StampaQuotidiana ,
Morto
di
questi
giorni
,
benché
non
in
guerra
,
merita
una
commemorazione
il
poeta
Ludwig
Hansteken
.
In
guerra
il
poeta
Hansteken
non
poteva
morire
.
I
poeti
come
lui
sono
per
natura
neutrali
.
E
hanno
quasi
sempre
la
ventura
di
nascere
in
paesi
neutrali
.
In
Olanda
per
esempio
,
in
Isvezia
.
Ma
se
pur
nascono
in
più
vulcaniche
terre
,
ove
sciaguratamente
la
coltura
e
le
discipline
spirituali
non
siano
riuscite
a
mortificare
il
selvaggio
istinto
,
costretti
anch
'
essi
a
indossare
la
divisa
militare
,
non
c
'
è
pericolo
che
muojano
di
piombo
o
di
ferro
o
di
strapazzo
.
Così
vestiti
vanno
a
combattere
idealmente
o
negli
uffici
di
maggiorità
o
a
servizio
d
'
organizzazioni
civili
,
con
una
penna
in
mano
.
E
qua
nelle
tregue
assaporano
a
occhi
semichiusi
,
rosicchiando
in
punta
il
cannello
della
penna
,
l
'
angosciosa
dolcezza
di
visioni
lontane
nella
manica
della
loro
giubba
grigio
-
verde
.
Visioni
,
o
d
'
una
scolorita
campagna
settembrina
,
o
d
'
un
malinconico
lago
,
ove
Dio
solo
sa
che
strani
galleggiamenti
può
loro
suggerire
la
tenue
riccia
peluria
dell
'
inoffeso
e
inoffensivo
panno
militare
.
È
vero
,
che
,
per
fortuna
dell
'
umanità
,
se
non
di
piombo
,
di
ferro
o
di
strapazzo
,
possono
ben
morire
di
questi
strani
,
ambigui
galleggiamenti
i
poeti
come
Ludwig
Hansteken
.
Il
quale
,
difatti
,
è
morto
,
come
vedremo
,
affogato
in
uno
dei
tanti
canali
che
scorrono
per
i
paesi
d
'
Olanda
,
spintovi
,
a
quanto
pare
,
appena
appena
,
da
una
smaniosa
mano
femminile
vendicatrice
,
mentr
'
egli
sospirava
a
notte
,
non
propriamente
alle
purissime
stelle
,
ma
ai
loro
riflessi
che
appunto
galleggiavano
con
smorfiosi
serpeggiamenti
,
fra
altri
ben
nobili
relitti
,
in
quel
canale
.
Per
fortuna
dell
'
umanità
,
ho
detto
;
potrei
aggiungere
:
per
fortuna
di
loro
stessi
.
Perché
i
poeti
come
Ludwig
Hansteken
non
sono
tanto
per
gli
altri
,
quanto
per
loro
stessi
un
tormento
.
Gli
altri
,
possono
anche
riderne
;
io
per
me
confesso
che
soglio
farmene
le
più
matte
risate
,
perché
in
verità
,
mi
sembra
che
nulla
si
possa
dare
di
più
goffo
e
di
più
buffo
di
quel
loro
tormento
.
Tormento
d
'
una
disperata
impotenza
che
,
pur
tenendoli
perennemente
con
le
lagrime
in
pelle
,
li
rende
innocuamente
e
pazzescamente
cattivi
.
Vedo
che
avrebbero
tutti
una
gran
sete
di
soffrire
;
piangono
di
questa
sete
;
ma
la
grigia
angolosa
rabbia
della
loro
aridità
sassosa
impedisce
ad
essi
di
cavare
un
qualche
refrigerio
finanche
da
quelle
stesse
lagrime
amare
.
Vogliono
esser
poeti
;
vogliono
,
lo
ripetono
con
esasperata
ostinazione
:
Noi
siamo
poeti
!
noi
siamo
poeti
!
noi
siamo
poeti
!
;
cercano
di
spremerla
in
tutti
i
modi
una
gocciolina
di
poesia
;
ahimè
;
è
come
spremere
un
sasso
.
Ma
questo
appunto
essi
vogliono
:
spremere
i
sassi
,
perché
non
c
'
è
gusto
per
loro
a
trar
sugo
vivo
sostanzioso
dai
saporiti
frutti
che
maturano
nei
fertili
assolati
giardini
della
fantasia
.
Credono
che
ciò
che
gli
altri
fanno
non
valga
la
pena
d
'
esser
fatto
.
Bisogna
fare
l
'
impossibile
,
perché
soltanto
nell
'
impossibile
possono
trovar
la
scusa
della
loro
impotenza
.
E
condannati
da
questa
impotenza
a
star
fuori
per
sempre
da
quei
giardini
,
stringono
rabbiosamente
nel
pugno
sudato
,
i
loro
sassi
,
e
dopo
averli
spremuti
e
spremuti
e
spremuti
,
vedendo
che
,
se
ne
cavan
qualche
stilla
,
non
è
dal
sasso
,
ma
dalle
loro
mani
spellate
,
stilla
di
sudicio
sudore
,
li
avventano
contro
quei
frutti
succosi
,
non
si
capisce
bene
se
per
disdegno
,
per
ira
,
per
dispetto
o
per
vendetta
,
giacché
nessuno
veramente
riesce
a
comprender
nulla
delle
smorfie
,
delle
boccacce
,
dei
borbottamenti
con
cui
accompagnano
il
lancio
di
quei
sassi
insudiciati
.
Se
li
intendono
tra
loro
,
quei
borbottamenti
intelligibili
!
Ma
spesso
avviene
per
certi
rumori
,
se
non
risponde
in
noi
l
'
immagine
di
ciò
che
li
abbia
prodotti
,
che
si
rimanga
incerti
,
sospesi
,
storditi
,
anche
angosciati
,
a
chiedere
intorno
:
che
è
stato
?
com
'
è
?
che
significa
?
Ed
ecco
allora
tanti
poveri
allocchi
,
con
angustiosa
perplessità
di
pollastri
che
muovano
a
scatto
lo
stupido
capo
crestuto
a
guardare
di
qua
e
di
là
,
e
non
sappiano
posar
la
zampa
sul
tappeto
del
salotto
in
cui
per
caso
si
sono
introdotti
,
scappando
dalla
stia
;
ecco
,
dico
,
tanti
poveri
allocchi
giovinetti
andar
loro
appresso
cercando
di
cavar
il
senno
astruso
da
quei
borbottamenti
e
d
'
interpretar
quelle
smorfie
e
quelle
boccacce
;
ed
essi
attirarseli
attorno
facendone
di
sempre
più
complicate
e
difficili
.
Uno
stormo
di
fiere
donnette
esasperate
anche
li
attornia
,
che
han
bisogno
di
credere
che
qualcuno
possa
dare
a
intendere
come
nobili
aspirazioni
ideali
le
loro
torbide
smanie
interne
.
E
tutti
costoro
,
allocchi
e
donnette
,
si
struggono
di
sapere
come
debbano
parlare
,
come
atteggiarsi
per
piacer
loro
:
si
fanno
dare
in
mano
quei
sassi
sudati
,
li
voltano
e
rivoltano
per
scoprirvi
preziosità
di
novissime
gemme
;
provano
anche
a
metterseli
in
bocca
per
succhiarli
come
caramelle
.
Alla
fine
,
non
hanno
il
coraggio
di
dirselo
,
ma
sentono
d
'
esser
sotto
un
incubo
che
paralizza
ogni
loro
spontaneità
,
lega
i
loro
passi
,
opprime
loro
il
respiro
.
Orbene
,
quest
'
incubo
troviamo
con
perfetta
evidenza
descritto
e
rappresentato
in
un
recentissimo
libro
di
Rosso
di
San
Secondo
,
che
mostra
d
'
averlo
per
alcun
tempo
sofferto
,
d
'
essersene
alla
fine
giocondamente
liberato
(
Rosso
di
San
Secondo
,
Ponentino
,
novelle
.
Milano
,
Fratelli
Treves
,
1916
.
Vedi
parte
seconda
:
Il
poeta
Ludwig
Hansteken
)
.
Il
San
Secondo
conobbe
in
Olanda
il
prototipo
di
questi
poeti
,
Ludwig
Hansteken
,
e
ne
narra
in
cento
pagine
la
vita
e
la
morte
.
Punto
per
punto
,
con
sottilissima
analisi
armata
di
fosforiche
arguzie
,
investiga
e
scopre
il
dramma
di
quest
'
uomo
,
dramma
sordo
,
angoscioso
,
disgustato
;
e
le
ragioni
per
cui
quest
'
uomo
,
questo
impotente
,
con
la
sua
pesante
tristezza
fosse
riuscito
a
preoccupare
gli
altri
della
sua
esistenza
.
Il
sentimento
che
spingeva
Hansteken
verso
gli
uomini
,
dice
il
San
Secondo
,
non
era
pietà
né
amore
,
«
ché
,
pesante
com
'
era
,
il
suo
istinto
lo
avrebbe
piuttosto
indotto
a
vivere
leggiucchiando
e
appisolandosi
:
per
varcar
la
soglia
di
casa
egli
infatti
doveva
forzare
la
sua
natura
;
per
avvicinare
un
suo
simile
,
poi
,
doveva
addirittura
vincere
la
repulsione
che
hanno
tutti
i
pigri
,
gl
'
indifferenti
,
i
nati
sordi
di
spirito
,
per
quelli
che
invece
hanno
nel
sangue
la
solerzia
,
la
brama
di
vedere
,
conoscere
,
godere
,
vivere
in
una
parola
.
Pure
un
tale
sforzo
sarebbe
potuto
essere
nobile
,
come
tutto
ciò
che
tende
a
modificare
la
propria
natura
con
il
dominio
della
volontà
;
ma
Hansteken
,
se
ben
credesse
appunto
così
,
in
realtà
,
presentandosi
ai
consimili
,
in
quella
veste
di
ammonitrice
gravità
,
non
obbediva
che
a
un
segreto
senso
d
'
invidia
,
acre
,
biliosa
,
per
quelli
che
la
vitalità
piena
e
un
po
'
anche
spensierata
induceva
,
non
solo
ad
assaporare
con
voluttà
il
piacere
d
'
esistere
,
ma
,
oltrepassando
i
limiti
del
giusto
,
a
commettere
peccato
»
.
Hansteken
,
insomma
,
non
ha
quell
'
ebete
sobrietà
che
potrebbe
farlo
pago
:
l
'
odio
per
il
peccato
attivo
sorgeva
in
lui
«
dal
non
potere
egli
stesso
commetterlo
:
i
peccati
per
soverchio
di
vitalità
erano
,
infatti
,
per
lui
,
un
rimprovero
sordo
,
una
umiliazione
continua
per
la
sua
fiacca
gravezza
.
Le
sue
stesse
lagrime
non
erano
,
perciò
,
come
egli
credeva
,
la
naturale
espressione
della
sua
pietà
per
i
fratelli
,
bensì
della
sua
amarezza
,
della
sua
insoddisfazione
,
del
fastidio
sterile
che
lo
spiritello
interno
gli
comunicava
,
lottando
invano
contro
il
torpore
invincibile
della
sua
stanca
natura
.
Sincero
era
dunque
in
lui
soltanto
questo
stato
penoso
di
disagio
che
,
vestito
dalla
illusione
d
'
essere
invece
altra
cosa
,
si
rappresentava
agli
uomini
normali
come
una
forma
superiore
o
per
lo
meno
strana
d
'
esistenza
»
.
Ed
ecco
il
segreto
del
fascino
e
la
ragione
dell
'
incubo
:
rappresentare
agli
altri
questa
impotenza
chiusa
,
ansiosa
,
travagliosa
,
come
una
forma
superiore
di
esistenza
.
«
Se
il
poeta
Hansteken
avesse
potuto
cantare
,
dice
altrove
il
San
Secondo
,
non
sarebbe
stato
così
molesto
al
suo
prossimo
,
né
avrebbe
avuto
bisogno
di
quelle
sue
enormi
costruzioni
teoriche
,
simili
a
cattedrali
di
cartapesta
,
per
giustificare
la
sua
esistenza
.
Perché
era
questo
il
dubbio
assillante
che
rodeva
l
'
animo
dello
sventurato
:
che
egli
non
avesse
,
in
fondo
,
nessuna
ragione
d
'
esistere
.
Aveva
creduto
di
dovere
,
per
un
bene
supremo
,
rinunziare
alla
vita
,
per
votarsi
tutt
'
intero
alla
sua
dea
,
l
'
arte
.
Aveva
creduto
che
tale
altissima
finalità
gli
desse
il
diritto
di
sacrificare
non
solo
la
sua
,
ma
anche
l
'
esistenza
degli
altri
;
d
'
imporre
,
con
violenza
testarda
,
a
tutta
la
cittadinanza
la
sua
personalità
,
prim
'
ancora
che
si
fosse
espressa
;
aveva
voluto
che
tutti
sapessero
che
egli
esisteva
,
lui
,
Ludwig
Hansteken
;
che
tutti
con
un
sacro
sgomento
attendessero
la
grande
parola
che
avrebbe
detto
.
Ma
Hansteken
continuava
a
torcersi
nel
suo
disperato
monologo
,
ripeteva
,
in
ogni
verso
,
quello
che
aveva
sempre
detto
:
era
come
se
girasse
intorno
a
un
nucleo
chiuso
che
non
riusciva
a
fendere
,
ad
espugnare
.
E
nei
momenti
più
acuti
di
esasperazione
,
ecco
che
con
sguardi
freddi
e
taglienti
insultava
quelli
stessi
che
,
deferenti
e
mansueti
,
avevano
ancora
fiducia
in
lui
,
e
gliela
mostravano
con
una
sottomissione
ansiosa
e
piena
di
bontà
»
.
Bisognava
che
qualcuno
,
per
toglierlo
da
quel
tormento
,
dichiarasse
apertamente
innanzi
a
tutti
ciò
che
lui
,
Hansteken
,
voleva
che
gli
altri
alla
fine
comprendessero
:
che
la
poesia
,
cioè
,
non
era
tanto
nella
parola
,
quanto
nella
pausa
,
che
la
più
alta
cima
della
poesia
era
il
silenzio
.
Perché
umiliarlo
ancora
con
quell
'
aria
di
attesa
deferente
?
Che
attendevano
ancora
da
lui
?
Egli
aveva
detto
quello
che
doveva
dire
.
Ora
il
sublime
stava
nel
silenzio
.
Zitto
lui
,
zitti
tutti
.
Se
questo
veramente
si
fosse
chiarito
agli
altri
,
Hansteken
,
pago
,
non
più
costretto
a
violentare
con
disumani
sforzi
la
tetra
sordità
del
suo
spirito
infecondo
,
immediatamente
non
sarebbe
stato
più
un
essere
torbido
e
falso
;
tutta
la
sua
complessità
si
sarebbe
sciolta
e
sarebbe
apparsa
così
puerile
da
rasentare
la
più
umile
elementarità
.
Perché
i
poeti
come
lui
sono
in
fondo
orgogliosi
come
fanciulli
che
si
vantano
d
'
esser
soldati
perché
si
sono
messi
in
capo
un
kepì
di
cartone
o
che
piangono
per
avere
gli
zuccherini
e
vogliono
esser
carezzati
e
giocare
a
far
da
papà
.
Così
appunto
conclude
il
San
Secondo
,
nell
'
estrosa
commemorazione
del
poeta
,
commemorazione
che
è
come
il
farnetico
d
'
un
rimorso
per
la
violenta
liberazione
dall
'
incubo
di
lui
perpetrata
da
una
delle
donnette
più
esasperate
,
proseliti
del
poeta
,
una
certa
Berta
Tausen
,
la
quale
,
passeggiando
una
notte
con
lui
lungo
un
canale
,
lo
aveva
con
una
lieve
spinta
consegnato
all
'
immortalità
e
ai
pesciolini
di
quel
canale
.
Fa
veramente
piacere
che
questa
liberazione
da
un
incubo
che
opprime
ancora
parecchi
giovani
sia
opera
d
'
un
giovane
scrittore
come
Rosso
di
San
Secondo
,
d
'
uno
cioè
che
davvicino
ha
potuto
studiare
il
complicato
meccanismo
di
questi
poeti
che
han
per
prototipo
Ludwig
Hansteken
.
La
rappresentazione
della
vita
e
della
morte
di
costui
ha
tutta
l
'
aria
,
ripeto
,
d
'
una
giocondissima
satirica
vendetta
.
Le
sei
novelle
della
prima
parte
del
volume
,
fresche
,
ariose
,
e
pur
così
impresse
di
solchi
profondamente
scavati
nella
tragica
vita
,
le
quattro
elegie
dell
'
intermezzo
a
Maryke
con
quel
riso
indimenticabile
degli
occhi
della
Signora
Liesbeth
,
sembrano
veramente
le
foglie
brillanti
al
soffio
del
ponentino
nei
giardini
di
cui
ho
parlato
più
su
:
quelli
della
fantasia
,
in
cui
il
San
Secondo
è
entrato
da
padrone
per
andare
a
rovesciare
in
fondo
ad
essi
quel
buffo
e
triste
rospo
abbottato
,
simbolo
dell
'
impotenza
:
il
poeta
Ludwig
Hansteken
.
StampaQuotidiana ,
Non
so
in
quale
anno
Ojetti
,
romano
di
nascita
,
fiorentino
d
'
elezione
,
milanese
di
lavoro
,
abbia
comprato
il
Salviatino
.
Prima
,
mi
hanno
raccontato
,
aveva
una
villetta
su
un
viale
della
circonvallazione
-
brutto
nome
,
ma
bellissima
circonvallazione
,
quella
di
Firenze
,
appoggiata
subito
al
primo
gradino
dei
colli
-
e
,
se
non
sbaglio
,
la
vendette
telegraficamente
per
poter
comprare
un
bassorilievo
di
Jacopo
della
Quercia
che
aveva
scoperto
a
Londra
,
in
un
'
asta
.
Rimase
qualche
tempo
senza
casa
,
ma
con
un
pezzo
di
marmo
che
sta
nella
Storia
dell
'
Arte
.
Questo
può
dare
un
'
idea
dell
'
uomo
,
e
del
suo
amore
per
le
cose
belle
e
rare
.
Il
Marmo
di
Jacopo
è
ancora
su
al
Salviatino
,
dove
fu
poi
portato
,
in
una
vecchia
villa
dei
Salviati
che
sembrava
lo
specchio
dell
'
ordine
nelle
cose
e
nelle
idee
così
amato
dallo
scrittore
.
Il
Salviatino
diventò
,
con
gli
anni
,
una
specie
di
museo
prezioso
,
vi
si
raccolsero
una
biblioteca
foltissima
e
un
archivio
addirittura
monumentale
.
Vi
si
andava
come
ad
una
specie
di
amabile
Quirinale
.
Si
suonava
al
cancello
della
portineria
,
in
basso
,
aspettando
che
di
lassù
,
dalla
villa
,
oltre
il
parco
,
si
rispondesse
:
«
Passi
»
.
I
più
si
sforzavano
di
arrivarvi
in
taxi
o
in
tassì
come
aveva
insegnato
a
scrivere
Ugo
.
Federigo
Tozzi
,
nel
1910
,
ci
arrivò
in
bicicletta
,
da
Siena
,
vestito
come
un
girino
,
smaltato
di
fango
,
ma
fu
accolto
egualmente
con
affetto
.
Quando
io
,
venticinque
anni
fa
,
ci
capitavo
,
tremavo
sempre
all
'
idea
che
Ojetti
(
immancabile
lettore
della
terza
pagina
del
«
Corriere
»
)
mi
mettesse
con
garbo
sotto
gli
occhi
un
mio
articolo
segnato
con
un
lapis
sottile
a
tutti
i
francesismi
,
a
tutti
i
punti
e
virgola
sbagliati
,
a
tutti
gli
odiati
esclamativi
.
Caro
Ojetti
,
la
preoccupazione
della
lindura
e
del
finito
l
'
aveva
fatto
un
po
'
pignolo
:
ma
era
un
segno
dell
'
attenzione
con
cui
fra
i
cinquanta
e
i
sessant
'
anni
,
seppe
riconoscere
alcuni
giovani
scrittori
,
come
Piovene
,
Loria
,
Quarantotti
Gambini
,
Arrigo
Benedetti
,
la
cui
opera
,
più
tardi
,
doveva
dimostrare
che
Ojetti
non
era
facile
a
sbagliarsi
.
Nel
mezzanino
della
villa
lo
scrittore
aveva
il
suo
studio
.
La
grande
biblioteca
con
la
quadreria
stava
e
sta
al
primo
piano
:
gli
archivi
,
la
fototeca
,
le
collezioni
di
autografi
al
pianterreno
.
Nello
studio
era
raccolta
una
biblioteca
minore
,
divisa
in
tre
stanze
,
dove
potevi
trovare
,
a
colpo
sicuro
,
tutto
il
pubblicato
e
l
'
inedito
,
per
esempio
,
su
Diego
Martelli
,
amico
dei
Macchiaioli
,
e
combinare
una
perfetta
bibliografia
su
Amedeo
Modigliani
o
su
Ugo
Foscolo
.
Ojetti
non
era
un
improvvisatore
,
amava
documentarsi
all
'
estremo
e
non
fidarsi
della
memoria
.
Teneva
ogni
sera
aggiornato
un
diario
,
e
,
quand
'
era
in
viaggio
,
per
veder
meglio
una
certa
cosa
,
per
obbligare
l
'
occhio
a
una
più
accanita
attenzione
,
ritraeva
quella
cosa
con
qualche
appunto
di
disegno
.
Era
stato
,
in
gioventù
,
scrittore
anche
di
novelle
un
po
'
scorrevoli
,
ma
,
nella
maturità
,
aveva
imparato
a
scrivere
i
capitoli
delle
Cose
viste
in
tre
giorni
e
,
in
quei
giorni
,
non
rispondeva
nemmeno
al
telefono
.
Era
,
nella
conversazione
,
dallo
stile
francese
,
un
po
'
incline
all
'
aneddotica
per
il
gusto
del
ritrattino
d
'
uomo
e
di
ambiente
schizzato
con
pochi
tratti
,
come
certi
appunti
dei
taccuini
di
Boldini
;
ma
dietro
al
suo
scrivere
c
'
era
una
lunga
preparazione
.
Era
difficile
prenderlo
in
fallo
.
Giunto
presto
alla
fortuna
e
quasi
quasi
,
in
un
momento
,
alla
dittatura
delle
arti
e
delle
lettere
,
Ojetti
non
peccò
mai
,
come
capita
agli
arrivati
e
ai
dittatori
,
di
presunzione
.
Innanzi
all
'
artista
-
sia
che
di
questo
dovesse
leggere
un
libro
,
o
un
sottile
racconto
,
o
guardare
un
quadro
-
egli
era
sempre
in
posizione
di
affetto
e
di
rispetto
:
segno
della
sua
intima
civiltà
.
Questo
spiega
perché
egli
fosse
portato
come
scrittore
,
alla
«
cosa
vista
»
e
al
ritratto
:
proprio
in
un
tempo
in
cui
,
in
pittura
,
i
ritrattisti
venivano
,
in
un
certo
ambiente
critico
,
ridicolizzati
,
e
in
letteratura
si
andava
verso
l
'
indefinito
e
l
'
ermetico
,
quasi
cercando
sempre
di
camminare
un
palmo
sopra
terra
.
Dovendo
scrivere
,
un
giorno
,
degli
artisti
italiani
suoi
contemporanei
disegnò
dunque
dei
«
ritratti
»
e
non
volle
aggrovigliare
,
come
oggi
si
farebbe
,
una
lunga
matassa
di
teorie
estetiche
.
È
questo
un
merito
che
fa
ritrovare
ancora
vivi
,
dopo
tanti
anni
,
i
profili
dei
pittori
da
lui
conosciuti
e
amati
,
che
cominciò
a
pubblicare
nel
1911
,
così
come
sono
ancora
vivi
quelli
dei
letterati
di
cui
andò
alla
scoperta
più
di
cinquant
'
anni
fa
,
cominciando
addirittura
da
un
gustosissimo
ritrattino
del
canuto
decano
dell
'
Ottocento
,
Cesare
Cantù
.
Il
tempo
s
'
incaricherà
,
probabilmente
,
di
rivedere
tanto
il
gusto
del
tempo
di
Ojetti
,
quanto
quello
su
cui
con
troppa
sicurezza
si
giura
oggi
.
Importa
,
per
ora
,
che
i
ritratti
,
da
quelli
di
Michetti
e
di
Carena
a
quelli
di
Sartorio
e
di
Spadini
,
siano
fedeli
e
vivi
,
e
che
attorno
ad
essi
sia
vivo
,
come
sa
renderlo
Ojetti
,
l
'
ambiente
del
suo
tempo
anche
se
un
po
'
ottimistico
.
Molta
polvere
si
è
posata
sul
lucido
di
certe
glorie
:
hanno
però
fatto
bene
a
non
spolverarle
.
I
ritratti
ci
guadagnano
così
una
certa
patina
,
e
le
notizie
,
di
cui
Ojetti
era
avvedutissimo
raccoglitore
,
restano
essenziali
e
indicative
.
Magari
,
bisogna
dire
,
venissero
altri
ritrattisti
del
merito
e
dell
'
affetto
di
Ojetti
,
il
«
signore
del
Salviatino
»
.
Il
nostro
tempo
lascerà
ben
pochi
documenti
del
suo
travaglio
e
delle
sue
passioni
.
Non
è
stata
scritta
una
vita
di
Spadini
,
non
si
trova
un
editore
per
una
vita
di
Arturo
Martini
:
non
è
stata
scritta
una
«
cronaca
»
del
Futurismo
o
del
Novecento
o
del
movimento
rondista
:
è
inedito
l
'
epistolario
di
Giovanni
Fattori
.
Sui
pittori
si
pubblicano
sontuose
monografie
,
ma
con
prefazioni
il
cui
valore
informativo
,
per
i
posteri
,
sarà
probabilmente
nullo
.
Gli
Italiani
hanno
sempre
paura
di
non
scrivere
cose
abbastanza
importanti
,
e
,
pretendendo
di
parlare
all
'
eternità
,
finiscono
spesso
per
parlare
al
vuoto
o
ad
una
sola
chiesola
.
StampaQuotidiana ,
Come
questo
lavoro
drammatico
di
Rosso
di
San
Secondo
si
presenti
nella
sua
traduzione
scenica
,
han
veduto
di
recente
gli
spettatori
del
teatro
Manzoni
di
Milano
,
che
lo
hanno
accolto
con
grande
favore
e
fervore
d
'
appassionate
discussioni
:
vedranno
tra
pochi
mesi
gli
spettatori
del
nostro
teatro
Valle
.
E
allora
,
di
questa
traduzione
scenica
renderà
conto
con
l
'
usato
acume
il
valoroso
critico
drammatico
di
questo
giornale
.
Io
parlo
del
libro
(
Milano
,
Fratelli
Treves
,
editori
,
1918
)
;
vorrei
dire
,
del
testo
che
ne
hanno
sotto
gli
occhi
i
lettori
,
in
luogo
della
traduzione
che
ne
hanno
avuto
e
ne
avranno
davanti
gli
spettatori
:
parlo
cioè
dell
'
espressione
unica
e
immediata
dell
'
autore
;
non
di
quella
,
varia
e
necessariamente
diversa
,
che
per
mezzo
della
loro
persona
,
della
loro
voce
,
dei
loro
gesti
,
ne
hanno
dato
e
ne
daranno
gli
attori
.
Questa
dura
una
sera
,
più
sere
,
una
stagione
,
e
passa
;
il
libro
resta
.
Dobbiamo
noi
lettori
fingerci
veramente
come
tante
marionette
i
personaggi
di
questa
commedia
,
che
non
senza
ragione
son
privi
d
'
un
nome
proprio
e
si
chiamano
:
Il
Signore
in
grigio
,
Il
Signore
a
lutto
,
La
Signora
dalla
volpe
azzurra
,
ecc
.
?
E
prima
di
tutto
:
son
propriamente
personaggi
?
è
propriamente
una
commedia
,
questa
?
Avevano
gli
antichi
una
special
forma
di
poesia
,
che
i
Greci
chiamavano
Erinni
e
i
Latini
Dira
;
noi
avemmo
a
simiglianza
la
Disperata
.
Erinni
,
Dira
o
Disperata
in
tre
atti
avrei
voluto
che
Rosso
di
San
Secondo
chiamasse
coraggiosamente
questa
sua
opera
,
che
soprattutto
è
di
poesia
.
Pura
sintesi
lirica
.
Qui
ogni
preparazione
logica
,
ogni
sostegno
logico
sono
aboliti
.
Precipitiamo
d
'
un
tratto
in
una
piena
esasperazione
dionisiaca
.
I
personaggi
,
presi
tutti
nell
'
ardente
voragine
della
passione
che
li
divora
,
non
hanno
più
,
né
possono
più
avere
,
alcun
carattere
particolare
:
sono
la
loro
stessa
passione
in
diversi
gradi
o
stadii
,
e
basta
appena
un
segno
esteriore
a
distinguerli
.
Lo
spasimo
li
ha
induriti
.
Subitanee
aderenze
,
bruschi
contatti
,
improvvisi
urti
con
la
realtà
più
comune
,
li
irrigidiscono
vieppiù
.
Chi
sono
?
Eran
due
poveri
uomini
,
una
povera
donna
:
un
marito
oltraggiato
,
un
amante
tradito
,
una
amante
calpestata
.
Non
importa
conoscerne
la
storia
:
è
la
più
comune
;
quella
di
jeri
,
d
'
oggi
,
di
domani
.
Non
ne
hanno
più
,
storia
,
come
non
hanno
più
nome
né
nulla
,
tranne
la
passione
che
li
muove
a
capriccio
,
senza
volontà
,
in
un
giuoco
casuale
:
non
più
dunque
due
poveri
uomini
,
una
povera
donna
;
ma
per
forza
ormai
tre
grottesche
marionette
.
Possono
piangere
e
subito
dopo
ridere
,
e
viceversa
;
o
ridere
e
piangere
insieme
.
E
il
giuoco
,
a
guardarlo
da
fuori
,
è
divertentissimo
.
Pare
una
cosa
di
lusso
.
Invita
quasi
a
svagarcisi
per
renderlo
più
attraente
;
a
pensare
a
toni
e
a
colori
,
perché
risulti
più
armonico
all
'
orecchio
e
più
vivace
agli
occhi
nella
sua
apparente
incoerenza
che
è
appunto
la
sua
massima
coerenza
,
come
quella
che
ha
radice
nella
disperazione
,
in
cui
,
piangendo
o
ridendo
,
si
snoda
,
come
a
caso
.
Ecco
:
un
tono
basso
,
quasi
in
sordina
,
intercalato
da
lunghe
pause
,
e
un
color
grigio
slavato
,
di
cielo
piovoso
,
per
il
primo
atto
;
un
tono
stridulo
,
tutto
scatti
e
scivoli
,
e
una
soffice
imbottitura
di
raso
celeste
,
da
piumino
da
cipria
avvelenata
,
per
il
secondo
atto
;
un
tono
lento
,
quasi
solenne
,
un
po
'
declamatorio
e
una
rigidezza
di
bianco
e
nero
,
bianco
di
stoviglie
da
tavola
,
di
tovaglie
e
di
sparati
di
camicia
,
nero
di
marsine
e
di
cravatte
,
per
il
terzo
atto
:
insomma
tutta
una
galanteria
di
fino
giuoco
,
che
dia
sussulti
da
morirne
a
ogni
improvviso
stridore
che
minacci
di
mandare
ogni
cosa
a
catafascio
da
un
momento
all
'
altro
,
perché
in
verità
è
la
galanteria
questa
di
un
fino
giuoco
mortale
.
Così
,
a
goderselo
da
fuori
,
è
anche
uno
spasso
di
strampaleria
eroica
il
Don
Chisciotte
;
uno
spasso
d
'
avventurosa
strampaleria
il
Gulliver
.
Ma
qui
il
pregio
è
nel
rappresentare
come
reali
e
vivi
un
tipo
straordinario
,
straordinarii
casi
e
avventure
.
Il
pregio
di
questa
"
Dira
"
consiste
invece
nella
straordinaria
rappresentazione
,
quasi
irreale
,
quasi
non
viva
,
perché
tutta
indurita
e
starei
per
dire
lignificata
nelle
mosse
,
di
questi
comunissimi
personaggi
senza
nome
,
resi
dall
'
irrigidimento
del
loro
spasimo
interno
marionette
,
che
si
muovono
come
a
caso
,
in
un
fortuito
incontro
,
in
luoghi
che
non
hanno
nulla
d
'
insolito
,
al
telegrafo
,
in
trattoria
,
solitissimamente
,
nella
più
comune
delle
azioni
,
senz
'
alcuna
vicenda
:
passare
un
telegramma
;
sostituire
un
guanto
;
andare
a
cena
:
tutto
nel
giro
di
una
mezza
giornata
.
L
'
urto
,
il
contrasto
tragico
che
dà
brividi
e
fremiti
d
'
orrore
,
l
'
angoscia
che
serra
la
gola
,
nascono
appunto
dallo
straordinario
di
questa
rappresentazione
,
appena
tocchi
o
aderisca
minimamente
col
comune
della
normalità
quotidiana
,
in
cui
è
condannata
a
sciogliersi
e
ad
annegarsi
,
come
ho
detto
,
senza
vicenda
e
senza
nome
.
Non
so
come
tutto
questo
risulti
in
teatro
.
M
'
immagino
che
a
uno
spettatore
appassionato
non
possa
non
risultare
perfetto
e
non
dare
perciò
un
godimento
squisito
,
se
rappresentato
da
bravi
attori
.
Certo
perfetto
risulta
alla
lettura
e
dà
uno
squisito
godimento
a
uno
spassionato
lettore
.
E
Rosso
di
San
Secondo
può
andare
orgoglioso
d
'
aver
dato
una
pura
opera
di
poesia
al
teatro
italiano
,
che
accenna
a
innalzarsi
su
nuove
e
più
sicure
basi
.
StampaQuotidiana ,
Via
Pietralata
pareva
,
allora
,
in
capo
al
mondo
.
Era
una
traversa
di
via
Nomentana
,
aperta
,
all
'
imbocco
,
fra
le
mura
di
due
vecchi
giardini
.
Ci
si
arrivava
con
un
tram
sconquassato
che
sollevava
nuvoli
di
polverone
.
Attorno
a
quello
che
oggi
è
solamente
un
terreno
da
costruzioni
,
tutto
il
paesaggio
dev
'
essere
cambiato
,
e
certamente
,
se
mi
accadesse
di
percorrere
l
'
attuale
via
De
Rossi
dove
adesso
abita
Mario
Soldati
,
non
riconoscerei
la
vecchia
via
Pietralata
che
tanti
pomeriggi
e
tante
mattine
udì
sui
suoi
ciottoli
e
sul
suo
fango
campestre
il
mio
passo
di
ragazzo
,
fra
il
1918
e
il
1926
.
Da
un
lato
,
entrando
da
via
Nomentana
,
la
strada
confinava
col
muraglione
del
parco
di
Villa
Torlonia
;
dall
'
altro
con
terreni
e
vigne
di
antiche
proprietà
ecclesiastiche
.
In
quei
vigneti
e
fra
quei
muriccioli
degli
orti
e
dei
frutteti
,
si
erano
accampati
,
il
18
e
il
19
settembre
del
'70
,
i
bersaglieri
del
generale
Cadorna
che
dovevano
dare
l
'
assalto
a
Porta
Pia
.
Sotto
al
passo
dei
loro
battaglioni
aveva
risposto
,
poche
centinaia
di
metri
più
giù
,
l
'
eco
dei
sotterranei
delle
catacombe
di
Sant
'
Agnese
.
Dopo
aver
fiancheggiato
Villa
Torlonia
si
udiva
,
dietro
al
muro
,
il
grido
rauco
dei
pavoni
,
la
strada
sboccava
fra
le
sterpaglie
e
gli
orti
malaticci
di
una
zona
di
terreni
incolti
chiusi
da
siepi
polverose
e
da
barriere
tarlate
come
quelle
che
nell
'
Agro
si
usano
per
i
chiusi
dei
bufali
e
delle
vaccine
.
In
uno
di
quei
terreni
,
attorno
al
1910
,
il
cinema
muto
aveva
innalzato
il
baraccone
di
vetro
di
uno
«
studio
»
e
,
accanto
allo
spiazzo
dove
gli
operatori
venivano
a
girare
i
«
primi
piani
»
in
pieno
sole
,
era
venuta
su
la
«
palazzina
Ciangottini
»
:
una
villetta
con
tre
o
quattro
appartamenti
,
dove
Pirandello
era
andato
ad
abitare
con
la
figlia
Lietta
e
i
ragazzi
Stefano
e
Fausto
.
Era
una
casa
semplice
,
che
oggi
si
giudicherebbe
assai
modesta
,
con
una
piccola
anticamera
e
la
sala
da
pranzo
separata
dallo
studio
con
un
arco
vetrato
.
Nell
'
anticamera
,
c
'
erano
un
borghesissimo
attaccapanni
d
'
ottone
e
una
non
meno
borghese
cassapanca
di
imitazione
cinquecentesca
.
Le
case
di
Pirandello
non
assomigliarono
mai
a
quelle
che
in
Francia
e
anche
in
Italia
si
chiamarono
le
raisons
d
'
artiste
,
in
parte
museo
e
in
parte
magazzino
di
antiquariato
,
di
cui
esempi
classici
furono
la
casa
di
Victor
Hugo
nell
'
isola
di
Guernesey
,
il
«
granaio
»
dei
Goncourt
a
Parigi
,
la
«
sagrestia
»
di
Anatole
France
,
il
«
conventino
»
del
giovane
Claudel
che
fu
giudicato
insopportabile
da
Jules
Renard
,
e
,
saggi
supremi
,
la
Capponcina
e
il
Vittoriale
di
D
'
Annunzio
.
Pirandello
non
«
mise
in
scena
»
la
propria
vita
:
non
fu
il
«
tappezziere
»
che
D
'
Annunzio
amava
essere
.
Il
mondo
del
suo
spirito
si
proiettava
tutto
nel
rettangolo
del
foglio
bianco
su
cui
scrivere
.
Le
finestre
del
suo
studio
si
aprivano
su
un
panorama
campestre
macchiato
qua
e
là
dal
bianco
e
dal
rosa
di
qualche
villetta
,
sparso
di
riquadri
coltivati
a
carciofi
e
a
rape
,
o
abbandonato
a
praticelli
incolti
dove
all
'
alba
si
vedevano
camminare
lentamente
fra
siepe
e
siepe
le
donne
che
raccoglievano
la
cicoria
selvatica
.
In
quegli
stessi
prati
,
alla
sera
,
si
fermavano
le
greggi
delle
pecore
che
dovevano
aspettare
fino
a
notte
per
attraversare
nel
loro
viaggio
Roma
,
da
Porta
Pia
a
Porta
del
Popolo
.
In
quello
scenario
che
ancora
apparteneva
agli
ottocenteschi
sfondi
della
pittura
«
fuori
porta
»
,
capitava
ancora
nel
1920
di
vedere
,
con
il
loro
cane
ringhiante
,
gli
ultimi
pastori
dalle
gambe
avvolte
nelle
«
ciocie
»
.
Imboccata
la
via
Pietralata
,
si
continuava
a
camminare
un
pezzo
fra
le
mura
di
quei
giardini
.
La
via
era
,
nel
primo
tratto
,
in
lieve
salita
.
Le
mura
erano
di
vecchi
mattoni
rossi
,
mescolati
ogni
tanto
al
sasso
.
L
'
aria
era
quella
della
antica
periferia
papale
e
cardinalizia
,
che
Roma
conservò
fuori
Porta
Pia
anche
dopo
la
Breccia
del
1870
.
Molti
anni
erano
passati
da
allora
,
ma
Roma
,
da
queste
parti
,
non
si
era
ancora
allargata
.
L
'
unità
d
'
Italia
aveva
creato
i
suoi
nuovi
quartieri
in
via
XX
Settembre
e
nelle
sue
grigie
traverse
di
tipo
torinese
,
dove
Luigi
Pirandello
guardava
vivere
verso
i
primi
del
'900
quella
borghesia
attristita
che
passava
,
un
tipo
dopo
l
'
altro
,
nelle
sue
novelle
.
A
Porta
Pia
la
nuova
Roma
si
fermava
,
avanzava
con
rari
casoni
verso
viale
della
Regina
,
poi
cedeva
il
passo
a
quella
papale
,
alla
campagna
che
con
le
sue
lievi
ondulazioni
porta
all
'
Aniene
e
che
nasconde
nella
sua
terra
bruna
il
tufo
delle
catacombe
.
Terra
di
monasteri
e
di
vigneti
;
l
'
asfalto
era
ignoto
,
regnavano
ancora
,
nelle
vie
più
importanti
,
i
selci
e
i
selciaroli
.
Ogni
tanto
venivano
avanti
il
corteo
di
un
seminario
,
la
carrozza
di
un
cardinale
-
i
principi
della
Chiesa
non
avevano
ancora
adottata
l
'
automobile
-
una
coppia
di
cappuccini
.
La
via
Pietralata
aveva
un
'
aria
di
oremus
.
Piaceva
molto
,
per
la
sua
solitudine
,
ai
fidanzati
.
Le
ragazze
strappavano
dalle
siepi
un
fiore
di
gelsomino
e
lo
mordevano
mentre
,
a
bassa
voce
,
il
fidanzato
faceva
una
scena
di
gelosia
.
Il
giovane
,
che
io
ero
allora
,
andava
per
via
Pietralata
,
girava
in
fondo
dove
la
strada
fa
un
gomito
,
seguiva
una
siepe
,
suonava
al
cancelletto
della
villetta
.
«
C
'
è
il
professore
?
»
.
Il
professore
c
'
era
.
La
cameriera
non
annunciava
nemmeno
la
visita
quando
si
trattava
di
uno
degli
amici
di
Fausto
e
di
Stefano
.
Il
professore
li
lasciava
entrare
,
andare
e
venire
,
chiacchierare
,
ridere
,
fare
chiasso
.
Lui
stava
al
suo
tavolino
,
abituato
da
vent
'
anni
a
lavorare
con
i
figli
vicino
.
Restava
seduto
al
suo
vecchio
tavolino
,
che
sembrava
il
tavolo
da
lavoro
della
nonna
,
cintato
,
tutto
attorno
,
da
una
piccola
balaustrata
in
miniatura
.
Vecchie
lettere
,
bozze
,
manoscritti
,
giornali
,
tutto
era
andato
ammucchiandosi
su
quel
tavolino
da
vent
'
anni
.
Lì
erano
nati
quindici
volumi
di
novelle
e
lì
era
nato
Il
fu
Mattia
Pascal
.
Sul
ripiano
,
non
c
'
era
posto
che
per
una
sola
cartella
.
Davanti
,
stavano
due
boccettine
di
inchiostro
nero
e
di
inchiostro
rosso
.
Pirandello
usava
l
'
inchiostro
rosso
da
quando
aveva
cominciato
a
scrivere
per
il
teatro
:
lo
usava
per
le
didascalie
dell
'
azione
in
scena
.
Quello
nero
era
riservato
al
dialogo
.
Pirandello
alternava
metodicamente
le
due
penne
,
con
un
gesto
preciso
,
senza
fretta
.
Scriveva
dettandosi
a
mezza
voce
ogni
parola
,
come
in
un
monologo
.
I
personaggi
erano
vivi
in
lui
fin
dalla
prima
battuta
:
pareva
ch
'
egli
si
limitasse
a
prendere
voce
da
un
invisibile
suggeritore
.
Non
c
'
era
da
attendere
l
'
ispirazione
,
o
da
interrogare
il
vuoto
.
Se
il
personaggio
rideva
,
Pirandello
rideva
;
se
il
personaggio
implorava
,
Pirandello
implorava
;
se
il
personaggio
piangeva
,
Pirandello
piangeva
.
E
se
l
'
altro
personaggio
del
dialogo
,
per
rispondere
,
imprecava
,
Pirandello
imprecava
,
e
la
commozione
scompariva
subito
dall
'
occhio
e
l
'
ira
lo
colorava
.
In
questo
alternarsi
di
sentimenti
non
dimenticava
l
'
inchiostro
rosso
:
e
,
prendendo
l
'
altra
penna
e
dettandosi
le
parole
delle
didascalie
,
Pirandello
era
,
all
'
improvviso
,
calmo
,
sereno
e
attento
,
e
guardava
un
attimo
innanzi
a
sé
come
se
avesse
voluto
controllare
su
un
invisibile
modellino
della
scena
,
i
movimenti
dei
suoi
personaggi
.
«
Siedi
un
momento
.
Tra
dieci
minuti
,
ho
finito
»
.
Il
ragazzo
sapeva
che
Pirandello
,
tre
mattine
prima
,
aveva
iniziato
una
nuova
commedia
.
Sapeva
che
Pirandello
prendeva
a
scrivere
alle
nove
e
che
,
di
solito
,
a
mezzogiorno
metteva
giù
la
penna
,
e
un
atto
era
finito
.
Improvvisazione
?
No
.
Le
novelle
di
Pirandello
«
covavano
»
talvolta
per
dieci
anni
.
Le
commedie
derivavano
dalle
novelle
,
ed
erano
state
«
covate
»
anche
loro
decine
d
'
anni
.
I
personaggi
avevano
ormai
preso
una
realtà
allucinante
:
bastava
soffiar
loro
sul
viso
perché
si
destassero
e
parlassero
.
Quando
il
personaggio
aveva
conquistato
,
ormai
,
la
sua
intera
ragione
,
lo
scrittore
gli
regalava
la
parola
.
Così
,
parola
per
parola
,
lo
accompagnava
alla
vita
.
C
'
era
dentro
allo
studio
un
sofà
piuttosto
sfondato
,
di
cui
si
sentivano
le
molle
cedere
e
cigolare
sotto
a
chi
sedeva
:
un
armadio
a
vetri
,
di
tipo
«
umbertino
»
conteneva
alla
rinfusa
qualche
fila
di
libri
slegati
,
scompagnati
,
sdruciti
.
Quella
era
la
«
biblioteca
»
di
Pirandello
,
che
vi
buttava
dentro
,
alla
rinfusa
,
senza
tagliarne
le
pagine
,
le
edizioni
nuove
delle
sue
opere
,
o
quelle
che
gli
arrivavano
delle
traduzioni
straniere
.
La
sua
indifferenza
per
un
se
stesso
inquadrato
in
un
clima
da
museo
era
totale
.
Una
volta
,
per
varie
settimane
,
vidi
nello
stesso
angolo
di
quel
divano
un
enorme
pacco
,
arrivato
dalla
Spagna
,
con
gli
spaghi
intatti
.
Alla
fine
,
ottenni
da
lui
il
consenso
di
aprirlo
:
conteneva
una
ventina
di
volumi
delle
sue
obras
tradotte
in
spagnolo
.
Quando
glielo
annunciai
e
gli
chiesi
dove
avrei
potuto
riporre
in
bell
'
ordine
quei
libri
,
Pirandello
alzò
appena
gli
occhi
dal
tavolino
e
fece
un
cenno
come
per
dire
:
«
E
che
me
ne
importa
?
»
.
Il
ragazzo
aspettava
.
Pirandello
continuava
a
scrivere
,
alternando
l
'
inchiostro
rosso
e
l
'
inchiostro
nero
,
con
la
mano
tranquilla
come
quella
di
uno
scrivano
di
notaio
.
Il
sole
entrava
dalla
finestra
nello
studio
-
salotto
:
illuminava
l
'
armadio
a
vetri
della
piccola
libreria
dove
,
in
uno
sportello
,
era
infilata
una
vecchia
fotografia
fatta
all
'
università
di
Bonn
:
una
fotografia
heiniana
.
II
ragazzo
stava
fermo
,
per
non
dare
fastidio
,
essendo
giunto
in
anticipo
sull
'
ora
prevista
.
Non
alzava
gli
occhi
al
tavolino
dello
scrittore
per
non
disturbarlo
.
Guardava
ogni
tanto
la
sua
immagine
che
si
rifletteva
nel
vetro
della
libreria
,
un
po
'
sfumata
,
un
po
'
azzurrata
.
Seguiva
là
il
gioco
di
quel
volto
che
non
era
più
il
volto
di
Pirandello
,
ma
quello
dei
suoi
personaggi
.
La
voce
che
dettava
era
,
alla
distanza
di
pochi
metri
,
inintelligibile
;
ma
il
tono
mutava
,
saliva
,
scendeva
,
toccava
le
note
del
pianto
,
del
disgusto
,
dello
sgomento
,
dell
'
orrore
,
della
stupefazione
.
Pirandello
posò
la
penna
dell
'
inchiostro
nero
.
Prese
l
'
altra
per
una
ultima
didascalia
.
Poi
guardò
,
contro
luce
,
se
la
pagina
era
asciutta
.
Raccolse
le
cartelline
,
ne
fece
un
mucchietto
,
riscontrò
la
numerazione
.
Domandò
che
ora
era
.
Domandò
anche
:
«
Cosa
mi
hai
portato
?
»
«
Una
novelletta
.
»
Si
alzò
.
Venne
verso
il
ragazzo
,
si
fece
dare
i
suoi
fogli
.
Disse
:
«
La
leggerò
stasera
.
Oggi
,
a
pomeriggio
,
devo
scrivere
il
terzo
atto
,
l
'
ultimo
,
di
un
'
altra
commedia
»
.
«
E
questa
che
ha
finito
adesso
,
professore
,
come
si
intitola
?
»
«
È
,
te
l
'
ho
detto
,
quella
commedia
,
dei
personaggi
che
cercano
un
autore
.
Si
intitola
appunto
Sei
personaggi
in
cerca
d
'autore.»
Poi
parlò
subito
d
'
altro
.
StampaQuotidiana ,
Soltanto
quando
si
sia
arrivati
alla
fine
,
e
meglio
ancora
si
siano
lasciati
passare
parecchi
giorni
dopo
la
lettura
,
si
comprende
con
una
chiarezza
che
dà
l
'
impressione
di
cose
vedute
e
vissute
realmente
,
che
non
a
uno
a
uno
i
particolari
inesauribili
,
quasi
momentanei
,
con
tutte
le
variabilità
accidentali
o
illogiche
,
determinate
o
da
moti
istintivi
o
da
cangiamenti
istintivi
di
immagini
,
di
pensieri
,
di
sentimenti
,
d
'
umori
,
di
desiderii
,
per
segreti
richiami
e
incoercibili
analogie
,
non
solo
nel
riposto
animo
dei
personaggi
,
ma
tra
l
'
animo
di
questi
personaggi
e
i
casi
estranei
e
gli
aspetti
naturali
;
si
comprende
,
dicevo
,
che
non
i
particolari
a
uno
a
uno
si
sono
forzati
,
come
pareva
leggendo
,
a
metter
su
l
'
insieme
di
questo
romanzo
di
Federigo
Tozzi
Con
gli
occhi
chiusi
(
Milano
,
Fratelli
Treves
editori
,
1919
)
;
ma
,
cosa
veramente
mirabile
,
la
comprensione
radicale
,
il
totale
dominio
,
il
possesso
pieno
e
assoluto
di
questi
personaggi
e
del
loro
animo
,
dei
loro
casi
,
di
tutto
ciò
che
è
in
loro
e
attorno
a
loro
,
per
immediato
irradiamento
delle
loro
più
minute
sensazioni
e
impressioni
,
in
una
parola
,
l
'
insieme
ha
realmente
creato
per
suscitazione
spontanea
di
una
continua
,
attenta
,
vigile
momentaneità
creativa
tutta
quella
copia
inesauribile
di
particolari
vivi
,
che
in
prima
ci
era
parso
conducessero
come
a
caso
e
senza
determinate
vicende
la
sua
rappresentazione
.
Quando
s
'
è
finito
di
leggere
,
e
,
meglio
,
parecchi
giorni
dopo
la
lettura
,
Domenico
Rosi
,
l
'
oste
del
Pesce
azzurro
di
Siena
,
col
suo
podere
di
Poggio
a
'
Meli
,
Anna
sua
moglie
e
il
figlio
Pietro
,
Ghisola
Giacco
e
Masa
,
gli
assalariati
del
podere
,
gli
avventori
della
trattoria
di
Siena
,
e
quel
podere
e
quella
trattoria
,
uomini
e
cose
,
vicende
e
paesaggi
,
tutto
insomma
,
acquista
davanti
a
noi
una
tal
consistenza
di
realtà
,
che
veramente
ci
stupisce
,
perché
non
riusciamo
più
a
renderci
conto
,
come
davanti
alla
vita
stessa
,
quali
di
quei
tanti
particolari
che
parean
momentanei
e
casuali
,
quali
di
quelle
tante
notazioni
minute
,
che
parevano
incidentali
od
accidentali
,
e
anche
talvolta
svagate
,
abbiano
potuto
darcela
,
e
come
,
e
quando
,
così
perfetta
e
solida
,
così
intera
e
finita
,
tutta
quella
consistenza
di
realtà
.
Si
penserebbe
al
procedimento
di
certi
pittori
che
con
un
turbinio
di
punteggiature
,
in
cui
,
a
guardar
davvicino
sembra
che
ogni
tratto
,
ogni
linea
si
perda
,
riescono
poi
a
dare
a
distanza
con
insospettati
rilievi
d
'
ombra
e
giuochi
di
luce
una
inattesa
costruzione
di
forme
,
se
il
paragone
non
fosse
reso
fastidioso
e
inaccettabile
dall
'
assenza
,
qua
,
d
'
ogni
evidente
e
minuzioso
sforzo
di
tecnica
,
dalla
fluidità
continua
,
lieve
e
senza
ambagi
,
d
'
una
piena
e
felice
natività
espressiva
,
da
una
vena
di
lingua
viva
che
scorre
da
per
tutto
e
rinfresca
e
s
'
addentra
permanendo
a
toccar
con
la
parola
,
senza
che
si
veda
come
,
perché
lì
,
ogni
volta
,
la
parola
è
la
cosa
stessa
,
non
più
detta
,
ma
viva
.
Non
è
questo
.
È
ciò
che
in
principio
ho
notato
come
una
cosa
veramente
mirabile
;
la
comprensione
radicale
,
il
possesso
pieno
ed
assoluto
che
il
Tozzi
ha
di
quel
suo
mondo
da
esprimere
,
che
gli
ha
permesso
d
'
esprimerlo
quasi
col
procedimento
stesso
della
vita
,
in
cui
tutto
,
quando
si
stia
dentro
,
non
si
guardi
da
fuori
e
da
lontano
,
par
che
vada
a
caso
e
che
si
svolga
per
eventi
accidentali
,
giorno
per
giorno
,
oggi
così
e
domani
chi
sa
come
...
Si
direbbe
naturalismo
:
ma
non
è
neanche
questo
;
perché
qui
tutto
,
invece
,
è
atto
e
movimento
lirico
.
Quel
che
pare
naturalismo
è
invece
scrupolosa
lealtà
da
parte
dello
scrittore
,
il
suo
bisogno
ansioso
e
urgente
d
'
una
controllata
aderenza
dell
'
espressione
al
sentimento
suscitato
in
lui
dalle
cose
vedute
o
immaginate
in
questo
o
in
quel
luogo
,
in
questa
e
in
quell
'
ora
,
nella
tale
stagione
,
e
così
o
così
;
tutto
per
esser
poi
mosso
con
intera
padronanza
,
come
l
'
animo
dei
personaggi
,
e
anzi
,
nell
'
animo
stesso
dei
personaggi
,
allo
stesso
modo
,
con
la
più
naturale
variabilità
di
luci
e
di
colori
,
cosicché
nulla
posi
descritto
,
ma
viva
e
respiri
e
svarii
con
tutte
le
sue
mutevoli
precisioni
anche
il
paesaggio
.
E
come
non
posa
mai
descritto
il
paesaggio
,
così
non
si
sofferma
mai
raccontata
la
passione
di
Pietro
Rosi
per
Ghisola
,
né
mai
si
fissano
delineati
i
caratteri
e
le
figure
di
questi
e
degli
altri
personaggi
,
che
nell
'
instabile
rappresentazione
momentanea
ci
si
muovono
davanti
,
coi
loro
pensieri
subitanei
,
i
loro
capricci
,
le
loro
smanie
,
e
sofferenze
e
aspirazioni
e
illusioni
e
scontentezze
e
disinganni
,
ciascuno
con
tutte
le
sue
possibilità
d
'
essere
,
così
nel
bene
come
nel
male
,
soggetti
,
non
a
un
preconcetto
disegno
del
loro
autore
,
ma
quasi
a
ogni
possibile
evenienza
della
loro
sorte
;
e
noi
li
seguiamo
con
ansia
,
non
sapendo
mai
,
non
potendo
mai
prevedere
che
cosa
debba
o
possa
esser
di
loro
tra
poco
,
perché
se
i
casi
che
a
volta
a
volta
capitano
ad
essi
non
fossero
questi
,
ma
altri
,
essi
avrebbero
pure
in
sé
,
ben
note
a
noi
,
tutte
le
possibilità
d
'
una
diversa
vita
e
d
'
un
diverso
destino
.
Quella
Ghisola
,
così
viva
tutta
,
che
si
perde
,
e
quel
suo
Pietro
che
non
vede
,
sempre
vagante
in
cerca
di
sé
stesso
...
Ma
perché
così
?
ci
domandiamo
,
pur
sapendo
e
sentendo
che
così
è
giusto
,
e
che
è
soltanto
una
nostra
pena
per
loro
che
li
vorrebbe
altrimenti
.
È
così
.
E
non
perché
questo
sia
un
romanzo
della
loro
vita
;
ma
perché
la
loro
vita
è
in
questo
romanzo
,
così
.
E
il
romanzo
di
Federigo
Tozzi
,
per
questo
loro
modo
d
'
essere
,
che
è
poi
il
vero
modo
d
'
essere
,
appar
tutto
nuovo
e
una
cosa
veramente
viva
.
StampaQuotidiana ,
Chiuso
in
Italia
,
con
i
primi
anni
del
secolo
,
il
tempo
della
poesia
dei
«
grandi
professori
»
,
dei
dotti
rimatori
,
dei
vati
dalle
pupille
fiammeggianti
o
dal
cuore
di
«
fanciulloni
»
,
spenti
gli
ultimi
echi
delle
odi
civili
,
condannata
o
quasi
la
qualità
oratoria
dei
carmi
,
il
nostro
,
con
ogni
probabilità
apparirà
ai
posteri
come
il
tempo
dei
poeti
autodidatti
.
I
bassorilievi
con
le
immagini
delle
Muse
sono
scomparse
dagli
studi
dei
poeti
.
Cerchiamo
entro
al
fondo
dell
'
esperienza
culturale
nelle
stagioni
giovanili
di
quelli
che
sono
i
poeti
d
'
oggi
.
Troviamo
ingegneri
o
studenti
di
ingegneria
,
matematici
(
come
lo
fu
Valéry
)
,
giovanotti
che
ad
un
certo
momento
chiedono
il
pane
al
mestiere
di
antiquari
,
correttori
di
bozze
,
segretari
di
sindacati
,
se
non
sbaglio
,
dei
selciaroli
romani
-
parlo
di
Cardarelli
-
interpreti
e
traduttori
in
un
Ministero
degli
Esteri
,
come
Ungaretti
.
Verso
la
fine
dell
'
Ottocento
era
di
moda
compilare
dei
volumi
con
il
titolo
Il
primo
passo
,
nei
quali
gli
scrittori
raccontavano
per
quale
timido
o
fortunato
sentiero
fossero
giunti
ad
aprire
un
primo
spiraglio
nell
'
uscio
della
gloria
.
Anche
l
'
Italia
ha
avuto
i
suoi
giovani
poeti
infelici
,
i
suoi
poètes
maudits
o
addirittura
folli
e
vagabondi
come
Campana
:
ragazzi
che
aspiravano
a
diventare
attori
come
Palazzeschi
e
Moretti
,
giovani
condannati
dalla
tisi
come
Gozzano
:
e
anche
giovani
poeti
suicidi
,
o
,
al
tempo
del
primo
Futurismo
,
versoliberisti
che
,
otto
ore
al
giorno
,
sbrigavano
pratiche
al
Fondo
Culti
,
dietro
la
romana
Villa
Aldobrandini
.
Il
futurismo
,
che
arruolò
tanta
«
nuova
accademia
»
ebbe
poeti
maestri
di
scienze
tragiche
e
gelide
,
come
la
chirurgia
.
Altri
poeti
vissero
per
decine
d
'
anni
sepolti
in
una
biblioteca
o
in
una
libreria
«
circolante
»
.
Più
tardi
i
poeti
trovarono
il
loro
pane
nei
giornali
,
scrivendo
note
di
cronaca
nera
,
o
nel
mondo
del
rotocalco
,
componendo
in
righe
di
esatta
misura
didascalie
per
fotografie
di
moda
,
o
in
case
editrici
,
con
le
scrivanie
cintate
da
barricate
di
manoscritti
.
Ora
che
il
lauro
del
Premio
Nobel
corona
l
'
opera
di
Salvatore
Quasimodo
-
primo
poeta
nostro
che
venga
a
collocare
il
suo
nome
accanto
a
quello
di
Giosuè
Carducci
,
Nobel
del
1906
-
verranno
probabilmente
scritte
lunghe
pagine
sulla
storia
della
sua
vita
.
La
poesia
di
Quasimodo
non
ha
i
caratteri
autobiografici
che
usarono
nel
tempo
passato
:
sarà
difficile
raccogliere
le
citazioni
per
una
,
come
dice
una
collana
francese
,
vie
par
lui
même
.
La
sua
lirica
non
è
fatta
di
«
confessioni
e
ricordi
»
;
non
ha
,
ci
sembra
,
sfondi
di
paesaggi
e
di
ambienti
familiari
:
né
riflessi
identificabili
di
emozioni
sentimentali
.
La
vita
di
Quasimodo
-
uomo
dal
volto
sottilmente
altero
:
la
sua
«
maschera
»
è
stata
acutamente
studiata
per
busti
modellati
dal
suo
conterraneo
Francesco
Messina
e
da
Manzù
-
può
sostanzialmente
apparire
incolore
.
Il
futuro
poeta
-
molti
pensano
che
sia
siracusano
,
venuto
al
mondo
vicino
alle
fonti
della
Ninfa
Aretusa
-
nasce
a
Modica
,
nel
retroterra
agrario
di
quella
che
fu
la
Magna
Grecia
mediterranea
.
Vive
la
fanciullezza
in
una
piccola
stazione
ferroviaria
della
Sicilia
,
col
padre
che
spera
di
fare
di
lui
,
quando
sarà
uomo
,
un
ingegnere
.
Letture
infantili
di
grandi
poeti
:
studi
tecnici
e
scientifici
a
Messina
.
Dopo
due
anni
di
ingegneria
,
non
può
continuare
l
'
università
e
si
adatta
a
lavorare
da
geometra
:
campa
con
un
po
'
di
lavoro
avventizio
come
disegnatore
nello
studio
di
un
ingegnere
;
si
impiega
come
commesso
in
un
grande
«
emporio
»
milanese
;
riprende
la
sua
attività
di
geometra
per
quella
carriera
che
in
Francia
si
chiama
dei
ponts
et
chaussées
.
I
ricordi
più
antichi
della
figura
di
Quasimodo
-
che
ha
già
presentato
qualche
lirica
in
«
Solaria
»
e
per
il
quale
il
«
rondismo
»
appartiene
ad
una
generazione
che
ha
già
definito
e
concluso
il
proprio
ciclo
-
si
inquadrano
nel
mondo
milanese
après
1930
.
Egli
rappresenta
la
generazione
dei
giovani
emigranti
intellettuali
che
sono
«
piovuti
»
a
Milano
senza
precise
idee
su
quelle
che
potrà
essere
il
loro
lavoro
,
senza
precisabili
titoli
di
studio
,
senza
grosse
aderenze
nel
mondo
editoriale
che
non
vuole
poesia
e
cerca
ancora
gli
eredi
di
Da
Verona
.
Ecco
-
probabilmente
abitano
in
modestissime
camere
ammobiliate
-
un
tavolo
al
Savini
:
ma
assai
in
disparte
da
quelli
dei
giornalisti
famosi
,
delle
attrici
,
degli
autori
drammatici
:
distanti
anche
dal
tavolo
dove
siedono
i
pittori
del
gruppo
del
Novecento
.
È
il
tavolo
,
per
citare
qualche
nome
,
di
Francesco
Messina
,
di
Cesare
Zavattini
,
di
Raffaele
Carrieri
,
del
giovane
ingegnere
e
poeta
Leonardo
Sinisgalli
,
del
poeta
Orazio
Napoli
,
del
giovane
novelliere
toscano
Arturo
Tofanelli
,
del
pittore
Domenico
Cantatore
.
Gli
italiani
fanno
della
storia
e
della
critica
letteraria
di
toni
cogitabondi
.
Dall
'
aneddotica
,
dalla
cronaca
,
dal
diarismo
ci
si
tiene
al
largo
.
La
vita
della
Milano
di
quegli
anni
-
eppure
fu
la
città
del
Futurismo
,
della
Pittura
Metafisica
,
del
«
Novecento
»
,
dell
'
Ermetismo
-
non
ha
avuto
il
suo
André
Salmon
,
come
lo
ha
avuto
Parigi
.
Uomo
segretamente
inquieto
sotto
una
maschera
di
apparente
mutismo
,
Quasimodo
-
poeta
dal
nome
subito
indimenticabile
,
almeno
per
chi
abbia
letto
Notre
-
Dame
di
Victor
Hugo
-
sta
al
centro
di
quel
mondo
senza
riti
o
premi
letterari
.
Il
cenacolo
finirà
,
con
gli
anni
,
a
disperdersi
per
varie
vie
.
Adesso
,
inserito
nella
storia
letteraria
dal
Nobel
assegnato
a
quello
che
era
allora
il
geometra
di
Modica
,
esso
assume
una
sua
precisa
fisionomia
:
è
il
Cenacolo
di
Quasimodo
.
Erano
i
tempi
del
volume
di
liriche
Oboe
sommerso
,
di
sapore
,
mi
sembra
,
un
po
'
alla
Debussy
.
Quasimodo
diventa
un
portabandiera
dell
'
Ermetismo
.
I
suoi
primi
critici
sono
Montale
,
Giansiro
Ferrata
,
Vittorini
,
cui
seguono
Solmi
,
Anceschi
,
Bo
,
Vigorelli
.
Lo
definiscono
il
poeta
dalla
«
voce
assorta
»
che
modula
gli
echi
di
una
accorata
mitologia
decantata
dalle
scorie
di
qualunque
scolasticismo
.
In
breve
giro
d
'
anni
,
alcuni
suoi
versi
(
Ed
è
subito
sera
)
diventano
famosi
.
La
nonna
di
Quasimodo
ha
origini
greche
:
il
nipote
pensa
all
'
Ellade
come
ad
una
patria
perduta
,
e
al
mondo
come
il
misterioso
luogo
in
cui
tutti
cerchiamo
una
nostra
patria
,
e
cioè
la
fonte
di
tutte
le
nostre
origini
e
lo
schermo
di
tutte
le
nostre
speranze
.
Senza
singhiozzi
romantici
,
senza
«
fatti
personali
»
,
senza
autobiografiche
confessioni
desolate
,
vorrei
dire
che
Quasimodo
appare
ispirato
da
una
Musa
con
le
palpebre
mestamente
socchiuse
.
Idealmente
,
egli
è
riapprodato
al
sogno
delle
sue
antichissime
origini
ancestrali
,
attraverso
lo
studio
della
poesia
ellenica
,
al
quale
l
'
autodidatta
ha
potuto
dedicarsi
solo
alle
soglie
dell
'
età
matura
,
come
un
premio
della
giovinezza
povera
,
affaticata
,
oscuramente
laboriosa
.
Vicino
ormai
ai
sessant
'
anni
,
salvato
dalla
durissima
minaccia
di
una
malattia
che
stava
per
spezzare
il
suo
cuore
,
simile
in
tante
fasi
della
sua
vita
ad
un
«
ulisside
della
speranza
»
,
egli
parla
,
in
una
lirica
,
di
un
compagno
di
fanciullezza
,
nel
cui
volto
,
però
,
ci
pare
egli
guardi
se
stesso
come
in
uno
specchio
:
e
quel
fanciullo
io
amavo
/
sopra
gli
altri
;
destro
/
nel
gioco
della
lippa
e
delle
piastre
/
e
tacito
sempre
e
senza
riso
.
StampaQuotidiana ,
I
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
sdegnano
d
'
esser
tenuti
in
conto
di
letterati
,
perché
dicono
e
sostengono
che
il
teatro
è
teatro
e
non
è
letteratura
.
Non
vogliamo
malignare
fino
al
punto
di
credere
che
la
ragione
di
questo
loro
sdegno
abbia
in
gran
parte
radice
nella
serietà
dei
loro
guadagni
di
fronte
all
'
irrisorio
scherzo
dei
meschini
compensi
di
quei
poveri
illusi
che
sono
i
letterati
puri
.
Certo
essi
hanno
regolata
da
parte
loro
l
'
azienda
del
teatro
come
un
qualunque
istituto
commerciale
,
che
si
difende
da
altri
istituti
ugualmente
commerciali
,
interessati
da
un
'
altra
parte
nella
stessa
azienda
:
quello
dei
capocomici
e
quello
dei
proprietarii
e
gerenti
dei
teatri
:
norme
per
la
cessione
a
questa
o
a
quella
compagnia
della
loro
produzione
;
assegnazione
di
"
piazze
"
;
percentuale
su
gl
'
incassi
fissata
avanti
,
tanto
per
la
prima
rappresentazione
,
tanto
per
la
seconda
,
tanto
per
le
altre
seguenti
,
della
cui
riscossione
è
incaricata
la
Società
degli
Autori
di
Milano
,
la
quale
alla
fine
d
'
ogni
trimestre
manda
ai
soci
un
rendiconto
dei
proventi
,
che
per
dir
la
verità
per
quanto
male
vada
un
dramma
o
una
commedia
superano
sempre
di
molto
quelli
che
ogni
altro
scrittore
o
di
novelle
o
di
romanzi
(
non
parliamo
per
carità
dei
poeti
!
)
ricava
dalla
vendita
dei
suoi
libri
.
Non
c
'
è
dubbio
che
tutto
questo
non
ha
niente
da
vedere
con
la
letteratura
.
Possiamo
anche
concedere
che
veramente
il
loro
teatro
,
com
'
essi
vogliono
,
cioè
quella
loro
produzione
più
o
meno
abbondante
di
drammi
e
di
commedie
lanciata
sul
mercato
teatrale
,
non
è
letteratura
.
Resta
però
da
vedere
non
essendo
letteratura
come
e
sotto
qual
nuova
specie
debbano
essere
considerati
quei
loro
drammi
e
quelle
loro
commedie
,
quando
da
copioni
diventano
libri
,
quando
dalla
buca
del
suggeritore
passano
nella
vetrina
d
'
un
librajo
,
non
più
scritti
a
macchina
ma
stampati
da
un
editore
,
quando
dai
lauti
proventi
che
la
voce
e
il
gesto
degli
attori
han
procacciato
loro
dalle
tavole
d
'
un
palcoscenico
,
scendono
a
pietosamente
mendicare
le
tre
lirette
,
prezzo
di
copertina
,
tra
quegli
altri
mendicanti
esposti
alla
carità
pubblica
,
che
sono
i
volumi
di
novelle
e
i
romanzi
dei
poveri
letterati
puri
.
Ma
lasciamo
una
buona
volta
tutta
questa
contabilità
,
e
veniamo
a
noi
.
Qua
c
'
è
un
grosso
malinteso
da
chiarire
.
E
il
malinteso
consiste
appunto
nella
parola
letteratura
.
I
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
scrivono
male
,
non
solo
perché
non
sanno
o
non
si
sono
mai
curati
di
scriver
bene
,
ma
perché
credono
in
coscienza
che
lo
scriver
bene
a
teatro
,
sia
da
letterati
,
e
che
bisogni
invece
scrivere
in
quel
certo
modo
parlato
come
scrivon
loro
,
che
non
sappia
di
letteratura
,
perché
i
personaggi
dei
loro
drammi
e
delle
loro
commedie
dicono
non
essendo
letterati
,
non
possono
parlare
sulla
scena
come
tali
,
cioè
bene
;
debbono
parlar
come
si
parla
,
senza
letteratura
.
Così
dicendo
,
non
sospettano
neppur
lontanamente
ch
'
essi
confondono
lo
scriver
bene
con
lo
scriver
bello
,
o
piuttosto
,
non
vedono
di
cadere
in
questo
errore
:
che
scriver
bene
significhi
scriver
bello
;
e
non
pensano
che
lo
scriver
bello
di
certi
falsi
letterati
è
,
di
fronte
all
'
estimativa
estetica
,
per
un
eccesso
contrario
,
lo
stesso
vizio
del
loro
scriver
male
:
letteratura
che
non
è
arte
,
vale
a
dire
cattiva
letteratura
tanto
quella
di
chi
scrive
bello
,
quanto
quella
di
chi
scrive
male
,
e
condannabile
perciò
come
tale
,
anche
se
essi
non
vogliono
passar
per
letterati
.
Scriver
bene
un
dramma
o
una
commedia
non
significa
far
parlare
i
personaggi
in
una
forma
letteraria
,
cioè
in
un
linguaggio
non
parlato
e
per
sé
stesso
letterario
.
Questo
è
scriver
bello
.
Bisogna
far
parlare
i
personaggi
come
,
dato
il
loro
carattere
,
date
le
loro
qualità
e
condizioni
,
nei
varii
momenti
dell
'
azione
,
debbono
parlare
.
E
questo
non
vuol
mica
dire
che
ne
risulterà
un
linguaggio
comune
e
non
letterario
.
Che
significa
"
non
letterario
"
se
s
'
intende
far
opera
d
'
arte
?
Il
linguaggio
non
sarà
mai
comune
;
perché
sarà
proprio
a
quel
dato
personaggio
in
quella
data
scena
,
proprio
del
suo
carattere
,
della
sua
passione
o
del
suo
giuoco
.
E
se
i
personaggi
parleranno
ciascuno
in
questo
lor
proprio
modo
,
e
non
secondo
la
sciatteria
volgare
d
'
un
linguaggio
impreciso
,
approssimativo
,
che
denoterà
soltanto
la
incapacità
dell
'
autore
a
trovar
la
giusta
espressione
perché
non
sa
scrivere
,
la
commedia
sarà
scritta
bene
,
e
una
commedia
scritta
bene
,
se
anche
ben
concepita
e
ben
condotta
,
è
opera
d
'
arte
letteraria
come
un
bel
romanzo
o
una
bella
novella
o
una
bella
lirica
.
La
verità
è
che
i
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
son
tutti
rimasti
fermi
a
quella
beata
poetica
del
naturalismo
,
che
confuse
il
fatto
fisico
,
il
fatto
psichico
e
il
fatto
estetico
in
tale
graziosa
maniera
,
che
al
fatto
estetico
venne
a
dare
(
almeno
teoreticamente
,
poiché
in
pratica
non
era
possibile
)
quel
carattere
di
necessità
meccanica
e
quella
fissità
che
sono
proprie
del
fatto
fisico
.
Ora
bisogna
porsi
bene
in
mente
che
l
'
arte
,
in
qualunque
sua
forma
(
dico
l
'
arte
letteraria
,
di
cui
la
drammatica
è
una
delle
tante
forme
)
non
è
imitazione
o
riproduzione
,
ma
creazione
.
La
questione
del
linguaggio
,
dunque
se
e
come
debba
esser
parlato
;
la
pretesa
difficoltà
di
trovare
in
Italia
una
lingua
veramente
parlata
in
tutta
la
nazione
,
e
l
'
altra
questione
d
'
una
vita
nazionale
veramente
italiana
che
manca
per
dar
materia
e
carattere
a
un
teatro
che
si
possa
dire
italiano
,
come
se
appunto
natura
e
ufficio
dell
'
arte
fosse
la
riproduzione
necessaria
di
questa
vita
,
che
ciascuno
possa
riconoscere
per
dati
e
fatti
esteriori
;
e
tutte
quelle
altre
angustiose
quisquilie
e
vane
superstizioni
della
così
detta
tecnica
,
che
dovrebbe
rispecchiare
(
sempre
in
teoria
,
poiché
in
pratica
non
è
possibile
)
l
'
azione
come
ce
la
vediamo
svolgere
sotto
gli
occhi
nella
realtà
quotidiana
;
tutto
questo
è
tormento
accattato
di
martiri
volontarii
d
'
un
sistema
assurdo
,
d
'
una
aberrata
poetica
,
per
fortuna
da
un
gran
pezzo
ormai
superata
,
ma
a
cui
,
ripeto
,
dimostrano
d
'
esser
rimasti
fermi
i
signori
professionisti
del
teatro
.
Non
si
tratta
d
'
imitare
o
di
riprodurre
la
vita
;
e
questo
,
per
la
semplicissima
ragione
che
non
c
'
è
una
vita
che
stia
come
una
realtà
per
sé
,
da
riprodurre
con
caratteri
suoi
proprii
:
la
vita
è
flusso
continuo
e
indistinto
e
non
ha
altra
forma
all
'
infuori
di
quella
che
a
volta
a
volta
le
diamo
noi
,
infinitamente
varia
e
continuamente
mutevole
.
Ciascuno
in
realtà
crea
a
sé
stesso
la
propria
vita
:
ma
questa
creazione
,
purtroppo
,
non
è
mai
libera
,
non
solo
perché
soggetta
a
tutte
le
necessità
naturali
e
sociali
che
limitano
le
cose
,
gli
uomini
e
le
loro
azioni
e
li
deformano
e
li
contrariano
fino
a
farli
fallire
e
cader
miseramente
;
non
è
mai
libera
anche
perché
,
nella
creazione
della
nostra
vita
,
la
nostra
volontà
tende
quasi
sempre
,
per
non
dir
proprio
sempre
,
a
fini
di
pratica
utilità
,
il
raggiungimento
di
una
condizione
sociale
,
ecc
.
,
che
inducono
ad
azioni
interessate
e
costringono
a
rinunzie
o
a
doveri
,
che
sono
naturalmente
limitazioni
di
libertà
.
Soltanto
l
'
arte
,
quando
è
vera
arte
,
crea
liberamente
:
crea
,
cioè
,
una
realtà
che
ha
solamente
in
sé
stessa
le
sue
necessità
,
le
sue
leggi
,
il
suo
fine
,
poiché
la
volontà
non
agisce
più
fuori
,
a
vincere
tutti
gli
ostacoli
che
si
oppongono
a
quei
fini
di
pratica
utilità
a
cui
tendiamo
nell
'
altra
creazione
interessata
,
voglio
dire
in
quella
che
tutti
ci
sforziamo
di
fare
,
quotidianamente
,
della
nostra
vita
,
così
come
possiamo
;
ma
agisce
interiormente
,
nella
vita
a
cui
intendiamo
dar
forma
,
e
di
questa
forma
appunto
,
ancora
dentro
di
noi
,
ma
già
viva
per
sé
stessa
e
dunque
quasi
del
tutto
ormai
indipendente
da
noi
,
diviene
il
movimento
.
E
questa
è
la
vera
e
l
'
unica
tecnica
:
la
volontà
intesa
come
libero
,
spontaneo
e
immediato
movimento
della
forma
,
quando
cioè
non
siamo
più
noi
a
voler
questa
forma
così
o
così
,
per
un
nostro
fine
;
ma
è
lei
,
assolutamente
libera
,
poiché
non
ha
altro
fine
che
in
sé
stessa
,
lei
che
si
vuole
,
lei
che
provoca
in
sé
e
in
noi
gli
atti
capaci
di
effettuarla
fuori
in
un
corpo
:
statua
,
quadro
,
libro
;
e
allora
soltanto
il
fatto
estetico
è
compiuto
.
Fuori
,
ordinariamente
,
le
azioni
che
mettono
in
rilievo
un
carattere
si
stagliano
su
un
fondo
di
contingenze
senza
valore
,
di
particolari
comuni
a
tutti
.
Volgari
ostacoli
impreveduti
,
improvvisi
,
deviano
le
azioni
,
deturpano
i
caratteri
;
piccole
miserie
accidentali
spesso
li
sminuiscono
.
L
'
arte
libera
le
cose
,
gli
uomini
e
le
loro
azioni
da
queste
contingenze
senza
valore
,
da
questi
particolari
comuni
,
da
questi
volgari
ostacoli
,
da
queste
accidentali
miserie
:
in
un
certo
senso
,
li
astrae
:
cioè
,
rigetta
,
senza
neppur
badarvi
,
tutto
ciò
che
contraria
la
concezione
dell
'
artista
e
aggruppa
invece
tutto
ciò
che
,
in
accordo
con
essa
,
le
dà
più
forza
e
più
ricchezza
.
Crea
così
un
'
opera
che
non
è
,
come
la
natura
,
senz
'
ordine
(
almeno
apparente
)
e
irta
di
contradizioni
,
ma
quasi
un
piccolo
mondo
in
cui
tutti
gli
elementi
si
tendono
a
vicenda
e
a
vicenda
cooperano
.
In
questo
senso
appunto
l
'
artista
idealizza
.
Non
già
che
egli
rappresenti
tipi
o
dipinga
idee
:
semplifica
e
concentra
.
L
'
idea
che
egli
ha
dei
suoi
personaggi
,
il
sentimento
che
spira
da
essi
evocano
le
immagini
espressive
,
le
aggruppano
e
le
combinano
.
I
particolari
inutili
spariscono
;
tutto
ciò
che
è
imposto
dalla
logica
vivente
del
carattere
è
riunito
,
concentrato
nell
'
unità
d
'
un
essere
,
diciamo
così
,
meno
reale
e
tuttavia
più
vero
.
Ma
ecco
ora
in
che
consiste
la
soggezione
inovviabile
del
teatro
,
rispetto
all
'
opera
d
'
arte
che
ha
già
avuto
la
sua
espressione
definitiva
,
unica
,
nelle
pagine
dello
scrittore
.
Questa
che
è
già
espressione
,
questa
che
è
già
forma
,
bisogna
che
diventi
materia
;
una
materia
a
cui
gli
attori
,
secondo
i
loro
mezzi
e
le
loro
capacità
,
debbono
a
lor
volta
dare
forma
.
Perché
l
'
attore
,
se
non
vuole
(
né
può
volerlo
)
che
le
parole
scritte
del
dramma
gli
escano
dalla
bocca
come
da
un
portavoce
o
da
un
fonografo
,
bisogna
che
riconcepisca
,
come
sa
,
il
personaggio
,
lo
concepisca
cioè
a
sua
volta
per
conto
suo
;
bisogna
che
l
'
immagine
già
espressa
torni
ad
organarsi
in
lui
e
tenda
a
divenire
il
movimento
che
la
effettui
e
la
renda
reale
sulla
scena
.
Anche
per
lui
,
insomma
,
l
'
esecuzione
bisogna
che
balzi
viva
dalla
concezione
,
e
soltanto
per
virtù
di
essa
,
per
movimenti
cioè
promossi
dall
'
immagine
stessa
,
viva
e
attiva
,
non
solo
dentro
di
lui
,
ma
divenuta
con
lui
e
in
lui
anima
e
corpo
.
Ora
,
benché
non
nata
nell
'
attore
spontaneamente
,
ma
suscitata
nello
spirito
di
lui
dall
'
espressione
dello
scrittore
,
questa
immagine
può
esser
mai
la
stessa
?
può
non
alterarsi
,
non
modificarsi
passando
da
uno
spirito
a
un
altro
?
Non
sarà
più
la
stessa
.
Sarà
magari
una
immagine
approssimativa
,
più
o
meno
somigliante
;
ma
la
stessa
,
no
.
Quel
dato
personaggio
sulla
scena
dirà
le
stesse
parole
del
dramma
scritto
,
ma
non
sarà
mai
quello
del
poeta
,
perché
l
'
attore
l
'
ha
ricreato
in
sé
,
e
sua
è
l
'
espressione
quantunque
non
siano
sue
le
parole
,
sua
la
voce
,
suo
il
corpo
,
suo
il
gesto
.
L
'
opera
letteraria
è
il
dramma
e
la
commedia
concepita
e
scritta
dal
poeta
:
quella
che
si
vedrà
in
teatro
non
è
e
non
potrà
essere
altro
che
una
traduzione
scenica
.
Tanti
attori
e
tante
traduzioni
,
più
o
meno
fedeli
,
più
o
meno
felici
;
ma
,
come
ogni
traduzione
,
sempre
e
per
forza
inferiori
all
'
originale
.
Perché
,
se
ci
pensiamo
bene
,
l
'
attore
deve
fare
e
fa
per
forza
il
contrario
di
ciò
che
ha
fatto
il
poeta
.
Rende
,
cioè
,
più
reale
e
tuttavia
men
vero
il
personaggio
creato
dal
poeta
,
gli
toglie
tanto
,
cioè
,
di
quella
verità
ideale
,
superiore
,
quanto
più
gli
dà
di
quella
realtà
materiale
,
comune
;
e
lo
fa
men
vero
anche
perché
lo
traduce
nella
materialità
fittizia
e
convenzionale
d
'
un
palcoscenico
.
L
'
attore
insomma
necessariamente
dà
una
consistenza
artefatta
,
in
un
ambiente
posticcio
,
illusorio
,
a
persone
e
ad
azioni
che
hanno
già
avuto
un
'
espressione
di
vita
ideale
,
qual
è
quella
dell
'
arte
e
che
vivono
e
respirano
in
una
realtà
superiore
.
E
allora
?
Hanno
ragione
i
signori
autori
drammatici
,
che
non
vedono
altro
che
il
teatro
,
e
che
dicono
e
sostengono
che
il
teatro
è
teatro
e
non
letteratura
?
Se
per
teatro
deve
intendersi
quel
luogo
dove
si
fanno
rappresentazioni
serali
e
diurne
,
con
degli
attori
,
a
cui
essi
dànno
argomento
e
materia
da
formare
quasi
lì
per
lì
in
scene
d
'
effetto
,
drammatiche
o
comiche
,
sì
.
Ma
in
questo
caso
,
come
posizione
di
fronte
all
'
arte
,
bisogna
che
si
rassegnino
a
stare
nella
stessa
linea
di
quei
facili
fucinatori
di
versi
che
si
prestano
a
fare
le
poesiole
sotto
le
vignette
di
certe
riviste
illustrate
.
Scrivono
,
non
per
il
testo
,
ma
per
la
traduzione
.
E
veramente
,
allora
,
non
ha
bisogno
affatto
di
letteratura
il
loro
teatro
.
Materia
per
gli
attori
;
a
cui
gli
attori
daranno
vita
e
consistenza
sulla
scena
.
Qualche
cosa
,
insomma
,
come
gli
scenarii
della
commedia
dell
'
arte
.
Ma
per
noi
il
teatro
vuol
essere
un
'
altra
cosa
.
StampaQuotidiana ,
Malato
da
molti
anni
,
Umberto
Saba
,
forse
,
soffriva
soprattutto
di
melanconia
e
di
una
complessa
angoscia
che
doveva
in
gran
parte
risalire
al
trauma
di
cui
aveva
duramente
sofferto
durante
il
lungo
periodo
delle
persecuzioni
razziali
.
Il
problema
del
«
sangue
»
,
come
quello
della
religione
,
era
stato
presente
nella
sua
vita
fin
da
quando
il
padre
suo
aveva
abbandonato
la
moglie
ebrea
,
lasciandola
sola
e
in
povertà
con
un
bambino
gracile
e
pallido
.
Il
seme
di
una
cupa
ingiustizia
lo
aveva
accompagnato
fin
dall
'
infanzia
.
Nato
cattolico
,
aveva
voluto
dichiararsi
spiritualmente
ebraico
,
scegliendo
fra
quello
paterno
e
quello
materno
,
quest
'
ultimo
sangue
;
e
si
era
iscritto
alla
comunità
israelita
.
Al
tempo
delle
leggi
razziali
,
non
aveva
ancora
sessant
'
anni
,
ma
era
stanco
,
pallido
,
esangue
sino
a
sembrare
quasi
cereo
.
Egli
fu
considerato
un
«
ebreo
volontario
»
.
Per
questo
,
la
sua
«
posizione
»
si
presentava
gravissima
.
Saba
non
era
certamente
un
uomo
preparato
a
lottare
se
non
per
problemi
puramente
spirituali
.
Aveva
amato
l
'
Italia
con
un
amore
che
l
'
aveva
condotto
a
lasciare
Trieste
nel
1914
e
ad
arruolarsi
volontario
con
gli
altri
irredenti
.
Poi
si
era
ritirato
nella
città
amata
e
finalmente
liberata
.
Non
aveva
la
possibilità
di
una
professione
precisa
:
aveva
pubblicato
,
nelle
edizioni
della
«
Voce
»
due
piccole
raccolte
di
versi
che
non
gli
avevano
dato
diritti
d
'
autore
se
non
per
acquistare
qualche
pacchetto
di
sigarette
.
Non
poteva
vivere
con
il
semplice
pane
della
buona
stima
letteraria
fruttata
da
quei
versi
.
Nel
191.9
,
lasciato
a
casa
il
«
grigioverde
»
,
passeggiando
per
le
vie
di
Trieste
,
si
fermò
davanti
ad
una
libreria
antiquaria
in
strada
San
Nicolò
.
Dopo
qualche
giorno
il
padrone
della
bottega
lo
osservò
:
fattosi
sulla
soglia
della
bottega
,
attaccò
discorso
e
gli
confidò
,
che
non
solo
i
volumi
,
ma
l
'
intero
«
commercio
»
era
in
vendita
.
Da
quel
colloquio
nacque
il
Saba
libraio
antiquario
.
I
suoi
contatti
con
il
mondo
sarebbero
stati
rarissimi
-
Saba
aveva
troppi
«
complessi
»
per
noti
esser
destinato
all
'
esistenza
del
deraciné
:
solo
nelle
quattro
stanze
di
casa
,
con
la
moglie
e
con
la
figlia
,
la
sua
«
pianticella
»
fioriva
serena
-
se
ogni
tanto
le
necessità
del
commercio
librario
non
lo
avessero
costretto
a
prendere
un
treno
per
recarsi
a
Milano
o
a
Firenze
per
qualche
acquisto
.
Allora
Saba
appariva
-
ma
non
andava
a
cercare
nessuno
:
bisognava
incontrarlo
per
caso
-
nelle
città
dove
la
vita
letteraria
era
più
intensa
.
Camminava
rasente
ai
muri
,
con
un
berretto
da
ciclista
in
capo
,
sulla
testa
calva
,
e
con
il
collo
avvolto
in
uno
scialle
.
Era
difficile
portarlo
a
discorrere
di
letteratura
o
a
esprimere
giudizi
.
Parlava
con
una
voce
di
testa
,
quasi
da
sonnambulo
,
piegata
talvolta
in
un
modulo
che
pareva
beffardo
,
ma
più
spesso
resa
soffocata
da
una
intonazione
affettuosa
.
Sapeva
che
gli
amici
della
sua
poesia
erano
pochi
;
e
non
cercava
di
aumentarli
.
La
sua
Trieste
era
quella
di
Silvio
Benco
,
di
Slataper
,
di
Svevo
:
città
di
alti
fervori
letterari
ad
un
incrocio
di
razze
e
di
lingue
.
Saba
avrebbe
potuto
assimilare
facilmente
i
profumi
e
i
sapori
del
linguaggio
poetico
più
moderno
:
ma
come
non
era
appartenuto
al
gruppo
della
«
Ronda
»
,
così
non
seguì
gli
ermetici
.
Il
suo
affetto
e
la
sua
consanguineità
erano
tutti
per
il
tempo
dello
«
Stil
nuovo
»
:
Petrarca
lo
aveva
affascinato
sin
dall
'
adolescenza
:
e
il
risultato
di
questi
affetti
si
era
già
definito
al
tempo
dei
volumetti
intitolati
Poesie
e
Coi
miei
occhi
o
di
vari
anni
prima
della
guerra
del
'15
.
Saba
era
rimasto
assolutamente
indifferente
alla
tentazione
del
Futurismo
,
così
come
era
stato
lontano
dal
dannunzianesimo
e
dal
sospiro
dei
crepuscolari
.
La
solitudine
nella
quale
amava
vivere
salvò
la
schiettezza
e
il
metallo
di
quell
'
alta
melanconia
lirica
che
ispira
il
Canzoniere
,
animato
da
temi
che
potevano
sembrare
a
volte
aspri
,
a
volte
dimessi
e
a
volte
quasi
freudianamente
inquietanti
.
Fu
poeta
d
'
amore
,
ma
di
un
amore
umbratile
,
del
.
tutto
chiuso
nella
storia
di
una
fedeltà
familiare
.
Venne
nella
sua
vita
di
uomo
non
lontano
dai
sessant
'
anni
la
tragedia
delle
persecuzioni
.
Si
rifugiò
a
Parigi
;
ma
la
nostalgia
dell
'
Italia
era
troppo
grande
.
Non
potendo
farsi
vedere
a
Trieste
,
cercò
un
riparo
a
Firenze
:
costretto
a
vagare
intimorito
da
un
nascondiglio
all
'
altro
.
Questo
affanno
e
questi
incubi
stremarono
le
sue
forze
.
Sfuggì
alla
deportazione
e
alla
morte
:
ma
nell
'
ora
della
salvezza
quello
che
si
risvegliò
ad
una
nuova
vita
era
ormai
un
uomo
distrutto
,
costretto
a
lunghissimi
riposi
,
quasi
oramai
assente
da
ogni
interesse
umano
,
se
non
al
segreto
profondo
del
cuore
avvilito
e
umiliato
dallo
spettacolo
di
crudeltà
ai
cui
limiti
sanguinosi
aveva
dovuto
vivere
.
Adesso
,
di
lui
,
resta
il
Canzoniere
,
con
il
suo
alto
carico
di
fervori
,
di
melanconie
,
di
introspezioni
,
con
i
suoi
non
corrotti
incantesimi
verbali
,
con
certe
sue
musiche
che
paiono
luci
diafane
in
lento
trascolorare
.
Che
di
un
poeta
si
possa
dire
che
la
sua
opera
«
resta
»
,
questo
è
il
massimo
approdo
.
Egli
-
all
'
anagrafe
era
Umberto
Poli
-
aveva
scelto
per
nome
di
poeta
quello
di
Saba
che
in
ebraico
vuol
dire
«
pane
»
.
Era
come
promettersi
,
con
animo
dolente
,
alla
comunione
con
gli
uomini
.
StampaQuotidiana ,
Dietro
il
cancellino
d
'
un
orto
,
due
alberetti
di
mandorlo
.
D
'
inverno
,
parevano
morti
.
Forse
erano
;
forse
no
;
o
uno
sì
e
uno
no
.
Nessuno
poteva
dirlo
,
perché
gli
alberi
che
non
siano
di
verde
perenne
bisogna
aspettar
marzo
per
vedere
quali
sono
morti
e
quali
no
.
A
marzo
si
vide
che
uno
solo
di
quei
due
alberetti
era
vivo
:
quello
dietro
al
pilastrino
più
alto
del
cancello
.
E
fu
una
pena
veder
l
'
altro
rimanere
lì
,
nudo
e
stecchito
,
accanto
a
quello
che
,
nella
chiara
mattina
,
rideva
al
sole
come
d
'
un
brillio
di
farfalle
che
vogliano
e
non
vogliano
posarsi
.
Se
non
che
,
ripassando
dopo
alcuni
giorni
davanti
al
cancellino
di
quell
'
orto
una
sorpresa
.
O
il
dubbio
d
'
aver
forse
sbagliato
la
prima
volta
.
Dei
due
alberetti
non
era
più
fiorito
quello
dietro
il
pilastrino
più
alto
;
ma
l
'
altro
.
Possibile
?
Era
piovuto
,
in
quei
giorni
,
furiosamente
.
Forse
la
furia
della
pioggia
aveva
abbattuto
i
fiori
dell
'
uno
e
svegliato
l
'
altro
dal
sonno
invernale
,
in
cui
s
'
era
troppo
indugiato
?
Ecco
,
sì
;
qualche
bianca
fogliolina
ingiallita
,
superstite
,
esitava
ancora
nei
rami
di
quello
ch
'
era
fiorito
prima
.
La
pioggia
aveva
dunque
distrutto
veramente
la
lieta
,
precoce
fioritura
.
Ma
la
sorpresa
si
rinnovò
più
viva
,
e
accompagnata
da
uno
scoppio
di
risa
,
quando
davvicino
si
poté
vedere
come
e
di
che
era
tutto
fiorito
quell
'
altro
alberetto
dietro
il
cancellino
di
quell
'
orto
chiuso
.
Signori
miei
,
di
bianche
lumachelle
!
Non
erano
fiori
!
Era
no
lumachelle
!
Tutti
i
rami
scontorti
di
quell
'
alberetto
morto
s
'
erano
incrostati
,
rabescati
di
bianche
lumachelle
,
schiumate
or
ora
dalla
terra
grassa
,
dopo
l
'
acquata
tempestosa
.
E
pareva
che
argutamente
,
nell
'
umido
grigiore
frizzante
dell
'
aria
ancora
ben
lontana
dal
rasserenarsi
,
quell
'
alberetto
,
fiorito
così
per
burla
,
dicesse
a
dispetto
dell
'
altro
che
aveva
così
presto
perduto
i
suoi
fiori
:
Eccomi
qua
!
Vedi
?
Io
sì
,
ora
,
e
tu
no
.
Fiorisco
come
posso
.
Una
fioritura
per
cui
senza
dubbio
chi
credesse
di
doverne
ridere
,
bisognava
ci
mettesse
un
po
'
di
buona
volontà
.
Perché
non
era
poi
molto
allegro
fiorir
così
.
Fioritura
finta
,
sì
;
ma
intendiamoci
.
Non
volevano
mica
parer
fiori
veri
tutte
quelle
bianche
lumachelle
;
e
né
fiori
finti
,
come
sarebbe
di
pezza
o
di
carta
o
di
cera
.
No
.
Volevano
parere
quel
che
erano
veramente
:
lumachelle
bianche
,
lì
incrostate
,
in
strani
e
pur
naturali
rabeschi
,
su
quei
rami
scontorti
dell
'
alberetto
morto
.
Oh
morto
,
sì
!
E
non
voleva
mica
dare
a
intendere
che
l
'
albero
fosse
vivo
,
quella
fioritura
di
lumachelle
.
Dava
anzi
a
veder
chiaramente
che
lo
credeva
morto
e
che
non
lo
prendeva
sul
serio
,
facendolo
fiorir
così
.
Rideva
di
sé
stessa
così
evidentemente
,
Dio
mio
,
quella
fioritura
.
La
colpa
era
di
quella
grande
acquata
,
che
prima
di
scaricarsi
aveva
per
tanto
tempo
incavernato
il
cielo
coi
neri
nuvoloni
che
la
contenevano
,
in
una
tetraggine
attonita
e
spaventevole
.
L
'
alberetto
ne
era
morto
.
Quell
'
altro
che
s
'
era
provato
,
in
una
illusione
di
sereno
,
a
fiorire
,
appena
scaricata
la
tempesta
,
aveva
subito
perduto
i
suoi
fiori
.
E
neanche
era
colpa
di
quella
fioritura
di
lumachelle
,
se
i
rami
dell
'
alberetto
,
privi
com
'
erano
di
frondi
illusorie
,
si
mostravano
così
tutti
scontorti
.
Può
la
caduca
illusione
della
primavera
nascondere
lo
scontorcimento
dei
rami
.
I
rami
nudi
non
piaceranno
ma
son
così
per
sé
,
scontorti
.
Del
resto
,
guardate
:
quanto
più
e
come
meglio
sanno
e
possono
s
'
adoperano
anch
'
esse
a
nascondere
la
triste
nudità
dei
rami
,
queste
graziose
lumachelle
.
Non
sono
tutte
gusciaglia
.
Guardate
qui
che
bollichìo
iridescente
,
ora
che
si
mettono
a
far
la
bava
!
Eh
,
i
fiori
,
profumo
;
le
lumachelle
,
bava
.
Ma
fa
pure
un
bel
vedere
,
questa
bava
che
luce
,
or
che
rigonfia
così
tutta
fervida
e
così
tutta
riflessi
e
colorata
,
or
che
risiede
frigida
,
e
vi
spuntano
per
entro
,
uno
più
lungo
e
l
'
altro
meno
,
gli
occhi
della
lumachella
che
fa
le
corna
per
guardare
intorno
,
a
tentoni
,
sorniona
.
Ma
voi
dite
:
I
fiori
veri
!
le
foglioline
vive
!
Lo
so
.
Bisognerebbe
vivere
e
non
pensare
:
dico
,
bearci
dei
fiori
(
quando
ci
sono
)
,
del
loro
profumo
,
e
dell
'
ombra
e
della
freschezza
delle
foglie
(
quando
ci
sono
)
;
e
non
riflettere
che
,
in
fondo
,
via
,
se
vogliamo
,
di
primavera
fiori
e
foglie
sono
molto
comuni
.
Si
dovrebbe
essere
come
quella
pianta
ispida
e
amara
,
che
ha
le
foglie
a
lama
con
la
spina
in
punta
,
la
pianta
che
non
vuole
neanche
esser
verde
,
che
alla
fine
fallisce
e
va
su
,
su
,
aerea
diritta
e
solitaria
,
e
in
cima
lassù
;
da
tutto
quel
suo
desiderio
estremo
d
'
altezza
e
d
'
aria
e
di
sole
esprime
un
fiore
,
un
fiore
unico
,
e
poi
muore
.
Ma
questi
alberetti
,
che
fioriscono
per
famiglie
,
quasi
in
cooperativa
,
stenti
,
angustiosi
,
tutti
allo
stesso
tempo
e
allo
stesso
modo
,
vi
assicuro
che
fan
pur
venire
a
qualche
alberetto
stravagante
la
voglia
di
morire
e
d
'
apparir
così
,
un
bel
giorno
,
fiorito
per
burla
,
di
bianche
lumachelle
.
Se
non
che
,
la
stravaganza
è
anch
'
essa
contagiosa
.
E
ahimè
,
sono
tanti
ormai
gli
alberetti
che
si
sono
messi
a
fiorir
così
di
lumachelle
!
Tanti
,
che
quasi
non
se
ne
può
più
.
IRONIA ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Seguito
,
se
non
vi
dispiace
,
a
parlare
del
"
grottesco
"
,
ma
questa
volta
seriamente
.
È
chiaro
che
,
componendo
un
grottesco
,
nessun
autore
crede
alla
realtà
in
sé
delle
cose
che
rappresenta
.
Ma
bisogna
bene
intenderci
prima
di
tutto
,
sul
non
credere
dell
'
autore
in
genere
(
non
solo
,
dunque
,
di
chi
componga
grotteschi
)
alla
realtà
del
mondo
da
lui
comunque
rappresentato
.
Si
potrebbe
dire
,
intanto
,
che
non
solamente
per
l
'
artista
,
ma
non
esiste
per
nessuno
una
rappresentazione
,
sia
creata
dall
'
arte
,
o
sia
comunque
quella
che
tutti
ci
facciamo
di
noi
stessi
e
degli
altri
e
della
vita
,
che
si
possa
credere
una
realtà
.
Sono
in
fondo
una
medesima
illusione
quella
dell
'
arte
e
quella
che
,
comunemente
,
a
noi
tutti
viene
dai
nostri
sensi
.
Pur
non
di
meno
,
noi
chiamiamo
vera
quella
dei
nostri
sensi
,
e
finta
quella
dell
'
arte
.
Tra
l
'
una
e
l
'
altra
illusione
non
è
affatto
,
però
,
questione
di
realtà
,
bensì
di
volontà
,
e
solo
in
quanto
la
finzione
dell
'
arte
è
voluta
,
voluta
non
nel
senso
che
sia
procacciata
con
la
volontà
per
un
fine
estraneo
a
sé
stessa
;
ma
voluta
per
sé
e
per
sé
amata
,
disinteressatamente
;
mentre
quella
dei
sensi
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
:
si
ha
,
come
e
in
quanto
si
hanno
i
sensi
.
E
quella
è
libera
;
e
questa
no
.
E
l
'
una
finzione
è
dunque
immagine
o
forma
di
sensazioni
,
mentre
l
'
altra
,
quella
dell
'
arte
,
è
creazione
di
forma
.
Il
fatto
estetico
,
effettivamente
,
comincia
sol
quando
una
rappresentazione
acquisti
in
noi
per
sé
stessa
una
volontà
,
cioè
quando
essa
in
sé
e
per
sé
stessa
si
voglia
,
provocando
per
questo
solo
fatto
che
si
vuole
,
il
movimento
(
tecnica
)
atto
ad
effettuarla
fuori
di
noi
.
Se
la
rappresentazione
non
ha
in
sé
questa
volontà
,
che
è
il
movimento
stesso
dell
'
immagine
,
essa
è
soltanto
un
fatto
psichico
comune
;
l
'
immagine
non
voluta
per
sé
stessa
;
fatto
spirituale
-
meccanico
,
in
quanto
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
;
ma
che
si
ha
in
quanto
risponde
in
noi
a
una
sensazione
.
Abbiamo
tutti
,
più
o
meno
,
una
volontà
che
provoca
in
noi
quei
movimenti
atti
a
creare
la
nostra
propria
vita
.
Questa
creazione
,
che
ciascuno
fa
a
sé
stesso
della
propria
vita
,
ha
bisogno
anch
'
essa
,
in
maggiore
o
minor
grado
,
di
tutte
le
funzioni
e
attività
dello
spirito
,
cioè
d
'
intelletto
e
di
fantasia
,
oltre
che
di
volontà
;
e
chi
più
ne
ha
e
più
ne
mette
in
opera
,
riesce
a
creare
a
sé
stesso
una
più
alta
e
vasta
e
forte
vita
.
La
differenza
tra
questa
creazione
e
quella
dell
'
arte
è
solo
in
questo
(
che
fa
appunto
comunissima
l
'
una
e
non
comune
l
'
altra
)
;
che
quella
è
interessata
e
questa
disinteressata
,
il
che
vuoi
dire
che
l
'
una
ha
un
fine
di
pratica
utilità
,
l
'
altra
non
ha
alcun
fine
che
in
sé
stessa
;
l
'
una
è
voluta
per
qualche
cosa
;
l
'
altra
si
vuole
per
sé
.
E
una
prova
di
questo
si
può
avere
nella
frase
che
ciascuno
di
noi
suoi
ripetere
ogni
qual
volta
,
per
disgrazia
,
contro
ogni
nostra
aspettativa
,
il
proprio
fine
pratico
,
i
proprii
interessi
siano
stati
frustrati
:
Ho
lavorato
per
amore
dell
'
arte
!
E
il
tono
con
cui
si
ripete
questa
frase
ci
spiega
la
ragione
per
cui
la
maggioranza
degli
uomini
,
che
lavorano
per
fini
di
pratica
utilità
e
non
intendono
la
volontà
disinteressata
,
suoi
chiamare
matti
i
poeti
,
quelli
cioè
in
cui
la
rappresentazione
si
vuole
per
sé
stessa
senz
'
altro
fine
che
in
sé
medesima
,
e
tale
essi
la
vogliono
,
quale
essa
si
vuole
.
Ora
una
rappresentazione
può
in
noi
volersi
anche
ironicamente
,
vale
a
dire
non
soltanto
cosciente
in
sé
della
sua
irrealità
,
ma
che
tale
anche
si
mostri
agli
altri
di
fuori
.
Perché
c
'
è
,
oltre
all
'
ironia
così
detta
retorica
,
che
consiste
in
una
contradizione
verbale
tra
quel
che
si
dice
e
quel
che
si
vuole
sia
inteso
,
un
'
altra
ironia
:
quella
filosofica
,
dedotta
dai
romantici
tedeschi
direttamente
dall
'
idealismo
soggettivo
del
Fichte
,
ma
che
ha
in
fondo
le
sue
origini
in
tutto
il
movimento
idealistico
germanico
post
-
kantiano
.
Hegel
spiegava
che
l
'
io
,
sola
realtà
vera
,
può
sorridere
della
vana
parvenza
dell
'
universo
:
come
la
pone
,
può
anche
annullarla
;
può
non
prender
sul
serio
le
proprie
creazioni
.
Onde
appunto
l
'
ironia
:
cioè
quella
forza
secondo
il
Tieck
che
permette
al
poeta
di
dominar
la
materia
che
tratta
:
materia
che
si
riduce
per
essa
secondo
Federico
Schlegel
a
una
perpetua
parodia
,
a
una
farsa
trascendentale
.
Ecco
una
bella
definizione
antica
di
molti
dei
più
significativi
grotteschi
moderni
:
farse
trascendentali
;
se
non
fosse
che
la
parola
"
farsa
"
,
per
l
'
uso
volgare
che
se
n
'
è
fatto
,
appropriandola
a
sciocchi
componimenti
di
grossolana
ilarità
,
non
ostante
quella
specificazione
di
"
trascendentale
"
,
potrebbe
indurre
gl
'
ignoranti
(
e
non
dico
i
maligni
)
a
fraintendere
.
A
non
intendere
,
cioè
,
che
sissignori
anche
una
tragedia
,
quando
si
sia
superato
col
riso
il
tragico
attraverso
il
tragico
stesso
,
scoprendo
tutto
il
ridicolo
del
serio
,
e
perciò
anche
il
serio
del
ridicolo
,
può
diventare
una
farsa
.
Una
farsa
che
includa
nella
medesima
rappresentazione
della
tragedia
la
parodia
e
la
caricatura
di
essa
,
ma
non
come
elementi
soprammessi
,
bensì
come
projezione
d
'
ombra
del
suo
stesso
corpo
,
goffe
ombre
d
'
ogni
gesto
tragico
.
O
quando
si
sia
arrivati
a
comprendere
che
,
essendo
assolutamente
arbitraria
ogni
nostra
conclusione
,
e
inevitabilmente
illusoria
,
quantunque
necessaria
,
ogni
costruzione
che
ci
facciamo
della
così
detta
realtà
arbitrio
per
arbitrio
e
irreale
per
irreale
spogliando
d
'
ogni
fittizia
apparenza
di
verità
la
favola
,
si
rappresenta
nella
sua
meccanicità
essenziale
l
'
arbitrio
di
quella
conclusione
,
e
nella
sua
frode
palese
quell
'
illusione
,
per
modo
che
appaja
quel
che
in
fondo
e
purtroppo
è
:
un
giuoco
,
ma
voluto
e
sentito
e
rappresentato
come
tale
.
Veramente
,
tra
quella
che
suol
chiamarsi
ironia
retorica
e
questa
filosofica
una
certa
parentela
si
può
scoprire
.
La
differenza
tra
l
'
una
e
l
'
altra
è
,
che
in
quella
non
bisogna
prender
sul
serio
ciò
che
si
dice
,
e
in
questa
ciò
che
si
fa
.
Ma
badiamo
:
non
prender
sul
serio
ciò
che
si
fa
,
non
vuoi
mica
dire
non
prender
l
'
arte
sul
serio
.
«
Chi
fa
un
lavoro
comico
osservò
una
volta
giustamente
il
De
Sanctis
non
è
esentato
dalle
condizioni
serie
dell
'
arte
»
.
Anzi
,
tanto
più
deve
attenersi
ad
esse
.
E
poneva
due
casi
il
De
Sanctis
:
quello
di
chi
dice
sciocchezze
con
intenzione
comica
e
fa
ridere
non
di
lui
ma
di
quel
che
dice
,
e
quello
di
chi
all
'
incontro
dice
sciocchezze
per
sciocchezze
e
fa
ridere
di
lui
e
non
di
ciò
che
ha
detto
.
Non
giurerei
che
nessuno
di
quanti
oggi
scrivon
grotteschi
non
sia
in
questo
secondo
caso
.