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E LE RIVENDICAZIONI ECONOMICHE? ( EINAUDI LUIGI , 1919 )
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Il ministro Crespi è stato nominato membro del Consiglio supremo degli approvvigionamenti che risiede a Parigi per regolare la distribuzione delle derrate alimentari e delle materie prime tra le nazioni alleate , neutre e nemiche . A lui è stato affidato pure il compito di dirigere la preparazione e il coordinamento degli studi e degli interessi d ' ordine economico per la conferenza della pace . Accanto ai delegati politici era necessario ci fosse il delegato economico , essendo necessario che l ' opinione pubblica cominci ad interessarsi seriamente alla discussione dei problemi economici , i quali dovranno esser risoluti alla conferenza di Parigi . Molto si scrive e più si discorre delle rivendicazioni politiche che l ' Italia dovrà far sue attorno al tavolo della conferenza ; e si è in ansia sul meno e sul più che l ' on . Sonnino ed i suoi colleghi chiederanno ed insisteranno per ottenere . Ma chi parla delle rivendicazioni economiche o finanziarie che l ' Italia dovrà presentare a Parigi ? Chi si interessa di sapere in qual senso e in qual misura i destini materiali del nostro paese saranno determinati dalle decisioni parigine ? Eppure di sei punti , che sui quattordici del celebre discorso di Wilson dell'8 gennaio 1918 avevano carattere generale diplomazia pubblica , libertà dei mari , uguaglianza di trattamento nelle convenzioni commerciali , riduzione degli armamenti , governo e ripartizione delle colonie , società delle nazioni parecchi hanno un carattere nettamente economico ; il che fa vedere il gran peso che alla soluzione di questi problemi dà il presidente degli Stati uniti . I nostri uomini di governo dànno ad essi un ugual peso ? Quale è la preparazione di studi , di dati , di documenti probanti e seri con cui i delegati italiani si sono avviati alla conferenza , sì da affidare il paese che le sue ragioni saranno efficacemente sostenute ? Confidiamo che quegli studi siano stati intrapresi e condotti a termine per tempo . Il ministro Stringher , che è stato fino a ieri a capo del maggior osservatorio economico esistente nel nostro paese , la Banca d ' Italia , che ha scritto relazioni , le quali sono fra le cose più informative che si abbiano sull ' economia di guerra in Italia , ed è studioso serio , osservatore sagace , non facile a lasciarsi trascinare , e cauto nell ' assumere impegni od avanzare pretese , ha le qualità e i mezzi necessari per sostenere le ragioni dell ' Italia in merito alla pace economica , con competenza , moderazione e fermezza . Sono le qualità , le quali giovano maggiormente quando si ha da fare con uomini , che non si lasciano fuorviare dalle esagerazioni , ma hanno il dovere di consentire alle richieste seriamente documentate e fermamente sostenute . L ' Italia ha parecchie richieste da presentare , serie , anzi di una grande gravità e urgenza per il nostro assestamento economico e finanziario . Dal loro esito dipendono in gran parte la ripresa economica del paese , la sua pace sociale , la sua capacità a partecipare con frutto alla risorta vita internazionale . L ' Italia ha diritto di partecipare agl ' indennizzi che dovranno esser pagati dagli imperi centrali . Anche se calcolati entro i limiti della risposta dell ' intesa al presidente Wilson , la quale servì di base all ' armistizio con la Germania , si tratterà pur sempre di decine di miliardi d ' indennizzo per danni arrecati dal nemico alle cose e alle persone . L ' Italia , che ebbe alcune sue belle provincie soggette ai danni dell ' invasione e molti danni subì a causa delle operazioni di guerra , ha diritto di partecipare a questi indennizzi . Ma chi ce li pagherà ? I nuovi stati che hanno preso la successione dell ' Impero austro - ungarico , di cui alcuni sono divenuti nostri amici ed altri saranno probabilmente insolventi ? La guerra fu condotta per causa comune . Unico fu lo sforzo , e unica deve essere la responsabilità dei nemici verso di noi . Ecco un gravissimo problema che importa sia bene impostato e la cui soluzione più giusta , che è anche quella più favorevole a noi , deve essere vigorosamente sostenuta dal nostro delegato economico . Le spese di guerra non sono giunte alle cifre fantastiche , superiori all ' ammontare della ricchezza nazionale , che alcuni farneticano ; ma è pur certo che i debiti da cui l ' Italia è gravata in conseguenza della guerra , giungono ad altezze quali proporzionalmente non si hanno in nessun altro dei grandi paesi belligeranti dell ' intesa . Se altri trova duro di dover sottostare a debiti bellici uguali al quinto o al quarto o al terzo della ricchezza privata dell ' anteguerra , che dire di noi che , senza contare i vecchi debiti , già ora dobbiamo guardare ad un debito nuovo indubbiamente molto alto in confronto alla ricchezza nostra , quale poteva essere con larghezza calcolata nel 1914 ? Non si impone una perequazione ? La fronte unica finanziaria , rimarrà una frase priva di contenuto ? La proposta del deputato francese Stern , od altra simile , di creazione di un debito internazionale il cui servizio sia poi ripartito in ragione della ricchezza dei vari stati alleati e associati , entrerà nella realtà ? Cadranno nel vuoto le proposte di passar la spugna sui prestiti di guerra fatti agli alleati , che ci vengono da autorevoli voci inglesi e nordamericane ? Tutto dipende dalla vigoria con cui se ne faranno propugnatori i delegati italiani e francesi . Né gli italiani debbono farsi trascinare a rimorchio dai francesi ; ma porre essi il problema , come ce ne dà diritto la grandezza dei sacrifici finanziari sostenuti . Per la ripresa economica l ' Italia ha bisogno urgente di approvvigionamenti cospicui , ed occorre che i privati possano comperare largamente , senza le pastoie dei vincoli governativi ; ma occorre altresì che il governo s ' intenda con gli Stati uniti e con l ' Inghilterra affinché gli acquisti , che debbono essere copiosi e rapidi , non disorganizzino i cambi , perturbando per un altro verso la vita del paese . Non si dice che l ' acquisto venga fatto dai privati e il pagamento dallo stato ; ma che i delegati italiani sappiano ottenere facilitazioni per i pagamenti , sicché il livello attuale dei cambi , mantenuto artificiosamente basso dalla politica suicida di non lasciar comprar nulla , non sia mutato in peggio . Tutti gli stati avranno il proprio fardello di imposte da sopportare . Anche noi . E siamo disposti a pagare . Ma si è a sufficienza ponderato il problema di coloro che non vorranno pagare e andranno alla ricerca dei paesi a tassazione minima ? Non urge che i nostri delegati pongano le fondamenta di accordi internazionali per l ' accertamento dei redditi , per le denuncie in caso di successione , per i titoli al portatore , i quali giovino a diminuire i pericoli di evasione ? Su nessuno di questi punti noi incontreremo ostacoli insormontabili ; bene spesso avremo il consenso di altri stati che hanno i medesimi nostri interessi , e sempre la benevolenza di quelli che debbono riconoscere il nostro diritto ad un aiuto . Ma nulla si fa senza sforzo , senza interessamento vivo , senza solerte preparazione .
«L'uomo malcontento» di C. Malipiero ( Montale Eugenio , 1960 )
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Venezia , 13 settembre - La più attesa delle « novità assolute » eseguite iersera nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale era di Gian Francesco Malipiero : un concerto di concerti , ovvero L ' uomo malcontento per violino concertante e orchestra , solisti Scipio Colombo , baritono , e Franco Gulli , violino . Si tratta di una di quelle « rappresentazioni da concerto » di cui l ' illustre maestro ci ha dato già prove . Stavolta egli ha scelto tre ottave del Poliziano , alcuni versi dal Transito e Testamento di Carnovale di un ignoto del secolo XVI e un brano dell ' Ipocrito di Pietro Aretino . Il filo che unisce questi brani è il sentimento di amara scontentezza che investe la condizione umana quand ' essa giunge al tramonto . Malipiero vi ha profuso ancora una volta le qualità che fanno di lui un modello di coerenza e di deliberata inattualità . Sfrondata dalla parte solistica del violino , soporifera , c da quella vocale , di una scrittura impossibile , resta abbastanza viva la cornice sonora , arcaizzante , come al solito , ma non priva di ingegnosi episodi . Assisteva l ' autore , festeggiato . All ' inizio del programma una Piccola musica di Natale per piccola orchestra e pianoforte , di Niccolò Castiglioni , pianista lo stesso autore ( il titolo , per semplificare le cose , è in tedesco ) . Castiglioni intende , e lo dice nel programma , eliminare dal suono ogni piacere sensoriale : il suo « è un bisogno di tutelare l ' aristocrazia del pudore dal grossolano ricatto di una pseudo - civiltà mercantile » ( la sola , aggiungiamo noi , che paga e rende possibili i festival musicali ) . Nella breve composizione ( undici minuti ) rari suoni vetrini , felpati o frullati hanno la funzione di un filo spinato che delimiti larghe zone di silenzio . L ' aristocrazia del pudore risulta effettivamente tutelata dal giovane e sensibile autore . Cesare Brero ha invece musicato Er testamento de Meo del Cacchio di Trilussa : voce di baritono e quattordici istrumenti , più la percussione . L ' accorato e fine strumentale ci ha fatto dimenticare la parte vocale , arida , difficile e di scarso interesse . Chiudeva la serata la Sinfonia op. 35 di Luigi Cortese , composizione in tre tempi che intende essere « una dichiarazione di fiducia nella vitalità della forma tonata » . Tutto ciò servirebbe a poco se in realtà il Cortese non avesse scritto , come ha scritto , una musica vigorosa e tematicamente chiara , che si segue con attenzione e dimostra una maestria non soltanto tecnica . Queste « novità assolute » , egregiamente eseguite dall ' orchestra della Fenice , diretta da Nino Sanzogno , sono state ascoltate da un pubblico non molto folto ma rassegnato e plaudente . Tutti gli autori sono apparsi più volte alla ribalta . Si sono fatti onore il violinista Gulli e il baritono Colombo , quest ' ultimo un vero martire .
LA QUESTIONE PRELIMINARE. ( EINAUDI LUIGI , 1919 )
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Le sedute del congresso di Parigi presentano ai nostri occhi uno spettacolo non si sa se più appassionante o più grandioso . Ardui problemi coloniali e territoriali , questioni di confini , creazioni di repubbliche e di regni nuovi vengono dibattuti dinanzi ad un areopago mondiale , in cui seggono , arbitre definitive , due potenze delle quali una non è affatto interessata nella ripartizione delle spoglie della guerra ; e l ' altra lo è mediocremente . Non vi sono interessati gli Stati uniti , i quali nulla chieggono per sé e vogliono giustizia per tutti ; ed i fatti provano come sia giunto oramai al culmine quel movimento di idee , il quale iniziatosi col celebre rapporto indirizzato il 31 gennaio 1839 da Lord Durham alla giovinetta regina Vittoria sugli affari del Canada , ha condotto alla indipendenza praticamente assoluta delle grandi colonie inglesi dalla madrepatria . Talché si può contemplare senza meraviglia , perché logica conseguenza di uno sviluppo storico unico forse al mondo , ma effettivo e stupendo , il fatto di stati facenti parte della costellazione delle comunità anglo - sassoni , i quali vorrebbero annettersi colonie tedesche , ma ne sono impediti dalla madrepatria , associata agli Stati uniti nel proclamare invece spassionatamente l ' appartenenza alla Società delle nazioni . Un nuovo mondo si crea , un nuovo ordine di cose nasce . Per iniziativa dei popoli anglo - sassoni , nei cui domini si sono compiute esperienze fecondissime di creazione di stati nuovi , di trasformazione di territori abitati da barbari e da sparsi coloni in stati sovrani , si tenta la estensione a tutto il globo del medesimo principio , il quale informa di sé la confederazione americana e la comunità britannica delle nazioni . Noi siamo pronti ad accogliere con fede , con speranza viva il nuovo ordine di cose . Anche quando esso , instaurandosi , necessariamente viene a toccare interessi nostri gelosissimi ; anche quando fa d ' uopo rassegnarci a lasciar discutere dei confini nostri , dei nostri monti , dei nostri fiumi , del sangue nostro da potenze marittime ed extraeuropee , la cui politica tradizionale è stata ed è ancora quella delle mani nette da ogni impegno nel torbido groviglio delle lotte nazionali della martoriata Europa continentale . Si sono , alfine , questi isolani e questi trasmarini decisi ad intervenire nelle nostre contese , a segnare il confine giusto tra romeni e serbi , tra polacchi e czecoslovacchi ; partecipano alle commissioni d ' inchiesta sulle faccende più gelose dei vecchi e nuovi stati ; si apparecchiano forse a dire una parola decisiva sulle aspirazioni della Francia sul Reno , sulle rivendicazioni sacrosante dell ' Italia a riunire in un corpo solo le sparse membra della sua famiglia ? Noi siamo pronti a riconoscere che il loro intervento è promettitore d ' un più felice avvenire all ' umanità . Non solo è giusto perché la flotta inglese serbò intatto , durante la guerra , il dominio dei mari come ai tempi di Nelson , costringendo le navi corsare nemiche a rintanarsi nei loro porti , combattendo pertinacemente la minaccia sottomarina , consentendo il vettovagliamento degli eserciti e delle popolazioni ; perché l ' esercito inglese , trasformato da « piccolo spregevole » manipolo in un colossale organismo modernissimo , sostenne la sua parte tremenda dell ' urto germanico ; perché gli Stati uniti ci fornirono armi , munizioni , ferro , carbone , viveri e mandarono in Europa quegli ultimi milioni di uomini , la cui presenza ed il cui timore crescente diede il tracollo alle ultime speranze del nemico . È necessario , come auspicio e come garanzia . È giusto , è necessario , perché solo la contemplazione di un vecchio stato come quello britannico , retto un tempo a forma di governo centrale dominatore su popoli soggetti , il quale , persuaso del pericolo mortale delle vecchie forme politiche , ne fa gitto e da ottant ' anni in qua ogni giorno meglio scopre ed attua nuove forme di governo ed ha già saputo far sorgere , attorno alla madrepatria , tre grandi federazioni e due stati indipendenti , liberi da ogni vincolo di tributo o di servizio personale , eppure accorrenti volonterosamente alla difesa della causa comune nell ' ora del pericolo ; perché solo la visione meravigliosa delle tredici antiche colonie nordamericane , le quali si estendono , per filiazione , su un intiero continente e dal deserto fanno sorgere 46 stati sovrani e 4 territori , autonomi eppure uniti , in cui vivono concordi bianchi e negri , discendenti dei primi coloni olandesi e successivi immigranti anglo - sassoni , da cui vennero in Europa per combattere soldati italiani e slavi , tedeschi e russi , inspirati tutti dall ' uguale desiderio di lotta contro il male e la prepotenza ci possono far sperare che un uguale ordine di cose politiche possa instaurarsi in Europa . Perciò noi accettiamo che gli anglo - sassoni delle due famiglie britannica e nordamericana intervengano nelle cose nostre . Ne ascolteremo con riconoscenza i consigli , ben sapendo che saranno consigli di bene . Non dimentichino però essi che il loro intervento fu anche determinato dall ' interesse proprio e mira a fini comuni . L ' Inghilterra , accorrendo in difesa del Belgio e della Francia , difese le coste della Manica , salvò la propria esistenza come nazione libera , tutelò le sue venture generazioni dal tremare sotto i colpi del cannone tedesco . Gli Stati uniti videro che se non schiacciavano sin dall ' inizio il sorgente impero militare medio - europeo , questo avrebbe in un momento successivo preteso al dominio universale . Oggi essi mirano a costruire la nuova città . Se si arrogano il diritto di decidere dell ' assegnazione di colonie e di territori poco inciviliti , se dànno opera a sbrogliare la matassa dell ' Europa media e dei Balcani , se subordinano al proprio consenso la determinazione dei confini francesi ed italiani , tutto ciò fanno perché è nell ' interesse loro che si formi un ' Europa pacificata , in cui le nazioni tutte libere ed indipendenti , quanto più è praticamente possibile nei loro chiusi territori , possano , senza ricordi di odio ed aspirazioni di rivincita , collaborare all ' opera comune della civiltà . Vogliono i due rami della famiglia anglo - sassone assicurarsi contro il rischio ricorrente di un impero militare , il quale minacci la loro esistenza e li distolga dalle opere di pace . Ed han ragione ; e nessuno più degli italiani , soggetti al medesimo rischio mortale , ha interesse di plaudire all ' opera sapiente e provvida . Ma nessun edificio sorge saldo , il quale non sia costruito sul granitico fondamento della giustizia distributiva . Contro ai vantaggi incommensurabili della distruzione dell ' impero militare tedesco e della costruzione della Società delle nazioni libere ed uguali , stanno costi terribili , in uomini e in denaro . Comune è l ' onore ed il vantaggio . Si è pensato abbastanza che comuni debbono essere i costi ? Purtroppo Francia ed Italia non potranno mai ricevere un compenso per i milioni di uomini giovani e fiorenti che esse hanno offerto in olocausto alla causa comune . Esse si sono dissanguate a dismisura più degli altri grandi stati che ora dirigono l ' areopago delle nazioni . Di ciò Francia ed Italia non si lagnano . Era la loro sorte fatale di sentinelle avanzate della volontà di vivere o morir liberi contro chi pretendeva al dominio universale . Vi sono però i costi valutabili in denaro , di ricchezze sperdute , di terre e case distrutte , di sacrifici eroicamente sopportati , di centinaia di miliardi di debito incontrato per la causa comune . La perequazione , il conguaglio dei costi si impongono come un preliminare necessario innanzi di raccogliere i frutti che solo da quel sacrificio sono stati resi possibili . Nelle sedute del congresso di Parigi si è parlato di molte cose ; ma finora non abbiamo visto , con stupore grande , che sia stato affrontato il problema della ripartizione fra gli alleati del costo della guerra . Eppure questo è il punto preliminare che deve essere risoluto . I particolari delle applicazioni potranno essere rinviati alle commissioni tecniche , È un particolare tecnico anche la ripartizione delle indennità da pagarsi dal nemico . Un particolare incerto ed aleatorio , su cui non è possibile prudentemente fare a fidanza . Il punto essenziale è di affermare il principio che , poiché comune è la causa , poiché comuni sono i benefici che si ritrarranno dalla distruzione del sogno tedesco di egemonia e dalla ricostruzione del mondo , così comuni debbono essere i costi , le fort portant le faible . Chi ha speso molto , ma , per la sua ricchezza , è di gran lunga più capace di sopportare i pesi dei suoi debiti ; chi ha speso poco ed è dovizioso , come può dar consigli e richiedere rinuncie a chi ha speso , in proporzione ai suoi mezzi , smisuratamente di più ? Il costo della guerra , qualunque siano le modalità tecniche di attuazione , deve idealmente essere assunto dalla Società delle nazioni . È l ' apporto che i vari paesi fanno al sodalizio che li unisce ; né sarebbe una società equa quella in cui alcuni soci potessero camminare spediti e liberi , mentre gli altri dovrebbero andar curvi sotto il peso immane . Fermato il principio della società dei costi , si potrà procedere innanzi nella ripartizione degli uffici a cui nella società rinnovata delle nazioni ogni stato dovrà provvedere e dei territori a cui dovranno estendersi i suoi compiti . Come fermare tal punto , se gli stati contraenti non sanno di qual forza economica potranno disporre , di qual margine di bilancio potranno avvantaggiarsi per la ricostruzione delle terre invase o redente e per la civilizzazione dei territori coloniali ricevuti in custodia dall ' ente superiore ? Si vuole che gli stati amministrino le colonie nell ' interesse dei popoli ivi abitanti . Così deve essere . Non Wilson ha inventato questo principio , ché egli lo trasse dallo spirito della rivoluzione americana e dalla pratica costante dell ' Inghilterra dopo il rapporto di Lord Durham . Ma se si vuole applicare quel principio , bisogna essere preparati a sopportare sacrifici a pro delle colonie , senza alcun utile diretto compensativo . Anche la conseguenza è logica ed è giusta . Ma come potrebbero Francia ed Italia , sovraccariche di debiti incontrati per la salvezza propria ed altrui , sobbarcarsi ad un ' opera di civiltà magnifica , l ' unica possibile e veramente a lungo andare remuneratrice , ma negli inizi costosissima ? Moralmente , politicamente ed economicamente è dovere degli uomini i quali dirigono i lavori della conferenza di Parigi di affrontare subito il problema preliminare della ripartizione solidaria dei costi della guerra . Occorre una pronta affermazione di principio . Fatta questa , la conferenza potrà procedere senza che dubbi angoscianti turbino la mente di alcuno degli statisti in essa convenuti . E potranno essere prese , intorno ai singoli problemi della ricostruzione , deliberazioni più serene e più umane .
Un concerto dedicato ai francesi ( Montale Eugenio , 1960 )
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Venezia , 15 settembre - Il concerto di ieri sera , che si è tenuto come i precedenti nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale , è l ' unico di questo festival che non sia dedicato esclusivamente alla musica contemporanea . Vi abbiamo ascoltato , infatti , una sinfonia di Berlioz , Il corsaro , che risale al 1845; la ben nota Sinfonia n . 1 in do maggiore di Bizet ( 1855 ) ; e una Suite provençale del Milhaud , che crediamo non nuova per l ' Italia . Di nuovo c ' era solo la Prima sinfonia di Henri Dutilleux , compositore abbastanza giovane , già prix de Rome e ora caposervizio delle trasmissioni musicali alla radiodiffusione francese . Il maggiore elemento d ' interesse era dato dal fatto che queste musiche erano eseguite dall ' Orchestra nazionale della Radiodiffusione - Televisione francese , una delle più perfette compagini orchestrali attualmente esistenti , e che il direttore era André Cluytens , già applaudito dai milanesi come eccellente interprete del Parsifal alla Scala . Ancora una volta l ' illustre direttore fiammingo ha confermato le sue qualità di autentico dominatore dell ' orchestra , la sicurezza e la sobrietà del suo gusto , la capacità di far rivivere musiche di stile assai diverso rispettandone il carattere e non sopraffacendole . Né Berlioz , né il Bizet della Sinfonia in ( lo maggiore e nemmeno il quasi folcloristico impressionismo del Milhaud potevano offrire serie difficoltà a lui e alla sua orchestra . Forse più difficile la musica liberamente atonale del Dutilleux . Il programma ci dice che essa dovrebbe rappresentare un sogno o un incubo sospeso tra due evanescenze . Forse l ' incubo fu dell ' autore , ma all ' ascoltazione questa musica disordinata , sconquassata , inutilmente fragorosa non produce che noia e fastidio . Non si comprende perché sia stata eseguita al festival : forse la posizione occupata dal Dutilleux alla Radiodiffusione francese spiega tutto . Certo , se si doveva scegliere tra l ' Ottocento e il Novecento di Francia , si sarebbe potuto presentare un programma assai più interessante . Ciò sia detto senza negare il merito delle vigorose , popolaresche gighe e trescone che formano il tessuto della Suite provençale .
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La piantina di Milano , spiegata sulla parete della sede nazionale di Forza Italia , in Via dell ' Umiltà a Roma , sembra la planimetria di un campo di battaglia . Puntini , cerchietti e riquadri di diverso colore , collegati tra loro da linee diagonali che si dipartono tutte da un unico centro : il Forum di Assago . Lì , il prossimo 16 aprile , si aprirà il primo congresso nazionale di Forza Italia , il movimento inventato appena quattro anni fa da Silvio Berlusconi che ora vuol diventare , a tutti gli effetti , un partito . Sotto quella piantina , telefono appoggiato in permanenza all ' orecchio e tastiera del computer sotto le dita , lavorano dalla mattina alla sera le ragazze addette alla " logistica " . Non è roba da poco : a Milano convergeranno , in quei tre giorni , 3.079 congressisti ai quali vanno assicurati ( e pagati ) alloggio , pasti e spostamenti , più un numero imprecisato di ospiti e di giornalisti . A complicare ulteriormente le cose ci si è messa anche la concomitante Fiera del mobile , una delle grandi manifestazioni commerciali che intasano periodicamente Milano . Gli organizzatori del congresso si sono messi le mani nei capelli , quando se ne sono resi conto : le assise non potevano certo essere spostate un ' altra volta , e poi la data ad alto potenziale simbolico del 18 aprile , cinquantesimo anniversario della vittoria del fronte moderato di Alcide De Gasperi sulla sinistra frontista di Pietro Nenni e Palmiro Togliatti , era stata accuratamente scelta da Berlusconi stesso per celebrare , con un comizio a Piazza Duomo , la chiusura del congresso e la nascita ufficiale del partito . D ' altra parte , non si poteva rischiare di lasciare all ' addiaccio , nel clima traditore di metà aprile , migliaia di congressisti . Per fare fronte all ' emergenza , i responsabili organizzativi hanno chiamato in soccorso un esperto : il generale ( e ora senatore ) Luigi Manfredi , già comandante del IV corpo d ' armata degli Alpini e responsabile della Protezione civile . Manfredi è arrivato a via dell ' Umiltà armato di mappe e cartine , ha messo su una piccola task force di telefoniste , ha affidato a ciascuna uno spicchio di città ( i delegati che vengono dal nord verranno smistati nel quadrante settentrionale della città , quelli che arrivano da sud in quello meridionale e così via ) , e ora il responsabile organizzativo di FI , Claudio Scajola , può tirare un sospiro di sollievo : " Grazie al generale , ce la faremo a sistemare tutti " . Il primo congresso di Forza Italia ( quanto costerà nessuno lo sa ancora dire con precisione , ma si parla di cifre da capogiro , tra gli 8 e i 10 miliardi ) si aprirà dunque giovedì 16 aprile nella più solida enclave azzurra dell ' Italia ulivista , in una scenografia che è il segreto meglio conservato dell ' operazione , perché Berlusconi ne sta curando personalmente l ' ideazione . Se ne occupa durante i weekend ad Arcore , con il supporto di alcuni " creativi " di Mediaset : il suo obiettivo , spiegano , è di assicurare una cornice " spettacolare " al debutto di quello che " non è un partito di plastica " , come recita lo slogan di maggior successo di questa lunga vigilia congressuale . Lo ha coniato , ovviamente , Berlusconi , e lo ripetono a ogni piè sospinto tutti gli esponenti più vicini al leader , dal suo portavoce Paolo Bonaiuti a Giuliano Urbani ( cui è affidata gran parte dell ' elaborazione tematica congressuale ) a Franco Frattini . Lo ripete , con più gusto di tutti , Claudio Scajola , che del nuovo partito è lo strenuo organizzatore , e che sciorina orgogliosamente i suoi dati : 140.000 iscritti ad almeno 100.000 lire l ' uno nei tre mesi della campagna 1997 ( attraverso spot Tv e " telemarketing " ) , che hanno fruttato 11 miliardi di entrate ; 117 congressi provinciali , celebrati negli ultimi mesi , che hanno eletto i coordinatori locali e i delegati alle assise nazionali . Nel congresso , che sarà articolato in sei " sessioni tematiche " destinate ad aggiornare il programma elettorale del '94 , si voterà per il Presidente ( Berlusconi , naturalmente ) , per sei membri dei 18 del Comitato di presidenza e cinquanta del Consiglio nazionale . Restano di nomina presidenziale , invece , i 20 coordinatori regionali e sei membri del Comitato ( i restanti sei sono di diritto ) . È stato nel '96 , dopo la sconfitta elettorale , che Berlusconi ha deciso di dare a FI una struttura che le garantisse l ' insediamento sul territorio , visto che la cosiddetta " par condicio " non avrebbe più consentito l ' utilizzo dei mezzi di comunicazione per diffondere i messaggi politici : " La sinistra ha 200.000 iscritti che si incaricano di fare la propaganda " , disse ai suoi collaboratori . " Non avendo più le Tv , anche noi dobbiamo fare altrettanto " . Fino a quel momento , c ' erano stati diversi tentativi di trasformare il comitato elettorale che aveva portato al trionfo del '94 ( nel quale un ruolo fondamentale era stato svolto dagli uomini " dell ' azienda " , e di Publitalia in particolare , sotto la guida di Marcello Dell ' Utri ) in una struttura più radicata e permanente . Nell ' impresa si sono cimentati diversi dirigenti , da Mario Valducci ( oggi responsabile Enti locali ) a Cesare Previti ( coordinatore nazionale tra il '94 e il '96 ) , ma solo dopo la batosta elettorale il disegno prese davvero corpo . Ex sindaco di Imperia , esponente della Dc ( dove però , tiene a precisare , " non ho mai fatto politica a livello nazionale " ) , Scajola venne candidato alla Camera in quella tornata , risultando eletto . Appena un mese dopo , Berlusconi lo insediò a Via dell ' Umiltà , da dove sono stati elaborati , in questi due anni , lo statuto ( approvato il 18 gennaio del '97 , nel terzo anniversario della fondazione di FI ) e l ' assetto territoriale e centrale del partito . Perché proprio lui , l ' ultimo arrivato ? Scajola non ha dubbi : " Perché Berlusconi ha avuto fiuto " , spiega . I suoi nemici ( e lui ammette : " So di essermene fatti tanti , da quando sono qui " ) lo accusano però di essersi dedicato alla costruzione di un apparato di partito , scegliendo dirigenti a lui legati e ricalcando vecchi modelli di organizzazione politica . Alla struttura che vedeva come unità territoriale di FI il collegio uninominale della Camera ( inventata da Guido Possa , amico ed ex compagno di scuola di Berlusconi , già vice del coordinatore Previti e oggi responsabile delle rete ormai in disarmo dei club di Forza Italia ) si è sostituita un ' organizzazione che ricalca l ' assetto degli enti locali : comune , provincia , regione . Ogni livello ha i suoi organismi e i suoi dirigenti , a riproduzione di quelli nazionali . " Una struttura inutilmente burocratica , dove rischiano di affermarsi i signori delle tessere " , accusano i critici , sostenitori di un partito " leggero " : l ' ala liberale di Antonio Martino e Marco Taradash , il variegato gruppo dei professori ( dall ' insoddisfatto Giorgio Rebuffa a Lucio Colletti , che del congresso non vuol neppure sentire parlare ) , e anche buona parte dei gruppi parlamentari , a cominciare dal presidente dei deputati Giuseppe Pisanu . Ma Scajola difende la sua creatura : " Stiamo facendo venire alla luce , dalla periferia di FI , una nuova classe dirigente di inaspettato valore . Abbiamo scritto uno statuto estremamente democratico , che ha due fondamentali obiettivi : impedire la nascita di correnti e garantire l ' elezione diretta dei dirigenti " . Ai suoi detrattori , che gli rimproverano di " democristianizzare " FI , Scajola replica : " La Dc ha avuto difetti e degenerazioni da cui vogliamo stare lontani , ma è anche durata 50 anni , e io spero che FI possa fare altrettanto " . Critiche e gelosie , spiega , nascono dal fatto che " i gruppi parlamentari , che erano l ' unico centro ' direzionalè del partito , temono di perdere il loro peso " . Come lui stesso ammette , nei collegi , tra i parlamentari e i nuovi dirigenti locali di partito , si sono prodotte numerose tensioni , alcune delle quali sono sfociate in abbandoni . Dal '96 a oggi , sono quindici i parlamentari che hanno abbandonato i gruppi azzurri . Certo è che , per la prima volta nella sua esistenza , FI sta registrando le tipiche scosse sismiche di ogni vigilia congressuale che si rispetti . Chi è esperto nella geografia interna del movimento individua principalmente due assi contrapposti : quello dell ' apparato centrale , guidato dallo stesso Scajola e dagli uomini più vicini ( il deputato sardo Salvatore Cicu , ex giovane Dc e responsabile del settore adesioni , il consulente per il congresso Luigi Baruffi , ex responsabile organizzativo della Dc , Mario Valducci , il tesoriere Giovanni Dell ' Elce ) e che avrebbe l ' appoggio del capogruppo al Senato Enrico La Loggia , e quello capeggiato da Pisanu e Frattini , forte di un buon rapporto con Gianni Letta . A quest ' ultimo , che pure non ha alcun incarico formale , e non è neppure iscritto al partito , tutti riconoscono però un ruolo centrale di equilibrio e mediazione . Il principale scontro precongressuale , che verteva sul sistema per l ' elezione dei membri del Comitato di presidenza , è stato risolto da Berlusconi stesso mercoledì sera , nell ' assemblea dei gruppi , a favore dell ' asse Pisanu - Frattini . Niente liste bloccate , come suggeriva Scajola , si voterà a preferenza unica : " Non mi piacciono le cordate " , ha tagliato corto il leader . Il voto sarà a scrutinio elettronico , come per il Totocalcio : un ' innovazione tecnologica che permetterà la massima rapidità nelle operazioni . Ai parlamentari , Berlusconi ha spiegato : " Il congresso non sarà una passerella : ci sarà un vero dibattito , nel quale tutti potranno dire la loro " . La base della discussione sarà il programma " liberale e liberista " del '94 , che poi " gli alleati ci costrinsero ad annacquare nel '96 , facendoci togliere capisaldi della nostra proposta di governo , come il buono scuola e sanità e la separazione delle carriere " . Ma al congresso di Milano si parlerà naturalmente anche di strategie e di rapporti politici : dal dialogo con il centro cossighiano a quello con la Lega . Per ora , si guarda con attenzione alle assise del Carroccio , che si apriranno oggi e alle quali parteciperà Giulio Tremonti , massimo sostenitore della " svolta nordista " di FI . Vari altri esponenti azzurri ( dal coordinatore lombardo Dario Rivolta a Giancarlo Galan , presidente della Regione Veneto , a Tiziana Maiolo ) stanno già lavorando a possibili campagne comuni con la Lega , ma i rapporti con Umberto Bossi li gestisce Belusconi in prima persona . Un Berlusconi di ottimo umore , racconta chi ha partecipato alla riunione di mercoledì . A chi lo investiva con i suoi " cahiers des doléances " sul funzionamento di gruppi e partito , ha replicato con aria divertita : " Ci sto pensando da tempo : se avessi organizzato le mie imprese come questa baracca , sarei fallito in tre mesi " .
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Il professore L . M . Billia mi comunica alcune sue osservazioni intorno alla tesi dell ' « Economist » , secondo la quale l ' Inghilterra dovrebbe passare la spugna sui crediti di guerra verso gli alleati . Siccome gli appunti son degni di nota , giova sunteggiando , riferirli , nella loro interezza . I doni son doni , i crediti ed i debiti sono debiti e crediti . La prima regola non solo morale , ma anche e principalmente economica di qualunque amministrazione è pagare i debiti , e a tempo ; chi non paga non produce , spende : è un giocatore , non un lavoratore . La funzione del credito si regge sulla fiducia , e quindi condonare un debito si può , si deve per carità a questo o a quell ' individuo ; ma è uno schiaffo a una ditta , è un tagliarla via dalla piazza . La obiezione si afforza , riflettendo che la guerra odierna potrà non essere l ' ultima e l ' Italia potrà ancora avere bisogno di credito dagli alleati . Or chi non vede che perdonare un debito è togliere il credito e chiudere lo sportello per qualunque prestito ulteriore ? Il miglior modo per evitare la seconda e la terza e decima richiesta di cento lire dal giovinetto studente figlio dell ' amico è di non consentirgli di restituire le prime cinquanta . E siccome in politica , diciam pure negli affari , c ' è gente molto meno delicata dello studente , chi vi assicura che il non avere pagato una volta non diventi invece stimolo a lanciarsi nelle avventure ? Doppio pericolo in questa non desiderabile larghezza dell ' « Economist » ; non trovare più credito nelle necessità , trovare l ' incentivo alla temerarietà . L ' osservazione , bisogna riconoscerlo , è sostanziosa . Ma parmi non sia pertinente . Il « condono dei debiti » è la pura forma assunta da un altro fatto , che è il vero e fondamentale : il regolamento dei conti di dare e di avere dell ' impresa comune . Francia ed Italia , che sono i due paesi che han perduto più uomini e consumato maggiori ricchezze , non dicono già : « condonateci i crediti , che noi ci eravamo obbligati a rimborsare » . Se questo soltanto fosse il discorso nostro sarebbe invero , come teme il Billia , distruttivo del credito ed a lungo andare pernicioso alla nazione . Perciò , sia lecito confessarlo , ho veduto anch ' io con repugnanza le domande di conversione dei prestiti inglesi in sussidi a fondo perduto che in Italia si erano elevate fin dal 1915 ed è doveroso ricordare in proposito la campagna del « Momento economico » di Milano perché mi pareva che quelle domande fossero , allora , moralmente insostenibili . Eravamo allora dei semplici debitori , ed avevamo chiesto credito , all ' interno ed all ' estero , in una misura non superiore alle nostre forze . Mi pareva e mi pare ancora adesso che in una società conclusa per fini nazionali ed ideali , come fu la società dell ' intesa , ogni socio ha il dovere di bastare a se stesso , finché ciò non distrugga le sue fonti di vita , finché i sacrifici attuali non rendano troppo difficile alle generazioni venture la consecuzione di quei più alti fini , a cui la guerra fu indirizzata . Fino all ' anno scorso parve a me che fosse un punto d ' onore ed insieme un buon affare per l ' Italia astenersi nel regolamento definitivo dei conti da ogni domanda di aiuto finanziario a fondo perduto . L ' essere capaci , come saremmo stati indubbiamente se i debiti nuovi di guerra , interni ed esteri , si fossero aggirati su una cifra più adatta alla nostra fortuna , a bastare a noi stessi ci avrebbe dato in confronto ad altri paesi meno gravati e più ricchi , un tale prestigio , che il vantaggio futuro di credito e di produttività avrebbe superato di gran lunga il sacrificio del pagamento degli interessi . Il prolungarsi della guerra , il violento crescere delle spese nell ' ultimo periodo , la situazione torbida dell ' Europa orientale e centrale , che richiederanno la prosecuzione di notevoli spese post - belliche ben oltre il previsto hanno messo in evidenza che accanto alla figura del debitore vi è quella del socio . Eravamo soci fin dall ' inizio ; ma non esisteva ancora la necessità dell ' accomunare le risorse ; ed in affari pubblici di questo genere è solo la necessità non la convenienza quella che può legittimare la richiesta del socio povero di essere aiutato dal socio ricco . Ora che tutto fa prevedere che la Francia non uscirà dalla guerra con meno di 15o miliardi di debito nuovo e l ' Italia con non meno di 60-65 , ossia con somme che inseguono da vicino i due terzi od i quattro quinti della ricchezza totale nazionale prebellica , la necessità costringe noi a chiedere ai soci più ricchi un regolamento di conti , o meglio ci costringe a dare il nostro consenso ed il nostro appoggio alle voci più generose e lungiveggenti che in Inghilterra e negli Stati uniti si elevano per dire che è nell ' interesse loro di impedire il nostro disfacimento finanziario . Questo non è un condono di debiti ; è una compensazione fra il debito di una ventina di miliardi che l ' Italia potrà avere alla fine della guerra verso gli alleati e le spese che l ' Italia sostenne , alla pari della Francia , come sentinella avanzata della civiltà oltre l ' apporto massimo che le sue condizioni economiche le permettevano di conferire nella cassa comune . È interesse degli Stati uniti in primo luogo e dell ' Inghilterra secondariamente la spesa di questa poco si allontana dal carico medio far sì che Francia ed Italia possano persistere nella missione di tutrici della pace europea . Sarebbe immorale chiedere che tutta la spesa in denaro sia sostenuta dagli alleati , considerati quasi come soci di capitale ; ma è morale ed è giusto che i soci più doviziosi ripartano le spese comuni in maniera tale che Francia ed Italia serbino almeno quel minimo di capitale senza di cui sarebbe troppo ardua la ripresa del cammino in avanti . Sì , come dice il Billia , proseguendo , « al lavoro , al risparmio , al costume , al carattere domanderemo le fortune » e non alla rimessione dei debiti . Ma non sarebbe incentivo al lavoro , sibbene al malcontento ed a rimpianti verso le antiche funeste alleanze , il dubbio che gli alleati ci abbiano abbandonati col carico di spese non nostre ma loro . Col lavoro provvederemo al servizio di tutto il debito e di qualcosa di più del debito che in una equa liquidazione apparirà come nostra quota ; ma non pare né equo né durevole sobbarcarci a gravami che indubbiamente risultassero spettare altrui . Qui non si vuole pregiudicare la cifra , la quale dovrà essere determinata , con attento studio , da tecnici competenti . Si vuole affermare il principio che non si tratta , salvo che per la modalità accidentale di attuazione , di condono di debiti , sì di compensazione fra debiti e crediti nei rapporti fra associati in un ' impresa comune . Né tema il Billia che le partite compensate siano così grandi da stimolare noi allo spreco : Pensiamo un momento la ripercussione che lo svegliare tale speranza e peggio ottenere tanta fortuna avrebbe all ' interno . Il furore degli appetiti sarebbe più che il vantaggio e lo sperderebbe . Che incentivo alle pretese , al disordine , alle più vergognose inversioni economiche ! Giustissime riflessioni , nelle quali è degno di meditazione il vedere il Billia d ' accordo col pensiero di un sapiente economista inglese , lo Scott , professore a Glasgow . Anche lo Scott teme che poco frutto godrebbero i contribuenti dalla scomparsa del debito di guerra . Le spese inutili e pazze assorbirebbero parte notevole degli interessi risparmiati . Ma lo Scott parla di « scomparsa » del debito ; e le sue conclusioni contrarie ai metodi imposta straordinaria sul capitale con cui da taluno si vorrebbe estinguere il debito di guerra , non si applicano ad una situazione , come la nostra , in cui malgrado la compensazione dei debiti e crediti rimarranno in essere ancora parecchie decine di miliardi di nuovo debito di guerra . La « pressione salutare » , di cui parla lo Scott , del debito di guerra continuerà dunque per molti anni . Non che alleggerimenti , nuove gravi imposte saranno in ogni modo necessarie ; e , se gli uomini serberanno un po ' di ragione , nessuna gazzarra di spese inutili potrà disfrenarsi assumendo a pretesto la giustizia resaci dagli alleati .
Classici contemporanei ( Montale Eugenio , 1960 )
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Venezia , 17 settembre - Nei due concerti che si sono susseguiti nella sala delle Colonne di Ca ' Giustinian , il primo ci ha fatto conoscere il famoso Quartetto Julliard , interprete di musiche di Gian Francesco Malipiero , Anton Webern ed Elliot Carter . I quattro strumentisti del quartetto , dei quali il programma non ci fa conoscere i nomi , sono davvero formidabili e la loro collaborazione dura dal tempo dei loro studi musicali . ( Julliard è il nome di un ' alta scuola di musica negli Stati Uniti . ) Un ' ottima impressione hanno destato i Rispetti e strambotti di Malipiero di una chiara linea melodica e anche i Cantari alla madrigalesca dello stesso autore , forse un po ' meno felici nella loro sovrabbondanza . Questi lavori risalgono rispettivamente al 1920 e al 1931 e appartengono alla migliore stagione dell ' arte malipieriana . I Julliard hanno poi eseguito il Secondo quartetto per archi di Elliot Carter , un americano nato a Nuova York nel 1908 . A questo lavoro è stato assegnato il premio Pulitzer nel '59 , data della sua composizione . Si tratta di una musica caotica , ispida , volutamente inespressiva , di una aridità che non è nemmeno sconcertante perché nessuno è più capace di meravigliarsi di nulla . Tanto il Carter è rumoroso quanto era invece rarefatto Anton Webern , nei Cinque movimenti per quartetto d ' archi ( 1909 ) . Questi movimenti che appartengono alla musica del silenzio , oggi molto in auge , ci portano alla frontiera del nulla assoluto non forse per la sapiente disgregazione del rapporto tonale ma per l ' insolito gioco dei rapporti di intervallo . Resta sorprendente che dopo il Webern si sia scritta altra musica nella stessa direzione . Eppure il culto di questo maestro avrebbe dovuto sconsigliarlo . Scarso il pubblico , entusiastico il successo personale dei meravigliosi strumentisti del Julliard . Il secondo concerto era dedicato ai classici contemporanei : Schönberg , Stravinskij , Hindemith e Bartók . Di Schönberg è stato eseguito il ben noto Pierrot lunaire ( 1912 ) in una insufficiente interpretazione vocale di Magda Laszlo . È per noi un mistero perché Schönberg abbia musicato poesie che ci riportano al tempo della « Scena Illustrata » di Pilade Pollazzi . Sebbene non si intendesse alcuna parola , un mutismo completo ci avrebbe permesso di gustare meglio il sottofondo armonico di questi 21 melodrammi in miniatura . Dell ' Opera 36 n . 4 di Hindemith ( Kammermusik n . 5 ) per viola e orchestra da camera ( 1927 ) , dell ' Ottetto per strumenti a fiato di Stravinskij ( 1933 ) e della Sonata per due pianoforti e percussione di Béla Bartók ( 1937 ) non c ' è che da lodare la vigorosa , vibrante sostanza sonora , carattere che rende ancor vive e attuali queste musiche di ieri . Ha diretto molto bene il Pierrot lunaire il pianista Piero Scarpini , assistito dagli strumentisti Gazzelloni , Gaudini , Fusco , Asciolla , Morselli . Ottimo direttore delle composizioni è stato Ettore Gracis . Da notare il violista Dino Asciolla , il duo pianistico Gorini - Lorenzi e i batteristi Torrebruno e Striano . Molto pubblico a questo secondo concerto e molti applausi .
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Maria Grazia Cutuli è stata assassinata in Afghanistan , sulla strada che da Jalalabad porta a Kabul , a 90 chilometri dalla capitale in un posto orribile che si chiama Pouli - es - the - Kam . Maria Grazia era lì inviata dal Corriere della Sera e aveva trentanove anni . Era lì , da quelle parti , prima in Pakistan e infine in Afghanistan , dal giorno successivo all ' attacco alle Torri Gemelle . Pare sia stata un ' esecuzione . Secondo la ricostruzione di una televisione spagnola le hanno sparato alle spalle . Con lei sono stati uccisi altri tre giornalisti . Uno è Julio Fuentes , spagnolo , di El Mundo , di cui Maria Grazia parlava spesso . Erano stati anche fidanzati , Maria Grazia e Julio . Insieme , domenica , erano entrati in una delle più grandi basi militari di bin Laden , abbandonata dopo la ritirata dei talebani da Jalalabad . Lì hanno trovato una serie di fialette di Sarin , il gas nervino . Ieri il Corriere e il Mundo hanno pubblicato il racconto in prima pagina . C ' è chi dice che con la loro inchiesta e con le loro domande abbiano infastidito il leader locale . Si chiama Younis Khalis , una vecchia gloria del Jihad anti sovietico , ed è l ' uomo che dopo un lungo negoziato ha costretto i talebani a lasciare Jalalabad . I due giornalisti hanno scritto che Khalis nel 1996 diede a Osama ospitalità e il permesso di costruire la base sui suoi terreni . Secondo altri si è trattato di un ' imboscata a scopo di rapina , in una terra di nessuno tra le più pericolose dell ' Afghanistan . Su quelle montagne , a metà strada tra Kabul e Jalalabad , ci sono sia gli arabi di bin Laden sia i talebani scappati dalle due città . In fondo , conoscere il motivo della strage non conta molto : tutti e quattro i giornalisti sono morti . Questo conta . L ' intrattabile miss Kigali Dei quattro , Maria Grazia Cutuli è quella che conosciamo meglio . Era di Catania . Il mese scorso aveva compiuto 39 anni . Lavorava alla redazione Esteri del Corriere della Sera . Si occupava di Africa , di Medio Oriente , di Balcani , di Afghanistan . Era la più grande esperta di madrasse , le scuole coraniche del Pakistan dove hanno , si fa per dire , studiato i talebani . Di lei sappiamo che era una donna tosta , tostissima . Sappiamo che era considerata una intrattabile , a tratti insopportabile . Maria Grazia si lamentava , si lamentava sempre , le sue lamentele erano leggendarie , e gli amici la sfottevano per questo . Non riusciva a restare chiusa in redazione a passare pezzi , come si dice nel nostro gergo , o a fare interviste al telefono . Era monomaniaca : raccontare la guerra , meglio la guerriglia , era la sua fissazione . Voleva sempre andare dove c ' era un conflitto . Ci andava , poi . Ci riusciva . Perché era testarda da non immaginarsi . Poi tornava e sfiancava gli amici con i suoi racconti , e non smetteva di raccontare e lamentarsi , perché quando arrivava lì , fosse in Ruanda o in Medio Oriente , improvvisamente e felicemente si fermava tutto . Non si sparava più , si trattava improvvisamente la pace . I suoi colleghi dicevano che era meglio dell ' Onu : arrivava lei e la guerra si fermava . Era contenta di questo . Ironizzava su di sé . A chi la andava a trovare a casa mostrava sempre le sue fotografie scattate in Ruanda il Ruanda era la sua vera fissazione , ci tornava pure in vacanza . A Kigali arrivò proprio alla fine del genocidio tra hutu e tutsi . Per andarci si dimise da Epoca , dove lavorava ; ci andò con un contratto a termine delle Nazioni Unite . Da lì scrisse anche per questo giornale . Era orgogliosa delle sue foto del Ruanda . Gli amici la prendevano in giro perché quelle foto raccontavano un Ruanda diverso da quello terribile della guerra civile . Quelle foto la ritraevano danzante su un magnifico prato all ' inglese . Il machete aveva appena cessato di mozzare teste e lei , per scherzo e per esorcizzare la paura , quella sera , su quel prato , fu eletta Miss Kigali . Fare il giornalista di guerra , si sa , è pericoloso . Le parole contano meno delle armi da fuoco . Chi decide questa vita ne è perfettamente consapevole . Ed è felice . Maria Grazia aveva già rischiato la vita almeno un paio di volte . In Ruanda si salvò grazie a un febbrone che la costrinse a un ricovero all ' ospedale di Kigali . La sua abitazione , quella notte fu attaccata e quattro suoi colleghi delle Nazioni Unite furono trucidati . In Sudan , sui monti Nuba , al seguito della guerriglia cristiano - animista evitò per un niente una smitragliata da un Antonov governativo . I suoi amici erano abituati a questi racconti , non ci facevano più caso . Per coinvolgerli , per fare fino in fondo il suo mestiere , lei raccontava loro queste immani tragedie in modo lieve . Per non annoiarli . Ci riusciva . Come quando andò a Sarajevo per Epoca . La città fu presa d ' assedio e lei costretta a dormire per tre settimane nell ' edificio della televisione bosniaca . Appena mettevi il naso fuori un cecchino prendeva la mira e sparava . Scrisse articoli bellissimi . A cena , un tocco mondano . Agli amici faceva credere che per lei la cosa peggiore era guardarsi allo specchio i capelli sformi .
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Chi segue i lavori della conferenza di Parigi ha l ' impressione di qualcosa di scucito , di non ordinato , di errate concezioni intorno all ' importanza relativa ai problemi posti in discussione . I giornali recano ora nel tempo stesso , ad esempio , due notizie diverse ; secondo la prima , la commissione presieduta da Wilson per la redazione del progetto della Società delle nazioni sta per presentare le sue conclusioni ai capi di governo . In base alla seconda , un ' altra commissione interalleata si sarebbe pronunziata in favore del metodo britannico , a preferenza dei metodi francese e americano , di calcolo e ripartizione delle indennità dovute dal nemico . D ' altra parte si sente dire che comincerebbe a porsi allo studio il problema della ripartizione delle spese di guerra fra tutte le nazioni alleate ed associate in ragione della capacità rispettiva di sostenere i gravissimi sacrifici economici imposti dalla guerra . Nel frattempo la commissione francese del bilancio si trova dinanzi un problema quasi insolubile : provvedere ad una spesa annua ordinaria di 18 miliardi di franchi invece di 5 antebellici , e trovare 50 miliardi di proventi straordinari con cui pagare l ' indennità agli smobilitati ( 6 miliardi ) , ritirare le monete tedesche ed i buoni di cassa municipali nelle provincie invase e nell ' Alsazia - Lorena ( 4 miliardi ) e indennizzare coloro che soffersero danni di guerra ( da 30 a 40 miliardi ) . In Italia la commissione del bilancio non si è ancora posto un consimile problema , probabilmente perché il cessato ministro del tesoro ha preferito nella sua ultima esposizione finanziaria limitarsi a cifre del passato , astenendosi da una compiuta , chiara e persuasiva disamina dell ' avvenire , ed il nuovo non ha ancora avuto modo di presentare alla camera questo necessario calcolo preventivo che sarebbe salutarissimo in tanto disfrenarsi di richieste solo in parte giustificate e solo in parte provenienti da coloro che realmente soffersero in causa della guerra . Quando il conto verrà , non sarà per l ' Italia meno preoccupante che per la Francia . Mentre così i problemi finanziari battono alle porte , i capi dei governi sembrano disinteressarsene , facendoli discutere da commissioni secondarie o abbandonandoli addirittura , come quello della ripartizione delle spese belliche tra gli alleati , nel limbo delle questioni interessanti , le quali potranno essere messe avanti quando i « maggiori » problemi , quelli territoriali , saranno stati risoluti . Essi non hanno torto se per problemi territoriali si intendono quelli dei confini della Francia e dell ' Italia . L ' Alsazia - Lorena e l ' Italia irredenta hanno per noi un così grande valore politico e sentimentale che li possiamo , li dobbiamo considerare incommensurabili con qualsiasi altro valore , pure rilevantissimo . Stanno quei valori nazionali troppo in alto , perché qualsiasi interesse possa da lungi esservi paragonato . Ma vi sono altri valori , altri problemi i quali pure sono oggetto di attento esame da parte dei capi di governo , che occupano anzi il loro tempo e le loro cure in maniera assorbente , eppure potrebbero , anzi dovrebbero essere trattati congiuntamente al problema preminente e preliminare dell ' equa ripartizione delle spese tra gli alleati : vogliamo accennare allo schema della Società delle nazioni ed alla sorte delle colonie e dei territori appartenenti all ' antico impero turco . Noi non vogliamo negare l ' importanza somma né dell ' uno né dell ' altro problema . Ma diciamo che solo una mentalità antiquata , strettamente politica , può far consistere il successo , la vittoria soltanto nella soluzione più o meno favorevole di problemi coloniali extraeuropei ; solo una concezione diplomatica da santa alleanza può far consistere la Società delle nazioni in un progetto più o meno elegante di consigli , conferenze , corti arbitrali e simili congegni . Purtroppo la mentalità degli uomini politici è in generale conformata in maniera da vedere solo l ' aspetto formale o esteriore dei problemi . Nelle colonie vedono un territorio da sottoporre alla bandiera nazionale ; nel progetto di Società delle nazioni un formulario per risolvere grandi litigi , ma sempre litigi , come li concepisce un giurista o un politico parlamentare . In realtà si tratta di ben altro . Per le colonie e per i territori dell ' impero turco sembra prevalere l ' idea di Wilson che il governo delle colonie è una missione , un dovere verso le popolazioni incapaci a reggersi da se medesime ; un dovere della cui esecuzione fa d ' uopo rendere conto , che può richiedere , in molti casi , notevoli sacrifici . Ora chi non vede che una missione cosiffatta non può essere assunta da stati finanziariamente esausti , incapaci di adempiere innanzi tutto alla missione interna di elevare i propri nazionali a una più alta meta materiale e morale ? Come può un popolo dissanguato e povero assumersi l ' ufficio di cavaliere dell ' umanità nei paesi non ancora partecipanti alla civiltà moderna ? Se questa verità essenziale fosse fatta presente dai nostri capi di governo a Wilson , questi non potrebbe chiudere gli occhi dinanzi ad essa . Non potrebbe dire : « Assumetevi l ' onere di governare l ' Asia minore , la Siria , grandi zone dell ' Africa , obbligandovi a non imporre tributi a vostro favore , a mantenere il regime della porta aperta , mentre gli Stati uniti che della guerra pochissimo sentirono l ' onere finanziario , verranno coi loro commerci a godere i frutti della vostra opera di pionieri della civiltà » . Noi siamo persuasi che Wilson non farebbe questo discorso ; anzi farebbe quello contrario . Ma occorre che la questione dell ' equa partecipazione di tutti alle spese della guerra sia posta dai capi di governo nostri . Occorre che essi si spoglino della mentalità politica prettamente territoriale e formale , e guardino alla sostanza delle cose : essere la politica coloniale , così altamente concepita , una missione , la quale non si può adempiere senza mezzi adeguati . Così per la Società delle nazioni . Non trattasi di istituire conferenze , consigli e corti di arbitrato . Quello che si deve costruire è un governo : il governo degli interessi essenziali dell ' umanità . Gli stati sovrani si devono spogliare di una parte della loro sovranità ; riconoscere che vi sono rapporti interstatali , soprannazionali , umani , che non possono essere regolati dai singoli stati e neppure da conferenze occasionali di ambasciatori e di ministri degli esteri con compromessi variabili e caduchi . Devono essere regolati da un governo unitario , che inizialmente proceda forse per tentativi e timidamente , ma sia destinato nel suo campo proprio e senza invadere la sovranità delle singole nazioni ad acquistare sempre maggior forza ed efficacia . Ora quale compito immediato più alto , più cementante potrebbe essere affidato al nuovo ente soprannazionale , di quello di liquidare il peso dei debiti di guerra che furono appunto incontrati per rendere possibile la sua creazione , per garantire l ' umanità contro lo spirito di dominazione e di sopraffazione ? Nessuno stato , nessun ente pubblico e perciò nessuna Società delle nazioni può ritenersi vitale se non sorge con mezzi finanziari adeguati a raggiungere i suoi fini ; e qual fine più urgente di quello di pagare le spese che furono sostenute per mettere il nuovo ente alla luce , di rinsaldare l ' armonia fra gli stati associati , la quale sarebbe irrimediabilmente guasta se gli uni uscissero dall ' impresa comune persuasi di essersi impoveriti , mentre gli altri serbavano intatta o crescevano la loro gagliardia economica ? Cieco chi non vede che la nuova umanità non può fondarsi se non sul granitico fondamento della giustizia ; cieco ancor più chi chiude gli occhi alla verità fondandosi solo sulla speranza degli indennizzi che i nemici dovranno pagare . Le indennità verranno in un volgere più o meno lungo di anni , in misura più o meno ampia , se e quando le nazioni sconfitte riusciranno a riorganizzarsi e a produrre ricchezze . Ma il problema delle spese di guerra è un problema immediato che batte alle porte , che non tollera indugi ; che deve essere discusso tra noi associati nell ' impresa comune , astrazione fatta dai rimborsi futuri che potranno da parte nemica essere ottenuti a pro della cassa comune . È un problema di giustizia che deve essere posto preliminarmente alla discussione dei piani di ricostruzione mondiale , destinati altrimenti alla più sconfortante caducità .
Dodecafonici a Venezia ( Montale Eugenio , 1960 )
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Venezia , 19 settembre - Sabato ci siamo trasferiti alla Fenice , felicemente riaperta , ma a quanto pare per quella sola serata , e abbiamo ascoltato musiche dodecafoniche , alcune nuove per l ' Italia , e una addirittura « novità assoluta » . Interpreti del programma l ' orchestra e il coro di Radio Colonia - un insieme eccellente - sotto la direzione di Bruno Maderna , il più accreditato specialista italiano di questo genere di musica . Si è cominciato con la Settima sinfonia di Karl Amadeus Hartmann , compositore di Monaco , oggi cinquantacinquenne , un lavoro che esprime la predilezione dell ' autore per la polifonia e le forme concertanti ; ma che non si alza mai dal grigiore del più convenzionale , anche se moderno , accademismo . Lo stesso può dirsi per l ' Aulodia per oboe e orchestra di Wolfgang Fortner , fastidioso elaborato di un tema di tre note rovesciate , retrogradate e invertite in modo da raggiungere il fatidico numero di dodici note . Sostituiva l ' aulos greco l ' oboe del poderoso solista Lothar Faber , acclamatissimo . Novità assoluta erano i Dialoghi per violoncello e orchestra di Luigi Dallapiccola , ultimo lavoro del maestro . Il maggior pregio di questi Dialoghi sta nell ' aver tolto allo strumento solista ogni possibilità di abbandonarsi a quel virtuosismo individuale che oggi rende poco sopportabili le composizioni del genere . Qui il solista parla senza esibirsi in una personale oratoria ; e non importa poi se parli con quei suoni afoni e smozzicati ( quando non siano duramente strappati ) che i nuovi asceti musicali prediligono . Il pubblico ha ascoltato con simpatia i diciotto minuti di musica dei Dialoghi e il maestro Dallapiccola è apparso due volte al proscenio ; anche alle precedenti composizioni dell ' Hartmann e del Fortner non erano mancati applausi , seppure poco convinti . Nuovo per l ' Italia , ma già apprezzato altrove , era il Canto sospeso per soprano , contralto , tenore , coro misto e orchestra di Luigi Nono , che si è servito di alcuni brani delle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea , pubblicate da Einaudi . Il motivo psicologico fondamentale della vasta composizione , divisa in nove parti , non differisce da quello , espresso più sobriamente , del Diario polacco dello stesso Nono , ascoltato al festival dello scorso anno . Più che di polifonia o di contrappunto sembra che si debba parlare di aggregati di masse o strutture sonore , che delimitano larghe zone di angoscioso silenzio . Aggregati , s ' intende , nei quali i singoli strumenti sono impiegati ai limiti estremi delle loro possibilità di estensione e di timbro . Siamo portati , per quanto riguarda gli effetti timbrici , quasi ai confini della musica elettronica . Le parole non s ' intendono neppure nei brani affidati ai solisti , costretti ai consueti , difficili intervalli . La maggiore efficacia è quindi data dalla parte orchestrale e da quella corale ( questa , « a cappella » nel primo coro , più libera nel finale , con largo intervento di ottoni ) . Avremo occasione di riascoltare questo Canto sospeso , il quale ha ottenuto l ' effetto di suggestione al quale mirava , strappando calorose acclamazioni all ' autore e agli interpreti . Ha diretto il magnifico coro Bernhard Zimmerman ; solisti il soprano Hollweg , il contralto Bornemann , il tenore Lenz . Per concludere : la musica di estrema avanguardia può ottenere oggi i più trionfali successi da parte del pubblico borghese ; il che non poteva essere nelle sue profonde aspirazioni . C ' è qui , evidentemente , una contraddizione che stride .