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GLI SCRUPOLI DEL SENATORE ALBERTINI ( MARAVIGLIA MAURIZIO , 1922 )
StampaQuotidiana ,
La Camera ha votato quasi senza discutere i pieni poteri al governo . Dopo il voto di fiducia al ministero , che tenne a presentarsi alla Camera come un ministero sorto fuori sopra e contro ogni designazione parlamentare , la sua discussione era diventata superflua . Del resto la Camera , prima di accordare al governo i pieni poteri , cioè prima di sottoscrivere l ' atto di abdicazione alle sue più gelose prerogative , si era autoesautorata dimostrando durante tre anni di non saper fare alcun uso di quelle prerogative e rifiutandosi costantemente di collaborare con qualsiasi governo per il bene del Paese . L ' interesse del Paese era completamente esulato dall ' aula di Montecitorio e ad esso era stato sostituito l ' interesse , anzi gli interessi divergenti dei vari partiti e delle varie fazioni , che paralizzavano ogni azione del Parlamento e del governo . Impotente a creare e a muoversi in una situazione di diritto era logico e necessario che la Camera dei deputati dovesse accettare una situazione di forza o almeno una situazione di superiore diritto che le era imposta dalla concorde volontà del governo e del Paese . La Camera , che non aveva osato contrapporre neppure una timida protesta alla soluzione extraparlamentare della crisi , non poteva più rimettere in discussione il problema del governo e contrastare al governo il diritto di governare nel solo modo , che per sua colpa era ancora possibile , soffermandosi a discettare sulla natura e sui limiti dei pieni poteri . Più libero e meno compromesso dalla sua precedente azione era invece il Senato , nel quale infatti molti oratori hanno fatto largo uso del loro diritto di critica . Il senatore Albertini soprattutto si è fatto portavoce nel Senato di quello stato d ' animo d ' insoddisfazione e di insofferenza , che è in molti , per l ' urto troppo violento che tutto un sistema d ' idee e di sentimenti , nel quale si erano placidamente adattati , è venuto a subire con l ' avvento del Governo Nazionale . Tale stato d ' animo , che nell ' altro ramo del Parlamento non avrebbe potuto manifestarsi decorosamente , che sotto forma di una fiera protesta , assai pericolosa per le sue conseguenze , poteva invece manifestarsi nel Senato in forma di blanda ed innocua riserva . E ciò ha fatto con molto tatto il senatore Albertini , il quale si è affrettato a dichiarare che le sue critiche alle origini del nuovo governo non miravano ad uno scopo pratico , a scuotere cioè la fiducia che si deve avere nel nuovo governo per l ' opera di ricostruzione necessaria da esso iniziata , ma soltanto all ' appagamento di un obbligo della sua coscienza di liberale , ferita dal modo tenuto dall ' on . Mussolini nel dare finalmente un governo alla Nazione , che da molti anni ne era priva per la mala volontà del Parlamento . Il senatore Albertini in sostanza ha detto che , pure approvando il fine , la sua coscienza non può approvare il mezzo adoperato dall ' on . Mussolini . Ora in questo caso di coscienza del senatore Albertini sta tutta l ' impotenza del patriottismo liberale . Volere un governo forte e volere che questo governo sia l ' espressione del Parlamento , quando l ' esperienza ha chiaramente dimostrato che non un tale governo , ma un governo qualsiasi il Parlamento è incapace di dare , significa volere ci si passi il proverbio volgare la botte piena e la moglie ubbriaca . Sono proprio gli scrupoli del senatore Albertini quelli che in Italia hanno permesso per tanti anni alla demagogia di sabotare la funzione di governo . È un pezzo che ci sentiamo ripetere la canzoncina che la forma parlamentare è quanto di meglio sia stato trovato a presidio della volontà e della libertà dei popoli ; e che una Camera vale sempre più di un ' anticamera . Ma a tutte queste belle massime il popolo italiano contrappone la visione della realtà del suo Parlamento , che è diventato il principale e forse l ' unico ostacolo alla sua salvezza . Padronissimo il senatore Albertini di ritenere che vale più l ' ossequio alle buone norme parlamentari che il pareggio del bilancio . Ma se tutti la pensassero come lui , se tutti cioè anteponessero il mezzo al fine o scambiassero l ' uno con l ' altro , sarebbe salvo forse il Parlamento , ma perirebbe l ' Italia , o , come forse è più verosimile , l ' uno precipiterebbe con l ' altra . La verità è che le istituzioni non sono buone o cattive in se stesse , ma in quanto rispondono ai loro fini , che sono quelli di assicurare al popolo un buon governo . E quanto al Parlamento anche noi riteniamo che sia uno strumento utile nel sistema costituzionale , per assicurare una migliore forma di governo , ma a patti che esso non perda la coscienza dei propri limiti e che , quando la perda , vi sia una forza che ve lo riconduce . Ora in Italia non si è ancora formata una coscienza parlamentare sanamente nazionale , che è il presupposto istituzionale della sovranità parlamentare ; epperò scosse come queste ultime o come quella che venne dal Re in persona col proclama di Moncalieri , sono ancora non soltanto possibili , ma necessarie e utili anche costituzionalmente . La stessa costituzione inglese , che è la più rigidamente parlamentare , non si è formata in un solo giorno ed ha avuto anche le sue giornate burrascose , prima di diventare quel meccanismo giuridico , morale e psicologico perfetto che è oggi . Se il senatore Albertini avesse considerato quanto è avvenuto come un momento del processo di formazione della nostra costituzione , egli avrebbe sentito sanguinare meno la sua coscienza di liberale , per la ferita che le è stata inferta dall ' on . Mussolini . D ' altra parte se il senatore Albertini ammette la bontà del fine nella soluzione dell ' on . Mussolini , e riprova soltanto il mezzo , egli sarebbe tenuto a dimostrare in modo preciso che esistevano altri mezzi per raggiungere lo stesso fine . Invece il senatore Albertini accenna solo fugacemente alla possibilità di arrivare al governo fascista , o appagandosi in un primo tempo di una larga partecipazione fascista ad un Ministero di transizione , per poi arrivare al predominio dopo le elezioni ; ovvero di rendere inevitabile un governo di Mussolini , rifiutandosi di partecipare ad una soluzione Giolitti , Salandra ed Orlando . Ora basta accennare a queste possibilità di soluzioni puramente parlamentari per capire che esse non avevano alcuna probabilità di successo , appunto perché parlamentari . Sul terreno parlamentare infatti l ' elemento popolare e l ' elemento socialista avrebbero conservata intatta la loro efficienza e avrebbero mandato a monte o reso precaria qualsiasi soluzione fascista . D ' altro canto non si trattava affatto di risolvere la crisi con la formazione di un ministero con partecipazione fascista o composto di soli fascisti , ma di arrivare alla costituzione di un governo forte : di un governo cioè che potesse ottenere dalla Camera i pieni poteri e farle votare la riforma elettorale prima di scioglierla . Ora sarebbe stato di ciò capace un ministero , sia pure presieduto da Mussolini , ma sorto per trattative parlamentari e per via di esclusione ? A un ministero simile , se avesse voluto mantenersi nella legalità , non sarebbe rimasta altra risorsa , fuorché lo scioglimento della Camera , prima di attuare qualsiasi riforma elettorale . Diversamente avrebbe dovuto ricorrere a mezzi extralegali e violenti . Ora è infinitamente vero che l ' uso della forza sia venuto direttamente dalla Nazione che non dal governo . Il conflitto fra governo e Camera è assai più difficile a sanare dato che non convenga , per difetto del sistema elettorale , ricorrere alle elezioni che quello fra Camera e Paese . Tutto considerato , i mezzi parlamentari suggeriti dal senatore Albertini non avrebbero sortito che uno dei due effetti : o sciupare per sempre il fascismo o prorogare , rendendola infinitamente più aspra e pericolosa , la soluzione violenta . La verità è che quando il fine è buono e il mezzo è necessario , anche il mezzo è legittimo .
UN CRIMINE ( MINUNNI ITALO , 1921 )
StampaQuotidiana ,
Per una singolare ironia delle cose , che colorisce con un tono sinistramente beffardo la realtà economica e sociale del nostro paese , l ' Italia si trova ancora oggi , verso la fine di questo gennaio del 1921 , mentre la fase terminale della crisi di liquidazione postbellica batte spaventosamente alle nostre porte , alle prese col fantasma disgregatore che i dissolvitori delle più sane energie nazionali hanno animato durante le recenti convulsioni sociali del paese , col menzognero ed illusorio proposito di tutelare gli interessi delle maestranze operaie , col solo risultato concreto , invece , di fare definitivamente il danno totale di tutti i cittadini , borghesia e proletariato insieme compresi . Le recentissime vicende dell ' ottobre e del novembre sono ancora fresche nella memoria di tutti , per indicare i gravissimi danni che il fantasma dissolvitore del controllo operaio sulle industrie procura , con il fatto del suo semplice apparire , alla vita della Nazione . Per quanto ristretta nel semplice campo della metallurgia e della meccanica , e per quanto sviluppatasi in un momento in cui la situazione economica mondiale non precipitava ancora verso la dégringolade terminale , la crisi delineatasi in quei due mesi , susseguenti al decreto con cui l ' on . Giolitti si impegnò a presentare alla Camera un progetto di controllo sulle industrie , è ancor viva nella memoria d ' ognuno . Arresto netto di ogni produzione ; indisciplina nelle fabbriche ; sfiducia degli imprenditori ; pronostici estremamente pessimisti per il più prossimo avvenire . Il più semplice accenno vago e generico quanto mai al controllo sulle industrie aveva provocato tutto questo . E se la situazione migliorò poi un poco verso la fine di novembre , questo fu dovuto all ' universale convincimento che di fronte agli inconvenienti ed alle ripercussioni gravissime della crisi appena minacciata del controllo operaio , frutto di una ventata di follia dissolvitrice , non se ne dovesse parlare più . Il disinteresse con cui fu accolto il fallimento della commissione paritetica , sembrò avvalorare questa generale e diffusa convinzione . Per iniziativa invece della demagogia di governo , per iniziativa del Presidente del Consiglio e del Ministro dell ' Industria , la vita economica italiana viene invece improvvisamente posta allo sbaraglio , e sottoposta alle terribili conseguenze di una crisi generale di sfiducia mediante la presentazione di un progetto governativo di controllo sindacale , col quale un consesso unilaterale , composto di soli rappresentanti delle maestranze , avrebbe il diritto di controllo su ogni ramo d ' industria . Non si tratta di consigli nazionali intendiamoci bene in cui industriali ed operai siano pariteticamente rappresentati . Si tratta di una adesione del governo alla seconda parte del progetto socialista , che dovrà costituire , mediante il controllo superiore delle sole maestranze su ogni ramo d ' industria , l ' avviamento alla costituzione di un ordinamento industriale socialcomunista . Si tratta di un progetto che , appena conosciuto negli ambienti della produzione italiana , non mancherà di diffondervi il più vivo panico , e risuscitarvi , centuplicata , la più aperta sfiducia , riaggravando la crisi psicologica , arrestando ogni possibilità di superare con spirito di buona volontà , di fiduciosa rassegnazione , i giorni bui della veniente crisi . Perché questo è , appunto , l ' aspetto peculiare della situazione creata dalla mossa improvvisa dell ' on . Alessio . Avremo campo di dimostrare partitamente le enormità del progetto ieri presentato : da quelle che riguardano la funzione puramente passiva e consultiva , senza diritto di voto , che i due rappresentanti industriali hanno , di fronte ai nove rappresentanti del personale , nelle commissioni di controllo , alle altre che creano nella fabbrica due nuovi padroni , nelle persone dei delegati operai delle Commissioni di controllo , o che impongono di rivelare elementi estremamente gelosi della vita delle aziende , quali il costo e i metodi della produzione . Ma oggi , prima di ogni altro , s ' impone di dire chiaramente al Paese che , comunque costruito e architettato dalla fervida fantasia dei riformatori , il controllo operaio nelle aziende , riducendo al minimo l ' autonomia , la fiducia in se stessi , la prontezza e la libertà nel provvedere , di ogni capo di azienda industriale , costituisce in quest ' ora estremamente grave il più grave colpo portato alla malsicura compagine economica del paese . I giornali sono zeppi delle notizie sui disastri finanziari , sugli arresti di lavoro , sulla enorme disoccupazione , sullo svalutamento degli stocks di merci , che preoccupano oggi gli Stati Uniti e l ' Inghilterra . La « ondata di ribasso » , ha già cominciato a provocarvi le sue terrificanti conseguenze . In Italia , il rincaro dei cambi , che dopo aver fatto tanto male fa ora un pochino di bene , attenua la velocità della crisi ; ma questa è imminente ed inevitabile , ed i suoi effetti si concretano nei fai 307 limenti per centinaia di milioni , già avvenuti e pronosticati sulle principali piazze . Fra tre o quattro mesi la crisi si sfrenerà certo implacabilmente . Orbene , è in questa situazione , nella quale il paese ha bisogno di salvaguardare fino al millesimo le sue possibilità di credito , che proprio il Governo del Re , che non è capace di imporre la parificazione del prezzo del pane alle condizioni del mercato , si fa promotore di una legge che gettando la produzione sulla via del dissolvimento bolscevico annulla totalmente ogni credito che il lavoro italiano ha nel mondo civile . È di ieri la notizia che gli industriali francesi , pur così ricchi di materie prime e di risorse d ' ogni genere , hanno rigettato ogni progetto di controllo , ritenendolo esiziale : e questo , con l ' adesione del governo della Repubblica . In Italia , invece , proprio da parte dei pubblici poteri , viene contro un ' industria che priva di materie prime , obbligata a pagare a prezzi enormi il proprio combustibile , isolata dai grandi mercati sta oggi , di fronte alla minaccia della crisi mondiale , sull ' orlo del fallimento , viene oggi , diciamo , il colpo definitivamente annientatore : quello che , creando per ogni ramo d ' industria sotto la tutela dello Stato un consiglio unilaterale di operai , autorizzato a dettar legge mediante suoi fiduciari in ogni singola impresa , toglie ogni libertà agli industriali che volessero provvedere con alacrità alla attenuazione della prossima crisi , e toglie ad essi rendendoli mancipii alle loro maestranze ogni volontà ed ogni energia morale , necessarie a guidarli nella necessaria ricostruzione . Toglie , cioè , al nostro paese , l ' unica energia che poteva non farci disperare dell ' avvenire .
StampaQuotidiana ,
E non è proprio un sogno ! ! Abbiamo assistito ai funerali del Conte Camillo Cavour . E in verità , quantunque le lagrime che ci si sgroppano dal cuore attestino questa tremenda realtà , non sappiamo ancora persuaderci che lo spettacolo , a cui abbiamo assistito , non sia stato che una tetra fantasmagoria . Pur troppo , era il Conte di Cavour che era chiuso là in quella bara , ch ' era portato via su quel carro parato di nero . Chi sa darci ragione di questi supremi decreti ? Una vita così necessaria e preziosa spenta come quella di un altro uomo qualunque ! ! Una vita che fa piangere tutta l ' Italia , spenta come quella di tanti inutili che brulicano a fastidio della patria ! ! Solo , che mentre di costoro non se ne darebbe per avvisato nemmeno il loro vicino di casa , per quest ' uomo si commuove tutta l ' Europa Civile , e si paralizza nell ' immenso dolore tutta intera una Nazione per lui solo risorta . Povera Italia ! Egli che t ' ha presa per mano , che ti mostrò a chi ti sconfessava , che gridò incessantemente a tutti e dappertutto , perché si persuadessero che sei viva , e nobile , e grande , e che non meritavi quindi di restartene in eterno sepolta ; Egli che ti ha portata tant ' alto che tutto il mondo ora ti confessa e ti onora ; Egli che ti ha condotta fino alle porte del Campidoglio .... nel mentre stava battendo per farti entrare , è morto . Ed è proprio lui quello che ieri hai veduto portare su quel carro tirato da sei bruni cavalli , tutti bardati di nero ! E quel carro era preceduto dalla prode nostra armata , la quale portava velate a bruno quelle bandiere , che , sovra un terreno di lunga mano da lui apparecchiato , s ' eran coperte di gloria . E quella nobile armata si chiama italiana per lui ! ! ! Oh aveva ragione d ' essere sì mesta ! Poi veniva tutta intera la guardia nazionale , palladio delle nostre libertà da lui così onestamente , energicamente difesa ; e non vi era un milite che avesse potuto snebbiar la sua fronte dalla profonda mestizia che siedeva su tutti i volti . E la salma di quest ' Uomo , che avea coll ' eloquenza della sua parola fatta superba la Nazione di possederlo , passava muta in mezzo a quei senatori e deputati , che furono tante volte spettatori estatici dei suoi trionfi , che subirono tante volte il fascino della sua stragrande potenza . Ed ora non parla più . Seguivano la guardia nazionale , le corporazioni religiose , e stavano intorno al carro i ministri e presidenti delle due Camere , coi cavalieri dell ' Ordine supremo dell ' Annunziata . Un araldo portava sopra un cuscino il Collare Supremo del defunto . Poi venivano i cavalieri dell ' Ordine , gli aiutanti di campo del Re e dei Reali Principi , i Gran Dignitari dello Stato , i senatori e deputati , il Consiglio di Stato , la Corte dei Conti , la Corte d ' Appello , il Municipio , il Corpo Universitario , ed i Ministri degli Esteri e della Marina , con una turba infinita di altri funzionari . Seguivano quindi la Società degli Operai di Torino , in corpo con bandiera , e le deputazioni degli Operai tipografi di Milano , delle Scuole tecniche con bandiera , degli Operai di Alessandria , di Voghera , di Caselle , di Parma , le Società dei Pristinai di Torino , dei Cuochi e Camerieri , degli Operai delle Strade Ferrate , e da ultimo l ' Emigrazione Veneta e Romana , ed una immensa falange di volontari garibaldini , tutti colle loro bandiere abbrunate e tutti indistintamente col dolore scolpito sul viso . Il funebre corteo era aperto e chiuso da un picchetto dei Cavalleggeri Ussari di Piacenza e percorse l ' itinerario già preventivamente segnato dagli annunzi ufficiali . Le salve dell ' artiglieria rompevano a larghi intervalli le marce funebri delle bande dei varii Corpi militari , e lungo tutto lo stradale per cui passava pendevano dalle finestre le brune gramaglie , là d ' onde ancor ieri l ' altro ondeggiavano i festoni orifiamma di quella prima festa , che solennizzava la Nazione da Cavour unificata . E compiuta la festa , il Conte Cavour moriva come chi avesse tutto compiuto . Il tempo , durante la marcia del funebre convoglio , pioveva a dirotto . Pure la popolazione erasi tutta versata sulle vie a dar l ' estremo saluto a Cavour . E tutta quella gran calca di gente , tutti quei grandi dignitari , tutte quelle illustrazioni della Nazione seguivano il feretro come se a tutti nel Conte Cavour fosse mancato il padre il più affettuoso , se anche taluni si fossero talvolta manifestati suoi avversari . Gli è che proprio sentivano che la nostra gran madre , l ' Italia , era rimasta vedova . Oh abbiamo un bel farci violenza per consigliare il coraggio , abbiamo un bel sentire la necessità di non farci più piccoli del destino , abbiamo un bel ripeterci le frasi pompose : « Gli uomini passano , le nazioni non muoiono » , ma questa intelligenza europea che si è spenta è una grande , è un ' immensa , è una irreparabile sventura . E quando pensiamo che a quest ' Uomo che mette a lutto colla sua morte una nazione , e che sgomenta il mondo , fecero opposizione certe nullaggini , la cui morte , nonché un sospiro , non darebbe nemmanco argomento ad un Oh ! E che si pensavano non solo discuterlo , ma poterlo surrogare ! ! Oh la povera gente ! ! ! L ' avete veduta questa città tetra e cupa come se l ' avessero bombardata ? Avete veduto tutte quelle liste nere che sbarravano tutti i negozii con scrittovi sopra : Per lutto nazionale ! Ditemi quando mai un sì universale dolore ci ha tutti così investiti ? Che la memoria del Conte Cavour ci sia sacra , o Italiani . Che nessuno , per carità , turbi con insani delirii la faticosa soma che dovranno adossarsi gli uomini chiamati a succedergli . Noi siam pronti di gran cuore a sorreggere di tutte le forze nostre in questi terribili frangenti gli uomini , di cui la voce pubblica comincia a pronunciare il nome . Non iscoraggiamoli in quest ' ora di solenne sventura , con ignobili ed inconsulte parole . Pensiamo che la Nazione non deve già tentare alla sventata , questa o quella individualità . Ella deve affidarsi ad uomini provati , ad uomini che abbiano fatto qualche cosa per lei , ad uomini che , alla fermezza dei propositi , alla grandezza del patriottismo , abbiano mostrato di saper congiungere la lealtà , l ' onestà , la dignità del carattere . Di questi uomini la Nazione ne ha , li sperimentò , li conosce . È gravissimo torto il tentare di sfiduciare la già abbastanza sconfortante posizione in cui versa la patria . Pensiamo all ' Italia ed al Re . Ripariamo presto il grande vuoto che si è fatto e badiamo a non aggiungere , alla grande sciagura che percosse l ' Italia , quella più funesta ancora di indecorosi garriti . E la tomba di Cavour sia il tempio della nostra concordia .
PUNTI FERMI ( MINUNNI ITALO , 1920 )
StampaQuotidiana ,
La salda resistenza dei nostri industriali i quali , pur essendo stati lasciati dal Governo perfettamente soli ed indifesi di fronte alle gravi violenze massimaliste , hanno sopportato con serena fermezza , senza farsene minimamente intimorire , i danni dell ' ostruzionismo sabotatore prima e la rovina dell ' invasione delle fabbriche poi , ed hanno dato in questo modo un alto esempio di volontà e di forza a tutta la classe dirigente italiana pur così esitante e timida dinanzi alle minaccie rivoluzionarie , questa salda resistenza degli industriali diciamo comincia a dare i suoi benefici frutti per la restaurazione dell ' ordine nazionale e sociale . Anche se la delusione e l ' irritazione per la inevitabile sconfitta dovessero condurre la classe operaia ad estendere il conflitto con un inconsulto e disordinato moto , con una isterica convulsione priva di obiettivi concreti , un risultato preciso è stato raggiunto , attraverso le resistenze di questi giorni : la persuasione , già penetrata nella coscienza delle masse e degli stessi agitatori , della insana sterilità della tattica massimalista , adottata dai metallurgici in questa vertenza . Di fronte all ' evidenza della realtà , le fantastiche illusioni create per mesi e mesi dalla propaganda comunista , esasperate dal tentativo dei cotonifici Mazzonis , ed alimentate fra le masse da una scambievole esaltazione , sono cadute come un castello di carta : l ' occupazione delle officine , che era parsa ieri lo strumento primo della vittoria rivoluzionaria , si è rivelata come un particolare privo di efficacia costruttiva . La vittoria borghese , appunto , sta in ciò : che di fronte al fatto bruto dell ' occupazione violenta , i fattori dell ' intelligenza , della capacità professionale , degli strumenti delicatissimi di credito e di organizzazione creati dalla borghesia in un secolo e mezzo di evoluzione industriale , si sono affermati in tutta la loro indispensabilità . I massimalisti affermano che « i tecnici sabotano la produzione » , perché non vogliono sottomettere le loro capacità al dominio della folla innumere e briaca . Ma in realtà , gli operai hanno dovuto chinare la testa dinnanzi all ' inevitabile , e rinunziare alla conquista di fattori essenziali , dei soli veramente essenziali , e pur impalpabili , e pur irraggiungibili se non con un paziente e tenace lavoro di elevazione morale e intellettuale : ché il sequestro bruto e la violenza delinquente contro gli ingegneri , contro la nuova aristocrazia che conduce il Paese nelle moderne battaglie del lavoro , non riescono certo a far piegare i tecnici fino a servire padroni cui essi si sentono superiori . L ' articolo dell ' « Avanti ! » è un indice prezioso di questa delusione massimalista , di questa impotenza degli operai , che dopo aver affermato la propria maturità alla gestione rivoluzionaria , ed aver atteso l ’ occupazione delle fabbriche come l ' occasione definitiva , si sentono inerti , privi come sono degli instituti economici della borghesia e , confessando che le fabbriche in loro mano sono strumenti inerti ed infruttiferi , pur di non consegnarli direttamente agli industriali fanno appello attraverso l ' on . D ' Aragona , alla requisizione : alla requisizione dello « stato borghese » ! E per quanto non possano immediatamente valutarsene le ripercussioni , questa lezione dell ' esperienza non potrà non contribuire a ricondurre nella coscienza universale un più esatto e giusto equilibrio dei valori sociali . Insieme a questo , un altro frutto della odierna resistenza industriale si è affermato vantaggiosamente . Si tratta del principio affermato nelle trattative di Milano dai datori di lavoro , e ormai accettato malgrado le incongruenze e le assurdità della sua proposta dall ' on . Labriola per il Governo e dall ' on . D ’ Aragona , per la Confederazione del Lavoro . Non si può prevedere se l ' odierna fase di incertezza condurrà alla ripresa delle trattative o alla estensione del movimento rivoluzionario : ma è certo ormai che la soluzione dell ' odierna vertenza , e di quelle che sorgeranno in avvenire durante il prossimo difficile e grave periodo di crisi economica , dovrà essere ricercata sulla base della condizione delle industrie , della loro possibilità o meno a sostenere nuovi oneri . E poiché , a causa di questa crisi economica , in avvenire tali condizioni economiche si faranno sempre più gravi e precarie , è certo che l ' affermazione di questo principio costituisce una notevole conquista degli industriali , specialmente se lo sviluppo degli instituti giuridici giungerà fino alla creazione di organi arbitrali , capaci di attutire il danno nazionale delle grandi vertenze economiche , pari a quella cui assistiamo tutti con il cuore gonfio di trepidazioni per le sorti avvenire del lavoro e della produzione italiana . Questi sono alcuni punti fermi , che abbiamo voluto segnare con occhio obbiettivo e sereno . Di fronte alla lezione dell ' esperienza , vorranno i socialisti e gli organizzatori ostinarsi in una sterile negazione rivoluzionaria , e gettare tutta la classe operaia in una lotta immane , cui manca il carattere economico ristretto alla vertenza dei metallurgici , e di cui è chiaro il significato distruttore e sovversivo . Non sappiamo , poiché non diamo troppa fede alle frasi reboanti degli ordini del giorno . Ma se questo avvenisse , abbiamo motivo di credere che lo Stato , rimasto neutrale per uno scrupolo eccessivo ed errato ma comprensibile , nella vertenza economica dei metallurgici , ritroverebbe intiere davanti al pericolo le proprie energie di difesa . E , attorno allo Stato , tutta la Nazione sarebbe concorde nello schiacciare inesorabilmente e radicalmente i folli provocatori .
16 ANNI DI LIBERTÀ ( - , 1864 )
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Qualunque sia il capriccio della stagione , splenda il sole o lo velino le nubi , c ' è una cosa che nessuna stagione più vela , c ' è una bandiera che nessun tempo ci fa più ammainare , c ' è una fede che più non si oscura , e questa cosa è la libertà , questa bandiera è quella dai tre colori , questa fede è quella di Vittorio Emanuele . Erede del primo Re che ha sfoderata la spada per la rivoluzione , figlio del primo campione scettrato per la indipendenza d ' Italia , Vittorio Emanuele ha piantata la statua della libertà sopra un piedistallo di porfido , e l ' Alfiere di Piazza Castello che colla spada sguainata veglia minaccioso al vessillo italiano , non simboleggia che la fierezza , italiana di questo Re , che da 16 anni sta a guardia della risurrezione della patria , e della sua libertà . Salve , Re d ' Italia ! Se sei superbo del tuo valore e della tua fede , n ' hai d ' onde . Gira attorno lo sguardo e sotto le assise dei tuoi guerrieri , sotto il fremito di gioia di questi popoli che ti salutano , nello stesso seguito del tuo stato maggiore , conterai gli uomini che un dì nemici a tuttoché sapeva di regio , ora esultano con Te nella esultanza italiana . Dal sasso dell ' algente Cenisio a quello delle terre vulcaniche , tutta la gentile penisola inneggia oggi alla libertà . Dove segnavano barriere i patiboli , ora sventolano i colori d ' Italia , e se due sorelle mancano ancora al nazionale tripudio , non son esse , nel lutto , meno di noi incrollabili nella fede dell ' avvenire , perché san bene che tutto questo vasto territorio di gente libera , non può da umana forza esser più risospinto nelle tenebre E finché arde la luce , finché questa fiamma è tenuta alta dalla forte tua destra , o Re Vittorio , non può più sorger timore di smarrire la via che ci conduca tutti all ' ultima mèta . La Spagna può avere i suoi Galindi anche nel pieno possesso della sua indipendenza , ma l ' Italia è terra privilegiata troppo da Dio , perché una volta rotta la lapide del suo sepolcro , non torni maestra di civiltà a quanti sono nella barbarie . Salve , o Re d ' Italia ! Era ben tempo che se un Re Galantuomo disertasse dal sinedrio dei Re spergiuri , anche i popoli disertassero dalle mene settarie per salutarlo loro padre e fratello . E Tu sei l ' uno e l ' altro per noi , che sbattuti per secoli nelle ire di parte , e nelle torture dei despoti , ti abbiam veduto scendere dal trono per accomunarti nei diritti ai tuoi cittadini , lasciare la reggia per accomunarti nei perigli del campo ai tuoi gloriosi soldati , gittar la Corona di Principe per aver la gemma dell ' amore della Nazione . E questa Nazione ti ama , perché Tu le provasti di amarla , né ama Te solo ma la tua stirpe intera , perché per quanto audacemente aneli al progresso , ella sente che niuna forma , o niun nome , potrebbe accrescerle lo splendore che Tu le hai conquistato , né garantirle più fortemente la libertà , che dai gradini del trono è a lei discesa . Oh che quella concordia che fu prima autrice di questo glorioso presente , non sia mai una vana invocazione , e quanti amano e sperano si confondano nei voti tuoi , che sono voti sinceri di cittadino più che di Re ! E Voi , fratelli nostri , che tendete ansanti a superare i confini che ancora segnano una linea di lutto in Italia , non vi scoraggiate per ore o per giorni che ci dividano ancora da voi Quando sentirete echeggiare le grida del nostro saluto , gioite e sperate , ché queste grida non sono di egoistico tripudio , ma sì di altissimo orgoglio per trecentomila figli che assordano l ' aria col rimbombo dei loro moschetti , col tuono dei loro cannoni , sono grida di libertà che alla vigilia del 6 giugno l ' Italia manda alla tomba di Santena , per tranquillare lo spirito del Conte Cavour , sulle profetate sorti d ' Italia . Se è morto Cavour , è sempre come torre fermo Vittorio Emanuele , e Vittorio Emanuele è il Re Galantuomo . Nel 1865 solennizzeremo la libertà in Piazza San Marco .
StampaQuotidiana ,
Non è lecito dubitare . A Torino il Presidente del Consiglio ha dichiarato nettamente di essere dall ' altra parte . Per il controllo degli operai sulle industrie . Per la sottomissione a tutte le violenze che sono state compiute e sono compiute da una minoranza , mentre la maggioranza degli operai ha disertato le fabbriche . Presa di possesso , rapina , sequestro di persone , furto , non sono più nemmeno amnistiati ché è tolto ad essi il carattere di reato . Si elabora il nuovo diritto . Il Governo si compiace di dichiararsi impotente . Così , in questa sorte di disgrazia che sono i governi succedutisi in Italia per distruggere la vittoria , Giolitti prende apertamente , deliberatamente la successione di Nitti . Già minacciando di continuare l ' opera ne fasta nella politica adriatica , egli oggi si pone per la politica interna nel quadro della politica di sconfitta , di cui abbiamo segnati i caratteri . Quando la vertenza era dei soli metallurgici , già il Governo aveva dimostrato di favorire la tesi aggressiva operaia e cercava giustificazioni in asseriti torti degli industriali . Ma oggi queste giustificazioni sono impossibili . La vertenza non è più limitata all ' industria metallurgica . Il controllo operaio tocca tutta l ' economia nazionale . Ne scrolla le basi e ne minaccia l ' esistenza , in piena crisi di materie prime , di tonnellaggio , di finanziamento , quando era necessario concentrare uno sforzo nazionale per scongiurare il pericolo del fallimento . Ebbene l ' on . Giolitti appoggiandosi a quelle frazioni e fazioni plutocratiche che portano in sé sempre il germe della sconfitta , l ' abulia nazionale , il senso della sottovalutazione , l ' on . Giolitti , non ha esitato . Egli vuoi continuare nell ' opera di defezione dello Stato . Già nella vertenza dei ferrovieri secondari , il ministro dei Lavori Pubblici , aveva operato come già Nitti nello sciopero dei ferrovieri . Si poteva credere ad un difetto del ministro . Invece no . Siamo di fronte ad un ' azione di governo . O peggio all ' inazione che cerca poi di incollarsi per etichetta un programma . Poiché siamo nella continuazione dello stesso sistema dell ' amnistia ai disertori che tradiva i combattenti e distruggeva il fondamento nazionale dello Stato ; delle trattative del comm . Magno col sindacato rosso dei ferrovieri che tradiva i ferrovieri rimasti fedeli allo Stato . Quando il governo con la sua viltà e partigianeria ha creato una situazione di crisi , e il paese resta smarrito senza guida , anzi col senso del tradimento , allora giustifica la sua inazione con le condizioni del paese stesso . Così ha fatto Nitti . Così continua Giolitti , ritornato al potere perché attendeva che trovasse un punto di arresto nella china fatale . E non c ' è nemmeno lo stile di una sottomissione ad una volontà organizzata poiché questa domanda di controllo sulle fabbriche è stata improvvisata perché non fosse da una parte misurata l ' impotenza massimalistica e dall ' altra travolta l ' organizzazione privilegiata proletaria , le cui schiere sono quasi tutte costituite dagli esonerati . L ' esperimento della presa di possesso è una cosa ridicola destinata all ' esaurimento . Ma come Nitti intervenne a trattare col sindacato rosso proprio quando lo sciopero ferroviario era vinto , così Giolitti interviene in favore del controllo , quando l ' esperimento della gestione diretta è fallito . Quando cioè l ' assenteismo del governo , che ha lasciato occupare le fabbriche , poteva forse trovare un ' assolutoria nella dura esperienza cui sono costrette le masse operaie . L ' intervento dell ' on . Giolitti è però la confessione di una defezione dello Stato e di una incapacità di governo . Con la prima si subisce l ' esperimento di una gestione , quando lo Stato doveva garantire all ' economia nazionale il massimo sforzo per poter fronteggiare il carico finanziario e correggere il terribile sbilancio commerciale . Con la seconda si vuole la resa a discrezione a chi non ha altra forza che la debolezza , lo smarrimento , la vergognosa esibizione di sottomissione della parte avversa . Oggi gli industriali debbono decidere . Ma la libertà , la possibilità della loro decisione sono infirmate . L ' on . Giolitti ha dichiarato di non essere neutrale . Ma partigiano . E , quel che è peggio , partigiano per incoscienza e per impotenza . Cioè per servitù . Così la generazione di Adua tenta di strangolare la vittoria .
Corrado Alvaro ( Vergani Orio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
È morto Corrado Alvaro . Il mio primo ricordo di lui risale al tempo in cui - sradicato dalla nativa Calabria , ventenne , mutilato sul Carso , fatto esperto da una prima esperienza giornalistica al « Carlino » di Bologna e poi al « Corriere della Sera » - arrivò a Roma . Doveva essere fra il '19 e il '20 . Le date precise non contano , nel ricordo : ma il colore del . tempo , la stagione della storia . Erano giorni decisivi , nel senso morale , soprattutto per la generazione dei giovani e per il maturare o per il doloroso frangersi o corrompersi delle loro intelligenze e delle loro speranze . Giorni decisivi anche per l ' arte e per la letteratura , e non solamente in Italia . Per quanto Marinetti fosse di parere contrario , il futurismo era già da tempo avviato al tramonto . Non si considerava possibile il rinascere dei movimenti fiorentini della « Voce » di « Lacerba » . « La Ronda » parlava di un ritorno all ' ordine , riunendo nelle sue pagine le prose di alta solennità di Cardarelli , i saggi teatrali di Riccardo Bacchelli , la tempesta immaginifica del grande « barocco » di Bruno Barilli . Era una stagione molto singolare . D ' Annunzio aveva trovato una nuova clausura fra gli ulivi del lago di Garda . Grazia Deledda scriveva con regolarità i suoi romanzi , lavorando dalle nove alle undici del mattino in una modesta villetta impiegatizia di via Porto Maurizio , sulla stessa tavola dove avrebbe poi steso la tovaglia per la colazione della sua famiglia . Luigi Pirandello era ancora catalogato fra i cosiddetti « scrittori ameni » . Federigo Tozzi entrava da Aragno solo per uscirne in preda a un violento corruccio . Odiava - e lo dichiarava - le chiacchiere . Fra i ragazzi di quegli anni - che forse davano un po ' presuntuosamente del « tu » a tutti - il giovane Alvaro era già « qualcuno » . Le sue poesie di ispirazione militare - le Poesie grigioverdi , stampate da un libraio editore che aveva bottega a due passi da Aragno in via delle Convertite - lo avevano reso noto . Quei versi erano stati scritti nella corsia di un ospedale militare , a Bologna , dove il sottotenente Alvaro - bel nome romantico e spagnolesco - era andato a rieducare alla meglio le mani mutilate . Si era curiosi , quando il giovanotto arrivò a Roma , di vedere da quale parte si sarebbe indirizzato , in quale « scuola » si sarebbe irreggimentato , quale « capo » avrebbe scelto . Così si ragionava a diciotto e a diciannove anni . Quello che vedemmo era un giovane che non sorrideva mai , o pochissimo , che aveva rare conoscenze e non desiderava forse di averne . Accompagnato talvolta dalla giovane moglie , sedeva a un tavolino appartato del famoso caffè letterario , dove non c ' era giornalista che non entrasse per dare un ' occhiata . Era piuttosto piccolo di statura : un vero fante , un vero « soldato meridionale » come quelli che aveva avuto vicini in guerra : ma dei « meridionali » , almeno come li immaginano i « manieristi » , non aveva certamente il volto . Della sua terra dell ' Aspromonte , la faccia custodiva un ' antica , silente melanconia : i suoi lineamenti erano in modo singolare assomiglianti a quelli di un mugik russo , forse di un piccolo fante russo . Il suo viso sembrava modellato dallo stesso pollice che aveva plasmato il volto di Massimo Gorkij . Spesso « il volto è l ' uomo » , è modellato dall ' anima dell ' uomo . Ce ne accorgemmo quando ci accadde di leggere i primi racconti firmati da Alvaro . La melanconia , la mestizia , la desolazione non hanno paesi precisi . Il dolore umano è uguale nella steppa slava e sui monti di Calabria . Alvaro veniva dal grande ceppo del « regionalismo » italiano . Solamente le acque dello stretto di Messina lo separavano da Giovanni Verga . Era dello stesso sangue , letterariamente , di Federigo Tozzi , così duramente radicato fra le « crete » senesi e i vicoli foschi della sua Siena . Erano tempi , in sede europea , di narrativa cosmopolita . Ma su Alvaro non operavano gli incantesimi delle metropoli e delle terre lontane . Il suo cuore era rimasto ancorato ai monti di Calabria come quello di Grazia Deledda ai sughereti e alla « tanca » della sua Sardegna . Si trattava di una fedeltà poetica : la fedeltà ai segreti miti tragici della povera gente nelle ultime , contorte vallate dell ' Appennino . In quel cerchio di ricordi del mondo esplorato e vissuto durante la prima giovinezza , Alvaro doveva compiere i suoi schietti , profondi , sicuri approdi di scrittore . Nei romanzi - in quell ' Uomo nel labirinto , che resta fra gli esemplari della sua generazione , e in quell ' Uomo e forte pubblicato molti anni dopo - la sua indagine si svolse in più profonde psicologie , in più folte tenebre , in più complesse angosce . Ma il suo « mondo » trovò la sua definizione completa in quei racconti della sua terra che concludono , in una misura degna del maestro e della tradizione , il tempo che si iniziò con Verga e che ebbe il suo ultimo fiorire con Tozzi e con Alvaro . Giornalista fu sempre , anche se negli ultimi anni aveva potuto raccogliersi e risparmiarsi in pagine e fatiche meno rapidamente professionali , sostando anche sui piani di un suo meditare che si volgeva all ' intimità di quella « condizione umana » che con termine più facile viene chiamato il problema delle nuove società . Era stato - negli anni della giovinezza - a Parigi : e più tardi in Russia . Non si può dimenticare ciò che egli seppe vedere allora con il suo sguardo apparentemente lento e quasi immoto . Le sue emozioni di viaggiatore in mondi lontani erano tutte in rapporto a una facoltà meditativa che pareva derivasse dal fondo greco che sta alla base di ogni uomo nato in vista del Mediterraneo . Per tutta la vita , fu un « uomo in disparte » chiuso negli stessi silenzi , rotti da poche parole e da improvvisi affetti , che da ragazzi conoscemmo al terzo piano della sua casa in via Sistina dove abitava quasi di fronte alle finestre dietro alle quali aveva vissuto Gogol ' . La vita non gli era stata facile , era stata talvolta dura e anche di alto dolore . Dissentiva dal fascismo , ma non ebbe , alla sua caduta , rancori o ironie . Del suo paese soffrì la tragedia . Era un animo nobile : un solitario .
TORINO, 25 SETTEMBRE ( - , 1864 )
StampaQuotidiana ,
Ed ora che importa di fare ? Importa di far conoscere all ' Italia il vero carattere dei moti di Torino . Importa si sappia che Torino ha parlato per l ' Italia , e non per sé , come vorrebbero far credere i nostri nemici . Importa che il nuovo ministero non abbia carattere piuttosto piemontese che siciliano , lombardo che napolitano , e via dicendo . Importa in una parola tener fermo più che mai ad un programma veramente , grandemente ITALIANO . Perché ci siam noi dichiarati ostili alla Convenzione ? Forse per la sola ed abbietta ragione ch ' essa ledeva gli interessi di Torino ? No certo perché se un tale egoismo avesse forza in questi paesi , invece di provocare continuamente per un decennio intero la terza riscossa , essi sarebbero chiusi ad ogn ' idea di guerra nazionale , per godersi una pace che la situazione dell ' Europa avrebbe guarentita . Torino dunque ha avversata la Convenzione colla Francia anzitutto perché la crede funestissima all ' Italia . E qui , poiché i nostri avversari si studiano di trarre in inganno le popolazioni circa le origini di questa discussione , ci si permetta per conto nostro un po ' di rivista retrospettiva . Il giorno in cui la Convenzione colla Francia fu conosciuta in seguito ad una indiscrezione più o meno volontaria della stampa officiosa , noi ignoravamo ancora la clausola segreta del trasferimento della capitale , né vi avremmo pensato neppur per sogno , sia perché avevamo prestata fede alla smentita risolutissima data dall ' Opinione , sia perché non viene in mente a nessuno che un fatto interno , come il trasferimento della sede del governo da luogo a luogo , possa fare oggetto di convenzioni internazionali , salvo il caso in cui uno dei due governi subisca la legge dell ' altro . Noi dunque scrivemmo il seguente articolo : « Torino , 17 settembre La conclusione d ' una convenzione od accordo colla Francia per l ' intiera cessazione dell ' occupazione francese in Roma sembra ormai un fatto compiuto e ( salvo il caso di articoli segreti ) essa sarebbe un avviamento allo scioglimento definitivo . « I francesi si ritirerebbero da Roma entro due anni , tempo stimato sufficentissimo perché il governo papale possa formarsi una forza militare sua propria . « Il governo italiano dal canto suo prenderebbe l ' impegno di non invadere né lasciare invadere il territorio pontificio , sicché i romani resterebbero soli giudici di conservare o licenziare il Papa e la guardia pretoriana di esso . « Oltre a ciò assumeremo a nostro carico una parte proporzionale del debito romano . « Come ben dice il Cittadino d ' Asti « non è questa ancora una soluzione , ma sarebbe tuttavia tale atto che metterebbe fine ad una incertezza Ia quale , mentre è cagione di gravi imbarazzi alla Francia , è permanente motivo di malessere all ' Italia . Eppertanto tutto il partito liberale temperato sarà senza dubbio disposto ad accettarlo come un pegno della più intima amicizia che sarebbe ristabilita tra il Regno d ' Italia ed il governo imperiale di Francia » . « Ma ci sono dei ma assai forti che meritano molte serie considerazioni . « Così per esempio non soccombiamo sotto il peso della quistione finanziaria , e se per prima condizione ci si accrescono i debiti , evidentemente i due anni d ' aspettativa saranno d ' altrettanto più duri per noi che non pel governo papale . « Aspettando gli utili cominceremo con averne il danno . « Si dirà forse che questo aumento di spesa sarà compensato da una condizione sottintesa , cioè dal disarmo ? « Ma allora per non aver Roma se non che in modo eventuale in avvenire noi rinuncieremo fin d ' ora e in modo esplicito a Venezia . « La questione è molto grave . « Sul bilancio della guerra si possono fare molte e importantissime economie , ma non tali da far contrappeso all ' aggravio che ci verrebbe dall ' assunto debito romano , se pur non volessimo intaccare l ' organizzazione stessa dell ' esercito anziché limitarci all ' invio di più classi in congedo . « Oltre a ciò è forte da temere che i partiti invece di quietare s ' inasprissero , tanto più se s ' aggiungessero altre condizioni ancora ignote . « In conclusione la combinazione immaginata tra il governo francese e l ' italiano , nei termini in cui finora è fatta conoscere , esprimerebbe le migliori intenzioni da ambe le parti ; ma siccome il governo italiano si addosserebbe nuovi pesi immediati senza essere sicuro che entro i due anni lo scioglimento di Roma arrivi a giorno fisso , così temiamo assai che contro il volere dei contraenti la convenzione invece di essere utile all ' Italia e dannosa al governo pontificio sia un ' arma a doppio taglio che possa facilissimamente ferire l ' Italia sola . « Infatti in due anni può aver luogo un mondo di avvenimenti tutti a nostro danno , e non un solo in favore , perché ad ogni modo noi saremo vincolati per tutto il biennio . « Il primo di questi avvenimenti già s ' intende , sarebbe il pagamento dei milioni del debito pontificio ; e questo sarebbe certo . « Il secondo una crisi qualunque in Francia che desse motivo più o meno fondato al governo di Parigi di prolungare l ' occupazione anche oltre quei due anni . « Il terzo una crisi qualunque in Italia , e questa pur troppo non pare improbabile se non iscongiuriamo la fatale iettatura che perseguita le nostre finanze . « Egli è evidente che al primo sorgere d ' un pericolo interno ci si direbbe dopo il biennio : « Non siete forti abbastanza per guarantire che il Papa non sarà attaccato , e perciò con grandissimo nostro dispiacere noi resteremo ancora a Roma » . Di guisa che la convenzione non avrebbe portato alcun altro risultato se non che i milioni del debito papalino invece d ' essere pagati dal Papa , lo sarebbero dal governo italiano , cioè dagli avversari politici del Papa . Saremmo insomma i minchioni della farsa . « La condizione dell ' Italia , peggiorata d ' assai , potrebbe divenir tale da rendere problematico , non che il conseguimento dell ' Unità completa con Roma e Venezia , anche la conservazione di ciò che esiste fin d ' ora . « Quindi è che concludiamo : « la combinazione di cui si parla può essere buona ma a patto che la nostra condizione finanziaria non ne resti aggravata sotto alcun aspetto , e che non sianvi condizioni che gettino la discordia fra gli italiani , come sarebbe quella di una rinuncia esplicita od implicita a Venezia . « In caso diverso meglio , assai meglio la libertà d ' azione finora goduta . Essa ha certo i suoi inconvenienti ma di gran lunga minori di quelli che scaturirebbero da un contratto il quale in fin dei conti non vincolerebbe che noi soli , che portando nuovi aggravi e fortissime cagioni di discordie tenderebbe ( senza volerlo ) assai più allo sfasciamento che al consolidamento di questa Italia » . Ecco in qual modo oppugnammo la Convenzione sin dal primo giorno , e la pacatezza di parole così disinteressate è la migliore risposta che possiam fare ai nostri nemici . La clausola segreta del trasferimento cominciò a trapelare in città nella giornata stessa del 17 . E non era per fermo tal condizione da farci mutar parere intorno al complesso della Convenzione ! Noi vi vedemmo l ' abbandono di Roma , noi vi vedemmo una ragione di più per respingere un trattato fatale , ma indipendentemente da qualsiasi considerazione torinese per la buona ragione che non esitammo giammai a combattere anche Torino quando Torino ci parve aver torto , e sono note le nostre polemiche contro il municipio durante anni ed anni . Invano i nostri avversari vollero trarci sul campo municipale facendo suonar alta la quistione dei compensi . Noi non riconoscemmo che la quistione italiana . Non è in campo Torino ; è in campo Roma . Torino non ha protestato per se sola ; ha protestato per l ' Italia . Ed è questa la condotta in cui dobbiamo persistere con fermezza . Il cambiamento di ministero non risolverebbe la quistione ( come ha già osservato il Diritto ) ; ed infatti la Convenzione colla Francia esiste tuttora , e ci crea una situazione piena di difficoltà . Se sarà eseguita , evidentemente non diverrà migliore per ciò solo che la eseguirà Lamarmora piuttostoché Minghetti e Peruzzi . E nel caso contrario i nostri nemici presenteranno il fatto come trionfo esclusivo del così detto piemontesismo , per suscitare nel resto d ' Italia una reazione contro Torino e il Piemonte . Questa situazione , di cui l ' Italia va debitrice al ministero scivolato nel sangue , è molto grave . E se per risolverla , se per potere annullare una Convenzione che già sin d ' ora ha portato all ' Italia assai maggior danno che una battaglia perduta è necessario un ministero inaccessibile all ' accusa di piemontesismo , noi saremo i primi ad appoggiarlo . Né esitiamo a riconoscere che un ministero con prevalenza di piemontesi di qualsiasi colore sarebbe il meno acconcio ad ottenere un tale risultato . Noi crediamo che per la salvezza d ' Italia la Convenzione non debba eseguirsi , ma il suo annullamento deve essere fatto in modo che non sia né sembri una vittoria esclusiva di Torino . Non è Torino che deve vincere , ma la causa d ' Italia , la causa della unità , la causa della libertà , ROMA !
NON DISARMARE ( - , 1921 )
StampaQuotidiana ,
A che cosa miravano , da quale motivo erano animati i barricadieri di Firenze e gl ' incendiari di Trieste nel perpetrare i loro atti terroristici ? Non dal disagio economico e tanto meno dalla fame . La fame e il disagio economico non possono più compiere la loro classica funzione di cattivi consiglieri presso una classe che oramai ha raggiunto salari notevolmente più alti del reddito medio che l ' economia nazionale comporti . Se fosse il disagio economico ad alimentare un qualsiasi proposito rivoluzionario , prima di arrivare alle odierne categorie di rivoltosi , esso dovrebbe svolgere la sua attività istigatrice presso infinite altre categorie e ceti , che , pur lottando per i loro miglioramenti , forniscono invece i contingenti più numerosi e più volenterosi alla difesa dell ' ordine . Nelle attuali condizioni della economia nazionale , si comprenderebbero più facilmente gli impiegati dello Stato e gli ufficiali dell ' esercito a dar fuoco agli uffici e alle caserme , che non gli operai incendiare gli opifici e i contadini devastare i campi . E non dal bisogno di scuotere il giogo di una opprimente oligarchia politica , ché il cosiddetto regime di libertà e il suffragio universale e i pavidi governi borghesi hanno ormai già finito di trasformare gli oppressi in oppressori e d ' insediare le camarille socialiste in buona parte dei municipi italiani . E neppure infine dalla fondata speranza di potere instaurare un ordine nuovo quale esso sia , ché essi sanno per prova quanto salda sia la fedeltà dell ' esercito e quanto deliberato il proposito di tutte le classi non esclusa la grande maggioranza di quelle a cui essi stessi appartengono , a non consentire attentati all ' ordine costituito . Or dunque , né la necessità , economica o politica , né una grande passione , per quanto errata , né uno scopo ritenuto possibile , se anche non probabile , possono invocarsi a giustificare , o almeno a spiegare , la furia insurrezionale che si è venuta determinando in questi ultimi giorni . Siamo dunque di fronte alla rivolta gratuita , alla rivolta senza causa e senza scopo , alla rivolta per la rivolta . Un simile atto nel mondo della delinquenza individuale si chiamerebbe un delitto per brutale malvagità . La cosa e il nome non possono mutare se invece di uno siano in mille , o in diecimila , a compiere gli stessi fatti . Ciò che è avvenuto a Firenze e a Trieste non merita il nome di rivoluzione e neppure di rivolta , ma di follia criminosa di parossismo delinquente , che invano si cercherebbe di spiegare con l ' azione di cause attuali di qualsiasi specie , ma solo con l ' azione atavica di antichi istinti sanguinari . Di fronte ad un fenomeno simile è assurdo e pericoloso pronunziare parole di pace . Ogni atteggiamento conciliatore sarebbe una dedizione , che darebbe nuova esca al furore criminale , che imperversa per le città e per le campagne d ' Italia . Noi rifiutiamo di associarci all ' opera di pacificazione che da più parti s ' invoca . Lasciamo questo compito ai politicanti borghesi , abituati a comprare ora per ora , a furia di compromessi e a prezzo della propria dignità , il diritto di vivere , e ai politicanti socialisti che , pur fingendo di deplorare gli eccessi , hanno tutto l ' interesse di mantenere in vita la criminalità rivoluzionaria , per ricattare la borghesia e consolidare il loro potere personale . E lasciamo ai politicanti comunisti di speculare sulla vanità dei crimini odierni , per gridare la faute ... a Serrati . Noi , abituati a dire parole nuove e ingrate alla vecchia Italia borghese e socialista , diciamo che ogni tentativo di pacificazione è una commedia indegna , e che non si deve disarmare fino a che il nuovo brigantaggio che infesta l ' Italia non sarà distrutto alla radice .
Bruno Barilli ( Vergani Orio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Costretto a vivere in uno studio da pittore , di quelli all ' antica con la luce che piove verticale e accademica dall ' alto , attraverso ai vetri di un lucernario sul quale passa l ' ombra volante dei piccioni e delle rondini , Bruno Barilli s ' addormentava con la luna e le stelle che gli « battevano » in faccia . Rincasava a tarda ora , arrivando alto e spettrale da via del Babuino e da piazza del Popolo , dove non c ' era altra voce al di fuori di quella delle fontane attorno all ' obelisco : si inselvava in un parco cintato che fiancheggiava Villa Borghese , dove un vecchio signore olandese , dalla barba e dai silenzi simili a quelli di un mago , aveva costruito certi padiglioni a forma di baita per affittarli , in cambio di pochissima moneta , agli artisti che avessero voluto vivere in una specie di labirinto arboreo , lontani dai rumorosi selci delle strade di Roma e dal vocio dei vetturini e dei cocomerari . L ' arredamento dello studio era costituito da un materasso buttato su due trespoli , i vestiti si attaccavano a quattro chiodi , la biancheria stava per terra , fra due fogli di giornale . Nelle notti di estate , nella stagione degli amori , arrivavano fra gli alberi il ruggito dei leoni e l ' urlo delle tigri chiusi nelle gabbie del vicino Giardino Zoologico . All ' alba il sole illuminava il letto sfatto , la grande figura del dormiente e il lungo volto ossuto traversato , all ' altezza degli occhi , da una larga benda di seta nera . Barilli - in quello scenario da Fantasma dell ' Opera - usava le sue precauzioni per difendersi dalla luce . Sul pavimento un tappeto balcanico , avanzo dei ricordi di antichi viaggi , pareva , con le sue ruvide lane rosse , una larga traccia di sangue . Questo è un ricordo vecchissimo , quasi antico : risale al tempo in cui , se ritroviamo la loro immagine , gli uomini sono ancora vestiti in costume , con la bombetta , con le ghette , con grande sciupio di amido per i colletti e i polsini . Le donne si tingevano gli occhi con una ditata di cerone azzurro e le adultere , nascoste sotto al mantice di tela cerata delle carrozzelle , riparavano il viso sotto velette fiorate . Se prestavi l ' orecchio , sulla dirittura del Corso pareva di udire ancora l ' eco delle corse dei « barberi » e per via Gregoriana il passo di Andrea Sperelli . Ogni tanto sfilava qualche gruppetto di arditi , con il fez nero dal lungo fiocco , che parevano usciti da una stampa del Callot . Era , insomma , il tempo fra il 1918 e il 1920 , quando i sottosegretari dei governi non avevano ancora a disposizione l ' automobile , ma una vasta carrozza foderata di panno verde . Bruno Barilli , scrittore di musica , violoncellista , figlio di uno scenografo del Regio di Parma , marito di una nipote del re Pietro di Serbia , erede di una duplice assomiglianza con Berlioz e con Niccolò Paganini , rosso nei capelli cespugliosi , scavato nel volto come il personaggio di un disegno di Gustavo Doré , povero in canna , lungo come un flauto , avvolto in larghi abiti di serge blu , il candido colletto floscio sventolante con i due pizzi sotto alle lunghe mascelle , sembrava arrivare dritto dritto dalla soffitta dove vivevano i personaggi dei racconti di Hoffmann , di Poe , di Gérard de Nerval . Quando , nel 1924 , gli fu offerto di raccogliere le sue prose in un volumetto , che ebbe per titolo Delirama e che segnò un punto preciso come libro essenziale della letteratura italiana di questo primo mezzo secolo , Barilli si era guardato attorno lieto e impacciato . Dove , come ritrovare i suoi scritti ? Ne aveva disseminati nelle « terze pagine » , non li aveva mai conservati . Solo la buona volontà di Emilio Cecchi poteva compiere il miracolo di recuperare quelle settanta - ottanta preziose paginette . Di qualcuna che non era possibile scovare da nessuna parte , Bruno trovò la traccia a lapis su vecchi programmi del Costanzi e dell ' Augusteo o nel rovescio di qualche biglietto d ' ingresso . Anche di correggere le bozze si incaricò Cecchi , perché Barilli non lo sapeva fare e perché , come al solito , doveva partire . La vita di Barilli fu effettivamente una continua partenza . Era incapace di avere una casa , un recapito , un indirizzo . Viaggiava , lasciava la valigia con il frac al giornale , arrivava trafelato , si cambiava in redazione , si cibava durante lo spettacolo con un cartoccetto di bucce d ' arancia candite , prendeva le sue note al buio appoggiando il taccuino sul ginocchio ossuto . Non c ' è da stupirsi che i suoi libri e i suoi articoli uscissero a urlo di lupo . La povertà , la melanconia , la difficoltà di farsi capire come musicista , un orgoglio leonino e un animo di fanciullo sperduto , l ' incapacità agli accomodamenti e alle alleanze , le lunghe amnesie , le ansie e i triboli di una vita solitaria disperdevano la sua vita come quella di un esiliato . Compiuti gli studi a Parma assieme a Ildebrando Pizzetti , il figlio del pittore Cecrope Barilli è diviso fra la creazione musicale , l ' estro letterario e la vocazione per la vita nomade . Prima della Grande Guerra è a Parigi che resterà spiritualmente , dopo Parma , la sua seconda patria . Il suo animo illuminato e stoico gli permette di vivere con quasi nulla , gli consente i più duri adattamenti . Viaggia qua e là per l ' Europa . La prima guerra balcanica lo sorprende in Serbia . Invece di tornare in Italia - non vuole , perché si è innamorato di una nipote di re Pietro , e , contro la volontà del sovrano , finirà per sposarla e per avere da lei una figlia , Milena - telegrafa al « Corriere della Sera » offrendosi come inviato al fronte . Aveva già scritto per « La Tribuna » . L ' offerta è accettata dagli Albertini . Barilli però non è tipo di adattarsi a un giornalismo rigoroso che finirebbe a non lasciargli tempo per la musica : per scriverne e soprattutto per pensarla e amarla . Ritorna a Parigi e si sfama e sfama la piccola Milena suonando il violoncello nelle orchestrine dei caffè . Suona anche il pianoforte in qualche cinematografo di periferia . Conosce il russo . Si lega d ' amicizia con i musicisti e con le ballerine della prima troupe di Diaghilev quando questi cala a Parigi . Sono i tempi in cui impara a cibarsi di valenciennc ' e di acqua . Il richiamo della sua classe lo riporta in patria , con un berrettuccio da ufficiale calcato sui capelli rossi . Riappare a Parma e a Roma . È uno strano ufficiale che pretende di farsi la barba con un paio di forbicine da unghie . Questa è un ' abitudine che gli resta per tutta la vita : le sue forbicine lavorano al caffè , in strada , in tutti i momenti in cui Barilli naviga tra le sue fantasie . Sono gli anni in cui , dopo avere scritto Medusa , compone 1'Emiral . Dove ? In quello studio da pittore di villa Strohl - Fern , non c ' è l ' ombra di un pianoforte . Barilli non può permettersi di noleggiarne uno e si fa assumere come pianista in un piccolo cinema dalle parti del Vaticano . Deve accompagnare i film muti . Nelle ore del primo pomeriggio , quando in sala ci sono soltanto due , tre coppie di innamorati che non fanno attenzione né al film né alla musica , Barilli , tranquillo come se fosse nel proprio studio , lavora all ' Emiral . Gli amici della « Ronda » sono curiosi di conoscere l ' opera . Barilli invita tutti al cinematografo e , durante la proiezione di un film di Tom Mix , la suona . Fa tutti i mestieri , solo perché si è promesso di non fare « musica di mestiere » . Per pagarsi questo lusso , diventa comparsa nei film muti . Diventa anche attore . Caramba gli fa interpretare la parte di Virgilio , in una specie di fantasia sulla Divina Commedia , e Arnaldo Fratelli , che in quegli anni è regista , lo sceglie per protagonista della Rosa , il primo film tratto da una novella di Pirandello . Barilli recita bene , puntuale , disciplinato . Rifiuta solo una sequenza dove deve figurare in terra , morto , con vicino una candela . Per scaramanzia ? No . Perché gli pareva fa scena della morte di Scarpia e , come musicista , quella scena della ' rosea non gli piaceva . La sua carriera è stroncata da un atto di sincerità artistica nel quale sa di giocare tutte le sue già tanto precarie fortune di operista . Dopo la prima del Nerone , a Milano , scrive in un giornale romano una fiammeggiante bellissima pagina di prosa nella quale Boito , Mefistofele compreso , è fatto in briciole . L ' industria del teatro d ' opera non gli perdonerà mai quell ' articolo che , dal punto di vista critico , è perfetto . Non si può più ascoltare Boito senza ricordare la stroncatura di Barilli . Ma sono gesti che pesano : lo scrittore di musica è messo al bando dai giornali benpensanti che non amano le « grane » . Se vuole mangiare , Barilli deve trasformarsi in scrittore di viaggi . Dal suo periplo dell ' Africa , nasce il più bel libro italiano su quel continente . La poesia melanconica , la cupa segreta disperazione di Barilli si riflettono nell ' Africa e negli occhi delle sue umili genti come in uno specchio nero . Al termine del viaggio , si ammala e resta per tre mesi in fin di vita , al Cairo . La sua fine è segnata . Le sue capacità di lavoro - un lavoro lento , fatto di raccoglimento e di lunghissime osservazioni - diminuiscono . Vive solitario in una stanzuccia d ' albergo a Roma , sorretto da un solo entusiasmo . Sua figlia Milena , che è emigrata negli Stati Uniti , si è fatta un buon nome come pittrice , e aiuta il suo strano papà mandandogli in dono quadri da vendere . Bruno si intenerisce e , invece di venderli , attacca i quadri alle pareti della sua camera . Vive poveramente , dignitosamente chiuso nei suoi vecchi vestiti azzurri , scrivendo ogni tanto , a fatica , qualche elzeviro . Sembra che abbia dimenticato di essere un musicista . Un giorno , un telegramma dall ' America gli annuncia che Milena è morta cadendo da cavallo . Bruno si avvia al naufragio . Continua a vivere in silenzio a tazze di tè , di grissini , di valenciennes . Perde uno alla volta i denti . Si riconosce alla fine nello specchio come un triste vecchio sdentato . I suoi scritti non sono ormai che la tragica storia di una decadenza . Una sera , trova in albergo l ' avviso di andare alla stazione a prendere un pacco in arrivo da New York . È la cassettina con l ' urna che contiene le ceneri di Milena . Tutti sapevano quanto la prosa italiana - e non solamente la prosa , perché il riflesso dell ' arte di Barilli ha agito in vari modi a cominciare , per esempio , dalle composizioni pittoriche e dal clima fantastico del pittore Scipione - doveva a Bruno Barilli : ma da questo ad avere per lui un segno fattivo di riconoscenza il passo è stato lungo e incompiuto . Sembra fosse stato firmato un decreto che , nominandolo ispettore musicale di un istituto cinematografico , gli avrebbe assicurato il pane . Il decreto è arrivato quando , in clinica , Barilli già vaneggiava e dal fondo del suo letto come chiamando una amica , ripeteva con voce ancora ferma : « Avanti , Morte ! » .