StampaQuotidiana ,
Scorrendo
riviste
di
cultura
,
estratti
di
rendiconti
accademici
,
relazioni
presentate
a
congressi
ed
altre
pubblicazioni
del
genere
può
accadere
di
incontrare
accaniti
ri
-
lettori
.
Titoli
come
«
Rileggendo
Jean
-
Jacques
»
,
«
Rileggendo
il
Pulci
»
,
«
Rileggendo
Melantone
»
sono
tutt
'
altro
che
improbabili
.
Un
così
fatto
zelo
di
erudizione
sarebbe
ammirevole
se
l
'
asserita
rilettura
non
fosse
del
tutto
immaginaria
.
Nella
grande
maggioranza
dei
casi
,
non
di
rilettura
si
tratterà
ma
di
un
primo
frettoloso
approccio
.
Rilegge
chi
ha
già
letto
;
e
il
tempo
delle
lente
e
meditate
letture
è
ormai
lontano
da
noi
.
In
particolare
,
si
leggono
sempre
meno
libri
,
mentre
è
assai
alto
il
numero
di
lettori
di
fogli
periodici
,
giornali
,
riviste
,
manifesti
murali
e
altra
roba
stampata
.
Ma
i
lettori
delle
pubblicazioni
volanti
,
giornaliere
,
non
leggono
:
vedono
,
guardano
.
Guardano
con
un
'
attenzione
«
fumettistica
»
anche
quando
sanno
leggere
davvero
;
guardano
e
buttano
via
.
I
nostri
treni
«
rapidi
»
,
giunti
a
destinazione
,
sono
un
cimitero
di
pubblicazioni
effimere
.
Restano
i
libri
,
sempre
più
numerosi
,
quanto
più
scarseggia
il
numero
dei
possibili
lettori
.
in
Italia
esistono
forse
trecento
librai
degni
del
nome
,
e
un
numero
di
editori
almeno
triplo
.
Il
fatto
è
singolare
perché
il
libro
,
come
oggetto
di
consumo
,
è
ingombrante
,
difficilmente
trasportabile
,
facilmente
deperibile
,
spesso
costituzionalmente
refrattario
a
una
rapida
alienazione
.
A
chi
presteremo
(
sperando
che
non
ci
siano
restituite
)
le
opere
complete
del
Bembo
o
dell
'
Alfieri
?
Sono
opere
importanti
,
che
da
anni
ingombrano
i
nostri
scaffali
:
è
quasi
certo
che
un
giorno
potranno
servirci
,
che
un
giorno
dovremo
affrontarne
la
rilettura
;
ma
intanto
pullulano
opere
più
urgenti
,
più
attuali
,
che
noi
siano
tenuti
a
leggere
sul
serio
,
e
i
nostri
scaffali
sono
al
completo
.
Un
tempo
erano
graditi
i
larghi
in
folio
,
i
robusti
in
quarto
,
utilissimi
a
stirare
i
pantaloni
,
dopo
un
giorno
di
pioggia
;
e
graditi
in
ordine
ascendente
(
o
discendente
,
se
si
guarda
al
formato
)
tutti
gli
altri
volumi
.
Persino
le
quasi
invisibili
farlallette
pubblicate
da
Vanni
Scheiwiller
non
rischiavano
di
essere
assorbite
dall
'
aspirapolvere
ed
erano
agevolmente
ospitate
tra
gli
interstizi
degli
altri
libri
.
Ma
oggi
?
Non
c
'
e
più
spazio
nelle
case
del
lettore
medio
;
per
lui
,
e
per
il
novanta
per
cento
dei
superstiti
lettori
,
il
libro
è
diventato
un
ospite
ingrato
.
Ricordate
i
piatti
di
terracotta
che
si
trovavano
una
volta
in
Toscana
?
Portavano
,
tutt
'
intorno
,
iscrizioni
ben
poco
incoraggianti
:
per
esempio
:
«
l
'
ospite
è
come
il
pesce
:
dopo
un
giorno
puzza
»
.
Ebbene
:
ospiti
di
questo
tipo
rischiano
di
essere
,
d
'
ora
in
poi
,
i
libri
ch
'
entrano
nella
casa
di
chi
vorrebbe
leggere
e
non
può
.
Non
venitemi
a
dire
che
oggi
un
libro
italiano
può
raggiungere
alte
tirature
(
centomila
copie
in
pochi
mesi
,
come
in
qualche
recente
caso
)
mentre
il
Mastro
-
don
Gesualdo
non
superava
,
dopo
trent
'
anni
,
il
secondo
migliaio
.
Se
anche
in
Italia
può
verificarsi
il
fenomeno
del
best
seller
,
questo
non
significa
nulla
.
Il
libro
che
il
vento
della
moda
porta
in
cresta
all
'
onda
può
o
non
può
avere
un
valore
letterario
,
ma
è
quasi
certo
che
chi
si
lascia
sedurre
da
quel
vento
e
acquista
il
libro
«
di
cui
si
parla
»
non
è
mosso
dall
'
impellente
bisogno
di
conoscere
un
'
opera
d
'
arte
,
bensì
dall
'
urgenza
di
conformarsi
a
un
supposto
obbligo
sociale
,
di
aggiornarsi
.
L
'
aggiornamento
è
una
delle
facce
dell
'
odierno
conformismo
.
Ed
è
naturale
che
l
'
obbligo
di
conformarsi
investa
anche
il
settore
del
libro
;
si
tratta
pure
sempre
di
casi
isolati
,
tali
da
non
infirmare
la
nostra
constatazione
:
che
oggi
la
vita
del
libro
si
fa
sempre
più
problematica
,
e
che
il
libro
come
oggetto
si
fa
sempre
meno
desiderabile
.
Come
oggetto
di
lusso
il
libro
non
ha
ancora
saturato
il
mercato
;
per
qualche
tempo
appariranno
ancora
,
nella
stagione
delle
strenne
,
i
grossi
volumi
custoditi
,
incassati
entro
fortilizi
di
cartone
,
costosissimi
,
non
maneggevoli
,
inimmaginabili
come
livres
de
chevet
e
perciò
destinati
a
non
essere
letti
da
nessuno
.
Tuttavia
è
raro
che
simili
pubblicazioni
abbiano
un
vero
valore
culturale
.
Chi
dispone
di
spazio
può
allogare
tali
imballaggi
sull
'
inaccessibile
fastigio
di
qualche
armadio
;
chi
invece
è
giù
assediato
da
altri
e
troppo
numerosi
volumi
fard
il
possibile
per
disfarsi
dei
nuovi
ingombranti
ospiti
e
per
salvare
dalla
distruzione
i
pochi
libri
che
per
lui
contano
.
Pochi
,
ma
sempre
troppi
per
la
maggior
parte
dei
lettori
.
Si
è
parlato
fin
qui
dei
lettori
che
più
contano
per
un
vero
scrittore
,
cioè
di
una
minoranza
di
lettori
.
Evidentemente
non
è
a
questi
che
può
rivolgersi
una
industria
culturale
in
grande
espansione
.
Ai
lettori
-
di
-
massa
,
molto
più
numerosi
,
il
tradizionale
libro
che
si
legge
e
si
ripone
nello
scaffale
è
ormai
inadeguato
.
Il
libro
che
ad
essi
conviene
è
quell
'
inelegante
,
commestibile
ed
equivoco
,
anzi
multivoco
,
prodotto
clic
si
chiama
il
«
condensato
»
.
Finora
si
è
proceduto
lentamente
su
questa
via
;
ma
è
questione
d
'
anni
.
Al
vero
libro
,
di
scarso
smercio
e
di
quasi
impossibile
collocazione
fisica
(
non
fa
piacere
di
buttarlo
via
)
viene
sostituito
1'Ersatz
del
falso
libro
:
il
prodotto
che
brucia
le
dita
se
non
si
getta
nel
portacenere
,
come
mozzicone
di
sigaretta
.
Si
prendono
-
si
prenderanno
sempre
più
-
alcuni
libri
più
o
meno
importanti
,
o
di
nessuna
importanza
,
vecchi
o
nuovi
,
e
se
ne
fanno
estratti
,
riassunti
,
riepiloghi
,
in
modo
che
un
solo
tomo
contenga
il
così
detto
«
meglio
»
-
quasi
sempre
il
peggio
-
di
quattro
o
cinque
opere
.
L
'
operazione
è
di
vecchia
data
.
Tutti
noi
abbiamo
letto
,
durante
la
nostra
infanzia
,
riduzioni
del
Don
Chisciotte
o
dei
Viaggi
di
Gulliver
ad
usum
delphini
;
e
pochi
di
noi
,
giunti
all
'
età
della
ragione
,
hanno
avuto
il
tempo
di
risalire
agli
originali
.
Oggi
si
è
compiuto
un
ulteriore
passo
:
le
opere
così
potate
e
macellate
non
sono
più
scelte
tra
i
capolavori
ma
tra
i
libri
recenti
.
Un
autore
odierno
sarebbe
felice
se
dopo
aver
smaltito
qualche
migliaio
di
copie
di
un
suo
libro
lo
vedesse
prolungare
la
sua
esistenza
sotto
la
forma
di
truciolo
,
frammischiato
ad
altri
trucioli
-
condòmini
di
varia
provenienza
.
Il
condensato
garantisce
un
notevole
supplemento
dei
diritti
d
'
autore
e
tiene
in
vita
il
nome
degli
scrittori
:
il
solo
nome
,
è
vero
,
ma
oggi
il
nome
è
quel
che
più
conta
.
Mi
correggo
:
il
nome
contava
fino
a
ieri
;
si
può
dire
che
conti
oggi
?
Solo
un
'
esigua
minoranza
di
coloro
che
ascoltano
una
commedia
è
in
grado
di
(
lire
o
ricordare
il
nome
dell
'
autore
;
solo
pochi
lettori
di
un
libro
terranno
a
mente
il
nome
di
chi
l
'
ha
scritto
.
Il
ricordo
si
effettua
nella
durata
e
nulla
è
più
sgradito
al
nostro
tempo
che
la
durata
.
Inteso
come
opera
destinata
a
restare
,
il
libro
non
è
oggetto
che
possa
interessare
l
'
uomo
economico
:
il
suo
vero
compito
è
di
produrre
il
maggior
rumore
momentaneo
e
poi
di
scomparire
per
far
luogo
ad
altri
oggetti
.
E
la
scomparsa
del
libro
può
anche
avvenire
in
molti
modi
:
per
esempio
,
trasformandolo
in
altro
oggetto
,
in
un
film
.
È
recente
un
concorso
per
romanzi
da
tradursi
in
pellicola
.
Che
cosa
chiedevano
i
promotori
di
quel
concorso
?
Certo
non
un
bel
romanzo
,
perché
i
romanzi
«
filmabili
»
abbondano
in
tutto
il
mondo
;
ed
è
ormai
quasi
certo
che
da
un
bel
romanzo
si
ricava
un
cattivo
film
o
almeno
un
film
che
tradisce
il
romanzo
e
lo
deforma
irreparabilmente
.
È
facile
supporre
che
Senilità
di
Svevo
trasferito
dal
1898
a
epoca
assai
più
recente
perda
quel
tipico
colore
locale
e
ambientale
che
ne
fa
un
capolavoro
fin
de
siècle
e
divenga
un
normale
imbroglio
di
gelosia
e
persino
alcoolismo
.
Simili
trapassi
,
e
quasi
direi
trasbordi
da
un
genere
artistico
a
un
altro
,
presuppongono
che
il
punto
di
partenza
,
l
'
originale
,
sia
assunto
come
materia
prima
e
trasformato
in
un
nuovo
manufatto
.
Un
'
analogia
potrebbe
esser
data
dall
'
olio
di
sansa
:
da
una
materia
oleosa
già
spremuta
si
estrae
,
con
solventi
chimici
,
altra
sostanza
meno
gradevole
ma
non
micidiale
.
Nel
caso
del
libro
,
però
,
il
nuovo
prodotto
è
ancora
più
lontano
dal
testo
primitivo
.
Non
importa
,
perché
tutto
è
compensato
da
un
vantaggio
:
ed
è
che
il
fastidioso
personaggio
dell
'
autore
viene
eliminato
e
a
lui
si
sostituisce
un
gruppo
di
nuovi
operatori
.
I
gruppi
possono
essere
diversi
se
dal
libro
si
cava
un
film
,
e
dal
film
una
commedia
o
viceversa
;
non
manca
il
caso
dello
scrittore
che
provvede
personalmente
ai
diversi
usi
e
mette
in
carta
contemporaneamente
romanzo
,
sceneggiatura
filmica
e
commedia
,
ma
è
un
caso
molto
raro
.
La
politica
economica
culturale
tende
al
«
pieno
impiego
»
ed
è
augurabile
che
molta
gente
venga
occupata
a
spolpare
lo
stesso
osso
.
Accade
persino
che
la
sceneggiatura
di
un
film
sia
pubblicata
in
forma
di
libro
e
così
il
cerchio
si
chiude
.
Trasformato
in
spettacolo
,
il
libro
passa
in
archivio
.
Eccolo
là
nello
scaffale
,
nella
vana
attesa
di
essere
ripreso
.
Ha
ancora
molti
segreti
da
rivelarci
,
lo
abbiamo
letto
in
anni
lontani
e
probabilmente
siamo
rimasti
alla
sua
superficie
.
Oppure
può
esser
vero
il
contrario
:
che
il
libro
già
famoso
si
riveli
illeggibile
.
Ma
è
tardi
,
altri
libri
chiedono
l
'
accessit
e
per
il
vecchio
libro
-
vecchio
talvolta
di
un
anno
o
due
-
non
c
'
è
più
speranza
di
salvezza
.
Anche
lo
scaffale
si
aggiorna
.
StampaQuotidiana ,
Le
recenti
vicende
che
stanno
travolgendo
la
popolarità
di
Ronald
Reagan
hanno
sollevato
un
vasto
dibattito
che
riguarda
non
soltanto
la
persona
del
presidente
ma
anche
l
'
istituzione
stessa
della
presidenza
della
repubblica
degli
Stati
Uniti
,
come
si
è
venuta
trasformando
negli
ultimi
decenni
.
Per
quanto
possa
sembrare
paradossale
,
si
va
dicendo
che
il
presidente
degli
Stati
Uniti
è
insieme
forte
e
vulnerabile
,
e
addirittura
tanto
più
vulnerabile
quanto
più
forte
.
Il
paradosso
consiste
nel
fatto
che
la
vulnerabilità
è
di
solito
considerata
caratteristica
di
un
potere
debole
.
Nell
'
ultimo
saggio
scritto
prima
della
morte
(
Autoritarismo
,
fascismo
e
classi
sociali
,
Il
Mulino
,
Bologna
1975
)
Gino
Germani
esprimeva
il
dubbio
che
i
pochi
governi
democratici
nel
mondo
attuale
potessero
sopravvivere
in
un
universo
di
Stati
in
gran
parte
non
democratici
.
Egli
fondava
questo
dubbio
sulla
convinzione
che
i
regimi
democratici
fossero
più
vulnerabili
sia
per
ragioni
interne
-
la
frammentazione
del
potere
che
consente
a
piccoli
gruppi
organizzati
di
inferire
colpi
mortali
alla
società
costretta
per
difendersi
a
violare
le
sue
stesse
regole
-
,
sia
per
ragioni
esterne
-
la
crescente
e
inarrestabile
dimensione
universale
della
politica
internazionale
che
avrebbe
favorito
i
regimi
autoritari
più
di
quelli
democratici
.
Entrambe
le
ragioni
mettevano
in
relazione
la
vulnerabilità
delle
democrazie
con
la
loro
debolezza
.
Soprattutto
per
quel
che
riguarda
la
politica
estera
,
la
stessa
tesi
è
stata
sostenuta
col
solito
vigore
e
furore
polemici
da
Jean
-
François
Revel
nel
libro
Come
finiscono
le
democrazie
(
Rizzoli
,
Milano
1984
)
.
Le
democrazie
sarebbero
destinate
a
finire
,
e
a
rappresentare
un
episodio
di
breve
durata
nella
storia
del
mondo
,
per
l
'
incapacità
di
difendersi
dal
loro
grande
avversario
,
il
totalitarismo
.
Questa
incapacità
sarebbe
dovuta
in
parte
ai
dissensi
interni
,
in
parte
all
'
eccesso
di
arrendevolezza
di
fronte
all
'
astuto
,
spietato
,
antagonista
.
Anche
in
questo
caso
la
vulnerabilità
è
interpretata
come
il
naturale
effetto
della
debolezza
.
In
che
senso
la
vulnerabilità
può
essere
fatta
derivare
piuttosto
dall
'
eccesso
di
forza
che
dall
'
eccesso
di
debolezza
?
La
risposta
è
stata
data
per
secoli
dai
classici
del
pensiero
politico
:
tanto
più
grande
il
potere
dei
governanti
tanto
più
forte
è
la
tentazione
che
essi
hanno
di
abusarne
,
vale
a
dire
di
esercitarlo
violando
o
aggirando
le
norme
stabilite
per
regolarlo
e
limitarlo
.
Tale
risposta
trova
piena
conferma
nell
'
affermazione
di
uno
dei
più
illustri
storici
contemporanei
degli
Stati
Uniti
,
Arthur
Schlesinger
,
che
in
un
'
intervista
di
questi
giorni
ha
detto
:
«
Gli
scandali
come
il
Watergate
,
oggi
l
'
Irangate
,
sono
la
risposta
patologica
alla
patologia
dell
'
onnipotenza
»
.
Naturalmente
vi
sono
regimi
in
cui
il
potere
è
forte
e
insieme
invulnerabile
.
Sono
gli
Stati
dispotici
ove
chi
governa
non
ha
,
come
diceva
Montesquieu
,
«
né
leggi
né
freni
»
.
Vi
sono
regimi
in
cui
leggi
fondamentali
esistono
ma
mancano
gli
organi
di
controllo
della
loro
osservanza
.
Sono
le
autocrazie
preliberali
in
cui
il
rispetto
delle
leggi
fondamentali
che
dovrebbero
limitare
il
potere
sovrano
è
demandato
allo
stesso
detentore
di
quel
potere
(
«
autocrate
»
è
letteralmente
colui
che
governa
se
stesso
)
.
Vi
sono
infine
regimi
in
cui
non
solo
il
potere
deve
essere
sempre
esercitato
entro
i
limiti
stabiliti
da
una
costituzione
formale
,
e
oggi
,
nella
maggior
parte
dei
casi
,
anche
rigida
,
ma
è
,
o
dovrebbe
essere
,
di
fatto
sottoposto
sempre
a
controlli
esterni
.
Sono
gli
Stati
democratici
.
Di
questi
controlli
due
sono
i
principali
:
quello
derivato
dalla
libertà
di
stampa
,
che
permette
la
formazione
di
un
'
opinione
pubblica
;
quello
derivato
dall
'
istituzione
della
divisione
dei
poteri
da
cui
nasce
il
controllo
del
potere
legislativo
su
quello
governativo
.
Sono
due
istituti
caratteristici
dello
Stato
democratico
,
di
cui
siamo
debitori
alla
tradizione
del
pensiero
liberale
,
che
ha
avuto
negli
Stati
Uniti
una
delle
sue
terre
d
'
elezione
.
Secondo
la
brillante
tesi
sostenuta
recentemente
da
Michel
Walzer
,
professore
di
scienze
sociali
all
'
Institute
for
Advanced
Studies
di
Princeton
,
lo
spirito
del
liberalismo
consiste
nell
'
«
arte
della
separazione
»
,
a
cominciare
dalla
separazione
dello
Stato
dalla
Chiesa
,
della
sfera
privata
dalla
pubblica
,
della
società
civile
dal
sistema
politico
,
per
finire
,
all
'
interno
del
sistema
politico
,
a
quella
tra
l
'
uno
e
l
'
altro
dei
massimi
poteri
.
Tutte
queste
separazioni
servono
,
come
afferma
Walzer
,
«
a
prevenire
e
a
combattere
l
'
uso
tirannico
del
potere
»
.
In
base
a
questa
tesi
è
lecito
sostenere
che
tanto
la
crisi
della
presidenza
Nixon
quanto
quella
della
presidenza
Reagan
siano
nate
proprio
dalla
violazione
del
principio
di
separazione
,
vale
a
dire
dalla
pratica
costante
,
e
per
un
certo
periodo
di
tempo
incontrollata
,
della
confusione
,
in
primo
luogo
della
confusione
fra
potere
legale
e
potere
personale
,
ovvero
nell
'
uso
personale
del
potere
legale
.
Si
capisce
quindi
perché
si
possa
parlare
di
vulnerabilità
a
proposito
tanto
di
un
governo
debole
quanto
di
un
governo
forte
.
Ma
se
ne
parla
in
due
sensi
diversi
.
Il
primo
è
vulnerabile
per
sua
natura
;
il
secondo
è
tale
in
un
contesto
istituzionale
in
cui
anche
il
supremo
potere
è
limitato
da
regole
giuridiche
.
Nel
primo
caso
la
vulnerabilità
è
un
fatto
negativo
,
e
induce
chi
la
denuncia
a
sostenere
che
la
democrazia
è
impraticabile
.
Nel
secondo
è
un
fatto
positivo
,
ed
è
anzi
la
riprova
che
i
meccanismi
di
controllo
del
potere
,
propri
dei
regimi
democratici
,
sono
entrati
,
se
pur
talora
tardivamente
,
in
azione
.
Nel
primo
caso
è
un
difetto
,
nel
secondo
il
rimedio
a
un
difetto
.
Un
rimedio
che
dimostra
se
mai
quanto
sia
difficile
il
pieno
rispetto
delle
regole
democratiche
nei
rapporti
internazionali
,
in
un
sistema
in
cui
la
maggior
parte
degli
Stati
non
sono
democratici
ed
è
esso
stesso
solo
apparentemente
democratico
,
in
realtà
ingovernabile
.
Sino
a
che
uno
Stato
non
democratico
vive
in
una
comunità
cui
appartengono
Stati
non
democratici
,
ed
è
essa
stessa
non
democratica
,
anche
il
regime
degli
Stati
democratici
sarà
una
democrazia
incompiuta
.
L
'
idea
del
vecchio
Kant
,
per
cui
la
condizione
preliminare
di
una
pace
perpetua
,
diversa
da
quella
dei
cimiteri
,
fosse
che
tutti
gli
Stati
avessero
egual
forma
di
governo
,
la
forma
repubblicana
,
quella
forma
di
governo
in
cui
per
decidere
della
guerra
occorre
l
'
assenso
dei
cittadini
,
non
era
il
«
sogno
di
un
visionario
»
.
Era
una
previsione
fatta
nella
forma
del
«
se
allora
»
.
Purtroppo
quel
«
se
»
-
«
se
tutti
gli
Stati
fossero
repubblicani
»
-
può
essere
per
ora
soltanto
l
'
oggetto
di
un
augurio
.
StampaQuotidiana ,
Il
piccolo
incidente
è
quello
del
Monopolio
delle
assicurazioni
in
Italia
;
della
teoria
generale
feci
cenno
nell
'
articolo
pubblicato
nella
rivista
del
mio
amico
Sorel
.
La
scienza
sperimentale
non
ha
dogmi
,
non
ha
principi
assoluti
,
e
di
qualsiasi
teoria
non
cessa
di
verificare
i
risultamenti
coll
'
esperienza
.
Perciò
mi
premeva
il
verificare
se
i
fatti
corrispondevano
o
non
corrispondevano
alle
deduzioni
già
pubblicate
;
e
mi
doleva
il
dovere
aspettare
molti
anni
;
ma
in
grazia
del
discorso
del
Giolitti
,
la
verificazione
è
venuta
sollecita
quanto
si
poteva
desiderare
.
Dicevo
che
il
disegno
del
Monopolio
aveva
per
scopo
di
favorire
certi
speculatori
;
ed
ecco
il
Giolitti
a
dichiarare
esplicitamente
che
questo
Monopolio
aveva
per
scopo
di
rafforzare
finanziariamente
lo
Stato
,
perché
potesse
sovvenire
enti
locali
,
aiutare
intraprese
,
sussidiare
sindacati
.
Così
viene
confermata
una
voce
che
già
si
sentiva
a
sussurrare
che
ci
sono
trusts
i
quali
aspettavano
il
detto
Monopolio
come
la
manna
del
cielo
.
C
'
è
poi
un
'
altra
conferma
,
sulla
quale
mi
astengo
dell
'
insistere
,
perché
desidero
rimanere
nel
campo
scientifico
,
lontano
da
ogni
personalità
.
Il
lettore
che
la
volesse
conoscere
,
prenda
l
'
elenco
dei
deputati
che
hanno
votato
ora
in
favore
del
Monopolio
,
e
di
fronte
ad
ogni
nome
metta
un
S
se
il
deputato
è
legato
a
speculatori
,
amico
,
parente
,
di
questi
,
o
speculatore
esso
stesso
;
e
vedrà
che
gli
S
sono
molti
,
moltissimi
.
Ce
ne
sono
anche
fra
gli
oppositori
;
ma
io
appunto
scrivevo
nell
'
articolo
rammentato
che
questa
era
battaglia
di
speculatori
.
Intanto
quei
molti
S
,
tra
i
partigiani
dell
'
on
.
Giolitti
dimostrano
che
la
frase
a
lui
tanto
rimproverata
era
giusta
.
Se
egli
avesse
detto
:
«
Preferisco
l
'
interesse
dello
Stato
a
quello
di
molti
capitalisti
»
,
sarebbe
andato
fuori
della
realtà
:
«
Preferisco
l
'
interesse
dello
Stato
a
quello
di
pochi
capitalisti
»
;
e
così
sta
benissimo
.
Egli
,
da
valente
condottiero
parlamentare
,
sa
che
la
maggioranza
è
dalla
parte
dei
molti
.
Generalmente
,
chi
è
ostile
ad
un
partito
si
ferma
a
considerazioni
analoghe
.
Credo
invece
che
occorre
andare
più
in
là
,
e
procurare
di
capire
il
perché
del
fenomeno
.
Eccovi
molte
persone
intelligenti
,
anzi
furbe
,
che
hanno
difeso
il
Monopolio
,
e
non
certo
per
motivi
intrinseci
ad
esso
.
Dunque
ci
dovevano
essere
motivi
estrinseci
.
Occorre
trovarli
.
Eccovi
socialisti
,
che
sono
solitamente
nemici
feroci
dei
sindacati
o
dei
trusts
,
e
che
procacciano
di
dare
allo
Stato
il
modo
di
aiutare
questi
sindacati
o
questi
trust
;
e
lo
aiutano
pure
a
sovvenire
capitalisti
e
speculatori
di
ogni
genere
,
dimenticando
opportunamente
le
teorie
del
plus
valore
.
Generalmente
ci
si
ferma
a
notare
ciò
,
e
si
grida
la
croce
addosso
all
'
avversario
che
cade
in
sì
potente
contraddizione
.
No
,
l
'
avversario
può
essere
in
perfetta
buona
fede
;
ed
il
fenomeno
è
generale
.
Eccovi
gente
che
si
dice
democratica
;
per
essi
conta
solo
,
il
benessere
del
popolo
;
il
rimanente
non
si
deve
nemmeno
rammentare
.
Dicono
di
volere
dare
le
pensioni
agli
operai
.
Molti
mezzi
efficaci
per
questo
ci
sarebbero
.
Ad
esempio
i
dazi
doganali
,
fatti
fiscali
invece
di
essere
protettivi
,
darebbero
una
somma
esuberante
al
bisogno
.
Se
non
volete
ciò
avete
l
'
imposta
progressiva
de
'
monopoli
:
potreste
prendere
quello
dello
zucchero
,
dei
fiammiferi
,
dell
'
alcool
,
od
altri
simili
,
tutti
assai
produttivi
.
Proprio
no
.
Tra
tutti
quei
provvedimenti
i
nostri
amanti
del
popolo
e
nemici
dei
capitalisti
,
scelgono
quello
che
,
per
loro
stessa
confessione
,
frutterà
pochissimo
,
molto
meno
del
bisogno
per
le
pensioni
,
ma
che
sarà
favorevolissimo
agli
speculatori
che
aspettano
la
manna
governativa
.
La
gente
che
così
opera
è
intelligente
,
avveduta
;
dunque
ha
i
suoi
buoni
motivi
.
Bisogna
studiarli
.
Qui
mi
fermo
,
perché
se
seguitassi
scriverei
un
trattato
e
non
un
articolo
.
Vorrei
solo
che
il
lettore
intendesse
che
questo
caso
del
Monopolio
delle
assicurazioni
è
solo
caso
particolare
di
fenomeni
molto
più
generali
;
che
questi
fenomeni
hanno
le
loro
uniformità
,
e
che
possono
essere
oggetto
di
una
scienza
che
indaghi
appunto
tali
uniformità
e
le
metta
in
luce
.
StampaQuotidiana ,
Molti
anni
fa
,
quando
il
film
era
muto
,
i
cultori
di
estetica
del
cinema
si
studiarono
(
non
so
con
quanto
successo
)
di
stabilire
sottili
differenze
fra
cinema
e
teatro
,
per
impedire
che
il
film
,
degenerando
in
teatro
,
cessasse
di
essere
«
puro
»
.
Da
quel
tempo
molte
cose
sono
mutate
:
il
film
non
è
più
muto
,
il
teatro
si
è
fatto
spettacolare
e
filmistico
e
l
'
avvento
della
televisione
renderà
presto
impossibile
ogni
distinzione
che
non
sia
meramente
tecnica
.
Secondo
Carlo
L
.
Ragghianti
,
autore
di
un
ricco
libro
-
Cinema
arte
figurativa
(
Einaudi
)
-
,
oggi
si
può
distinguere
solo
fra
spettacolo
e
non
-
spettacolo
,
e
tutta
l
'
arte
spettacolare
è
visiva
e
appartiene
dunque
al
dominio
delle
arti
figurative
.
Film
e
commedia
sono
figuratività
svolta
nel
tempo
e
non
solo
nello
spazio
;
in
ciò
differiscono
dalla
pittura
e
dalla
scultura
,
ma
la
differenza
non
è
tale
da
farle
escludere
dalle
arti
figurative
.
Anche
un
quadro
o
una
statua
contengono
un
tempo
-
non
solo
psicologico
,
ma
storico
-
che
si
deve
sdipanare
come
un
gomitolo
per
intenderli
effettivamente
.
(
E
qui
,
aggiungo
io
,
mi
fa
piacere
veder
implicitamente
combattuta
la
tesi
secondo
la
quale
-
si
veda
la
recente
Storia
dell
'
architettura
moderna
di
Bruno
Zevi
-
il
tempo
,
come
quarta
dimensione
,
sarebbe
entrato
nella
pittura
solo
con
l
'
avvento
del
cubismo
,
il
quale
distruggendo
la
terza
dimensione
,
il
volume
,
permetterebbe
di
vedere
contemporaneamente
un
oggetto
da
più
lati
.
Solo
Montaigne
e
Bach
,
Wagner
e
Proust
e
non
Masaccio
e
non
Piero
,
avrebbero
dunque
costruito
col
fattore
temporale
quanto
Picasso
e
Braque
?
)
Ricondotte
sotto
l
'
insegna
della
Figuratività
tutte
le
arti
visive
,
e
anche
lo
spettacolo
,
ne
resta
fuori
,
secondo
il
Ragghianti
,
la
poesia
.
La
poesia
non
è
,
per
definizione
,
rappresentabile
.
La
rappresentazione
di
un
testo
poetico
è
un
assurdo
perché
non
si
può
ammettere
che
la
parola
poetica
,
per
esistere
,
debba
chiedere
un
'
integrazione
(
il
palcoscenico
,
gli
attori
,
il
regista
,
lo
scenografo
)
.
Quando
dal
libro
si
passa
al
palcoscenico
,
nasce
un
nuovo
genere
d
'
arte
-
lo
spettacolo
-
di
cui
è
esclusivo
autore
il
nuovo
artista
figurativo
,
il
regista
.
Il
resto
-
sia
esso
l
'
Amleto
o
un
canovaccio
da
commedia
dell
'
Arte
-
è
una
pedana
,
un
trampolino
,
un
espediente
tecnico
,
un
pretesto
.
Non
cercate
,
in
questi
casi
,
l
'
autore
del
testo
scritto
o
cercatelo
in
biblioteca
.
A
teatro
non
lo
trovereste
.
Fin
qui
il
pensiero
del
Ragghianti
è
rigorosamente
logico
;
potrete
accettarlo
o
respingerlo
,
ma
non
accusarlo
d
'
incoerenza
.
Un
dubbio
s
'
insinua
però
nel
lettore
quando
il
critico
distingue
,
o
sembra
distinguere
,
fra
teatro
poetico
e
teatro
spettacolare
.
Esiste
,
egli
dice
,
una
lignée
di
registi
(
da
Stanislavski
al
primo
Copeau
)
che
rispetta
il
testo
e
ne
mette
in
evidenza
la
qualità
poetica
;
e
un
'
altra
stirpe
di
registi
(
quella
dei
Craig
,
dei
Tairov
,
dei
Meyerhold
e
dei
Piscator
)
per
i
quali
lo
spettacolo
è
tutto
e
il
testo
c
nulla
.
1
veri
artisti
spettacolari
(
figurativi
)
sono
questi
ultimi
.
E
ben
a
ragione
un
testo
improvvisato
,
recitato
da
supermarionette
impersonali
,
era
l
'
ideale
di
Gordon
Craig
.
Qui
,
se
non
interpreto
male
il
pensiero
del
Ragghianti
,
resto
perplesso
perché
viene
a
cadere
il
presupposto
che
la
poesia
non
sia
rappresentabile
.
È
caduto
il
presupposto
,
viene
a
mancare
anche
la
distinzione
-
praticamente
esatta
-
fra
il
teatro
che
appartiene
all
'
autore
e
quello
di
cui
è
vero
autore
il
figurante
,
colui
che
gradua
e
svolge
gli
aspetti
visivi
del
teatro
ai
fini
della
nuova
poesia
«
spettacolare
»
.
È
probabile
,
anzi
certo
,
che
esistano
vari
tipi
di
teatro
,
più
o
meno
legati
a
un
testo
,
più
o
meno
spettacolari
;
ma
a
me
pare
che
in
tutti
i
casi
permangano
elementi
figurativi
ed
elementi
poetici
e
che
una
rigida
distinzione
,
in
sede
teorica
,
sia
impossibile
.
Fermiamoci
un
attimo
prima
del
salto
o
del
passaggio
dal
testo
allo
spettacolo
,
prima
che
l
'
opera
sia
rappresentata
.
Fermiamoci
al
momento
della
lettura
di
un
testo
poetico
,
sceneggiato
o
no
,
destinato
o
no
al
palcoscenico
.
Qui
sembra
che
l
'
opera
del
regista
non
sia
presente
.
Ma
in
realtà
il
regista
di
una
commedia
letta
è
il
lettore
stesso
,
sia
che
la
lettura
avvenga
dinanzi
all
'
altoparlante
,
sia
che
essa
resti
interiore
,
silenziosa
.
Leggendo
il
testo
che
ho
sottomano
lo
visualizzo
,
lo
trasformo
in
spettacolo
,
ne
divento
il
figurante
.
Ne
sono
perciò
anche
l
'
autore
?
Non
più
di
quanto
Mengelberg
o
Toscanini
siano
gli
autori
delle
sinfonie
beethoveniane
da
essi
eseguite
.
Si
potrà
osservare
che
l
'
intervento
del
direttore
d
'
orchestra
-
concertatore
non
ha
importanza
determinante
perché
manca
nella
musica
l
'
elemento
visivo
,
figurativo
.
Ma
è
un
'
illusione
:
la
Sinfonia
pastorale
esige
che
sia
sollecitata
un
'
integrazione
visiva
(
interiore
)
;
e
così
tre
quarti
della
musica
post
-
wagneriana
,
cromatica
.
Ma
c
'
è
di
più
:
se
il
tempo
è
presente
anche
nelle
opere
figurative
perché
non
si
comprende
un
quadro
senza
storicizzarlo
,
senza
svolgere
il
processo
che
l
'
ha
reso
possibile
,
è
altrettanto
vero
che
elementi
figurativi
esistono
anche
nelle
arti
non
visive
.
Recitare
anche
a
se
stessi
una
poesia
è
seguirla
,
rappresentarla
.
Se
è
assurda
la
poesia
rappresentata
,
non
vedo
che
lo
sia
meno
la
poesia
recitata
.
Eppure
l
'
assurdo
si
compie
.
Se
questo
assurdo
è
inteso
come
il
fondamentale
dissidio
fra
l
'
opera
d
'
arte
in
sé
(
questo
inconoscibile
)
e
la
sua
comunicazione
,
esso
è
presente
in
tutte
le
arti
.
E
se
la
regia
è
un
'
arte
(
come
è
certamente
)
bisogna
ammettere
che
esistono
migliaia
di
artisti
inconsci
che
nessuno
si
sogna
di
portare
in
trionfo
come
pur
meriterebbero
;
sono
gli
sconosciuti
,
gli
inconsapevoli
autoregisti
che
ogni
giorno
,
in
tutto
il
mondo
,
si
accostano
con
fine
sensibilità
a
un
'
opera
d
'
arte
.
Quanti
e
quali
artefici
periscono
,
in
ogni
terra
,
in
ogni
luogo
,
dall
'
alba
al
tramonto
!
Fra
essi
i
registi
visivi
che
portiamo
in
trionfo
e
paghiamo
a
milioni
non
sono
certo
i
maggiori
.
Mi
fermo
perché
mi
accorgo
di
stare
scivolando
sulla
china
dei
luoghi
comuni
e
certo
il
Ragghianti
,
ferratissimo
in
ogni
questione
di
estetica
,
avrebbe
ogni
ragione
di
rimproverarmelo
.
Molti
anni
fa
un
filosofo
scettico
che
possedeva
una
notevole
sensibilità
per
la
musica
e
la
poesia
-
Giuseppe
Rensi
-
scrisse
un
geniale
e
paradossale
volume
-
La
scepsi
estetica
-
per
dimostrare
la
verità
del
popolare
detto
ch
'
è
bello
non
ciò
che
è
bello
ma
ciò
che
piace
;
s
'
intende
ciò
che
piace
al
nostro
io
individuale
,
empirico
,
non
al
supposto
io
universale
che
si
anniderebbe
in
noi
.
A
me
mancano
i
conforti
dello
scetticismo
assoluto
,
e
beninteso
quelli
del
rigoroso
idealismo
.
L
'
esperienza
(
non
già
la
ragione
,
questa
nemica
di
ogni
concetto
impuro
e
contradditorio
)
mi
insegna
che
c
'
è
un
elemento
universale
in
ogni
opera
d
'
arte
;
ma
che
esso
si
fa
strada
attraverso
ogni
sorta
di
equivoci
,
di
fraintendimenti
,
di
traduzioni
e
di
approssimazioni
.
La
definizione
del
puro
spettacolo
mi
lascia
incerto
come
mi
lascerebbe
titubante
ogni
indagine
sulla
pura
poesia
e
sulla
pura
musica
.
Nell
'
arte
spettacolare
poi
-
cinema
e
teatro
-
il
caos
degli
equivoci
mi
sembra
addirittura
flagrante
.
Qui
si
va
spesso
alla
ricerca
dell
'
autore
senza
riuscire
a
trovarlo
.
In
genere
si
ha
l
'
impressione
che
un
'
opera
scritta
per
il
teatro
sia
già
strutturalmente
preformata
ai
fini
di
una
certa
prospettiva
che
non
respinge
,
anzi
chiede
l
'
ausilio
della
rappresentazione
(
magari
cieca
,
alla
radio
)
.
E
dalla
poesia
si
passa
alla
rappresentazione
senza
che
si
possa
avvertire
il
momento
in
cui
la
bacchetta
del
comando
si
trasferisce
dalle
mani
dell
'
autore
a
quelle
del
teatrante
.
Ciò
avviene
anche
nel
caso
di
esecuzioni
poco
o
punto
spettacolari
.
Ma
ammesso
che
spettacolo
vi
sia
,
l
'
Amleto
di
Moissi
non
era
quello
di
sir
Lawrence
Olivier
:
l
'
uno
e
l
'
altro
hanno
tradito
Shakespeare
,
ma
tutti
e
due
ci
hanno
pur
dato
un
possibile
Shakespeare
.
Dove
comincia
qui
e
dove
finisce
la
poesia
?
Si
giunge
al
caso
-
limite
di
Charlie
Chaplin
che
dei
suoi
film
è
soggettista
,
attore
e
regista
;
ma
la
poesia
che
in
tal
caso
è
raggiunta
può
dirsi
tutta
di
ordine
figurativo
o
è
composta
anche
d
'
altri
elementi
?
Carlo
Ragghianti
respinge
la
teoria
che
il
teatro
e
il
cinema
siano
forme
miste
;
al
suo
spirito
filosofico
ogni
mistura
sembra
,
in
estetica
,
un
ircocervo
impossibile
e
indifendibile
.
Io
mi
limiterei
a
dar
torto
a
chi
crede
a
generi
misti
necessariamente
inferiori
;
e
anche
a
chi
fa
della
misura
un
elemento
di
ineffabile
privilegio
.
Ho
inteso
registi
dire
che
il
teatro
è
metà
cielo
e
metà
sterco
;
e
costoro
avevano
tutta
l
'
aria
di
vantarsi
del
loro
mestiere
.
Evidentemente
,
a
loro
avviso
,
solo
le
arti
impure
o
miste
sono
feconde
di
effetti
...
celesti
.
E
pure
,
inguaribilmente
pure
,
sono
per
essi
le
arti
non
spettacolari
,
non
visive
.
Molto
più
aggiornati
e
molto
più
moderni
di
loro
i
filosofi
dell
'
arte
(
primo
fra
gli
altri
il
Croce
)
sanno
perfettamente
che
non
esistono
,
rigorosamente
parlando
,
le
arti
,
ma
l
'
Arte
il
cui
parametro
assoluto
ci
sfugge
.
E
se
storicamente
l
'
Arte
si
manifesta
nelle
arti
,
che
tendono
tutte
a
un
'
impossibile
condizione
di
purezza
,
macinando
molti
elementi
spuri
e
scambiandosi
spesso
le
parti
,
resta
pur
vero
che
nello
sviluppo
delle
singole
arti
tutti
i
veri
«
addetti
ai
lavori
»
-
puristi
o
non
puristi
-
hanno
un
compito
indispensabile
anche
se
non
riusciranno
mai
a
mettersi
d
'
accordo
.
StampaQuotidiana ,
Nel
recente
convegno
sulla
nuova
destra
,
svoltosi
a
Cuneo
per
iniziativa
dell
'
Istituto
storico
della
Resistenza
,
qualcuno
ha
messo
in
dubbio
che
«
destra
»
e
«
sinistra
»
siano
ancora
concetti
adeguati
a
rappresentare
le
divisioni
attuali
tra
dottrine
e
movimenti
politici
.
Siamo
stati
invitati
a
riflettere
sul
fatto
che
da
sinistra
si
riscoprono
scrittori
di
destra
,
come
Cari
Schmitt
,
da
destra
,
in
particolare
dalla
nuova
destra
reazionaria
,
scrittori
di
sinistra
come
Gramsci
.
Negli
stessi
giorni
in
un
'
intervista
a
«
Panorama
»
Massimo
Cacciari
,
intellettuale
di
sinistra
,
dichiarava
di
rifiutare
«
quella
concezione
assiale
della
politica
che
prevede
una
destra
e
una
sinistra
,
intese
come
blocchi
compatti
e
specularmente
contrapposti
»
.
In
realtà
questa
confusione
non
è
nuova
né
è
senza
giustificazione
:
estrema
sinistra
ed
estrema
destra
hanno
amori
diversi
ma
odi
comuni
.
Uno
di
questi
odi
è
la
democrazia
,
intesa
come
il
regime
in
cui
le
sole
decisioni
collettive
legittime
sono
quelle
prese
in
base
alla
regola
della
maggioranza
.
Peraltro
,
le
ragioni
di
questa
avversione
sono
,
da
una
parte
e
dall
'
altra
,
opposte
.
Proprio
tenendo
conto
di
queste
opposte
ragioni
si
riesce
ancora
a
cogliere
il
principale
carattere
distintivo
dei
due
schieramenti
in
cui
si
divide
tradizionalmente
l
'
universo
politico
.
L
'
opposizione
consiste
in
questo
:
per
l
'
estrema
sinistra
la
regola
di
maggioranza
,
per
cui
ogni
cittadino
conta
per
uno
,
assicura
un
'
eguaglianza
puramente
formale
ma
non
riesce
altrettanto
bene
a
promuovere
l
'
eguaglianza
sostanziale
;
per
l
'
estrema
destra
la
stessa
regola
della
maggioranza
,
pareggiando
se
pure
solo
formalmente
tutti
i
cittadini
,
finisce
per
disconoscere
che
gli
uomini
sono
sostanzialmente
diseguali
.
Come
si
vede
,
la
divisione
avviene
sul
diverso
giudizio
che
l
'
una
e
l
'
altra
parte
danno
sull
'
eguaglianza
e
rispettivamente
sulla
diseguaglianza
come
ideale
da
perseguire
.
Questo
diverso
giudizio
permette
di
tener
ben
distinte
ideologie
che
tendono
a
una
maggiore
eguaglianza
rispetto
alla
democrazia
formale
,
e
che
chiamerò
egualitarie
,
e
ideologie
che
chiedono
una
maggiore
diseguaglianza
,
sempre
rispetto
alla
democrazia
formale
,
e
che
chiamerò
inegualitarie
.
Si
tratta
di
una
distinzione
vecchia
come
il
mondo
,
molto
più
vecchia
della
distinzione
tra
sinistra
e
destra
,
che
risale
alla
rivoluzione
francese
.
Ma
dacché
i
due
termini
di
sinistra
e
destra
sono
stati
introdotti
nel
linguaggio
politico
,
essi
sono
sempre
stati
adoperati
per
coprire
la
distinzione
tra
ideologie
egualitarie
e
inegualitarie
.
Perciò
sinché
vi
saranno
dottrine
e
movimenti
che
si
contrappongono
sulla
base
del
diverso
valore
dato
al
principio
dell
'
eguaglianza
,
l
'
uso
dei
due
termini
è
non
solo
legittimo
ma
utile
.
Il
loro
rifiuto
è
prova
o
di
imperdonabile
ignoranza
o
peggio
dell
'
illusione
di
cancellare
insieme
coi
due
nomi
la
realtà
che
essi
designano
.
La
contrapposizione
fra
egualitari
e
inegualitari
è
vecchia
quanto
il
mondo
per
la
semplice
ragione
che
gli
uomini
sono
tanto
eguali
quanto
diseguali
:
sono
eguali
in
quanto
appartengono
al
genere
umano
distinto
da
altri
generi
come
quello
degli
animali
,
ma
sono
diseguali
considerati
come
individui
,
uno
per
uno
.
Le
ideologie
egualitarie
mettono
l
'
accento
soprattutto
sull
'
appartenenza
di
tutti
gli
uomini
a
un
genere
comune
,
quelle
inegualitarie
sulle
osservabili
e
inconfutabili
differenze
tra
l
'
uno
e
l
'
altro
individuo
.
In
altre
parole
,
le
prime
danno
più
importanza
a
ciò
che
ci
unisce
,
le
seconde
a
ciò
che
ci
divide
.
Tra
le
tante
prove
storiche
che
si
possono
addurre
di
questa
contrapposizione
,
mi
limito
a
quella
che
si
può
trarre
dai
due
autori
considerati
a
buon
diritto
i
principali
ispiratori
dei
due
schieramenti
:
Rousseau
e
Nietzsche
.
Nel
suo
Discorso
sull
'
origine
delle
diseguaglianze
fra
gli
uomini
,
Rousseau
parte
dalla
considerazione
che
gli
uomini
sono
nati
fondamentalmente
eguali
ma
la
civiltà
corrotta
li
ha
resi
diseguali
.
Nietzsche
,
al
contrario
,
parte
dalla
considerazione
che
gli
uomini
sono
per
natura
diseguali
e
soltanto
la
civiltà
,
con
la
sua
morale
del
gregge
,
di
cui
è
massimamente
responsabile
il
cristianesimo
,
e
di
cui
sono
manifestazioni
al
tempo
presente
la
democrazia
e
il
socialismo
,
li
ha
resi
ingiustamenti
eguali
.
L
'
ideale
che
si
può
trarre
dalla
interpretazione
rousseauiana
del
corso
storico
è
quello
rivoluzionario
dell
'
abbattimento
delle
società
storiche
fondate
sulla
diseguaglianza
sociale
e
della
instaurazione
di
una
nuova
società
in
cui
tutti
siano
a
pari
diritto
cittadini
;
l
'
ideale
che
si
può
trarre
dalla
interpretazione
nietzscheana
,
è
al
contrario
quello
reazionario
della
restaurazione
di
un
ordine
gerarchico
la
cui
distruzione
ha
reso
possibile
il
trionfo
della
quantità
,
dei
«
malriusciti
»
,
del
branco
.
Lo
stesso
Nietzsche
ritorna
sempre
a
Rousseau
,
il
suo
grande
nemico
,
ogni
qualvolta
sfoga
il
proprio
furore
contro
il
principio
dell
'
eguaglianza
e
contro
quell
'
avvenimento
storico
,
la
rivoluzione
francese
,
che
avrebbe
cercato
di
attuarlo
:
«
Quello
che
odio
-
una
citazione
fra
mille
-
è
la
rousseauiana
moralità
della
rivoluzione
francese
...
La
dottrina
dell
'
eguaglianza
.
Ma
non
c
'
è
tossico
più
velenoso
!
»
Mi
si
può
obiettare
che
il
criterio
dell
'
eguaglianza
non
è
il
solo
a
permettere
di
caratterizzare
due
ideologie
opposte
.
C
'
è
anche
quello
della
libertà
in
base
al
quale
si
distinguono
ideologie
libertarie
e
autoritarie
.
Rispondo
che
questo
criterio
di
distinzione
serve
a
distinguere
,
nell
'
ambito
della
sinistra
e
della
destra
,
l
'
ala
estrema
dall
'
ala
moderata
.
Si
può
sostenere
infatti
che
le
due
ali
estreme
sono
autoritarie
,
quelle
moderate
libertarie
.
Di
conseguenza
,
la
linea
su
cui
si
collocano
le
diverse
ideologie
partendo
da
sinistra
e
procedendo
verso
destra
si
sviluppa
attraverso
queste
quattro
aree
.
All
'
estrema
sinistra
stanno
i
movimenti
che
sono
insieme
egualitari
e
autoritari
:
l
'
esempio
classico
è
quello
dei
giacobini
e
dei
loro
tardi
seguaci
,
i
bolscevichi
.
Alla
sinistra
moderata
appartengono
i
movimenti
egualitari
e
libertari
,
il
cui
esempio
al
tempo
attuale
sono
i
partiti
socialdemocratici
che
ricoprono
una
vasta
area
che
si
potrebbe
chiamare
opportunamente
di
«
socialismo
liberale
»
.
Seguono
i
movimenti
della
destra
moderata
che
sono
insieme
inegualitari
e
libertari
.
Infine
c
'
è
l
'
estrema
destra
in
cui
si
collocano
i
movimenti
che
accompagnano
l
'
autoritarismo
alla
voglia
(
o
nostalgia
)
di
una
società
ordinata
gerarchicamente
.
Certamente
la
realtà
è
più
ricca
di
qualsiasi
schema
.
Ma
è
sempre
meglio
uno
schema
qualsiasi
che
la
confusione
mentale
da
cui
possono
nascere
soltanto
comportamenti
politicamente
aberranti
.
StampaQuotidiana ,
A
quanto
pare
io
ho
interpretato
male
il
pensiero
dell
'
on
.
Giolitti
.
Ho
avuto
torto
di
adoperare
le
regole
della
critica
storica
,
mentre
la
critica
dei
partigiani
è
tutt
'
altra
.
L
'
on
.
Giolitti
diceva
:
Io
sono
d
'
avviso
che
è
bene
che
vi
siano
delle
grandi
forze
finanziarie
.
Il
governo
italiano
ha
sempre
seguito
la
via
di
cercar
modo
di
aiutare
le
grandi
industrie
ed
i
grandi
istituti
di
credito
.
Primo
punto
.
Se
questo
discorso
si
leggesse
in
un
documento
storico
dei
secoli
passati
,
si
concluderebbe
legittimamente
che
l
'
oratore
desiderava
,
divisava
di
aiutare
le
grandi
industrie
ed
i
grandi
istituti
di
credito
,
e
che
molto
probabilmente
tale
aiuto
doveva
essere
finanziario
.
Aggiungeva
l
'
on
.
Giolitti
:
Vado
più
in
là
.
Riconosco
che
in
alcuni
casi
i
sindacati
possono
essere
utili
,
quando
occorrono
per
diminuire
la
soverchia
concorrenza
.
Secondo
punto
.
Sempre
se
si
trattasse
di
un
documento
storico
,
si
concluderebbe
che
oltre
alle
grandi
industrie
ed
ai
grandi
istituti
di
credito
,
l
'
oratore
estende
la
sua
benevolenza
e
quindi
l
'
aiuto
ai
sindacati
,
o
trusts
.
È
vero
che
c
'
è
la
restrizione
della
concorrenza
che
deve
essere
soverchia
.
Si
domanda
se
ci
furono
mai
sindacati
o
trusts
che
non
trovarono
soverchia
la
concorrenza
.
Io
non
ne
conosco
.
Chi
vuole
conoscere
la
soverchia
concorrenza
alla
quale
riparano
i
trusts
italiani
,
legga
gli
articoli
di
Edoardo
Giretti
.
Sono
ricchi
di
fatti
;
mi
dispiace
di
non
li
potere
qui
riprodurre
,
ma
...
fanno
un
volume
!
L
'
on
.
Giolitti
discorre
di
enti
finanziari
,
tra
i
quali
c
'
è
evidentemente
il
monopolio
delle
assicurazioni
(
sbaglio
anche
in
ciò
?
)
e
dice
:
La
forza
finanziaria
dello
Stato
,
che
si
verrebbe
creando
con
questi
enti
che
concentrano
in
sua
mano
dei
grandissimi
capitali
,
è
elemento
di
solidità
per
le
industrie
e
i
commerci
,
perché
uno
Stato
debole
non
può
nei
momenti
più
difficili
,
trovar
modo
di
evitare
le
grandi
crisi
.
Terzo
punto
.
Supposto
ancora
che
si
discorresse
solo
di
storia
,
si
concluderebbe
che
il
Giolitti
vuole
adoperare
direttamente
,
od
indirettamente
,
quei
grandissimi
capitali
per
dare
solidità
per
le
industrie
,
e
per
evitare
le
grandi
crisi
.
È
pure
evidente
che
se
non
li
adoperasse
né
direttamente
né
indirettamente
,
non
potrebbe
raggiungere
né
questi
né
altri
scopi
;
sarebbe
come
se
quei
capitali
non
esistessero
.
Il
modo
preciso
,
con
ogni
particolare
,
come
saranno
adoperati
,
non
lo
so
,
come
forse
non
lo
sa
neppure
il
Giolitti
.
È
naturale
che
le
riserve
matematiche
non
saranno
direttamente
adoperate
per
sovvenire
industrie
,
trusts
,
banche
.
Ma
poniamo
,
come
semplice
ipotesi
,
che
si
adoperino
per
alleviare
il
grave
pondo
di
certi
titoli
di
Stato
,
che
hanno
certe
banche
;
queste
,
in
compenso
,
potranno
aiutare
industrie
e
trusts
,
e
sarà
un
modo
indiretto
di
sovvenire
queste
industrie
e
questi
trusts
.
Aggiungendo
le
sovvenzioni
agli
enti
locali
,
sulle
quali
non
credo
che
ci
sia
quistione
,
tutto
ciò
mi
pare
che
si
possa
compendiare
,
scrivendo
,
come
ho
fatto
,
che
,
secondo
l
'
on
.
Giolitti
,
il
Monopolio
aveva
per
scopo
di
rafforzare
finanziariamente
lo
Stato
,
perché
potesse
sovvenire
enti
locali
,
aiutare
intraprese
,
sussidiare
sindacati
.
L
'
on
.
Giolitti
non
la
pensa
in
questo
modo
?
Vuol
dire
che
non
si
è
espresso
tanto
bene
.
A
che
pro
discorrere
di
aiuti
alle
grandi
industrie
ed
ai
grandi
istituti
di
credito
,
se
non
ne
voleva
dare
?
Perché
nominò
i
sindacati
e
le
crisi
?
Così
,
per
discorrerne
in
modo
accademico
?
Ma
infine
,
è
inutile
contendere
sul
pensiero
di
un
uomo
vivo
e
fresco
;
egli
solo
ha
diritto
di
manifestarlo
.
Tolgo
la
confessione
dell
'
on
.
Giolitti
dal
numero
delle
prove
della
mia
teoria
;
ammetto
che
,
se
pure
ha
discorso
un
poco
diversamente
,
in
sostanza
non
vuole
aiutare
né
grandi
industrie
,
né
grandi
istituti
di
credito
,
né
sindacati
,
e
che
non
vuole
menomamente
adoperare
i
denari
dello
Stato
per
evitare
le
grandi
crisi
.
Tra
parentesi
farà
benissimo
,
perché
oramai
è
riconosciuto
che
è
col
volere
evitare
le
crisi
che
si
fanno
più
acute
.
Se
in
un
discorso
parlamentare
sul
monopolio
delle
assicurazioni
,
l
'
on
.
Giolitti
ha
rammentato
gli
aiuti
alle
industrie
,
ai
sindacati
,
alle
banche
,
è
stato
tanto
per
dire
,
ma
nella
mente
sua
,
nulla
ha
che
fare
,
con
tutte
queste
cose
,
il
monopolio
.
Siamo
dunque
intesi
,
non
se
ne
parli
più
.
Tolte
le
confessioni
giolittiane
,
rimangono
i
fatti
.
Non
avendo
a
mia
disposizione
nessuna
sonnambula
extra
lucida
,
ignoro
quelli
dell
'
avvenire
...
ma
conosco
quelli
del
passato
.
Lasciamo
stare
le
Casse
postali
di
risparmio
amministrate
dallo
Stato
;
prima
perché
non
è
un
monopolio
;
secondo
perché
ci
sarebbe
da
scrivere
lungamente
per
indagare
se
hanno
torto
,
o
ragione
,
coloro
che
dicono
che
sarebbe
meglio
per
il
paese
,
specialmente
per
le
province
meridionali
,
che
i
risparmi
rimanessero
ad
aiutare
l
'
agricoltura
,
l
'
industria
ed
il
commercio
locale
,
invece
di
essere
asportati
dal
governo
;
e
non
mancano
altre
considerazioni
pei
casi
di
grandi
crisi
,
di
guerra
,
o
simili
.
Non
si
può
discorrere
di
tutto
in
una
volta
;
rimaniamo
nei
termini
del
nostro
problema
.
L
'
on
.
Giolitti
ha
detto
:
Lo
Stato
anche
in
materia
economica
deve
dirigere
,
ma
non
essere
diretto
.
Chi
vuole
conoscere
come
lo
Stato
dirigesse
i
grandi
istituti
di
credito
,
legga
i
volumi
dell
'
inchiesta
sulle
Banche
.
Ci
sono
molte
cose
belle
,
anzi
bellissime
.
Forse
si
dirà
che
è
un
passato
molto
remoto
.
Bene
;
si
leggano
gli
articoli
scritti
da
Alberto
Caroncini
sul
«
Resto
del
Carlino
»
,
e
si
vedrà
che
probabilmente
il
presente
non
è
poi
tanto
diverso
dal
passato
.
Vi
si
vedrà
pure
come
l
'
ultima
crisi
,
appunto
perché
il
governo
volle
impedirne
gli
effetti
,
è
diventata
più
dannosa
,
ed
ha
lasciato
in
Italia
uno
strascico
;
mentre
è
interamente
risanata
nei
paesi
ove
simile
errore
non
fu
fatto
.
Non
posso
riprodurre
qui
questi
articoli
,
per
lo
stesso
motivo
che
non
posso
riprodurre
gli
articoli
del
Giretti
,
né
l
'
inchiesta
sulle
banche
,
né
i
documenti
parlamentari
sui
molti
favori
protettivi
di
cui
godono
coloro
che
poi
approvano
il
monopolio
,
né
i
documenti
sulla
Cassa
di
previdenza
di
Torino
,
che
aspetta
di
essere
salvata
dal
monopolio
,
né
quegli
altri
sulle
convenzioni
marittime
proposte
dall
'
on
.
Giolitti
,
né
le
previsioni
che
si
fanno
sugli
aiuti
che
,
ai
sindacati
,
potranno
dare
gli
istituti
di
credito
,
quando
siano
aiutati
da
un
forte
stato
finanziario
,
né
tanti
altri
documenti
che
infine
narrano
tutta
la
vita
finanziaria
dell
'
Italia
in
questi
ultimi
tempi
,
e
che
dimostrano
chiaramente
come
lo
Stato
aiuti
una
certa
classe
di
cittadini
,
i
quali
a
lor
volta
,
aiutano
lo
Stato
a
procacciarsi
i
mezzi
finanziari
che
sono
necessari
per
concedere
tale
aiuto
.
Chi
vuole
bene
conoscere
i
fatti
,
purtroppo
deve
leggere
tutto
ciò
;
perché
sinora
non
si
é
trovato
il
modo
di
sapere
senza
imparare
.
Ma
del
sapere
si
può
fare
a
meno
,
anzi
,
a
dirla
qui
fra
noi
,
un
politicante
fa
tanto
migliore
riuscita
,
quanto
meno
sa
;
perché
se
sapesse
,
potrebbe
avere
dubbi
;
ed
a
lui
verrebbe
meno
la
forza
che
dà
una
cieca
fede
.
StampaQuotidiana ,
Si
dà
la
Traviata
,
in
un
grande
teatro
.
Il
nuovo
tenore
,
esordiente
,
è
molto
impacciato
,
ma
è
giovane
,
dispone
di
una
voce
simpatica
e
nell
'
insieme
non
guasta
.
Un
tenore
che
non
guasta
è
già
un
miracolo
tale
da
riempirci
di
meraviglia
.
A
un
certo
punto
però
le
cose
si
complicano
in
modo
inatteso
.
Mentre
Alfredo
ci
sta
spiegando
-
in
verità
senza
scaldarsi
troppo
-
quali
furono
i
suoi
rapporti
economici
con
Violetta
e
come
mai
egli
«
tutto
accettar
potea
»
,
ecco
che
interrompe
il
suo
canto
,
si
avventa
sul
tavolo
da
gioco
,
prende
in
mano
le
carte
e
le
getta
in
aria
:
dopodiché
continua
a
cantare
con
molto
sobria
indignazione
.
Altro
fatto
strano
accade
quando
Violetta
tenta
di
uscire
per
porre
fine
alla
scenata
disgustosa
.
Violetta
sfiora
Alfredo
che
potrebbe
afferrarla
ma
si
limita
invece
a
seguirla
con
prudenza
;
solo
quando
lei
avrà
raggiunto
la
scalinata
,
Alfredo
la
prenderà
per
un
braccio
trascinandola
all
'
estremo
limite
del
proscenio
.
Come
mai
in
questi
due
casi
il
misurato
Alfredo
tenta
(
senza
riuscirvi
)
di
trasformarsi
in
un
leone
?
È
facile
dirlo
:
egli
ha
imparato
i
due
gesti
dal
regista
,
ma
i
gesti
gli
si
sono
appiccicati
dall
'
esterno
e
non
fanno
parte
del
suo
temperamento
.
In
definitiva
,
i
due
gesti
sono
inutili
,
anzi
dannosi
all
'
effetto
.
L
'
esempio
che
citiamo
non
è
che
uno
fra
mille
.
Il
gesto
di
un
artista
fa
parte
della
sua
personalità
(
se
questa
esiste
)
e
non
si
può
darglielo
a
prestito
.
L
'
artista
di
canto
è
,
o
dovrebbe
essere
,
non
l
'
astratto
«
titolare
»
ma
l
'
inventore
e
il
responsabile
della
propria
voce
e
dei
propri
gesti
.
Fate
invece
ch
'
egli
dia
in
locazione
,
in
affitto
,
la
voce
al
direttore
d
'
orchestra
,
che
la
governi
a
modo
suo
,
e
il
corpo
al
regista
,
che
lo
disponga
a
suo
talento
,
e
tutto
avrete
fuorché
un
'
interpretazione
convincente
.
Un
artista
manovrato
fino
a
questo
punto
avrà
sempre
qualcosa
di
meccanico
,
d
'
impersonale
.
Sarà
un
esecutore
d
'
ordini
,
non
mai
un
'
anima
.
Come
fare
,
allora
?
Abolire
senz
'
altro
la
figura
del
regista
?
Si
sarebbe
tentati
di
rispondere
in
questo
senso
riflettendo
che
in
altri
tempi
erano
possibili
ottime
esecuzioni
di
opere
e
commedie
musicali
senza
l
'
intervento
di
alcun
deus
ex
machina
importato
dal
mondo
del
cinema
o
del
teatro
di
prosa
.
Trent
'
anni
or
sono
,
non
solo
Toscanini
e
altri
sommi
,
ma
anche
vecchi
lupi
del
palcoscenico
come
Armani
e
Bavagnoli
sostenevano
autorevolmente
un
intero
spettacolo
col
semplice
ausilio
di
un
buon
maestro
sostituto
e
di
un
modesto
direttore
di
scena
.
Ma
bisogna
anche
ammettere
che
non
si
fabbricano
su
misura
i
Toscanini
e
nemmeno
i
Bavagnoli
,
e
che
oggi
in
fatto
di
sensibilità
spettacolare
il
gusto
del
pubblico
si
è
fatto
,
se
non
migliore
,
più
sottile
,
più
esigente
.
Dobbiamo
poi
riconoscere
che
nel
divismo
è
avvenuta
una
dislocazione
.
Un
tempo
í
divi
erano
sul
palcoscenico
,
e
non
sempre
isolati
.
Chi
ha
memoria
può
ricordare
esecuzioni
che
ne
riunivano
tre
o
quattro
.
Non
sempre
erano
salve
le
ragioni
del
buon
gusto
,
ma
l
'
effetto
,
la
comunicazione
erano
garantiti
.
Più
tardi
il
matadorismo
passò
sul
podio
,
si
accentrò
nella
figura
del
«
grande
direttore
»
:
si
raggelarono
così
le
esecuzioni
,
ma
si
alzò
il
livello
medio
interpretativo
.
Oggi
il
divismo
si
presenta
un
po
'
dovunque
,
in
forme
più
o
meno
latenti
.
Esiste
ancora
qualche
divo
del
canto
ma
è
un
'
eccezione
;
prevale
il
tipo
del
cantante
che
prende
l
'
imbeccata
e
lavora
su
commissione
.
E
non
difettano
,
in
Italia
,
i
direttori
d
'
orchestra
che
aspirano
,
o
potrebbero
aspirare
al
titolo
di
divo
,
o
almeno
a
quello
di
sicuri
piloti
di
uno
spettacolo
;
ma
si
ha
l
'
impressione
che
essi
giungano
a
dirigere
quando
il
loro
intervento
è
relativamente
secondario
.
Una
volta
che
siano
scelti
,
senza
il
loro
intervento
,
i
cantanti
,
il
regista
e
lo
scenografo
di
un
'
opera
,
non
si
vede
quale
sostanziale
differenza
possa
passare
tra
la
interpretazione
di
X
o
di
Y
.
Quanto
alla
figura
del
regista
del
teatro
d
'
opera
,
il
pericolo
che
sulle
sue
spalle
si
trasferisca
il
peso
del
divismo
si
fa
effettivamente
sentire
,
sebbene
in
casi
limitati
.
In
verità
la
figura
di
un
regolatore
dello
spettacolo
sarebbe
,
più
che
utile
,
necessaria
se
il
regista
provenisse
direttamente
dal
mondo
della
musica
teatrale
,
se
fosse
,
insomma
,
un
uomo
del
mestiere
.
Solo
chi
conosce
a
fondo
una
partitura
e
le
possibilità
degli
artisti
a
lui
affidati
può
dare
consigli
e
indicazioni
di
qualche
utilità
;
solo
chi
affronta
lo
spettacolo
come
un
insieme
può
scegliere
i
pochi
particolari
significativi
senza
perdersi
in
agudezas
che
danno
nell
'
occhio
ma
distraggono
dal
fondo
dell
'
interpretazione
.
Si
è
avuto
perfino
il
caso
di
registi
che
volevano
«
smistare
»
i
gruppi
del
coro
:
due
tenori
a
destra
,
tre
a
sinistra
,
quattro
nel
fondo
,
due
o
tre
lassù
,
appollaiati
su
una
passerella
sospesa
in
cielo
;
senza
preoccuparsi
del
fatto
che
in
tali
condizioni
nessun
direttore
di
coro
può
garantire
un
'
esecuzione
sopportabile
.
Per
fortuna
si
tratta
,
finora
,
di
casi
rari
...
Un
regista
dotato
di
particolare
sensibilità
musicale
,
capace
di
lavorare
in
stretto
accordo
col
direttore
d
'
orchestra
-
e
possibilmente
in
subordine
-
sarebbe
dunque
,
oggi
,
una
figura
augurabilissima
e
non
escludiamo
che
ne
esista
già
qualcuno
.
Ma
in
attesa
che
una
classe
di
registi
simili
si
formi
,
il
nostro
teatro
d
'
opera
dovrà
passare
ancora
attraverso
un
periodo
non
breve
d
'
incertezze
.
Nelle
esecuzioni
dei
nostri
grandi
teatri
si
osserva
spesso
scrupolosa
preparazione
nei
particolari
ma
scarsa
attenzione
ai
valori
essenziali
.
È
inutile
che
i
cantanti
siano
ben
preparati
se
sono
inadatti
alla
parte
o
se
il
loro
temperamento
è
troppo
discordante
;
è
inutile
che
la
messa
in
scena
sia
sfarzosa
se
l
'
opera
non
lo
richiede
;
è
perfettamente
vano
che
sulla
carta
«
tutto
sia
a
posto
»
se
poi
manchi
la
convinzione
e
l
'
estro
.
La
buona
esecuzione
di
un
'
opera
in
musica
è
un
terno
al
lotto
.
Il
carro
di
Tespi
(
la
sola
utile
invenzione
del
fascismo
nel
campo
della
musica
)
ha
fatto
qualche
rara
volta
miracoli
.
L
'
errore
era
di
seguire
criteri
sindacali
:
chi
aveva
la
tessera
di
cantante
doveva
,
a
turno
,
esibirsi
in
pubblico
.
Ed
era
un
massacro
.
Ma
talvolta
il
caso
faceva
sì
che
s
'
incontrassero
artisti
,
magari
modesti
,
ma
di
temperamento
affine
e
di
buone
possibilità
;
e
allora
nascevano
come
funghi
esecuzioni
genialmente
riuscite
,
forse
difettose
,
provvisorie
,
ma
tali
da
far
dire
:
«
Ci
siamo
.
Si
deve
far
così
e
non
diversamente
»
.
È
raro
che
si
esca
da
un
grande
teatro
con
una
sensazione
simile
.
I
grandi
teatri
presentano
spesso
esecuzioni
perfette
,
noi
)
vive
.
Buona
l
'
orchestra
,
buoni
gli
interpreti
,
ottima
la
messa
in
scena
,
intelligente
la
regia
,
eppure
manca
il
più
.
Manca
il
legame
interno
,
si
sente
che
nessuno
fa
veramente
sul
serio
.
È
possibile
prevedere
l
'
imprevedibile
,
la
scintilla
che
a
volte
si
accende
e
a
volte
respinge
una
sollecitazione
?
In
altre
parole
:
chi
è
l
'
artefice
ultimo
dello
spettacolo
musicale
?
Io
direi
che
questo
misterioso
genio
sia
,
o
meglio
sarebbe
,
colui
che
fin
dal
principio
veda
lo
spettacolo
nel
suo
insieme
,
scegliendo
gli
interpreti
,
il
direttore
,
lo
scenografo
e
il
regista
,
non
in
astratto
,
ma
ai
fini
di
un
determinato
spettacolo
.
Oggi
come
oggi
non
hanno
questa
funzione
né
i
giovani
direttori
d
'
orchestra
né
i
registi
.
E
nemmeno
si
può
pretendere
che
reggenti
di
teatri
e
direttori
artistici
che
devono
provvedere
a
molti
spettacoli
in
un
tempo
ristretto
e
con
mezzi
non
sempre
illimitati
facciano
tutti
i
miracoli
che
alcuni
pretenderebbero
.
In
realtà
,
l
'
opera
in
musica
sta
attraversando
un
periodo
di
crisi
:
morta
o
quasi
come
spettacolo
popolare
sta
rinascendo
in
altri
ambienti
,
con
diversi
mezzi
,
con
altri
problemi
da
risolvere
.
Ci
vorranno
molti
anni
prima
ch
'
essa
torni
ad
essere
popolare
in
modo
nuovo
,
cioè
senza
rinunciare
a
quel
livello
del
gusto
ch
'
è
ormai
una
condizione
imprescindibile
di
ogni
spettacolo
moderno
teatrale
.
Fino
a
quel
giorno
,
fino
a
che
non
si
formi
un
pubblico
preparato
e
gli
ascoltatori
non
siano
quel
che
sono
oggi
:
due
o
tre
diverse
clientele
mescolate
insieme
,
con
esigenze
,
gusti
,
abitudini
,
e
persino
idiosincrasie
e
idolatrie
contrastanti
,
gli
spettacoli
lirici
stenteranno
a
trovare
il
loro
equilibrio
e
sui
palcoscenici
pioveranno
,
insieme
con
le
rose
,
anche
i
carciofi
e
i
ravanelli
:
segno
di
inciviltà
ma
anche
di
passione
per
un
genere
d
'
arte
che
per
molti
è
una
corrida
,
per
altri
un
rito
;
ma
che
per
tutti
(
e
consoliamoci
con
questa
constatazione
)
è
uno
degli
aspetti
insostituibili
della
nostra
civiltà
artistica
.
StampaQuotidiana ,
Sugli
organismi
geneticamente
modificati
,
i
famigerati
Ogm
,
gli
scienziati
hanno
sollevato
un
grosso
polverone
,
e
come
succede
sempre
a
chi
non
vuol
capire
,
la
loro
sordità
è
stata
palese
,
e
la
loro
volontà
di
confondere
le
idee
dei
non
addetti
ai
lavori
,
assumendo
la
parte
di
Galileo
o
di
Giordano
Bruno
,
si
è
rivelata
appieno
nell
'
accusa
lanciata
agli
ambientalisti
di
oscurantismo
,
se
non
di
propensioni
teologiche
da
Malleus
maleficarum
,
il
manuale
degli
Inquisitori
.
Denuncio
questa
accusa
come
spudoratamente
falsa
e
mi
sforzerò
di
fare
un
po
'
di
chiarezza
.
Penso
di
essere
autorizzato
,
visto
che
di
recente
,
al
Parlamento
Europeo
,
mi
sono
dissociato
dai
Verdi
,
astenendomi
quando
mi
si
è
proposto
di
votare
contro
l
'
impiego
degli
embrioni
inglesi
in
freezer
.
Si
trattava
di
destinarli
alla
cura
di
gravi
patologie
e
il
mio
punto
di
vista
resta
sempre
che
la
salute
sia
un
bene
che
vada
tutelato
su
tutto
.
Il
bello
è
che
proprio
per
questo
,
per
questa
tutela
irrinunciabile
,
nutro
delle
perplessità
sulle
biotecnologie
in
agricoltura
:
se
da
un
canto
le
reputo
affascinanti
,
e
auspico
,
se
fatte
in
laboratorio
,
che
proseguano
felicemente
,
d
'
altro
canto
sono
convinto
che
non
siamo
affatto
pronti
a
estendere
le
esperienze
in
pieno
campo
,
e
tanto
meno
a
immetterne
i
prodotti
sui
banconi
dei
supermercati
.
E
a
proposito
di
queste
pretese
di
pronta
commercializzazione
,
mi
sembra
diventi
chiaro
come
non
sia
in
gioco
tanto
la
libertà
di
ricerca
scientifica
,
che
nessuno
intende
negare
,
quanto
la
corsa
all
'
Eldorado
dei
brevetti
,
e
quindi
al
«
far
soldi
»
nel
nome
del
progresso
della
conoscenza
.
Ma
la
storia
sembra
ancora
una
volta
ripetersi
.
Oscurantismo
?
Amarcord
:
trent
'
anni
fa
chi
,
come
me
,
faceva
notare
che
l
'
uso
dei
pesticidi
in
agricoltura
castigava
duramente
la
biodiversità
degli
ecosistemi
e
la
salute
dei
consumatori
con
i
residui
rimasti
negli
ortofrutticoli
,
veniva
bollato
di
oscurantismo
,
e
di
affamatore
dei
paesi
in
via
di
sviluppo
.
Bene
,
attualmente
,
800
milioni
di
persone
,
malgrado
la
diffusione
ubiquitaria
delle
molecole
di
sintesi
,
sono
ancora
sottoalimentate
,
e
in
compenso
migliaia
di
contadini
che
operano
in
quelle
latitudini
sono
morti
intossicati
dai
fosforganici
.
Voglio
ricordare
,
allora
,
come
l
'
agricoltura
industriale
,
fondata
sulla
chimica
,
stia
mostrando
la
corda
,
e
l
'
agricoltura
biologica
,
o
ancor
più
sostenibile
,
la
stia
sostituendo
a
poco
a
poco
in
Europa
.
In
altre
parole
si
sta
affermando
una
nuova
maniera
,
moderna
e
dinamica
,
di
gestire
il
campo
coltivato
,
screditata
solo
da
qualche
tetro
vivisettore
che
,
tra
l
'
altro
,
non
ha
nessuna
competenza
in
merito
.
Mi
sembra
,
come
ha
scritto
Vattimo
su
questo
giornale
,
che
la
ricerca
scientifica
sia
diventata
,
oggi
,
così
socialmente
importante
che
non
può
più
essere
affidata
soltanto
agli
scienziati
,
anche
perché
tutto
quello
che
ho
chiamato
in
causa
è
dipeso
principalmente
da
loro
.
In
realtà
,
rispetto
ai
prodotti
delle
piante
geneticamente
modificate
,
risulta
evidente
come
non
siano
state
mai
fatte
ricerche
a
lunga
scadenza
sui
possibili
danni
all
'
ambiente
e
alla
salute
umana
.
Quando
Regge
,
dall
'
alto
della
sua
cattedra
,
afferma
che
in
Cina
ci
si
serve
in
tavola
da
tempo
del
transgenico
,
ma
non
si
sono
avuti
danni
alla
salute
dei
consumatori
,
è
proprio
sicuro
che
sia
così
?
Dobbiamo
concludere
che
per
le
multinazionali
delle
biotecnologie
,
e
per
gli
scienziati
che
lavorano
per
loro
,
noi
tutti
siamo
delle
cavie
su
cui
sperimentare
.
Non
sono
contro
la
ricerca
scientifica
,
come
potrei
?
L
'
ho
fatta
,
con
alterne
fortune
,
per
tutta
la
vita
.
Tuttavia
,
sono
stato
sempre
a
favore
del
principio
di
precauzione
e
pongo
la
vita
umana
al
di
sopra
dell
'
economia
,
e
delle
pretese
degli
scienziati
,
che
non
invocano
quella
che
chiamano
la
libertà
di
ricerca
,
ma
la
licenza
di
fare
quello
che
vogliono
,
perfino
una
bomba
atomica
se
è
il
caso
.
Sembra
che
Fermi
,
assistendo
a
una
conflagrazione
sperimentale
della
bomba
H
,
sussurrasse
a
Teller
:
«
E
'
terribile
,
ma
è
un
così
bell
'
esperimento
!
»
.
Per
fortuna
,
si
ricordi
di
Asilomar
,
non
tutti
gli
scienziati
sono
fatti
della
stessa
pasta
,
e
molti
di
loro
non
sono
affatto
tranquilli
sulle
ricadute
negative
possibili
della
cosiddetta
ingegneria
genetica
.
Per
sfortuna
,
i
semi
terminator
della
Monsanto
ci
hanno
chiarito
in
che
cosa
consistano
,
per
loro
,
gli
aiuti
al
Terzo
Mondo
,
compendiabili
nel
dilemma
«
o
compri
da
noi
,
o
muori
di
fame
»
.
Una
sintesi
brutale
?
Forse
,
ma
non
per
questo
meno
veritiera
.
Al
Parlamento
Europeo
è
stata
presentata
nei
giorni
scorsi
una
direttiva
sulla
immissione
degli
Ogm
in
campo
e
nei
supermercati
.
E
'
stata
votata
dalla
maggioranza
,
ma
io
,
con
i
Verdi
,
mi
sono
astenuto
.
Il
perché
è
presto
detto
:
da
un
lato
,
la
direttiva
prendeva
in
seria
considerazione
il
problema
dell
'
etichettatura
e
della
tracciabiltà
dei
prodotti
transgenici
,
però
,
d
'
altro
lato
,
sospendeva
ogni
azione
concreta
in
merito
,
promettendo
di
risolvere
la
questione
entro
quest
'
anno
.
Una
sorta
di
amplexus
interruptus
,
e
l
'
astensione
mi
è
sembrata
la
sola
via
possibile
da
percorrere
.
Ma
il
bello
è
questo
:
la
direttiva
consente
che
nei
prodotti
Ogm
siano
ancora
presenti
,
fino
al
2004
,
i
marcatori
di
resistenza
agli
antibiotici
.
Bene
,
come
ho
fatto
osservare
in
aula
,
se
le
multinazionali
sostengono
di
essere
pronte
a
sostituire
questi
marcatori
con
mezzi
alternativi
,
perché
insistono
nel
mantenere
la
suddetta
dilazione
?
E
se
progettano
delle
alternative
,
non
significherà
che
li
considerano
pericolosi
per
la
salute
,
anche
se
hanno
sempre
assicurato
il
contrario
?
Si
tenga
presenta
,
allora
,
che
tutti
quei
prodotti
che
si
vogliono
far
piovere
nel
nostro
piatto
sono
dotati
di
questi
geni
:
per
cui
si
predica
bene
e
si
razzola
male
.
Ma
,
alla
fin
fine
,
che
cosa
chiedono
tutti
questi
irrequieti
scienziati
in
coro
?
Che
si
mangi
il
pappone
,
e
si
stia
zitti
?
E
se
qualcuno
chiede
il
menù
,
bene
,
è
uno
che
si
propone
di
mettere
alla
tortura
Galileo
.
StampaQuotidiana ,
Questo
era
il
titolo
dell
'
articolo
mio
pubblicato
nel
n
.
200
di
questo
giornale
Fu
omesso
in
stamperia
ed
è
un
guaio
,
perché
così
ci
sarà
stato
chi
avrà
creduto
che
avevo
intenzione
di
rispondere
a
certe
critiche
,
mentre
non
ho
tempo
né
voglia
di
fare
ciò
,
e
tale
miseria
non
mi
tange
.
Ma
poiché
in
articoli
di
giornali
quotidiani
non
è
possibile
spiegarsi
con
quell
'
ampiezza
che
si
può
usare
nei
libri
,
ci
possono
essere
persone
che
,
in
perfetta
buona
fede
,
abbiano
frainteso
quanto
scrivevo
,
ed
è
quindi
doveroso
il
dare
loro
spiegazioni
,
poiché
è
giusto
che
chi
ha
fatto
il
peccato
faccia
anche
la
penitenza
.
Mosso
da
tale
sentimento
aggiungo
qui
altre
spiegazioni
;
e
poi
faccio
punto
,
e
chi
non
vorrà
intendere
si
serva
pure
che
non
me
ne
importa
niente
.
Tra
le
teorie
che
troveranno
luogo
nel
mio
trattato
di
Sociologia
,
che
pubblicherà
fra
non
molto
il
Barbera
di
Firenze
,
ce
n
'
è
una
sulla
composizione
delle
classi
governanti
sociali
e
la
loro
evoluzione
.
Per
fare
piacere
al
mio
amico
Geoges
Sorel
,
pubblicai
,
nella
rivista
sua
,
un
caso
particolare
di
questa
teoria
,
e
non
me
ne
dolgo
;
tutt
'
altro
,
poiché
ciò
mi
procurò
l
'
approvazione
,
per
me
preziosissima
,
di
scienziati
come
il
Sorel
e
il
prof
.
Tullio
Martello
.
Quanto
scrissi
nella
rivista
del
Sorel
,
fu
bene
inteso
e
spiegato
dall
'
egregio
autore
che
firma
Pupin
nel
«
Resto
del
Carlino
»
;
io
non
posso
per
ragion
di
spazio
ripetere
qui
né
il
testo
né
la
spiegazione
;
basti
sapere
che
,
se
non
erro
,
occorre
considerare
due
categorie
di
«
capitalisti
»
,
e
cioè
coloro
che
hanno
una
entrata
fissa
,
o
quasi
fissa
,
e
coloro
che
hanno
un
'
entrata
variabile
dipendente
da
speculazioni
,
e
che
perciò
si
possono
brevemente
dire
«
speculatori
»
,
senza
,
per
altro
che
tale
nome
porti
con
sé
il
menomo
biasimo
.
Mi
pare
dimostrato
dalla
storia
che
il
massimo
di
prosperità
per
un
paese
si
ottiene
ove
non
prevalga
troppo
né
la
prima
né
la
seconda
categoria
di
tali
persone
nella
classe
governante
.
Ora
,
un
poco
dappertutto
,
c
'
è
una
notevole
tendenza
al
predominio
della
seconda
categoria
;
ed
è
un
fatto
che
,
sia
pure
sotto
varie
forme
,
è
intuito
da
moltissimi
.
In
Francia
il
Jaurès
,
ha
egregiamente
notato
l
'
opera
di
questa
categoria
nell
'
avventura
marocchina
.
In
Italia
la
proposta
è
di
mettere
lo
Stato
in
grado
di
aiutare
i
capitalisti
della
seconda
categoria
.
Non
mi
propongo
qui
di
indagare
che
effetto
ciò
avrà
;
mi
basta
mettere
in
luce
il
puro
fatto
,
perché
è
l
'
esistenza
del
fatto
che
conferma
la
teoria
.
Ed
è
pure
notevole
che
i
socialisti
i
quali
,
in
ogni
altro
paese
,
sono
nemici
acerrimi
appunto
di
quei
capitalisti
,
in
Italia
,
invece
,
aiutano
il
governo
a
favorirli
.
Da
ciò
non
traggo
alcuna
conseguenza
in
biasimo
dei
socialisti
italiani
.
Essi
hanno
uno
scopo
,
sia
in
suffragio
universale
od
altro
,
e
per
conseguirlo
si
muovono
secondo
la
linea
di
minor
resistenza
,
Ma
per
la
mia
teoria
è
importantissimo
di
notare
che
quella
linea
di
minor
resistenza
passa
dove
non
si
offende
,
anzi
dove
si
favorisce
gli
interessi
di
quella
seconda
classe
di
capitalisti
;
perché
così
rimane
ancora
una
volta
confermata
la
potenza
loro
,
la
quale
in
ogni
pagina
della
storia
si
legge
.
È
anche
notevole
come
uno
strategista
parlamentare
di
primissimo
ordine
,
come
è
l
'
on
.
Giolitti
abbia
come
pezzi
preferiti
sullo
scacchiere
sempre
quei
capitalisti
,
principiando
dal
Tanlongo
,
passando
dalle
convenzioni
marittime
,
terminando
col
monopolio
delle
assicurazioni
.
Ripeto
che
da
ciò
io
non
traggo
il
menomo
biasimo
all
'
on
.
Giolitti
,
ma
traggo
la
conclusione
,
che
mi
pare
evidente
,
che
quei
capitalisti
hanno
tanta
forza
da
imporsi
a
chi
voglia
fare
una
politica
pratica
.
Neppure
ad
essi
,
di
ciò
intendo
dare
biasimo
alcuno
;
ogni
classe
sociale
opera
secondo
la
propria
indole
,
e
non
può
essere
altrimenti
,
e
neppure
gioverebbe
che
fosse
altrimenti
.
Ma
può
essere
un
guaio
che
una
delle
classi
sociali
stravinca
e
non
incontri
più
opposizione
alcuna
;
specialmente
poi
il
guaio
può
essere
grande
quando
venga
meno
ogni
opposizione
in
nome
di
un
ideale
.
Ma
qui
mi
fermo
,
perché
se
aggiungessi
parola
,
entrerei
nella
teoria
degli
ideali
e
dei
miti
,
importantissima
per
la
Sociologia
,
ma
che
non
si
può
spiegare
in
poche
parole
;
e
se
ricadessi
nel
peccato
di
volere
ciò
fare
,
meriterei
troppo
grande
penitenza
.
StampaQuotidiana ,
Le
parole
messe
in
musica
,
le
parole
cantate
non
piacciono
ai
più
raffinati
cultori
dell
'
arte
dei
suoni
.
Fra
coloro
che
ancora
le
sopportano
,
molti
preferiscono
le
forme
corali
,
in
cui
la
parola
sparisce
,
altri
amano
che
della
voce
giunga
solo
l
'
arabesco
sonoro
,
senza
che
alcuna
sillaba
si
distingua
,
altri
ancora
(
i
meno
)
vorrebbero
che
la
parola
musicata
giungesse
a
noi
sempre
scandita
,
chiara
,
intelligibile
.
Sono
i
partitanti
del
così
detto
«
recitar
cantando
»
,
italianissimo
precetto
.
Mi
unirei
volentieri
a
questi
ultimi
se
il
gioco
valesse
come
suol
dirsi
la
candela
,
se
fossi
certo
che
la
musica
può
in
certi
casi
far
sprizzare
dalla
poesia
,
che
in
se
stessa
è
già
musica
,
una
musica
di
secondo
grado
degna
,
o
non
indegna
,
della
prima
.
So
di
sfiorare
un
problema
sul
quale
esiste
tutta
una
letteratura
,
che
purtroppo
conosco
solo
in
minima
parte
.
È
musicabile
la
poesia
?
E
qual
genere
di
poesia
?
E
fino
a
che
punto
?
E
in
quale
misura
le
parole
dovranno
conservare
la
loro
autonomia
e
lasciarsi
intendere
dall
'
ascoltatore
?
In
genere
la
recente
tradizione
operistica
ha
ignorato
il
problema
e
ha
considerato
la
parola
come
il
necessario
pretesto
a
far
sì
che
lo
strumento
«
voce
umana
»
possa
entrare
nel
gioco
degli
altri
strumenti
e
farsi
valere
.
Ma
esiste
anche
una
scuola
che
va
dai
nostri
grandi
cinquecentisti
fino
a
Debussy
e
magari
fino
allo
Schönberg
di
Pierrot
lunaire
,
e
che
pretende
di
avere
un
rispetto
assoluto
della
parola
,
di
creare
ad
essa
il
giusto
prolungamento
o
alone
sonoro
,
senza
distruggerne
l
'
individualità
.
Questi
teorici
,
più
o
meno
consapevoli
,
del
canto
recitato
hanno
però
finito
con
l
'
ammettere
che
solo
una
«
certa
poesia
»
è
musicabile
e
la
scelta
dei
loro
testi
rivela
chiaramente
ch
'
essi
si
sono
quasi
sempre
posti
sulla
via
del
compromesso
.
Musicavano
una
volta
ballatette
,
poesiole
d
'
Arcadia
,
strofette
scritte
apposta
per
la
musica
;
affrontano
oggi
drammi
di
scarso
valore
poetico
(
Pelléas
et
Mélisande
)
o
liriche
di
una
vacuità
addirittura
inconcepibile
,
come
la
suite
del
Pierrot
lunaire
,
opera
di
un
Albert
Giraud
che
deve
al
musicista
viennese
il
suo
insperato
repéchage
.
Il
peggior
partito
fu
quello
preso
dai
musici
che
scrissero
da
sé
i
propri
testi
o
libretti
:
incerti
fra
la
doppia
vocazione
,
poetica
e
musicale
,
essi
si
lasciarono
ipnotizzare
da
parole
orrende
e
solo
si
salvarono
permettendo
che
le
voci
andassero
sommerse
nella
selva
del
grande
golfo
mistico
.
Fa
eccezione
,
parzialmente
,
Riccardo
Wagner
,
ma
ciò
avviene
per
la
superba
natura
del
suo
genio
,
e
non
perché
in
lui
non
si
avverta
una
soverchiante
prepotenza
subìta
dalla
parola
.
Se
dal
piano
delle
scuole
e
delle
teorie
ci
spostiamo
all
'
osservazione
dei
fatti
,
noi
vediamo
che
almeno
dall
'
Ottocento
in
poi
un
sapiente
compromesso
regola
tutte
le
esecuzioni
di
musica
vocale
.
Fatta
eccezione
per
moltissimi
Lieder
o
romanze
da
camera
,
o
per
qualche
recitativo
d
'
opera
comica
,
o
per
alcuni
superbi
frammenti
del
Boris
,
la
soluzione
pratica
del
difficile
problema
è
sempre
la
stessa
;
le
parole
ci
sono
e
non
ci
sono
,
si
sentono
e
non
si
sentono
,
aiutano
o
danneggiano
l
'
effetto
,
a
seconda
dei
casi
.
Si
è
formata
,
anche
in
questo
campo
,
una
tradizione
che
i
migliori
interpreti
rispettano
quasi
d
'
istinto
.
È
doveroso
far
sentire
le
parole
in
certi
miracolosi
«
attacchi
»
che
anche
poeticamente
hanno
una
freschezza
primaticcia
degna
del
nostro
Duecento
(
«
Casta
Diva
che
inargenti
...
»
,
«
La
rivedrà
nell
'
estasi
/
raggiante
di
pallore
...
»
)
o
all
'
inizio
di
qualche
incalzante
proposta
tematica
(
«
Fuggi
fuggi
,
per
l
'
orrida
via
/
sento
l
'
orma
dei
passi
spietati
...
»
)
.
In
altri
casi
tutto
è
affidato
all
'
intuizione
e
alle
possibilità
dell
'
artista
.
I
ghirigori
acrobatici
di
Rosina
non
possono
essere
pronunciati
come
le
sillabe
di
un
Lied
di
Schubert
;
è
giusto
che
Vasco
de
Gama
liberi
dal
vago
tremolo
orchestrale
le
suggestive
parole
«
O
paradiso
dall
'
onde
uscito
»
,
ma
è
altrettanto
lecito
che
il
grande
navigatore
ci
nasconda
gli
ulteriori
sviluppi
della
sua
sorpresa
,
specie
quand
'
essi
restano
affidati
alla
sola
forza
di
penetrazione
del
si
naturale
o
del
do
sopra
le
righe
.
L
'
invettiva
di
Rigoletto
«
Solo
per
me
l
'
infamia
»
è
un
suono
di
gong
più
che
un
suono
di
sillabe
umane
:
guai
a
pronunciare
troppo
,
guai
a
turbare
la
piena
rotondità
di
quel
rombo
da
giorno
del
Giudizio
.
Viceversa
,
tutte
le
volte
che
un
tema
è
annunciato
in
anticipo
da
uno
o
più
strumenti
,
l
'
attacco
delle
prime
parole
deve
riuscire
nitidissimo
.
Quando
il
vecchio
Sir
Giorgio
,
nei
Puritani
,
incide
a
gran
voce
«
Il
rivale
salvar
tu
puoi
...
»
,
il
pubblico
è
felice
di
sentire
incarnarsi
in
parole
un
disegno
melodico
a
lui
già
noto
:
ma
subito
dopo
le
acque
si
intorbidano
e
il
tema
,
ripreso
da
una
voce
troppo
uguale
,
quella
di
Sir
Riccardo
,
non
riesce
a
far
corpo
con
le
parole
come
«
Fu
voler
del
Parlamento
»
,
che
fanno
veramente
cascar
l
'
asino
.
Non
che
sia
un
verso
peggiore
di
tanti
altri
;
ma
le
parole
troppo
astratte
o
troppo
tecniche
o
troppo
specifiche
sopportano
male
la
musica
;
ed
evidentemente
questo
quasi
carducciano
parlamento
non
fa
eccezione
.
(
È
una
delle
tante
meritate
disgrazie
dell
'
istituto
parlamentare
;
ma
lasciamo
correre
...
)
I
problemi
della
parola
in
musica
,
del
recitar
cantando
o
del
cantare
non
recitando
affatto
restano
dunque
aperti
e
insolubili
:
Mussorgski
,
Debussy
e
alcuni
autori
di
canti
negri
sembrano
,
fra
i
moderni
,
coloro
che
meglio
sono
riusciti
a
legare
il
suono
alla
parola
,
ma
la
loro
personalissima
soluzione
non
può
valere
per
tutti
.
Sono
esistiti
,
e
speriamo
ne
sorgano
altri
in
avvenire
,
grandissimi
musicisti
del
teatro
che
si
servono
della
parola
scritta
come
d
'
un
semplice
punto
d
'
appoggio
:
Mozart
,
Bellini
e
Verdi
,
per
esempio
.
Il
loro
ideale
non
era
quello
di
Strawinski
,
una
lingua
morta
,
un
testo
latino
quasi
indecifrabile
al
gran
pubblico
,
ma
un
discorso
chiaro
e
neutro
al
quale
si
potesse
far
violenza
.
Ciò
resta
vero
anche
se
Mozart
amò
i
libretti
dell
'
abate
Da
Ponte
e
Bellini
quelli
di
Felice
Romani
.
E
Verdi
?
Si
è
un
poco
esagerato
sugli
orrori
delle
parole
da
lui
musicate
.
«
L
'
orma
dei
passi
spietati
»
,
tristamente
famosa
,
non
riesce
a
muovermi
a
sdegno
.
Guai
se
leggessimo
Shakespeare
a
questa
stregua
:
non
venitemi
a
dire
,
per
carità
!
,
che
l
'
orma
si
vede
e
non
si
sente
.
D
'
altronde
anche
i
vecchi
libretti
,
fatti
apposta
per
essere
musicati
,
confermano
,
quando
toccano
qualche
espressione
riuscita
,
che
poesia
e
musica
camminano
per
conto
proprio
e
che
il
loro
incontro
resta
affidato
a
fortune
occasionali
.
Peggio
quando
raggiungono
involontariamente
il
clima
del
surreale
.
Conoscevo
un
uomo
(
un
uomo
in
tutto
il
resto
normalissimo
)
che
provava
il
bisogno
di
ripetere
da
cento
a
centocinquanta
volte
al
giorno
un
verso
che
era
diventato
il
suo
intercalare
favorito
:
«
Stolto
!
ci
corre
alla
Negroni
!
»
.
Lo
diceva
anche
al
telefono
,
in
conversazioni
di
carattere
commerciale
.
Quando
gli
rivelai
che
si
trattava
della
Lucrezia
Borgia
egli
impallidì
,
geloso
del
suo
segreto
,
e
mi
disse
che
mai
avrebbe
sentito
quell
'
opera
per
non
provare
la
delusione
di
una
musica
soprammessa
alle
sue
«
divine
parole
»
.
Scansato
da
tutti
come
un
appestato
,
egli
finì
per
stringere
amicizia
con
un
tale
che
ripeteva
a
intermittenza
«
La
nostra
tomba
è
un
'
ara
»
(
variante
della
foscoliana
«
vostra
tomba
»
)
e
con
un
terzo
maniaco
che
aveva
scelto
il
più
lungo
intercalare
ch
'
io
ricordi
:
«
Speriamo
di
morire
prima
che
le
Pleiadi
si
colchino
»
.
Doveva
essere
un
classicista
a
spasso
,
un
professore
in
pensione
.
I
tre
uomini
,
vistisi
porre
al
bando
per
la
loro
incorreggibile
,
benché
innocua
ed
epigrafica
,
ecolalia
,
finirono
per
incontrarsi
clandestinamente
in
una
camera
d
'
affitto
dove
potevano
emettere
a
ripetizione
il
loro
verso
preferito
;
e
dove
poi
(
il
fatto
avvenne
una
quindicina
d
'
anni
fa
)
furono
arrestati
,
accusati
di
congiurare
contro
il
regime
e
proposti
per
il
confino
.
Dopo
tale
disavventura
il
trio
si
sciolse
e
oggi
non
saprei
dire
se
qualcuno
dei
suoi
componenti
sopravviva
.
Inconsapevoli
testimoni
della
magica
autosufficienza
della
Parola
,
i
tre
sventurati
sarebbero
assai
sorpresi
di
riconoscersi
in
uno
scritto
che
sfiora
,
ma
non
pretende
di
risolvere
la
vessata
questione
dei
rapporti
,
coniugali
ed
extra
-
coniugali
,
tra
il
Verbo
e
la
Musica
.