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POLEMICA INOPPORTUNA ( - , 1921 )
StampaQuotidiana ,
Il trattato della pacificazione che doveva mettere d ' accordo il fascismo e il socialismo , non solo non ha raggiunto questo risultato , ma minaccia di raggiungerne un altro affatto diverso ed opposto : quello di dividere il fascismo . In verità i fascisti non sono divisi da un diverso proposito di eseguire o non eseguire il trattato , giacché il trattato , in quanto i fascisti anche in passato non furono mai gli iniziatori ed i provocatori della violenza , ma contennero la loro azione soltanto sul terreno della offensiva e della necessaria controffensiva , era stato da essi osservato anche prima che fosse stipulato ed ha continuato ad esserlo dopo . L ' opinione fascista è invece divisa da un ' opposta valutazione della convenienza politica del trattato medesimo . Noi non intendiamo entrare nel merito del presente dissidio e tanto meno erigerci a giudici fra le due tendenze : dei concordatori e degli anticoncordatori . Riconosciamo che vi sono ragioni per sostenere tanto l ' uno che l ' altro punto di vista , ma riconosciamo altresì che la necessità di mantenere integra l ' unità del movimento fascista supera di gran lunga i singoli motivi di divisione . Durante le trattative , noi abbiamo fatto presente , con scrupolosa esattezza tutte le ragioni che , a nostro avviso , stavano contro il fatto stesso della stipulazione del trattato , indipendentemente dal suo eventuale contenuto . Ragioni che potevano riassumersi in queste tre fondamentali eccezioni di carattere pregiudiziale : implicito disconoscimento del dovere elementare , da parte dello Stato , di non abbandonare all ' iniziativa e all ' azione dei singoli partiti o fazioni , il compito di tutelare l ' ordine pubblico , che deve invece restare di esclusiva competenza dello Stato sovrano ; implicito riconoscimento del monopolio della rappresentanza degli interessi sindacali e dell ' organizzazione della classe lavoratrice da parte dei socialisti ; implicita alterazione del carattere puramente nazionale , non fazioso e antisovversivo , del fascismo . Con l ' accordo diretto , fuori dello Stato , infatti , il fascismo non solo disconosceva quello che aveva sempre affermato , che cioè lo Stato aveva il preciso dovere di reprimere prontamente ed energicamente ogni tentativo diretto a sovvertire ed a turbare l ' ordine nazionale , ma veniva a porsi sullo stesso terreno dei socialisti , cioè di una fazione che pretende di agire fuori dello Stato e fuori dell ' ordine nazionale , ed inoltre riconosceva questi ultimi come i legittimi e naturali rappresentanti degli interessi delle classi lavoratrici , avulsi da quelli della Nazione . Ma di fronte a questi motivi d ' ordine ideale , a trattato firmato , abbiamo tenuto a mettere in rilievo i vantaggi d ' ordine pratico , che il trattato stesso avrebbe potuto apportare , e cioè : primo , la chiara dimostrazione del vivo desiderio della parte fascista di raggiungere la pace civile , anche a costo del sacrificio dei proprii interessi di partito ; secondo , la facilitazione del compito del Governo d ' intervenire finalmente a rintuzzare la tracotanza degli elementi antinazionali . Senonché oggi noi crediamo che l ' opportunità di una tale polemica sia stata superata dai fatti . Essa oggi non avrebbe tanto lo scopo di chiarire l ' atteggiamento da assumere di fronte agli avversari , quanto quello di rincrudire i motivi di divisione e di dissidio nel campo fascista . A che pro infatti , discutere se il trattato sia stato un accorgimento o un errore , un bene o un male , quando il trattato di fatto più non esiste ? Per quanto discusso e bistrattato nel campo fascista , il trattato era stato sostanzialmente osservato dai fascisti ; era stato osservato , anche se non da tutti riconosciuto , perché , per osservarlo , i fascisti non avevano che da continuare nella attitudine che avevano ancora prima osservata . Dalla parte socialista invece il trattato non solo fu materialmente violato , ma fu anche formalmente denunciato . Mentre i fascisti facevano parole , i socialisti facevano fatti . Mentre gli uni imprecavano al trattato , gli altri lo infrangevano e lo proclamavano irrito e nullo . Se così stanno le cose , la condotta dei fascisti ci sembra chiara e semplice : innanzi tutto por termine alla polemica sulla convenienza del trattato : polemica inattuale e inopportuna , che non ha più lo scopo di evitare il fatto puramente formale della stipulazione del trattato , oramai irrevocabile , e non può avere neppure lo scopo di sottrarli all ' esecuzione di obblighi onerosi e senza corrispettivi , dal momento che essi sono stati liberati da ogni obbligo dalla inadempienza e dalla formale denuncia dell ' altra parte contraente ; ma che viceversa può avere il risultato funesto di approfondire una divisione che deve essere a tutti i costi evitata . In secondo luogo dare atto ai socialisti della loro condotta contraria al trattato e prendere atto dell ' avvenuta denuncia e reclamare energicamente dallo Stato , che ciò che non si è potuto ottenere per via d ' accordi , si ottenga , più onestamente e più legittimamente , per opera del suo doveroso intervento . Così le cose , dopo un esperimento che nella sua artificiosa costruzione ha avuto pure il merito di dimostrare la buona volontà della parte nazionale , saranno rimesse sul loro naturale terreno : il terreno dell ' ordine giuridico e politico normale , nel quale l ' autorità dello Stato deve imperare sovrana e colpire tutti i tentativi diretti a sovvertire gli ordinamenti costituzionali , a violare la libertà di lavoro , a distruggere le istituzioni nazionali . Anziché perseverare in una lotta intestina , che non giova alla loro vigorosa azione contro i nemici interni della Patria , i fascisti devono ancora una volta mettere in mora il Governo perché compia intero il suo dovere contro costoro , se non vuole che la violenza fascista si sostituisca al suo legittimo potere coercitivo , nell ' interesse della Nazione .
Primo Carnera ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Carnera debutta a Milano nelle giostre ammaestrate della lotta libera , del catch . Mi dicono che abbia nuovamente fortuna . L ' ho conosciuto molti anni fa , a Barcellona , ed è probabile , è anzi sicuro , che egli non si ricordi affatto di me . Eppure , appunto perché egli mi fece tornare fanciullo , fui il suo profeta . Attorno a lui i grandi saggi , i grandi sapienti della scienza sportiva segretamente sghignazzavano . Essi lo avevano già visto a Milano , in una esibizione di pugilato al Palazzo dello Sport , lo avevano inquadrato dal basso in alto , arcuando scetticamente un sopracciglio , lo avevano scientificamente « soppesato » . Avevano guardato le vene varicose delle sue gambe affaticate per sostenere quella sua mole torreggiante : avevano detto che il suo pugno era lento come un « merci » ; gli negavano ogni intelligenza e ogni spirito combattivo . Davanti alle loro definizioni - « colosso dai piedi d ' argilla » , o , più popolarescamente , « sacco di patate » - io tremavo , prendendo il treno che , sul finire del novembre 1930 , mi portava in Spagna per assistere al suo incontro con Paolino Uzcudum . Avevo visto al lavoro , quattro o cinque anni prima , il « toro di Bilbao » . Contro l ' ex spaccalegna che aveva il torace ampio , quadrato , solido come una cassaforte cosa avrebbe fatto quel marmittone di gigantesco emigrato friulano ? Primo Camera , da ragazzino , aveva frequentato le scuole dei mosaicisti di Sequals , dove l ' arte delle « tessere » è tramandata , dicono , sin dai tempi di Aquileia . Mosaicista contro Spaccalegna . Chi avrebbe vinto ? Segretamente puntai sul Mosaicista . Emilio Colombo , mattatore bonariamente roboante del giornalismo sportivo , lo indovinò : e mi guardava con sorridente , amichevole pietà . Condannato io pure alla vecchia legge che impone al cronista sportivo il pronostico , dopo aver visto Carnera , dopo aver parlato con Carnera , scrissi : « Il Mosaicista batterà il Legnaiolo » . A Carnera chiesi : « Come va ? » . Mi rispose : «Così...» . Eravamo nella stanza di un albergo sulle Ramblas di Barcellona . Camera era disteso sul letto e un cinese lo massaggiava . Seduto vicino al letto stava il suo manager , il giornalista che lo aveva scoperto due o tre anni prima in un baraccone di lottatori da fiera . Il giornalista era un ometto piccolo che pesava cinquantacinque chili contro í centoventi del suo pupillo , e che aveva un accenno di baffi alla Menjou . Vigilava sul massaggio e vigilava , mi sembrò , anche sulle risposte del gigante , che , prima di parlare , lo guardava intimidito come fa un grande cane con il suo piccolo padrone . Sull ' attaccapanni era appesa la giacca di Carnera : vasta come un paltò . Di sotto il letto , spuntavano le famosissime scarpe del gigante , che per qualche tempo furono celebri come le scarpe di Charlot . I vetri erano socchiusi : l ' estate torrida . Il nudo colosso era depilato scrupolosamente : la mano untuosa del cinese correva sul torace , sul ventre , sulle cosce , sulle reni . La stanza era piccola : sembrava che i piedi del gigante la occupassero tutta . Sapevo la sua storia ed era inutile me la facessi ripetere . Al paese , un pane scarsissimo , come in tante case delle Prealpi friulane . A dodici anni , un biglietto di terza classe , l ' indirizzo di un cugino in un villaggio delle Lande francesi . Il colossale ragazzo friulano aveva ripercorso la strada che vent ' anni prima era stata familiare a Gabriele D ' Annunzio quando cantava press ' a poco così : « Ascolto il grido della procellaria / nel vento della Landa solitaria ... » . Ma il grido delle procellarie non interessava il ragazzo : egli non udiva altro che il grido , molto più insistente , dell ' appetito . Mosaicista , legnaiolo , manovale , muratore : nessun mestiere gli dava abbastanza da sfamarsi . Alla meglio , masticò qualche lenta parola di francese , con una voce cupa e gutturale . Aveva ossa colossali da uomo delle caverne : ma rivestite di poca carne . Il padrone di un baraccone disse . « A forza di zappa , lo farò ingrassare e ne farò un numero che sbalordirà tutti i villaggi delle Lande e della Guascogna » . Così , fiutando come un cane randagio un calderone di minestra , il ragazzo , vagabondo da un cantiere all ' altro , trova la sua strada che lo porta alle tende delle baracche e dei circhi . Alla sera , nelle luci dell ' acetilene , sta in fila con gli altri lottatori sulla pedana della baracca . soia a stando di due palmi tutti i compagni . In pochi mesi tocca i centotrenta chili e supera di parecchio i due metri di statura . Un futuro corazziere ? No . Non potrebbe farlo perché ha i piedi appiattiti dal peso che su essi sovrasta . A vedere quei torace , là , sul letto d ' albergo di Barcellona , non si poteva far a meno di dire : « Questo è certamente l ' uomo più forte del mondo » . Il Padreterno s ' era tolto il capriccio di fare venire al mondo una statua . Dalla cintola in su , Carnera era un capolavoro della creazione . Quel « sacco di patate » era degno di Fidia , di Giove , dei Ciclopi . Si deve a quel torace se il mondo ha avuto il « romanzo Carnera » , la sua strana storia di Tarzan tante volte gabbato dai piccoli uomini furbi , colossale e - dicevano i saggi - incapace di cattiveria , ibrido di semidio e di disgraziato , imbarcato sull ' altalena della vita che , una volta , lo portava verso la ricchezza e , un ' altra volta , giù nella miseria , costretto sempre a risalire faticosamente . Vinse a Barcellona . Rivinse Per lui , si mosse anche Mussolini . L ' Italia ebbe in questo emigrante friulano dalla voce gutturale e dal mento « senza grinta » , senza volontà in un tempo di « mascelle volitive » il suo unico campione del mondo . Poi , il ko , í lestofanti che lo abbandonano dopo aver fatto volatilizzare i suoi guadagni , persino un periodo di immobilità per una paralisi , e il lento , affranto risollevarsi e di nuovo la povertà del vagabondo che vende per le strade , davanti a un tavolino pieghevole , bustine di lamette da barba . Adesso , con il catch ammaestrato , pare abbia fatto nuovamente fortuna .
TORINO, 26 GIUGNO ( - , 1866 )
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La Gazzetta Ufficiale dopo aver dato il dispaccio del passaggio del Mincio così si esprime : « Pubblicando il precedente dispaccio sulle notizie della guerra , prendiamo l ' occasione per esortare il pubblico a non accogliere le varie voci che per leggerezza o per fini malvagi si vogliono mettere in giro in simili casi . « Il governo , per corrispondere alla giusta ansietà del paese , ha disposto che le notizie pervenute dal campo siano immediatamente distribuite a tutti i giornali senza distinzione , e comunicate per telegrafo alle autorità politiche delle provincie , perché esse le rendano alla loro volta di pubblica ragione . « Queste comunicazioni , le sole che siano e si abbiano da ritenere come ufficiali , saranno autenticate dalla firma del ministro o del segretario generale dell ' interno . « Non si può d ' altra parte presumere che si abbiano da dare notizie ogni giorno . Si comprende facilmente che la più ovvia prudenza vieta di parlare dei movimenti e delle operazioni militari prima che i movimenti e le operazioni siano compiuti , e che i Corpi di marcia non fanno sapere il loro indirizzo , il quale , anche sapendosi , dovrebbe in ogni modo esser taciuto » . Noi vogliamo sperare che i riguardi che si avranno per la stampa a Firenze saranno usati anche altrove , poiché in questi momenti di febbrile ansietà preme a tutti ugualmente d ' avere notizie sollecite ed esatte , e tutti vi hanno uguale diritto . Molti dispacci arriveranno a notte inoltrata . E perché non dovranno essere comunicati immediatamente ai giornali ? Non dee forse il governo , egli pel primo , avere al cuore di non lasciare il pubblico nell ' incertezza , poiché solo l ' incertezza degli animi può talvolta far parer vera per qualche ora una falsa notizia inventata da qualche nemico ? Oltre a ciò che vale aver votate disposizioni per impedire i falsi allarmi e ragguagli sui movimenti dell ' esercito , se poi si lascia che il pubblico sia ingannato con trappolerie , come ben dice La Provincia ? Certe mistificazioni e particolarmente in momenti sì gravi si debbono impedire ad ogni modo . Ma che diremo della redazione dei dispacci ? Il telegramma da Firenze di ieri mattina fu universalmente deplorato . Esso non ha senso comune , ed è spiaciuto appunto perché inintelligibile . Che una guerra coll ' Austria fosse cosa seria sapevasi già prima e si è detto su tutti i toni . L ' Italia s ' è dunque preparata a tutto , e saprà far fronte a tutto . Essa non ha mestieri di telegrammi amfibologici ; di telegrammi in contradizione tra di loro come accadeva tra il dispaccio fiorentino e quello più soddisfacente della prefettura di Brescia !
StampaQuotidiana ,
Gli uomini che dirigono il movimento fascista hanno reso stamane un grande servizio alla Nazione . Sta di fatto che oggi il tema del trattato di pace , stipulato fra il gruppo parlamentare fascista per conto anche di tutte le più attive forze nazionali e il gruppo parlamentare socialista anch ' esso rappresentante indiretto di una vasta massa , in cui confluivano le correnti sovversive del Paese non costituisce più un motivo di dibattiti veramente importanti , e non può costituire un degno motivo di scissioni o di divergenze veramente giustificate . Suscettibile come sono , in fondo , tutte le cose umane di critiche e di osservazioni fondate , al momento in cui esso fu stipulato , è entrato ormai nella vita stessa della Nazione e appartiene al passato : al passato da cui è sorta l ' odierna situazione politica , profondamente differente e certo assai migliore di quella che preoccupava le coscienze all ' indomani delle elezioni generali . Per questa ragione , è perfettamente onesto e giusto e non è per nulla , come qualche avversario in malafede sussurra , ipocrita reticenza il fatto che oggi su questo passato non si discuta più , e si evitino dissensi e recriminazioni inutili , sterili , dannose . Ed è altrettanto onesto e giusto che nell ' odierno congresso fascista le principali discussioni vengano impostate sulle direttive dell ' azione avvenire , che sulle sorti del movimento avranno una così grande influenza , invece che sulle vicende passate . Ma è altresì vero che questo superamento delle più sterili divergenze , compiuto per affrontare in pieno la realtà della situazione odierna , dimostra una vera superiorità spirituale del movimento fascista su gli altri partiti , le cui discussioni difficilmente escono dal chiuso dei più gretti personalismi e delle più vane recriminazioni . Questa superiorità spirituale , certamente provocata dalla coscienza di consapevolmente servire un altissimo interesse , quale è quello della Patria , siamo certi si manterrà nelle discussioni imminenti , in cui le direttive del fascismo saranno determinate . La funzione politica del fascismo , che primo è riuscito ad inquadrare le grandi masse in un ' azione politica schiettamente nazionale , è di enorme importanza , e di un valore assolutamente decisivo per l ' avvenire del Paese . Per questo , oggi tutte le coscienze puramente italiane seguono con cuore trepidante le sorti dell ' adunata fascista e le modalità attraverso le quali il nuovo partito , l ' immancabile caposaldo di tutte le concentrazioni di forze essenzialmente nazionali , vi si definisce e vi si concreta . Noi esprimiamo l ' augurio , col più fervido cuore , che il Partito Nazionale Fascista , attraverso il quale le masse dei combattenti vittoriosi , e dei più attivi lavoratori , potranno inquadrarsi sotto la bandiera della Patria , ed accanto al quale il movimento nazionalista , con le sue caratteristiche dottrinali e intellettuali di lucida e chiaroveggente minoranza , può intensamente agire , sorga dalle odierne discussioni romane quanto mai forte , compatto , sostanzialmente fuso su alcune chiarissime direttive essenziali , che ne faciliteranno l ' opera utile e necessaria . La crisi politica italiana , che dura dal giorno in cui tacque e si spense l ' attività di una Destra nazionale , si potrà così avviare verso il suo componimento : verso un più stabile equilibrio dei partiti , che assicuri alla Nazione la continuità dell ' opera necessaria a raggiungere i fini essenziali di sviluppo e di espansione . Su questa linea , è stato mosso oggi , nel mausoleo di Augusto , un passo di cospicua importanza . L ' attiva e consapevole coscienza nazionale che anima i duci del fascismo farà sì che altri se ne compiranno in questi giorni , affinché il nuovo Partito divenga veramente uno dei capisaldi essenziali della ricostruzione nazionale .
Gino Cervi ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Racconta un vecchio collega bolognese : « Me lo ricordo , come fosse adesso . Antonio Cervi era un uomo buono , cordiale , sempre di buon umore . Una vera eccezione , vederlo preoccupato . Per questo non mi sono passati di mente i giorni dell ' ultima settimana dell ' aprile del 1901 . Non si poteva dire che Antonio Cervi fosse di malumore , ma certamente non era il solito Cervi . Finalmente si sfogò con me . " Sto aspettando , di giorno in giorno , che mi nasca un bambino . Ora , maschio o femmina che sia , non vorrei che mi combinasse lo scherzo di nascere la sera di una ' prima ' ' . Lo so che è difficile farglielo capire , ma bisognerebbe che lo sapesse subito . Se uno è figlio di un critico drammatico , non si nasce mai la sera di una ' prima ' " » . Antonio Cervi - il suo pseudonimo era quello , un po ' misterioso , di Gace , che , secondo quanto ricorda il figlio Gino , ma che ignorano i dizionari , dovrebbe essere un personaggio della Mitologia - era critico drammatico del « Resto del Carlino » . Il piccolo Gino « obbedì » . Il 3 maggio del 1901 non c ' era nessuna « prima » né al Teatro Brunetti , né al Corso , ne al Contavalli , né al Nazionale che aveva proprio in quel tempo lasciato l ' antico bizzarro nome di Teatro della Nosadella , né all ' Arena del Sole . Antonio Cervi poté dunque restare a casa e ricevere dalla levatrice l ' annuncio : « È un bel maschio ! » . Gino Cervi è dunque l ' unico attore che sia figlio di un critico drammatico . Suo padre lo fu per trentaquattro anni , dal 1889 al 1923 . Rincasava nel pieno della notte , alle tre e alle quattro del mattino . Entrava in punta di piedi per non svegliare i bambini . Stava ancora un po ' sveglio , per leggere il giornale di cui aveva portato a casa una delle prime copie fresche di inchiostro . Alla mattina , erano i bambini , che per andare a scuola , dovevano uscire in punta di piedi . A mezzogiorno , all ' ora dei tortellini , il papà parlava di quanto aveva sentito a teatro la sera avanti : esprimeva certe opinioni che nel giornale erano state attenuate o velate . Per non rovinare le Compagnie , i critici dei giornali importanti non potevano divertirsi al gioco del massacro , mordendo e sbriciolando a destra e a sinistra . Anche allora si diceva che il teatro era « in crisi » . Le Compagnie primarie erano una quarantina , sempre con non meno di una trentina di attori scritturati ; quelle secondarie un ' ottantina e un centinaio quelle di terz ' ordine . L ' Italia aveva una popolazione viaggiante di 45 mila attori e attrici . Bologna era la loro segreta capitale , come si dice che Gonzaga , presso Mantova , sia quella degli zingari . Gino respirò sempre teatro . Subito dopo le aste - in quell ' anno fu portato in braccio a vedere i funerali di Carducci - imparò a leggere sulle colonne del « Resto del Carlino » , per la curiosità di sapere che cosa scrivesse suo padre . Imparò il significato di certe frasi : « reiterati applausi , recitazione incisiva , palesi segni di dissenso , bene gli altri » . Imparò presto alcuni nomi assai difficili : Shakespeare , Marivaux , Bjørnstjerne Bjørnson , Portoriche . Sognava i teatri come regge misteriose , con i palchetti dorati , con le poltrone di velluto rosso . In casa erano familiari i nomi di Panzacchi , di Lipparini , di Olindo Guerrini , di Testoni sulle cui ginocchia il piccolo Gino aveva ballato . Accompagnando il padre a spasso , Gino - polpacci nudi , giubba alla marinara col fischietto nel nodo della cravatta - entrava nella libreria di Zanichelli . Ogni tanto Antonio si fermava a parlare con un grosso uomo dall ' aspetto di timido campagnolo vestito di nero . Era Giovanni Pascoli . Di Carducci si parlava come di un Nume scomparso fra le nuvole ma sempre misteriosamente presente . Antonio Cervi , al cui cuore cordiale era stata sempre cara la parte del paciere , era riuscito a riconciliare Carducci con D ' Annunzio - non c ' erano mai stati veri attriti , ma certe diffidenze sì - nel famoso banchetto in cui , avendo Carducci offerto il vino a D ' Annunzio , questi aveva detto : « Grazie ... Non bevo mai ... » il Leone di Maremma aveva risposto un po ' bruscamente : « Io , sempre ! » . Bologna , era amica del teatro fin dal Seicento , quando ogni famiglia patrizia aveva un suo piccolo palcoscenico , in casa Zoppio , in casa Pepoli , in casa Casali , all ' accademia degli Ardenti o dei Riaccesi . Nel Settecento , c ' era stato un teatro persino nel Palazzo del Podestà . I patrizi avevano le loro sale da spettacolo anche nelle ville sui colli . Per quella privata della famiglia Albergati , che ospitava durante l ' estate tutto il patriziato bolognese , Goldoni scrisse cinque commedie , fra le quali Il cavaliere di spirito e l ' Osteria della Posta . Perché gli attori volevano bene a Bologna ? C ' erano camere , alloggi , locande a poco prezzo . Le padrone di casa erano cordiali , socievoli , aspettavano molto pazientemente l ' affitto , magari da un anno all ' altro . Le porzioni di fettuccine erano abbondantissime . La popolazione amava passeggiare fino a notte tarda , certi caffè erano aperti fino all ' alba . Alla legione degli attori , delle attrici , dei generici e delle attricette si aggiungevano gli innumerevoli filodrammatici . Ogni tanto questi ultimi organizzavano tournées nei centri anche più minuscoli della provincia , sino al Po e fino in Romagna , e rinforzavano il loro complesso chiamando a parteciparvi qualche attore di più larga esperienza . Anche Gino , mentre studiava greco al liceo - suo padre era stato inflessibile per il greco e per il latino - bazzicava la filodrammatica del Circolo degli impiegati civili . Fu l ' Arena del Sole il primo teatro dove , bambino , una domenica Gino Cervi debuttò come spettatore : uscendo , vide al caffè quel grande e melanconico vecchio attore , oscillante fra il genio e la follia , che fu Enrico Capelli : in gioventù Amleto quasi impareggiabile , e , in vecchiaia , ridotto a tale povertà e trasandatezza da tingersi i capelli con qualche spazzolata di lucido da scarpe . All ' Arena del Sole si assisteva agli spettacoli in maniche di camicia . Se una commedia non piaceva , i cuscini volavano dalle gradinate fino alla ribalta . Negli intervalli gli spettatori si passavano il fiasco di Sangiovese , la bottiglia di lambrusco , bevendo a canna . Fu in quel teatro che il « figlio del critico » , entrato con la tessera del padre , vide da ragazzo Zacconi e Ruggeri , come aveva visto nel 1914 , dal loggione del Brunetti , Sarah Bernhardt che recitava ancora ad onta di una gamba amputata . Studente universitario , Cervi avrebbe forse fatto l ' avvocato o sarebbe entrato un giorno o l ' altro al « Resto del Carlino » se la morte del padre nel 1923 non lo avesse lasciato libero di decidere del suo destino . Fu un altro attore bolognese che veniva lui pure dai filodrammatici , Nerio Bernardi - il cui vero nome era quello antico e dottorale di Irnerio - a dirgli , come si fa con chi deve imparare a nuotare : « Buttati ! » . E fu così che , seguendo quel consiglio , lo scolaro , cui Lipparini aveva fatto tante volte declamare al liceo l ' Ode al Clitumno e il Canto di un pastore errante , diventò attore , debuttando nella Vergine folle di Bataille , accanto ad Alda Borelli . Un anno dopo era a Roma , cercava sulla guida dove si trovasse una ignota via dove si stava aprendo un nuovo piccolo teatro , il primo dei futuri « Piccoli Teatri » d ' Italia . Trovò là dentro un gruppo di suoi coetanei che , già prima di iniziare gli spettacoli , si dibattevano in un labirinto di debiti : ma a capo di quei ragazzi c ' era un signore con la barbetta già quasi bianca che Cervi aveva già visto , una volta , come autore , alla ribalta dell ' Arena del Sole . Il vecchio signore era Luigi Pirandello . Quella attraverso la quale , in vicolo Odescalchi , entrava il giovane figlio del critico bolognese poteva sembrare una porta assai piccola . Cervi , figlio di un uomo che tanto intelligentemente aveva amato e servito il teatro , si accorse che era la porta grande di una intelligenza rinnovatrice .
TORINO, 28 GIUGNO ( - , 1866 )
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Tutte le corrispondenze , tutti i ragguagli personali che riceviamo circa il fatto d ' armi del 24 concordano nel presentare quella battaglia come uno scontro indeciso bensì , ma glorioso e rassicurante per le armi nostre . Diciamo rassicurante perché ha troncata ogni quistione circa la qualità , la stoffa dell ' esercito italiano . Questo esercito è una creazione così recente , che nel concetto di molti , particolarmente all ' estero , la sua consistenza parea alquanto problematica . Non pochi giornali già sentenziavano che finché la fortuna gli arriderebbe l ' esercito italiano avrebbe fatto mirabilia , ma non così agevolmente avrebbe sopportati quei rigori della sorte , a cui nessun esercito ( per quanto abbia certa la vittoria finale ) può completamente sfuggire nell ' arduo cammino che a questa conduce . Ebbene ora il problema è sciolto . L ' esercito italiano ha fatte le sue prime prove non sotto il sorriso della fortuna , ma nelle condizioni più sfavorevoli . Le divisioni che sono state impegnate han dovuto combattere contro un nemico più numeroso fortificatosi nelle posizioni più formidabili , più studiate , e più potentemente armate . E tuttavia non solo l ' esercito ha confermate le speranze che si avevano nel suo slancio per l ' attacco , ma ha rivelate le più preziose qualità per dominare i casi avversi , una solidità a tutta prova , una indomita tenacità , una consistenza di ferro ! VIVA IL SOLDATO ITALIANO ! L ' esercito ha dormito sul campo di battaglia , sulle posizioni conquistate ; ha preso al nemico un numero di prigionieri uguale a quello che il nemico si vanta d ' aver preso a noi . Se all ' indomani il Mincio fu ripassato , ciò fu per cogliere il nemico sovra altro punto meno sfavorevole , e non già in segno di battaglia perduta ; e il nemico stesso ha compreso così bene di non potersi vantare della vittoria , che non solo non ha inseguiti i nostri , ma si è affrettato di ritirarsi anch ' esso , e nel suo rapporto è stato relativamente assai modesto . Eccone infatto il sunto telegrafico quale ce lo recano i giornali d ' oltre Alpi : « Vienna , 25 giugno Il rapporto dell ' arciduca Alberto , in data d ' ieri , ore io di sera , rende noti i seguenti fatti : « L ' armata austriaca , marciando verso il Mincio , fu attaccata dal Re d ' Italia . « L ' armata posta sotto il mio comando prese d ' assalto Montevento , e , verso le cinque , Custoza . Essa ha preso parecchi cannoni e fece 2000 prigionieri . Le nostre truppe combatterono con una bravura ed una perseveranza estrema , malgrado un insopportabile calore . « È constatato che il Re d ' Italia , alla testa di tre Corpi d ' armata e della cavalleria di riserva , era in marcia contro Albaredo , credendo di trovarci dietro l ' Adige . « Il principe Amedeo ed alcuni generali italiani sono feriti » . Fu solo il telegrafo italiano che il primo giorno dipinse in nero la battaglia ! Non v ' è parola che basti contro la redazione di quei deplorabili dispacci che d ' una battaglia di cui l ' Italia e l ' esercito debbono andare giustamente superbi trovarono il segreto di farne un imbroglio inintelligibile , in cui un Corpo intiero sarebbesi svaporato senza lasciar traccia ! Fortunatamente il buonsenso delle popolazioni e la fiducia inalterata che tutti hanno nell ' esercito corresse gli errori del sciocchissimo dispaccio , e seppe sin dai primi momenti ridurre le cose al loro vero essere . Tutta Italia echeggia d ' un grido di riconoscenza all ' esercito ONORE AI VALOROSI DELLA BATTAGLIA DEL MINCIO !
LA VITA CHE NON MUTA ( CORRADINI ENRICO , 1904 )
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Qualche giorno fa apparve la notizia che il ministro Orlando aveva pronta la relazione sul decreto ministeriale per la scelta del greco e delle matematiche nei licei . E la notizia è poi stata confermata dai giornali ufficiosi . Il decreto in sostanza è questo : fin qui lo studio del greco era di cinque anni ; ora i giovani possono ridurlo a tre optando per le matematiche invece del greco appena giunti al secondo anno di liceo . Tale decreto mostra una tendenza che va rilevata : è un primo passo verso la soppressione graduale dell ' insegnamento classico . Oggi si è ancora oscillanti e vacillanti fra il desiderio di rinnovare e quello di conservare , domani non sarà più così , e si abolirà il vecchio per il semplice motivo che si è smarrito il sentimento del suo valore vero . Questo dunque è necessario : illuminare la coscienza pubblica sul valore degli studii classici . Tali studii , hanno contro di sé i modernisti , cioè tutti coloro che fanno incominciare il mondo dal giorno della loro nascita . C ' è una speciale vanità dell ' uomo contemporaneo , ed è quella della modernità ; per la quale la maggior parte de ' nostri simili cólti , od ignoranti che si credon cólti , di niente altro è vaga quanto di dare un calcio ai molti secoli ed ai varii millenni di storia che ci hanno preceduti . La divina legge della continuità della vita attraverso i secoli e attraverso i millenni , per la quale la durata dell ' uomo è tanto più lunga dell ' esistenza dell ' individuo , e che è quasi la nostra immortalità terrena ; questa divina legge per la quale la vita dei popoli ci appare intessuta di generazioni , come si lega punto con punto , e noi ci sentiamo contemporanei de ’ nostri padri e respiranti dello stesso respiro nella stessa aria ; questa divina legge per cui l ' anima umana si sente vivere di là dall ' attimo e dall ' atomo che sono la sua proprietà e la sua miseria , è oggi posta in oblio o è disprezzata . Vi è un momento in cui per i modernisti tutto ciò che fu , finisce , e incomincia tutto ciò che ora è ; di là da quello la morte , di qua la vita , la cosiddetta vita moderna . E quel momento è quello che io ho detto segnato dal giorno della loro nascita . E potrebbe dirsi dalla Rivoluzione francese , o dalla invenzione del treno o del telegrafo , o da Darwin , o da Carlo Marx . I modernisti hanno visto come siano stati inventati il telegrafo , il treno e tante altre meraviglie , e come si siano diffuse le teorie dell ' evoluzione , del socialismo , e i venerandi principi dell'89 , ed hanno concluso : – Oggi il mondo è tutt ' altra cosa ; la vita , l ' umanità , la coscienza , la sapienza , la civiltà , il progresso sono tutt ' altra cosa – . E che cosa sono ? Sono la modernità . E così la leggenda , il dogma , la religione della modernità , cioè di un nostro modo di essere profondamente diverso da quello dei nostri antenati , si sono stabiliti e sono in onore . È il pedantismo e il fanatismo di moda , dei quali , come è naturale , i greci ed i romani non hanno più fieri nemici . Contro le cosiddette lingue e letterature morte i modernisti gridano come i giacobini di Francia gridavano contro l ' « Ancien Régime » . Greco , latino , vecchia accademia , avanzo di « Ancien Régime » , via ! È il grido della nuova rettorica . Ebbene , questa nuova rettorica ha torto , e lo ha perché confonde molte cose . Confonde la vita con alcune sue forme esteriori , con alcune sue condizioni materiali . Si pensi ciò che si vuole , ma solo alcune condizioni materiali , solo alcune forme esteriori sono mutate ; la vita , l ' anima umana , l ' umanità no . È della vita , dell ' anima umana , dell ' umanità , lo stesso che dell ' arte ; e come non si può dire che l ' arte abbia mutato sostanza e sia progredita da Omero a Dante , da Dante a non so quale grande poeta de ' giorni nostri , così non si può dire di questo nostro essere animato e vivente ( che ha nell ' arte e nella storia il suo specchio ) dalla civiltà dei romani a quella dei popoli contemporanei . Io non conosco una invenzione morale , per così dire , della umanità di oggi o della umanità di ieri , la quale veramente agisca sopra la sua sostanza psichica e valga a mutarla . Conosco molte vecchie ciarlatanerie che vogliono passare per nuove verità . Le nuove verità e le invenzioni sono quelle della scienza che ha fornito la vita esteriore e materiale di nuovi istrumenti più potenti degli antichi . Tali istrumenti ci hanno fatto queste nuove condizioni : maggiore velocità e maggiore varietà . Noi abbiamo per le nostre notti una copia senza paragone più grande di luce e un numero più grande di lumi , e abbiamo veicoli che ci trasportano da un capo all ' altro del mondo con una velocità che tenta emulare quella de ' nostri pensieri , e abbiamo macchine che lavorano per noi . Abbiamo qualche alleato e qualche schiavo di più nella natura , e mentre gli antichi avevano soltanto qualche animale domestico , il vento per la vela e il fuoco , noi abbiamo e animali domestici e il vento e il fuoco e la forza dei fulmini e le forze di altri elementi in nostro potere . La luce è stata sforzata sino all ' incendio , il suono e la musica sino al fragore , la velocità sino alla vertigine ; le città son diventate popolazioni di regni , il lavoro della pace frenetico come il tumulto della guerra . Se vi è una novità è l ' eccesso e la frenesia dell ' eccesso . Se vi è una novità è questa : nello sforzo tragico ed epico che l ' uomo ha sempre fatto e sempre farà per eguagliare la sua volontà col suo atto , perché il suo braccio sia attivo come la sua mente ; noi siamo giunti al punto che gli istrumenti di quello sforzo , se ancora sono men repentini del nostro animo , sono però di già superiori alla resistenza dei nostri muscoli e dei nostri nervi . Ma l ' uomo è lo stesso . Ponete l ' uomo in Parigi , in Londra , in New York , in Roma moderna , o nella Roma antica , in Atene , in Babilonia , in Cartagine , e che si chiami o Cesare , o Napoleone , o Chamberlain , Eschilo o Shakespeare , Enrico Ferri o non so quale dei demagoghi ateniesi o quiriti ; l ' uomo è lo stesso . L ' uomo è la moltitudine . L ' uomo , la moltitudine e le loro passioni . Le passioni operaie , del bene e del male , furie dell ' uomo e dei popoli , tali sono quali furono . L ' amore , il desiderio , l ' ambizione ardono oggi come arsero nel sangue e nelle ossa dei nostri padri e dei padri dei nostri padri . E l ' ammirazione delle cose naturali e della bellezza creata dagli uomini , l ' arte , l ' eloquenza e la magnanimità e il saper morire per una idea , e il tendere con gli atti e con i fatti verso le visioni dell ' idea , e tutte le numerose forme dell ' umana virtù , quali furono un tempo tali sono oggi . Noi usciamo da un ' officina delle nostre città , dove turbinano e strepitano cento macchine ; ma se andiamo in campagna , la vista di un aratro che sembra continui da una giornata perduta in una antichità favolosa la sua lenta e silenziosa opera del solco , metterà nei nostri cuori quella stessa pace che ci dona quando passa nei versi di Virgilio . Un semplice canto agreste ha sui nostri cuori la stessa potenza , sebbene ora nelle nostre orchestre l ' intrico dei suoni sia come quello degli alberi in una foresta , dei loro rami e delle loro radici . Consideriamo la guerra . Tutto sembra mutato . Più vasti corpi di combattenti si muovono su più vasti spazii ; è fra loro ciò che sarebbe parso inverosimile ai soldati antichi che si azzuffavano : la distanza . Hanno una nuova forza di terrore : il fragore . La rozza arma antica si è moltiplicata in più foggie d ' armi , fatte dalla scienza della distruzione , di congegni più delicati che non abbia l ' arnese del pacifico lavoro . La civiltà più ingegnosa e l ' opera di strage della bestialità primordiale si uniscono . Ed ecco il fatto : non ostante tutte le mutazioni e tutto quanto si è ingrandito , moltiplicato , congegnato , l ' uomo porta sul campo di battaglia lo stesso animo di una volta , l ' animo deliberato a uccidere o a morire . Per questo , leggendo le battaglie degli achei e dei troiani nei libri d ' Omero noi possiamo provare in fondo le medesime sensazioni che leggendo nei giornali la guerra russo - giapponese .
TORINO, 23 LUGLIO ( - , 1866 )
StampaQuotidiana ,
È sistema ? È incapacità ? Nol sappiamo . Questo sappiamo che la è cosa ormai incomportabile . Vi ricordate il modo inqualificabile con cui il telegrafo annunziò il combattimento del 24 ? Citiamolo nuovamente ad aeternam rei memoriam , poiché ormai una lezione è indispensabile . Ecco il dispaccio : « Firenze , 25 Quartier generale principale , 24 , ore 10,45 pom . Oggi ebbe luogo un accanito combattimento che durò dall ' alba quasi fino al cadere del giorno . Il primo Corpo d ' armata che doveva occupare le posizioni tra Peschiera e Verona non riuscì nell ' attacco . Il secondo e terzo Corpo non poterono liberare il primo dall ' assalto che ebbe a sostenere di forze preponderanti . Essi sono però quasi intatti » . Pareva dunque che il primo Corpo fosse distrutto completamente ( o poco meno ) e che gli altri Corpi avessero preso parte alla battaglia , tutti e due , il che pel Corpo di Cucchiari era falso del tutto ! Un dispaccio di tal natura era esso opera dello stato maggiore ? Ma è impossibile ch ' esso ignorasse che UN INTIERO CORPO d ' armata non era stato menomamente impegnato ! Volevansi dunque scusare enormi spropositi con una falsa notizia che poteva gettare lo sgomento nell ' intiero paese ? Se alla lettura di quel dispaccio la nazione si fosse lasciata prendere da sgomento ( come forse alcuni volevano ) e avesse chinato il capo alla cessione della Venezia alla Francia , a che punto saremmo oramai d ' impotenza , d ' umiliazione , d ' obbrobrio ? Ora siamo da capo . Un altro telegramma viene a darci notizia della prima battaglia navale ; ma in un modo così oscuro ed anzi ( ci si permetta la parola ) in un modo così STUPIDO , che non potrebbesi volere di peggio ! Ci si annunzia che già si cominciava lo sbarco al porto di S . Giorgio di Lissa quando le vedette segnalarono la squadra nemica . Ciò vuol dire che fummo sorpresi in piena operazione . Ma il telegrafo soggiunge tosto che l ' armata italiana mosse ad incontrare l ' armata nemica , ed ebbe luogo una battaglia . Con qual concetto direttivo ? Ombre e tenebre ! Sappiamo bensì che l ' Affondatore s ' è gettato contro il nemico , ma non si dice quando . Sembra anzi che a tutta prima il combattimento sia stato accanitissimo contro la corazzata Re d ' Italia , la quale col suo proprio sacrifizio , e coll ' aiuto dell ' eroico equipaggio della cannoniera Palestro , avrebbe salvata la giornata e la flotta stessa mentre questa si rimetteva in assetto . Il sacrificio benché dolorosissimo sarebbe stato pur temperato dalla notizia che la flotta italiana è rimasta padrona delle acque del combattimento ( e speriamo anche del porto S . Giorgio ) . Ma l ' autore del dispaccio s ' è affrettato di far precedere la più tormentosa , la più tetra reticenza dicendo : « Nessun altro bastimento dell ' armata fu perduto o cadde in mano del nemico » . Ma infelice ! Non capivi tu che ciò suonava lo stesso che il dire doverci noi leccar le mani per esserne salvi a tal mercato ? ! Quali erano le nostre forze ? Niente ! Quali quelle del nemico ? Niente ! Quali furono i bastimenti impegnati da una parte e dall ' altra ? Niente ! L ' Italia intiera rimase sotto l ' impressione di una vera disfatta sino all ' arrivo del dispaccio suppletivo che annunziava le perdite degli austriaci ! Onore alla flotta , sublime ed eroica malgrado gli orrendi spropositi dell ' ex ministro generale di cavalleria ! Onore alla flotta e ai generosi estinti ! Ma Dio non voglia che tanto sangue sia sparso invano ! Ieri abbiamo pubblicate terribili rivelazioni , oggi diciamo Onore e riconoscenza agli uomini di buona volontà ! Inchiesta su tutti , ce n ' è bisogno ! Inchiesta ! Inchiesta ! Tra i gloriosi caduti nella battaglia di Lissa è l ' onorevole Pier Carlo Boggio , che si trovava sul Re d ' Italia ! Amici perenni e avversari momentanei abbiam sempre amato il suo cuore eccellente , e stimato il suo alto ingegno , suo sincero patriottismo . Diremo di lui in altro numero Oggi non cel consente il dolore !
«IL FOLLE VOLO» ( CORRADINI ENRICO , 1907 )
StampaQuotidiana ,
Ancora una vittoria . La seconda in pochi giorni , nell ' industria più moderna , nella forma più moderna della gara e della forza di nervi e d ' animo necessaria per prender parte alle gare perigliose . Due vittorie italiane . Salutiamole con gioia . Quest ' ultima noi l ' attendevamo da due mesi , l ' abbiamo seguita giorno per giorno attraverso l ' Asia e l ' Europa , il deserto , i fiumi , i torrenti , le montagne , le foreste , attraverso piogge e nevi e venti e ogni variazione di clima e ogni impedimento e insidia del suolo e popolazioni del più vario sangue e orde fuggitive della più strana foggia . È stato uno spettacolo stupendo vedere giorno per giorno avvicinarsi verso la mèta , verso la vittoria , verso di noi , la piccola macchina infaticabile , fragile come la carne umana , infrangibile come la volontà dell ' uomo eroico , la piccola macchina portante due uomini della nostra patria , degni di esser celebrati come campioni di due tra le più belle virtù della nostra razza , bellissime nella loro unione insolita , lo slancio e la tenacità , la foga e la pazienza . Abbiamo avuto per due mesi , tutti i giorni , il nostro quarto d ' ora di visione poetica , ed è difficile poter ritrovare nella realtà un altro fatto grande che come questo compiutosi oggi possa avere tutti i caratteri della poesia , tutti i caratteri del sogno nato dal bisogno di evocare dall ' ignoto le immagini delle virtù che piantano più oltre i termini del possibile . È stato il nostro sogno attraverso gli spazii , ed è stato attraverso i tempi , perché gli aspetti delle terre solitarie e intatte , le apparizioni delle cavalcate in fuga o in inseguimento lungo la via non tracciata , ci hanno di tanto in tanto riprofondati nelle età della barbarie , della leggenda , dei primordii . E il sogno si è avvicinato per due mesi , di giorno in giorno , di momento in momento , infaticabilmente fedele alla nostra attesa , finché oggi è giunto , oggi è realtà , è vittoria . È la seconda vittoria italiana in pochi giorni . Salutiamola con gioia . Il sommo poeta della nostra razza avventurosa e paziente ebbe già un sogno simile prima de ’ tempi , quando l ' anima gli s ' apri a un tratto come l ' oceano e per essa andò con la « picciola compagna » il pellegrino d ' Itaca navigando di là dai « riguardi » segnati da Ercole . Chi non ricorda il canto XXVI dell ' Inferno ? È il canto dove Dante Alighieri è più divinatore dei tempi che sono venuti dopo di lui , dove più ha previssuto secondo lo spirito della nostra età , dove più è coetaneo nostro e oltre . È il canto dove fanno capo , per finire , i viaggi degli uomini per i cieli , e dove fanno capo , per cominciare , i loro viaggi sulla terra . Qui il Medioevo cessa e s ' inizia l ' evo moderno . Qui è il principio del Rinascimento . « O frati , dissi , che per cento milia perigli siete giunti all ' Occidente , a questa tanto picciola vigilia de ' vostri sensi ch ' è del rimanente , non vogliate negar l ' esperienza , diretro al sol , del mondo senza gente . Considerate la vostra semenza : fatti non foste a viver come bruti , ma per seguir virtute e conoscenza » . Li miei compagni fec ' io sì acuti , con questa orazion picciola , al cammino , che appena poscia li avrei rattenuti . E volta nostra poppa nel mattino , de ' remi facemmo ale al folle volo sempre acquistando dal lato mancino . Ebbene , non ostante tutte le differenze , spesso leggendo della corsa Pechino - Parigi mi sono ricordato del canto dantesco . Invece della vastità degli oceani ho visto con gli occhi della mente la vastità dei continenti e invece del « legno » l ' ordignetto metallico ; ma ho risentita la stessa « picciola orazione » che la coscienza dice dell ' uomo magnanimo , ho ritrovati gli stessi uomini che alla loro « picciola vigilia » non vogliono negare l ' « esperienza del mondo senza gente » , ho inteso lo sguardo verso lo stesso « folle volo » . L ' Alighieri creava il mito di ciò che non era nato ancora . Oggi ciò che stava chiuso nel suo genio come il frutto della generazione nell ' alvo materno , è diventato la storia vivente del mondo , storia di follia come non fu mai così travolgente , storia d ' amore dell ' esperienza come non fu mai così divorante , storia di volo come non fu mai così veemente . Di tale storia la corsa Pechino - Parigi è l ' ultima gesta . È fin qui il volo più folle . Ed è una vittoria italiana . Fu già celebrata dal sommo poeta della nostra razza . Sono più vittorie italiane . Della poesia avventurosa e dell ' industria , della lotta degli uomini con gli uomini e degli uomini con la natura . La lotta franco - italiana quasi dispare in confronto a quella che italiani e francesi hanno dovuto sostenere con la natura . C ' è qui una bella forma tutta moderna dell ' azione agonistica : è parso che gli uomini abbian corsa la gara non tanto per vincersi gli uni con gli altri quanto per vedere quali di loro fossero più atti a vincere la natura . È una scelta dei combattenti migliori per il combattimento più moderno , qual è l ' assalto incessante che gli uomini dànno alla natura , perché questa renda tutte le sue potenze , ed essi possano convertirle in istrumenti della loro vita . Così il folle volo frutta « esperienza » e il folle assalto potenza . Per due volte , in pochi giorni , la nostra terra ha mostrato di produrre valorosissimi combattenti . I più moderni fra i combattenti . E dietro a costoro c ' è una vittoria pratica , la vittoria dell ' industria . Dietro agli uomini che volano attraverso i continenti per volare e per vedere , e non per altro ; che superano deserti , foreste , fiumi , montagne , non per altro se non per il gusto di dire in faccia alla natura con l ' accento dell ' eroe e del fanciullo : – Qui m ' impedisci e mi vuoi spaventare , ma io passo ! – ; dietro a questi uomini , come c ' è la scienza che cerca sempre nuove esperienze , per sempre nuove « conoscenze » , ancora secondo il canto di Dante , per sempre nuove potenze della vita umana ; così c ' è l ' industria che di continuo rafforza le sue armi per soverchiare la concorrenza straniera e accumula per questo nostro popolo quel benessere da cui usciranno poi le vinti e i fatti delle sue volontà maggiori . Il folle volo che s ' inizia nel poema sacro , l ' amore dell ' avventura che è antico quanto il mondo , la moderna scienza e la modernissima industria , oggi ottengono in una quattro vittorie nella nostra patria . E c ' è ancora una quinta vittoria italiana . È quella dell ' ingegno meccanico che qui è più agile e pronto nel concepire , e più delicato e minuzioso nell ' eseguire , che non in nessun altro paese . Risplende il carattere della nostra razza animata e paziente ' . Noi meritiamo sempre lode , e non di rado sopravanziamo gli altri , per l ' arte di costruire i veicoli di terra e di mare , le gigantesche navi ed i fulminei automobili . Ci spinge l ' istinto della velocità attraverso la vastità . L ' istinto più moderno e così nostro da Roma in poi ! Bisogna salutare le cinque belle vittorie con gioia , e soprattutto con fiducia . C ' è fra loro una concezione della vita che giova spesso ricordare . Consiste appunto nel considerare la vita come ardua lotta e come ardua vittoria . Il vincitore di Dieppe , ad uno che gli chiedeva notizie della sua corsa , rispose : – La mia vita non contava più nulla in confronto della vittoria che mi pareva possibile – . Bisogna nutrir fiducia che lo spirito di questa risposta si diffonda e penetri addentro . Solamente l ' avversario formidabile e l ' animo generoso fanno belle le vittorie . E non si ricordi nulla di più in questo giorno di festa . - - - - - - - - - - - - Questo inno in prosa fu pubblicato nel « Giornale d ' Italia » l’11 agosto del 1907 , il giorno stesso dell ' arrivo del Principe Borghese e del Barzini a Parigi . Soltanto due giorni dopo il « Corriere della sera » riportava le parole dette dal Principe ai suoi festeggiatori nelle sale del « Matin » . Eccole . « Voi avete esagerato , signori . Non fummo eroi , ma semplicemente uomini pazienti . Sì , la nostra sola virtù fu la pazienza . Forse ne avemmo anche un ' altra : la perseveranza . Tutto il segreto della nostra riuscita consistette in questo : che non pensammo mai alla meta finale da raggiungere a Parigi . Ogni giorno , alla sveglia , dicevamo a noi stessi che bisognava compiere perbene la tappa designata pel giorno stesso . E siccome ogni giorno erano press ' a poco gli stessi ostacoli che dovevamo vincere e le stesse fatiche che dovevamo sopportare , così venimmo a capo , per forza d ' abitudine , degli uni e delle altre » [ N . d . A . ] .
Maurice Chevalier ( Vergani Orio , 1950 )
StampaQuotidiana ,
Ad un certo momento del suo « concerto » , si rivolge al pubblico e dice : « Non bisogna stupirsi se un uomo con i capelli grigi canta una canzone in onore della mamma ... » . Maurice Chevalier ha sessantadue anni , sua madre deve vivere da un pezzo nella pace del Signore , la buona donna di Menilmontant che aveva messo al mondo dieci figli di cui , quando nacque Maurice , tre soli erano vivi . La ribalta è tutta ornata di rose , di garofani , di violette . Sulla sagoma nera del grande pianoforte a coda spicca , posata lì dopo la prima canzone , l ' ormai storica paglietta dello chansonnier . Gli applausi sono fitti , molte le richieste di bis , molti i saluti ai refrains già noti e ritrovati come vecchi amici . Ma a me più di tutto , mentre Chevalier canta la Prière in onore della mamma , piace ricordare proprio la singolare infanzia di questo ultimo « birichino di Parigi » , degno di entrare in un romanzo di Louis - Henri Boussenard forse più che in uno dei foschi « documentari » di Zola . Straordinaria vita , un po ' dickensiana , quella del ragazzetto di Menilmontant che , finite le scuole elementari , è messo a faccia a faccia con la vita , fra gli ospedali dove viene ricoverata sua madre e gli artigiani dai quali dovrebbe apprendere un mestiere che una volta è quello dell ' elettricista , una volta quello del pittore di bambole e , infine , quello di operaio specializzato a fabbricare puntine da disegno . La madre la chiamavano la Louque e s ' era ridotta anche ad andare a servizio ad ore , nelle case dei vicini : i ragazzi cercavano di guadagnare qualcosa . Maurice pensò , con il fratello , di diventare acrobata , finché a dodici anni imparò a memoria qualche canzone . Storia forse non nuova , simile , probabilmente , a quella di tanti altri artisti , a cominciare , per dirne una , da quella del nostro Petrolini , garzone macellaio della romana piazza Guglielmo Pepe ; ma straordinaria sempre quando si stabilisca il rapporto tra il punto di partenza e il punto di arrivo , una conquista del pubblico che dura ormai da quasi mezzo secolo . Maurice ha i capelli grigi e quasi addirittura argentei ed è ancora la vedette numero uno del music - hall internazionale , in quella singolare costellazione del teatro minore dove la musica non è musica e dove l ' attore non è attore ma dove , talvolta , si va più in là del bel canto e della bella recitazione . Il suo stile è fatto di schiettezza , di franchezza , di disinvoltura . Chevalier è la negazione dell ' Uomo Fatale , del Bellissimo , dell ' Adone 1900 . Se si volesse trovargli un ' assomiglianza , egli si potrebbe identificare con quel tipo «1910» che sorprese la nostra infanzia dagli avvisi pubblicitari dei primi rasoi di sicurezza , quell ' antico giovanotto che si radeva allegramente davanti ad una finestra aperta e che suscitava l ' ammirazione di noi ragazzi , figli di una generazione che usava ancora , per quanto di nascosto , il piegabaffi e una pomata ungherese per appuntirli e profumarli . La sua carnagione ha il colorito sanguigno dei gaulois autentici : quello di Lucien Dietrich e del suo amico Dédé Leducq , maglia gialla del Tour 1931 . È francese ma non assomiglia a Menjou ; non ha nulla di untuoso , di gommoso , di cerimonioso : potrebbe esser tutto ( magari Fantomas ) , ma mai un cameriere o un danseur mondano cui mettere una mancia in mano . La sua vena guascone è sottilissima , il boulevard non lo ha corrotto . Chevalier si è presentato per la prima volta al pubblico a dodici anni , esattamente nel 1900 , con in testa un berrettuccio da ciclista , monello di periferia . Era un figlio del popolo , un ragazzo della strada , di una delle sperdute avenuer dove nasceva la Parigi industriale . Erano i tempi in cui Parigi era la regina del teatro , i tempi della Réjane , della Lavallière , di Guitry . Tristan Bernard aveva la barba nera , Alfred Capus il monocolo con il nastro di seta e Abel Hermant non aveva ancora scritto I Transatlantici . Erano i tempi della piena gloria degli chansonniers Mayol e Bruant : nelle boites di Montmartre si ricordavano ancora gli anni in , cui le parole per le canzonette venivano scritte da Maurice Donnay , l ' autore degli Amanti . Chevalier debutta con il secolo , con quel 1900 che oggi fa sorridere con il ricordo della sua Esposizione Universale . Mezzo secolo di vita teatrale è passato davanti agli occhi e al sorriso dell ' antico monello di Parigi , ultima incarnazione di Gavroche . Nel suo bagaglio di canzoni , stanno i canti vissuti fra due guerre , resistendo al jazz e opponendo le ruote dei mulini a vento di Montmartre alle sagome dei grattacieli americani . Queste canzoni parlano quasi tutte d ' amore come le novelle di Maupassant : per questo non invecchiano e non fanno invecchiare Maurice .