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I libri nello scaffale ( Montale Eugenio , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Scorrendo riviste di cultura , estratti di rendiconti accademici , relazioni presentate a congressi ed altre pubblicazioni del genere può accadere di incontrare accaniti ri - lettori . Titoli come « Rileggendo Jean - Jacques » , « Rileggendo il Pulci » , « Rileggendo Melantone » sono tutt ' altro che improbabili . Un così fatto zelo di erudizione sarebbe ammirevole se l ' asserita rilettura non fosse del tutto immaginaria . Nella grande maggioranza dei casi , non di rilettura si tratterà ma di un primo frettoloso approccio . Rilegge chi ha già letto ; e il tempo delle lente e meditate letture è ormai lontano da noi . In particolare , si leggono sempre meno libri , mentre è assai alto il numero di lettori di fogli periodici , giornali , riviste , manifesti murali e altra roba stampata . Ma i lettori delle pubblicazioni volanti , giornaliere , non leggono : vedono , guardano . Guardano con un ' attenzione « fumettistica » anche quando sanno leggere davvero ; guardano e buttano via . I nostri treni « rapidi » , giunti a destinazione , sono un cimitero di pubblicazioni effimere . Restano i libri , sempre più numerosi , quanto più scarseggia il numero dei possibili lettori . in Italia esistono forse trecento librai degni del nome , e un numero di editori almeno triplo . Il fatto è singolare perché il libro , come oggetto di consumo , è ingombrante , difficilmente trasportabile , facilmente deperibile , spesso costituzionalmente refrattario a una rapida alienazione . A chi presteremo ( sperando che non ci siano restituite ) le opere complete del Bembo o dell ' Alfieri ? Sono opere importanti , che da anni ingombrano i nostri scaffali : è quasi certo che un giorno potranno servirci , che un giorno dovremo affrontarne la rilettura ; ma intanto pullulano opere più urgenti , più attuali , che noi siano tenuti a leggere sul serio , e i nostri scaffali sono al completo . Un tempo erano graditi i larghi in folio , i robusti in quarto , utilissimi a stirare i pantaloni , dopo un giorno di pioggia ; e graditi in ordine ascendente ( o discendente , se si guarda al formato ) tutti gli altri volumi . Persino le quasi invisibili farlallette pubblicate da Vanni Scheiwiller non rischiavano di essere assorbite dall ' aspirapolvere ed erano agevolmente ospitate tra gli interstizi degli altri libri . Ma oggi ? Non c ' e più spazio nelle case del lettore medio ; per lui , e per il novanta per cento dei superstiti lettori , il libro è diventato un ospite ingrato . Ricordate i piatti di terracotta che si trovavano una volta in Toscana ? Portavano , tutt ' intorno , iscrizioni ben poco incoraggianti : per esempio : « l ' ospite è come il pesce : dopo un giorno puzza » . Ebbene : ospiti di questo tipo rischiano di essere , d ' ora in poi , i libri ch ' entrano nella casa di chi vorrebbe leggere e non può . Non venitemi a dire che oggi un libro italiano può raggiungere alte tirature ( centomila copie in pochi mesi , come in qualche recente caso ) mentre il Mastro - don Gesualdo non superava , dopo trent ' anni , il secondo migliaio . Se anche in Italia può verificarsi il fenomeno del best seller , questo non significa nulla . Il libro che il vento della moda porta in cresta all ' onda può o non può avere un valore letterario , ma è quasi certo che chi si lascia sedurre da quel vento e acquista il libro « di cui si parla » non è mosso dall ' impellente bisogno di conoscere un ' opera d ' arte , bensì dall ' urgenza di conformarsi a un supposto obbligo sociale , di aggiornarsi . L ' aggiornamento è una delle facce dell ' odierno conformismo . Ed è naturale che l ' obbligo di conformarsi investa anche il settore del libro ; si tratta pure sempre di casi isolati , tali da non infirmare la nostra constatazione : che oggi la vita del libro si fa sempre più problematica , e che il libro come oggetto si fa sempre meno desiderabile . Come oggetto di lusso il libro non ha ancora saturato il mercato ; per qualche tempo appariranno ancora , nella stagione delle strenne , i grossi volumi custoditi , incassati entro fortilizi di cartone , costosissimi , non maneggevoli , inimmaginabili come livres de chevet e perciò destinati a non essere letti da nessuno . Tuttavia è raro che simili pubblicazioni abbiano un vero valore culturale . Chi dispone di spazio può allogare tali imballaggi sull ' inaccessibile fastigio di qualche armadio ; chi invece è giù assediato da altri e troppo numerosi volumi fard il possibile per disfarsi dei nuovi ingombranti ospiti e per salvare dalla distruzione i pochi libri che per lui contano . Pochi , ma sempre troppi per la maggior parte dei lettori . Si è parlato fin qui dei lettori che più contano per un vero scrittore , cioè di una minoranza di lettori . Evidentemente non è a questi che può rivolgersi una industria culturale in grande espansione . Ai lettori - di - massa , molto più numerosi , il tradizionale libro che si legge e si ripone nello scaffale è ormai inadeguato . Il libro che ad essi conviene è quell ' inelegante , commestibile ed equivoco , anzi multivoco , prodotto clic si chiama il « condensato » . Finora si è proceduto lentamente su questa via ; ma è questione d ' anni . Al vero libro , di scarso smercio e di quasi impossibile collocazione fisica ( non fa piacere di buttarlo via ) viene sostituito 1'Ersatz del falso libro : il prodotto che brucia le dita se non si getta nel portacenere , come mozzicone di sigaretta . Si prendono - si prenderanno sempre più - alcuni libri più o meno importanti , o di nessuna importanza , vecchi o nuovi , e se ne fanno estratti , riassunti , riepiloghi , in modo che un solo tomo contenga il così detto « meglio » - quasi sempre il peggio - di quattro o cinque opere . L ' operazione è di vecchia data . Tutti noi abbiamo letto , durante la nostra infanzia , riduzioni del Don Chisciotte o dei Viaggi di Gulliver ad usum delphini ; e pochi di noi , giunti all ' età della ragione , hanno avuto il tempo di risalire agli originali . Oggi si è compiuto un ulteriore passo : le opere così potate e macellate non sono più scelte tra i capolavori ma tra i libri recenti . Un autore odierno sarebbe felice se dopo aver smaltito qualche migliaio di copie di un suo libro lo vedesse prolungare la sua esistenza sotto la forma di truciolo , frammischiato ad altri trucioli - condòmini di varia provenienza . Il condensato garantisce un notevole supplemento dei diritti d ' autore e tiene in vita il nome degli scrittori : il solo nome , è vero , ma oggi il nome è quel che più conta . Mi correggo : il nome contava fino a ieri ; si può dire che conti oggi ? Solo un ' esigua minoranza di coloro che ascoltano una commedia è in grado di ( lire o ricordare il nome dell ' autore ; solo pochi lettori di un libro terranno a mente il nome di chi l ' ha scritto . Il ricordo si effettua nella durata e nulla è più sgradito al nostro tempo che la durata . Inteso come opera destinata a restare , il libro non è oggetto che possa interessare l ' uomo economico : il suo vero compito è di produrre il maggior rumore momentaneo e poi di scomparire per far luogo ad altri oggetti . E la scomparsa del libro può anche avvenire in molti modi : per esempio , trasformandolo in altro oggetto , in un film . È recente un concorso per romanzi da tradursi in pellicola . Che cosa chiedevano i promotori di quel concorso ? Certo non un bel romanzo , perché i romanzi « filmabili » abbondano in tutto il mondo ; ed è ormai quasi certo che da un bel romanzo si ricava un cattivo film o almeno un film che tradisce il romanzo e lo deforma irreparabilmente . È facile supporre che Senilità di Svevo trasferito dal 1898 a epoca assai più recente perda quel tipico colore locale e ambientale che ne fa un capolavoro fin de siècle e divenga un normale imbroglio di gelosia e persino alcoolismo . Simili trapassi , e quasi direi trasbordi da un genere artistico a un altro , presuppongono che il punto di partenza , l ' originale , sia assunto come materia prima e trasformato in un nuovo manufatto . Un ' analogia potrebbe esser data dall ' olio di sansa : da una materia oleosa già spremuta si estrae , con solventi chimici , altra sostanza meno gradevole ma non micidiale . Nel caso del libro , però , il nuovo prodotto è ancora più lontano dal testo primitivo . Non importa , perché tutto è compensato da un vantaggio : ed è che il fastidioso personaggio dell ' autore viene eliminato e a lui si sostituisce un gruppo di nuovi operatori . I gruppi possono essere diversi se dal libro si cava un film , e dal film una commedia o viceversa ; non manca il caso dello scrittore che provvede personalmente ai diversi usi e mette in carta contemporaneamente romanzo , sceneggiatura filmica e commedia , ma è un caso molto raro . La politica economica culturale tende al « pieno impiego » ed è augurabile che molta gente venga occupata a spolpare lo stesso osso . Accade persino che la sceneggiatura di un film sia pubblicata in forma di libro e così il cerchio si chiude . Trasformato in spettacolo , il libro passa in archivio . Eccolo là nello scaffale , nella vana attesa di essere ripreso . Ha ancora molti segreti da rivelarci , lo abbiamo letto in anni lontani e probabilmente siamo rimasti alla sua superficie . Oppure può esser vero il contrario : che il libro già famoso si riveli illeggibile . Ma è tardi , altri libri chiedono l ' accessit e per il vecchio libro - vecchio talvolta di un anno o due - non c ' è più speranza di salvezza . Anche lo scaffale si aggiorna .
La virtù dei deboli ( Bobbio Norberto , 1986 )
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Le recenti vicende che stanno travolgendo la popolarità di Ronald Reagan hanno sollevato un vasto dibattito che riguarda non soltanto la persona del presidente ma anche l ' istituzione stessa della presidenza della repubblica degli Stati Uniti , come si è venuta trasformando negli ultimi decenni . Per quanto possa sembrare paradossale , si va dicendo che il presidente degli Stati Uniti è insieme forte e vulnerabile , e addirittura tanto più vulnerabile quanto più forte . Il paradosso consiste nel fatto che la vulnerabilità è di solito considerata caratteristica di un potere debole . Nell ' ultimo saggio scritto prima della morte ( Autoritarismo , fascismo e classi sociali , Il Mulino , Bologna 1975 ) Gino Germani esprimeva il dubbio che i pochi governi democratici nel mondo attuale potessero sopravvivere in un universo di Stati in gran parte non democratici . Egli fondava questo dubbio sulla convinzione che i regimi democratici fossero più vulnerabili sia per ragioni interne - la frammentazione del potere che consente a piccoli gruppi organizzati di inferire colpi mortali alla società costretta per difendersi a violare le sue stesse regole - , sia per ragioni esterne - la crescente e inarrestabile dimensione universale della politica internazionale che avrebbe favorito i regimi autoritari più di quelli democratici . Entrambe le ragioni mettevano in relazione la vulnerabilità delle democrazie con la loro debolezza . Soprattutto per quel che riguarda la politica estera , la stessa tesi è stata sostenuta col solito vigore e furore polemici da Jean - François Revel nel libro Come finiscono le democrazie ( Rizzoli , Milano 1984 ) . Le democrazie sarebbero destinate a finire , e a rappresentare un episodio di breve durata nella storia del mondo , per l ' incapacità di difendersi dal loro grande avversario , il totalitarismo . Questa incapacità sarebbe dovuta in parte ai dissensi interni , in parte all ' eccesso di arrendevolezza di fronte all ' astuto , spietato , antagonista . Anche in questo caso la vulnerabilità è interpretata come il naturale effetto della debolezza . In che senso la vulnerabilità può essere fatta derivare piuttosto dall ' eccesso di forza che dall ' eccesso di debolezza ? La risposta è stata data per secoli dai classici del pensiero politico : tanto più grande il potere dei governanti tanto più forte è la tentazione che essi hanno di abusarne , vale a dire di esercitarlo violando o aggirando le norme stabilite per regolarlo e limitarlo . Tale risposta trova piena conferma nell ' affermazione di uno dei più illustri storici contemporanei degli Stati Uniti , Arthur Schlesinger , che in un ' intervista di questi giorni ha detto : « Gli scandali come il Watergate , oggi l ' Irangate , sono la risposta patologica alla patologia dell ' onnipotenza » . Naturalmente vi sono regimi in cui il potere è forte e insieme invulnerabile . Sono gli Stati dispotici ove chi governa non ha , come diceva Montesquieu , « né leggi né freni » . Vi sono regimi in cui leggi fondamentali esistono ma mancano gli organi di controllo della loro osservanza . Sono le autocrazie preliberali in cui il rispetto delle leggi fondamentali che dovrebbero limitare il potere sovrano è demandato allo stesso detentore di quel potere ( « autocrate » è letteralmente colui che governa se stesso ) . Vi sono infine regimi in cui non solo il potere deve essere sempre esercitato entro i limiti stabiliti da una costituzione formale , e oggi , nella maggior parte dei casi , anche rigida , ma è , o dovrebbe essere , di fatto sottoposto sempre a controlli esterni . Sono gli Stati democratici . Di questi controlli due sono i principali : quello derivato dalla libertà di stampa , che permette la formazione di un ' opinione pubblica ; quello derivato dall ' istituzione della divisione dei poteri da cui nasce il controllo del potere legislativo su quello governativo . Sono due istituti caratteristici dello Stato democratico , di cui siamo debitori alla tradizione del pensiero liberale , che ha avuto negli Stati Uniti una delle sue terre d ' elezione . Secondo la brillante tesi sostenuta recentemente da Michel Walzer , professore di scienze sociali all ' Institute for Advanced Studies di Princeton , lo spirito del liberalismo consiste nell ' « arte della separazione » , a cominciare dalla separazione dello Stato dalla Chiesa , della sfera privata dalla pubblica , della società civile dal sistema politico , per finire , all ' interno del sistema politico , a quella tra l ' uno e l ' altro dei massimi poteri . Tutte queste separazioni servono , come afferma Walzer , « a prevenire e a combattere l ' uso tirannico del potere » . In base a questa tesi è lecito sostenere che tanto la crisi della presidenza Nixon quanto quella della presidenza Reagan siano nate proprio dalla violazione del principio di separazione , vale a dire dalla pratica costante , e per un certo periodo di tempo incontrollata , della confusione , in primo luogo della confusione fra potere legale e potere personale , ovvero nell ' uso personale del potere legale . Si capisce quindi perché si possa parlare di vulnerabilità a proposito tanto di un governo debole quanto di un governo forte . Ma se ne parla in due sensi diversi . Il primo è vulnerabile per sua natura ; il secondo è tale in un contesto istituzionale in cui anche il supremo potere è limitato da regole giuridiche . Nel primo caso la vulnerabilità è un fatto negativo , e induce chi la denuncia a sostenere che la democrazia è impraticabile . Nel secondo è un fatto positivo , ed è anzi la riprova che i meccanismi di controllo del potere , propri dei regimi democratici , sono entrati , se pur talora tardivamente , in azione . Nel primo caso è un difetto , nel secondo il rimedio a un difetto . Un rimedio che dimostra se mai quanto sia difficile il pieno rispetto delle regole democratiche nei rapporti internazionali , in un sistema in cui la maggior parte degli Stati non sono democratici ed è esso stesso solo apparentemente democratico , in realtà ingovernabile . Sino a che uno Stato non democratico vive in una comunità cui appartengono Stati non democratici , ed è essa stessa non democratica , anche il regime degli Stati democratici sarà una democrazia incompiuta . L ' idea del vecchio Kant , per cui la condizione preliminare di una pace perpetua , diversa da quella dei cimiteri , fosse che tutti gli Stati avessero egual forma di governo , la forma repubblicana , quella forma di governo in cui per decidere della guerra occorre l ' assenso dei cittadini , non era il « sogno di un visionario » . Era una previsione fatta nella forma del « se allora » . Purtroppo quel « se » - « se tutti gli Stati fossero repubblicani » - può essere per ora soltanto l ' oggetto di un augurio .
PICCOLO INCIDENTE E TEORIA GENERALE ( PARETO VILFREDO , 1911 )
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Il piccolo incidente è quello del Monopolio delle assicurazioni in Italia ; della teoria generale feci cenno nell ' articolo pubblicato nella rivista del mio amico Sorel . La scienza sperimentale non ha dogmi , non ha principi assoluti , e di qualsiasi teoria non cessa di verificare i risultamenti coll ' esperienza . Perciò mi premeva il verificare se i fatti corrispondevano o non corrispondevano alle deduzioni già pubblicate ; e mi doleva il dovere aspettare molti anni ; ma in grazia del discorso del Giolitti , la verificazione è venuta sollecita quanto si poteva desiderare . Dicevo che il disegno del Monopolio aveva per scopo di favorire certi speculatori ; ed ecco il Giolitti a dichiarare esplicitamente che questo Monopolio aveva per scopo di rafforzare finanziariamente lo Stato , perché potesse sovvenire enti locali , aiutare intraprese , sussidiare sindacati . Così viene confermata una voce che già si sentiva a sussurrare che ci sono trusts i quali aspettavano il detto Monopolio come la manna del cielo . C ' è poi un ' altra conferma , sulla quale mi astengo dell ' insistere , perché desidero rimanere nel campo scientifico , lontano da ogni personalità . Il lettore che la volesse conoscere , prenda l ' elenco dei deputati che hanno votato ora in favore del Monopolio , e di fronte ad ogni nome metta un S se il deputato è legato a speculatori , amico , parente , di questi , o speculatore esso stesso ; e vedrà che gli S sono molti , moltissimi . Ce ne sono anche fra gli oppositori ; ma io appunto scrivevo nell ' articolo rammentato che questa era battaglia di speculatori . Intanto quei molti S , tra i partigiani dell ' on . Giolitti dimostrano che la frase a lui tanto rimproverata era giusta . Se egli avesse detto : « Preferisco l ' interesse dello Stato a quello di molti capitalisti » , sarebbe andato fuori della realtà : « Preferisco l ' interesse dello Stato a quello di pochi capitalisti » ; e così sta benissimo . Egli , da valente condottiero parlamentare , sa che la maggioranza è dalla parte dei molti . Generalmente , chi è ostile ad un partito si ferma a considerazioni analoghe . Credo invece che occorre andare più in là , e procurare di capire il perché del fenomeno . Eccovi molte persone intelligenti , anzi furbe , che hanno difeso il Monopolio , e non certo per motivi intrinseci ad esso . Dunque ci dovevano essere motivi estrinseci . Occorre trovarli . Eccovi socialisti , che sono solitamente nemici feroci dei sindacati o dei trusts , e che procacciano di dare allo Stato il modo di aiutare questi sindacati o questi trust ; e lo aiutano pure a sovvenire capitalisti e speculatori di ogni genere , dimenticando opportunamente le teorie del plus valore . Generalmente ci si ferma a notare ciò , e si grida la croce addosso all ' avversario che cade in sì potente contraddizione . No , l ' avversario può essere in perfetta buona fede ; ed il fenomeno è generale . Eccovi gente che si dice democratica ; per essi conta solo , il benessere del popolo ; il rimanente non si deve nemmeno rammentare . Dicono di volere dare le pensioni agli operai . Molti mezzi efficaci per questo ci sarebbero . Ad esempio i dazi doganali , fatti fiscali invece di essere protettivi , darebbero una somma esuberante al bisogno . Se non volete ciò avete l ' imposta progressiva de ' monopoli : potreste prendere quello dello zucchero , dei fiammiferi , dell ' alcool , od altri simili , tutti assai produttivi . Proprio no . Tra tutti quei provvedimenti i nostri amanti del popolo e nemici dei capitalisti , scelgono quello che , per loro stessa confessione , frutterà pochissimo , molto meno del bisogno per le pensioni , ma che sarà favorevolissimo agli speculatori che aspettano la manna governativa . La gente che così opera è intelligente , avveduta ; dunque ha i suoi buoni motivi . Bisogna studiarli . Qui mi fermo , perché se seguitassi scriverei un trattato e non un articolo . Vorrei solo che il lettore intendesse che questo caso del Monopolio delle assicurazioni è solo caso particolare di fenomeni molto più generali ; che questi fenomeni hanno le loro uniformità , e che possono essere oggetto di una scienza che indaghi appunto tali uniformità e le metta in luce .
L'arte spettacolare ( Montale Eugenio , 1952 )
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Molti anni fa , quando il film era muto , i cultori di estetica del cinema si studiarono ( non so con quanto successo ) di stabilire sottili differenze fra cinema e teatro , per impedire che il film , degenerando in teatro , cessasse di essere « puro » . Da quel tempo molte cose sono mutate : il film non è più muto , il teatro si è fatto spettacolare e filmistico e l ' avvento della televisione renderà presto impossibile ogni distinzione che non sia meramente tecnica . Secondo Carlo L . Ragghianti , autore di un ricco libro - Cinema arte figurativa ( Einaudi ) - , oggi si può distinguere solo fra spettacolo e non - spettacolo , e tutta l ' arte spettacolare è visiva e appartiene dunque al dominio delle arti figurative . Film e commedia sono figuratività svolta nel tempo e non solo nello spazio ; in ciò differiscono dalla pittura e dalla scultura , ma la differenza non è tale da farle escludere dalle arti figurative . Anche un quadro o una statua contengono un tempo - non solo psicologico , ma storico - che si deve sdipanare come un gomitolo per intenderli effettivamente . ( E qui , aggiungo io , mi fa piacere veder implicitamente combattuta la tesi secondo la quale - si veda la recente Storia dell ' architettura moderna di Bruno Zevi - il tempo , come quarta dimensione , sarebbe entrato nella pittura solo con l ' avvento del cubismo , il quale distruggendo la terza dimensione , il volume , permetterebbe di vedere contemporaneamente un oggetto da più lati . Solo Montaigne e Bach , Wagner e Proust e non Masaccio e non Piero , avrebbero dunque costruito col fattore temporale quanto Picasso e Braque ? ) Ricondotte sotto l ' insegna della Figuratività tutte le arti visive , e anche lo spettacolo , ne resta fuori , secondo il Ragghianti , la poesia . La poesia non è , per definizione , rappresentabile . La rappresentazione di un testo poetico è un assurdo perché non si può ammettere che la parola poetica , per esistere , debba chiedere un ' integrazione ( il palcoscenico , gli attori , il regista , lo scenografo ) . Quando dal libro si passa al palcoscenico , nasce un nuovo genere d ' arte - lo spettacolo - di cui è esclusivo autore il nuovo artista figurativo , il regista . Il resto - sia esso l ' Amleto o un canovaccio da commedia dell ' Arte - è una pedana , un trampolino , un espediente tecnico , un pretesto . Non cercate , in questi casi , l ' autore del testo scritto o cercatelo in biblioteca . A teatro non lo trovereste . Fin qui il pensiero del Ragghianti è rigorosamente logico ; potrete accettarlo o respingerlo , ma non accusarlo d ' incoerenza . Un dubbio s ' insinua però nel lettore quando il critico distingue , o sembra distinguere , fra teatro poetico e teatro spettacolare . Esiste , egli dice , una lignée di registi ( da Stanislavski al primo Copeau ) che rispetta il testo e ne mette in evidenza la qualità poetica ; e un ' altra stirpe di registi ( quella dei Craig , dei Tairov , dei Meyerhold e dei Piscator ) per i quali lo spettacolo è tutto e il testo c nulla . 1 veri artisti spettacolari ( figurativi ) sono questi ultimi . E ben a ragione un testo improvvisato , recitato da supermarionette impersonali , era l ' ideale di Gordon Craig . Qui , se non interpreto male il pensiero del Ragghianti , resto perplesso perché viene a cadere il presupposto che la poesia non sia rappresentabile . È caduto il presupposto , viene a mancare anche la distinzione - praticamente esatta - fra il teatro che appartiene all ' autore e quello di cui è vero autore il figurante , colui che gradua e svolge gli aspetti visivi del teatro ai fini della nuova poesia « spettacolare » . È probabile , anzi certo , che esistano vari tipi di teatro , più o meno legati a un testo , più o meno spettacolari ; ma a me pare che in tutti i casi permangano elementi figurativi ed elementi poetici e che una rigida distinzione , in sede teorica , sia impossibile . Fermiamoci un attimo prima del salto o del passaggio dal testo allo spettacolo , prima che l ' opera sia rappresentata . Fermiamoci al momento della lettura di un testo poetico , sceneggiato o no , destinato o no al palcoscenico . Qui sembra che l ' opera del regista non sia presente . Ma in realtà il regista di una commedia letta è il lettore stesso , sia che la lettura avvenga dinanzi all ' altoparlante , sia che essa resti interiore , silenziosa . Leggendo il testo che ho sottomano lo visualizzo , lo trasformo in spettacolo , ne divento il figurante . Ne sono perciò anche l ' autore ? Non più di quanto Mengelberg o Toscanini siano gli autori delle sinfonie beethoveniane da essi eseguite . Si potrà osservare che l ' intervento del direttore d ' orchestra - concertatore non ha importanza determinante perché manca nella musica l ' elemento visivo , figurativo . Ma è un ' illusione : la Sinfonia pastorale esige che sia sollecitata un ' integrazione visiva ( interiore ) ; e così tre quarti della musica post - wagneriana , cromatica . Ma c ' è di più : se il tempo è presente anche nelle opere figurative perché non si comprende un quadro senza storicizzarlo , senza svolgere il processo che l ' ha reso possibile , è altrettanto vero che elementi figurativi esistono anche nelle arti non visive . Recitare anche a se stessi una poesia è seguirla , rappresentarla . Se è assurda la poesia rappresentata , non vedo che lo sia meno la poesia recitata . Eppure l ' assurdo si compie . Se questo assurdo è inteso come il fondamentale dissidio fra l ' opera d ' arte in sé ( questo inconoscibile ) e la sua comunicazione , esso è presente in tutte le arti . E se la regia è un ' arte ( come è certamente ) bisogna ammettere che esistono migliaia di artisti inconsci che nessuno si sogna di portare in trionfo come pur meriterebbero ; sono gli sconosciuti , gli inconsapevoli autoregisti che ogni giorno , in tutto il mondo , si accostano con fine sensibilità a un ' opera d ' arte . Quanti e quali artefici periscono , in ogni terra , in ogni luogo , dall ' alba al tramonto ! Fra essi i registi visivi che portiamo in trionfo e paghiamo a milioni non sono certo i maggiori . Mi fermo perché mi accorgo di stare scivolando sulla china dei luoghi comuni e certo il Ragghianti , ferratissimo in ogni questione di estetica , avrebbe ogni ragione di rimproverarmelo . Molti anni fa un filosofo scettico che possedeva una notevole sensibilità per la musica e la poesia - Giuseppe Rensi - scrisse un geniale e paradossale volume - La scepsi estetica - per dimostrare la verità del popolare detto ch ' è bello non ciò che è bello ma ciò che piace ; s ' intende ciò che piace al nostro io individuale , empirico , non al supposto io universale che si anniderebbe in noi . A me mancano i conforti dello scetticismo assoluto , e beninteso quelli del rigoroso idealismo . L ' esperienza ( non già la ragione , questa nemica di ogni concetto impuro e contradditorio ) mi insegna che c ' è un elemento universale in ogni opera d ' arte ; ma che esso si fa strada attraverso ogni sorta di equivoci , di fraintendimenti , di traduzioni e di approssimazioni . La definizione del puro spettacolo mi lascia incerto come mi lascerebbe titubante ogni indagine sulla pura poesia e sulla pura musica . Nell ' arte spettacolare poi - cinema e teatro - il caos degli equivoci mi sembra addirittura flagrante . Qui si va spesso alla ricerca dell ' autore senza riuscire a trovarlo . In genere si ha l ' impressione che un ' opera scritta per il teatro sia già strutturalmente preformata ai fini di una certa prospettiva che non respinge , anzi chiede l ' ausilio della rappresentazione ( magari cieca , alla radio ) . E dalla poesia si passa alla rappresentazione senza che si possa avvertire il momento in cui la bacchetta del comando si trasferisce dalle mani dell ' autore a quelle del teatrante . Ciò avviene anche nel caso di esecuzioni poco o punto spettacolari . Ma ammesso che spettacolo vi sia , l ' Amleto di Moissi non era quello di sir Lawrence Olivier : l ' uno e l ' altro hanno tradito Shakespeare , ma tutti e due ci hanno pur dato un possibile Shakespeare . Dove comincia qui e dove finisce la poesia ? Si giunge al caso - limite di Charlie Chaplin che dei suoi film è soggettista , attore e regista ; ma la poesia che in tal caso è raggiunta può dirsi tutta di ordine figurativo o è composta anche d ' altri elementi ? Carlo Ragghianti respinge la teoria che il teatro e il cinema siano forme miste ; al suo spirito filosofico ogni mistura sembra , in estetica , un ircocervo impossibile e indifendibile . Io mi limiterei a dar torto a chi crede a generi misti necessariamente inferiori ; e anche a chi fa della misura un elemento di ineffabile privilegio . Ho inteso registi dire che il teatro è metà cielo e metà sterco ; e costoro avevano tutta l ' aria di vantarsi del loro mestiere . Evidentemente , a loro avviso , solo le arti impure o miste sono feconde di effetti ... celesti . E pure , inguaribilmente pure , sono per essi le arti non spettacolari , non visive . Molto più aggiornati e molto più moderni di loro i filosofi dell ' arte ( primo fra gli altri il Croce ) sanno perfettamente che non esistono , rigorosamente parlando , le arti , ma l ' Arte il cui parametro assoluto ci sfugge . E se storicamente l ' Arte si manifesta nelle arti , che tendono tutte a un ' impossibile condizione di purezza , macinando molti elementi spuri e scambiandosi spesso le parti , resta pur vero che nello sviluppo delle singole arti tutti i veri « addetti ai lavori » - puristi o non puristi - hanno un compito indispensabile anche se non riusciranno mai a mettersi d ' accordo .
Tentati dalla destra ( Bobbio Norberto , 1982 )
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Nel recente convegno sulla nuova destra , svoltosi a Cuneo per iniziativa dell ' Istituto storico della Resistenza , qualcuno ha messo in dubbio che « destra » e « sinistra » siano ancora concetti adeguati a rappresentare le divisioni attuali tra dottrine e movimenti politici . Siamo stati invitati a riflettere sul fatto che da sinistra si riscoprono scrittori di destra , come Cari Schmitt , da destra , in particolare dalla nuova destra reazionaria , scrittori di sinistra come Gramsci . Negli stessi giorni in un ' intervista a « Panorama » Massimo Cacciari , intellettuale di sinistra , dichiarava di rifiutare « quella concezione assiale della politica che prevede una destra e una sinistra , intese come blocchi compatti e specularmente contrapposti » . In realtà questa confusione non è nuova né è senza giustificazione : estrema sinistra ed estrema destra hanno amori diversi ma odi comuni . Uno di questi odi è la democrazia , intesa come il regime in cui le sole decisioni collettive legittime sono quelle prese in base alla regola della maggioranza . Peraltro , le ragioni di questa avversione sono , da una parte e dall ' altra , opposte . Proprio tenendo conto di queste opposte ragioni si riesce ancora a cogliere il principale carattere distintivo dei due schieramenti in cui si divide tradizionalmente l ' universo politico . L ' opposizione consiste in questo : per l ' estrema sinistra la regola di maggioranza , per cui ogni cittadino conta per uno , assicura un ' eguaglianza puramente formale ma non riesce altrettanto bene a promuovere l ' eguaglianza sostanziale ; per l ' estrema destra la stessa regola della maggioranza , pareggiando se pure solo formalmente tutti i cittadini , finisce per disconoscere che gli uomini sono sostanzialmente diseguali . Come si vede , la divisione avviene sul diverso giudizio che l ' una e l ' altra parte danno sull ' eguaglianza e rispettivamente sulla diseguaglianza come ideale da perseguire . Questo diverso giudizio permette di tener ben distinte ideologie che tendono a una maggiore eguaglianza rispetto alla democrazia formale , e che chiamerò egualitarie , e ideologie che chiedono una maggiore diseguaglianza , sempre rispetto alla democrazia formale , e che chiamerò inegualitarie . Si tratta di una distinzione vecchia come il mondo , molto più vecchia della distinzione tra sinistra e destra , che risale alla rivoluzione francese . Ma dacché i due termini di sinistra e destra sono stati introdotti nel linguaggio politico , essi sono sempre stati adoperati per coprire la distinzione tra ideologie egualitarie e inegualitarie . Perciò sinché vi saranno dottrine e movimenti che si contrappongono sulla base del diverso valore dato al principio dell ' eguaglianza , l ' uso dei due termini è non solo legittimo ma utile . Il loro rifiuto è prova o di imperdonabile ignoranza o peggio dell ' illusione di cancellare insieme coi due nomi la realtà che essi designano . La contrapposizione fra egualitari e inegualitari è vecchia quanto il mondo per la semplice ragione che gli uomini sono tanto eguali quanto diseguali : sono eguali in quanto appartengono al genere umano distinto da altri generi come quello degli animali , ma sono diseguali considerati come individui , uno per uno . Le ideologie egualitarie mettono l ' accento soprattutto sull ' appartenenza di tutti gli uomini a un genere comune , quelle inegualitarie sulle osservabili e inconfutabili differenze tra l ' uno e l ' altro individuo . In altre parole , le prime danno più importanza a ciò che ci unisce , le seconde a ciò che ci divide . Tra le tante prove storiche che si possono addurre di questa contrapposizione , mi limito a quella che si può trarre dai due autori considerati a buon diritto i principali ispiratori dei due schieramenti : Rousseau e Nietzsche . Nel suo Discorso sull ' origine delle diseguaglianze fra gli uomini , Rousseau parte dalla considerazione che gli uomini sono nati fondamentalmente eguali ma la civiltà corrotta li ha resi diseguali . Nietzsche , al contrario , parte dalla considerazione che gli uomini sono per natura diseguali e soltanto la civiltà , con la sua morale del gregge , di cui è massimamente responsabile il cristianesimo , e di cui sono manifestazioni al tempo presente la democrazia e il socialismo , li ha resi ingiustamenti eguali . L ' ideale che si può trarre dalla interpretazione rousseauiana del corso storico è quello rivoluzionario dell ' abbattimento delle società storiche fondate sulla diseguaglianza sociale e della instaurazione di una nuova società in cui tutti siano a pari diritto cittadini ; l ' ideale che si può trarre dalla interpretazione nietzscheana , è al contrario quello reazionario della restaurazione di un ordine gerarchico la cui distruzione ha reso possibile il trionfo della quantità , dei « malriusciti » , del branco . Lo stesso Nietzsche ritorna sempre a Rousseau , il suo grande nemico , ogni qualvolta sfoga il proprio furore contro il principio dell ' eguaglianza e contro quell ' avvenimento storico , la rivoluzione francese , che avrebbe cercato di attuarlo : « Quello che odio - una citazione fra mille - è la rousseauiana moralità della rivoluzione francese ... La dottrina dell ' eguaglianza . Ma non c ' è tossico più velenoso ! » Mi si può obiettare che il criterio dell ' eguaglianza non è il solo a permettere di caratterizzare due ideologie opposte . C ' è anche quello della libertà in base al quale si distinguono ideologie libertarie e autoritarie . Rispondo che questo criterio di distinzione serve a distinguere , nell ' ambito della sinistra e della destra , l ' ala estrema dall ' ala moderata . Si può sostenere infatti che le due ali estreme sono autoritarie , quelle moderate libertarie . Di conseguenza , la linea su cui si collocano le diverse ideologie partendo da sinistra e procedendo verso destra si sviluppa attraverso queste quattro aree . All ' estrema sinistra stanno i movimenti che sono insieme egualitari e autoritari : l ' esempio classico è quello dei giacobini e dei loro tardi seguaci , i bolscevichi . Alla sinistra moderata appartengono i movimenti egualitari e libertari , il cui esempio al tempo attuale sono i partiti socialdemocratici che ricoprono una vasta area che si potrebbe chiamare opportunamente di « socialismo liberale » . Seguono i movimenti della destra moderata che sono insieme inegualitari e libertari . Infine c ' è l ' estrema destra in cui si collocano i movimenti che accompagnano l ' autoritarismo alla voglia ( o nostalgia ) di una società ordinata gerarchicamente . Certamente la realtà è più ricca di qualsiasi schema . Ma è sempre meglio uno schema qualsiasi che la confusione mentale da cui possono nascere soltanto comportamenti politicamente aberranti .
VILFREDO PARETO RISPONDE ( PARETO VILFREDO , 1911 )
StampaQuotidiana ,
A quanto pare io ho interpretato male il pensiero dell ' on . Giolitti . Ho avuto torto di adoperare le regole della critica storica , mentre la critica dei partigiani è tutt ' altra . L ' on . Giolitti diceva : Io sono d ' avviso che è bene che vi siano delle grandi forze finanziarie . Il governo italiano ha sempre seguito la via di cercar modo di aiutare le grandi industrie ed i grandi istituti di credito . Primo punto . Se questo discorso si leggesse in un documento storico dei secoli passati , si concluderebbe legittimamente che l ' oratore desiderava , divisava di aiutare le grandi industrie ed i grandi istituti di credito , e che molto probabilmente tale aiuto doveva essere finanziario . Aggiungeva l ' on . Giolitti : Vado più in là . Riconosco che in alcuni casi i sindacati possono essere utili , quando occorrono per diminuire la soverchia concorrenza . Secondo punto . Sempre se si trattasse di un documento storico , si concluderebbe che oltre alle grandi industrie ed ai grandi istituti di credito , l ' oratore estende la sua benevolenza e quindi l ' aiuto ai sindacati , o trusts . È vero che c ' è la restrizione della concorrenza che deve essere soverchia . Si domanda se ci furono mai sindacati o trusts che non trovarono soverchia la concorrenza . Io non ne conosco . Chi vuole conoscere la soverchia concorrenza alla quale riparano i trusts italiani , legga gli articoli di Edoardo Giretti . Sono ricchi di fatti ; mi dispiace di non li potere qui riprodurre , ma ... fanno un volume ! L ' on . Giolitti discorre di enti finanziari , tra i quali c ' è evidentemente il monopolio delle assicurazioni ( sbaglio anche in ciò ? ) e dice : La forza finanziaria dello Stato , che si verrebbe creando con questi enti che concentrano in sua mano dei grandissimi capitali , è elemento di solidità per le industrie e i commerci , perché uno Stato debole non può nei momenti più difficili , trovar modo di evitare le grandi crisi . Terzo punto . Supposto ancora che si discorresse solo di storia , si concluderebbe che il Giolitti vuole adoperare direttamente , od indirettamente , quei grandissimi capitali per dare solidità per le industrie , e per evitare le grandi crisi . È pure evidente che se non li adoperasse né direttamente né indirettamente , non potrebbe raggiungere né questi né altri scopi ; sarebbe come se quei capitali non esistessero . Il modo preciso , con ogni particolare , come saranno adoperati , non lo so , come forse non lo sa neppure il Giolitti . È naturale che le riserve matematiche non saranno direttamente adoperate per sovvenire industrie , trusts , banche . Ma poniamo , come semplice ipotesi , che si adoperino per alleviare il grave pondo di certi titoli di Stato , che hanno certe banche ; queste , in compenso , potranno aiutare industrie e trusts , e sarà un modo indiretto di sovvenire queste industrie e questi trusts . Aggiungendo le sovvenzioni agli enti locali , sulle quali non credo che ci sia quistione , tutto ciò mi pare che si possa compendiare , scrivendo , come ho fatto , che , secondo l ' on . Giolitti , il Monopolio aveva per scopo di rafforzare finanziariamente lo Stato , perché potesse sovvenire enti locali , aiutare intraprese , sussidiare sindacati . L ' on . Giolitti non la pensa in questo modo ? Vuol dire che non si è espresso tanto bene . A che pro discorrere di aiuti alle grandi industrie ed ai grandi istituti di credito , se non ne voleva dare ? Perché nominò i sindacati e le crisi ? Così , per discorrerne in modo accademico ? Ma infine , è inutile contendere sul pensiero di un uomo vivo e fresco ; egli solo ha diritto di manifestarlo . Tolgo la confessione dell ' on . Giolitti dal numero delle prove della mia teoria ; ammetto che , se pure ha discorso un poco diversamente , in sostanza non vuole aiutare né grandi industrie , né grandi istituti di credito , né sindacati , e che non vuole menomamente adoperare i denari dello Stato per evitare le grandi crisi . Tra parentesi farà benissimo , perché oramai è riconosciuto che è col volere evitare le crisi che si fanno più acute . Se in un discorso parlamentare sul monopolio delle assicurazioni , l ' on . Giolitti ha rammentato gli aiuti alle industrie , ai sindacati , alle banche , è stato tanto per dire , ma nella mente sua , nulla ha che fare , con tutte queste cose , il monopolio . Siamo dunque intesi , non se ne parli più . Tolte le confessioni giolittiane , rimangono i fatti . Non avendo a mia disposizione nessuna sonnambula extra lucida , ignoro quelli dell ' avvenire ... ma conosco quelli del passato . Lasciamo stare le Casse postali di risparmio amministrate dallo Stato ; prima perché non è un monopolio ; secondo perché ci sarebbe da scrivere lungamente per indagare se hanno torto , o ragione , coloro che dicono che sarebbe meglio per il paese , specialmente per le province meridionali , che i risparmi rimanessero ad aiutare l ' agricoltura , l ' industria ed il commercio locale , invece di essere asportati dal governo ; e non mancano altre considerazioni pei casi di grandi crisi , di guerra , o simili . Non si può discorrere di tutto in una volta ; rimaniamo nei termini del nostro problema . L ' on . Giolitti ha detto : Lo Stato anche in materia economica deve dirigere , ma non essere diretto . Chi vuole conoscere come lo Stato dirigesse i grandi istituti di credito , legga i volumi dell ' inchiesta sulle Banche . Ci sono molte cose belle , anzi bellissime . Forse si dirà che è un passato molto remoto . Bene ; si leggano gli articoli scritti da Alberto Caroncini sul « Resto del Carlino » , e si vedrà che probabilmente il presente non è poi tanto diverso dal passato . Vi si vedrà pure come l ' ultima crisi , appunto perché il governo volle impedirne gli effetti , è diventata più dannosa , ed ha lasciato in Italia uno strascico ; mentre è interamente risanata nei paesi ove simile errore non fu fatto . Non posso riprodurre qui questi articoli , per lo stesso motivo che non posso riprodurre gli articoli del Giretti , né l ' inchiesta sulle banche , né i documenti parlamentari sui molti favori protettivi di cui godono coloro che poi approvano il monopolio , né i documenti sulla Cassa di previdenza di Torino , che aspetta di essere salvata dal monopolio , né quegli altri sulle convenzioni marittime proposte dall ' on . Giolitti , né le previsioni che si fanno sugli aiuti che , ai sindacati , potranno dare gli istituti di credito , quando siano aiutati da un forte stato finanziario , né tanti altri documenti che infine narrano tutta la vita finanziaria dell ' Italia in questi ultimi tempi , e che dimostrano chiaramente come lo Stato aiuti una certa classe di cittadini , i quali a lor volta , aiutano lo Stato a procacciarsi i mezzi finanziari che sono necessari per concedere tale aiuto . Chi vuole bene conoscere i fatti , purtroppo deve leggere tutto ciò ; perché sinora non si é trovato il modo di sapere senza imparare . Ma del sapere si può fare a meno , anzi , a dirla qui fra noi , un politicante fa tanto migliore riuscita , quanto meno sa ; perché se sapesse , potrebbe avere dubbi ; ed a lui verrebbe meno la forza che dà una cieca fede .
L'imprevedibile all'Opera ( Montale Eugenio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
Si dà la Traviata , in un grande teatro . Il nuovo tenore , esordiente , è molto impacciato , ma è giovane , dispone di una voce simpatica e nell ' insieme non guasta . Un tenore che non guasta è già un miracolo tale da riempirci di meraviglia . A un certo punto però le cose si complicano in modo inatteso . Mentre Alfredo ci sta spiegando - in verità senza scaldarsi troppo - quali furono i suoi rapporti economici con Violetta e come mai egli « tutto accettar potea » , ecco che interrompe il suo canto , si avventa sul tavolo da gioco , prende in mano le carte e le getta in aria : dopodiché continua a cantare con molto sobria indignazione . Altro fatto strano accade quando Violetta tenta di uscire per porre fine alla scenata disgustosa . Violetta sfiora Alfredo che potrebbe afferrarla ma si limita invece a seguirla con prudenza ; solo quando lei avrà raggiunto la scalinata , Alfredo la prenderà per un braccio trascinandola all ' estremo limite del proscenio . Come mai in questi due casi il misurato Alfredo tenta ( senza riuscirvi ) di trasformarsi in un leone ? È facile dirlo : egli ha imparato i due gesti dal regista , ma i gesti gli si sono appiccicati dall ' esterno e non fanno parte del suo temperamento . In definitiva , i due gesti sono inutili , anzi dannosi all ' effetto . L ' esempio che citiamo non è che uno fra mille . Il gesto di un artista fa parte della sua personalità ( se questa esiste ) e non si può darglielo a prestito . L ' artista di canto è , o dovrebbe essere , non l ' astratto « titolare » ma l ' inventore e il responsabile della propria voce e dei propri gesti . Fate invece ch ' egli dia in locazione , in affitto , la voce al direttore d ' orchestra , che la governi a modo suo , e il corpo al regista , che lo disponga a suo talento , e tutto avrete fuorché un ' interpretazione convincente . Un artista manovrato fino a questo punto avrà sempre qualcosa di meccanico , d ' impersonale . Sarà un esecutore d ' ordini , non mai un ' anima . Come fare , allora ? Abolire senz ' altro la figura del regista ? Si sarebbe tentati di rispondere in questo senso riflettendo che in altri tempi erano possibili ottime esecuzioni di opere e commedie musicali senza l ' intervento di alcun deus ex machina importato dal mondo del cinema o del teatro di prosa . Trent ' anni or sono , non solo Toscanini e altri sommi , ma anche vecchi lupi del palcoscenico come Armani e Bavagnoli sostenevano autorevolmente un intero spettacolo col semplice ausilio di un buon maestro sostituto e di un modesto direttore di scena . Ma bisogna anche ammettere che non si fabbricano su misura i Toscanini e nemmeno i Bavagnoli , e che oggi in fatto di sensibilità spettacolare il gusto del pubblico si è fatto , se non migliore , più sottile , più esigente . Dobbiamo poi riconoscere che nel divismo è avvenuta una dislocazione . Un tempo í divi erano sul palcoscenico , e non sempre isolati . Chi ha memoria può ricordare esecuzioni che ne riunivano tre o quattro . Non sempre erano salve le ragioni del buon gusto , ma l ' effetto , la comunicazione erano garantiti . Più tardi il matadorismo passò sul podio , si accentrò nella figura del « grande direttore » : si raggelarono così le esecuzioni , ma si alzò il livello medio interpretativo . Oggi il divismo si presenta un po ' dovunque , in forme più o meno latenti . Esiste ancora qualche divo del canto ma è un ' eccezione ; prevale il tipo del cantante che prende l ' imbeccata e lavora su commissione . E non difettano , in Italia , i direttori d ' orchestra che aspirano , o potrebbero aspirare al titolo di divo , o almeno a quello di sicuri piloti di uno spettacolo ; ma si ha l ' impressione che essi giungano a dirigere quando il loro intervento è relativamente secondario . Una volta che siano scelti , senza il loro intervento , i cantanti , il regista e lo scenografo di un ' opera , non si vede quale sostanziale differenza possa passare tra la interpretazione di X o di Y . Quanto alla figura del regista del teatro d ' opera , il pericolo che sulle sue spalle si trasferisca il peso del divismo si fa effettivamente sentire , sebbene in casi limitati . In verità la figura di un regolatore dello spettacolo sarebbe , più che utile , necessaria se il regista provenisse direttamente dal mondo della musica teatrale , se fosse , insomma , un uomo del mestiere . Solo chi conosce a fondo una partitura e le possibilità degli artisti a lui affidati può dare consigli e indicazioni di qualche utilità ; solo chi affronta lo spettacolo come un insieme può scegliere i pochi particolari significativi senza perdersi in agudezas che danno nell ' occhio ma distraggono dal fondo dell ' interpretazione . Si è avuto perfino il caso di registi che volevano « smistare » i gruppi del coro : due tenori a destra , tre a sinistra , quattro nel fondo , due o tre lassù , appollaiati su una passerella sospesa in cielo ; senza preoccuparsi del fatto che in tali condizioni nessun direttore di coro può garantire un ' esecuzione sopportabile . Per fortuna si tratta , finora , di casi rari ... Un regista dotato di particolare sensibilità musicale , capace di lavorare in stretto accordo col direttore d ' orchestra - e possibilmente in subordine - sarebbe dunque , oggi , una figura augurabilissima e non escludiamo che ne esista già qualcuno . Ma in attesa che una classe di registi simili si formi , il nostro teatro d ' opera dovrà passare ancora attraverso un periodo non breve d ' incertezze . Nelle esecuzioni dei nostri grandi teatri si osserva spesso scrupolosa preparazione nei particolari ma scarsa attenzione ai valori essenziali . È inutile che i cantanti siano ben preparati se sono inadatti alla parte o se il loro temperamento è troppo discordante ; è inutile che la messa in scena sia sfarzosa se l ' opera non lo richiede ; è perfettamente vano che sulla carta « tutto sia a posto » se poi manchi la convinzione e l ' estro . La buona esecuzione di un ' opera in musica è un terno al lotto . Il carro di Tespi ( la sola utile invenzione del fascismo nel campo della musica ) ha fatto qualche rara volta miracoli . L ' errore era di seguire criteri sindacali : chi aveva la tessera di cantante doveva , a turno , esibirsi in pubblico . Ed era un massacro . Ma talvolta il caso faceva sì che s ' incontrassero artisti , magari modesti , ma di temperamento affine e di buone possibilità ; e allora nascevano come funghi esecuzioni genialmente riuscite , forse difettose , provvisorie , ma tali da far dire : « Ci siamo . Si deve far così e non diversamente » . È raro che si esca da un grande teatro con una sensazione simile . I grandi teatri presentano spesso esecuzioni perfette , noi ) vive . Buona l ' orchestra , buoni gli interpreti , ottima la messa in scena , intelligente la regia , eppure manca il più . Manca il legame interno , si sente che nessuno fa veramente sul serio . È possibile prevedere l ' imprevedibile , la scintilla che a volte si accende e a volte respinge una sollecitazione ? In altre parole : chi è l ' artefice ultimo dello spettacolo musicale ? Io direi che questo misterioso genio sia , o meglio sarebbe , colui che fin dal principio veda lo spettacolo nel suo insieme , scegliendo gli interpreti , il direttore , lo scenografo e il regista , non in astratto , ma ai fini di un determinato spettacolo . Oggi come oggi non hanno questa funzione né i giovani direttori d ' orchestra né i registi . E nemmeno si può pretendere che reggenti di teatri e direttori artistici che devono provvedere a molti spettacoli in un tempo ristretto e con mezzi non sempre illimitati facciano tutti i miracoli che alcuni pretenderebbero . In realtà , l ' opera in musica sta attraversando un periodo di crisi : morta o quasi come spettacolo popolare sta rinascendo in altri ambienti , con diversi mezzi , con altri problemi da risolvere . Ci vorranno molti anni prima ch ' essa torni ad essere popolare in modo nuovo , cioè senza rinunciare a quel livello del gusto ch ' è ormai una condizione imprescindibile di ogni spettacolo moderno teatrale . Fino a quel giorno , fino a che non si formi un pubblico preparato e gli ascoltatori non siano quel che sono oggi : due o tre diverse clientele mescolate insieme , con esigenze , gusti , abitudini , e persino idiosincrasie e idolatrie contrastanti , gli spettacoli lirici stenteranno a trovare il loro equilibrio e sui palcoscenici pioveranno , insieme con le rose , anche i carciofi e i ravanelli : segno di inciviltà ma anche di passione per un genere d ' arte che per molti è una corrida , per altri un rito ; ma che per tutti ( e consoliamoci con questa constatazione ) è uno degli aspetti insostituibili della nostra civiltà artistica .
StampaQuotidiana ,
Sugli organismi geneticamente modificati , i famigerati Ogm , gli scienziati hanno sollevato un grosso polverone , e come succede sempre a chi non vuol capire , la loro sordità è stata palese , e la loro volontà di confondere le idee dei non addetti ai lavori , assumendo la parte di Galileo o di Giordano Bruno , si è rivelata appieno nell ' accusa lanciata agli ambientalisti di oscurantismo , se non di propensioni teologiche da Malleus maleficarum , il manuale degli Inquisitori . Denuncio questa accusa come spudoratamente falsa e mi sforzerò di fare un po ' di chiarezza . Penso di essere autorizzato , visto che di recente , al Parlamento Europeo , mi sono dissociato dai Verdi , astenendomi quando mi si è proposto di votare contro l ' impiego degli embrioni inglesi in freezer . Si trattava di destinarli alla cura di gravi patologie e il mio punto di vista resta sempre che la salute sia un bene che vada tutelato su tutto . Il bello è che proprio per questo , per questa tutela irrinunciabile , nutro delle perplessità sulle biotecnologie in agricoltura : se da un canto le reputo affascinanti , e auspico , se fatte in laboratorio , che proseguano felicemente , d ' altro canto sono convinto che non siamo affatto pronti a estendere le esperienze in pieno campo , e tanto meno a immetterne i prodotti sui banconi dei supermercati . E a proposito di queste pretese di pronta commercializzazione , mi sembra diventi chiaro come non sia in gioco tanto la libertà di ricerca scientifica , che nessuno intende negare , quanto la corsa all ' Eldorado dei brevetti , e quindi al « far soldi » nel nome del progresso della conoscenza . Ma la storia sembra ancora una volta ripetersi . Oscurantismo ? Amarcord : trent ' anni fa chi , come me , faceva notare che l ' uso dei pesticidi in agricoltura castigava duramente la biodiversità degli ecosistemi e la salute dei consumatori con i residui rimasti negli ortofrutticoli , veniva bollato di oscurantismo , e di affamatore dei paesi in via di sviluppo . Bene , attualmente , 800 milioni di persone , malgrado la diffusione ubiquitaria delle molecole di sintesi , sono ancora sottoalimentate , e in compenso migliaia di contadini che operano in quelle latitudini sono morti intossicati dai fosforganici . Voglio ricordare , allora , come l ' agricoltura industriale , fondata sulla chimica , stia mostrando la corda , e l ' agricoltura biologica , o ancor più sostenibile , la stia sostituendo a poco a poco in Europa . In altre parole si sta affermando una nuova maniera , moderna e dinamica , di gestire il campo coltivato , screditata solo da qualche tetro vivisettore che , tra l ' altro , non ha nessuna competenza in merito . Mi sembra , come ha scritto Vattimo su questo giornale , che la ricerca scientifica sia diventata , oggi , così socialmente importante che non può più essere affidata soltanto agli scienziati , anche perché tutto quello che ho chiamato in causa è dipeso principalmente da loro . In realtà , rispetto ai prodotti delle piante geneticamente modificate , risulta evidente come non siano state mai fatte ricerche a lunga scadenza sui possibili danni all ' ambiente e alla salute umana . Quando Regge , dall ' alto della sua cattedra , afferma che in Cina ci si serve in tavola da tempo del transgenico , ma non si sono avuti danni alla salute dei consumatori , è proprio sicuro che sia così ? Dobbiamo concludere che per le multinazionali delle biotecnologie , e per gli scienziati che lavorano per loro , noi tutti siamo delle cavie su cui sperimentare . Non sono contro la ricerca scientifica , come potrei ? L ' ho fatta , con alterne fortune , per tutta la vita . Tuttavia , sono stato sempre a favore del principio di precauzione e pongo la vita umana al di sopra dell ' economia , e delle pretese degli scienziati , che non invocano quella che chiamano la libertà di ricerca , ma la licenza di fare quello che vogliono , perfino una bomba atomica se è il caso . Sembra che Fermi , assistendo a una conflagrazione sperimentale della bomba H , sussurrasse a Teller : « E ' terribile , ma è un così bell ' esperimento ! » . Per fortuna , si ricordi di Asilomar , non tutti gli scienziati sono fatti della stessa pasta , e molti di loro non sono affatto tranquilli sulle ricadute negative possibili della cosiddetta ingegneria genetica . Per sfortuna , i semi terminator della Monsanto ci hanno chiarito in che cosa consistano , per loro , gli aiuti al Terzo Mondo , compendiabili nel dilemma « o compri da noi , o muori di fame » . Una sintesi brutale ? Forse , ma non per questo meno veritiera . Al Parlamento Europeo è stata presentata nei giorni scorsi una direttiva sulla immissione degli Ogm in campo e nei supermercati . E ' stata votata dalla maggioranza , ma io , con i Verdi , mi sono astenuto . Il perché è presto detto : da un lato , la direttiva prendeva in seria considerazione il problema dell ' etichettatura e della tracciabiltà dei prodotti transgenici , però , d ' altro lato , sospendeva ogni azione concreta in merito , promettendo di risolvere la questione entro quest ' anno . Una sorta di amplexus interruptus , e l ' astensione mi è sembrata la sola via possibile da percorrere . Ma il bello è questo : la direttiva consente che nei prodotti Ogm siano ancora presenti , fino al 2004 , i marcatori di resistenza agli antibiotici . Bene , come ho fatto osservare in aula , se le multinazionali sostengono di essere pronte a sostituire questi marcatori con mezzi alternativi , perché insistono nel mantenere la suddetta dilazione ? E se progettano delle alternative , non significherà che li considerano pericolosi per la salute , anche se hanno sempre assicurato il contrario ? Si tenga presenta , allora , che tutti quei prodotti che si vogliono far piovere nel nostro piatto sono dotati di questi geni : per cui si predica bene e si razzola male . Ma , alla fin fine , che cosa chiedono tutti questi irrequieti scienziati in coro ? Che si mangi il pappone , e si stia zitti ? E se qualcuno chiede il menù , bene , è uno che si propone di mettere alla tortura Galileo .
PER LA STORIA ( PARETO VILFREDO , 1911 )
StampaQuotidiana ,
Questo era il titolo dell ' articolo mio pubblicato nel n . 200 di questo giornale Fu omesso in stamperia ed è un guaio , perché così ci sarà stato chi avrà creduto che avevo intenzione di rispondere a certe critiche , mentre non ho tempo né voglia di fare ciò , e tale miseria non mi tange . Ma poiché in articoli di giornali quotidiani non è possibile spiegarsi con quell ' ampiezza che si può usare nei libri , ci possono essere persone che , in perfetta buona fede , abbiano frainteso quanto scrivevo , ed è quindi doveroso il dare loro spiegazioni , poiché è giusto che chi ha fatto il peccato faccia anche la penitenza . Mosso da tale sentimento aggiungo qui altre spiegazioni ; e poi faccio punto , e chi non vorrà intendere si serva pure che non me ne importa niente . Tra le teorie che troveranno luogo nel mio trattato di Sociologia , che pubblicherà fra non molto il Barbera di Firenze , ce n ' è una sulla composizione delle classi governanti sociali e la loro evoluzione . Per fare piacere al mio amico Geoges Sorel , pubblicai , nella rivista sua , un caso particolare di questa teoria , e non me ne dolgo ; tutt ' altro , poiché ciò mi procurò l ' approvazione , per me preziosissima , di scienziati come il Sorel e il prof . Tullio Martello . Quanto scrissi nella rivista del Sorel , fu bene inteso e spiegato dall ' egregio autore che firma Pupin nel « Resto del Carlino » ; io non posso per ragion di spazio ripetere qui né il testo né la spiegazione ; basti sapere che , se non erro , occorre considerare due categorie di « capitalisti » , e cioè coloro che hanno una entrata fissa , o quasi fissa , e coloro che hanno un ' entrata variabile dipendente da speculazioni , e che perciò si possono brevemente dire « speculatori » , senza , per altro che tale nome porti con sé il menomo biasimo . Mi pare dimostrato dalla storia che il massimo di prosperità per un paese si ottiene ove non prevalga troppo né la prima né la seconda categoria di tali persone nella classe governante . Ora , un poco dappertutto , c ' è una notevole tendenza al predominio della seconda categoria ; ed è un fatto che , sia pure sotto varie forme , è intuito da moltissimi . In Francia il Jaurès , ha egregiamente notato l ' opera di questa categoria nell ' avventura marocchina . In Italia la proposta è di mettere lo Stato in grado di aiutare i capitalisti della seconda categoria . Non mi propongo qui di indagare che effetto ciò avrà ; mi basta mettere in luce il puro fatto , perché è l ' esistenza del fatto che conferma la teoria . Ed è pure notevole che i socialisti i quali , in ogni altro paese , sono nemici acerrimi appunto di quei capitalisti , in Italia , invece , aiutano il governo a favorirli . Da ciò non traggo alcuna conseguenza in biasimo dei socialisti italiani . Essi hanno uno scopo , sia in suffragio universale od altro , e per conseguirlo si muovono secondo la linea di minor resistenza , Ma per la mia teoria è importantissimo di notare che quella linea di minor resistenza passa dove non si offende , anzi dove si favorisce gli interessi di quella seconda classe di capitalisti ; perché così rimane ancora una volta confermata la potenza loro , la quale in ogni pagina della storia si legge . È anche notevole come uno strategista parlamentare di primissimo ordine , come è l ' on . Giolitti abbia come pezzi preferiti sullo scacchiere sempre quei capitalisti , principiando dal Tanlongo , passando dalle convenzioni marittime , terminando col monopolio delle assicurazioni . Ripeto che da ciò io non traggo il menomo biasimo all ' on . Giolitti , ma traggo la conclusione , che mi pare evidente , che quei capitalisti hanno tanta forza da imporsi a chi voglia fare una politica pratica . Neppure ad essi , di ciò intendo dare biasimo alcuno ; ogni classe sociale opera secondo la propria indole , e non può essere altrimenti , e neppure gioverebbe che fosse altrimenti . Ma può essere un guaio che una delle classi sociali stravinca e non incontri più opposizione alcuna ; specialmente poi il guaio può essere grande quando venga meno ogni opposizione in nome di un ideale . Ma qui mi fermo , perché se aggiungessi parola , entrerei nella teoria degli ideali e dei miti , importantissima per la Sociologia , ma che non si può spiegare in poche parole ; e se ricadessi nel peccato di volere ciò fare , meriterei troppo grande penitenza .
Le parole e la musica ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Le parole messe in musica , le parole cantate non piacciono ai più raffinati cultori dell ' arte dei suoni . Fra coloro che ancora le sopportano , molti preferiscono le forme corali , in cui la parola sparisce , altri amano che della voce giunga solo l ' arabesco sonoro , senza che alcuna sillaba si distingua , altri ancora ( i meno ) vorrebbero che la parola musicata giungesse a noi sempre scandita , chiara , intelligibile . Sono i partitanti del così detto « recitar cantando » , italianissimo precetto . Mi unirei volentieri a questi ultimi se il gioco valesse come suol dirsi la candela , se fossi certo che la musica può in certi casi far sprizzare dalla poesia , che in se stessa è già musica , una musica di secondo grado degna , o non indegna , della prima . So di sfiorare un problema sul quale esiste tutta una letteratura , che purtroppo conosco solo in minima parte . È musicabile la poesia ? E qual genere di poesia ? E fino a che punto ? E in quale misura le parole dovranno conservare la loro autonomia e lasciarsi intendere dall ' ascoltatore ? In genere la recente tradizione operistica ha ignorato il problema e ha considerato la parola come il necessario pretesto a far sì che lo strumento « voce umana » possa entrare nel gioco degli altri strumenti e farsi valere . Ma esiste anche una scuola che va dai nostri grandi cinquecentisti fino a Debussy e magari fino allo Schönberg di Pierrot lunaire , e che pretende di avere un rispetto assoluto della parola , di creare ad essa il giusto prolungamento o alone sonoro , senza distruggerne l ' individualità . Questi teorici , più o meno consapevoli , del canto recitato hanno però finito con l ' ammettere che solo una « certa poesia » è musicabile e la scelta dei loro testi rivela chiaramente ch ' essi si sono quasi sempre posti sulla via del compromesso . Musicavano una volta ballatette , poesiole d ' Arcadia , strofette scritte apposta per la musica ; affrontano oggi drammi di scarso valore poetico ( Pelléas et Mélisande ) o liriche di una vacuità addirittura inconcepibile , come la suite del Pierrot lunaire , opera di un Albert Giraud che deve al musicista viennese il suo insperato repéchage . Il peggior partito fu quello preso dai musici che scrissero da sé i propri testi o libretti : incerti fra la doppia vocazione , poetica e musicale , essi si lasciarono ipnotizzare da parole orrende e solo si salvarono permettendo che le voci andassero sommerse nella selva del grande golfo mistico . Fa eccezione , parzialmente , Riccardo Wagner , ma ciò avviene per la superba natura del suo genio , e non perché in lui non si avverta una soverchiante prepotenza subìta dalla parola . Se dal piano delle scuole e delle teorie ci spostiamo all ' osservazione dei fatti , noi vediamo che almeno dall ' Ottocento in poi un sapiente compromesso regola tutte le esecuzioni di musica vocale . Fatta eccezione per moltissimi Lieder o romanze da camera , o per qualche recitativo d ' opera comica , o per alcuni superbi frammenti del Boris , la soluzione pratica del difficile problema è sempre la stessa ; le parole ci sono e non ci sono , si sentono e non si sentono , aiutano o danneggiano l ' effetto , a seconda dei casi . Si è formata , anche in questo campo , una tradizione che i migliori interpreti rispettano quasi d ' istinto . È doveroso far sentire le parole in certi miracolosi « attacchi » che anche poeticamente hanno una freschezza primaticcia degna del nostro Duecento ( « Casta Diva che inargenti ... » , « La rivedrà nell ' estasi / raggiante di pallore ... » ) o all ' inizio di qualche incalzante proposta tematica ( « Fuggi fuggi , per l ' orrida via / sento l ' orma dei passi spietati ... » ) . In altri casi tutto è affidato all ' intuizione e alle possibilità dell ' artista . I ghirigori acrobatici di Rosina non possono essere pronunciati come le sillabe di un Lied di Schubert ; è giusto che Vasco de Gama liberi dal vago tremolo orchestrale le suggestive parole « O paradiso dall ' onde uscito » , ma è altrettanto lecito che il grande navigatore ci nasconda gli ulteriori sviluppi della sua sorpresa , specie quand ' essi restano affidati alla sola forza di penetrazione del si naturale o del do sopra le righe . L ' invettiva di Rigoletto « Solo per me l ' infamia » è un suono di gong più che un suono di sillabe umane : guai a pronunciare troppo , guai a turbare la piena rotondità di quel rombo da giorno del Giudizio . Viceversa , tutte le volte che un tema è annunciato in anticipo da uno o più strumenti , l ' attacco delle prime parole deve riuscire nitidissimo . Quando il vecchio Sir Giorgio , nei Puritani , incide a gran voce « Il rivale salvar tu puoi ... » , il pubblico è felice di sentire incarnarsi in parole un disegno melodico a lui già noto : ma subito dopo le acque si intorbidano e il tema , ripreso da una voce troppo uguale , quella di Sir Riccardo , non riesce a far corpo con le parole come « Fu voler del Parlamento » , che fanno veramente cascar l ' asino . Non che sia un verso peggiore di tanti altri ; ma le parole troppo astratte o troppo tecniche o troppo specifiche sopportano male la musica ; ed evidentemente questo quasi carducciano parlamento non fa eccezione . ( È una delle tante meritate disgrazie dell ' istituto parlamentare ; ma lasciamo correre ... ) I problemi della parola in musica , del recitar cantando o del cantare non recitando affatto restano dunque aperti e insolubili : Mussorgski , Debussy e alcuni autori di canti negri sembrano , fra i moderni , coloro che meglio sono riusciti a legare il suono alla parola , ma la loro personalissima soluzione non può valere per tutti . Sono esistiti , e speriamo ne sorgano altri in avvenire , grandissimi musicisti del teatro che si servono della parola scritta come d ' un semplice punto d ' appoggio : Mozart , Bellini e Verdi , per esempio . Il loro ideale non era quello di Strawinski , una lingua morta , un testo latino quasi indecifrabile al gran pubblico , ma un discorso chiaro e neutro al quale si potesse far violenza . Ciò resta vero anche se Mozart amò i libretti dell ' abate Da Ponte e Bellini quelli di Felice Romani . E Verdi ? Si è un poco esagerato sugli orrori delle parole da lui musicate . « L ' orma dei passi spietati » , tristamente famosa , non riesce a muovermi a sdegno . Guai se leggessimo Shakespeare a questa stregua : non venitemi a dire , per carità ! , che l ' orma si vede e non si sente . D ' altronde anche i vecchi libretti , fatti apposta per essere musicati , confermano , quando toccano qualche espressione riuscita , che poesia e musica camminano per conto proprio e che il loro incontro resta affidato a fortune occasionali . Peggio quando raggiungono involontariamente il clima del surreale . Conoscevo un uomo ( un uomo in tutto il resto normalissimo ) che provava il bisogno di ripetere da cento a centocinquanta volte al giorno un verso che era diventato il suo intercalare favorito : « Stolto ! ci corre alla Negroni ! » . Lo diceva anche al telefono , in conversazioni di carattere commerciale . Quando gli rivelai che si trattava della Lucrezia Borgia egli impallidì , geloso del suo segreto , e mi disse che mai avrebbe sentito quell ' opera per non provare la delusione di una musica soprammessa alle sue « divine parole » . Scansato da tutti come un appestato , egli finì per stringere amicizia con un tale che ripeteva a intermittenza « La nostra tomba è un ' ara » ( variante della foscoliana « vostra tomba » ) e con un terzo maniaco che aveva scelto il più lungo intercalare ch ' io ricordi : « Speriamo di morire prima che le Pleiadi si colchino » . Doveva essere un classicista a spasso , un professore in pensione . I tre uomini , vistisi porre al bando per la loro incorreggibile , benché innocua ed epigrafica , ecolalia , finirono per incontrarsi clandestinamente in una camera d ' affitto dove potevano emettere a ripetizione il loro verso preferito ; e dove poi ( il fatto avvenne una quindicina d ' anni fa ) furono arrestati , accusati di congiurare contro il regime e proposti per il confino . Dopo tale disavventura il trio si sciolse e oggi non saprei dire se qualcuno dei suoi componenti sopravviva . Inconsapevoli testimoni della magica autosufficienza della Parola , i tre sventurati sarebbero assai sorpresi di riconoscersi in uno scritto che sfiora , ma non pretende di risolvere la vessata questione dei rapporti , coniugali ed extra - coniugali , tra il Verbo e la Musica .