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Guardiamo sempre a Santena , e Santena ci risponde : Venezia e Roma . Guardiamo ai convenzionisti , e ci rispondono : Tappa e disarmo . Ebbene , no . Né tappa né disarmo . Quest ' è il nostro programma dell ' avvenire , questa la posizione nostra franca , netta , decisa . Ma la Convenzione è legge . Sì , è legge , e la rispetteremo . Ma noi le daremo altro sviluppo da quello che intenderebbero darle i loro autori . Mentr ' essi abdicarono al programma del Conte Cavour , noi lo vorremo compito fino alla sua ultima sillaba . Noi , soli difensori delle Questioni urgenti di Massimo d ' Azeglio quand ' era vivo Cavour , contro il briaco schiamazzare d ' una stampa che appena allora vagìa di politica , noi non apostatiamo alla nostra fede come fan essi che oggi accettano quello contro cui bestemmiavano allora . Noi , cui piacque sentir le nobili ire della stampa a noi ostile contro il programma di raccoglimento del Conte di San Martino , non apostatiamo oggi al nostro grido che « il disarmo con Venezia in catene sarebbe tradimento » , ma subendo la inesorabile necessità a cui ci trascina la Convenzione fatta legge , ci adopreremo perché si arrestino , per quanto è possibile , le ultime conseguenze di un atto che ci condurrebbe sa Dio a quali tristi sciagure . Per far ciò bisogna che il Piemonte corra dietro all ' Italia , che gli si tenta rapire . Bisogna rispettare la legge del trasporto ma star sentinelle col moschetto al viso per attendere l ' ultimo minuto dei due anni in cui la Francia s ' è impegnata a trarre il Corpo d ' occupazione da Roma . Bisogna completare l ' Italia con Venezia nostra , colla Monarchia in Campidoglio . Eccoci fermi nei nostri principii , eccoci saldi sempre alla nostra bandiera . Chi vede in noi il municipalismo , ci guarda colle lenti proprie . Come non conosciamo consorterie , come non conosciamo partiti , come non conosciamo interessi che ci leghino a una piuttostoché ad altra contrada , così non conosciamo municipii . Il nostro campanile è in Campidoglio . Il nostro programma è quello del Conte Cavour !
LA «PACE» INTERNA ( - , 1921 )
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Ogni sforzo diretto a porre fine alla violenza e a conciliare gli animi esasperati non può non essere guardato con benevolenza e secondato con sincero desiderio di successo . Ma perché il successo sia non apparente , ma reale e fecondo di utili risultati per il Paese , bisogna che i vantaggi conseguiti dalla parte nazionale sulla parte antinazionale , dall ' Italia sull ' antitalia abbiano pieno riconoscimento e siano consolidati in quel nuovo stato di fatto , che seguirà all ' accordo . Diversamente sarebbe non una pace , ma una semplice tregua a tutto vantaggio dei nemici interni , che la pusillanime tolleranza o assenza dei governanti aveva resi audaci e spavaldi e che la spontanea reazione delle giovani forze nazionali , dopo averli costretti ad una disperata difensiva , li ha ridotti a chiedere mercé . Il Popolo italiano non è una scolaresca in vacanza , che dopo avere giocato alla guerra , si diverte a stipulare la pace . La pace interna deve essere una cosa seria , appunto perché la guerra interna è stata una cosa triste ed atroce . Come coi nemici esterni così coi nemici interni l ' Italia non può volere una pace di compromesso , ma una pace vittoriosa . Ora una pace vittoriosa all ' interno non può voler dire semplicemente la fine della materiale violenza , ma il riconoscimento pieno ed universale della supremazia morale dell ' Italia , l ' osservanza per tutti del culto , per lo meno esterno , della Patria . Se la fine della violenza non deve essere l ' effetto dell ' esaurimento fisico delle parti contendenti o di un intervento coercitivo del potere pubblico , ma l ' oggetto di una regolare stipulazione contrattuale , questa non può avere per presupposto il diritto ad una incondizionata libertà di manifestare e di esaltare la propria idealità , anche se in contrasto ed in ispregio con l ' idea sovrana di Patria . Non si può contrattare il rispetto alla bandiera nazionale , mediante il corrispettivo del rispetto alla bandiera rossa . Al disarmo materiale della parte nazionale deve corrispondere da parte degli elementi sovversivi il disarmo degli spiriti almeno nelle loro manifestazioni esteriori . Ora sono gli uomini , che si assumono la responsabilità di rappresentarli , in grado di garantire che non avranno più a ripetersi gli oltraggi alla bandiera nazionale , il vilipendio dell ' esercito , gli insulti ai combattenti e le offese alla vittoria italiana , che già furono in onore nelle manifestazioni pubbliche e sulla stampa di loro parte ? Di non permettere più lo sventolio delle bandiere rosse nei loro municipi e nelle sedi delle loro organizzazioni , i voti antipatriottici nei loro consessi ? Se sì , firmino pure l ' accordo e la pace sarà fatta . Se no , è perfettamente inutile che si reciti la commedia della pace interna , mediante la stipulazione di un regolare protocollo di rappresentanti senza credenziali . È inutile , perché la violenza , non potrà mai essere eliminata finché permangono le provocazioni alla violenza . Noi non possiamo ammettere che i simboli della Patria , come la bandiera nazionale , e gli organi essenziali della Patria , come l ' esercito , siano identificati ai simboli e agli organi di un partito e quindi equiparati , nel mutuo rispetto e nella mutua tolleranza , ai simboli e agli organi di un altro partito , che disconosce la Patria in tutti i suoi attributi e in tutti i suoi simboli . Perciò un accordo per la pacificazione non può avere per oggetto che o la garanzia dei capi socialisti dell ' ossequio da parte dei loro seguaci alle forme e agli istituti che incarnano e simboleggiano la maestà della Patria ; o l ' impegno da parte degli stessi capi di consentire acché lo Stato reprima fermamente , anche , se occorre , mercé nuovi provvedimenti legislativi , ogni forma di vilipendio alla Patria e ogni offesa alla coscienza nazionale .
Luigi Barzini senior ( Vergani Orio , 1959 )
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La storia del mondo voltava pagina . Quando Luigi Barzini , ragazzo di Orvieto , scese a Roma , arruolato in un modesto giornale , che mescolava i piccoli entrefilets con i « pupazzetti » nel genere di quelli di Vamba e di Gandolin , e fu scovato da Luigi Albertini e spedito a Londra come corrispondente del « Corriere della Sera » , erano , senza che molti se ne rendessero conto , anni di avvenimenti favolosi . Dalla lanterna magica si passava alle pellicole dei Lumière , la Patti e Tamagno incidevano i loro primi « cilindri di cera » per il fonografo , Marconi studiava il telegrafo senza fili , l ' uomo si ostinava a tentare di volare affidato ad un paio d ' ali simili a quelle di un pipistrello . Molto cambiava nel mondo . Al corredo dei soldati giapponesi sarebbe stata aggiunta di lì a poco una zappetta per scavare , idea difensiva del tutto nuova , una trincea . Barzini aveva ventidue anni al tempo di Adua , dove cadde ucciso il primo inviato speciale italiano . Il suo spirito di italiano rimase per tutta la vita , per quel ricordo , legato al problema di una dignità da salvare . Il giornalismo al cui servizio lo chiamò Luigi Albertini - Barzini aveva ventiquattro anni , Albertini ventotto - sarebbe stato del tutto diverso da quello dei Bottero , dei Bersezio , dei Mercatelli , dei Gobbi - Belcredi , dei Roux e del principe Sciarra . Fosse rimasto a Roma , Barzini sarebbe probabilmente naufragato nelle cronache , nei pettegolezzi e fra i « pupazzetti » di Montecitorio . Albertini mandava Ugo Ojetti , altro coetaneo , a conoscere le terre d ' oltre Adriatico da cui sarebbe giunta in Italia la bellissima Principessa Elena e , subito dopo , lo mandava in Calabria sulle tracce del brigante Musolino . A Barzini , alto , magro , pettinato con una riga in mezzo , Albertini consegnò le chiavi del mondo ad un ' età in cui , mentre l ' Ottocento tramontava , era ancora difficile che si affidassero ai ragazzi le chiavi di casa . Negli uffici del « Corriere » Barzini non ebbe mai una propria scrivania . A casa , per vari anni , non ebbe il telefono , in una Milano che nel 1906 aveva solamente mille apparecchi . Il figlio non ci racconta se suo padre « batteva » a macchina . La stilografica era appena nata ed era una novità addirittura entusiasmante , tanto che certi giornalisti intitolavano Stilografiche le loro rubriche . Gli articoli di viaggio e le corrispondenze si chiamavano Lettere da Londra o Lettere dalla Russia o addirittura , più tardi , Lettere dal fronte perché erano proprio delle lettere da porto doppio , impostate con francobolli da 15 centesimi . Milano non toccava il mezzo milione di abitanti . Barzini andava in terre lontane : e , nelle terre lontane , viaggiava ancora a cavallo . Nei conti che , al ritorno , consegnava all ' amministratore Eugenio Balzan , c ' erano « voci » che oggi sanno di favola : cavallo , stalla , striglia , avena , carrube . La Cina per la guerra dei Boxers ; la Siberia vista dalla Transiberiana ; la tragica epopea della guerra russo - giapponese fino alla battaglia di Mukden ; infine i 16 mila chilometri di viaggio in automobile da Pechino a Parigi : sono i sette anni stupefacenti di Barzini , scrittore lento , pieno di dubbi e di tormenti , infaticabile nello sforzo di raggiungere una « limpidità » che fino allora , salvo per De Amicis , sembrava negata alla nostra prosa non solamente giornalistica . Per chi conosce i suoi predecessori , la differenza di tono appare evidente . Barzini non amoreggia con i crepuscolari : non è un seguace del « naturalismo » e , soprattutto , non si lascia prendere nemmeno con la punta del mignolo nelle tagliole del dannunzianesimo . Sempre salvo da ogni contagio , è probabile che leggesse assai poco i suoi contemporanei . Era tutto teso a « vedere » , si fidava più della memoria visiva che non del taccuino . Collega di due grossi bibliofili come Ojetti e Simoni , in casa - salii una volta , a vent ' anni , al suo quarto piano - non aveva vistose librerie . I libri erano quasi tutti , probabilmente , di sua moglie , ch ' era buona scrittrice : e per quanto io guardassi attorno sulle pareti e sugli scaffali e persino nei corridoi , non aveva souvenirs de voyage non , come avevo immaginato , selle arabe , fucili dal calcio intarsiato di madreperla , tappeti , gualdrappe di cammelli , paraventi cinesi , ventagli giapponesi . Anche le sue pagine di viaggio nel mondo delle geishe , o nella vecchia Pechino , o nelle città czariste , non convogliano in sé colori di rigatteria o di esotismo turistico , per esempio alla Pierre Loti o alla Claude Farrère . Barzini tornava a casa con un bagaglio leggerissimo , sempre pronto a ripartire all ' indomani . Egli credeva , penso , solamente nel filtro della memoria e nel potere , che chiamerei epistolare , del suo stile . Di qui la chiarezza del suo colloquio con il lettore , una parola senza riboboli e senza barocchismi , un disegno descrittivo netto , e mai il fiato corto o il fiato grosso , e mai il compiacimento del « pezzo » che strizza l ' occhio sul virtuosismo e dice : « Guardate quanto son bravo ! » . Un intuito infallibile negli « attacchi » - chi fa il nostro mestiere sa che nelle prime righe si mette tutto in gioco - , nessun crescendo retorico , mai troppa spinta nel premere il pedale . Dopo quasi sessant ' anni la prosa di queste « avventure » non ha forfora , non ha chiazze di sopraggiunta calvizie , non ha rughe o zampe di gallina , non ci appare , mai in « costume » , non denuncia un « gusto » . La sua lezione è ancora valida , dopo che tre generazioni si sono lustrate le maniche sul tavolo a buttar fuori prosa che faccia velocemente girare la rotativa .
VIVA PIETRO MICCA ! ( - , 1865 )
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Il telegrafo aveva alquanto addolcito il tuono di superiorità assunto dal discorso napoleonico nella parte che concerne la quistione italiana . L ' Imperatore non ha detto solamente : « Nel mezzogiorno dell ' Europa la nostra azione doveva esercitarsi con maggiore risolutezza » ma ha voluto esplicitamente rivendicare la Convenzione come un atto suo proprio e personalissimo . Egli così s ' è espresso : « Nel mezzogiorno dell ' Europa l ' azione della Francia doveva esercitarsi con maggior risolutezza . IO HO VOLUTO render possibile la soluzione di un difficile problema » . Davanti a questo J ' AI VOULU che cosa resta della famosa formula del ministero passato « indipendenti sempre , isolati mai ? » . J ' ai voulu , e l ' Italia ( salvo il piccolo Stato ai piedi delle Alpi a cui le membra sparse della patria italiana cercavano di riattaccarsi per mezzo di deboli legami ) ha trangugiata la pillola non solo con rassegnazione , ma con entusiasmo . Questo divario d ' opinione tra il resto d ' Italia e il piccolo paese porge al discorso imperiale naturalissima occasione di fulminare i pregiudizi anti - convenzionisti , e di lasciar cadere dalla penna un ' idea nuova espressa in modo irréprochable , l ' idea cioè che tra le membra della patria italiana e il piccolo paese ai piedi delle Alpi corra un non so che di distinto , o in altri termini , che l ' Italia che si proclama costituita definitivamente senza Venezia e senza Roma , potrà esserlo anche senza il piccolo paese . Ma del piccolo paese che cosa intendesi di fare ? Un Regno a parte perché serva di cuscino intermedio per rammorbidire gli attriti fra la Francia e l ' Italia futura , come prima fra la Francia e l ' Austria ? Oppure addirittura dipartimenti francesi ? Oh bene ! Il Piemonte risponde intanto alla frase imperiale , ricordandosi l ' eroe biellese , e gridando VIVA PIETRO MICCA ! Il Piemonte ha da lagnarsi altamente di alcune provincie italiane , ma i torti di fratelli non gli faranno rinnegare la madre . E poi or ch ' è palese che la Convenzione non è cosa italiana , perchè avrebbe rancori contro gente che non sapeva quello che si facesse ? Viva l ' Italia ! Viva Pietro Micca !
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Mentre a Roma si tratta , a Bologna , cioè nella culla del fascismo e dove il fascismo conserva ancora intatto lo spirito delle sue origini , si rivendica il carattere di pura ed energica resistenza nazionale del movimento fascista e si proclama l ' assoluta impossibilità per il fascismo , in quanto forza spontaneamente e direttamente espressa dalle viscere della società italiana per supplire alla negligenza dello Stato , a salvaguardia dei suoi caratteri nazionali , di venire a diretto contatto con le forze antinazionali e di collaborare , sia pure accidentalmente con esse , ad un ' opera di apparente pacificazione . A nessuno può sfuggire l ' importanza di una tale declinatoria delle cosidette trattative di pace , fatta non soltanto dall ' organizzazione fascista più autentica e combattiva , ma fatta anche in nome dei principii più essenziali del fascismo e di un interesse altissimo , che non solo trascende la latta delle fazioni , ma respinge energicamente per proprio conto il carattere fazioso che si vorrebbe attribuire all ' azione fascista . È in sostanza una pregiudiziale assai grave , che le organizzazioni emiliane - romagnole riunite a congresso muovono ai tentativi di pacificazione . Questi tentativi esse dicono muovono dal presupposto che la lotta cruenta che ora si combatte è opera di due fazioni egualmente dannose all ' interesse nazionale , perché entrambe le fazioni si sono poste volontariamente fuori della legge e in egual modo disconoscono l ' autorità dello Stato . Ora il fascismo non può in alcun modo rinunziare a ciò che costituisce la sua stessa ragion d ' essere e che apparve nitidamente a tutti al momento della sua origine : e cioè che il fascismo non è un fenomeno classista , che spieghi un ' azione di ostilità offensiva contro altre espressioni di interessi classisti , nei quali si scompone l ' unità dello spirito nazionale , ma è l ' espressione integrale di questo , in quanto assume una funzione di resistenza alle sopraffazioni delle forze centrifughe , che vorrebbero dilaniarlo e dissolverlo ; che il fascismo , insomma , non è una fazione in contrasto con altre fazioni dentro lo Stato e al disopra dello Stato , ma un fattore di conservazione nazionale , che si sprigiona direttamente dalle intime latebre della società nazionale , quando la funzione protettiva dello Stato le è venuta meno . Esso quindi non può ritrarsi dalla sua posizione di battaglia , finché lo Stato non venga a rilevarlo : è l ' esercito irregolare , che ha occupato alcune posizioni e le difende strenuamente dai contrattacchi nemici , finché non intervenga l ' esercito regolare a disimpegnarlo e a prendere il suo posto . Trattare col nemico , prima che questo momento sia giunto , sarebbe un tradimento . Accedere alle trattative significa porsi volontariamente sullo stesso piano dei socialisti , cioè ammettere di essere una fazione fra le altre e disconoscere , come le altre , l ' autorità dello Stato , che è in se stessa e dovrà alla fine , contro tutte le paure e le esitazioni dei governanti , essere riconosciuta da tutti sovrana . Le trattative rappresentano quindi una insidia : il loro vero scopo non sarebbe quello di raggiungere sinceramente la pacificazione , quanto quello di compromettere il fascismo e fargli perdere la coscienza del suo vero compito politico insieme con la coscienza della sua superiorità morale . Ora a meno che non si possa dimostrare che , contro la stringente efficacia di queste eccezioni pregiudiziali , sussiste la necessità di più impellenti ragioni di opportunità politica , sì da poter loro contrapporre efficacemente un cave a consequentiariis , dobbiamo convenire che gli argomenti addotti dal Congresso emiliano - romagnolo non potranno non produrre una forte impressione ed esercitare una notevole influenza sulle trattative in corso .
Harry Belafonte ( Vergani Orio , 1958 )
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Su un fondo rosso tempestato di grosse stelle , un manifesto porta a grandi maiuscole il nome di Harry Belafonte . Nelle vetrine della galleria da cui si accede al milanese Teatro Nuovo , le custodie di cartoncino dei dischi microsolco ripetono il suo nome . Ed ecco in altri manifesti il suo viso , il suo viso di bel giovanotto dalla bocca ridente e dagli occhi lievemente tristi , segnati da un enigmatico lampo di intesa . Al proscenio si presenta molto confidenzialmente in maniche di camicia : prima parte del concerto , camicia cilestrina di un tono che varia d ' intensità sotto ai riflessi delle « gelatine » di riflettori e bilance ; seconda parte , una camicia color rosso geranio ; terza parte , una camicia bianca fittamente rigata . Attorno alla vita una cintura di pelle nera con un fregio d ' argento di cui gli spettatori miopi non possono dire il disegno . Teatro esauritissimo . Ecco l ' uomo che a quanto si dice guadagna ventidue milioni la settimana cantando e soprattutto vendendo a centinaia di migliaia di copie ogni edizione dei suoi dischi e toccando talvolta il record del milione di copie . Ecco il re del Calypso , nome omerico leggermente magico , emigrato laggiù fra le isole e sulle coste d ' oltreoceano , addirittura - se si volesse credere agli studi classici - dall ' Odissea e dalla leggenda di Ulisse e della ninfa Calypso , che incantò d ' amore il grande naufrago per sette anni e non lo lasciò partire finché non lo ordinò Zeus . Ecco l ' uomo di trent ' anni che si è scoperto cantante quasi per caso dopo avere tentato in un primo tempo di affermarsi come attore all ' Arnerican Negro Theater . Ecco un uomo tipico della « leggenda americana » , venuto su dal nulla , dopo aver lavorato - quando sul suo destino musicale c ' era pochissimo da contare - in una industria di abbigliamento e dopo aver gestito un piccolo ristorante nel Greenwich Village . Venire su dal nulla sottintende una vita di fatiche , mestieri umili , l ' amarezza del ragazzo « colorato » che incontra sempre motivo di melanconia nei rapporti razziali di quella che pure è la sua terra natale . Eccolo davanti a noi , celebre e acclamatissimo . Le fortune sono cominciate nel 1950 : il ragazzo , che cantava in coro con gli avventori della trattoria al Greenwich Village , batte pochi anni dopo tutti i primati di incassi della musica leggera . Adesso è qui , per la prima volta approdato in Europa , al centro del palcoscenico sgombro , contro un fondale che muta tono sotto ai diffusori di luci colorate . Gli sta davanti il microfono che gli stampa sulla camicia un ' ombra come l ' emblema araldico del suo destino . Attore , cantante , narratore sui toni di elegia , di melanconia , di ironia fanciullesca , di patetico pianto e di accorato lamento sull ' onda di note , di motivi che direttamente arrivano dall ' accorato , trasognato folclore delle genti di colore , Belafonte dà il senso che la musica gli si sia tutta affinata nel cuore e nei nervi : una straordinaria spontaneità che farebbe pensare ad una sorta di poetica improvvisazione , ad una specie di istintiva confessione fatta a se stesso quasi in segreto .
MEMENTO ( - , 1865 )
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Memento , Italia , che fosti polvere e che puoi polvere ridiventare . Memento del tuo ieri , ancora avvolto di tenebre e di gramaglie . Dove più splendida è la natura , dove più imponente all ' uomo rivelasi la grandezza di Dio , nell ' incantevole azzurro di un mare raccolto in una conca di fiori , dove mugghiano e gittan fiamme i vulcani , ivi che più grande parea dovess ' essere la felicità di un popolo privilegiato , era invece più vasta la tenebra , più terribile il lutto , più disperata la condizione di quei tuoi figli . Memento , Italia , che questa sventura durò per secoli su quella terra di paradiso , e che solo da ieri ritornata al sorriso di Dio , alla luce della libertà , potrebbe , se non hai senno , ritornare nella tenebra e nel lutto . Memento , Italia , che fosti polvere e che puoi polvere ridiventare . Dove l ' ingegno svegliato , e la fortezza degli animi , ha fatto più ubertosa e più colta la contrada , cui ingemmano le fiorenti colline e le ridenti vallate della Brianza , ivi per secoli pesò il dominio della razza straniera , e fino a ieri i patiboli erano lo stemma dell ' ultimo impero . Memento , Italia , quante lagrime e quanto sangue t ' ha costata la redenzione di quella contrada , e quanti secoli di nuova servitù le ripeserebbero addosso , se colle tue nuove divisioni apristi le porte al ridominio del vinto di ieri . Nelle contrade più vicine al sito , d ' onde chi usurpa il nome di Vicario del Dio di carità e d ' amore , avrebbe dovuto effondere uno spirito di carità e d ' amore , ivi fu più lungo e più atroce e più spietato il martirio delle tue genti . La luce della libertà inondò tutta quella sacra terra che conserva il nome d ' Emilia , e dove l ' immoralità era legge di governo , che si insegnava fra un versetto e l ' altro della dottrina cristiana , ora la virtù delle oneste coscienze è diventata il dogma dei tuoi figli redenti . Memento , Italia , che fu lungo , infinito , il regno dell ' ignoranza in quelle afflitte contrade . Memento , Italia , che fosti polvere , e che puoi polvere ridiventare . Memento , Italia , che quella terra gentile dove le Arti hanno piantato il loro tempio immortale , d ' onde Dante , Sole dell ' intelletto , illuminò l ' Universo , va ora a diventare il tuo nido . Falla forte come la tua rude culla dell ' Alpi , e infondi in quelle miti contrade dei fiori , in quei templi delle arti , una vena dell ' ira di Dante , uno spiro dell ' anima di Buonarroti , un lampo di sdegno del forte figlio di Gavinara . Memento , Italia , che in quella contrada ove tutto è tradizione eloquente di glorie patrie levan dritte al cielo le loro merlature le torri memori delle fraterne discordie dell ' evo medio Memento che quelle discordie perpetuarono le tue sventure Memento , Italia , che fosti polvere , e che puoi polvere ridiventare . Qui dove è meno fantastico il cielo , dove meno azzurri e meno caldi i tramonti , dove agli incandescenti vulcani s ' alzan contro le cresce algenti delle naturali nostre bastite , è un popolo calmo e forte , che messo a guardia dell ' Alpi , ha difeso sempre con onore il suo suolo , e stette così fermo alle minaccie e ai perigli , che meritò l ' onore di slanciarsi a romper le catene degli altri . Perch ' ei fu forte , perch ' ei fu sobrio , perch ' ei volle di qua dove iniziò l ' impresa , compirla , alcuni tuoi figli gli furono ingratamente addosso . Memento , Italia , che questa eredità di Caino fu la più atroce sventura , che pesò sui figli tuoi e che converse l ' antica loro potenza nella servitù dei secoli . Grida , o Italia , colla tua voce di madre autorevole , che cessi una volta la ingiuria , se vogliono che l ' abbracciamento si compia sincero , e che la reazione dell ' offeso non perpetui la divisione , che ci riconduca tutti in catene . Là dove l ' onda bacia i marmorei palagi della Grande Mendica , che fu per 14 secoli strapotente , e reina , ora per queste discordie ricalò la disperazione ed il lutto . Là dove un giorno si trionfava del mondo , ora s ' è schiavi d ' un Prete . Memento , Italia , che quelle tue figlie imprecano a te per le discordie dei tuoi figli . Parla colla tua voce di madre , e imponi la concordia e le armi , con cui sole si può rompere la servitù . Memento , Italia , dei tanti morti , che solo nei tre lustri dell ' ultimo tuo sforzo , ti ha costati per liberarti in parte . Memento , dei molti che ti costerà la liberazione delle ultime tue sorelle Imponi , Italia , la concordia e l ' armi Imponi la fede in questa sacra bandiera , sul cui campo v ' è una croce non deturpata dagli spergiuri , di cui il Prete di Roma ha coverto quella di Cristo . Memento , che fosti polvere , e che puoi polvere ridiventare .
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Il cosidetto trattato di pace siamo dolenti e soddisfatti nel medesimo tempo di applicare questo termine di politica internazionale ad un fatto di politica interna fra fascisti e socialisti è un fatto compiuto . I negoziatori sotto l ' esperta e sapiente guida del Presidente della Camera hanno dovuto superare non poche difficoltà per concluderlo , difficoltà dipendenti non tanto dal contenuto del modus vivendi concreto che si cercava di stabilire , quanto dalla posizione di disagio morale e politico , in cui ciascuna delle parti veniva a trovarsi per il fatto di essersi messa a contatto dell ' altra , sopra uno stesso piano morale e politico . Specialmente nell ' implicito riconoscimento della qualità di belligerante della parte fascista , presupponeva in questa parte un tale spirito di sacrificio e di rinunzia alla superiore posizione di fattore politico operante non in senso partigiano ma nazionale , che non tutti erano disposti a sopportare e che le organizzazioni emiliane - romagnole esplicitamente respingevano . Ma queste pregiudiziali di amor proprio politico , furono superate dalle più evidenti necessità d ' ordine generale , che prevalsero nella valutazione dei capi fascisti ; e noi , che pure abbiamo dato perché il problema fosse integrato in tutti i suoi elementi il massimo rilievo a quelle pregiudiziali di carattere morale , non possiamo non compiacercene . Così pure non abbiamo alcuna difficoltà di dare atto all ' on . Mussolini che il movimento fascista sia stato da lui fondato il 22 marzo 1919 e non abbia avuto la sua culla a Bologna dopo quella data come noi avevamo scritto sebbene fosse evidente che noi con quella espressione non abbiamo inteso alludere all ' atto di nascita in senso cronologico del fascismo , ma all ' origine della sua forza politica , la quale senza dubbio meglio si sviluppò e si affermò in quelle regioni dove l ' opera di spossessamento dello Stato da parte del socialismo era stata compiuta quasi totalmente . Oggi che il trattato di pace è stato firmato dobbiamo porne in rilievo gli aspetti buoni e valorizzarne la portata nazionale , la quale pure esiste , e potrà essere tanto più efficiente , quanto più diventerà chiara nella coscienza pubblica e soprattutto in quella parte di essa , che avendo una più squisita sensibilità patriottica , è maggiormente portata ad assumere un atteggiamento di risoluta intransigenza . Questo non sminuisce affatto il valore delle riserve che abbiamo già fatte : fuori di queste , il valore politico del trattato consiste , secondo noi , in due punti essenziali , che del resto sono stati assai bene illustrati dall ' on . Mussolini nella sua recente intervista . Innanzi tutto sta il fatto che il trattato separa nettamente l ' azione dei socialisti da quella dei comunisti . Tale separazione già esisteva all ' interno , ora essa comincia ad apparire e ad operare anche verso l ' esterno . Con ciò non si vuol intendere che lo spirito del socialismo si sia essenzialmente modificato ; sarebbe una illusione il credere che il partito socialista da antinazionale sia diventato nazionale , per il semplice fatto del Trattato . Ma soltanto che l ' atteggiamento antinazionale dei socialisti tende a differenziarsi da quello dei comunisti : il che però potrà avere il risultato pratico di rendere meno difficile il compito di repressione dello Stato quando una volontà dello Stato sia per sorgere contro le violenze comuniste . La solidarietà antinazionale dei socialisti coi comunisti malgrado tutte le riserve dell ' on . Modigliani in nome dell ' internazionalismo non può non ricevere un forte colpo dal Trattato , che esclude i comunisti . Rimane sempre un lato oscuro : ed è nelle conseguenze che tra i socialisti , che i comunisti accusano di « conversione alla vigliaccheria » , potrebbero avere un eventuale inasprimento di lotta tra fascisti e comunisti o un ' azione decisamente repressiva dello Stato . Il secondo punto degno di rilievo , dal punto di vista nazionale , è che il trattato attesta la volontà di por termine alla funzione contingente e diciamo pure rivoluzionaria del fascismo e di iniziare lo svolgimento di un ' attività politica più normale e nazionale in senso positivo . Intendiamoci , non già che il trattato segni concretamente il passaggio dall ' azione diretta all ' azione politica e rigidamente legalitaria del fascismo . Questo non si ottiene per via di decreti , ma per via di evoluzione storica , la quale non può essere affrettata che entro limiti assai modesti . Tuttavia l ' affermare pubblicamente che questa volontà esiste e il consacrarla in un documento solenne è già un contribuire efficacemente a che essa si realizzi . Il trattato , insomma , esprime non soltanto la speranza , ma il proposito che il fascismo da fattore contingente , che ha compiuto mirabilmente la sua funzione in un momento eccezionale della vita del paese , diventi un fattore politico normale , un elemento di propulsione di politica nazionale in una vita politica ricostituita . Ora il nazionalismo , che ha validamente sostenuto il fascismo nel periodo più turbolento della sua vita , che gli è stato accanto anche in momenti più difficili della sua attività anche quando tutti coloro che lo avevano esaltato cominciavano a disertare la causa ; il nazionalismo , che pure attraverso gli atteggiamenti estremisti ed eccessivi che il fascismo era stato costretto assumere , aveva saputo distinguere quanto di serio e di solido politicamente vi era nella sostanza di questo improvvisato movimento ; non può non affrettare coi suoi voti la trasformazione di esso in un fattore permanente della politica normale del nostro Paese . Fuori degli atteggiamenti esteriori diversi , che le contingenze eccezionali possono aver consigliato all ' uno e all ' altro di assumere , il fondamento dei due movimenti politici non potrà non risultare in luce più viva , quando la normalità della vita politica italiana sarà pienamente ristabilita .
Vincenzo Cardarelli ( Vergani Orio , 1959 )
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Tarquinia , quando vi nacque il primo maggio del 1887 Vincenzo Cardarelli , si chiamava ancora come ai tempi dello Stato di Santa Romana Chiesa , con il bonario nome agricolo di Corneto perché nei suoi poggi solitari cresceva spontaneamente l ' arbusto del corniolo che copre tutto l ' alto Lazio con quella vegetazione cui si dà il nome di « macchia » , propizia un tempo ai briganti che sulle strade dirette verso Roma aspettavano di far pagare duri pedaggi alle diligenze . Cardarelli nacque da madre marchigiana e da padre « etrusco » , come egli amò sempre dire . Il cognome di famiglia era Caldarelli , il bambino fu battezzato con un nome assai diffuso in tutta quella che adesso è la provincia di Viterbo : Nazareno . Nella adolescenza vissuta a Roma , quel Caldarelli , adattandosi alla pronuncia romana che trasforma coltello in cortello e caldo in cardo , diventò Cardarelli . In quanto a Nazareno , nome non molto adatto per un giovane letterato che vantava idee vagamente sovversive , fu cambiato con quello di Vincenzo , che era il secondo di battesimo . La famiglia di Cardarelli conduceva al paese una vita umile . Se non sbagliammo su quanto lasciava intendere , ma senza troppe precisazioni , il poeta dei Prologhi quando , ragazzi , lo conoscemmo a Roma , il padre aveva cercato inutilmente di assicurarsi una vita pacifica conducendo un ' osteria nei pressi della stazione di Corneto . Anche Cardarelli era dunque figlio di un oste , come lo era stato a Siena , Federigo Tozzi . Nel ricordo , o , per meglio dire , nel mondo di favola epica che Cardarelli costruì sulle memorie del paese della sua infanzia , il posto della madre è minore di quello del padre . Tra l ' ascendenza marchigiana e quella etrusca , Cardarelli scelse e sostenne sempre la seconda . Egli era infatti sceso a Roma con tutti i complessi di inferiorità del ragazzo di provincia e addirittura di campagna , senza titoli di studio e con le tasche imbottite solamente di volumetti della Universale Sonzogno . Dichiarandosi etrusco , egli iniziava quella che gli sembrava dovesse essere la sua lunga e ininterrotta polemica fra due civiltà . Arrivò a Roma nei primi anni del Novecento , in una città ancora intellettualmente infatuata di D ' Annunzio e del tutto assomigliante a quella descritta nei capitoli del Piacere . Campava di piccoli impieghi : fu , tra l ' altro , segretario di una cooperativa socialista di scalpellini , di quei « selciaioli » che lastricavano Roma con blocchetti quadrati di granito . La povertà e una naturale tendenza al disdegno , tipica quasi sempre dei timidi , lo tenevano lontano dal pur ristretto mondo intellettuale romano dei Diego Angeli , dei Domenico Gnoli , dei Fausto Salvatori e da quello dialettale e ironico di Trilussa . Entrato come cronista all ' « Avanti ! » di Leonida Bissolati , cominciò a pubblicare qualche breve prosa firmata con lo pseudonimo dannunzianeggiante di Simonetto . Diventò , come giornalista , frequentatore della terza saletta di Aragno : ma forse più che altro perché i suoi guadagni , molto aleatori e sottili , non gli permettevano spesso di nutrirsi altro che di caffellatte . Oltretutto , Aragno era l ' evasione dal chiuso delle piccole camere in qualche modesta pensione di famiglia dove era obbligato a vivere , spesso con un tavolino traballante come tutta scrivania . Sui tavolini di marmo del caffè , nei pomeriggi solitari , quando i giornalisti si trasferivano nella tribuna stampa di Montecitorio o nella sala al pianoterra del palazzo delle Poste a San Silvestro dove avevano i loro uffici di corrispondenza , Cardarelli scriveva le sue prime prose e lungamente le correggeva e le limava , sino a impararle addirittura a memoria . Aragno fu per molti anni la sua « casa » , il luogo delle sue « declamazioni » e delle sue indispettite rampogne . Da Aragno conobbe il giovanissimo pittore Amerigo Bartoli , che gli fu amico fedelissimo per tutta la vita , e che a lui e agli amici letterati del tempo della « Ronda » doveva dedicare il quadro degli Amici al caffè . Vi appariva abitualmente alle due del pomeriggio perché si alzava molto tardi per evitare la spesa di una colazione regolare , e si tratteneva quasi l ' intera giornata , spesso ne era l ' ultimo cliente nottambulo . I camerieri , cominciando dal vecchio Forina che sembra avesse fatto , in gioventù , qualche piccolo prestito a D ' Annunzio e dall ' eternamente biondo Leonetti che teneva chilometrici conti di tazze di caffè pagate con lunghi ritardi , avevano per lui , per quanto ancora ignoto , un singolare affettuoso rispetto . Era , fisicamente , uno di quegli uomini che le donne definiscono « interessanti » . Pallido , quasi esangue in volto , assomigliava vagamente a Ruggero Ruggeri . Vestito poveramente ma , con un aggettivo che gli piacque , sempre in modo « decente » anche se il suo guardaroba fu spesso composto solamente di abiti smessi dai suoi amici , nascondeva con un fiero pudore una sua menomazione fisica : aveva un braccio rinsecchito e quasi paralizzato da un attacco di poliomielite che da fanciullo l ' aveva portato vicino alla morte . Questo problema fisico aveva forse influito su certe asprezze del suo carattere e acuito in lui un senso di difesa che poteva essere affidato solamente alla parola , e alla polemica talvolta bruciante . Parlava con una bella voce lievemente velata , talvolta come trasognato , talvolta irridente e tagliente : per l ' eleganza della parola e per la lucidità della sua polemica , lo chiamavano scherzosamente « l ' incantatore di serpenti » . I suoi primi amici letterari - al tempo della giovinezza dei poco più che ventenni Antonio Baldini e Umberto Fracchia e degli incontri con Emilio Cecchi e con Armando Spadini - furono conquistati , forse più che dai suoi rarissimi scritti , dal misterioso incantesimo della sua parola . È probabile - nella sua camera ammobiliata aveva ben pochi libri , gettati alla rinfusa in un cassetto del comò con la sua scarsa biancheria - che la sua cultura di autodidatta fosse racchiusa nella lettura di poche opere , che lo fecero vivere nel clima di Nietzsche e soprattutto in quello di Leopardi : quando fondò « La Ronda » , lo indicò come il maggiore fra quelli che la rivista , indicando i maestri dell ' alto stile italiano , chiamava i « convitati di pietra » . Cultura non molto diffusa , in una intelligenza però assai profonda . Gran parte di lui si esauriva nei suoi colloqui con gli amici , e soprattutto in quella specie di lungo monologo che fu la sua vita . Le sue prime prose - le pagine liriche che intitolò poi I Prologhi - apparvero poco prima della Grande Guerra nella rivista « Lirica » , in cui debuttarono con lui giovani scrittori come Antonio Baldíni , Fracchia , Rosso di San Secondo . La rivista doveva durare pochi numeri : il conflitto portò alla sua sospensione . Cardarelli rimase quasi del tutto solo a Roma , nel caffè Aragno reso deserto dalla mobilitazione . Il dannunzianesimo letterario decadeva nell ' interesse dei giovani , il Futurismo non aveva avuto una particolare risonanza romana . Cardarelli era rimasto appartato nei confronti dei movimenti di « Lacerba » e della « Voce » . Scrittore lentissimo , componeva le poesie che più tardi sarebbero state riunite in sottili volumi e finalmente raccolte tutte da Mondadori . La salute sempre malferma , qualche vicissitudine d ' amore - nel piccolo mondo delle Lettere certe sue giovanili passioni rimasero , per così dire , storiche - l ' inquietudine di uno spirito inappagabile lo portarono a viaggiare verso climi più propizi di quello degli inverni romani , a Venezia e in Riviera . Tentò anche un soggiorno milanese : ma la nostalgia di A ragno gli fece ben presto riprendere il treno . Egli era , in verità , assai simile all ' enfant malade apparentemente cinico e crudele , sostanzialmente melanconico , caro a certi romanzieri crepuscolari francesi . L ' uomo era affascinante ; per lui il mecenatismo nasceva spontaneo anche e soprattutto da parte di gente non ricca . Cardarelli ebbe sempre amici segretamente pronti , e affettuosi , anche se il suo carattere era assai difficile . Appartenendo alla razza dei déracinés o dei poètes maudits , si comprendeva che la sua apparente infingardaggine derivava da latenti stati di depressioni melanconiche . Le donne che lo amarono lo considerarono appartenente alla razza degli « angeli caduti » , lievemente demoniaci . Diventava vanitoso come un fanciullo , quando una famosa diva del « muto » lo mandava a prendere con una carrozza padronale a due cavalli per conversare con lui di letteratura nelle poltrone di un albergo romano a via Veneto . Poi capitava di vederlo silenzioso e assorto quando , al crepuscolo o alla notte , percorreva il lungotevere per soffermarsi a tentar di declamare a qualche venere vagante il Canto del pastore di Leopardi , con una aspirazione tolstoiana di redenzione attraverso alla poesia . Per qualche tempo , fu critico drammatico del « Tempo » , chiamato da Giovanni Papini che al giornale di Filippo Naldi aveva voluto Bruno Barilli e Ardengo Soffici . La rapida scrittura notturna , mentre la tipografia attendeva impaziente le cartelle , gli riusciva penosa : presto interruppe quel lavoro , dopo aver però scritto alcuni saggi assai acuti su Shakespeare , Ibsen , Shaw e sul primo Pirandello . La fine della guerra gli restituì i suoi amici . Il conte Aurelio Saffi , nipote del « quadrumviro » della repubblica romana , si fece finanziatore di una rivista che si intitolò « La Ronda » . La rivista aveva un ufficio vicino all ' Altare della Patria : Cardarelli ebbe finalmente una poltrona , una scrivania , uno stipendio . Da Bologna arrivava Riccardo Bacchelli , da Verona Lorenzo Montano : Baldini giungeva in tram da via dei Serpenti , Emilio Cecchi da corso Italia , Bruno Barilli dal parco di Villa Strolfen , Armando Spadini dalla villetta sul colle dei Parioli ancora non conquistato dal pubblico dei « quartieri alti » . « La Ronda » ebbe un ' importanza formativa per le generazioni che seguivano quella « vociana » ; Bacchellí scriveva le tragedie di Spartaco e di Amleto o saggi di politica liberale . Barilli vi pubblicava le sue prose barocche che dovevano influire persino sulla pittura di Scipione . Comparvero sulla « Ronda » i primi scritti di Savinio . Cardarelli vi esercitava la sua predicazione leopardiana e , cercando di frenare i suoi umori polemici verso gli amici , visse comunque la sua stagione letterariamente più intensa . I giovani lo guardavano come un caposcuola . Fu il tempo più felice della sua non felice esistenza . Il giovane Malaparte sospirava per sedere al suo tavolo . Il ragazzo Longanesi lo ascoltava in silenzio . Cardarelli diventava persino gioviale : con gli amici , si concedeva qualche cenetta nelle osterie fuori porta e davanti ad un piatto di fave e pecorino parlava dei pastori del suo paese . Sono di quel tempo le sue prose più belle , quelle che probabilmente meglio affideranno il suo nome alla storia letteraria del Novecento : contenute in un primo tempo in un piccolo quaderno della Terza pagina con il titolo di Terra genitrice e riprese poi quasi integralmente in un volume edito dal giovane Leo Longanesi con il nuovo titolo de Il sole a picco ; prose dedicate alle memorie , quasi favolose , del paese della sua infanzia , evocazioni di quelle terre dove aveva sostato qualche anno prima , ignoto viaggiatore , lo scrittore inglese D.H. Lawrence . Cardarelli aveva trentasette anni : con quel volumetto longanesiano ebbe l ' affettuoso alloro del premio Bagutta di cui Cardarelli attese nervosamente il piccolo vaglia a Roma . A Milano le edizioni di Bottega di Poesia stamparono i suoi « Canti » , uno dei quali cominciava : « Domani ho quarant 'anni...» . « La Ronda » morì presto . Cardarelli fece un breve viaggio in Russia e tentò di nuovo il giornalismo che tanto lo affaticava . Era evidente che a soli quarant ' anni le scarse forze della sua gioventù andavano già spegnendosi . Preso nel cerchio di una inquietudine amara , la sola forza che gli restava era quella della sua malinconica eloquenza , delle sue ire improvvise . Più che scrivere pagine nuove , andava ripubblicando quelle vecchie , che pur non erano molte . Andava stentatamente d ' accordo con i vecchi amici , nessuno dei quali però lo abbandonò . Segretamente aveva paura della povertà , ora che una precoce vecchiaia andava avvicinandosi . Aspettò la nomina ad Accademico d ' Italia , e non l ' ebbe . Viveva in un « letto di famiglia » in casa di un cameriere di Aragno . La vita gli si mostrò sempre più squallida . La guerra del '40 aprì nel suo cuore di malato alti sgomenti . Roma stessa non assomigliava più a quella della sua giovinezza . Ogni tanto i compaesani lo volevano con loro a Tarquinia per celebrare in lui quello che ormai era considerato l ' ultimo poeta della Etruria . Sotto ad una apparente albagia , ammalato , incapace ormai d ' ogni lavoro , il dopoguerra lo vide trasferito in una pensione di via Veneto , per cercare un po ' di sole sul marciapiede di destra che sembra la « Riviera di Roma » . Per qualche tempo , riuscì ad attraversare la strada per raggiungere i banchi della Libreria Rossetti dove aveva gli ultimi contatti con la letteratura vecchia e giovane . Riceveva un piccolo stipendio per dare il suo nome di direttore alla « Fiera letteraria » . Da Milano gli erano arrivati aiuti affettuosi . Non ancora del tutto vecchio , Cardarelli viveva nel timore della povertà assoluta se la vecchiaia si fosse prolungata e se la memoria della sua breve stagione di poesia si fosse spenta . Accettava umilmente anche doni segreti di vestiario , di biancheria , di maglie , di scialli . La sua malattia , che lo portava lentamente all ' immobilità , gli gelava le vene . In piena estate , con tre cappotti addosso , durante lo scirocco romano , Cardarelli aveva freddo come in Siberia . Quando , in un torrido settembre partenopeo , ricevette , assieme a Dino Buzzati , il Premio Napoli , volle in albergo una stufa elettrica e dormì senza levarsi da dosso i pastrani per non morire , diceva , assiderato . Due amici lo portarono in braccio su per le scale e attraverso i saloni del Palazzo Reale per la consegna del Premio . La voce gli si era fatta fioca ma aveva ancora qualche soffocato accento di disagio e di polemica se non addirittura d ' ira caparbia . A sentire che non poteva più reggersi in piedi , gli occhi alteri si riempivano di malfrenate lagrime . Bisogna dire che la morte ha avuto alla fine pietà di lui , per lasciare a noi che lo ascoltammo , che lo leggemmo , che lo amammo , il puro acquetato e limpido ricordo della sua anima di poeta , lampeggiante nel mesto profilo di un ' esistenza amara e melanconica come di chi avesse troppo a lungo respirato l ' aura mortale delle tombe trimillenarie delle genti etrusche .
LE ADESIONI ( - , 1866 )
StampaQuotidiana ,
Fra le moltissime lettere di adesione che riceviamo , scegliamo alla rinfusa le più brevi , che basteranno a dimostrare come ogni classe della società prenderebbe parte alla sottoscrizione . Torino , 15 febbraio 1866 . « Caro dottor Bottero , Non saprei lodare abbastanza la magnifica proposta contenuta nel num . 45 del pregiato giornale da lei diretto , riguardo ad un Consorzio Nazionale , per pagare i debiti dello Stato ; e secondo me sarebbe il vero mezzo per affrancare la patria , onde poter essere alleati con tutti , ma servi di nessuno , e in appoggio di questo mi fo un dovere di offrire L . 720 pagabili in 12 rate mensili di L . 60 sulla pensione che percepisco dallo Stato per le ferite riportate nelle campagne di guerra combattute per la libertà d ' Italia . Spero che l ' onore nazionale , l ' amore della patria , ed il desiderio della libertà sarà stimolo agli italiani a concorrervi . La saluto , ecc . Maggiore CHIESA LIBERIO » . « Signor Direttore , Aderendo alla proposta fatta dalla Gazzetta del Popolo di formare un Consorzio per il pagamento dei debiti nazionali , mi dichiaro pronto a contribuire con sei mesi di stipendio del mio grado di maggiore di fanteria . GIO . FILIPPO GHIRELLI » . « Egregio signor Direttore , Servo il paese dal 48; da circa sei anni ho raggiunto il modesto stipendio di L . 1600; non posseggo altra risorsa e mi sommetto volentieri alla sottrazione di cento lire , per contribuire al pagamento dei debiti della Nazione . Un ex - sotto - commissario del genio militare ora aiut . contabile di 2.a classe » . « Onorevole signor Bottero , Oggi ho letto nel vostro giornale l ' articolo sull ' Asta Pubblica , ove avete esternato un ' idea che da qualche tempo mi rumina pel capo , senza però avere il coraggio di esternarla . Per l ' esecuzione di questa mia si terrebbe una via differente alla vostra , ma ci raggiungeremmo sempre nello scopo principale , cioè quello di pagare i debiti dello Stato . La vostra è un ' idea grande e generosa sotto ogni rapporto , ma la temo irrealizzabile ; a vece se voi al bello , al grande , al generoso v ' unite anche un poco d ' utile , più facile cosa sarà venirne a capo , perché ben sapete che bisogna prendere gli uomini come sono , e non come dovrebbero essere . Voi proponete di fare una sottoscrizione a quote regalate , e per conseguenza perdute ; a vece io proporrei di fare una sottoscrizione per comperare i debiti della Nazione , onde toglierla dal palese monopolio degli esteri finanziari , e da quello politico di certe potenze ! ! Secondo il mio sistema il sottoscrittore non perderebbe il capitale , ed in pari tempo ne ricaverebbe ancora un interesse annuo da convenirsi , ma però non maggiore del 5 per cento . Quando l ' Italia non avrà più debiti che verso i propri figli , e che gli amministratori saranno responsabili del loro operato , allora potremo occuparci di fare assennati passi nella politica , ma fino a tanto che non faremo bene gli affari nostri in linea di finanze , faremo sempre e poi sempre cattiva politica . Riducendo la questione a minimi termini , bisogna che i figli si rendano possessori dei debiti fatti dal padre Governo per non causare una vergognosa morte alla cara loro comune madre Italia . Chi vi scrive è un figlio del popolo , non ricco di fortuna , ma bensì d ' affetto per la cara madre , e promette di concorrere per lire Io mila all ' effettuazione del presente progetto . Ricevete , ecc . Torino , il 14 febbraio 1866 . G . BONELLI » . « Signor Direttore , Torino , 15 febbraio 1866 ( sera ) . Quanto sia nobile , generosa e filantropica la proposta relativa al debito nazionale lo diranno la nazione ed i posteri . A me , militare di bassa forza , basti l ' applaudirla e lo associarmivi , dichiarandomi sin d ' ora pronto a sborsare oltre alla quota che mi verrà assegnata , un soprappiù di L . 20 . Animo ! Volere è potere . Vogliamo , perdio ! L ' Italia mostri anche in questa circostanza che non è la terra dei morti né una espressione geografica , e che ben s ' ingannarono que ' due oltramontani che l ' accusarono per tale . Passo a riverirla , ecc . « S …I.O P … . nei Carabinieri Reali , Legione allievi , 3.0 squadrone , nativo della provincia di Como » . Torino , 15 febbraio 1866 . « Signor Direttore , « Facendo plauso alla municipalistica proposta di pagare il debito nazionale fatta dalla benemerita Gazzetta del Popolo a condizione che tutti , secondo le proprie forze , vi concorrano , mi sottoscrivo per un quarto di più della quota che sarà per toccarmi . SAVOJARDO B . F . , tipografo dei teatri » . « Signor Direttore , Un Consorzio Nazionale ! Oh santissimo concetto ! Unica , efficacissima àncora di salvamento in questi duri momenti , in cui l ' Italia veramente indietreggia all ' abisso ! Non mi perderò , signor direttore , in espansioni cui vorrebbe trascinarmi il mio cuore commosso innanzi a questa grande idea ; all ' espansione darò sfogo quando l ' idea avrà preso un corpo ed un ' anima ! Ma ora i nostri mali sono abbastanza e anche troppo additati . Crediamo noi di commuovere con ciò i nostri nemici ? O speriamo che venga alcuno a trarci d ' impaccio ? È tempo di adoperarci e adoperarci efficacemente per guarire questi mali . E lo possiamo se lo vogliamo . La concordia degli animi e l ' unione dei sacrifizi possono operare miracoli . L ' idea santissima di un Consorzio Nazionale è forse un ' utopia ? Essa è più positiva che il calcolo di coloro che vogliono condurci a rovina ! Perché dunque non la manderemo ad effetto ? La Società di Gianduja , invitata , se occorre , si riunisca di nuovo per farsi nucleo di un Consorzio Nazionale , il quale sotto la protezione del nostro bravo Vittorio si costituisca allo scopo di salvare l ' Italia pagandone i debiti . A Gianduja l ' onore dell ' iniziativa e la benedizione delle presenti e future generazioni d ' Italia ; all ' Italia gloria e risorgimento ! Bravo , signor direttore ! Promuova l ' attuazione della sua idea . Oh se potessimo spingere l ' effettuazione fino a renderla sinonima di emancipazione ! ... Ma sarà anche questo un falso lume in tanta oscurità ? Accolga , ecc . Alessandria , 14 febbraio 1866 . L . VEGLIO , maestro elementare » . « Signor Direttore , La parte più cospicua di mia sostanza consiste in 5 mila lire di rendita in fondi pubblici italiani . Se volessi realizzarli non ne ritirerei che il 61 e centesimi , mentre li ho comprati all'80 . M ' associo di gran cuore per lire dieci mila alla proposta di un Consorzio Nazionale per pagare i debiti dello Stato ; e a ciò mi muove non solo spirito di patriottismo , ma anche un legittimo interesse , poiché nel caso che la sottoscrizione riesca , il rialzo de ' fondi pubblici mi compenserà ad usura . Ci pensino anche i proprietari che ora lamentano che la troppa quantità di carta allontani i capitali dalle terre e dalle case . Il vostro P . G . » Riceviamo una lettera di adesione alla proposta del Consorzio Nazionale , con entro un biglietto di banca . Siccome noi né possiamo né dobbiamo ricevere i denari d ' una sottoscrizione di tal natura , così avvertiamo il gentile e generoso che si firma Un operaio che ha lavoro che : quel biglietto resta a sua disposizione , e sarà restituito dietro le volute indicazioni . Da PALLANZA il signor Gio . Piceni ci scrive associandosi alla proposta del Consorzio Nazionale offrendo di versare fin d ' ora lire duemila , e riservandosi di aumentare la cifra a seconda delle sue forze . Egli ci suggerisce inoltre alcune idee che verranno esaminate in seguito . Per ora importa che venga accettata l ' idea fondamentale . La mancanza di spazio ci costringe a rimandare a domani il seguito di queste pubblicazioni . Ci è grato però di dire fin d ' ora che già si annunziano adesioni anche di MUNICIPI .