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HISTORIA MAGISTRA VITAE ( GRAMSCI ANTONIO , 1916 )
StampaQuotidiana ,
Avevamo quasi quasi finito per credere alla serietà degli storici ed alla loro esattezza . Tanti volumi , saggi e contributi , tanto minuzioso , paziente esame dei fatti più remoti e più insignificanti , non potevano non impressionare favorevolmente , e dinanzi alla serie interminabile di volumi che ci descrivevano con la massima precisione le vicende di una battaglia punico - romana , d ' una lotta elettorale greca , o gli amori omosessuali di un imperatore qualsiasi , il volto dei profani rimaneva attonito e credevamo , credevamo fiduciosamente . Ma ahimè , la storia oggi la fanno i giornali , e i giornalisti hanno rovinato anche il mestiere degli storici . In un altro periodo , nel quale sia possibile , più calmi e meno premuti dall ' affannoso precipitare degli avvenimenti , riandare la storia che oggi viviamo e sorriderne , quale magnifico tema per un elogio della menzogna ! Ma quale terribile manifestazione della impossibilità di conoscere la verità vera anche dei fatti più noti e più prossimi ! La storia documentata delle nostre epoche non vale in verità più delle leggende e dei miti che di bocca in bocca , di generazione in generazione si tramandavano i popoli antichi che non avevano scrittura , né biblioteche e non conoscevano il metodo moderno critico e positivo . Due giorni or sono un quotidiano torinese annunciava seriamente che « gli austriaci fuggono così in fretta che neppure la cavalleria russa può raggiungerli ... » Ed è di ieri la fantasmagorica storia di Issa Borlettinaz , un capobanda albanese che in due o tre mesi la « Stampa » riuscì a far marciare per i turchi contro i serbi , per questi contro quelli e , dopo averlo ammazzato e fatto risuscitare , a spedirlo in guerra a fianco dei greci contro i serbi . Ed ai giornali fanno degno riscontro i libri . Nell ' Italie en guerre , pubblicato in questi giorni da Henri Charriaut in una biblioteca di filosofia scientifica , edita a Parigi dal Flammarion ( e mi assicurano che autore e editore passano in Francia per persone serie ) , ho letto delle storielle graziosissime sui socialisti italiani e sul nostro contegno . Naturalmente la storia dei periodo precedente l ' intervento italiano , quella delle giornate di maggio , l ' esame delle tendenze e del contegno dei vari partiti politici , è fatta nel solito modo partigiano e stupido . Ma vi sono dei particolari semplicemente buffi . Turati avrebbe detto a suoi colleghi della direzione del partito : « Quanto il Kaiser e Francesco Giuseppe vi hanno pagato ? » « Il socialista Südekum arrivò a Roma con le mani piene per ampie distribuzioni ... » « Il settarismo dei discorsi di Claudio Treves fece ribrezzo anche a dei neutralisti e a dei socialisti » . E non poteva mancare l ' accenno ai marchi tedeschi : « Il Partito socialista rifiutò le 200 000 lire ( di Greulich ) - e questo gesto lo onora - ma tutti sono convinti in Italia che la manna germanica non fu da molti sdegnata » . E si citano dei fatti e si fanno dei nomi . Un collaboratore del « Correspondent » ha raccontato : « Da molto tempo numerose organizzazioni operaie di tendenza rivoluzionaria sono sostenute finanziariamente da possenti sindacati socialisti tedeschi . Si tratta specialmente delle Federazioni dei muratori e dei metallurgici , i segretariati delle quali ricevono importanti sussidi da oltre Reno » . Oh Buozzi , Colombino e Quaglino , rivoluzionari e pagati dai tedeschi ! Chi vi conosce più . E riportando un brano del nostro « Grido » commemorante il compagno Marchetti , caduto in guerra , il bravo autore commette qualche leggera svista . Diceva l ' articolo : « partì con la sua fede » . Traduce : « il était parti avec foi » . Ed in seguito : « L ' avvocato Caldara , il sindaco socialista di Milano , proclamò il suo accordo con Mussolini » . Ed ancora : « A Roma l ' Unione socialista approvò Mussolini » . Così si scrive , oggi , la storia . La quale , come insegnano Cicerone e la pedagogia sperimentale , è « la maestra della vita » .
TORINO, 25 LUGLIO ( - , 1866 )
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L ' indignazione contro Persano , contro Angioletti , contro Lamarmora patrono d ' entrambi e per suo conto responsabile degli spropositi per cui la giornata del 24 giugno non fu una vittoria , è vivissima , profonda , inestinguibile in tutta l ' Italia . I giornali che ci giungono da ogni angolo del paese ne sono eloquenti interpreti , e siamo lieti che sotto il ministero - riparatore - Ricasoli - Depretis nessun sequestro abbia avuto luogo . I momenti sono gravi . Lasciate che la verità arrivi al Re e alla Nazione se volete che entrambi si salvino e trionfino ! Le notizie particolari che riceviamo quest ' oggi sulle cose della flotta confermano quelle date ieri , con ciò solo che si esprimono più amaramente contro l ' inettitudine dell ' ammiraglio . I corrispondenti lamentano tutti con ira e dolore che il Lamarmora ( sotto la presidenza del quale il Persano era stato nominato ) non abbia voluto acconsentire alla rimozione di esso domandata dal Depretis ! Ah , perché l ' egregio Depretis non ha insistito in nome della Nazione intiera domandando anche la rimozione del ministro che si opponeva ? Ma il giorno della giustizia è imminente per tutti ; e questa volta speriamo che la sperienza ci avrà insegnato quanto sia fallace consiglio quello di portare nelle cose della guerra gli occhiali diplomatici come nel 50 e nel 60 quando essendo quistione o di mettere Persano sotto Consiglio di guerra , o di dargli il gran cordone come a tutti gli altri comandanti supremi , si preferì questo secondo partito per non mostrare in pubblico le nostre magagne . Si credeva che il Persano avrebbe compresa questa indulgenza diplomatica , esclusivamente diplomatica , e sarebbesi ritirato da se medesimo . Ma sventuratamente non tutti capiscono le satire salvo quando esse sono ( come suol dirsi ) da panattaio , e si rivelano sotto la forma d ' un Consiglio di guerra ! Ed eccoci ora a pagare il fio della nostra credulità !
I GIORNALI E GLI OPERAI ( GRAMSCI ANTONIO , 1916 )
StampaQuotidiana ,
Sono i giorni della réclame per gli abbonamenti . I direttori e gli amministratori dei giornali borghesi rassettano la loro vetrina , passano una mano di vernice sulla loro insegna e richiamano l ' attenzione del passante ( cioè del lettore ) sulla loro merce . La merce è quel foglio a quattro o sei pagine che va ogni mattino od ogni sera a iniettare nello spirito del lettore le maniere di sentire e di giudicare i fatti dell ' attuale politica , che convengono ai produttori e venditori di carta stampata . Vogliamo tentare di discorrere , con gli operai specialmente , dell ' importanza e della gravità di quell ' atto apparentemente così innocente , che consiste nel scegliere il giornale cui si vuole abbonarsi . E ' una scelta piena di insidie e di pericoli che dovrebbe essere fatta con coscienza , con criterio e dopo maturata riflessione . Anzitutto l ' operaio deve negare recisamente qualsiasi solidarietà col giornale borghese . Egli dovrebbe ricordarsi sempre , sempre , sempre , che il giornale borghese ( qualunque sia la sua tinta ) è uno strumento di lotta mosso da idee e da interessi che sono in contrasto coi suoi . Tutto ciò che stampa è costantemente influenzato da un ' idea : servire la classe dominante , che si traduce ineluttabilmente in un fatto : combattere la classe lavoratrice . E difatti , dalla prima all ' ultima riga , il giornale borghese sente e rivela questa preoccupazione . Ma il bello , cioè il brutto , sta in ciò : che invece di domandare quattrini alla classe borghese per essere sostenuto nell ' opera di difesa spietata in suo favore , il giornale borghese riesce a farsi pagare ... dalla stessa classe lavoratrice che egli combatte sempre . E la classe lavoratrice paga , puntualmente , generosamente . Centinaia di migliaia di operai , danno regolarmente ogni giorno il loro soldino al giornale borghese , concorrendo così a creare la sua potenza . Perché ? Se lo domandate al primo operaio che vedete nel tram o per la via con un foglio borghese spiegato dinanzi , voi vi sentite rispondere : " Perché ho bisogno di sapere cosa c ' è di nuovo " . E non gli passa neanche per la mente che le notizie e gli ingredienti coi quali sono cucinate possono essere esposti con un ' arte che diriga il suo pensiero e influisca sul suo spirito in un determinato senso . Eppure egli sa che il tal giornale è codino , che il tal altro è palancaio , che il terzo , il quarto , il quinto , sono legati a gruppi politici che hanno interessi diametralmente opposti ai suoi . Tutti i giorni poi , capita a questo stesso operaio di poter constatare personalmente che i giornali borghesi raccontano i fatti anche più semplici in modo di favorire la classe borghese e la politica borghese a danno della politica e della classe proletaria . Scoppia uno sciopero ? Per il giornale borghese gli operai hanno sempre torto . Avviene una dimostrazione ? I dimostranti , sol perché siano operai , sono sempre dei turbolenti , dei faziosi , dei teppisti . Il governo emana una legge ? E ' sempre buona , utile e giusta , anche se è ... viceversa . Si svolge una lotta elettorale , politica od amministrativa ? I candidati e i programmi migliori sono sempre quelli dei partiti borghesi . E non parliamo di tutti i fatti che il giornale borghese o tace , o travisa , o falsifica , per ingannare , illudere , e mantenere nell ' ignoranza il pubblico dei lavoratori . Malgrado ciò , l ' acquiescenza colpevole dell ' operaio verso il giornale borghese è senza limiti . Bisogna reagire contro di essa e richiamare l ' operaio all ' esatta valutazione della realtà . Bisogna dire e ripetere che quel soldino buttato là distrattamente nella mano dello strillone è un proiettile consegnato al giornale borghese che lo scaglierà poi , al momento opportuno , contro la massa operaia . Se gli operai si persuadessero di questa elementarissima verità , imparerebbero a boicottare la stampa borghese con quella stessa compattezza e disciplina con cui la borghesia boicotta i giornali degli operai , cioè la stampa socialista . Non date aiuti di danaro alla stampa borghese che è vostra avversaria : ecco quale deve essere il nostro grido di guerra in questo momento che è caratterizzato dalla campagna per gli abbonamenti fatta da tutti i giornali borghesi . Boicottateli , boicottateli , boicottateli !
Gabriele D'Annunzio ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Il poeta è morto la sera del primo marzo del 1938 , alle 19.55 . Da un paio di giorni non si sentiva bene , ma non voleva riconoscerlo . Aveva settantacinque anni . L ' uomo aveva goduto di una salute di ferro , piccolo , magro , muscoloso , alieno dal vino e dal fumo . Una sola volta aveva provato a fumare , ad Arcachon , e si era sentito male . Ai liquori dava nomi pittoreschi ma non li beveva . Mangiava poco , aveva sempre mangiato poco . La sua tavola da pranzo , al Vittoriale , nel lato dell ' edificio costruito da Gian Carlo Maroni , ha una apparenza fastosissima , con una tovaglia lumeggiata d ' oro e coperta da infiniti ninnoli preziosi . Questa tavola non vide quasi mai il poeta a pranzo o a cena . I suoi digiuni non nascevano da un particolare ascetismo , ma dalla volontà di tenere il cervello sgombro , di non rendere opaca l ' intelligenza con le fatiche della digestione , che avevano , diceva , fatto appisolare persino gli Apostoli . Mangiava spesso nello studio dell ' ultimo piano , dove si chiudeva alle volte per intere settimane . Una cameriera , chiamata a seconda degli umori con il nome di « fante » o di « suora » , gli passava attraverso la porta un vassoietto e tornava di lì a poco a prenderlo , sempre attraverso lo spiraglio . Capitava spesso che non ci fosse nulla per l ' ospite arrivato all ' improvviso . Era dunque un uomo sano e ancora robusto per la sua età . Quando venne a Milano per correggere le bozze delle Faville , volle provarsi nella lotta greco - romana con un giovane giornalista che era andato a visitarlo . Il giovanotto sentì , sotto le sue mani , muscoli ancora pronti e forti . Molte chiacchiere erano state fatte su malattie di cui avrebbe dovuto soffrire . I suoi medici di Salò che lo sottoposero in varie occasioni ad analisi e radioscopie potevano testimoniare il contrario . Le sue radiografie e la sua cartella clinica esistono ancora , e certificano che il sangue era perfetto , il cuore perfetto , i polmoni perfetti . Era malato , se mai , del male della clausura : era il male della melanconia di un uomo che aveva trasformato in abitudine l ' antica volontà di isolarsi dal mondo per lavorare . Anche negli ultimi anni , quando il suo lavoro cessò di essere creativo , egli passava infinite ore allo scrittoio , in una atmosfera irrespirabile . Le sue stanze , d ' inverno , erano sempre riscaldate a trenta gradi , prima con grandi stufe di terracotta e infine con termosifoni , che si spegnevano solamente in maggio . Passava talvolta intere settimane e mesi senza uscire dalle sue stanze , dove nascondeva le sue irritazioni e le sue melanconie . Era triste anche di sentirsi invecchiare e di dover confessare , come aveva fatto in una nota del Notturno nel 1921 , che i suoi pensieri , come quelli di Michelangelo , erano tutti carichi di morte . Mentre in gioventù non aveva mai usato , per lavorare , altro eccitante che il digiuno , anche di caffè non aveva mai abusato , invecchiando non seppe evitare qualche eccitante che mani malevole gli porgevano . Un paio di anni prima di morire poté disintossicarsi del tutto . Fu più alacre e persino più lieto . Le visite si erano fatte ormai rare . D ' Annunzio non aveva voglia di farsi vedere invecchiato . Anche i suoi messaggi erano meno frequenti . Il telegrafo di Gardone lavorava sempre meno , il cannone della nave Puglia tuonava di rado e il mas di Buccari restava placidamente ancorato nella sua darsena . Leggere gli costava molta fatica , e si temeva anche che l ' unico occhio superstite si indebolisse definitivamente . D ' Annunzio era stato sempre un uomo di grande coraggio . Di una sola persona aveva paura : del dentista . Si può dire senza offendere la sua memoria , poiché non si parla dell ' adolescente bellissimo negli anni di Isaotta Guttadauro ma del vecchio settantacinquenne chiuso nella silenziosa villa di Gardone , che il mal di denti era stato uno dei fastidi maggiori della vecchiaia di D ' Annunzio . Un dentista di Salò era riuscito a preparare il calco per un apparecchio che gli avrebbe consentito di mangiare senza fatica - il poeta non mangiava mai alla presenza di ospiti perché non voleva mostrare come gli fosse faticoso masticare - ma l ' apparecchio non fu mai fatto perché D ' Annunzio dichiarò alla fine che non si sarebbe mai adattato a portarlo . La morte venne dunque improvvisa , preceduta solo da qualche lieve malessere al quale D ' Annunzio non volle dare importanza . Gian Carlo Maroni , l ' architetto del Vittoriale , aveva insistito inutilmente perché l ' amico si facesse visitare da un medico . D ' Annunzio aveva risposto chiudendosi in studio . Maroni , quelle notti , che furono le ultime di una convivenza e di una amicizia durata diciassette anni , le passava nella poltrona di una stanza adiacente alla camera da letto dove D ' Annunzio era agitato dall ' insonnia . Una cameriera era incaricata di vigilare durante il giorno , non vista , su quello che il poeta faceva . D ' Annunzio passò le ultime ore del pomeriggio del primo marzo nel grande studio al primo piano , quello del mappamondo , con le pareti coperte di libri fino al soffitto . Le finestre , al solito , erano oscurate . In quelle stanze si viveva sempre alla luce artificiale . Verso le sette , il poeta passò nello studiolo che precede la camera da letto . È una piccola stanza con grandi antichi armadi usati anche come guardaroba personale . C ' è un piccolo tavolo dove spesso D ' Annunzio si soffermava per qualche lavoro . Su quel tavolo c ' erano e ci sono ancora dei vasi pieni di penne , di matite e scatolette che contengono i sigilli di carta dorata a rilievo con i quali chiudeva le lettere . Nel cassetto di un armadietto sono ancora i rotoli dei nastri con i colori di Fiume , azzurri e rossi , che il poeta usava per i pacchi dei doni che amava fare agli ospiti . Non mancavano la carta assorbente e il calamaio . Al Vittoriale non era mai entrata , almeno per l ' uso personale del poeta , una macchina da scrivere . D ' Annunzio la odiava così come odiava il telefono . Una volta aveva dichiarato che considerava un ' ingiuria il consiglio di usare il dictaphon . Era contrario ad ogni forma di trascrizione meccanica della voce e non aveva quasi mai acconsentito che il cinema sonoro registrasse la sua parola . D ' Annunzio sedette al tavolo . Forse di lì a poco avrebbe chiamato la « fante » per farsi portare da mangiare . La « fante » , che lo « spiava » da una delle camere vicine lo vide con il braccio appoggiato al tavolino , in un atteggiamento che non dava adito ad alcuna preoccupazione . Su quel tavolino c ' era e c ' è ancora il vecchio lunario del Barbanera che D ' Annunzio , per il suo amore delle vecchie tradizioni abruzzesi , aveva voluto che , come ogni anno , fosse comprato all ' inizio del 1938 . Al primo marzo il lunario annunciava la morte di un grande uomo . Mancavano dieci minuti alle otto , quando la cameriera si sentì chiamare , D ' Annunzio voleva un bicchiere d ' acqua . Gli fu portato . Non disse nulla e bevve . La donna si accorse di qualcosa d ' insolito nell ' aspetto del « padrone » , come il senso di una grave fatica . Il respiro era basso e affannoso , Maroni accorse . Il poeta aveva reclinato la testa sul tavolo e stava per cadere dalla sedia . Fu sostenuto e portato sul letto della camera accanto . Maroni stesso gli fece immediatamente due iniezioni di olio canforato . Ma il cuore del poeta che aveva dato voce ad Aligi era già spento , senza dolore . Pochi minuti dopo l ' arciprete della chiesa di San Nicolò , don Fava , entrava al Vittoriale per dare l ' assoluzione alla spoglia del poeta . D ' Annunzio si era molte volte lamentato in vita che le campane della chiesa , a Gardone , suonavano troppo a lungo e aveva cercato di frenare gli scampanii con elemosine per i poveri . Alle otto in punto , il vecchio campanaro Valentino cominciò a suonare a morto .
TORINO, 3 AGOSTO ( - , 1866 )
StampaQuotidiana ,
Per le ragioni già da noi esposte in un numero precedente la Prussia ormai si lava le mani delle quistioni austro - italiche circa il Tirolo e l ' Istria . La Francia che vuol sempre lasciare un po ' di carne al fuoco per avere occasione di metterci la zampa in avvenire ; la Francia che in questa guerra confidava di poter fare il Deus ex machina a benefizio della Prussia battuta dall ' Austria , e per ciò costretta a cedere , in premio dell ' aiuto , le provincie renane ; la Francia a cui le inaspettate vittorie anzi vittorione prussiane han troncate quelle speranze , è ben lieta che un germe di guerre future resti ancora tra l ' Italia e l ' Austria in ordine a Trento e all ' Istria , perché intanto essa ha tempo di provvedere in fretta e in furia a cambiare il suo armamento per renderlo almeno uguale a quello dei prussiani , e poi grazie ai germi di guerra tenuti vivi essa pensa accortamente che Deus providebit . A questo modo l ' Italia che credeva di dare le sue ultime battaglie in questa guerra , e di potere in seguito attendere seriamente ai fatti suoi , dovrà di nuovo continuare a stare armata perché non avrà presi all ' Austria che i forti avanzati e le avrà lasciata in mano la vera cittadella da cui gli Austriaci son soliti irrompere , vale a dire il Tirolo italiano ! La notizia di un comando affidato in questo momento al D ' Amico , partecipe di tutta la responsabilità che pesa sul Persano , ha fatta pessima impressione in tutto il paese . Si confida che il governo si affretterà di smentirla .
GRAMSCI ANTONIO ( CARATTERE , 1917 )
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I nostri avversari non si preoccupano di giudicare l ' atteggiamento dei socialisti alla stregua dei principi e dei metodi che i socialisti hanno sempre professato e seguito . Far ciò vorrebbe dire giudicare veramente , e fare cosa concreta . Essi non tentano neppure questo giudizio , ne sono incapaci . Dinanzi a degli uomini di carattere , perdono la bussola , brancolano nel buio , si disperano in tutti i vicoli ciechi del pettegolezzo , della maldicenza , della diffamazione . Non comprendono un contegno rettilineo , rigidamente coerente . Sono ipnotizzati dai fatti , dall ' attualità . Non comprendono l ' uomo di carattere , che i fatti pesa e giudica non tanto in sé e per sé quanto con la concatenazione che hanno col passato e con l ' avvenire . Che i fatti giudica quindi specialmente per i loro effetti , per la loro eternità . Sono dei mistici del fatto . E il mistico non può giudicare , può solamente benedire o odiare . Ma è questa la forza dei socialisti italiani . Aver conservato un carattere . Essere riusciti a vincere i sentimentalismi , essere riusciti a strozzare i palpiti del cuore , come stimoli all ' azione , come stimolo alle manifestazione di vita collettiva . I socialisti italiani hanno realizzato , in questo periodo della storia , l ' umanità più perfetta per i fini della Storia . L ' umanità che non cade nelle facili trappole dell ' illusione . L ' umanità che ha rinnegato come inutili e nocive , le forme inferiori della vita spirituale : l ' impulso del buon cuore e del sentimentalismo . Le ha rinnegate coscientemente . Perché ha saputo assimilare gli insegnamenti dei suoi maestri più grandi , e gli insegnamenti che scaturivano spontaneamente dalla realtà borghese morsa dai reagenti della critica socialista . I socialisti italiani sono rimasti incrollabili entro i ranghi determinati dall ' esigenza delle classi sociali . Non si sono turbati , come collettività , per gli spettacoli dolorosi che si presentano ai loro occhi . Non sono svenuti , come collettività , quando è stato loro scagliato fra i piedi il cadavere ancora palpitante di un bambino assassinato . La commozione che ogni singolo ha provato , la stretta al cuore , le simpatie che ogni singolo ha potuto provare , non hanno scalfito la granitica compattezza della classe . Se ogni singolo ha un cuore , la classe , come tale , non ha cuore nel senso che alla parola è solito dare l ' umanesimo infrollito . La classe ha una volontà , la classe ha un carattere . Di questa volontà , di questo carattere è plasmata tutta la sua vita , senza alcun residuo . Come classe non può avere solidarietà che di classe , altra forma di lotta che quella di classe , altra nazione che la classe , cioè l ' Internazionale . Il suo cuore non è che la coscienza del suo essere classe , la coscienza dei suoi fini , la coscienza del suo avvenire . Dell ' avvenire che è solamente suo , per il quale non domanda solidarietà e collaborazione a nessuno , per il quale non vuole che palpiti il cuore di nessuno , ma palpiti solo , nella sua immensa potenzialità dinamica e creatrice , la sua volontà tenace , implacabili contro tutto e tutti che a lei siano estranei . I nostri avversari non comprendono questo . In Italia non si conosce il carattere . Ed è questa l ' unica cosa in cui i socialisti possano giovare , e abbiano giovato all ' italianità . Hanno dato all ' Italia ciò che finora le è sempre mancato . Un esempio vivo e drammaticamente palpitante di carattere adamantino e fieramente superbo di se stesso .
Maria D'Annunzio ( Vergani Orio , 1954 )
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Era di quasi un anno o forse di due superiore per età al suo futuro marito , la duchessina Maria di Gallese , quando conobbe Gabriele d ' Annunzio , che allora , in fatto di titoli araldici , aveva solamente quello del tutto immaginario di Duca Minimo con il quale firmava le note di cronaca mondana sulla appena nata « Tribuna » di Roma . La fama aveva già accarezzato la fronte , ancora aureolata di riccioli biondi , dell ' autore delle Novelle della Pescara e di Primo Vere , che distribuiva uno per uno i ricordi dei suoi giovanili amori romani , in parte veri e in parte immaginari , nei versi morbidissimi e qua e là lussuosamente torbidi di Isaotta Guttadauro . Gabriele era allora , soprattutto , poeta d ' amore , teso a spiare le veneri agresti d ' Abruzzo e quelle , vestite di raso e velluto , delle alcove eleganti di Roma . Piccolo di statura , ma bello nel volto , ornatissimo nella parola , e indicato già , nell ' età in cui gli altri giovani si affannano sui banchi dell ' università , come il poeta destinato a raccogliere lo scettro della poesia in Italia , i parenti di Maria di Gallese furono certamente imprudenti a sceglierlo per dare qualche lezione di letteratura italiana alla giovane e bellissima duchessina di cui si voleva completare l ' educazione . In pochi giorni , alternando la lettura dei classici del Trecento e del Cinquecento con qualche passeggiata fra le antichità di Roma , o alla quercia del Tasso o alla tomba di Cecilia Metella - si sa che le « passeggiate » sono state uno dei migliori punti di partenza per la poesia di D ' Annunzio - i due si trovarono romanticissimamente innamorati . Come in un romanzo , la giovane patrizia si era innamorata di un giovane , ricco solo della sua poesia e di qualche piccolo bene familiare a Pescara , severamente custodito dal padre Don Francesco e dalla madre Donna Luisa . Quella del poeta era una famiglia borghese , di piccoli proprietari terrieri e di armatori di paranze abruzzesi . La madre di Maria , dopo avere sposato un duca di Gallese che non le aveva dato figli , si era unita con un giovane ufficiale francese , venuto a Roma con gli Zuavi che Napoleone III aveva mandato a difendere Pio IX : l ' ufficiale si chiamava Hardouin . Lo stesso Pontefice si era interessato per la buona riuscita del secondo matrimonio . Maria apparteneva dunque a quella che si chiamava ancora l ' aristocrazia nera , papalina . La distanza sociale fra i due innamorati era grande . Gabriele , futuro sterminatore di cuori femminili , la superò di un balzo , come se si fosse trattato , per lui volontario di un anno in Cavalleria , di superare al galoppo una staccionata in una prateria dell ' Agro romano . Disse a Maria : « Fuggiamo ! » . Maria acconsentì e preparò la fuga . Allora non si fuggiva più a cavallo , né si poteva ancora fuggire in automobile . I due fidanzati segreti si trovarono in un treno fumoso , alla stazione Termini , su un vagone diretto a Firenze . Messa facilmente la polizia sulle loro tracce , furono scovati in una stanza d ' albergo con le finestre sull ' Arno . I Gallese sembra volessero far arrestare il rapitore ; ma si lasciarono indurre a consigli più miti e acconsentirono che la fuga , anche perché Maria era ormai maggiorenne , si concludesse con un matrimonio . Il primo figlio si chiamò Mario , il secondo Veniero , il terzo e ultimo - assomigliò più di tutti alla madre bellissima , ma ebbe dalla sorte un dono umano che era stato forse ' negato tanto al suo grande padre poeta quanto a sua madre , quello della mitezza mesta e melanconica dell ' animo - si chiamò Gabriellino . Maria Hardouin di Gallese , principessa di Montenevoso , non amava riandare al suo passato , al suo lontanissimo passato . Parlando di suo marito non diceva « mio marito » , ma « Gabriele » . Lo diceva con una voce apparentemente indifferente , straordinariamente fresca per la sua età , quasi avesse parlato di un estraneo . Probabilmente la figura del marito aveva voluto da moltissimi anni cancellarla dal ricordo : collocando al suo posto l ' immagine di un amico di cui aveva conosciuto , certamente come nessun ' altra , le virtù e i difetti . Gli anni dell ' unione giovanile non erano stati né felici né facili . Maria era donna tale da poter amare , ma non certamente da lasciarsi dominare da un uomo né per debolezza , né per vanità , né per tornaconto . Gabriele non aveva né la forza morale né la fedele schiettezza amorosa per essere totalmente un buon marito e un buon padre di famiglia : assomigliava troppo ai suoi personaggi per poter esserlo . Maria di Gallese era , invece , il contrario dei personaggi dannunziani : il suo sangue per metà francese , un sano sangue provinciale francese , la faceva fiera , sanamente realista , contraria alla retorica , più facile , anche negli ultimissimi anni , all ' ironia che alle pose di donna fatale . La sua eleganza era autentica , quanto forse era di dubbio gusto quella di Gabriele : anche l ' eleganza del suo spirito . Capì di non poter sbarrare il passo al marito , che correva dietro ad ogni tentazione , né voleva seguirlo , lei donna francesemente « pratica » , nelle sue esperienze economicamente pericolose di un po ' smemorato « signore delle lettere » . Gabriele non pensava , se non a tratti e con lunghe amnesie , all ' educazione dei figli . I suoi amori extraconiugali facevano parte delle cronache mondane d ' ogni giorno . Gli anni che la coppia di così differenti caratteri passò nella casa al numero 2 di via Gregoriana - in un appartamentino al quarto piano con un balcone che dominava il palazzotto dello Zuccari dove Gabriele immaginava vivesse il protagonista del Piacere - furono tormentati da una disillusione di cui Maria non fece forse mai colpa diretta al poeta quanto a se stessa , per essersi lasciata illudere . Il distacco avvenne gradualmente , senza esser mai totale dal punto di vista dell ' amicizia , che sopravvisse , se pur di lontano , se pure quasi solamente attraverso alle lettere , finché il poeta , vecchio , confermò , dopo tante esperienze , di voler avere vicino , come la più spiritualmente rispettata delle compagne , la donna cui , in lontanissimi tempi , aveva dato l ' amore dei venti anni . Di tutto questo Maria d ' Annunzio parlava poco : si può dire , anzi , che non parlasse mai . Non ignorava certamente che la sua vita non lieta di moglie del poeta era notissima . Le vicende sentimentali di suo marito appartengono alla storia letteraria e alla storia di una delle più singolari esperienze umane . Non era certamente il caso di conversare con lei di inganni grandi e piccoli per cercare di indovinare quali potevano essere state e quali potevano essere ancora le sue reazioni innanzi a certi nomi celeberrimi che , se non nel cuore , certo nella vita di Gabriele avevano pesato molto . Spostando la propria figura dal piedistallo di moglie a quello di amica così come aveva saputo signorilmente fare da moltissimi anni , essa poteva vivere indifferentemente fra le immagini , molte delle quali diventate poesia , di altre donne nelle quali , forse eternamente innamorato solo di se stesso , Gabriele , come Narciso , s ' era eternamente specchiato . Per questo aveva potuto serenamente incontrarsi con lui , quando egli l ' aveva chiamata al Vittoriale , e considerarsi , in una villa a lei destinata nel parco , la sua ospite amica che tutto sapeva e tutto , se non perdonato , aveva compatito . La sua vita , dopo il distacco dal marito , era stata per molto tempo difficile . A Roma aveva vissuto per molti anni in un piccolo appartamento di piazza di Spagna , mettendo a frutto , per vivere , la sua perizia nel ritrovare , scegliere e ordinare le belle cose antiche . Non aveva , Donna Maria , come del resto i figli , certamente gravato sui bilanci spesso disordinati del poeta . Solo dopo la morte di lui aveva ricevuto un vitalizio sui suoi diritti d ' autore e l ' usufrutto perenne della villa Mirabella entro il secondo recinto del Vittoriale . Aveva finito per lasciare anche la sua ultima dimora romana , una pensione in una traversa di via Veneto , per vivere la metà dell ' anno a Gardone e l ' altra metà a Parigi , dove suo figlio Veniero , con i suoi guadagni di ingegnere in America , le aveva comperato e donato un appartamentino vicino all ' Etoile . Ad onta della tardissima età viaggiava da sola e a Parigi viveva sola , dopo che le era morta , sotto ad un bombardamento , una fedele cameriera . Durante la occupazione tedesca non aveva voluto restare sul lago di Garda , preferendo , a ottant ' anni di parecchio passati , vivere in solitudine nella città dei suoi avi francesi . Al suo ritorno aveva saputo che la sua casa di Gardone era stata abitata da una tragica creatura : da Claretta Petacci , che di lì era partita per andare alla morte . Aveva detto : « È destino che io , senza romanzo , viva accanto ai romanzi ! » . Era stata bellissima , come testimoniava , alla Mirabella , un grande ritratto dipinto da La Gandara che D ' Annunzio vi aveva fatto collocare come per dire che quella casa era della donna che non aveva mai dimenticato . Aveva sorriso , la vegliarda infaticabile , quando le era stato mostrato un volume francese intitolato Paris , mon coeur nel quale quel ritratto era riprodotto per far conoscere il « tipo ormai classico della donna francese , dell ' elegante parigina dei tempi di Maurice Donnay e di Paul Bourget » . Pur nella tardissima età , sottile nella figura , rapida e leggera nel passo , con i capelli colorati di rosso e pettinati come quelli delle donne di Boldini , la si vedeva andar in su e in giù , a piedi , per i sentieri della collina del Vittoriale , veramente simile , nella figura , a quelle ormai tramontate immagini che ispiravano un tempo il concetto dell ' alta e scintillante aristocrazia . Attendeva da anni serenamente la morte , ma intanto parlava della vita come di un bene che non si sarebbe esaurito mai . Fissava convegni e viaggi a distanza di mesi e di anni , e intanto , fermandosi in un certo angolo del parco , pensava anche a quella che poteva essere la sua ultima dimora . Comprendeva , nella sua fierezza di gran dama , di non poter chiedere d ' essere seppellita vicino al marito , dopo tanti trascorsi che avevano per quarant ' anni annebbiata la loro unione . Aveva indicato , per sé , un angolo del parco e un sarcofago di pietra come quelli nei quali Gabriele aveva chiuso le spoglie dei suoi legionari : ma diceva che doveva essere ornato , a mosaico , con i profili di due pavoni . Amava viaggiare , ma ogni volta , quando partiva per Parigi o per Charleville , la patria del poeta Rimbaud , dove aveva parenti e amici fedeli , lasciava ad una persona fidata , confermando così il suo istinto di donna ordinata e pratica come sono quasi sempre le francesi , una busta con il denaro che considerava potesse essere all ' improvviso necessario per riportarla , morta , in patria . La sua vitalità era sempre stata straordinaria . Aveva una attenzione estrema nel non rivelare i suoi anni . Nel 1882 , quando conobbe il diciannovenne D ' Annunzio , sembra che la duchessina fosse già maggiorenne . Lo era già , in ogni modo , nel 1883 , quando si sposò . Per la sua età , dunque , bisognava tirare a indovinare , facendo oscillare il pendolo fra i novantadue delle opinioni ottimiste e i novantacinque dei « pessimisti » . La primavera scorsa , ospitata in una clinica di Riva del Garda , aveva dichiarato , in tono di celia , di avere sessantacinque anni : e nessuno aveva osato contraddirla perché le sue risposte potevano essere sferzanti . Sette anni or sono , mi aveva tenuto un po ' il broncio perché , scrivendo dopo la morte del figlio suo Gabriellino , avevo parlato di lei come di una « vecchia signora » . Doveva essere già allora vicino agli ottantasette anni .
CARLO LUIGI FARINI ( - , 1866 )
StampaQuotidiana ,
La Nemesi italiana dovrebbe esser sazia ! Cavour , La Farina , D ' Azeglio , Farini , quattro vessilliferi , quattro combattenti , quattro trionfatori della libertà nazionale ! E tutti quattro morti ! E tutti quattro erano cuori onesti , che non specularono sulla patria , ma consumarono per essa con santa abnegazione la vita ! Cavour ricco di censo avito consumò notevole porzione del suo retaggio a gloria della Nazione Ministro del piccolo Piemonte , rappresentò a Parigi splendidamente le parti di un ministro di Re d ' Italia . La Farina morì lasciando quasi nell ' indigenza la propria famiglia . D ' Azeglio conservando alta al di fuori la dignità dell ' antica sua posizione , lavorava per vivere nel suo studio d ' artista e bisognoso di vendere i suoi capi d ' arte regalava ai Sovrani ! Farini schernito per un motto che fu il vero suo dogma rifiutò dai modenesi splendide ricompense per conservarsi la gloria di morir povero . Italiani ! versiamo un fiore sulla tomba di Carlo Luigi Farini È un ' altra piramide , è un altro monumento , che l ' Italia pianterà nella sua moderna via Appia . Bisogna che sovra colonne eterne imparino i popoli che verranno , che se l ' Italia ha tra i vivi degli speculatori delle sue glorie e dei suoi lutti , ell ' ha tra i suoi morti delle glorie pure contro cui si spunta ogni dardo di schifosa ira di parte . Che queste quattro tombe possano chiamar l ' Italia , per gratitudine almeno , a non disfar l ' opera dei quattro architetti che vi riposano .
UN ANNO DI STORIA ( GRAMSCI ANTONIO , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Un anno è trascorso , dal giorno in cui il popolo russo costringeva lo zar Nicola II ad abdicare e prendere la via dell ' esilio . La commemorazione dell ' anniversario è poco lieta . Dolore , rovina , apparenza di sfacelo , controffensiva borghese con le baionette e le mitragliatrici tedesche . E ' finita la rivoluzione russa ? E ' fallito , in Russia , il proletariato , nel più grande dei tentativi di riscossa che esso abbia mai tentato nella storia ? Le apparenze sono sconfortanti : i generali tedeschi sono arrivati ad Odessa : i giapponesi si dice stiano per intervenire ; 50 milioni di cittadini sono stati staccati dalla rivoluzione , e con essi le terre più fertili , gli sbocchi al mare , le strade della civiltà e della vita economica . La rivoluzione nata dal dolore e dalla disperazione , continua nel dolore e nelle sofferenze , stretta in un anello di potenze nemiche , immersa in un mondo economico refrattario alle sue idealità , ai suoi fini . Nel marzo del 1917 il telegrafo ci annunziò che un mondo era crollato in Russia : mondo effimero ormai , inanimata parvenza di un potere che era sorto , si era rafforzato , si era trascinato , con la violenza sanguinosa , con la compressione degli spiriti , con la tortura delle carni dilaniate . Aveva questo potere suscitato una grande macchina statale . 170 milioni di creature umane erano state costrette a dimenticare la loro umanità , la loro spiritualità per servire . A che ? All ' idea dell ' Impero russo , del grande Stato russo che doveva arrivare ai mari caldi e aperti per assicurare all ' attività economica sbocchi sicuri da ogni taglia di concorrenti , da ogni sorpresa di guerra . L ' Impero russo era una mostruosa necessità del mondo moderno : per vivere , svilupparsi , per assicurarsi le vie dell ' attività , dieci razze , 170 milioni di uomini dovevano sottostare a una disciplina statale feroce ; dovevano rinunziare all ' umanità ed essere puro strumento del potere . Nel marzo 1917 la macchina mostruosa crolla , imputridita , disfatta nella sua impotenza congenita . Gli uomini si drizzano , si guardano negli occhi . Tutti i valori umani hanno il sopravvento . L ' esteriorità non ha più valore ; troppo male ha fatto , troppi dolori ha prodotto , troppo sangue ha versato . Incomincia la storia , la vera storia . Ognuno vuole essere padrone del proprio destino , si vuole che la società sia plasmata in ubbidienza allo spirito , e non viceversa . L ' organizzazione della convivenza civile deve essere espressione di umanità , deve rispettare tutte le autonomie , tutte le libertà . Incomincia la nuova storia della società umana , incominciano le esperienze nuove della storia dello spirito umano . Esse vengono a coincidere con le espressioni che l ' ideale socialista aveva dato ai bisogni elementari degli uomini . I socialisti come ceto politico salgono al potere senza troppi sforzi : le parole della loro fede coincidono con le aspirazioni confuse e vaghe del popolo russo . Essi devono realizzare l ' organizzazione nuova , devono dettare le nuove leggi , stabilire i nuovi ordinamenti . Il passato continua a sussistere ; viene disgregato . Si ha la parvenza dello sfacelo , del disordine , della confusione . Sembra che si ritorni alla società barbarica , cioè alla non società . Il passato continua a sussistere oltre il territorio della libertà , e preme e vuole prendere una rivincita . L ' ordine nuovo tarda a realizzarsi . Tarda ? O uomini scettici e perversi , non tarda , no perché non si rifà una società in un fiat , perché il male del passato non è un edifizio di cartapesta cui si dà fuoco in un attimo . Doloroso sforzo è la vita , lotta tenace contro le abitudini , contro l ' animalità e l ' istinto grezzo che latra continuamente . Non si crea una società umana in sei mesi , quando tre anni di guerra hanno esaurito un paese , l ' hanno privato dei mezzi meccanici per la vita civile . Non si riorganizzano milioni e milioni di uomini in libertà , così , semplicemente , quando tutto è avverso , e non sussiste che lo spirito indomabile . La storia della rivoluzione russa non si è chiusa e non si chiuderà con l ' anniversario del suo iniziarsi . Come un canto esiste nella fantasia del poeta prima che sulla carta stampata , l ' avvento dell ' organizzazione sociale esiste nelle coscienze e nelle volontà . Sono gli uomini cambiati : questo importa . Si vuole l ' esteriorità , la carta stampata . Si stride per ogni insuccesso , per ogni rovescio apparente . Si domanda ai russi ciò che gli storici non domandano alle rivoluzioni passate : la creazione fulminea di un ordine nuovo . Si suppongono propositi che non sono mai esistiti , speranze che non sono mai state sognate . E questi propositi , queste speranze sono confrontate con la realtà attuale per concludere al fallimento , allo sfacelo . Con la realtà che si dice sortita da un anno di nuova storia , ma che è sortita da secoli di bestiale soppressione dell ' uomo dalla storia . Si domanda l ' impossibile che non è mai stato domandato agli uomini del passato . Quante volte la Rivoluzione francese ha visto occupata la capitale dai nemici ? E l ' occupazione veniva dopo che Napoleone aveva organizzato autoritariamente le forze rivoluzionarie , e aveva condotto gli eserciti francesi di vittoria in vittoria . E la Francia era ben piccola cosa in confronto della Russia sterminata . No , le forze meccaniche non prevalgono mai nella storia : sono gli uomini , sono le coscienze , è lo spirito che plasma l ' esteriore apparenza , e finisce sempre col trionfare . Un anno di storia si è chiuso , ma la storia continua .
TORINO, 5 OTTOBRE ( - , 1866 )
StampaQuotidiana ,
La pace è fatta . Sia la benvenuta ! Ora Dio ci salvi da una nuova guerra , perché in questa predestinata Italia l ' esercito sarebbe comandato dagli stessi uomini che han perduto a Custoza malgrado la vittoria dei soldati , e non sempre avremmo a salvarci dalle sconfitte dei nostri generali supremi i trionfi dell ' esercito prussiano ! Dio ci salvi da una nuova guerra , perché i pieni poteri cadrebbero nelle mani di quelli stessi che nella loro avvedutezza si lasciarono strappare Palermo da poche bande di malandrini . Dio ci salvi da una nuova guerra , perché le finanze sarebbero sgovernate dagli stessi che imposero il corso forzato dei biglietti dopo averlo stigmatizzato pochi giorni prima , dagli stessi che stabilirono il prestito forzato sulle basi eque e intelligenti che dànno i bellissimi risultati che tutti veggono ! ... La pace è fatta . Dio voglia che non sia la pace malsana . Viva la pace , viva la Venezia !