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La figlia di Jorio ( Vergani Orio , 1954 )
StampaQuotidiana ,
La sera del 3 marzo 1904 si alzò per la prima volta il sipario sulla vicenda di Aligi e di Mila di Codra . Nasceva alla vita dello spettacolo , dopo esser nata sui grandi fogli di carta a mano del manoscritto - fu poi riprodotto in un facsimile che reca tutte le tracce della sua elaborazione - la Figlia di Jorio . II sipario si aprì puntualmente alle 20.45 . Per chi volesse saperlo , i prezzi d ' ingresso al teatro Lirico di Milano erano , per quei tempi , eccezionalissimi . I palchi costavano 120 lire : una poltrona 30 lire . Prezzi , dunque , scaligeri . Nevicava fitto . Una fila interminabile di carrozze padronali , con pariglie e cocchieri in tuba , sostava sotto alla neve in via Larga e nelle strade adiacenti . Gabriele d ' Annunzio avrebbe compiuto di lì a pochi giorni i quarantun anni . Virgilio Talli , che aveva messo in scena la « tragedia pastorale » e guidato e concertato la recitazione , ne aveva quarantasette , come Oreste Calabresi cui era affidato il ruolo di Lazaro di Rojo . Ruggero Ruggeri che vestiva i panni di Aligi ne aveva trentatré , e trentuno Irma Gramatica , cui era stata affidata la parte della protagonista . La Talli - Gramatica - Calabresi ( Ruggeri non aveva ancora il nome « in ditta » , come si dice nel gergo dei comici ) era indicata , nelle conversazioni degli appassionati di teatro , come la « compagnia dei giovani » , animata , pur sotto la disciplina ferrea di Talli , da tendenze « rivoluzionarie » . Lyda Borelli faceva parte della compagnia nel gruppo delle attrici giovani : ed era appena una giovinetta . Le erano affidate le battute di Favetta . Ornella - ecco un nome inventato da D ' Annunzio che diventò popolare quasi come quelli dei personaggi dei melodrammi : furono moltissime le bambine che ebbero il suo nome - era Giannina Chiantoni . Il poeta non aveva avuto sempre favorevole il pubblico nelle sue prove di autore teatrale : aveva conosciuto , anzi , qualche duro assalto negativo da parte delle platee , per quanto sostenuto con appassionata fede da Eleonora Duse , che gli era stata compagna in tutte le sue esperienze di palcoscenico . L ' attesa era , in ogni modo , immensa . La vittoria doveva essere superba : certamente la più alta di tutto il teatro dannunziano . Una cronaca dell ' « Illustrazione Italiana » narra che il poeta fu chiamato alla ribalta « le dieci , le quindici volte ... » . Era proprio il segno del trionfo perché , in quegli anni , due o tre chiamate dopo ogni atto già erano la misura di un vivo successo . Il teatro di prosa non conosceva una robusta claque . Da parte di Virgilio Talli fu la prova più alta e più faticosa delle sue capacità di « regista » , come si direbbe oggi : di « capocomico » come si diceva allora . E fu anche una prova di diplomazia , di pazienza , di sottile intuito organizzativo . Il grande « capocomico » non doveva armeggiare solamente per rispondere degnamente all ' attesa e alle esigenze dello scrittore : doveva anche , senza mostrare di immischiarsi nei fatti personali dell ' autore , prevedere , ed esser pronto ad agire di conseguenza , una grossa crisi di carattere sentimentale che avrebbe potuto mettere in pericolo , da un momento all ' altro , la realizzazione dello spettacolo . La cronaca , oggi , si impadronisce subito di qualsiasi episodio sentimentale delle dive . Viviamo nel tempo delle conferenze stampa , nel corso delle quali mogli o amanti che si suppongono tradite dettano ai cronisti la storia dei loro dissidi d ' amore . Allora , nel 1904 , la discrezione della stampa era ancora obbligatoria . Delle avventure sentimentali si parlava sottovoce . Le amanti deluse piangevano in silenzio , senza offrire le proprie lacrime ai lampi dei fotoreporters . L ' andata in scena della Figlia di Jorio doveva coincidere con la crisi finale di quella che , dopo l ' amore di De Mussct per George Sand , poteva essere definita « la passione del secolo » . Sarebbe inutile , di ciò , ricercare la traccia nei giornali del 1904 , . e , per molti anni ancora , ricercarne qualche indicazione precisa nei libri di storia e di biografia teatrale . L ' autobiografia di ' falli è molto velata in proposito . I libri che narrano la vita della Duse - almeno quelli scritti sotto la sua diretta ispirazione - usano , in proposito , lunghe , caute , morbide perifrasi . La versione ufficiale dei fatti che portarono alla rinuncia della Duse a dare vita al personaggio di Mila di Codra è quella che attribuisce la rinuncia ad un « molesto raffreddore » . Virgilio Talli non aveva studiato medicina , ma con tutta probabilità aveva previsto questo « raffreddore » sino da otto mesi prima quando tramite Adolfo Orvieto - il direttore del Marzocco - era stato convocato da D ' Annunzio alla Capponcina per sentirsi affidare la messa in scena della tragedia . D ' Annunzio e Talli erano stati compagni di collegio al Cicognini di Prato . Talli che aveva sei anni più cli D ' Annunzio era stato , al Cicognini , uno , dei « grandi » , mentre il figlio del pescarese don Francesco d ' Annunzio era uno dei « piccoli » . S ' erano poi , effettivamente , perduti di vista , Il poeta , incontrandosi con Talli nell ' atmosfera di sagrestia e di antiquariato che caratterizzava l ' arredamento della villetta fiesolana , evocò a lungo , e molto con l ' immaginazione , gli anni di collegio . Poi raccontò la trama della tragedia . Il nome e la figura della Figlia di Jorio erano già noti attraverso il quadro di Francesco Paolo Michetti che , vari anni prima , aveva avuto un successo clamoroso di pubblico . D ' Annunzio disse che la parte di Mila sarebbe stata interpretata da Eleonora Duse , almeno nelle città principali , e soprattutto nella prima presentazione dell ' opera al pubblico . Innanzi a tanto nome Talli non aveva che da inchinarsi . In quanto ad essere sicuro di aver Eleonora alla « prima » aveva segretamente molti dubbi . Per quanto le cronache fossero , in materia di « notiziari amorosi » , assolutamente mute , nessuno ignorava - e forse non lo ignorava la stessa Duse - che una nuova donna era entrata nel labirinto di fascini del poeta . Si trattava di una donna giovane e molto bella , di alta nascita - era figlia di un presidente del Consiglio dei ministri - e di nobile matrimonio . Alessandra Starabba di Rudinì maritata marchesa Carlotti , la cui vita doveva essere travolta dal tempestoso sentimento che la unì al poeta e che doveva trovare pace più tardi solamente quando volle vestire l ' abito di clausura delle Carmelitane , aveva sollevato grande rumore negli ambienti del patriziato veronese con i suoi atteggiamenti e costumi di donna « moderna » . Ancora molti anni dopo , a Verona , le signore la ricordavano alla guida di un tiro a quattro o in sella di maldomi cavalli da corsa . Si favoleggiava che , dovendo per la prima volta ricevere il poeta nella sua villa , avesse fatto cospargere di rose tutto il viale del parco . Il poeta l ' aveva incontrata a Firenze e , poi , sulla riva del Garda , a San Vigilio , dove la marchesa possedeva una grande villa . Essa era insomma colei che , nella biografia delle donne che hanno impegnato il loro cuore nella fede per D ' Annunzio , prese il nome di « Dama del Garda » . La collaborazione teatrale fra il poeta e la « divina Eleonora » era , prima di tutto , alleanza di un amore entusiastico . Si sarebbe mantenuta questa collaborazione il giorno in cui Eleonora avesse dubitato , o saputo con certezza , di questo nuovo « romanzo » di Gabriele ? Era ciò che rendeva assai perplesso Talli il quale ad ogni buon conto - egli aveva anche la responsabilità organizzativa ed economica dello spettacolo - per evitare troppo gravi sorprese pensò bene , ad insaputa del poeta , di passare il copione in lettura a Irma Gramatica , dicendole di tenersi pronta non solo per le « riprese » della tragedia pastorale , ma , addirittura , per la « prima » qualora il segreto dramma d ' amore della Duse fosse giunto ad una crisi irreparabile . Tutto questo retroscena non era materia di cronaca , ma era noto negli ambienti teatrali , e di qui , con i « si dice » dei salotti mondani , era diventato notissimo anche al pubblico . La curiosità per l ' imminente avvenimento ne era così anche più acuita . E intanto si parlava dell ' impegno con cui gli amici abruzzesi di Gabriele , con alla testa Michetti , andavano raccogliendo nei villaggi d ' Abruzzo tutta la suppellettile folcloristica necessaria per la messa in scena : vecchi costumi , orci , borracce intarsiate , gioielli , scialli , scapolari . Michetti e Ferraguti preparavano i bozzetti per le scene che Rovescalli , lo scenografo della Scala , doveva dipingere in grande . Michetti disegnava il costume di Mila per la Duse e il bozzetto veniva mandato da Talli alla sartoria teatrale . Il poeta aveva letto il copione agli attori e Irma Gramatica - che lo aveva già letto di nascosto - obbedendo a Talli fingeva di non conoscerne nemmeno una parola . D ' Annunzio continuava a parlare della Duse come di una interprete sicura . Ed egli era forse sicuro che , all ' ultimo , la sua autorità di poeta avrebbe avuto il potere di placare nella Duse le ansie , i crucci , le gelosie della donna . Si vide che egli si era sbagliato . E le cronache cominciarono a parlare della salute della Duse , di vaghe indisposizioni , di abbassamenti di voce , di persistenti faringiti . Quello che segretamente giungeva alla sua conclusione , mentre si iniziavano le prove , era il dramma più grave e tormentoso della vita della grande attrice . Alla fine si capì che era impossibile parlare di accomodamenti e di rinvii . Velatamente , raccontando la vita della Duse , Olga Signorelli , richiamandosi ad un brano del Fuoco , dice così di quell ' ora : «...Nulla era accaduto , nulla accadeva ... Nessuna parola era stata proferita che stabilisse un termine , che accennasse ad una interruzione ... E nondimeno ella sentiva in quel punto l ' impossibilità assoluta di seguitare a vivere accanto all 'amato...» . La crisi arrivava al culmine . Meno poeticamente Talli , che era stato in grande agitazione e l ' aveva confidato a Marco Praga fin dal gennaio - il poeta era spessissimo a Verona , si sapeva perché e nelle sue epistole parlava lietamente di cavalcate e di cacce - racconta che , alla fine , il poeta stesso aveva detto non esser « ormai prudente prolungare troppo un ' illusione che avrebbe potuto procurare dispiaceri non lievi ... » . Il nome della Duse non fu più pronunciato e il costume di Mila fu portato nel camerino di Irma Gramatica . La sera del 3 marzo , a Genova , costretta a letto in albergo dalla febbre , avendo compagna Matilde Serao , Eleonora Duse , mentre a Milano si apriva il sipario del Lirico , declamò a se stessa la tragedia . La sapeva a memoria dal primo all ' ultimo verso . E continuò sino alla fine , nella notte , sino alla battuta suprema : « La fiamma è bella ! La fiamma è bella ! » . Intanto , mentre l ' ispiratrice piangeva disfatta sul cuscino , il pubblico chiamava il poeta in trionfo alla ribalta . La Figlia di Jorio iniziava la sua vita di poesia : Eleonora Duse quella della sua lunga disperata melanconia .
LA CAPITALE A ROMA ( - , 1870 )
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Si dice da taluno che un trasferimento immediato della capitale a Roma sia impossibile materialmente e moralmente . Rispondiamo che IMPOSSIBILE è invece il NON ANDARVI . Cosa fatta capo ha . Fin da questo momento la Capitale è Roma , Roma sola , e chi non se ne accorge è cieco dell ' intelletto . A Roma , a Roma sola è rivolto l ' occhio , il pensiero , il cuore della Nazione . A Roma accorrono come al centro a cui tende ogni cosa italiana , come al crogiuolo in cui s ' affinerà domani l ' opinione pubblica nazionale , tutti i partiti , tutte le forze vive e capaci d ' influenza politica . Domani il giornalismo della grande Metropoli sarà quello che avrà nome e sostanza di giornalismo della Capitale . Domani Roma e l ' Italia convenuta in Roma chiederanno a se stesse : « Dov ' è il governo ? Natura abhorret a vacuo . Dov ' è il governo ? » . È urgente che a tal domanda si possa rispondere : « Al Quirinale ! Al Quirinale ! » . Badateci ! Se il vuoto si prolunga altri lo riempie . Natura abhorret a vacuo . Se non andate voi ci andrà la Repubblica . Badateci ! I meridionali non vorran più risalire oltre Roma ; e i settentrionali che anelano alla stabilità della cosa pubblica vi scongiurano d ' uscir dal provvisorio al più presto possibile , e di portare al Congresso un fatto compiuto dinanzi al quale la diplomazia s ' inchini , e non una passeggiata militare a cui d ' un tratto di penna si possa dare contrordine .
StampaQuotidiana ,
Uno dei membri della delegazione italiana , testé ritornato dalla Russia sovietica , riferì ai lavoratori torinesi che la tribuna destinata all ' accoglienza della delegazione di Kronstadt era fregiata con la seguente iscrizione : " Evviva lo sciopero generale torinese dell ' aprile 1920 " . Gli operai appresero questa notizia con molto piacere e grande soddisfazione . La maggior parte dei componenti la delegazione italiana recatasi in Russia erano stati contrari allo sciopero generale d ' aprile . Essi sostenevano nei loro articoli contro lo sciopero che gli operai torinesi erano stati vittime di un ' illusione e avevano sopravvalutato l ' importanza dello sciopero . I lavoratori torinesi appresero perciò con piacere l ' atto di simpatia dei compagni di Kronstadt ed essi si dissero : " I nostri compagni comunisti russi hanno meglio compreso e valutato l ' importanza dello sciopero di aprile che non gli opportunisti italiani , dando così a questi ultimi una buona lezione " . Lo sciopero di aprile Il movimento torinese dell ' aprile fu infatti un grandioso avvenimento nella storia non soltanto del proletariato italiano , ma di quello europeo , e possiamo dirlo , nella storia del proletariato di tutto il mondo . Per la prima volta nella storia , si verificò infatti il caso di un proletariato che impegna la lotta per il controllo della produzione , senza essere stato spinto all ' azione dalla fame o dalla disoccupazione . Di più non fu soltanto una minoranza , un ' avanguardia della classe operaia che intraprese la lotta , ma la massa intiera dei lavoratori di Torino scese in campo e portò la lotta , incurante di privazioni e di sacrifizi , fino alla fine . I metallurgici scioperarono per un mese , le altre categorie dieci giorni . Lo sciopero generale degli ultimi dieci anni dilagò in tutto il Piemonte , mobilizzando circa mezzo milione di operai industriali e agricoli , e coinvolse quindi circa quattro milioni di popolazione . I capitalisti italiani tesero tutte le loro forze per soffocare il movimento operaio torinese ; tutti i mezzi dello Stato borghese furono posti a loro disposizione , mentre gli operai sostennero da soli la lotta senza alcun aiuto né dalla direzione del Partito socialista , né dalla Confederazione Generale del Lavoro . Anzi , i dirigenti del Partito e della Confederazione schernirono i lavoratori e contadini italiani da qualsiasi azione rivoluzionaria colla quale essi intendevano manifestare la loro solidarietà coi fratelli torinesi , e portare a essi un efficace aiuto . Ma gli operai torinesi non si perdettero d ' animo . Essi sopportarono tutto il peso della reazione capitalista , osservarono la disciplina fino all ' ultimo momento e rimasero fino dopo la disfatta fedeli alla bandiera del comunismo e della rivoluzione mondiale . Anarchici e sindacalisti La propaganda degli anarchici e sindacalisti contro la disciplina di partito e la dittatura del proletariato non ebbe alcuna influenza sulle masse , anche quando , causa del tradimento dei dirigenti , lo sciopero terminò con una sconfitta . I lavoratori torinesi giurarono anzi di intensificare la lotta rivoluzionaria e di condurla su due fronti : da una parte contro la borghesia vittoriosa , dall ' altra contro i capi traditori . La coscienza e la disciplina rivoluzionaria , di cui le masse torinesi hanno dato prova , hanno la loro base storica nelle condizioni economiche e politiche in cui si è sviluppata la lotta di classe a Torino . Torino è un centro di carattere prettamente industriale . Quasi tre quarti della popolazione , che conta mezzo milione di abitanti , è composta di operai : gli elementi piccolo - borghesi sono una quantità infima . A Torino vi è inoltre una massa compatta di impiegati e tecnici , che sono organizzati nei sindacati e aderiscono alla Camera del Lavoro . Essi furono durante tutti i grandi scioperi a fianco degli operai , e hanno quindi , se non tutti , almeno la maggior parte , acquistato la psicologia del vero proletariato , in lotta contro il capitale , per la rivoluzione e il comunismo . Due insurrezioni armate Durante la guerra imperialista del 1914-18 , Torino vide due insurrezioni armate : la prima insurrezione , che scoppiò nel maggio 1915 , aveva l ' obiettivo di impedire l ' intervento dell ' Italia nella guerra contro la Germania ( in questa occasione venne saccheggiata la Casa del popolo ) ; la seconda insurrezione , nell ' agosto 1917 , assunse il carattere di una lotta rivoluzionaria armata , su grande scala . La notizia della Rivoluzione di marzo in Russia era stata accolta a Torino con gioia indescrivibile . Gli operai piangevano di commozione quando appresero la notizia che il potere dello zar era stato rovesciato dai lavoratori di Pietrogrado . Ma i lavoratori torinesi non si lasciarono infinocchiare dalla fraseologia demagogica di Kerenski e dei menscevichi (...) . Quando nel luglio del 1917 arrivò a Torino la missione inviata nell ' Europa occidentale dal Soviet di Pietrogrado , i delegati Smirnov e Goldemberg , che si presentarono dinanzi a una folla di cinquantamila operai , vennero accolti da grida assordanti di " Evviva Lenin ! Evviva i bolscevichi ! " . Goldemberg non era troppo soddisfatto di questa accoglienza ; egli non riusciva a capire in che maniera il compagno Lenin si fosse acquistata tanta popolarità fra gli operai torinesi . E non bisogna dimenticare che questo episodio avvenne dopo la repressione della rivolta bolscevica del luglio , che la stampa borghese italiana infuriava contro Lenin e contro i bolscevichi , denunziandoli come briganti , intriganti , agenti e spie dell ' imperialismo tedesco . Dal principio della guerra italiana ( 24 maggio 1915 ) il proletariato torinese non aveva fatto nessuna manifestazione di massa . Barricate , trincee , reticolati L ' imponente comizio che era stato organizzato in onore dei delegati del Soviet pietrogradese segnò l ' inizio di un nuovo periodo di movimenti di masse . Non passò un mese , che i lavoratori torinesi insorsero con le armi in pugno contro l ' imperialismo e il militarismo italiano . L ' insurrezione scoppiò il 23 agosto 1917 . Per cinque giorni gli operai combatterono nelle vie della città . Gli insorti , che disponevano di fucili , granate e mitragliatrici , riuscirono persino a occupare alcuni quartieri della città e tentarono tre o quattro volte di impadronirsi del centro ove si trovavano le istituzioni governative e i comandi militari . Ma i due anni di guerra e di reazione avevano indebolito la già forte organizzazione del proletariato , e gli operai inferiori di armamento furono vinti . Invano sperarono in un appoggio da parte dei soldati ; questi si lasciarono ingannare dall ' insinuazione che la rivolta era stata inscenata dai tedeschi . Il popolo eresse barricate , scavò trincee , circondò qualche rione di reticolati a corrente elettrica e respinse per cinque giorni tutti gli attacchi delle truppe e della polizia . Caddero più di 500 operai , più di 2000 vennero gravemente feriti , Dopo la sconfitta i migliori elementi furono arrestati e allontanati e il movimento proletario perdette di intensità rivoluzionaria . Ma i sentimenti comunisti del proletariato torinese non erano spenti . Nel dopoguerra Dopo la fine della guerra imperialista il movimento proletario fece rapidi progressi . La massa operaia di Torino comprese che il periodo storico aperto dalla guerra era profondamente diverso dall ' epoca precedente la guerra . La classe operaia torinese intuì subito che la III Internazionale è un ' organizzazione del proletariato mondiale per la direzione della guerra civile , per la conquista del potere politico , per l ' istituzione della dittatura proletaria , per la creazione di un nuovo ordine nei rapporti economici e sociali . I problemi della rivoluzione , economici e politici , formavano oggetto di discussione in tutte le assemblee degli operai . Le migliori forze dell ' avanguardia operaia si riunirono per diffondere un settimanale di indirizzo comunista , " l ' Ordine Nuovo " . Nelle colonne di questo settimanale si trattarono i vari problemi della rivoluzione ; l ' organizzazione rivoluzionaria delle masse che dovevano conquistare i sindacati alla causa del comunismo ; il trasferimento della lotta sindacale dal campo grettamente corporativista e riformista , sul terreno della lotta rivoluzionaria , del controllo sulla produzione e della dittatura del proletariato . Anche la questione dei Consigli di fabbrica fu posta all ' ordine del giorno . Nelle aziende torinesi esistevano già prima piccoli comitati operai , riconosciuti dai capitalisti , e alcuni di essi avevano già ingaggiato la lotta contro il funzionarismo , lo spirito riformista e le tendenze costituzionali dei sindacati . Ma la maggior parte di questi comitati non erano creature dei sindacati ; le liste dei candidati per questi comitati ( commissioni interne ) venivano proposte dalle organizzazioni sindacali , le quali sceglievano di preferenza operai di tendenze opportuniste che non avrebbero dato delle noie ai padroni , e avrebbero soffocato in germe ogni azione di massa . I seguaci dell ' " Ordine Nuovo " perorarono nella loro propaganda in prima linea la trasformazione delle commissioni interne , e il principio che la formazione delle liste dei candidati dovesse avvenire nel seno della massa operaia e non dalle cime della burocrazia sindacale . I compiti che essi assegnarono ai Consigli di fabbrica furono il controllo sulla produzione , l ' armamento e la preparazione militare delle masse , la loro preparazione politica e tecnica . Essi non dovevano più compiere l ' antica funzione di cani da guardia che proteggono gli interessi delle classi dominanti , né frenare le masse nelle loro azioni contro il regime capitalistico . L ' entusiasmo per i Consigli La propaganda per i Consigli di fabbrica venne accolta con entusiasmo dalle masse ; nel corso di mezzo anno vennero costituiti Consigli di fabbrica in tutte le fabbriche e officine metallurgiche , i comunisti conquistarono la maggioranza nel sindacato metallurgici ; il principio dei Consigli di fabbrica e del controllo sulla produzione venne approvato e accettato dalla maggioranza del Congresso e dalla maggior parte dei sindacati appartenenti alla Camera del Lavoro . L ' organizzazione dei Consigli di fabbrica si basa sui seguenti principi : in ogni fabbrica in ogni officina viene costituito un organismo sulla base della rappresentanza ( e non sull ' antica base del sistema burocratico ) il quale realizza la forza del proletariato , la lotta contro l ' ordine capitalistico o esercita il controllo sulla produzione , educando tutta la massa operaia per la lotta rivoluzionaria e per la creazione dello Stato operaio . Il Consiglio di fabbrica deve essere formato secondo il principio dell ' organizzazione per industria ; esso deve rappresentare per la classe operaia il modello della società comunista , alla quale si arriverà attraverso la dittatura del proletariato ; in questa società non esisteranno più divisioni di classe , tutti i rapporti sociali saranno regolati secondo le esigenze tecniche della produzione e della organizzazione corrispondente , e non saranno subordinati a un potere statale organizzato . La classe operaia deve comprendere tutta la bellezza e nobiltà dell ' ideale per il quale essa lotta e si sacrifica ; essa deve rendersi conto che per raggiungere questo ideale è necessario passare attraverso alcune tappe ; essa deve riconoscere la necessità della disciplina rivoluzionaria e della dittatura . Ogni azienda si suddivide in reparti e ogni reparto in squadre di mestiere ; ogni squadra compie una determinata parte del lavoro ; gli operai di ogni squadra eleggono un operaio con mandato imperativo e condizionato . L ' assemblea dei delegati di tutta l ' azienda forma un Consiglio che elegge dal suo seno un comitato esecutivo . L ' assemblea dei segretari politici dei comitati esecutivi forma il comitato centrale dei Consigli che elegge dal suo seno un comitato urbano di studio per la organizzazione della propaganda , la elaborazione dei piani di lavoro , per l ' approvazione dei progetti e delle proposte delle singole aziende perfino di singoli operai , e infine per la direzione generale di tutto il movimento . Consigli e commissioni interne durante gli scioperi Alcuni compiti dei Consigli di fabbrica hanno carattere prettamente tecnico e perfino industriale , come ad esempio , il controllo sul personale tecnico , il licenziamento di dipendenti che si dimostrano nemici della classe operaia , la lotta con la direzione per la conquista dei diritti e libertà , il controllo della produzione dell ' azienda e delle operazioni finanziarie . I Consigli di fabbrica presero presto radici . Le masse accolsero volentieri questa forma di organizzazione comunista , si schierarono intorno ai comitati esecutivi e appoggiarono energicamente la lotta contro l ' autocrazia capitalista . Quantunque né gli industriali , né la burocrazia sindacale volessero riconoscere i Consigli e i comitati , questi ottennero tuttavia notevoli successi : essi scacciarono gli agenti e le spie dei capitalisti , annodarono rapporti con gli impiegati e coi tecnici per avere delle informazioni d ' indole finanziaria e industriale ; negli affari dell ' azienda essi concentrarono nelle loro mani il potere disciplinare e dimostrarono alle masse disunite e disgregate ciò che significa la gestione diretta degli operai nell ' industria . L ' attività dei Consigli e delle commissioni interne si manifestò più chiaramente durante gli scioperi ; questi scioperi perdettero il loro carattere impulsivo , fortuito e divennero l ' espressione dell ' attività cosciente delle masse rivoluzionarie . L ' organizzazione tecnica dei Consigli e delle commissioni interne , la loro capacità di azione si perfezionò talmente , che fu possibile ottenere in cinque minuti la sospensione dal lavoro di 15 mila operai dispersi in 42 reparti della Fiat . Il 3 dicembre 1919 i Consigli di fabbrica diedero una prova tangibile della loro capacità di dirigere movimenti di masse in grande stile ; dietro ordine della sezione socialista , che concentrava nelle sue mani tutto il meccanismo del movimento di massa , i Consigli di fabbrica mobilizzarono senza alcuna preparazione , nel corso di un ' ora , centoventimila operai , inquadrati secondo le aziende . Un ' ora dopo si precipitò l ' armata proletaria come una valanga fino al centro della città e spazzò dalle strade e dalle piazze tutto il canagliume nazionalista e militarista . La lotta contro i Consigli Alla testa del movimento per la costruzione dei Consigli di fabbrica furono i comunisti appartenenti alla sezione socialista e alle organizzazioni sindacali ; vi presero pure parte gli anarchici , i quali cercarono di contrapporre la loro fraseologia ampollosa al linguaggio chiaro e preciso dei comunisti marxisti . Il movimento incontrò la resistenza accanita dei funzionari sindacali , della direzione del Partito socialista e dell ' " Avanti ! " . La polemica di questa gente si basava sulla differenza fra il concetto di Consiglio di fabbrica e quello di Soviet . Le loro conclusioni ebbero un carattere puramente teorico , astratto , burocratico . Dietro le loro frasi altisonanti si celava il desiderio di evitare la partecipazione diretta delle masse alla lotta rivoluzionaria , il desiderio di conservare la tutela delle organizzazioni sindacali sulle masse . I componenti la direzione del Partito si rifiutarono sempre di prendere l ' iniziativa di una azione rivoluzionaria , prima che non fosse attuato un piano di azione coordinato , ma non facevano mai nulla per preparare ed elaborare questo piano . Il movimento torinese non riuscì però ad uscire dall ' ambito locale , poiché tutto il meccanismo burocratico dei sindacati venne messo in moto per impedire che le masse operaie delle altre parti d ' Italia seguissero l ' esempio di Torino . Il movimento torinese venne deriso , schernito , calunniato e criticato in tutti i modi . Le aspre critiche degli organismi sindacali e della direzione del Partito socialista incoraggiarono nuovamente i capitalisti i quali non ebbero più freno nella loro lotta contro il proletariato torinese e contro i Consigli di fabbrica . La conferenza degli industriali , tenutasi nel marzo 1920 a Milano , elaborò un piano d ' attacco ; ma i " tutori della classe operaia " , le organizzazioni economiche e politiche non si curarono di questo fatto . Abbandonato da tutti , il proletariato torinese fu costretto ad affrontare da solo , colle proprie forze , il capitalismo nazionale e il potere dello Stato . Torino venne inondata da un esercito di poliziotti ; intorno alla città si piazzarono cannoni e mitragliatrici nei punti strategici . E quando tutto questo apparato militare fu pronto , i capitalisti cominciarono a provocare il proletariato . E ' vero che di fronte a queste gravissime condizioni di lotta il proletariato esitò ad accettare la sfida ; ma quando si vide che lo scontro era inevitabile , la classe operaia uscì coraggiosamente dalle sue posizioni di riserva e volle che la lotta fosse condotta fino alla sua fine vittoriosa . Il Consiglio nazionale socialista di Milano I metallurgici scioperarono un mese intero , le altre categorie dieci giorni ; l ' industria in tutta la provincia era ferma , le comunicazioni paralizzate . Il proletariato torinese fu però isolato dal resto d ' Italia ; gli organi centrali non fecero niente per aiutarlo ; ma non pubblicarono nemmeno un manifesto per spiegare al popolo italiano l ' importanza della lotta dei lavoratori torinesi ; L ' " Avanti ! " si rifiutò di pubblicare il manifesto della sezione torinese del partito . I compagni torinesi si buscarono dappertutto epiteti di anarchici e avventurieri . In quell ' epoca si doveva avere a Torino il Consiglio nazionale del Partito ; tale convegno venne però trasferito a Milano , perché una città " in preda a uno sciopero generale " sembrava poco adatta come teatro di discussioni socialiste . In questa occasione si manifestò tutta l ' impotenza degli uomini chiamati a dirigere il Partito ; mentre la massa operaia difendeva a Torino coraggiosamente i Consigli di fabbrica , la prima organizzazione basata sulla democrazia operaia , incarnante il potere del proletario , a Milano si chiacchierava intorno a progetti e metodi teorici per la formazione di Consigli come forma di potere politico da conquistare dal proletariato ; si discuteva sul modo di sistemare le conquiste non avvenute e si abbandonava il proletariato torinese al suo destino , si lasciava alla borghesia la possibilità di distruggere il potere operaio già conquistato . Le masse proletarie italiane manifestarono la loro solidarietà coi compagni torinesi in varie forme ; i ferrovieri di Pisa , Livorno e Firenze si rifiutarono di trasportare le truppe destinate a Torino , i lavoratori dei porti e i marinari di Livorno e Genova sabotarono il movimento dei porti ; il proletariato di molte città scese in sciopero contro gli ordini dei sindacati . Lo sciopero generale di Torino e del Piemonte cozzò contro il sabotaggio e la resistenza delle organizzazioni sindacali e del Partito stesso . Esso fu tuttavia di grande importanza educativa perché dimostrò che l ' unione pratica degli operai e contadini è possibile , e riprovò l ' urgente necessità di lottare contro tutto il meccanismo burocratico delle organizzazioni sindacali , che sono il più solido appoggio per l ' opera opportunistica dei parlamentari e dei riformisti mirante al soffocamento di ogni movimento rivoluzionario delle masse lavoratrici .
Garbo Greta ( Vergani Orio , 1953 )
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Ogni tanto , la Divina passa sotto alla mia finestra nella piazzetta del porticciolo di Portofino . La Divina è « diventata di casa » . Domani o dopodomani - mi ha detto lo scrittore americano Truman Capote - tornerà qui per qualche giorno . L ' altra sera , si dimostrava più acclimatata o più fiduciosa nella discrezione della gente : aveva riposto nella borsa i suoi grandi occhiali neri , e , passando davanti al gelataio o davanti alla vetrina della piccola friggitoria , non affrettava il passo , e lasciava che , sia pure in una cauta distanza , il riverbero della modesta luce dei due spacci le sfiorasse il volto . Nemmeno per lei ha una qualche eccezione la regola della piazzetta : le automobili non possono entrare . Anche la Divina deve obbedire al divieto marcato da una vecchia catena : l ' auto dei suoi ospiti sosta cinquanta metri più in là , nel posteggio scavato nella gola della valle . Anche lei deve attraversare la piazza a piedi , andare a piedi alla Calata , o salire a piedi per il viottolo scosceso che sale a San Giorgio . La catena non è stata abbassata , nessun baldo giovane in maglietta da marinaio posticcio si è fatto avanti per portarla in collo , così come essa , quasi trent ' anni or sono , in una scena della Carne e il diavolo si faceva portare con un abbandono d ' amore che la memoria fa sembrare incomparabile . La Divina , se desidera evitare la troppa luce delle trattorie e dei caffè , i troppi sguardi curiosi deve fidarsi solo delle proprie gambe e dei propri zoccoli camminando là dove , forse , l ' acciottolato è più rude . Là era la penombra , e nel suo filo ultimo , al di là del quale si iniziava il buio della notte , la Divina camminava appartata , equilibrandosi sugli zoccoli che le signore dei caffè giudicavano , con una rapida occhiata , assai fuori moda . In quel filo di penombra dove la luce sfuma e dove il buio ancora non nasconde , passa dunque colei che fu chiamata la Divina così come Eleonora Duse fu chiamata , dai suoi compagni d ' arte , la Signora . Da quel filo di penombra , ogni giorno un millimetro , essa va lentamente portandosi verso l ' ombra dove più non entra che la luce della storia . La sua è la storia di uno sguardo , di un volto , di un sorriso , di un palpito melanconico delle pupille , di un bacio e , forse più che di un bacio , di un sospiro . È la storia del volto che lei ha dato alla Signora delle Camelie e ad Anna Karenina : un volto che ormai , per la nostra generazione , non si separa più dai due volti immortali modellati dalla poesia teatrale e dal romanzo . Quel volto sta adesso all ' ultima ribalta della penombra : presto verrà l ' età con i suoi colpi di lima pesanti ; la luce di quegli occhi si attenuerà ; l ' enigma di quelle pupille sembrerà , a chi non sappia ritrovarne l ' impallidito mistero , un modesto rebus da vecchia raccolta di ingialliti settimanali dei padri e dei nonni . Io , mentre Greta passa in quella penombra , o nel breve riflesso della piccola festosa luce della botteguccia del gelataio sotto alla mia finestra , penso alla immensa fatica e forse all ' immensa noia e certo alla fatale tristezza di portare in giro quel volto che con il tempo si farà stanco , che già oggi è un po ' stanco , e di sentir su di esso il peso , il carico , il giogo di infiniti , di innumerevoli sguardi , curiosi , avidi e persino spietati . Questo è il destino di chi , volendo tornare forse ad essere una donna come tante altre e , anzi , a differenza delle altre desiderosa solamente di non essere guardata , porta , sotto il cappellaccio di paglia o sotto il fazzoletto malamente annodato , un volto che fa parte della storia del Novecento , di questo strano secolo in cui , forse più di ogni altra cosa il dominio dell ' Immagine ci lega alle misteriose catene della poesia e della bellezza . Il suo destino è stato di non avere un « romanzo » , pure avendo dato il suo viso alle protagoniste di venti o trenta romanzi . Avrebbe potuto essere tutte le donne : le donne vere e le donne immaginarie , le donne della poesia e le donne della cronaca , Laura de Sade , Ilaria del Carretto , Emma Bovary , Maria Tarnowska , Hedda Gabler , e persino Nanà e persino Zazà . Dove passa lei , sono esse che passano . Ma lei , la Divina , lei Greta Garbo mi sembra che là , nella penombra , vada come appesantita dal corteo che quelle , invisibili , fanno alla sua figura , ormai più che fragile , un po ' affaticata : le altre che le hanno rapito il diritto di avere un ' anima solamente sua , come nel racconto di Poe del pittore che , per dipingere il Ritratto ovale , ogni giorno con un colpo di pennello porta via qualcosa dall ' anima della sua modella . Dal caffè , dai tavoli delle trattorie , dalle pietre del molo della Calata , dalle finestre , dai terrazzini , o fra le siepi leggere illuminate a festa , o fra i sartiami dei velieri o fra le sagome bianche degli yachts dove le accada di salire , le donne , le giovinette la guardano . L ' altra sera , era sulla illuminatissima barca del duca di Windsor che non volle essere re e imperatore . Gli sguardi hanno potuto contare quante volte ha vuotato , prima di mezzanotte , il suo bicchiere di whisky . Si sa tutto : l ' hanno vista a pranzo nella loggia di una trattoria del molo , e si sa , fino al più minuscolo boccone , cosa ha mangiato . Si sa che ha rifiutato , con uno strano riso , di firmare un album . Da una settimana , da dieci giorni ci si domanda : « È bella ? » . E la stessa domanda ricomincerà , fra un tavolino e l ' altro dei caffè , fra due giorni , quando ritornerà . Si sente dire : « Io trovo ancora bellissima la fronte ... Per me , la bocca è un po ' stanca ... Io non posso perdonarle quei calzoni ... E io non le perdono quella maglietta ... Lei , avvocato , le ha guardato i piedi ? » . Quando , l ' altra sera , ha attraversato la piazzetta al braccio dell ' attrice Lilli Palmer , le signore di Portofino hanno affrettato il passo per poter confrontare la loro statura con la sua . Gruppi di ragazzette hanno abbandonato i tavolini del gelataio per vederla da vicino e sono tornate sghignazzando , dicendo che è brutta . Mi è passata accanto . L ' antica , prodigiosa bellezza è ancora evidente sotto al velo di melanconia dell ' età che sembra consumarla dal di dentro . Le tempie , lo zigomo , l ' arco dell ' orbita sono ancora perfetti anche se tendono ad appassire . Parlava a bassa voce , ridendo donnescamente , con l ' amica che le dava il braccio . È sparita nella penombra . Ho pensato che , mentre è facile , è quasi istintivo immaginare nude le donne , è difficile immaginare nuda Greta Garbo . Non so se questo sia più segno di rispetto o melanconia d ' amore .
LA LIBERTÀ ( BONGHI RUGGIERO , 1867 )
StampaQuotidiana ,
V ' è egli puntura più dolorosa per chi nei ceppi , negli esili , rincorso dagli sgherri , appiattato nel solingo studio , minacciato dai carnefici , non ha per lunghi anni risparmiato né pericoli , né fatica perché la patria sua fosse indipendente da ogni forestiero , e libera nei suoi ordini di governo ; vi ha egli , diciamo , puntura più dolorosa per lui che il vedere , il sentire , oggi , tanti sussurrare sommessamente che , quanto son persuasi dei benefici che l ' indipendenza può portare all ' Italia , tanto cominciano a sospettare che la libertà politica non sia in grado di fargliene ; e che una prova di sei o sette anni mostra oramai che un governo , in cui vi fosse meno luogo a parole e più a spazio ai fatti , sarebbe meglio in grado di sanare le piaghe che nel bel corpo d ' Italia , oggi , come ai tempi di Petrarca , si vedono sì spesse ? Ebbene , costoro seguono un ' apparenza ingannevole ; e la sostanza delle cose sfugge loro . Sì , l ' Italia ha le finanze in dissesto , e l ' amministrazione sossopra ; le mutazioni dei ministeri , troppo frequenti , hanno impedito che nessuna cosa pigliasse un assetto a dirittura stabile ; le discussioni dei parlamenti hanno talora indugiato d ' un anno o più provvedimenti che , presi un anno prima , avrebbero soffocato nel nascere le difficoltà che ora ci assiepano ; il demonio del parteggiare ci ha tenuto troppo la mano nei capelli , e abbiamo sciupato nelle gare il tempo che dovevano spendere a fare ; l ' imitazione della Francia ci ha sedotti troppo , e , consumati nelle discussioni astratte e teoriche dei diritti , ci siamo lasciati a sviare dalla considerazione e dall ' esame concreto dei fatti . Sì , è vero ; gli elettori hanno scambiato la viltà col coraggio , e , assuefatti a governi assoluti , non hanno inteso le necessità dei governi liberi . Sì , si son lasciati sopraffare dalle accuse bugiarde , dalle calunnie demagogiche di quelli che , all ' indomani della libertà , colle grida scomposte e coi finti ardori , tentavano di far dimenticare la lor condotta della vigilia ; e , invidiosi d ' ogni primato morale , d ' ogni influenza legittima acquistata , d ' ogni virtù civile , versavano la bava velenosa del loro animo sopra i migliori , sopra quegli stessi che avevano loro aperta la bocca già serva . Sì , tutto questo è vero ; è dolorosamente vero ; ma chi gli ha educati cotesti italiani , dei quali ci lagniamo nelle assemblee , nei collegi , nei circoli , nei giornali ? È la libertà forse ? Coloro i quali la vollero e la vogliono , non la vollero e non la vogliono se non perché sanno ch ' essa è la sola Dea adatta a svegliare colla gran voce tutto un popolo , e a ridargli vigore morale ; sola in grado di suscitarne le virtù sonnolente , di acuire le menti , di sferzare gli animi , di agitare gl ' interessi , di provocare la gara di tutti sopra ogni cosa , e di farne prorompere quell ' emulazione rigogliosa che sopraffà e vince gli ostacoli . Quale è la radice dei tanti mali dei quali ci lagniamo , la radice sola dalla quale pullulano tutti , così vari e diversi come sono ? Una sola . La poca operosità intellettuale , morale , economica di ciascuno di noi . Noi non siamo contenti del governo , né delle assemblee , e abbiamo ragione . Ma il governo e le assemblee hanno ragione d ' essere contenti di ciascun cittadino ? Ciascun cittadino di essere contento di sé ? Il governo e le assemblee hanno una gran parte nella prosperità dei paesi liberi ; chi lo nega ? Ma non l ' hanno tutta ; e ne spetta una grandissima al complesso della cittadinanza . Questa ha egli fatta la sua ? Chi l ' affermerebbe ? E se la camera ultima è riuscita così inferiore al bisogno , non è stato perché , non creata , come la prima , in un gran momento d ' eccitazione morale e politica , ha ritratto troppo fedelmente l ' inerzia scapigliata , discorde , querula del paese stesso ? Non è chiaro , quindi , che una rigenerazione morale , intima , quella di cui abbisogniamo tutti ; che in questa sola è il germe d ' ogni altro bene , il seme di ogni operosità intellettuale , d ' ogni prosperità economica ; il fondamento su cui possiamo solo sperare di edificare parlamenti e governi che ci contentino o ci soddisfacciano ? Ora , questa rigenerazione morale non possiamo aspettarla che dalla libertà politica . Chi crede che , facendo gettito della libertà , rimedierebbe prima ai mali del paese , deve credere che anche dando a tracannare oppio a chi dorme , riuscirebbe a svegliarlo . Chi sussurra questo consiglio al paese o a sé , consiglia a Esaù di vendere la sua primogenitura . Se con i parlamenti l ' Italia non è riuscita a porsi affatto in assetto , senza quelli non avrebbe anche principiato a mettersi insieme ; non sarebbe stata neanche in grado di stare insieme sinora . Sono state le influenze onorate , vigorose , fide degli uomini i quali si sono raccolti nel primo parlamento dell ' Italia , quelle le quali hanno dato modo a un governo centrale , insolito e nuovo , e nei principi scarso di forza , di stendere la sua azione , d ' imporre la volontà sua da un capo all ' altro d ' un paese diviso sin allora in sette Stati , discordi d ' abitudini , di legislazione , di storia , di sentimenti , di desideri . Nessun ' opera potrebb ' essere compiuta in Italia , senza difficoltà infinite , quando in un parlamento comune non vi fosse modo di temperare le voglie diverse , di moderare e conciliare gl ' interessi contraddittori . La libertà , quindi , che sola può rifondere il succhio della vita nelle nostre membra stanche , può anche sola compiere l ' opera ch ' essa ha principiato , e tenerla , sin che dura , insieme . È facile , quando si sentono i dolori d ' una situazione , immaginarne un ' altra diversa , e fantasticare che in questa non si sentirebbero . Ma è fallace illusione ; fate che arrivi coi fatti l ' altra situazione che oggi sognate , e ne proverete nelle midolle gli aculei . Il pericolo , che un uso non retto delle forme parlamentari del governo ancora per un anno o due creerebbe , è appunto questo : che nel paese si generi quell ' illusione fallace , e non si accorga di essere caduto d ' un errore in un altro , se non quando fosse troppo tardi . Da quest ' illusione spetta di scaltrirlo a tutti quelli i quali hanno col consiglio , colla penna , colla parola qualche influenza sopra esso . Ma , nel farlo , è utile persuadersi , è utile fissarsi bene in mente , che inganna se medesimo chiunque si dice amico della libertà , e procura insieme di stornare i suffragi degli elettori dall ' elezione d ' un uomo provato d ' animo e di mente , e di rivolgerli , invece , a quella d ' un misero e vizioso intrigante , d ' un povero strumento logoro di partito , d ' uno spirito incerto , vano , flaccido , senza costrutto . La libertà è il principio d ' ogni bene e d ' ogni vita : persino viziata , agitata , scarmigliata , val meglio che un dispotismo tranquillo ; sono più i semi che feconda essa col soffio , che non quelli che il dispotismo promette di sapere schiudere nella stufa . Ma scapigliata , scarmigliata , sconclusionata , le masse non la tollerano , perché impazienti dei danni che intanto soffrono . Ciò è necessario che ricordino bene tutti coloro i quali desiderano veramente che essa duri e prosperi ; tutti coloro i quali , sapendo le prove ch ' essa ha fatte in Grecia e in Roma , in Inghilterra e in America , sperano che le rinnovi tra noi . Tra pochi giorni dovranno i circoli , i giornali proporre agli elettori i nomi sui quali raccogliere i loro suffragi . Quei nomi saranno il solo e il migliore indizio della saldezza dei loro criteri , e della verità dei loro affetti a quella libertà che Alfieri invocava con quei ferocissimi e santissimi versi : O Dea , tu figlia del valor , che aggiugni Duo gran contrari , indipendenza e leggi ; Tu che da ' miei venti anni il cor mi pungi E miei studi e mia vita arbitra reggi : pur aggiungendo che non la riconosceva in quella che , camuffata del suo nome , vociava e si dimenava ai suoi tempi , sulle rive della Senna : Licenza è questa ; alla lasciva gota Ben la conosco : e d ' ogni pudor priva Volger s ' affretta la sua breve rota .
LA CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO ( GRAMSCI ANTONIO , 1921 )
StampaQuotidiana ,
I comunisti non avranno la maggioranza nel congresso confederale che sta per riunirsi a Livorno ; è anzi quasi certo che neppure nei futuri congressi , nonostante ogni sforzo di propaganda e organizzazione , i comunisti avranno la maggioranza . La situazione si presenta in questi termini : per avere la maggioranza nei congressi , i comunisti dovrebbero essere in grado di rinnovare radicalmente lo statuto , ma per rinnovare lo statuto è necessario avere già la maggioranza . Se i comunisti si lasciassero impigliare in questo circolo vizioso , essi farebbero il giuoco della burocrazia sindacale : è necessario perciò che l ' opposizione abbia un indirizzo preciso e un metodo capace di spezzare l ' attuale condizione di cose . La Confederazione generale del lavoro ( negli altri paesi esiste una situazione identica a quella italiana ) è un meccanismo di governo che non può essere paragonato allo Stato parlamentare borghese : essa può trovare dei modelli solo nelle antiche organizzazioni statali assire e babilonesi o nelle associazioni guerriere che ancor oggi nascono e si sviluppano in Mongolia e in Cina . Ciò si spiega da un punto di vista storico . Le masse sono entrate nel movimento sindacale per la paura di essere schiacciate da un avversario che sanno strapotente e del quale non sono in grado di prevedere i colpi e le iniziative . Preoccupate di questa loro condizione di inferiorità assoluta , prive di ogni educazione costituzionale , le masse hanno completamente abdicato a ogni sovranità e a ogni potere ; l ' organizzazione è per loro diventata una stessa cosa con la persona dell ' organizzatore , allo stesso modo che per un esercito in campo la persona del condottiero diventa il palladio della salute comune , diventa la garanzia del successo e della vittoria . Sarebbe stato il compito del Partito socialista dare alle masse proletarie la preparazione politica e l ' educazione costituzionale di cui esse difettavano . Sarebbe stato compito del partito socialista innovare gradualmente le forme organizzative e trasferire il massimo del potere nelle mani delle masse . Il Partito non fece nulla in questo senso ; l ' organizzazione fu completamente lasciata in balìa di un ristretto gruppo di funzionari , che minuziosamente montarono su la macchina che oggi dà loro l ' assoluto dominio . Sette anni senza congresso hanno permesso di più : tutto un nugolo di funzionari è stato scaglionato nelle più importanti posizioni , e si è costituita una fortezza imprendibile e inaccessibile anche ai più tenaci e volenterosi . Il Congresso socialista di Livorno si spiega solo per questa condizione di cose esistente nel campo sindacale : il Partito socialista è completamente caduto nelle mani della burocrazia sindacale che , del resto , col suo personale e coi mezzi delle organizzazioni , aveva procurato la maggioranza alla tendenza unitaria ; il Partito socialista è ridotto a far da giannizzero ai mandarini e ai condottieri che sono alla testa delle Federazioni e della Confederazione . I comunisti devono riconoscere questo stato di fatto e operare conseguentemente . I comunisti devono considerare la Confederazione alla stessa stregua dello Stato parlamentare , cioè come un organismo la cui conquista non può avvenire per vie costituzionali . Inoltre la questione confederale deve essere riguardata tenendo conto di questi altri postulati : che si vuole raggiungere l ' unità proletaria e che si vuole impostare in senso rivoluzionario il problema del controllo sulla produzione . Il campo di attività del Partito comunista è tutta la massa degli operai e contadini ; la Confederazione è teatro di maggior propaganda e maggiore attività solo perché numericamente abbraccia la maggior parte degli operai e contadini italiani organizzati , cioè più consapevoli e preparati . La lotta per la formazione e per lo sviluppo dei Consigli di fabbrica e di azienda crediamo sia la lotta specifica del Partito comunista . Essa deve porre in grado il partito di innestarsi direttamente con una organizzazione accentrata della massa operaia , organizzazione che deve essere riconosciuta dalle masse come l ' unica competente e autorizzata a emanare parole d ' ordine per l ' azione generale . Con la lotta per i Consigli sarà possibile conquistare in modo stabile e permanente la maggioranza della Confederazione , e giungere , se non nel periodo rivoluzionario , certo nel periodo postrivoluzionario , a conquistare anche i posti direttivi . Questo processo si è verificato in Russia : nelle giornate rivoluzionarie del novembre 1917 , i proclami e i manifesti del Partito bolscevico non recavano la firma dell ' Unione panrussa dei sindacati , recavano la firma della Centrale panrussa dei Consigli di fabbrica . E ' certo importante avere nel seno della Confederazione una forte minoranza comunista organizzata e centralizzata , e a questo fine devono essere rivolti tutti i nostri sforzi di propaganda e di azione . Ma più importante storicamente e tatticamente è che nessuno sforzo sia risparmiato perché subito dopo il Congresso di Livorno sia possibile convocare un congresso dei Consigli e delle Commissioni interne di tutte le fabbriche e le aziende italiane e che da questo congresso venga nominata una Centrale che abbracci nei suoi quadri organizzativi tutta la massa operaia .
MASTAI E MAZZINI ( BONGHI RUGGIERO , 1870 )
StampaQuotidiana ,
Quest ' accoppiamento di cognomi parrà irriverente a molti ; e l ' avremmo cansato , se non fossimo sicuri , che a taluni di questi riuscirà dispettoso il Mazzini messo insieme col Mastai , l ' avvenire speranzoso aggiogato col passato semispento ; ad altri invece , sembrerà appunto il contrario : intollerabile il congiungere colla costanza eterna della fede l ' illusione passeggera della fantasia e della passioni . Pure , così gli uni come gli altri possono fare questa considerazione : che v ' è al mondo persone le quali credono infallibile per l ' appunto l ' opposto di ciò ch ' essi credono tale e che noi , quindi , i quali non siamo qui a giudicare chi dei due abbia ragione , – tra perché non è il nostro proponimento , e perché anche né dagli uni né dagli altri ce ne sarebbe riconosciuta la competenza , ma ci contentiamo di rilevare i tratti umani delle cose umane , abbiamo il diritto d ' indicare le somiglianze nella condotta di quelli che raccolgono in sé la suprema autorità e guida delle due avverse opinioni . E ora questa somiglianza balza agli occhi di tutti . Come Pio IX vuol rimanere prigioniero per forza , così il Mazzini vuol rimanere per forze esule . Né l ' uno né l ' altro teme di aggiungere al tipo comico dell ' ammalato immaginario quello del prigioniero , dell ' esule immaginario . Il governo italiano è condannato a fare rispetto all ' uno il carceriere , rispetto all ' altro lo scacciatore , malgrado suo . Né quegli , né questi accetta da esso la libertà di cittadino ; anzi , diciamo meglio , Pio IX ricusa persino la libertà di sovrano . Può parere alla prima che ci corra questo divario : Pio IX si può dire spogliato della dignità di principe , che ha pur tenuto sino a ieri l ' altro : il che Mazzini non può pretendere di sé . Ma anche questi è stato presidente della Repubblica romana ; e d ' altra parte , il dispetto dell ' esser scaduto testé da un altissimo grado non è minore di quello di non averlo mai potuto raggiungere ; e Pio IX resta pontefice della cattolicità , mentre il Mazzini non è anche riuscito a essere né principe , né pontefice della Repubblica universale . Nella verità , è lo stesso criterio che inspira la lor condotta , anzi la costringe a essere quale è . Le potenze , ch ' essi devono mantenere o fondare , sono tali che tutta la forza ne consiste nella impressione fatta da talune idee e sentimenti sulle coscienze . Sfumano affatto , se quelli che n ' hanno la principale rappresentanza , paiono patteggiare con i rappresentanti delle idee e dei sentimenti opposti . Sfumano tanto più quanto più si chiede loro di scendere a patti , mentre appaiono fiaccati e deboli . I pontefici , quando nessuno dubitava della legittimità del lor principato , hanno potuto cedere ai re e agli imperatori cristiani l ' esercizio di taluni dei diritti appartenenti alla Chiesa ; ma Pio IX , cacciato di Roma e chiuso in Vaticano , non può o non crede di potere , più che potesse o volesse Gregorio VII esule . Il Mazzini , da parte sua , sente che , messo in carcere da uno sbirro mentre andava cospirando di città in città , rovinerebbe il suo credito affatto , se paresse contento di essere liberato di carcere e vivesse , come ogni altro cittadino , tra noi , pur lavorando per promuovere le idee sue , sotto la protezione delle leggi e del re . Per non morir affatto gli bisogna o star lontano e parere minaccioso , oppure venire , sì , al di qua delle Alpi , ma camuffato da operaio o altrimenti , con finta barba , e con falsi mostacci , così da non essere riconosciuto e da potere dare qualche verosimile pretesto alla polizia , che ne segue i passi , di non mettergli sino dal primo le mani addosso . Non è possibile mantenere ad altro patto l ' ardore nelle loro reciproche chiese . L ' apparenza d ' un ' umile ragionevolezza li spegnerebbe affatto . Ed è disperato , parrebbe il disputare così coll ' uno come coll ' altro , e l ' opporsi ad argomenti adatti a sviarli dal loro proponimento . A Pio IX , di certo , non è rincresciuto se non il dover pure rimanere in Roma , il che potrebbe farlo credere meno ostinato e tenace di quello che è davvero ; il Mazzini , certo , non s ' addolora , se non d ' aver pure dovuto traversare l ' Italia prima di ripassare le Alpi , senza che nessuno gli desse noia , o s ' accorgesse , non che d ' altro di lui . La persecuzione è uno dei principali elementi di rigoglio e di vita così per l ' una come per l ' altra fede . E invero , per la fede di noi liberali , gente a modo discreta , fredda , mediocre , se si vuole , la vita è tutt ' altro . Noi proponiamo ad amendue di tenere il presente nelle lor mani od occupar l ' avvenire , se possono , con tutti i mezzi che ci paiono soli leciti al propagamento delle opinioni e delle persuasioni di qualunque natura siano ; ma non con altri . Ecco la società , diciamo loro , davanti a voi ; non vi permettiamo né di martoriarla perché crede a un modo , né di mandarla sossopra perché crede a un altro ; ma scrivete , parlate , ragionate , associatevi pure , ordinatevi , predicate dai pulpiti o sermonate dalle tribune ; insomma , convincete , se vi riesce , mantenete le convinzioni vecchie o insinuatene di nuove ; questo non vi vogliamo , né possiamo impedire , e ci limitiamo a mantenervi tutti tranquilli nel giro dei vostri diritti e doveri insino a che la lotta dura , – e durerà , per fortuna dell ' uomo , sempre , poiché senza di essa egli marcirebbe – e vi prenderemo , secondo il nostro giudizio , parte anche noi . Ci sono tra noi anche molti cattolici e cristiani , molti i quali fermamente credono che la parola di Cristo sia stata e sia parola di verità e di vita , e la Chiesa cattolica la conservi più sana e intatta d ' ogni altra ; ma questi cattolici , che stanno con noi , credono che appunto la lor fede non riprenderà tutto l ' antico suo spirito , tutta la sua antica forza di restaurare e di rinnovare l ' uomo , se non quando il sacerdote , che ne è l ' interprete , ritorni a fidare , come una volta , solo sulla virtù e sulla sua dottrina . E così vi possono essere tra noi liberali molti , i quali o non credono che la monarchia costituzionale sia l ' ultima parola delle società politiche , o non si sgomentano per ciò solo che il Capo dello Stato deva essere eletto a suffragio di popolo , anziché ereditario ; ma ritengono altresì che nei popoli , i quali si vogliono ordinare a repubblica , si devono formare prima , o esistere , taluni sentimenti e condizioni morali e sociali . A nessuno è vietato di procurare di formarli in Italia , di prepararli via via ; ma a chi può essere lecito l ' immaginare che ci sono , e con questa immaginazione mandarci tutti all ' aria , come se ci fossero ? Al Mazzini non è possibile consigliare nulla , né mette conto ; a Pio IX neanche , perché non sentirebbe . Ma al capo della cattolicità giova dire quello che all ' altro sarebbe soverchio l ' inculcare . È impossibile difatti , ch ' egli scordi o trascuri ciò che la fede , di cui egli è dottore vivo , promette all ' uomo ; ciò di cui anzi essa afferma di essere sola lo strumento indispensabile . Ebbene , se questa dottrina è vera – e al pontefice non può parere altrimenti che tale – , quale enorme responsabilità è la sua , se ne lascia cadere in maggiore disordine nella sua patria stessa il governo e la regola e la credenza ? Se , nel contrasto , lascia che se ne spezzino le fibre e i nerbi ? Se l ' uccide colle sue mani stesse nel cuore di molti , i quali sentono pure il bisogno di non negare da una parte ciò che la ragione dice loro legittimo , e non negare dall ' altra ciò che la coscienza grida loro essere santo ? La cattolicità non può essere retta al modo che si farebbe d ' una setta . O il papa è cattolico e crede , e bisogna che la regga nel modo che i tempi vogliono e le condizioni presenti delle società civili consentono ; o se persiste nell ' ostinazione sua , vuol dire , che nel principio cattolico ogni vigore morale si è estinto , e , nel capo della Chiesa , il principe durato troppo tempo ha spento il pontefice .
LA SMORFIA DI GWYNPLAINE ( GRAMSCI ANTONIO , 1921 )
StampaQuotidiana ,
Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia , i primi a gioirne o , " meglio " , i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i " pezzi grossi " , commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri , ma sono i più umili agenti , i più modesti carabinieri , l ' ultima delle guardie regie . Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato , costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare , abbandonando il campo o l ' officina , una vita migliore , dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti , di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d ' officina . Questa gente odia , dopo averne disertato le file , la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione . " Ecco le armi " , urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese , scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all ' " Ordine Nuovo " . E rimase stupito , spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale . Pochi minuti dopo , un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore , esclamò : " Finiremo per arrestarli tutti ! Li arresteremo tutti ! " A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana . Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia , carabinieri , guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati , nel rallegrarsi delle loro torture . E ' un odio di lunga data . Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell ' ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati , per quelli che sono passati nell ' altro campo , per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato . E al disprezzo del proletariato s ' aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente tutta questa puzza di questura . Perché ? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari : al disprezzo e all ' odio degli avversari s ' aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni . Ed è naturale , è umano che nell ' animo di questa gente mal pagata , che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini , che la mette quasi fuori dalla società , germogli l ' odio , metta radici la crudeltà : odio contro quelli che prima erano i fratelli , i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza , crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse . Così , arrestare un operaio è una gioia , un trionfo , bastonarlo e malmenarlo , una festa , rinchiuderlo in carcere una rivincita . Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà , della sua incolumità , sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili . La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge , di difendere l ' integrità dello Stato : è una piccola bassa soddisfazione personale , è la gioia di poter dire : " Io sono più forte " . Quale altra gioia possono essi provare ? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti ? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione ? Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione . Moltissimi , dall ' abito , potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria . E ' certo che erano umilmente , più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai , per raccoglierne i discorsi , per spiarli , ma anche perché non potrebbero fare diversamente . E guardavano con odio gli operai veri , quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione . Essi comprendevano , sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve . E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito , il giornale della loro classe , il loro giornale , gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo , hanno riso . Ma non era un riso spontaneo , giocondo . Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia , dal disprezzo degli altri , dalla loro vita , dal destino a cui non potevano sottrarsi . Quel riso era la smorfia di Gwynplaine .
Gerusalemme ( Vergani Orio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Restai sgomento , la prima volta che - era il settembre del 1929 - entrai nella chiesa del Santo Sepolcro : e , ripetendo come una bestemmia le parole con le quali l ' Angelo annunciò a Maria di Magdala la Resurrezione , stavo per dire : « Non est hic ! Non è qui ! » . L ' attesa di quell ' istante metteva a nudo il cuore . L ' ospite inquieto che accompagnavo giù per gli acciottolati della via del Mercato , era l ' anima . E io portavo quei giorni la mia anima , solitario , per le strade di Gerusalemme . La mia anima era stata a lungo offesa : per le vie si era combattuto , avevo visto uomini inseguirsi e pugnalarsi ai crocicchi : colpi di fucile partivano dalle terrazze : solo dopo tre giorni gli spari erano cessati e io avevo potuto concedermi una mattinata per entrare nella città vecchia a visitare il Santo Sepolcro . Lo stato d ' assedio continuava : alla Porta di David mi avevano fatto sostare fra i contadini arabi che recavano con i somarelli gli ortaggi al Mercato . I gendarmi inglesi avevano perquisito minuziosamente loro e me . Portavo pistole o bombe ? Il gendarme che si chinava a palparmi le tasche mandava odore di sigaretta virginia . La mia anima era nuda come una vena scoperta . La giornata non era bella : il cielo era insolitamente grigio . Bisogna rendersi conto che , per quanto raramente , piove anche a Gerusalemme , e il suo scenario può colorirsi di grigio e di fango . Tutta la pittura sacra è invece una serie di immagini senza piogge e senza fango . Quel cielo grigio dopo tre giornate di spari e di uccisioni , trovava il mio spirito impreparato . All ' albergo ero stato assediato dagli inviti a recarmi al disseppellimento di alcuni israeliti uccisi dagli arabi nei complotti di quei giorni , e sepolti frettolosamente dopo essere stati evirati . Ero fuggito dall ' albergo , ma mi pareva d ' essere inseguito dall ' odore di quelle lugubri fosse . L ' anima era stata lungamente e profondamente offesa . Beata , mi dicevo , la dolce cecità di chi altro non vede che la meta : beata l ' ansia innamorata di chi altro non conosce che la pietra dell ' arrivo : beata la verginità di spirito di chi non discerne il peccato difeso dallo scudo dell ' innocenza . Tristezza inconscia dell ' abito mentale dello scrittore che viaggia e che misura le proprie impressioni in rapporto all ' attesa che di esse possono rendere , quando sono inquadrate in una pagina . Io ero , insomma , in quell ' anno lontano , « colui il quale » si reca , più che a vedere , a constatare se ciò che si vede è « superiore all ' attesa » . Io ero il disprezzato scrittore di mestiere che teme la « disillusione » . E , andando , chiedevo di tutto ciò perdono ; ma la prova dell ' umiltà era dura , perché i richiami della vita erano aspri , e continui gli oltraggi lungo il cammino . Avrei dovuto passar per la città bendato , come le ambascerie che passano per i campi nemici . E ad un certo punto anche la febbre di vedere e l ' affanno di giungere mi sembravano , se non un insulto , un errore . Ma andavo egualmente entro i vicoli del bivacco saracino che apre i suoi fetidi mercati fin sulla soglia , in su e in giù per le rampe che inabissano il mercato ed elevano il tempio . Il vicolo immondo rovesciava sulle soglie la frutta imputridita dal fiato dell ' estate , le carni biancastre e il sangue raggrumato e il grano maculato di giallo delle pecore macellate all ' ombra del tugurio . Andavo per il sentiero che sapeva di stalla e di fieno , fra le risciacquature dei piccoli caffè riaperti pigramente dopo i tre giorni di eccidio e il tanfo delle friggitorie , tra il sentore dei dolciumi e quello delle uve calpestate da piedi distratti , in mezzo al traffico dei somarelli che piegavano le ginocchia sotto il peso , dei vasi d ' olio o dei bidoni di benzina o dei sacchi di farina che incipriavano il lastrico , o che recavano a bisdosso , come sacchi umani , i cenci , i piedi sporchi , le braccia legnose , le grinte rabbiose dei beduini . Urtavo nell ' indolenza dei panciuti passeggiatori arabi vestiti di azzurre palandrane , nella fretta dei portatori che recavano , con un cingolo teso sulla fronte , carichi di ferro , di tavole e mobili e casse . Gli occhi vagavano sulle camicie sventolanti dei ragazzi rissosi , sugli sguardi insanguinati dei tracomatosi , sugli arti rattrappiti dei mendicanti paralitici , sui panni bisunti del vecchio ebreo che scivolava via , in quella falsa quiete di armistizio , cercando di non farsi riconoscere , sul velo nero dell ' araba dal corpo intriso di caldo profumo di muschio , sul canestro recato in capo dalla beduina chiusa in sette gonnelle , sul calcio del moschetto del poliziotto inglese seduto ai crocicchi , sul velo bianco della vecchia dama che insisteva a portare il costume coloniale delle turiste inglesi da operetta . I sarti ebrei , con le labbra piene di aghi e di gugliate di filo , misuravano all ' aria aperta giacche e camicie ; i ciceroni siriaci cominciano a venir fuori dai loro nascondigli , i ragazzini mi davano la caccia , per accompagnarmi alla Pietra dell ' Unzione . Ipocriti figuri - respinti per le vie , riapparsi nel mezzo della Chiesa - erano decisi ad approfittare di ogni mio attimo di incertezza , di ogni mio segno di disorientamento per offrirmi i loro servizi e per porgermi una canna con la quale mi sarebbe stato possibile toccare , attraverso un pertugio nel muro dell ' altare , la colonna della Flagellazione . La piccola umanità assetata di mance mi inseguiva sino alla Pietra della Tomba , e mi aveva visto entrare , senza che quasi me ne accorgessi , in quello strano paesaggio di pietre che è la chiesa del Santo Sepolcro . La difficoltà di liberarmi dagli intrusi , ciceroni , guide , monelli , mendicanti e dragomanni con i giubbetti ricamati d ' argento mi aveva spezzato i nervi . Dimenticavo che i giorni di battaglia e lo stato d ' assedio avevano fatto stare per sette giorni quasi digiuni i miei persecutori . L ' impresa di rinserrare un mondo in uno scrigno di pietre , di mosaici e di bronzi isterilisce in un attimo , alla prima visione , la terra più feconda , la terra che il passo di Gesù ha reso divina . Pietre , navate , ambulacri , pareti di mosaico , foreste di candelieri , vigneti metallici carichi di grappoli di lampade , la schiera fitta dei cordami che pendono come sartie di navi per la manovra dell ' illuminazione , tutta un ' atmosfera mista di stiva , di magazzino e di fondaco , le incrostature di marmi , di smalti , di placche d ' argento , e le incorniciature d ' oro , i cancelli , le ringhiere , i ballatoi , le cripte , i sottopassaggi , le tane degli spogliatoi , le decorazioni di perline , di nastri rossi , di madreperla e persino di noci di cocco , il soqquadro e la confusione e la rissa fra i colori e le architetture e le sagome , fra altari di un rito e controaltari di un altro , e , da ogni parte , il richiamo di un cicerone inoperoso e l ' urlare di un altro che indica ad una comitiva i luoghi della Via Crucis : « Qui stava la Madonna ! Qui è apparso l ' Angelo ! Lassù i soldati hanno giocato ai dadi la veste , del Redentore ! » . Ecco quello che io vedevo , che sentivo , che indovinavo nell ' atto di entrare . Quindici secoli di culti opposti , quindici secoli di guerre , di persecuzioni , di capricci architettonici , di ire e di gelosie ecclesiastiche , di devozioni che volevano quasi imbarbarire il simbolo , di litigi , di mercati , di abusi , di risse fra sagrestani hanno qui la loro testimonianza . La Terra Santa , sepolta sotto ai marmi e ai conflitti , è invisibile . E mi dissi : « Il Suo spirito non è qui ... » . Ed è qui , invece . Salii per una scaletta ripida e consunta sulle mura del Golgota . La collina del Martirio è chiusa entro il muro , squadrata e foderata di marmi in modo da formare , ora , un altare pensile , tenebroso sotto ai riflessi degli ottoni e degli argenti dei lampadari . In terra , buttato carponi , sotto l ' altare del rito greco , entro un focolare di lampade , toccai il foro , incorniciato d ' argento entro il pavimento di marmo , dove fu piantata la Croce . Qui stavano , mi dissero , le croci dei due ladroni . L ' aria sapeva , quel giorno , di incenso , di cera , di olio , e io , in quell ' aria di cappella tenebrosa , dovevo figurarmi il cielo del tragico tramonto sulle tre croci e il gesto beffardo del legionario guercio che trafisse con la lancia il costato di Cristo . Qui era la nuda terra del disperato campo fuori dalle mura della città , e laggiù era il breve giardino di Giovanni d ' Arimatea , cinto da un fragile muricciolo a secco . Poche piante ; forse nessuna : un ' erba rara e gialla , e polvere , e la roccia affiorante del Golgota . Tutto è stato incoronato di pietre : tutto è diventato altare . Ma lo spirito è qui . Indietreggiai , percorrendo i dieci metri di questa terrazza ornata di alabastri e d ' oro e d ' argento , che una volta era il nudo Calvario , la rupe senz ' erba , e mi affacciai alla balaustra che guarda sul labirinto della Chiesa . Lì sotto era la pietra dell ' Unzione , dove il Corpo deposto fu avvolto nel Sudario . Attorno ad una cosa che non avevo ancora vista , difesa solamente da un piccolo cancello circolare , con tre o quattro ceri sottili come un mignolo , attorno a quel segno trascurato di marmo , così dimesso nella povertà e nell ' oblio , non conteso da nessun rito , solitario nel suo ricordo , la visione si trasformava , le mura ad un tratto si facevano sottili , le architetture trasparenti e tutta la costruzione semibarbarica e litigiosa delle mura contese e ripartite fra quattro riti si dissolveva , spariva , liberava d ' un tratto il suolo , il cielo , le rocce , gli alberelli del giardino di Giovanni d ' Arimatea , la buca del Sepolcro , i sentieri , le gramigne , la polvere , i sassi , gli scoscendimenti del luogo sinistro e dolcissimo . Attorno a quel segno solitario e trascurato nel giro di poche fiammelle , sparivano d ' un tratto , i quasi duemila anni trascorsi dall ' ora del Sacrificio e la Terra Santa riappariva attorno al luogo dove , inginocchiata , Maria aveva assistito al Supplizio . E vidi sorgere , là dove le mura erano sparite , l ' ora terribile e divina del Sacrificio . Vidi la carne fustigata e sanguinante , cerea , sospesa alla Croce nel silenzio della agonia . Il tramonto d ' Oriente recava la voce roca della folla in sudore . Era l ' ora in cui i colori si spengono e si spegneva anche il tenue verde del piccolo giardino di Giovanni d ' Arimatea . Quella fossa che io adesso vedevo , tagliata nella roccia , là , dentro al piccolo orto era quella che Giovanni aveva fatto intagliare nel sasso per sé , era quella destinata a divenire il Sepolcro della Resurrezione . E vidi i soldati , che già avevano tratto dai vestiti del Crocefisso una moneta per il vino e una moneta forse per il lupanare , allontanarsi in drappello , lasciando soli gli uomini della guardia . E vidi la folla , dissetata della sua sete di sangue , tornare per i sentieri bruni della sera alla città , agli ozi del sabato festivo , ai litigi sui gradini del tempio .
Beniamino Gigli ( Vergani Orio , 1957 )
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Qual è l ' anno di nascita di un tenore ? È quello del giorno in cui , nascendo , manda i primi strilli , la prima voce di pianto alla luce ? O è l ' altro , del misterioso giorno in cui egli scopre , in se stesso , la prima gioia del canto ? Lo domandai tre o quattro anni fa , a Beniamino Gigli . Avevo appuntamento con lui , nella sua villa di Roma , per una intervista . Lo avevo udito infinite volte , ma non lo avevo conosciuto mai : e non ero contento di scrivergli e di chiedergli quell ' intervista . Il tema di questo « servizio » era stato suggerito da una notizia : Beniamino Gigli aveva annunciato di dover mettere fine alla propria carriera . Era stanco e probabilmente era già molto ammalato . Il suo cuore era ammalato e - tragico a dirlo - il grande tenore sapeva di essere , in un certo senso , la tomba della propria voce . Il corpo , gli occhi , il pensiero , l ' animo erano vivissimi : ma la voce era ormai costretta a tacere , profondamente sigillata dalla catena delle arterie affaticate . Uno sforzo per sprigionarla poteva voler dire la morte . Di tutto ciò , naturalmente , nella intervista non si sarebbe parlato . Io ero un poco nella situazione del medico che deve sempre sorridere davanti all ' ammalato . Dovevo « mentire » con lui , sorridere contraddicendo ad una sua eventuale melanconia , mostrarmi sicuro di un suo « ritorno » . Ero un giornalista : non un confessore . Scrivere ? Sì : avrei scritto ; ma pensando che lui , l ' intervistato , avrebbe letto le mie parole . Queste , per non allarmarlo , avrebbero dovuto essere tutte « color di rosa » : piene di una purezza e di una certezza che non potevano assolutamente trovare un logico spazio nel mio animo , dopo quanto alcuni intimi mi avevano rivelato sulla verità delle sue condizioni . La villa di Gigli doveva essere stata costruita venticinque anni prima , in un quartiere non ancora affollato . Era , se ben ricordo , costruita in uno stile fra quattrocentesco e cinquecentesco , come s ' era usato per tanti anni , con riflessi di architettura bramantesca . Era una casa solida , « ricca » . All ' ingresso si saliva per una scaletta esterna di taglio un po ' romantico , tipo « Giulietta e Romeo » . L ' espandersi della città l ' aveva un po ' soffocata . Lontano si sentiva lo stridore dei tram . Per il viale correva un fiume di automobili e non c ' era una « zona del silenzio » attorno alla casa dell ' uomo dalla « voce di oro » . Il giardino aveva vialetti inghiaiati : una lunga siepe di piante fiorite lo divideva dalla strada . Queste ville , troppo grandi , troppo « impegnative » per una famiglia sola , di solito siamo abituati a vederle trasformate in cliniche private di lusso . Ebbi anche questo pensiero triste quando mi trovai davanti al cancelletto dove , su una targhetta d ' ottone , era inciso il nome del più famoso , del massimo interprete del melodramma italiano . Gigli mi aspettava in giardino , seduto su una poltrona di giunco , collocata vicino alla romantica scaletta . Erano con lui alcuni amici . Un cane stava quieto quieto accovacciato sulla ghiaia . Il tenore aveva perduto la floridezza del volto e della figura , per quanto apparisse ancora massiccio . C ' era qualcosa di stanco nelle sue guance , nel collo , negli stessi abiti , come se il corpo si fosse all ' improvviso infiacchito . Era autunno , ma un autunno estremamente mite . Dietro alla siepe si sentivano , sul marciapiede , voci di ragazzini e ragazzine che correvano sui pattini a rotelle . Gigli parlava con voce piuttosto bassa , come vigilando per non affaticarsi . Lo guardavo in viso : le guance nascondevano a mala pena un tono cinerino : la sclerotica dell ' occhio era troppo bianca . Il respiro non appariva faticoso ; ma la sua voce non aveva gaiezza . Mi spiegò che tutta la mattina aveva parlato con la moglie di Ignazio Silone che l ' aiutava nella stesura , in lingua inglese , delle sue memorie per un editore di Londra . Disse : « Divento scrittore , come lei vede ... segno che il tenore è stanco ... » . Poi , mi spiegò con termini quasi tecnici quale sia il problema del respiro , per un cantante : « Si dice che cantiamo con il cuore . È vero , e il cuore è , di me , il primo ad affaticarsi . Ma non rida ! Cantiamo soprattutto con il ventre . È il diaframma che lavora come un mantice : è lui , più che i polmoni , a regolare la potenza e la durata dei respiri e a calibrare i fiati ... Il cuore è un po ' stanco , e il diaframma è come un organista che non sa più regolare l ' afflusso dell ' aria nei mantici . Io di organi me ne intendo . Mio padre era sagrestano a Recanati : io cominciai da bambino a cantare , in chiesa , vicino all 'organo...» . La data di nascita della voce ? « Se , come dice , un tenore nasce quando per la prima volta scopre la gioia del canto , lei non mi ringiovanisce troppo . Sono nato nel 1890 , secondo l ' anagrafe : cinque o sei anni più tardi , secondo la musica ... Come vede , di annetti ne ho abbastanza , sia in un senso che nell 'altro...» . Aveva la bella , ampia , pacata pronuncia dei marchigiani . Glielo feci notare , benché l ' osservazione fosse ovvia , essendo lui nato a Recanati . Aggiunsi : « Sa cosa ho pensato ? Che Leopardi , bambino , doveva avere la stessa pronuncia del piccolo Beniamino Gigli ... » . Sorrise : e commentò : « Oggi ho tutt ' al più la voce del papà di Leopardi , del vecchio conte Monaldo ! » . Aveva cominciato a cantare da bambino . Da chi aveva ereditato la voce ? Disse : « Non lo so : ma penso spesso di averla ereditata da mia mamma . Quand ' ero piccino , ogni sera , prima di mettermi a letto , mi faceva cantare una canzoncina paesana , che in un certo modo serviva anche da ninnananna . Mi aiutava a spogliarmi e , quando restavo in camicia , cantavo : S ' io fossi una formica queste mura vorrei varcar , le varcherei senza paura , la mia bella a riveder . A questo punto era mia mamma che attaccava , con una voce piccolina , ma soave e melodiosa : La mia mamma è una contessa il mio babbo un cavaliere . E poi si finiva cantando , insieme : Ed io povera meschinella son rinchiusa in monaster . Vuol saperlo ? Adesso che i medici mi hanno proibito di cantare , almeno per parecchio tempo , e sono come un vecchio pensionato , quando vado a letto , a bassa voce per non svegliare nessuno , prima di coricarmi , canto ancora : Ed io , povera meschinella son rinchiusa , in monaster ... Come vede , fra il monastero e la casa di un tenore che non può più cantare non c ' è , in verità , una grande differenza ... » . Si parlò della povertà di quand ' era bambino : ma ne parlava come si parla di una favola lontana : come delle storie di Puccettino . Il padre sagrestano arrotondava la sua magra paga facendo il ciabattino : con sette figli c ' era poco da scherzare . Probabilmente , quando il figlio fu mandato a sette anni alla Schola Cantorum di Recanati , sulla decisione contribuì il fatto che ogni prestazione dei piccoli cantori era ricompensata con dieci centesimi , con due soldi che Beniamino portava a casa nella tasca del grembiule . Ma nessuno in casa si illudeva che quella paga potesse mai aumentare ; per questo , a dieci anni lo avviarono ad un mestiere più « serio » , affidandolo ad un falegname . Per ore e ore , Beniamino scaldava il pentolino della colla e sceglieva i chiodi , nel cassetto . Era arrivato , in un paio di anni , a saper lavorare di pialla . Sua madre pensò ad un mestiere più pacifico e il piccolo Beniamino passò nella bottega di un sarto , e di qui , come garzoncello , nella farmacia di Recanati . Fu il tempo in cui Beniamino imparò a pesare i cartocci di bicarbonato , a preparare l ' elisir di china , a versare l ' oncia , o le due once di olio di ricino nei bicchieri portati dalle madri di famiglia che dovevano purgare i loro figli . Disse : « Ho appreso allora molti nomi delle medicine che mi fanno inghiottire adesso » . La storia del suo debutto è nota e risale al 1905 . Lo scoprirono alcuni studenti di Macerata . Mettevano su , per carnevale , una specie di piccola rivista che aveva anche una parte femminile . A Macerata non c ' era nessuna signorina - erano tempi di grande prudenza - che osasse partecipare ad uno spettacolo goliardico . Uno degli studenti parlò di un ragazzo che cantava a Recanati con una voce perfetta di soprano . Partirono , convinsero Beniamino a interpretare la parte di Angelica nella rivistina che si intitolava La fuga di Angelica . Vestito da ragazza in piquet bianco , con castissimo sottanone lungo sino a coprire i piedi , la testa coperta da un parruccone che pareva fatto con la stoppia del grano turco , Gigli ebbe il suo primo trionfo . Il sogno del teatro non doveva abbandonarlo più . La voce di « fanciulla » stava per scomparire e al suo posto nasceva una bella voce di tenore . La famiglia si indebitò per mandare il ragazzo a studiare , a Roma : la spesa del viaggio e del trasferimento - sessanta lire per lui e per il fratello Catervo che sarebbe andato a bottega da uno scultore marchigiano - sembrò folle . I due ragazzi « sbarcarono » a Roma con qualche provvista alimentare nella valigia . Il pane a Beniamino non sarebbe mancato perché un farmacista romano aveva accettato di assumerlo come fattorino - commesso . La leggenda di Gigli si inizia in un dedalo di viuzze romane ; tante ore al giorno in farmacia , dal momento in cui sollevava le saracinesche fino a quello in cui le chiudeva : un lavoro paziente nella retrobottega , a impastar pillole e a preparare pastiglie per la tosse . Alla sera , cinque piani di scale per andare da una vecchia cantante che gli dava le lezioni . A quei tempi si studiava ancora il canto per sette , otto , nove anni : sembra non ne occorressero di meno per diventare padroni della voce . Gigli mi disse : « Dovrebbe essere così anche oggi » . Finché venne , nel 1912 , il tempo di andare ad un corso di perfezionamento , all ' Accademia di Santa Cecilia , dal maestro Cotogni . A questo punto parlai io , per dire che proprio in un giorno di uno di quegli ultimi due anni di studio , lo avevo sentito cantare accompagnato al piano da Cotogni . Gli raccontai come io fossi salito un giorno lassù , al terzo piano dell ' Accademia in via dei Greci , per accompagnare Vittorio Podrecca che era segretario dell ' Accademia e che , come tale , doveva infatti controfirmare il diploma al termine degli studi . Ascoltare le lezioni era proibito , ma Vittorio Podrecca sapeva che , a me , suo nipote , era noto il passato di Antonio Cotogni . Il vecchio baritono aveva quasi ottant ' anni , era stato il primo interprete del Don Carlos di Verdi : Verdi aveva pianto quando l ' ignoto baritono trasteverino era andato a Sant ' Agata a cantare la romanza del marchese di Posa . Io volevo vedere chi « aveva fatto piangere Verdi » . Mi avevano detto che , durante le lezioni , qualche volta Cotogni accennava ancora qualche battuta di canto . Chissà ! I sogni dei ragazzini sono singolari : forse speravo di lagrimare anch ' io , al suono di quella voce . Era estate , nei giorni che precedevano gli esami : e Roma , dalle finestre dell ' ultimo piano del palazzo di via dei Greci , era già torrida . L ' estate d ' oro batteva sui vecchi tetti del Babuino e di via Margutta : il bastione del Pincio saliva come un sipario antico con le sue ghirlande di verde . Io ero appiattato dietro ad una porta , nell ' ombra di un corridoio . Nella sala Antonio Cotogni stava al pianoforte : vedevo le sue solide spalle , i suoi tenui capelli bianchi , la « voglia » bruna che gli macchiava una tempia . Vicino a lui stava un giovane basso e forte , in maniche di camicia , cui il maestro aveva permesso di slacciare il colletto inamidato . Era lo « studente Gigli » che si preparava a ripassare una delle romanze dell ' esame . Cosa avrebbe cantato ? O paradiso dell ' Africana ? Celeste Aida ? Spirto gentil ? Che gelida manina ? Cantò la romanza di Edgardo nella Lucia di Lammermoor . Al vecchio tenore , seduto nella sua melanconica poltrona di giunco , avrei dovuto dirgli che ricordavo benissimo le prime parole di quella romanza . Ma davanti al suo volto così segretamente velato di grigio , davanti agli occhi dalla sclerotica troppo bianca , non ebbi l ' animo di riferire quel verso melanconico che dice Tombe degli avi miei ... Temetti per la sua melanconia : e mentii : « Non mi dimenticherò mai , caro Gigli , come ha battuto il mio cuore di ragazzo di quattordici anni quando lei ha attaccato Che gelida manina . Gigli sorrise come preso nel ricordo di quel canto d ' amore . Taceva .