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IL POETA LUDWIG HANSTEKEN ( PIRANDELLO LUIGI , 1916 )
StampaQuotidiana ,
Morto di questi giorni , benché non in guerra , merita una commemorazione il poeta Ludwig Hansteken . In guerra il poeta Hansteken non poteva morire . I poeti come lui sono per natura neutrali . E hanno quasi sempre la ventura di nascere in paesi neutrali . In Olanda per esempio , in Isvezia . Ma se pur nascono in più vulcaniche terre , ove sciaguratamente la coltura e le discipline spirituali non siano riuscite a mortificare il selvaggio istinto , costretti anch ' essi a indossare la divisa militare , non c ' è pericolo che muojano di piombo o di ferro o di strapazzo . Così vestiti vanno a combattere idealmente o negli uffici di maggiorità o a servizio d ' organizzazioni civili , con una penna in mano . E qua nelle tregue assaporano a occhi semichiusi , rosicchiando in punta il cannello della penna , l ' angosciosa dolcezza di visioni lontane nella manica della loro giubba grigio - verde . Visioni , o d ' una scolorita campagna settembrina , o d ' un malinconico lago , ove Dio solo sa che strani galleggiamenti può loro suggerire la tenue riccia peluria dell ' inoffeso e inoffensivo panno militare . È vero , che , per fortuna dell ' umanità , se non di piombo , di ferro o di strapazzo , possono ben morire di questi strani , ambigui galleggiamenti i poeti come Ludwig Hansteken . Il quale , difatti , è morto , come vedremo , affogato in uno dei tanti canali che scorrono per i paesi d ' Olanda , spintovi , a quanto pare , appena appena , da una smaniosa mano femminile vendicatrice , mentr ' egli sospirava a notte , non propriamente alle purissime stelle , ma ai loro riflessi che appunto galleggiavano con smorfiosi serpeggiamenti , fra altri ben nobili relitti , in quel canale . Per fortuna dell ' umanità , ho detto ; potrei aggiungere : per fortuna di loro stessi . Perché i poeti come Ludwig Hansteken non sono tanto per gli altri , quanto per loro stessi un tormento . Gli altri , possono anche riderne ; io per me confesso che soglio farmene le più matte risate , perché in verità , mi sembra che nulla si possa dare di più goffo e di più buffo di quel loro tormento . Tormento d ' una disperata impotenza che , pur tenendoli perennemente con le lagrime in pelle , li rende innocuamente e pazzescamente cattivi . Vedo che avrebbero tutti una gran sete di soffrire ; piangono di questa sete ; ma la grigia angolosa rabbia della loro aridità sassosa impedisce ad essi di cavare un qualche refrigerio finanche da quelle stesse lagrime amare . Vogliono esser poeti ; vogliono , lo ripetono con esasperata ostinazione : Noi siamo poeti ! noi siamo poeti ! noi siamo poeti ! ; cercano di spremerla in tutti i modi una gocciolina di poesia ; ahimè ; è come spremere un sasso . Ma questo appunto essi vogliono : spremere i sassi , perché non c ' è gusto per loro a trar sugo vivo sostanzioso dai saporiti frutti che maturano nei fertili assolati giardini della fantasia . Credono che ciò che gli altri fanno non valga la pena d ' esser fatto . Bisogna fare l ' impossibile , perché soltanto nell ' impossibile possono trovar la scusa della loro impotenza . E condannati da questa impotenza a star fuori per sempre da quei giardini , stringono rabbiosamente nel pugno sudato , i loro sassi , e dopo averli spremuti e spremuti e spremuti , vedendo che , se ne cavan qualche stilla , non è dal sasso , ma dalle loro mani spellate , stilla di sudicio sudore , li avventano contro quei frutti succosi , non si capisce bene se per disdegno , per ira , per dispetto o per vendetta , giacché nessuno veramente riesce a comprender nulla delle smorfie , delle boccacce , dei borbottamenti con cui accompagnano il lancio di quei sassi insudiciati . Se li intendono tra loro , quei borbottamenti intelligibili ! Ma spesso avviene per certi rumori , se non risponde in noi l ' immagine di ciò che li abbia prodotti , che si rimanga incerti , sospesi , storditi , anche angosciati , a chiedere intorno : che è stato ? com ' è ? che significa ? Ed ecco allora tanti poveri allocchi , con angustiosa perplessità di pollastri che muovano a scatto lo stupido capo crestuto a guardare di qua e di là , e non sappiano posar la zampa sul tappeto del salotto in cui per caso si sono introdotti , scappando dalla stia ; ecco , dico , tanti poveri allocchi giovinetti andar loro appresso cercando di cavar il senno astruso da quei borbottamenti e d ' interpretar quelle smorfie e quelle boccacce ; ed essi attirarseli attorno facendone di sempre più complicate e difficili . Uno stormo di fiere donnette esasperate anche li attornia , che han bisogno di credere che qualcuno possa dare a intendere come nobili aspirazioni ideali le loro torbide smanie interne . E tutti costoro , allocchi e donnette , si struggono di sapere come debbano parlare , come atteggiarsi per piacer loro : si fanno dare in mano quei sassi sudati , li voltano e rivoltano per scoprirvi preziosità di novissime gemme ; provano anche a metterseli in bocca per succhiarli come caramelle . Alla fine , non hanno il coraggio di dirselo , ma sentono d ' esser sotto un incubo che paralizza ogni loro spontaneità , lega i loro passi , opprime loro il respiro . Orbene , quest ' incubo troviamo con perfetta evidenza descritto e rappresentato in un recentissimo libro di Rosso di San Secondo , che mostra d ' averlo per alcun tempo sofferto , d ' essersene alla fine giocondamente liberato ( Rosso di San Secondo , Ponentino , novelle . Milano , Fratelli Treves , 1916 . Vedi parte seconda : Il poeta Ludwig Hansteken ) . Il San Secondo conobbe in Olanda il prototipo di questi poeti , Ludwig Hansteken , e ne narra in cento pagine la vita e la morte . Punto per punto , con sottilissima analisi armata di fosforiche arguzie , investiga e scopre il dramma di quest ' uomo , dramma sordo , angoscioso , disgustato ; e le ragioni per cui quest ' uomo , questo impotente , con la sua pesante tristezza fosse riuscito a preoccupare gli altri della sua esistenza . Il sentimento che spingeva Hansteken verso gli uomini , dice il San Secondo , non era pietà né amore , « ché , pesante com ' era , il suo istinto lo avrebbe piuttosto indotto a vivere leggiucchiando e appisolandosi : per varcar la soglia di casa egli infatti doveva forzare la sua natura ; per avvicinare un suo simile , poi , doveva addirittura vincere la repulsione che hanno tutti i pigri , gl ' indifferenti , i nati sordi di spirito , per quelli che invece hanno nel sangue la solerzia , la brama di vedere , conoscere , godere , vivere in una parola . Pure un tale sforzo sarebbe potuto essere nobile , come tutto ciò che tende a modificare la propria natura con il dominio della volontà ; ma Hansteken , se ben credesse appunto così , in realtà , presentandosi ai consimili , in quella veste di ammonitrice gravità , non obbediva che a un segreto senso d ' invidia , acre , biliosa , per quelli che la vitalità piena e un po ' anche spensierata induceva , non solo ad assaporare con voluttà il piacere d ' esistere , ma , oltrepassando i limiti del giusto , a commettere peccato » . Hansteken , insomma , non ha quell ' ebete sobrietà che potrebbe farlo pago : l ' odio per il peccato attivo sorgeva in lui « dal non potere egli stesso commetterlo : i peccati per soverchio di vitalità erano , infatti , per lui , un rimprovero sordo , una umiliazione continua per la sua fiacca gravezza . Le sue stesse lagrime non erano , perciò , come egli credeva , la naturale espressione della sua pietà per i fratelli , bensì della sua amarezza , della sua insoddisfazione , del fastidio sterile che lo spiritello interno gli comunicava , lottando invano contro il torpore invincibile della sua stanca natura . Sincero era dunque in lui soltanto questo stato penoso di disagio che , vestito dalla illusione d ' essere invece altra cosa , si rappresentava agli uomini normali come una forma superiore o per lo meno strana d ' esistenza » . Ed ecco il segreto del fascino e la ragione dell ' incubo : rappresentare agli altri questa impotenza chiusa , ansiosa , travagliosa , come una forma superiore di esistenza . « Se il poeta Hansteken avesse potuto cantare , dice altrove il San Secondo , non sarebbe stato così molesto al suo prossimo , né avrebbe avuto bisogno di quelle sue enormi costruzioni teoriche , simili a cattedrali di cartapesta , per giustificare la sua esistenza . Perché era questo il dubbio assillante che rodeva l ' animo dello sventurato : che egli non avesse , in fondo , nessuna ragione d ' esistere . Aveva creduto di dovere , per un bene supremo , rinunziare alla vita , per votarsi tutt ' intero alla sua dea , l ' arte . Aveva creduto che tale altissima finalità gli desse il diritto di sacrificare non solo la sua , ma anche l ' esistenza degli altri ; d ' imporre , con violenza testarda , a tutta la cittadinanza la sua personalità , prim ' ancora che si fosse espressa ; aveva voluto che tutti sapessero che egli esisteva , lui , Ludwig Hansteken ; che tutti con un sacro sgomento attendessero la grande parola che avrebbe detto . Ma Hansteken continuava a torcersi nel suo disperato monologo , ripeteva , in ogni verso , quello che aveva sempre detto : era come se girasse intorno a un nucleo chiuso che non riusciva a fendere , ad espugnare . E nei momenti più acuti di esasperazione , ecco che con sguardi freddi e taglienti insultava quelli stessi che , deferenti e mansueti , avevano ancora fiducia in lui , e gliela mostravano con una sottomissione ansiosa e piena di bontà » . Bisognava che qualcuno , per toglierlo da quel tormento , dichiarasse apertamente innanzi a tutti ciò che lui , Hansteken , voleva che gli altri alla fine comprendessero : che la poesia , cioè , non era tanto nella parola , quanto nella pausa , che la più alta cima della poesia era il silenzio . Perché umiliarlo ancora con quell ' aria di attesa deferente ? Che attendevano ancora da lui ? Egli aveva detto quello che doveva dire . Ora il sublime stava nel silenzio . Zitto lui , zitti tutti . Se questo veramente si fosse chiarito agli altri , Hansteken , pago , non più costretto a violentare con disumani sforzi la tetra sordità del suo spirito infecondo , immediatamente non sarebbe stato più un essere torbido e falso ; tutta la sua complessità si sarebbe sciolta e sarebbe apparsa così puerile da rasentare la più umile elementarità . Perché i poeti come lui sono in fondo orgogliosi come fanciulli che si vantano d ' esser soldati perché si sono messi in capo un kepì di cartone o che piangono per avere gli zuccherini e vogliono esser carezzati e giocare a far da papà . Così appunto conclude il San Secondo , nell ' estrosa commemorazione del poeta , commemorazione che è come il farnetico d ' un rimorso per la violenta liberazione dall ' incubo di lui perpetrata da una delle donnette più esasperate , proseliti del poeta , una certa Berta Tausen , la quale , passeggiando una notte con lui lungo un canale , lo aveva con una lieve spinta consegnato all ' immortalità e ai pesciolini di quel canale . Fa veramente piacere che questa liberazione da un incubo che opprime ancora parecchi giovani sia opera d ' un giovane scrittore come Rosso di San Secondo , d ' uno cioè che davvicino ha potuto studiare il complicato meccanismo di questi poeti che han per prototipo Ludwig Hansteken . La rappresentazione della vita e della morte di costui ha tutta l ' aria , ripeto , d ' una giocondissima satirica vendetta . Le sei novelle della prima parte del volume , fresche , ariose , e pur così impresse di solchi profondamente scavati nella tragica vita , le quattro elegie dell ' intermezzo a Maryke con quel riso indimenticabile degli occhi della Signora Liesbeth , sembrano veramente le foglie brillanti al soffio del ponentino nei giardini di cui ho parlato più su : quelli della fantasia , in cui il San Secondo è entrato da padrone per andare a rovesciare in fondo ad essi quel buffo e triste rospo abbottato , simbolo dell ' impotenza : il poeta Ludwig Hansteken .
Ugo Ojetti ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Non so in quale anno Ojetti , romano di nascita , fiorentino d ' elezione , milanese di lavoro , abbia comprato il Salviatino . Prima , mi hanno raccontato , aveva una villetta su un viale della circonvallazione - brutto nome , ma bellissima circonvallazione , quella di Firenze , appoggiata subito al primo gradino dei colli - e , se non sbaglio , la vendette telegraficamente per poter comprare un bassorilievo di Jacopo della Quercia che aveva scoperto a Londra , in un ' asta . Rimase qualche tempo senza casa , ma con un pezzo di marmo che sta nella Storia dell ' Arte . Questo può dare un ' idea dell ' uomo , e del suo amore per le cose belle e rare . Il Marmo di Jacopo è ancora su al Salviatino , dove fu poi portato , in una vecchia villa dei Salviati che sembrava lo specchio dell ' ordine nelle cose e nelle idee così amato dallo scrittore . Il Salviatino diventò , con gli anni , una specie di museo prezioso , vi si raccolsero una biblioteca foltissima e un archivio addirittura monumentale . Vi si andava come ad una specie di amabile Quirinale . Si suonava al cancello della portineria , in basso , aspettando che di lassù , dalla villa , oltre il parco , si rispondesse : « Passi » . I più si sforzavano di arrivarvi in taxi o in tassì come aveva insegnato a scrivere Ugo . Federigo Tozzi , nel 1910 , ci arrivò in bicicletta , da Siena , vestito come un girino , smaltato di fango , ma fu accolto egualmente con affetto . Quando io , venticinque anni fa , ci capitavo , tremavo sempre all ' idea che Ojetti ( immancabile lettore della terza pagina del « Corriere » ) mi mettesse con garbo sotto gli occhi un mio articolo segnato con un lapis sottile a tutti i francesismi , a tutti i punti e virgola sbagliati , a tutti gli odiati esclamativi . Caro Ojetti , la preoccupazione della lindura e del finito l ' aveva fatto un po ' pignolo : ma era un segno dell ' attenzione con cui fra i cinquanta e i sessant ' anni , seppe riconoscere alcuni giovani scrittori , come Piovene , Loria , Quarantotti Gambini , Arrigo Benedetti , la cui opera , più tardi , doveva dimostrare che Ojetti non era facile a sbagliarsi . Nel mezzanino della villa lo scrittore aveva il suo studio . La grande biblioteca con la quadreria stava e sta al primo piano : gli archivi , la fototeca , le collezioni di autografi al pianterreno . Nello studio era raccolta una biblioteca minore , divisa in tre stanze , dove potevi trovare , a colpo sicuro , tutto il pubblicato e l ' inedito , per esempio , su Diego Martelli , amico dei Macchiaioli , e combinare una perfetta bibliografia su Amedeo Modigliani o su Ugo Foscolo . Ojetti non era un improvvisatore , amava documentarsi all ' estremo e non fidarsi della memoria . Teneva ogni sera aggiornato un diario , e , quand ' era in viaggio , per veder meglio una certa cosa , per obbligare l ' occhio a una più accanita attenzione , ritraeva quella cosa con qualche appunto di disegno . Era stato , in gioventù , scrittore anche di novelle un po ' scorrevoli , ma , nella maturità , aveva imparato a scrivere i capitoli delle Cose viste in tre giorni e , in quei giorni , non rispondeva nemmeno al telefono . Era , nella conversazione , dallo stile francese , un po ' incline all ' aneddotica per il gusto del ritrattino d ' uomo e di ambiente schizzato con pochi tratti , come certi appunti dei taccuini di Boldini ; ma dietro al suo scrivere c ' era una lunga preparazione . Era difficile prenderlo in fallo . Giunto presto alla fortuna e quasi quasi , in un momento , alla dittatura delle arti e delle lettere , Ojetti non peccò mai , come capita agli arrivati e ai dittatori , di presunzione . Innanzi all ' artista - sia che di questo dovesse leggere un libro , o un sottile racconto , o guardare un quadro - egli era sempre in posizione di affetto e di rispetto : segno della sua intima civiltà . Questo spiega perché egli fosse portato come scrittore , alla « cosa vista » e al ritratto : proprio in un tempo in cui , in pittura , i ritrattisti venivano , in un certo ambiente critico , ridicolizzati , e in letteratura si andava verso l ' indefinito e l ' ermetico , quasi cercando sempre di camminare un palmo sopra terra . Dovendo scrivere , un giorno , degli artisti italiani suoi contemporanei disegnò dunque dei « ritratti » e non volle aggrovigliare , come oggi si farebbe , una lunga matassa di teorie estetiche . È questo un merito che fa ritrovare ancora vivi , dopo tanti anni , i profili dei pittori da lui conosciuti e amati , che cominciò a pubblicare nel 1911 , così come sono ancora vivi quelli dei letterati di cui andò alla scoperta più di cinquant ' anni fa , cominciando addirittura da un gustosissimo ritrattino del canuto decano dell ' Ottocento , Cesare Cantù . Il tempo s ' incaricherà , probabilmente , di rivedere tanto il gusto del tempo di Ojetti , quanto quello su cui con troppa sicurezza si giura oggi . Importa , per ora , che i ritratti , da quelli di Michetti e di Carena a quelli di Sartorio e di Spadini , siano fedeli e vivi , e che attorno ad essi sia vivo , come sa renderlo Ojetti , l ' ambiente del suo tempo anche se un po ' ottimistico . Molta polvere si è posata sul lucido di certe glorie : hanno però fatto bene a non spolverarle . I ritratti ci guadagnano così una certa patina , e le notizie , di cui Ojetti era avvedutissimo raccoglitore , restano essenziali e indicative . Magari , bisogna dire , venissero altri ritrattisti del merito e dell ' affetto di Ojetti , il « signore del Salviatino » . Il nostro tempo lascerà ben pochi documenti del suo travaglio e delle sue passioni . Non è stata scritta una vita di Spadini , non si trova un editore per una vita di Arturo Martini : non è stata scritta una « cronaca » del Futurismo o del Novecento o del movimento rondista : è inedito l ' epistolario di Giovanni Fattori . Sui pittori si pubblicano sontuose monografie , ma con prefazioni il cui valore informativo , per i posteri , sarà probabilmente nullo . Gli Italiani hanno sempre paura di non scrivere cose abbastanza importanti , e , pretendendo di parlare all ' eternità , finiscono spesso per parlare al vuoto o ad una sola chiesola .
'MARIONETTE, CHE PASSIONE!' ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Come questo lavoro drammatico di Rosso di San Secondo si presenti nella sua traduzione scenica , han veduto di recente gli spettatori del teatro Manzoni di Milano , che lo hanno accolto con grande favore e fervore d ' appassionate discussioni : vedranno tra pochi mesi gli spettatori del nostro teatro Valle . E allora , di questa traduzione scenica renderà conto con l ' usato acume il valoroso critico drammatico di questo giornale . Io parlo del libro ( Milano , Fratelli Treves , editori , 1918 ) ; vorrei dire , del testo che ne hanno sotto gli occhi i lettori , in luogo della traduzione che ne hanno avuto e ne avranno davanti gli spettatori : parlo cioè dell ' espressione unica e immediata dell ' autore ; non di quella , varia e necessariamente diversa , che per mezzo della loro persona , della loro voce , dei loro gesti , ne hanno dato e ne daranno gli attori . Questa dura una sera , più sere , una stagione , e passa ; il libro resta . Dobbiamo noi lettori fingerci veramente come tante marionette i personaggi di questa commedia , che non senza ragione son privi d ' un nome proprio e si chiamano : Il Signore in grigio , Il Signore a lutto , La Signora dalla volpe azzurra , ecc . ? E prima di tutto : son propriamente personaggi ? è propriamente una commedia , questa ? Avevano gli antichi una special forma di poesia , che i Greci chiamavano Erinni e i Latini Dira ; noi avemmo a simiglianza la Disperata . Erinni , Dira o Disperata in tre atti avrei voluto che Rosso di San Secondo chiamasse coraggiosamente questa sua opera , che soprattutto è di poesia . Pura sintesi lirica . Qui ogni preparazione logica , ogni sostegno logico sono aboliti . Precipitiamo d ' un tratto in una piena esasperazione dionisiaca . I personaggi , presi tutti nell ' ardente voragine della passione che li divora , non hanno più , né possono più avere , alcun carattere particolare : sono la loro stessa passione in diversi gradi o stadii , e basta appena un segno esteriore a distinguerli . Lo spasimo li ha induriti . Subitanee aderenze , bruschi contatti , improvvisi urti con la realtà più comune , li irrigidiscono vieppiù . Chi sono ? Eran due poveri uomini , una povera donna : un marito oltraggiato , un amante tradito , una amante calpestata . Non importa conoscerne la storia : è la più comune ; quella di jeri , d ' oggi , di domani . Non ne hanno più , storia , come non hanno più nome né nulla , tranne la passione che li muove a capriccio , senza volontà , in un giuoco casuale : non più dunque due poveri uomini , una povera donna ; ma per forza ormai tre grottesche marionette . Possono piangere e subito dopo ridere , e viceversa ; o ridere e piangere insieme . E il giuoco , a guardarlo da fuori , è divertentissimo . Pare una cosa di lusso . Invita quasi a svagarcisi per renderlo più attraente ; a pensare a toni e a colori , perché risulti più armonico all ' orecchio e più vivace agli occhi nella sua apparente incoerenza che è appunto la sua massima coerenza , come quella che ha radice nella disperazione , in cui , piangendo o ridendo , si snoda , come a caso . Ecco : un tono basso , quasi in sordina , intercalato da lunghe pause , e un color grigio slavato , di cielo piovoso , per il primo atto ; un tono stridulo , tutto scatti e scivoli , e una soffice imbottitura di raso celeste , da piumino da cipria avvelenata , per il secondo atto ; un tono lento , quasi solenne , un po ' declamatorio e una rigidezza di bianco e nero , bianco di stoviglie da tavola , di tovaglie e di sparati di camicia , nero di marsine e di cravatte , per il terzo atto : insomma tutta una galanteria di fino giuoco , che dia sussulti da morirne a ogni improvviso stridore che minacci di mandare ogni cosa a catafascio da un momento all ' altro , perché in verità è la galanteria questa di un fino giuoco mortale . Così , a goderselo da fuori , è anche uno spasso di strampaleria eroica il Don Chisciotte ; uno spasso d ' avventurosa strampaleria il Gulliver . Ma qui il pregio è nel rappresentare come reali e vivi un tipo straordinario , straordinarii casi e avventure . Il pregio di questa " Dira " consiste invece nella straordinaria rappresentazione , quasi irreale , quasi non viva , perché tutta indurita e starei per dire lignificata nelle mosse , di questi comunissimi personaggi senza nome , resi dall ' irrigidimento del loro spasimo interno marionette , che si muovono come a caso , in un fortuito incontro , in luoghi che non hanno nulla d ' insolito , al telegrafo , in trattoria , solitissimamente , nella più comune delle azioni , senz ' alcuna vicenda : passare un telegramma ; sostituire un guanto ; andare a cena : tutto nel giro di una mezza giornata . L ' urto , il contrasto tragico che dà brividi e fremiti d ' orrore , l ' angoscia che serra la gola , nascono appunto dallo straordinario di questa rappresentazione , appena tocchi o aderisca minimamente col comune della normalità quotidiana , in cui è condannata a sciogliersi e ad annegarsi , come ho detto , senza vicenda e senza nome . Non so come tutto questo risulti in teatro . M ' immagino che a uno spettatore appassionato non possa non risultare perfetto e non dare perciò un godimento squisito , se rappresentato da bravi attori . Certo perfetto risulta alla lettura e dà uno squisito godimento a uno spassionato lettore . E Rosso di San Secondo può andare orgoglioso d ' aver dato una pura opera di poesia al teatro italiano , che accenna a innalzarsi su nuove e più sicure basi .
Luigi Pirandello ( Vergani Orio , 1946 )
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Via Pietralata pareva , allora , in capo al mondo . Era una traversa di via Nomentana , aperta , all ' imbocco , fra le mura di due vecchi giardini . Ci si arrivava con un tram sconquassato che sollevava nuvoli di polverone . Attorno a quello che oggi è solamente un terreno da costruzioni , tutto il paesaggio dev ' essere cambiato , e certamente , se mi accadesse di percorrere l ' attuale via De Rossi dove adesso abita Mario Soldati , non riconoscerei la vecchia via Pietralata che tanti pomeriggi e tante mattine udì sui suoi ciottoli e sul suo fango campestre il mio passo di ragazzo , fra il 1918 e il 1926 . Da un lato , entrando da via Nomentana , la strada confinava col muraglione del parco di Villa Torlonia ; dall ' altro con terreni e vigne di antiche proprietà ecclesiastiche . In quei vigneti e fra quei muriccioli degli orti e dei frutteti , si erano accampati , il 18 e il 19 settembre del '70 , i bersaglieri del generale Cadorna che dovevano dare l ' assalto a Porta Pia . Sotto al passo dei loro battaglioni aveva risposto , poche centinaia di metri più giù , l ' eco dei sotterranei delle catacombe di Sant ' Agnese . Dopo aver fiancheggiato Villa Torlonia si udiva , dietro al muro , il grido rauco dei pavoni , la strada sboccava fra le sterpaglie e gli orti malaticci di una zona di terreni incolti chiusi da siepi polverose e da barriere tarlate come quelle che nell ' Agro si usano per i chiusi dei bufali e delle vaccine . In uno di quei terreni , attorno al 1910 , il cinema muto aveva innalzato il baraccone di vetro di uno « studio » e , accanto allo spiazzo dove gli operatori venivano a girare i « primi piani » in pieno sole , era venuta su la « palazzina Ciangottini » : una villetta con tre o quattro appartamenti , dove Pirandello era andato ad abitare con la figlia Lietta e i ragazzi Stefano e Fausto . Era una casa semplice , che oggi si giudicherebbe assai modesta , con una piccola anticamera e la sala da pranzo separata dallo studio con un arco vetrato . Nell ' anticamera , c ' erano un borghesissimo attaccapanni d ' ottone e una non meno borghese cassapanca di imitazione cinquecentesca . Le case di Pirandello non assomigliarono mai a quelle che in Francia e anche in Italia si chiamarono le raisons d ' artiste , in parte museo e in parte magazzino di antiquariato , di cui esempi classici furono la casa di Victor Hugo nell ' isola di Guernesey , il « granaio » dei Goncourt a Parigi , la « sagrestia » di Anatole France , il « conventino » del giovane Claudel che fu giudicato insopportabile da Jules Renard , e , saggi supremi , la Capponcina e il Vittoriale di D ' Annunzio . Pirandello non « mise in scena » la propria vita : non fu il « tappezziere » che D ' Annunzio amava essere . Il mondo del suo spirito si proiettava tutto nel rettangolo del foglio bianco su cui scrivere . Le finestre del suo studio si aprivano su un panorama campestre macchiato qua e là dal bianco e dal rosa di qualche villetta , sparso di riquadri coltivati a carciofi e a rape , o abbandonato a praticelli incolti dove all ' alba si vedevano camminare lentamente fra siepe e siepe le donne che raccoglievano la cicoria selvatica . In quegli stessi prati , alla sera , si fermavano le greggi delle pecore che dovevano aspettare fino a notte per attraversare nel loro viaggio Roma , da Porta Pia a Porta del Popolo . In quello scenario che ancora apparteneva agli ottocenteschi sfondi della pittura « fuori porta » , capitava ancora nel 1920 di vedere , con il loro cane ringhiante , gli ultimi pastori dalle gambe avvolte nelle « ciocie » . Imboccata la via Pietralata , si continuava a camminare un pezzo fra le mura di quei giardini . La via era , nel primo tratto , in lieve salita . Le mura erano di vecchi mattoni rossi , mescolati ogni tanto al sasso . L ' aria era quella della antica periferia papale e cardinalizia , che Roma conservò fuori Porta Pia anche dopo la Breccia del 1870 . Molti anni erano passati da allora , ma Roma , da queste parti , non si era ancora allargata . L ' unità d ' Italia aveva creato i suoi nuovi quartieri in via XX Settembre e nelle sue grigie traverse di tipo torinese , dove Luigi Pirandello guardava vivere verso i primi del '900 quella borghesia attristita che passava , un tipo dopo l ' altro , nelle sue novelle . A Porta Pia la nuova Roma si fermava , avanzava con rari casoni verso viale della Regina , poi cedeva il passo a quella papale , alla campagna che con le sue lievi ondulazioni porta all ' Aniene e che nasconde nella sua terra bruna il tufo delle catacombe . Terra di monasteri e di vigneti ; l ' asfalto era ignoto , regnavano ancora , nelle vie più importanti , i selci e i selciaroli . Ogni tanto venivano avanti il corteo di un seminario , la carrozza di un cardinale - i principi della Chiesa non avevano ancora adottata l ' automobile - una coppia di cappuccini . La via Pietralata aveva un ' aria di oremus . Piaceva molto , per la sua solitudine , ai fidanzati . Le ragazze strappavano dalle siepi un fiore di gelsomino e lo mordevano mentre , a bassa voce , il fidanzato faceva una scena di gelosia . Il giovane , che io ero allora , andava per via Pietralata , girava in fondo dove la strada fa un gomito , seguiva una siepe , suonava al cancelletto della villetta . « C ' è il professore ? » . Il professore c ' era . La cameriera non annunciava nemmeno la visita quando si trattava di uno degli amici di Fausto e di Stefano . Il professore li lasciava entrare , andare e venire , chiacchierare , ridere , fare chiasso . Lui stava al suo tavolino , abituato da vent ' anni a lavorare con i figli vicino . Restava seduto al suo vecchio tavolino , che sembrava il tavolo da lavoro della nonna , cintato , tutto attorno , da una piccola balaustrata in miniatura . Vecchie lettere , bozze , manoscritti , giornali , tutto era andato ammucchiandosi su quel tavolino da vent ' anni . Lì erano nati quindici volumi di novelle e lì era nato Il fu Mattia Pascal . Sul ripiano , non c ' era posto che per una sola cartella . Davanti , stavano due boccettine di inchiostro nero e di inchiostro rosso . Pirandello usava l ' inchiostro rosso da quando aveva cominciato a scrivere per il teatro : lo usava per le didascalie dell ' azione in scena . Quello nero era riservato al dialogo . Pirandello alternava metodicamente le due penne , con un gesto preciso , senza fretta . Scriveva dettandosi a mezza voce ogni parola , come in un monologo . I personaggi erano vivi in lui fin dalla prima battuta : pareva ch ' egli si limitasse a prendere voce da un invisibile suggeritore . Non c ' era da attendere l ' ispirazione , o da interrogare il vuoto . Se il personaggio rideva , Pirandello rideva ; se il personaggio implorava , Pirandello implorava ; se il personaggio piangeva , Pirandello piangeva . E se l ' altro personaggio del dialogo , per rispondere , imprecava , Pirandello imprecava , e la commozione scompariva subito dall ' occhio e l ' ira lo colorava . In questo alternarsi di sentimenti non dimenticava l ' inchiostro rosso : e , prendendo l ' altra penna e dettandosi le parole delle didascalie , Pirandello era , all ' improvviso , calmo , sereno e attento , e guardava un attimo innanzi a sé come se avesse voluto controllare su un invisibile modellino della scena , i movimenti dei suoi personaggi . « Siedi un momento . Tra dieci minuti , ho finito » . Il ragazzo sapeva che Pirandello , tre mattine prima , aveva iniziato una nuova commedia . Sapeva che Pirandello prendeva a scrivere alle nove e che , di solito , a mezzogiorno metteva giù la penna , e un atto era finito . Improvvisazione ? No . Le novelle di Pirandello « covavano » talvolta per dieci anni . Le commedie derivavano dalle novelle , ed erano state « covate » anche loro decine d ' anni . I personaggi avevano ormai preso una realtà allucinante : bastava soffiar loro sul viso perché si destassero e parlassero . Quando il personaggio aveva conquistato , ormai , la sua intera ragione , lo scrittore gli regalava la parola . Così , parola per parola , lo accompagnava alla vita . C ' era dentro allo studio un sofà piuttosto sfondato , di cui si sentivano le molle cedere e cigolare sotto a chi sedeva : un armadio a vetri , di tipo « umbertino » conteneva alla rinfusa qualche fila di libri slegati , scompagnati , sdruciti . Quella era la « biblioteca » di Pirandello , che vi buttava dentro , alla rinfusa , senza tagliarne le pagine , le edizioni nuove delle sue opere , o quelle che gli arrivavano delle traduzioni straniere . La sua indifferenza per un se stesso inquadrato in un clima da museo era totale . Una volta , per varie settimane , vidi nello stesso angolo di quel divano un enorme pacco , arrivato dalla Spagna , con gli spaghi intatti . Alla fine , ottenni da lui il consenso di aprirlo : conteneva una ventina di volumi delle sue obras tradotte in spagnolo . Quando glielo annunciai e gli chiesi dove avrei potuto riporre in bell ' ordine quei libri , Pirandello alzò appena gli occhi dal tavolino e fece un cenno come per dire : « E che me ne importa ? » . Il ragazzo aspettava . Pirandello continuava a scrivere , alternando l ' inchiostro rosso e l ' inchiostro nero , con la mano tranquilla come quella di uno scrivano di notaio . Il sole entrava dalla finestra nello studio - salotto : illuminava l ' armadio a vetri della piccola libreria dove , in uno sportello , era infilata una vecchia fotografia fatta all ' università di Bonn : una fotografia heiniana . II ragazzo stava fermo , per non dare fastidio , essendo giunto in anticipo sull ' ora prevista . Non alzava gli occhi al tavolino dello scrittore per non disturbarlo . Guardava ogni tanto la sua immagine che si rifletteva nel vetro della libreria , un po ' sfumata , un po ' azzurrata . Seguiva là il gioco di quel volto che non era più il volto di Pirandello , ma quello dei suoi personaggi . La voce che dettava era , alla distanza di pochi metri , inintelligibile ; ma il tono mutava , saliva , scendeva , toccava le note del pianto , del disgusto , dello sgomento , dell ' orrore , della stupefazione . Pirandello posò la penna dell ' inchiostro nero . Prese l ' altra per una ultima didascalia . Poi guardò , contro luce , se la pagina era asciutta . Raccolse le cartelline , ne fece un mucchietto , riscontrò la numerazione . Domandò che ora era . Domandò anche : « Cosa mi hai portato ? » « Una novelletta . » Si alzò . Venne verso il ragazzo , si fece dare i suoi fogli . Disse : « La leggerò stasera . Oggi , a pomeriggio , devo scrivere il terzo atto , l ' ultimo , di un ' altra commedia » . « E questa che ha finito adesso , professore , come si intitola ? » « È , te l ' ho detto , quella commedia , dei personaggi che cercano un autore . Si intitola appunto Sei personaggi in cerca d 'autore.» Poi parlò subito d ' altro .
'CON GLI OCCHI CHIUSI” ( PIRANDELLO LUIGI , 1919 )
StampaQuotidiana ,
Soltanto quando si sia arrivati alla fine , e meglio ancora si siano lasciati passare parecchi giorni dopo la lettura , si comprende con una chiarezza che dà l ' impressione di cose vedute e vissute realmente , che non a uno a uno i particolari inesauribili , quasi momentanei , con tutte le variabilità accidentali o illogiche , determinate o da moti istintivi o da cangiamenti istintivi di immagini , di pensieri , di sentimenti , d ' umori , di desiderii , per segreti richiami e incoercibili analogie , non solo nel riposto animo dei personaggi , ma tra l ' animo di questi personaggi e i casi estranei e gli aspetti naturali ; si comprende , dicevo , che non i particolari a uno a uno si sono forzati , come pareva leggendo , a metter su l ' insieme di questo romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi ( Milano , Fratelli Treves editori , 1919 ) ; ma , cosa veramente mirabile , la comprensione radicale , il totale dominio , il possesso pieno e assoluto di questi personaggi e del loro animo , dei loro casi , di tutto ciò che è in loro e attorno a loro , per immediato irradiamento delle loro più minute sensazioni e impressioni , in una parola , l ' insieme ha realmente creato per suscitazione spontanea di una continua , attenta , vigile momentaneità creativa tutta quella copia inesauribile di particolari vivi , che in prima ci era parso conducessero come a caso e senza determinate vicende la sua rappresentazione . Quando s ' è finito di leggere , e , meglio , parecchi giorni dopo la lettura , Domenico Rosi , l ' oste del Pesce azzurro di Siena , col suo podere di Poggio a ' Meli , Anna sua moglie e il figlio Pietro , Ghisola Giacco e Masa , gli assalariati del podere , gli avventori della trattoria di Siena , e quel podere e quella trattoria , uomini e cose , vicende e paesaggi , tutto insomma , acquista davanti a noi una tal consistenza di realtà , che veramente ci stupisce , perché non riusciamo più a renderci conto , come davanti alla vita stessa , quali di quei tanti particolari che parean momentanei e casuali , quali di quelle tante notazioni minute , che parevano incidentali od accidentali , e anche talvolta svagate , abbiano potuto darcela , e come , e quando , così perfetta e solida , così intera e finita , tutta quella consistenza di realtà . Si penserebbe al procedimento di certi pittori che con un turbinio di punteggiature , in cui , a guardar davvicino sembra che ogni tratto , ogni linea si perda , riescono poi a dare a distanza con insospettati rilievi d ' ombra e giuochi di luce una inattesa costruzione di forme , se il paragone non fosse reso fastidioso e inaccettabile dall ' assenza , qua , d ' ogni evidente e minuzioso sforzo di tecnica , dalla fluidità continua , lieve e senza ambagi , d ' una piena e felice natività espressiva , da una vena di lingua viva che scorre da per tutto e rinfresca e s ' addentra permanendo a toccar con la parola , senza che si veda come , perché lì , ogni volta , la parola è la cosa stessa , non più detta , ma viva . Non è questo . È ciò che in principio ho notato come una cosa veramente mirabile ; la comprensione radicale , il possesso pieno ed assoluto che il Tozzi ha di quel suo mondo da esprimere , che gli ha permesso d ' esprimerlo quasi col procedimento stesso della vita , in cui tutto , quando si stia dentro , non si guardi da fuori e da lontano , par che vada a caso e che si svolga per eventi accidentali , giorno per giorno , oggi così e domani chi sa come ... Si direbbe naturalismo : ma non è neanche questo ; perché qui tutto , invece , è atto e movimento lirico . Quel che pare naturalismo è invece scrupolosa lealtà da parte dello scrittore , il suo bisogno ansioso e urgente d ' una controllata aderenza dell ' espressione al sentimento suscitato in lui dalle cose vedute o immaginate in questo o in quel luogo , in questa e in quell ' ora , nella tale stagione , e così o così ; tutto per esser poi mosso con intera padronanza , come l ' animo dei personaggi , e anzi , nell ' animo stesso dei personaggi , allo stesso modo , con la più naturale variabilità di luci e di colori , cosicché nulla posi descritto , ma viva e respiri e svarii con tutte le sue mutevoli precisioni anche il paesaggio . E come non posa mai descritto il paesaggio , così non si sofferma mai raccontata la passione di Pietro Rosi per Ghisola , né mai si fissano delineati i caratteri e le figure di questi e degli altri personaggi , che nell ' instabile rappresentazione momentanea ci si muovono davanti , coi loro pensieri subitanei , i loro capricci , le loro smanie , e sofferenze e aspirazioni e illusioni e scontentezze e disinganni , ciascuno con tutte le sue possibilità d ' essere , così nel bene come nel male , soggetti , non a un preconcetto disegno del loro autore , ma quasi a ogni possibile evenienza della loro sorte ; e noi li seguiamo con ansia , non sapendo mai , non potendo mai prevedere che cosa debba o possa esser di loro tra poco , perché se i casi che a volta a volta capitano ad essi non fossero questi , ma altri , essi avrebbero pure in sé , ben note a noi , tutte le possibilità d ' una diversa vita e d ' un diverso destino . Quella Ghisola , così viva tutta , che si perde , e quel suo Pietro che non vede , sempre vagante in cerca di sé stesso ... Ma perché così ? ci domandiamo , pur sapendo e sentendo che così è giusto , e che è soltanto una nostra pena per loro che li vorrebbe altrimenti . È così . E non perché questo sia un romanzo della loro vita ; ma perché la loro vita è in questo romanzo , così . E il romanzo di Federigo Tozzi , per questo loro modo d ' essere , che è poi il vero modo d ' essere , appar tutto nuovo e una cosa veramente viva .
Salvatore Quasimodo ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Chiuso in Italia , con i primi anni del secolo , il tempo della poesia dei « grandi professori » , dei dotti rimatori , dei vati dalle pupille fiammeggianti o dal cuore di « fanciulloni » , spenti gli ultimi echi delle odi civili , condannata o quasi la qualità oratoria dei carmi , il nostro , con ogni probabilità apparirà ai posteri come il tempo dei poeti autodidatti . I bassorilievi con le immagini delle Muse sono scomparse dagli studi dei poeti . Cerchiamo entro al fondo dell ' esperienza culturale nelle stagioni giovanili di quelli che sono i poeti d ' oggi . Troviamo ingegneri o studenti di ingegneria , matematici ( come lo fu Valéry ) , giovanotti che ad un certo momento chiedono il pane al mestiere di antiquari , correttori di bozze , segretari di sindacati , se non sbaglio , dei selciaroli romani - parlo di Cardarelli - interpreti e traduttori in un Ministero degli Esteri , come Ungaretti . Verso la fine dell ' Ottocento era di moda compilare dei volumi con il titolo Il primo passo , nei quali gli scrittori raccontavano per quale timido o fortunato sentiero fossero giunti ad aprire un primo spiraglio nell ' uscio della gloria . Anche l ' Italia ha avuto i suoi giovani poeti infelici , i suoi poètes maudits o addirittura folli e vagabondi come Campana : ragazzi che aspiravano a diventare attori come Palazzeschi e Moretti , giovani condannati dalla tisi come Gozzano : e anche giovani poeti suicidi , o , al tempo del primo Futurismo , versoliberisti che , otto ore al giorno , sbrigavano pratiche al Fondo Culti , dietro la romana Villa Aldobrandini . Il futurismo , che arruolò tanta « nuova accademia » ebbe poeti maestri di scienze tragiche e gelide , come la chirurgia . Altri poeti vissero per decine d ' anni sepolti in una biblioteca o in una libreria « circolante » . Più tardi i poeti trovarono il loro pane nei giornali , scrivendo note di cronaca nera , o nel mondo del rotocalco , componendo in righe di esatta misura didascalie per fotografie di moda , o in case editrici , con le scrivanie cintate da barricate di manoscritti . Ora che il lauro del Premio Nobel corona l ' opera di Salvatore Quasimodo - primo poeta nostro che venga a collocare il suo nome accanto a quello di Giosuè Carducci , Nobel del 1906 - verranno probabilmente scritte lunghe pagine sulla storia della sua vita . La poesia di Quasimodo non ha i caratteri autobiografici che usarono nel tempo passato : sarà difficile raccogliere le citazioni per una , come dice una collana francese , vie par lui même . La sua lirica non è fatta di « confessioni e ricordi » ; non ha , ci sembra , sfondi di paesaggi e di ambienti familiari : né riflessi identificabili di emozioni sentimentali . La vita di Quasimodo - uomo dal volto sottilmente altero : la sua « maschera » è stata acutamente studiata per busti modellati dal suo conterraneo Francesco Messina e da Manzù - può sostanzialmente apparire incolore . Il futuro poeta - molti pensano che sia siracusano , venuto al mondo vicino alle fonti della Ninfa Aretusa - nasce a Modica , nel retroterra agrario di quella che fu la Magna Grecia mediterranea . Vive la fanciullezza in una piccola stazione ferroviaria della Sicilia , col padre che spera di fare di lui , quando sarà uomo , un ingegnere . Letture infantili di grandi poeti : studi tecnici e scientifici a Messina . Dopo due anni di ingegneria , non può continuare l ' università e si adatta a lavorare da geometra : campa con un po ' di lavoro avventizio come disegnatore nello studio di un ingegnere ; si impiega come commesso in un grande « emporio » milanese ; riprende la sua attività di geometra per quella carriera che in Francia si chiama dei ponts et chaussées . I ricordi più antichi della figura di Quasimodo - che ha già presentato qualche lirica in « Solaria » e per il quale il « rondismo » appartiene ad una generazione che ha già definito e concluso il proprio ciclo - si inquadrano nel mondo milanese après 1930 . Egli rappresenta la generazione dei giovani emigranti intellettuali che sono « piovuti » a Milano senza precise idee su quelle che potrà essere il loro lavoro , senza precisabili titoli di studio , senza grosse aderenze nel mondo editoriale che non vuole poesia e cerca ancora gli eredi di Da Verona . Ecco - probabilmente abitano in modestissime camere ammobiliate - un tavolo al Savini : ma assai in disparte da quelli dei giornalisti famosi , delle attrici , degli autori drammatici : distanti anche dal tavolo dove siedono i pittori del gruppo del Novecento . È il tavolo , per citare qualche nome , di Francesco Messina , di Cesare Zavattini , di Raffaele Carrieri , del giovane ingegnere e poeta Leonardo Sinisgalli , del poeta Orazio Napoli , del giovane novelliere toscano Arturo Tofanelli , del pittore Domenico Cantatore . Gli italiani fanno della storia e della critica letteraria di toni cogitabondi . Dall ' aneddotica , dalla cronaca , dal diarismo ci si tiene al largo . La vita della Milano di quegli anni - eppure fu la città del Futurismo , della Pittura Metafisica , del « Novecento » , dell ' Ermetismo - non ha avuto il suo André Salmon , come lo ha avuto Parigi . Uomo segretamente inquieto sotto una maschera di apparente mutismo , Quasimodo - poeta dal nome subito indimenticabile , almeno per chi abbia letto Notre - Dame di Victor Hugo - sta al centro di quel mondo senza riti o premi letterari . Il cenacolo finirà , con gli anni , a disperdersi per varie vie . Adesso , inserito nella storia letteraria dal Nobel assegnato a quello che era allora il geometra di Modica , esso assume una sua precisa fisionomia : è il Cenacolo di Quasimodo . Erano i tempi del volume di liriche Oboe sommerso , di sapore , mi sembra , un po ' alla Debussy . Quasimodo diventa un portabandiera dell ' Ermetismo . I suoi primi critici sono Montale , Giansiro Ferrata , Vittorini , cui seguono Solmi , Anceschi , Bo , Vigorelli . Lo definiscono il poeta dalla « voce assorta » che modula gli echi di una accorata mitologia decantata dalle scorie di qualunque scolasticismo . In breve giro d ' anni , alcuni suoi versi ( Ed è subito sera ) diventano famosi . La nonna di Quasimodo ha origini greche : il nipote pensa all ' Ellade come ad una patria perduta , e al mondo come il misterioso luogo in cui tutti cerchiamo una nostra patria , e cioè la fonte di tutte le nostre origini e lo schermo di tutte le nostre speranze . Senza singhiozzi romantici , senza « fatti personali » , senza autobiografiche confessioni desolate , vorrei dire che Quasimodo appare ispirato da una Musa con le palpebre mestamente socchiuse . Idealmente , egli è riapprodato al sogno delle sue antichissime origini ancestrali , attraverso lo studio della poesia ellenica , al quale l ' autodidatta ha potuto dedicarsi solo alle soglie dell ' età matura , come un premio della giovinezza povera , affaticata , oscuramente laboriosa . Vicino ormai ai sessant ' anni , salvato dalla durissima minaccia di una malattia che stava per spezzare il suo cuore , simile in tante fasi della sua vita ad un « ulisside della speranza » , egli parla , in una lirica , di un compagno di fanciullezza , nel cui volto , però , ci pare egli guardi se stesso come in uno specchio : e quel fanciullo io amavo / sopra gli altri ; destro / nel gioco della lippa e delle piastre / e tacito sempre e senza riso .
TEATRO E LETTERATURA ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
I signori autori drammatici , professionisti del teatro , sdegnano d ' esser tenuti in conto di letterati , perché dicono e sostengono che il teatro è teatro e non è letteratura . Non vogliamo malignare fino al punto di credere che la ragione di questo loro sdegno abbia in gran parte radice nella serietà dei loro guadagni di fronte all ' irrisorio scherzo dei meschini compensi di quei poveri illusi che sono i letterati puri . Certo essi hanno regolata da parte loro l ' azienda del teatro come un qualunque istituto commerciale , che si difende da altri istituti ugualmente commerciali , interessati da un ' altra parte nella stessa azienda : quello dei capocomici e quello dei proprietarii e gerenti dei teatri : norme per la cessione a questa o a quella compagnia della loro produzione ; assegnazione di " piazze " ; percentuale su gl ' incassi fissata avanti , tanto per la prima rappresentazione , tanto per la seconda , tanto per le altre seguenti , della cui riscossione è incaricata la Società degli Autori di Milano , la quale alla fine d ' ogni trimestre manda ai soci un rendiconto dei proventi , che per dir la verità per quanto male vada un dramma o una commedia superano sempre di molto quelli che ogni altro scrittore o di novelle o di romanzi ( non parliamo per carità dei poeti ! ) ricava dalla vendita dei suoi libri . Non c ' è dubbio che tutto questo non ha niente da vedere con la letteratura . Possiamo anche concedere che veramente il loro teatro , com ' essi vogliono , cioè quella loro produzione più o meno abbondante di drammi e di commedie lanciata sul mercato teatrale , non è letteratura . Resta però da vedere non essendo letteratura come e sotto qual nuova specie debbano essere considerati quei loro drammi e quelle loro commedie , quando da copioni diventano libri , quando dalla buca del suggeritore passano nella vetrina d ' un librajo , non più scritti a macchina ma stampati da un editore , quando dai lauti proventi che la voce e il gesto degli attori han procacciato loro dalle tavole d ' un palcoscenico , scendono a pietosamente mendicare le tre lirette , prezzo di copertina , tra quegli altri mendicanti esposti alla carità pubblica , che sono i volumi di novelle e i romanzi dei poveri letterati puri . Ma lasciamo una buona volta tutta questa contabilità , e veniamo a noi . Qua c ' è un grosso malinteso da chiarire . E il malinteso consiste appunto nella parola letteratura . I signori autori drammatici , professionisti del teatro , scrivono male , non solo perché non sanno o non si sono mai curati di scriver bene , ma perché credono in coscienza che lo scriver bene a teatro , sia da letterati , e che bisogni invece scrivere in quel certo modo parlato come scrivon loro , che non sappia di letteratura , perché i personaggi dei loro drammi e delle loro commedie dicono non essendo letterati , non possono parlare sulla scena come tali , cioè bene ; debbono parlar come si parla , senza letteratura . Così dicendo , non sospettano neppur lontanamente ch ' essi confondono lo scriver bene con lo scriver bello , o piuttosto , non vedono di cadere in questo errore : che scriver bene significhi scriver bello ; e non pensano che lo scriver bello di certi falsi letterati è , di fronte all ' estimativa estetica , per un eccesso contrario , lo stesso vizio del loro scriver male : letteratura che non è arte , vale a dire cattiva letteratura tanto quella di chi scrive bello , quanto quella di chi scrive male , e condannabile perciò come tale , anche se essi non vogliono passar per letterati . Scriver bene un dramma o una commedia non significa far parlare i personaggi in una forma letteraria , cioè in un linguaggio non parlato e per sé stesso letterario . Questo è scriver bello . Bisogna far parlare i personaggi come , dato il loro carattere , date le loro qualità e condizioni , nei varii momenti dell ' azione , debbono parlare . E questo non vuol mica dire che ne risulterà un linguaggio comune e non letterario . Che significa " non letterario " se s ' intende far opera d ' arte ? Il linguaggio non sarà mai comune ; perché sarà proprio a quel dato personaggio in quella data scena , proprio del suo carattere , della sua passione o del suo giuoco . E se i personaggi parleranno ciascuno in questo lor proprio modo , e non secondo la sciatteria volgare d ' un linguaggio impreciso , approssimativo , che denoterà soltanto la incapacità dell ' autore a trovar la giusta espressione perché non sa scrivere , la commedia sarà scritta bene , e una commedia scritta bene , se anche ben concepita e ben condotta , è opera d ' arte letteraria come un bel romanzo o una bella novella o una bella lirica . La verità è che i signori autori drammatici , professionisti del teatro , son tutti rimasti fermi a quella beata poetica del naturalismo , che confuse il fatto fisico , il fatto psichico e il fatto estetico in tale graziosa maniera , che al fatto estetico venne a dare ( almeno teoreticamente , poiché in pratica non era possibile ) quel carattere di necessità meccanica e quella fissità che sono proprie del fatto fisico . Ora bisogna porsi bene in mente che l ' arte , in qualunque sua forma ( dico l ' arte letteraria , di cui la drammatica è una delle tante forme ) non è imitazione o riproduzione , ma creazione . La questione del linguaggio , dunque se e come debba esser parlato ; la pretesa difficoltà di trovare in Italia una lingua veramente parlata in tutta la nazione , e l ' altra questione d ' una vita nazionale veramente italiana che manca per dar materia e carattere a un teatro che si possa dire italiano , come se appunto natura e ufficio dell ' arte fosse la riproduzione necessaria di questa vita , che ciascuno possa riconoscere per dati e fatti esteriori ; e tutte quelle altre angustiose quisquilie e vane superstizioni della così detta tecnica , che dovrebbe rispecchiare ( sempre in teoria , poiché in pratica non è possibile ) l ' azione come ce la vediamo svolgere sotto gli occhi nella realtà quotidiana ; tutto questo è tormento accattato di martiri volontarii d ' un sistema assurdo , d ' una aberrata poetica , per fortuna da un gran pezzo ormai superata , ma a cui , ripeto , dimostrano d ' esser rimasti fermi i signori professionisti del teatro . Non si tratta d ' imitare o di riprodurre la vita ; e questo , per la semplicissima ragione che non c ' è una vita che stia come una realtà per sé , da riprodurre con caratteri suoi proprii : la vita è flusso continuo e indistinto e non ha altra forma all ' infuori di quella che a volta a volta le diamo noi , infinitamente varia e continuamente mutevole . Ciascuno in realtà crea a sé stesso la propria vita : ma questa creazione , purtroppo , non è mai libera , non solo perché soggetta a tutte le necessità naturali e sociali che limitano le cose , gli uomini e le loro azioni e li deformano e li contrariano fino a farli fallire e cader miseramente ; non è mai libera anche perché , nella creazione della nostra vita , la nostra volontà tende quasi sempre , per non dir proprio sempre , a fini di pratica utilità , il raggiungimento di una condizione sociale , ecc . , che inducono ad azioni interessate e costringono a rinunzie o a doveri , che sono naturalmente limitazioni di libertà . Soltanto l ' arte , quando è vera arte , crea liberamente : crea , cioè , una realtà che ha solamente in sé stessa le sue necessità , le sue leggi , il suo fine , poiché la volontà non agisce più fuori , a vincere tutti gli ostacoli che si oppongono a quei fini di pratica utilità a cui tendiamo nell ' altra creazione interessata , voglio dire in quella che tutti ci sforziamo di fare , quotidianamente , della nostra vita , così come possiamo ; ma agisce interiormente , nella vita a cui intendiamo dar forma , e di questa forma appunto , ancora dentro di noi , ma già viva per sé stessa e dunque quasi del tutto ormai indipendente da noi , diviene il movimento . E questa è la vera e l ' unica tecnica : la volontà intesa come libero , spontaneo e immediato movimento della forma , quando cioè non siamo più noi a voler questa forma così o così , per un nostro fine ; ma è lei , assolutamente libera , poiché non ha altro fine che in sé stessa , lei che si vuole , lei che provoca in sé e in noi gli atti capaci di effettuarla fuori in un corpo : statua , quadro , libro ; e allora soltanto il fatto estetico è compiuto . Fuori , ordinariamente , le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo di contingenze senza valore , di particolari comuni a tutti . Volgari ostacoli impreveduti , improvvisi , deviano le azioni , deturpano i caratteri ; piccole miserie accidentali spesso li sminuiscono . L ' arte libera le cose , gli uomini e le loro azioni da queste contingenze senza valore , da questi particolari comuni , da questi volgari ostacoli , da queste accidentali miserie : in un certo senso , li astrae : cioè , rigetta , senza neppur badarvi , tutto ciò che contraria la concezione dell ' artista e aggruppa invece tutto ciò che , in accordo con essa , le dà più forza e più ricchezza . Crea così un ' opera che non è , come la natura , senz ' ordine ( almeno apparente ) e irta di contradizioni , ma quasi un piccolo mondo in cui tutti gli elementi si tendono a vicenda e a vicenda cooperano . In questo senso appunto l ' artista idealizza . Non già che egli rappresenti tipi o dipinga idee : semplifica e concentra . L ' idea che egli ha dei suoi personaggi , il sentimento che spira da essi evocano le immagini espressive , le aggruppano e le combinano . I particolari inutili spariscono ; tutto ciò che è imposto dalla logica vivente del carattere è riunito , concentrato nell ' unità d ' un essere , diciamo così , meno reale e tuttavia più vero . Ma ecco ora in che consiste la soggezione inovviabile del teatro , rispetto all ' opera d ' arte che ha già avuto la sua espressione definitiva , unica , nelle pagine dello scrittore . Questa che è già espressione , questa che è già forma , bisogna che diventi materia ; una materia a cui gli attori , secondo i loro mezzi e le loro capacità , debbono a lor volta dare forma . Perché l ' attore , se non vuole ( né può volerlo ) che le parole scritte del dramma gli escano dalla bocca come da un portavoce o da un fonografo , bisogna che riconcepisca , come sa , il personaggio , lo concepisca cioè a sua volta per conto suo ; bisogna che l ' immagine già espressa torni ad organarsi in lui e tenda a divenire il movimento che la effettui e la renda reale sulla scena . Anche per lui , insomma , l ' esecuzione bisogna che balzi viva dalla concezione , e soltanto per virtù di essa , per movimenti cioè promossi dall ' immagine stessa , viva e attiva , non solo dentro di lui , ma divenuta con lui e in lui anima e corpo . Ora , benché non nata nell ' attore spontaneamente , ma suscitata nello spirito di lui dall ' espressione dello scrittore , questa immagine può esser mai la stessa ? può non alterarsi , non modificarsi passando da uno spirito a un altro ? Non sarà più la stessa . Sarà magari una immagine approssimativa , più o meno somigliante ; ma la stessa , no . Quel dato personaggio sulla scena dirà le stesse parole del dramma scritto , ma non sarà mai quello del poeta , perché l ' attore l ' ha ricreato in sé , e sua è l ' espressione quantunque non siano sue le parole , sua la voce , suo il corpo , suo il gesto . L ' opera letteraria è il dramma e la commedia concepita e scritta dal poeta : quella che si vedrà in teatro non è e non potrà essere altro che una traduzione scenica . Tanti attori e tante traduzioni , più o meno fedeli , più o meno felici ; ma , come ogni traduzione , sempre e per forza inferiori all ' originale . Perché , se ci pensiamo bene , l ' attore deve fare e fa per forza il contrario di ciò che ha fatto il poeta . Rende , cioè , più reale e tuttavia men vero il personaggio creato dal poeta , gli toglie tanto , cioè , di quella verità ideale , superiore , quanto più gli dà di quella realtà materiale , comune ; e lo fa men vero anche perché lo traduce nella materialità fittizia e convenzionale d ' un palcoscenico . L ' attore insomma necessariamente dà una consistenza artefatta , in un ambiente posticcio , illusorio , a persone e ad azioni che hanno già avuto un ' espressione di vita ideale , qual è quella dell ' arte e che vivono e respirano in una realtà superiore . E allora ? Hanno ragione i signori autori drammatici , che non vedono altro che il teatro , e che dicono e sostengono che il teatro è teatro e non letteratura ? Se per teatro deve intendersi quel luogo dove si fanno rappresentazioni serali e diurne , con degli attori , a cui essi dànno argomento e materia da formare quasi lì per lì in scene d ' effetto , drammatiche o comiche , sì . Ma in questo caso , come posizione di fronte all ' arte , bisogna che si rassegnino a stare nella stessa linea di quei facili fucinatori di versi che si prestano a fare le poesiole sotto le vignette di certe riviste illustrate . Scrivono , non per il testo , ma per la traduzione . E veramente , allora , non ha bisogno affatto di letteratura il loro teatro . Materia per gli attori ; a cui gli attori daranno vita e consistenza sulla scena . Qualche cosa , insomma , come gli scenarii della commedia dell ' arte . Ma per noi il teatro vuol essere un ' altra cosa .
Umberto Saba ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Malato da molti anni , Umberto Saba , forse , soffriva soprattutto di melanconia e di una complessa angoscia che doveva in gran parte risalire al trauma di cui aveva duramente sofferto durante il lungo periodo delle persecuzioni razziali . Il problema del « sangue » , come quello della religione , era stato presente nella sua vita fin da quando il padre suo aveva abbandonato la moglie ebrea , lasciandola sola e in povertà con un bambino gracile e pallido . Il seme di una cupa ingiustizia lo aveva accompagnato fin dall ' infanzia . Nato cattolico , aveva voluto dichiararsi spiritualmente ebraico , scegliendo fra quello paterno e quello materno , quest ' ultimo sangue ; e si era iscritto alla comunità israelita . Al tempo delle leggi razziali , non aveva ancora sessant ' anni , ma era stanco , pallido , esangue sino a sembrare quasi cereo . Egli fu considerato un « ebreo volontario » . Per questo , la sua « posizione » si presentava gravissima . Saba non era certamente un uomo preparato a lottare se non per problemi puramente spirituali . Aveva amato l ' Italia con un amore che l ' aveva condotto a lasciare Trieste nel 1914 e ad arruolarsi volontario con gli altri irredenti . Poi si era ritirato nella città amata e finalmente liberata . Non aveva la possibilità di una professione precisa : aveva pubblicato , nelle edizioni della « Voce » due piccole raccolte di versi che non gli avevano dato diritti d ' autore se non per acquistare qualche pacchetto di sigarette . Non poteva vivere con il semplice pane della buona stima letteraria fruttata da quei versi . Nel 191.9 , lasciato a casa il « grigioverde » , passeggiando per le vie di Trieste , si fermò davanti ad una libreria antiquaria in strada San Nicolò . Dopo qualche giorno il padrone della bottega lo osservò : fattosi sulla soglia della bottega , attaccò discorso e gli confidò , che non solo i volumi , ma l ' intero « commercio » era in vendita . Da quel colloquio nacque il Saba libraio antiquario . I suoi contatti con il mondo sarebbero stati rarissimi - Saba aveva troppi « complessi » per noti esser destinato all ' esistenza del deraciné : solo nelle quattro stanze di casa , con la moglie e con la figlia , la sua « pianticella » fioriva serena - se ogni tanto le necessità del commercio librario non lo avessero costretto a prendere un treno per recarsi a Milano o a Firenze per qualche acquisto . Allora Saba appariva - ma non andava a cercare nessuno : bisognava incontrarlo per caso - nelle città dove la vita letteraria era più intensa . Camminava rasente ai muri , con un berretto da ciclista in capo , sulla testa calva , e con il collo avvolto in uno scialle . Era difficile portarlo a discorrere di letteratura o a esprimere giudizi . Parlava con una voce di testa , quasi da sonnambulo , piegata talvolta in un modulo che pareva beffardo , ma più spesso resa soffocata da una intonazione affettuosa . Sapeva che gli amici della sua poesia erano pochi ; e non cercava di aumentarli . La sua Trieste era quella di Silvio Benco , di Slataper , di Svevo : città di alti fervori letterari ad un incrocio di razze e di lingue . Saba avrebbe potuto assimilare facilmente i profumi e i sapori del linguaggio poetico più moderno : ma come non era appartenuto al gruppo della « Ronda » , così non seguì gli ermetici . Il suo affetto e la sua consanguineità erano tutti per il tempo dello « Stil nuovo » : Petrarca lo aveva affascinato sin dall ' adolescenza : e il risultato di questi affetti si era già definito al tempo dei volumetti intitolati Poesie e Coi miei occhi o di vari anni prima della guerra del '15 . Saba era rimasto assolutamente indifferente alla tentazione del Futurismo , così come era stato lontano dal dannunzianesimo e dal sospiro dei crepuscolari . La solitudine nella quale amava vivere salvò la schiettezza e il metallo di quell ' alta melanconia lirica che ispira il Canzoniere , animato da temi che potevano sembrare a volte aspri , a volte dimessi e a volte quasi freudianamente inquietanti . Fu poeta d ' amore , ma di un amore umbratile , del . tutto chiuso nella storia di una fedeltà familiare . Venne nella sua vita di uomo non lontano dai sessant ' anni la tragedia delle persecuzioni . Si rifugiò a Parigi ; ma la nostalgia dell ' Italia era troppo grande . Non potendo farsi vedere a Trieste , cercò un riparo a Firenze : costretto a vagare intimorito da un nascondiglio all ' altro . Questo affanno e questi incubi stremarono le sue forze . Sfuggì alla deportazione e alla morte : ma nell ' ora della salvezza quello che si risvegliò ad una nuova vita era ormai un uomo distrutto , costretto a lunghissimi riposi , quasi oramai assente da ogni interesse umano , se non al segreto profondo del cuore avvilito e umiliato dallo spettacolo di crudeltà ai cui limiti sanguinosi aveva dovuto vivere . Adesso , di lui , resta il Canzoniere , con il suo alto carico di fervori , di melanconie , di introspezioni , con i suoi non corrotti incantesimi verbali , con certe sue musiche che paiono luci diafane in lento trascolorare . Che di un poeta si possa dire che la sua opera « resta » , questo è il massimo approdo . Egli - all ' anagrafe era Umberto Poli - aveva scelto per nome di poeta quello di Saba che in ebraico vuol dire « pane » . Era come promettersi , con animo dolente , alla comunione con gli uomini .
IMMAGINE DEL 'GROTTESCO' ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Dietro il cancellino d ' un orto , due alberetti di mandorlo . D ' inverno , parevano morti . Forse erano ; forse no ; o uno sì e uno no . Nessuno poteva dirlo , perché gli alberi che non siano di verde perenne bisogna aspettar marzo per vedere quali sono morti e quali no . A marzo si vide che uno solo di quei due alberetti era vivo : quello dietro al pilastrino più alto del cancello . E fu una pena veder l ' altro rimanere lì , nudo e stecchito , accanto a quello che , nella chiara mattina , rideva al sole come d ' un brillio di farfalle che vogliano e non vogliano posarsi . Se non che , ripassando dopo alcuni giorni davanti al cancellino di quell ' orto una sorpresa . O il dubbio d ' aver forse sbagliato la prima volta . Dei due alberetti non era più fiorito quello dietro il pilastrino più alto ; ma l ' altro . Possibile ? Era piovuto , in quei giorni , furiosamente . Forse la furia della pioggia aveva abbattuto i fiori dell ' uno e svegliato l ' altro dal sonno invernale , in cui s ' era troppo indugiato ? Ecco , sì ; qualche bianca fogliolina ingiallita , superstite , esitava ancora nei rami di quello ch ' era fiorito prima . La pioggia aveva dunque distrutto veramente la lieta , precoce fioritura . Ma la sorpresa si rinnovò più viva , e accompagnata da uno scoppio di risa , quando davvicino si poté vedere come e di che era tutto fiorito quell ' altro alberetto dietro il cancellino di quell ' orto chiuso . Signori miei , di bianche lumachelle ! Non erano fiori ! Era no lumachelle ! Tutti i rami scontorti di quell ' alberetto morto s ' erano incrostati , rabescati di bianche lumachelle , schiumate or ora dalla terra grassa , dopo l ' acquata tempestosa . E pareva che argutamente , nell ' umido grigiore frizzante dell ' aria ancora ben lontana dal rasserenarsi , quell ' alberetto , fiorito così per burla , dicesse a dispetto dell ' altro che aveva così presto perduto i suoi fiori : Eccomi qua ! Vedi ? Io sì , ora , e tu no . Fiorisco come posso . Una fioritura per cui senza dubbio chi credesse di doverne ridere , bisognava ci mettesse un po ' di buona volontà . Perché non era poi molto allegro fiorir così . Fioritura finta , sì ; ma intendiamoci . Non volevano mica parer fiori veri tutte quelle bianche lumachelle ; e né fiori finti , come sarebbe di pezza o di carta o di cera . No . Volevano parere quel che erano veramente : lumachelle bianche , lì incrostate , in strani e pur naturali rabeschi , su quei rami scontorti dell ' alberetto morto . Oh morto , sì ! E non voleva mica dare a intendere che l ' albero fosse vivo , quella fioritura di lumachelle . Dava anzi a veder chiaramente che lo credeva morto e che non lo prendeva sul serio , facendolo fiorir così . Rideva di sé stessa così evidentemente , Dio mio , quella fioritura . La colpa era di quella grande acquata , che prima di scaricarsi aveva per tanto tempo incavernato il cielo coi neri nuvoloni che la contenevano , in una tetraggine attonita e spaventevole . L ' alberetto ne era morto . Quell ' altro che s ' era provato , in una illusione di sereno , a fiorire , appena scaricata la tempesta , aveva subito perduto i suoi fiori . E neanche era colpa di quella fioritura di lumachelle , se i rami dell ' alberetto , privi com ' erano di frondi illusorie , si mostravano così tutti scontorti . Può la caduca illusione della primavera nascondere lo scontorcimento dei rami . I rami nudi non piaceranno ma son così per sé , scontorti . Del resto , guardate : quanto più e come meglio sanno e possono s ' adoperano anch ' esse a nascondere la triste nudità dei rami , queste graziose lumachelle . Non sono tutte gusciaglia . Guardate qui che bollichìo iridescente , ora che si mettono a far la bava ! Eh , i fiori , profumo ; le lumachelle , bava . Ma fa pure un bel vedere , questa bava che luce , or che rigonfia così tutta fervida e così tutta riflessi e colorata , or che risiede frigida , e vi spuntano per entro , uno più lungo e l ' altro meno , gli occhi della lumachella che fa le corna per guardare intorno , a tentoni , sorniona . Ma voi dite : I fiori veri ! le foglioline vive ! Lo so . Bisognerebbe vivere e non pensare : dico , bearci dei fiori ( quando ci sono ) , del loro profumo , e dell ' ombra e della freschezza delle foglie ( quando ci sono ) ; e non riflettere che , in fondo , via , se vogliamo , di primavera fiori e foglie sono molto comuni . Si dovrebbe essere come quella pianta ispida e amara , che ha le foglie a lama con la spina in punta , la pianta che non vuole neanche esser verde , che alla fine fallisce e va su , su , aerea diritta e solitaria , e in cima lassù ; da tutto quel suo desiderio estremo d ' altezza e d ' aria e di sole esprime un fiore , un fiore unico , e poi muore . Ma questi alberetti , che fioriscono per famiglie , quasi in cooperativa , stenti , angustiosi , tutti allo stesso tempo e allo stesso modo , vi assicuro che fan pur venire a qualche alberetto stravagante la voglia di morire e d ' apparir così , un bel giorno , fiorito per burla , di bianche lumachelle . Se non che , la stravaganza è anch ' essa contagiosa . E ahimè , sono tanti ormai gli alberetti che si sono messi a fiorir così di lumachelle ! Tanti , che quasi non se ne può più .
IRONIA ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Seguito , se non vi dispiace , a parlare del " grottesco " , ma questa volta seriamente . È chiaro che , componendo un grottesco , nessun autore crede alla realtà in sé delle cose che rappresenta . Ma bisogna bene intenderci prima di tutto , sul non credere dell ' autore in genere ( non solo , dunque , di chi componga grotteschi ) alla realtà del mondo da lui comunque rappresentato . Si potrebbe dire , intanto , che non solamente per l ' artista , ma non esiste per nessuno una rappresentazione , sia creata dall ' arte , o sia comunque quella che tutti ci facciamo di noi stessi e degli altri e della vita , che si possa credere una realtà . Sono in fondo una medesima illusione quella dell ' arte e quella che , comunemente , a noi tutti viene dai nostri sensi . Pur non di meno , noi chiamiamo vera quella dei nostri sensi , e finta quella dell ' arte . Tra l ' una e l ' altra illusione non è affatto , però , questione di realtà , bensì di volontà , e solo in quanto la finzione dell ' arte è voluta , voluta non nel senso che sia procacciata con la volontà per un fine estraneo a sé stessa ; ma voluta per sé e per sé amata , disinteressatamente ; mentre quella dei sensi non sta a noi volerla o non volerla : si ha , come e in quanto si hanno i sensi . E quella è libera ; e questa no . E l ' una finzione è dunque immagine o forma di sensazioni , mentre l ' altra , quella dell ' arte , è creazione di forma . Il fatto estetico , effettivamente , comincia sol quando una rappresentazione acquisti in noi per sé stessa una volontà , cioè quando essa in sé e per sé stessa si voglia , provocando per questo solo fatto che si vuole , il movimento ( tecnica ) atto ad effettuarla fuori di noi . Se la rappresentazione non ha in sé questa volontà , che è il movimento stesso dell ' immagine , essa è soltanto un fatto psichico comune ; l ' immagine non voluta per sé stessa ; fatto spirituale - meccanico , in quanto non sta a noi volerla o non volerla ; ma che si ha in quanto risponde in noi a una sensazione . Abbiamo tutti , più o meno , una volontà che provoca in noi quei movimenti atti a creare la nostra propria vita . Questa creazione , che ciascuno fa a sé stesso della propria vita , ha bisogno anch ' essa , in maggiore o minor grado , di tutte le funzioni e attività dello spirito , cioè d ' intelletto e di fantasia , oltre che di volontà ; e chi più ne ha e più ne mette in opera , riesce a creare a sé stesso una più alta e vasta e forte vita . La differenza tra questa creazione e quella dell ' arte è solo in questo ( che fa appunto comunissima l ' una e non comune l ' altra ) ; che quella è interessata e questa disinteressata , il che vuoi dire che l ' una ha un fine di pratica utilità , l ' altra non ha alcun fine che in sé stessa ; l ' una è voluta per qualche cosa ; l ' altra si vuole per sé . E una prova di questo si può avere nella frase che ciascuno di noi suoi ripetere ogni qual volta , per disgrazia , contro ogni nostra aspettativa , il proprio fine pratico , i proprii interessi siano stati frustrati : Ho lavorato per amore dell ' arte ! E il tono con cui si ripete questa frase ci spiega la ragione per cui la maggioranza degli uomini , che lavorano per fini di pratica utilità e non intendono la volontà disinteressata , suoi chiamare matti i poeti , quelli cioè in cui la rappresentazione si vuole per sé stessa senz ' altro fine che in sé medesima , e tale essi la vogliono , quale essa si vuole . Ora una rappresentazione può in noi volersi anche ironicamente , vale a dire non soltanto cosciente in sé della sua irrealità , ma che tale anche si mostri agli altri di fuori . Perché c ' è , oltre all ' ironia così detta retorica , che consiste in una contradizione verbale tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso , un ' altra ironia : quella filosofica , dedotta dai romantici tedeschi direttamente dall ' idealismo soggettivo del Fichte , ma che ha in fondo le sue origini in tutto il movimento idealistico germanico post - kantiano . Hegel spiegava che l ' io , sola realtà vera , può sorridere della vana parvenza dell ' universo : come la pone , può anche annullarla ; può non prender sul serio le proprie creazioni . Onde appunto l ' ironia : cioè quella forza secondo il Tieck che permette al poeta di dominar la materia che tratta : materia che si riduce per essa secondo Federico Schlegel a una perpetua parodia , a una farsa trascendentale . Ecco una bella definizione antica di molti dei più significativi grotteschi moderni : farse trascendentali ; se non fosse che la parola " farsa " , per l ' uso volgare che se n ' è fatto , appropriandola a sciocchi componimenti di grossolana ilarità , non ostante quella specificazione di " trascendentale " , potrebbe indurre gl ' ignoranti ( e non dico i maligni ) a fraintendere . A non intendere , cioè , che sissignori anche una tragedia , quando si sia superato col riso il tragico attraverso il tragico stesso , scoprendo tutto il ridicolo del serio , e perciò anche il serio del ridicolo , può diventare una farsa . Una farsa che includa nella medesima rappresentazione della tragedia la parodia e la caricatura di essa , ma non come elementi soprammessi , bensì come projezione d ' ombra del suo stesso corpo , goffe ombre d ' ogni gesto tragico . O quando si sia arrivati a comprendere che , essendo assolutamente arbitraria ogni nostra conclusione , e inevitabilmente illusoria , quantunque necessaria , ogni costruzione che ci facciamo della così detta realtà arbitrio per arbitrio e irreale per irreale spogliando d ' ogni fittizia apparenza di verità la favola , si rappresenta nella sua meccanicità essenziale l ' arbitrio di quella conclusione , e nella sua frode palese quell ' illusione , per modo che appaja quel che in fondo e purtroppo è : un giuoco , ma voluto e sentito e rappresentato come tale . Veramente , tra quella che suol chiamarsi ironia retorica e questa filosofica una certa parentela si può scoprire . La differenza tra l ' una e l ' altra è , che in quella non bisogna prender sul serio ciò che si dice , e in questa ciò che si fa . Ma badiamo : non prender sul serio ciò che si fa , non vuoi mica dire non prender l ' arte sul serio . « Chi fa un lavoro comico osservò una volta giustamente il De Sanctis non è esentato dalle condizioni serie dell ' arte » . Anzi , tanto più deve attenersi ad esse . E poneva due casi il De Sanctis : quello di chi dice sciocchezze con intenzione comica e fa ridere non di lui ma di quel che dice , e quello di chi all ' incontro dice sciocchezze per sciocchezze e fa ridere di lui e non di ciò che ha detto . Non giurerei che nessuno di quanti oggi scrivon grotteschi non sia in questo secondo caso .