di
rivolta
,
ma
di
follia
criminosa
di
parossismo
delinquente
,
che
invano
si
cercherebbe
di
spiegare
con
l
'
azione
di
cause
attuali
di
qualsiasi
specie
,
ma
solo
con
l
'
azione
atavica
di
antichi
istinti
sanguinari
.
Di
fronte
ad
un
fenomeno
simile
è
assurdo
e
pericoloso
pronunziare
parole
di
pace
.
Ogni
atteggiamento
conciliatore
sarebbe
una
dedizione
,
che
darebbe
nuova
esca
al
furore
criminale
,
che
imperversa
per
le
città
e
per
le
campagne
d
'
Italia
.
Noi
rifiutiamo
di
associarci
all
'
opera
di
pacificazione
che
da
più
parti
s
'
invoca
.
Lasciamo
questo
compito
ai
politicanti
borghesi
,
abituati
a
comprare
ora
per
ora
,
a
furia
di
compromessi
e
a
prezzo
della
propria
dignità
,
il
diritto
di
vivere
,
e
ai
politicanti
socialisti
che
,
pur
fingendo
di
deplorare
gli
eccessi
,
hanno
tutto
l
'
interesse
di
mantenere
in
vita
la
criminalità
rivoluzionaria
,
per
ricattare
la
borghesia
e
consolidare
il
loro
potere
personale
.
E
lasciamo
ai
politicanti
comunisti
di
speculare
sulla
vanità
dei
crimini
odierni
,
per
gridare
la
faute
...
a
Serrati
.
Noi
,
abituati
a
dire
parole
nuove
e
ingrate
alla
vecchia
Italia
borghese
e
socialista
,
diciamo
che
ogni
tentativo
di
pacificazione
è
una
commedia
indegna
,
e
che
non
si
deve
disarmare
fino
a
che
il
nuovo
brigantaggio
che
infesta
l
'
Italia
non
sarà
distrutto
alla
radice
.
StampaQuotidiana ,
Costretto
a
vivere
in
uno
studio
da
pittore
,
di
quelli
all
'
antica
con
la
luce
che
piove
verticale
e
accademica
dall
'
alto
,
attraverso
ai
vetri
di
un
lucernario
sul
quale
passa
l
'
ombra
volante
dei
piccioni
e
delle
rondini
,
Bruno
Barilli
s
'
addormentava
con
la
luna
e
le
stelle
che
gli
«
battevano
»
in
faccia
.
Rincasava
a
tarda
ora
,
arrivando
alto
e
spettrale
da
via
del
Babuino
e
da
piazza
del
Popolo
,
dove
non
c
'
era
altra
voce
al
di
fuori
di
quella
delle
fontane
attorno
all
'
obelisco
:
si
inselvava
in
un
parco
cintato
che
fiancheggiava
Villa
Borghese
,
dove
un
vecchio
signore
olandese
,
dalla
barba
e
dai
silenzi
simili
a
quelli
di
un
mago
,
aveva
costruito
certi
padiglioni
a
forma
di
baita
per
affittarli
,
in
cambio
di
pochissima
moneta
,
agli
artisti
che
avessero
voluto
vivere
in
una
specie
di
labirinto
arboreo
,
lontani
dai
rumorosi
selci
delle
strade
di
Roma
e
dal
vocio
dei
vetturini
e
dei
cocomerari
.
L
'
arredamento
dello
studio
era
costituito
da
un
materasso
buttato
su
due
trespoli
,
i
vestiti
si
attaccavano
a
quattro
chiodi
,
la
biancheria
stava
per
terra
,
fra
due
fogli
di
giornale
.
Nelle
notti
di
estate
,
nella
stagione
degli
amori
,
arrivavano
fra
gli
alberi
il
ruggito
dei
leoni
e
l
'
urlo
delle
tigri
chiusi
nelle
gabbie
del
vicino
Giardino
Zoologico
.
All
'
alba
il
sole
illuminava
il
letto
sfatto
,
la
grande
figura
del
dormiente
e
il
lungo
volto
ossuto
traversato
,
all
'
altezza
degli
occhi
,
da
una
larga
benda
di
seta
nera
.
Barilli
-
in
quello
scenario
da
Fantasma
dell
'
Opera
-
usava
le
sue
precauzioni
per
difendersi
dalla
luce
.
Sul
pavimento
un
tappeto
balcanico
,
avanzo
dei
ricordi
di
antichi
viaggi
,
pareva
,
con
le
sue
ruvide
lane
rosse
,
una
larga
traccia
di
sangue
.
Questo
è
un
ricordo
vecchissimo
,
quasi
antico
:
risale
al
tempo
in
cui
,
se
ritroviamo
la
loro
immagine
,
gli
uomini
sono
ancora
vestiti
in
costume
,
con
la
bombetta
,
con
le
ghette
,
con
grande
sciupio
di
amido
per
i
colletti
e
i
polsini
.
Le
donne
si
tingevano
gli
occhi
con
una
ditata
di
cerone
azzurro
e
le
adultere
,
nascoste
sotto
al
mantice
di
tela
cerata
delle
carrozzelle
,
riparavano
il
viso
sotto
velette
fiorate
.
Se
prestavi
l
'
orecchio
,
sulla
dirittura
del
Corso
pareva
di
udire
ancora
l
'
eco
delle
corse
dei
«
barberi
»
e
per
via
Gregoriana
il
passo
di
Andrea
Sperelli
.
Ogni
tanto
sfilava
qualche
gruppetto
di
arditi
,
con
il
fez
nero
dal
lungo
fiocco
,
che
parevano
usciti
da
una
stampa
del
Callot
.
Era
,
insomma
,
il
tempo
fra
il
1918
e
il
1920
,
quando
i
sottosegretari
dei
governi
non
avevano
ancora
a
disposizione
l
'
automobile
,
ma
una
vasta
carrozza
foderata
di
panno
verde
.
Bruno
Barilli
,
scrittore
di
musica
,
violoncellista
,
figlio
di
uno
scenografo
del
Regio
di
Parma
,
marito
di
una
nipote
del
re
Pietro
di
Serbia
,
erede
di
una
duplice
assomiglianza
con
Berlioz
e
con
Niccolò
Paganini
,
rosso
nei
capelli
cespugliosi
,
scavato
nel
volto
come
il
personaggio
di
un
disegno
di
Gustavo
Doré
,
povero
in
canna
,
lungo
come
un
flauto
,
avvolto
in
larghi
abiti
di
serge
blu
,
il
candido
colletto
floscio
sventolante
con
i
due
pizzi
sotto
alle
lunghe
mascelle
,
sembrava
arrivare
dritto
dritto
dalla
soffitta
dove
vivevano
i
personaggi
dei
racconti
di
Hoffmann
,
di
Poe
,
di
Gérard
de
Nerval
.
Quando
,
nel
1924
,
gli
fu
offerto
di
raccogliere
le
sue
prose
in
un
volumetto
,
che
ebbe
per
titolo
Delirama
e
che
segnò
un
punto
preciso
come
libro
essenziale
della
letteratura
italiana
di
questo
primo
mezzo
secolo
,
Barilli
si
era
guardato
attorno
lieto
e
impacciato
.
Dove
,
come
ritrovare
i
suoi
scritti
?
Ne
aveva
disseminati
nelle
«
terze
pagine
»
,
non
li
aveva
mai
conservati
.
Solo
la
buona
volontà
di
Emilio
Cecchi
poteva
compiere
il
miracolo
di
recuperare
quelle
settanta
-
ottanta
preziose
paginette
.
Di
qualcuna
che
non
era
possibile
scovare
da
nessuna
parte
,
Bruno
trovò
la
traccia
a
lapis
su
vecchi
programmi
del
Costanzi
e
dell
'
Augusteo
o
nel
rovescio
di
qualche
biglietto
d
'
ingresso
.
Anche
di
correggere
le
bozze
si
incaricò
Cecchi
,
perché
Barilli
non
lo
sapeva
fare
e
perché
,
come
al
solito
,
doveva
partire
.
La
vita
di
Barilli
fu
effettivamente
una
continua
partenza
.
Era
incapace
di
avere
una
casa
,
un
recapito
,
un
indirizzo
.
Viaggiava
,
lasciava
la
valigia
con
il
frac
al
giornale
,
arrivava
trafelato
,
si
cambiava
in
redazione
,
si
cibava
durante
lo
spettacolo
con
un
cartoccetto
di
bucce
d
'
arancia
candite
,
prendeva
le
sue
note
al
buio
appoggiando
il
taccuino
sul
ginocchio
ossuto
.
Non
c
'
è
da
stupirsi
che
i
suoi
libri
e
i
suoi
articoli
uscissero
a
urlo
di
lupo
.
La
povertà
,
la
melanconia
,
la
difficoltà
di
farsi
capire
come
musicista
,
un
orgoglio
leonino
e
un
animo
di
fanciullo
sperduto
,
l
'
incapacità
agli
accomodamenti
e
alle
alleanze
,
le
lunghe
amnesie
,
le
ansie
e
i
triboli
di
una
vita
solitaria
disperdevano
la
sua
vita
come
quella
di
un
esiliato
.
Compiuti
gli
studi
a
Parma
assieme
a
Ildebrando
Pizzetti
,
il
figlio
del
pittore
Cecrope
Barilli
è
diviso
fra
la
creazione
musicale
,
l
'
estro
letterario
e
la
vocazione
per
la
vita
nomade
.
Prima
della
Grande
Guerra
è
a
Parigi
che
resterà
spiritualmente
,
dopo
Parma
,
la
sua
seconda
patria
.
Il
suo
animo
illuminato
e
stoico
gli
permette
di
vivere
con
quasi
nulla
,
gli
consente
i
più
duri
adattamenti
.
Viaggia
qua
e
là
per
l
'
Europa
.
La
prima
guerra
balcanica
lo
sorprende
in
Serbia
.
Invece
di
tornare
in
Italia
-
non
vuole
,
perché
si
è
innamorato
di
una
nipote
di
re
Pietro
,
e
,
contro
la
volontà
del
sovrano
,
finirà
per
sposarla
e
per
avere
da
lei
una
figlia
,
Milena
-
telegrafa
al
«
Corriere
della
Sera
»
offrendosi
come
inviato
al
fronte
.
Aveva
già
scritto
per
«
La
Tribuna
»
.
L
'
offerta
è
accettata
dagli
Albertini
.
Barilli
però
non
è
tipo
di
adattarsi
a
un
giornalismo
rigoroso
che
finirebbe
a
non
lasciargli
tempo
per
la
musica
:
per
scriverne
e
soprattutto
per
pensarla
e
amarla
.
Ritorna
a
Parigi
e
si
sfama
e
sfama
la
piccola
Milena
suonando
il
violoncello
nelle
orchestrine
dei
caffè
.
Suona
anche
il
pianoforte
in
qualche
cinematografo
di
periferia
.
Conosce
il
russo
.
Si
lega
d
'
amicizia
con
i
musicisti
e
con
le
ballerine
della
prima
troupe
di
Diaghilev
quando
questi
cala
a
Parigi
.
Sono
i
tempi
in
cui
impara
a
cibarsi
di
valenciennc
'
e
di
acqua
.
Il
richiamo
della
sua
classe
lo
riporta
in
patria
,
con
un
berrettuccio
da
ufficiale
calcato
sui
capelli
rossi
.
Riappare
a
Parma
e
a
Roma
.
È
uno
strano
ufficiale
che
pretende
di
farsi
la
barba
con
un
paio
di
forbicine
da
unghie
.
Questa
è
un
'
abitudine
che
gli
resta
per
tutta
la
vita
:
le
sue
forbicine
lavorano
al
caffè
,
in
strada
,
in
tutti
i
momenti
in
cui
Barilli
naviga
tra
le
sue
fantasie
.
Sono
gli
anni
in
cui
,
dopo
avere
scritto
Medusa
,
compone
1'Emiral
.
Dove
?
In
quello
studio
da
pittore
di
villa
Strohl
-
Fern
,
non
c
'
è
l
'
ombra
di
un
pianoforte
.
Barilli
non
può
permettersi
di
noleggiarne
uno
e
si
fa
assumere
come
pianista
in
un
piccolo
cinema
dalle
parti
del
Vaticano
.
Deve
accompagnare
i
film
muti
.
Nelle
ore
del
primo
pomeriggio
,
quando
in
sala
ci
sono
soltanto
due
,
tre
coppie
di
innamorati
che
non
fanno
attenzione
né
al
film
né
alla
musica
,
Barilli
,
tranquillo
come
se
fosse
nel
proprio
studio
,
lavora
all
'
Emiral
.
Gli
amici
della
«
Ronda
»
sono
curiosi
di
conoscere
l
'
opera
.
Barilli
invita
tutti
al
cinematografo
e
,
durante
la
proiezione
di
un
film
di
Tom
Mix
,
la
suona
.
Fa
tutti
i
mestieri
,
solo
perché
si
è
promesso
di
non
fare
«
musica
di
mestiere
»
.
Per
pagarsi
questo
lusso
,
diventa
comparsa
nei
film
muti
.
Diventa
anche
attore
.
Caramba
gli
fa
interpretare
la
parte
di
Virgilio
,
in
una
specie
di
fantasia
sulla
Divina
Commedia
,
e
Arnaldo
Fratelli
,
che
in
quegli
anni
è
regista
,
lo
sceglie
per
protagonista
della
Rosa
,
il
primo
film
tratto
da
una
novella
di
Pirandello
.
Barilli
recita
bene
,
puntuale
,
disciplinato
.
Rifiuta
solo
una
sequenza
dove
deve
figurare
in
terra
,
morto
,
con
vicino
una
candela
.
Per
scaramanzia
?
No
.
Perché
gli
pareva
fa
scena
della
morte
di
Scarpia
e
,
come
musicista
,
quella
scena
della
'
rosea
non
gli
piaceva
.
La
sua
carriera
è
stroncata
da
un
atto
di
sincerità
artistica
nel
quale
sa
di
giocare
tutte
le
sue
già
tanto
precarie
fortune
di
operista
.
Dopo
la
prima
del
Nerone
,
a
Milano
,
scrive
in
un
giornale
romano
una
fiammeggiante
bellissima
pagina
di
prosa
nella
quale
Boito
,
Mefistofele
compreso
,
è
fatto
in
briciole
.
L
'
industria
del
teatro
d
'
opera
non
gli
perdonerà
mai
quell
'
articolo
che
,
dal
punto
di
vista
critico
,
è
perfetto
.
Non
si
può
più
ascoltare
Boito
senza
ricordare
la
stroncatura
di
Barilli
.
Ma
sono
gesti
che
pesano
:
lo
scrittore
di
musica
è
messo
al
bando
dai
giornali
benpensanti
che
non
amano
le
«
grane
»
.
Se
vuole
mangiare
,
Barilli
deve
trasformarsi
in
scrittore
di
viaggi
.
Dal
suo
periplo
dell
'
Africa
,
nasce
il
più
bel
libro
italiano
su
quel
continente
.
La
poesia
melanconica
,
la
cupa
segreta
disperazione
di
Barilli
si
riflettono
nell
'
Africa
e
negli
occhi
delle
sue
umili
genti
come
in
uno
specchio
nero
.
Al
termine
del
viaggio
,
si
ammala
e
resta
per
tre
mesi
in
fin
di
vita
,
al
Cairo
.
La
sua
fine
è
segnata
.
Le
sue
capacità
di
lavoro
-
un
lavoro
lento
,
fatto
di
raccoglimento
e
di
lunghissime
osservazioni
-
diminuiscono
.
Vive
solitario
in
una
stanzuccia
d
'
albergo
a
Roma
,
sorretto
da
un
solo
entusiasmo
.
Sua
figlia
Milena
,
che
è
emigrata
negli
Stati
Uniti
,
si
è
fatta
un
buon
nome
come
pittrice
,
e
aiuta
il
suo
strano
papà
mandandogli
in
dono
quadri
da
vendere
.
Bruno
si
intenerisce
e
,
invece
di
venderli
,
attacca
i
quadri
alle
pareti
della
sua
camera
.
Vive
poveramente
,
dignitosamente
chiuso
nei
suoi
vecchi
vestiti
azzurri
,
scrivendo
ogni
tanto
,
a
fatica
,
qualche
elzeviro
.
Sembra
che
abbia
dimenticato
di
essere
un
musicista
.
Un
giorno
,
un
telegramma
dall
'
America
gli
annuncia
che
Milena
è
morta
cadendo
da
cavallo
.
Bruno
si
avvia
al
naufragio
.
Continua
a
vivere
in
silenzio
a
tazze
di
tè
,
di
grissini
,
di
valenciennes
.
Perde
uno
alla
volta
i
denti
.
Si
riconosce
alla
fine
nello
specchio
come
un
triste
vecchio
sdentato
.
I
suoi
scritti
non
sono
ormai
che
la
tragica
storia
di
una
decadenza
.
Una
sera
,
trova
in
albergo
l
'
avviso
di
andare
alla
stazione
a
prendere
un
pacco
in
arrivo
da
New
York
.
È
la
cassettina
con
l
'
urna
che
contiene
le
ceneri
di
Milena
.
Tutti
sapevano
quanto
la
prosa
italiana
-
e
non
solamente
la
prosa
,
perché
il
riflesso
dell
'
arte
di
Barilli
ha
agito
in
vari
modi
a
cominciare
,
per
esempio
,
dalle
composizioni
pittoriche
e
dal
clima
fantastico
del
pittore
Scipione
-
doveva
a
Bruno
Barilli
:
ma
da
questo
ad
avere
per
lui
un
segno
fattivo
di
riconoscenza
il
passo
è
stato
lungo
e
incompiuto
.
Sembra
fosse
stato
firmato
un
decreto
che
,
nominandolo
ispettore
musicale
di
un
istituto
cinematografico
,
gli
avrebbe
assicurato
il
pane
.
Il
decreto
è
arrivato
quando
,
in
clinica
,
Barilli
già
vaneggiava
e
dal
fondo
del
suo
letto
come
chiamando
una
amica
,
ripeteva
con
voce
ancora
ferma
:
«
Avanti
,
Morte
!
»
.