StampaQuotidiana ,
Il
ministro
Crespi
è
stato
nominato
membro
del
Consiglio
supremo
degli
approvvigionamenti
che
risiede
a
Parigi
per
regolare
la
distribuzione
delle
derrate
alimentari
e
delle
materie
prime
tra
le
nazioni
alleate
,
neutre
e
nemiche
.
A
lui
è
stato
affidato
pure
il
compito
di
dirigere
la
preparazione
e
il
coordinamento
degli
studi
e
degli
interessi
d
'
ordine
economico
per
la
conferenza
della
pace
.
Accanto
ai
delegati
politici
era
necessario
ci
fosse
il
delegato
economico
,
essendo
necessario
che
l
'
opinione
pubblica
cominci
ad
interessarsi
seriamente
alla
discussione
dei
problemi
economici
,
i
quali
dovranno
esser
risoluti
alla
conferenza
di
Parigi
.
Molto
si
scrive
e
più
si
discorre
delle
rivendicazioni
politiche
che
l
'
Italia
dovrà
far
sue
attorno
al
tavolo
della
conferenza
;
e
si
è
in
ansia
sul
meno
e
sul
più
che
l
'
on
.
Sonnino
ed
i
suoi
colleghi
chiederanno
ed
insisteranno
per
ottenere
.
Ma
chi
parla
delle
rivendicazioni
economiche
o
finanziarie
che
l
'
Italia
dovrà
presentare
a
Parigi
?
Chi
si
interessa
di
sapere
in
qual
senso
e
in
qual
misura
i
destini
materiali
del
nostro
paese
saranno
determinati
dalle
decisioni
parigine
?
Eppure
di
sei
punti
,
che
sui
quattordici
del
celebre
discorso
di
Wilson
dell'8
gennaio
1918
avevano
carattere
generale
diplomazia
pubblica
,
libertà
dei
mari
,
uguaglianza
di
trattamento
nelle
convenzioni
commerciali
,
riduzione
degli
armamenti
,
governo
e
ripartizione
delle
colonie
,
società
delle
nazioni
parecchi
hanno
un
carattere
nettamente
economico
;
il
che
fa
vedere
il
gran
peso
che
alla
soluzione
di
questi
problemi
dà
il
presidente
degli
Stati
uniti
.
I
nostri
uomini
di
governo
dànno
ad
essi
un
ugual
peso
?
Quale
è
la
preparazione
di
studi
,
di
dati
,
di
documenti
probanti
e
seri
con
cui
i
delegati
italiani
si
sono
avviati
alla
conferenza
,
sì
da
affidare
il
paese
che
le
sue
ragioni
saranno
efficacemente
sostenute
?
Confidiamo
che
quegli
studi
siano
stati
intrapresi
e
condotti
a
termine
per
tempo
.
Il
ministro
Stringher
,
che
è
stato
fino
a
ieri
a
capo
del
maggior
osservatorio
economico
esistente
nel
nostro
paese
,
la
Banca
d
'
Italia
,
che
ha
scritto
relazioni
,
le
quali
sono
fra
le
cose
più
informative
che
si
abbiano
sull
'
economia
di
guerra
in
Italia
,
ed
è
studioso
serio
,
osservatore
sagace
,
non
facile
a
lasciarsi
trascinare
,
e
cauto
nell
'
assumere
impegni
od
avanzare
pretese
,
ha
le
qualità
e
i
mezzi
necessari
per
sostenere
le
ragioni
dell
'
Italia
in
merito
alla
pace
economica
,
con
competenza
,
moderazione
e
fermezza
.
Sono
le
qualità
,
le
quali
giovano
maggiormente
quando
si
ha
da
fare
con
uomini
,
che
non
si
lasciano
fuorviare
dalle
esagerazioni
,
ma
hanno
il
dovere
di
consentire
alle
richieste
seriamente
documentate
e
fermamente
sostenute
.
L
'
Italia
ha
parecchie
richieste
da
presentare
,
serie
,
anzi
di
una
grande
gravità
e
urgenza
per
il
nostro
assestamento
economico
e
finanziario
.
Dal
loro
esito
dipendono
in
gran
parte
la
ripresa
economica
del
paese
,
la
sua
pace
sociale
,
la
sua
capacità
a
partecipare
con
frutto
alla
risorta
vita
internazionale
.
L
'
Italia
ha
diritto
di
partecipare
agl
'
indennizzi
che
dovranno
esser
pagati
dagli
imperi
centrali
.
Anche
se
calcolati
entro
i
limiti
della
risposta
dell
'
intesa
al
presidente
Wilson
,
la
quale
servì
di
base
all
'
armistizio
con
la
Germania
,
si
tratterà
pur
sempre
di
decine
di
miliardi
d
'
indennizzo
per
danni
arrecati
dal
nemico
alle
cose
e
alle
persone
.
L
'
Italia
,
che
ebbe
alcune
sue
belle
provincie
soggette
ai
danni
dell
'
invasione
e
molti
danni
subì
a
causa
delle
operazioni
di
guerra
,
ha
diritto
di
partecipare
a
questi
indennizzi
.
Ma
chi
ce
li
pagherà
?
I
nuovi
stati
che
hanno
preso
la
successione
dell
'
Impero
austro
-
ungarico
,
di
cui
alcuni
sono
divenuti
nostri
amici
ed
altri
saranno
probabilmente
insolventi
?
La
guerra
fu
condotta
per
causa
comune
.
Unico
fu
lo
sforzo
,
e
unica
deve
essere
la
responsabilità
dei
nemici
verso
di
noi
.
Ecco
un
gravissimo
problema
che
importa
sia
bene
impostato
e
la
cui
soluzione
più
giusta
,
che
è
anche
quella
più
favorevole
a
noi
,
deve
essere
vigorosamente
sostenuta
dal
nostro
delegato
economico
.
Le
spese
di
guerra
non
sono
giunte
alle
cifre
fantastiche
,
superiori
all
'
ammontare
della
ricchezza
nazionale
,
che
alcuni
farneticano
;
ma
è
pur
certo
che
i
debiti
da
cui
l
'
Italia
è
gravata
in
conseguenza
della
guerra
,
giungono
ad
altezze
quali
proporzionalmente
non
si
hanno
in
nessun
altro
dei
grandi
paesi
belligeranti
dell
'
intesa
.
Se
altri
trova
duro
di
dover
sottostare
a
debiti
bellici
uguali
al
quinto
o
al
quarto
o
al
terzo
della
ricchezza
privata
dell
'
anteguerra
,
che
dire
di
noi
che
,
senza
contare
i
vecchi
debiti
,
già
ora
dobbiamo
guardare
ad
un
debito
nuovo
indubbiamente
molto
alto
in
confronto
alla
ricchezza
nostra
,
quale
poteva
essere
con
larghezza
calcolata
nel
1914
?
Non
si
impone
una
perequazione
?
La
fronte
unica
finanziaria
,
rimarrà
una
frase
priva
di
contenuto
?
La
proposta
del
deputato
francese
Stern
,
od
altra
simile
,
di
creazione
di
un
debito
internazionale
il
cui
servizio
sia
poi
ripartito
in
ragione
della
ricchezza
dei
vari
stati
alleati
e
associati
,
entrerà
nella
realtà
?
Cadranno
nel
vuoto
le
proposte
di
passar
la
spugna
sui
prestiti
di
guerra
fatti
agli
alleati
,
che
ci
vengono
da
autorevoli
voci
inglesi
e
nordamericane
?
Tutto
dipende
dalla
vigoria
con
cui
se
ne
faranno
propugnatori
i
delegati
italiani
e
francesi
.
Né
gli
italiani
debbono
farsi
trascinare
a
rimorchio
dai
francesi
;
ma
porre
essi
il
problema
,
come
ce
ne
dà
diritto
la
grandezza
dei
sacrifici
finanziari
sostenuti
.
Per
la
ripresa
economica
l
'
Italia
ha
bisogno
urgente
di
approvvigionamenti
cospicui
,
ed
occorre
che
i
privati
possano
comperare
largamente
,
senza
le
pastoie
dei
vincoli
governativi
;
ma
occorre
altresì
che
il
governo
s
'
intenda
con
gli
Stati
uniti
e
con
l
'
Inghilterra
affinché
gli
acquisti
,
che
debbono
essere
copiosi
e
rapidi
,
non
disorganizzino
i
cambi
,
perturbando
per
un
altro
verso
la
vita
del
paese
.
Non
si
dice
che
l
'
acquisto
venga
fatto
dai
privati
e
il
pagamento
dallo
stato
;
ma
che
i
delegati
italiani
sappiano
ottenere
facilitazioni
per
i
pagamenti
,
sicché
il
livello
attuale
dei
cambi
,
mantenuto
artificiosamente
basso
dalla
politica
suicida
di
non
lasciar
comprar
nulla
,
non
sia
mutato
in
peggio
.
Tutti
gli
stati
avranno
il
proprio
fardello
di
imposte
da
sopportare
.
Anche
noi
.
E
siamo
disposti
a
pagare
.
Ma
si
è
a
sufficienza
ponderato
il
problema
di
coloro
che
non
vorranno
pagare
e
andranno
alla
ricerca
dei
paesi
a
tassazione
minima
?
Non
urge
che
i
nostri
delegati
pongano
le
fondamenta
di
accordi
internazionali
per
l
'
accertamento
dei
redditi
,
per
le
denuncie
in
caso
di
successione
,
per
i
titoli
al
portatore
,
i
quali
giovino
a
diminuire
i
pericoli
di
evasione
?
Su
nessuno
di
questi
punti
noi
incontreremo
ostacoli
insormontabili
;
bene
spesso
avremo
il
consenso
di
altri
stati
che
hanno
i
medesimi
nostri
interessi
,
e
sempre
la
benevolenza
di
quelli
che
debbono
riconoscere
il
nostro
diritto
ad
un
aiuto
.
Ma
nulla
si
fa
senza
sforzo
,
senza
interessamento
vivo
,
senza
solerte
preparazione
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
13
settembre
-
La
più
attesa
delle
«
novità
assolute
»
eseguite
iersera
nella
sala
dello
Scrutinio
di
Palazzo
Ducale
era
di
Gian
Francesco
Malipiero
:
un
concerto
di
concerti
,
ovvero
L
'
uomo
malcontento
per
violino
concertante
e
orchestra
,
solisti
Scipio
Colombo
,
baritono
,
e
Franco
Gulli
,
violino
.
Si
tratta
di
una
di
quelle
«
rappresentazioni
da
concerto
»
di
cui
l
'
illustre
maestro
ci
ha
dato
già
prove
.
Stavolta
egli
ha
scelto
tre
ottave
del
Poliziano
,
alcuni
versi
dal
Transito
e
Testamento
di
Carnovale
di
un
ignoto
del
secolo
XVI
e
un
brano
dell
'
Ipocrito
di
Pietro
Aretino
.
Il
filo
che
unisce
questi
brani
è
il
sentimento
di
amara
scontentezza
che
investe
la
condizione
umana
quand
'
essa
giunge
al
tramonto
.
Malipiero
vi
ha
profuso
ancora
una
volta
le
qualità
che
fanno
di
lui
un
modello
di
coerenza
e
di
deliberata
inattualità
.
Sfrondata
dalla
parte
solistica
del
violino
,
soporifera
,
c
da
quella
vocale
,
di
una
scrittura
impossibile
,
resta
abbastanza
viva
la
cornice
sonora
,
arcaizzante
,
come
al
solito
,
ma
non
priva
di
ingegnosi
episodi
.
Assisteva
l
'
autore
,
festeggiato
.
All
'
inizio
del
programma
una
Piccola
musica
di
Natale
per
piccola
orchestra
e
pianoforte
,
di
Niccolò
Castiglioni
,
pianista
lo
stesso
autore
(
il
titolo
,
per
semplificare
le
cose
,
è
in
tedesco
)
.
Castiglioni
intende
,
e
lo
dice
nel
programma
,
eliminare
dal
suono
ogni
piacere
sensoriale
:
il
suo
«
è
un
bisogno
di
tutelare
l
'
aristocrazia
del
pudore
dal
grossolano
ricatto
di
una
pseudo
-
civiltà
mercantile
»
(
la
sola
,
aggiungiamo
noi
,
che
paga
e
rende
possibili
i
festival
musicali
)
.
Nella
breve
composizione
(
undici
minuti
)
rari
suoni
vetrini
,
felpati
o
frullati
hanno
la
funzione
di
un
filo
spinato
che
delimiti
larghe
zone
di
silenzio
.
L
'
aristocrazia
del
pudore
risulta
effettivamente
tutelata
dal
giovane
e
sensibile
autore
.
Cesare
Brero
ha
invece
musicato
Er
testamento
de
Meo
del
Cacchio
di
Trilussa
:
voce
di
baritono
e
quattordici
istrumenti
,
più
la
percussione
.
L
'
accorato
e
fine
strumentale
ci
ha
fatto
dimenticare
la
parte
vocale
,
arida
,
difficile
e
di
scarso
interesse
.
Chiudeva
la
serata
la
Sinfonia
op.
35
di
Luigi
Cortese
,
composizione
in
tre
tempi
che
intende
essere
«
una
dichiarazione
di
fiducia
nella
vitalità
della
forma
tonata
»
.
Tutto
ciò
servirebbe
a
poco
se
in
realtà
il
Cortese
non
avesse
scritto
,
come
ha
scritto
,
una
musica
vigorosa
e
tematicamente
chiara
,
che
si
segue
con
attenzione
e
dimostra
una
maestria
non
soltanto
tecnica
.
Queste
«
novità
assolute
»
,
egregiamente
eseguite
dall
'
orchestra
della
Fenice
,
diretta
da
Nino
Sanzogno
,
sono
state
ascoltate
da
un
pubblico
non
molto
folto
ma
rassegnato
e
plaudente
.
Tutti
gli
autori
sono
apparsi
più
volte
alla
ribalta
.
Si
sono
fatti
onore
il
violinista
Gulli
e
il
baritono
Colombo
,
quest
'
ultimo
un
vero
martire
.
StampaQuotidiana ,
Le
sedute
del
congresso
di
Parigi
presentano
ai
nostri
occhi
uno
spettacolo
non
si
sa
se
più
appassionante
o
più
grandioso
.
Ardui
problemi
coloniali
e
territoriali
,
questioni
di
confini
,
creazioni
di
repubbliche
e
di
regni
nuovi
vengono
dibattuti
dinanzi
ad
un
areopago
mondiale
,
in
cui
seggono
,
arbitre
definitive
,
due
potenze
delle
quali
una
non
è
affatto
interessata
nella
ripartizione
delle
spoglie
della
guerra
;
e
l
'
altra
lo
è
mediocremente
.
Non
vi
sono
interessati
gli
Stati
uniti
,
i
quali
nulla
chieggono
per
sé
e
vogliono
giustizia
per
tutti
;
ed
i
fatti
provano
come
sia
giunto
oramai
al
culmine
quel
movimento
di
idee
,
il
quale
iniziatosi
col
celebre
rapporto
indirizzato
il
31
gennaio
1839
da
Lord
Durham
alla
giovinetta
regina
Vittoria
sugli
affari
del
Canada
,
ha
condotto
alla
indipendenza
praticamente
assoluta
delle
grandi
colonie
inglesi
dalla
madrepatria
.
Talché
si
può
contemplare
senza
meraviglia
,
perché
logica
conseguenza
di
uno
sviluppo
storico
unico
forse
al
mondo
,
ma
effettivo
e
stupendo
,
il
fatto
di
stati
facenti
parte
della
costellazione
delle
comunità
anglo
-
sassoni
,
i
quali
vorrebbero
annettersi
colonie
tedesche
,
ma
ne
sono
impediti
dalla
madrepatria
,
associata
agli
Stati
uniti
nel
proclamare
invece
spassionatamente
l
'
appartenenza
alla
Società
delle
nazioni
.
Un
nuovo
mondo
si
crea
,
un
nuovo
ordine
di
cose
nasce
.
Per
iniziativa
dei
popoli
anglo
-
sassoni
,
nei
cui
domini
si
sono
compiute
esperienze
fecondissime
di
creazione
di
stati
nuovi
,
di
trasformazione
di
territori
abitati
da
barbari
e
da
sparsi
coloni
in
stati
sovrani
,
si
tenta
la
estensione
a
tutto
il
globo
del
medesimo
principio
,
il
quale
informa
di
sé
la
confederazione
americana
e
la
comunità
britannica
delle
nazioni
.
Noi
siamo
pronti
ad
accogliere
con
fede
,
con
speranza
viva
il
nuovo
ordine
di
cose
.
Anche
quando
esso
,
instaurandosi
,
necessariamente
viene
a
toccare
interessi
nostri
gelosissimi
;
anche
quando
fa
d
'
uopo
rassegnarci
a
lasciar
discutere
dei
confini
nostri
,
dei
nostri
monti
,
dei
nostri
fiumi
,
del
sangue
nostro
da
potenze
marittime
ed
extraeuropee
,
la
cui
politica
tradizionale
è
stata
ed
è
ancora
quella
delle
mani
nette
da
ogni
impegno
nel
torbido
groviglio
delle
lotte
nazionali
della
martoriata
Europa
continentale
.
Si
sono
,
alfine
,
questi
isolani
e
questi
trasmarini
decisi
ad
intervenire
nelle
nostre
contese
,
a
segnare
il
confine
giusto
tra
romeni
e
serbi
,
tra
polacchi
e
czecoslovacchi
;
partecipano
alle
commissioni
d
'
inchiesta
sulle
faccende
più
gelose
dei
vecchi
e
nuovi
stati
;
si
apparecchiano
forse
a
dire
una
parola
decisiva
sulle
aspirazioni
della
Francia
sul
Reno
,
sulle
rivendicazioni
sacrosante
dell
'
Italia
a
riunire
in
un
corpo
solo
le
sparse
membra
della
sua
famiglia
?
Noi
siamo
pronti
a
riconoscere
che
il
loro
intervento
è
promettitore
d
'
un
più
felice
avvenire
all
'
umanità
.
Non
solo
è
giusto
perché
la
flotta
inglese
serbò
intatto
,
durante
la
guerra
,
il
dominio
dei
mari
come
ai
tempi
di
Nelson
,
costringendo
le
navi
corsare
nemiche
a
rintanarsi
nei
loro
porti
,
combattendo
pertinacemente
la
minaccia
sottomarina
,
consentendo
il
vettovagliamento
degli
eserciti
e
delle
popolazioni
;
perché
l
'
esercito
inglese
,
trasformato
da
«
piccolo
spregevole
»
manipolo
in
un
colossale
organismo
modernissimo
,
sostenne
la
sua
parte
tremenda
dell
'
urto
germanico
;
perché
gli
Stati
uniti
ci
fornirono
armi
,
munizioni
,
ferro
,
carbone
,
viveri
e
mandarono
in
Europa
quegli
ultimi
milioni
di
uomini
,
la
cui
presenza
ed
il
cui
timore
crescente
diede
il
tracollo
alle
ultime
speranze
del
nemico
.
È
necessario
,
come
auspicio
e
come
garanzia
.
È
giusto
,
è
necessario
,
perché
solo
la
contemplazione
di
un
vecchio
stato
come
quello
britannico
,
retto
un
tempo
a
forma
di
governo
centrale
dominatore
su
popoli
soggetti
,
il
quale
,
persuaso
del
pericolo
mortale
delle
vecchie
forme
politiche
,
ne
fa
gitto
e
da
ottant
'
anni
in
qua
ogni
giorno
meglio
scopre
ed
attua
nuove
forme
di
governo
ed
ha
già
saputo
far
sorgere
,
attorno
alla
madrepatria
,
tre
grandi
federazioni
e
due
stati
indipendenti
,
liberi
da
ogni
vincolo
di
tributo
o
di
servizio
personale
,
eppure
accorrenti
volonterosamente
alla
difesa
della
causa
comune
nell
'
ora
del
pericolo
;
perché
solo
la
visione
meravigliosa
delle
tredici
antiche
colonie
nordamericane
,
le
quali
si
estendono
,
per
filiazione
,
su
un
intiero
continente
e
dal
deserto
fanno
sorgere
46
stati
sovrani
e
4
territori
,
autonomi
eppure
uniti
,
in
cui
vivono
concordi
bianchi
e
negri
,
discendenti
dei
primi
coloni
olandesi
e
successivi
immigranti
anglo
-
sassoni
,
da
cui
vennero
in
Europa
per
combattere
soldati
italiani
e
slavi
,
tedeschi
e
russi
,
inspirati
tutti
dall
'
uguale
desiderio
di
lotta
contro
il
male
e
la
prepotenza
ci
possono
far
sperare
che
un
uguale
ordine
di
cose
politiche
possa
instaurarsi
in
Europa
.
Perciò
noi
accettiamo
che
gli
anglo
-
sassoni
delle
due
famiglie
britannica
e
nordamericana
intervengano
nelle
cose
nostre
.
Ne
ascolteremo
con
riconoscenza
i
consigli
,
ben
sapendo
che
saranno
consigli
di
bene
.
Non
dimentichino
però
essi
che
il
loro
intervento
fu
anche
determinato
dall
'
interesse
proprio
e
mira
a
fini
comuni
.
L
'
Inghilterra
,
accorrendo
in
difesa
del
Belgio
e
della
Francia
,
difese
le
coste
della
Manica
,
salvò
la
propria
esistenza
come
nazione
libera
,
tutelò
le
sue
venture
generazioni
dal
tremare
sotto
i
colpi
del
cannone
tedesco
.
Gli
Stati
uniti
videro
che
se
non
schiacciavano
sin
dall
'
inizio
il
sorgente
impero
militare
medio
-
europeo
,
questo
avrebbe
in
un
momento
successivo
preteso
al
dominio
universale
.
Oggi
essi
mirano
a
costruire
la
nuova
città
.
Se
si
arrogano
il
diritto
di
decidere
dell
'
assegnazione
di
colonie
e
di
territori
poco
inciviliti
,
se
dànno
opera
a
sbrogliare
la
matassa
dell
'
Europa
media
e
dei
Balcani
,
se
subordinano
al
proprio
consenso
la
determinazione
dei
confini
francesi
ed
italiani
,
tutto
ciò
fanno
perché
è
nell
'
interesse
loro
che
si
formi
un
'
Europa
pacificata
,
in
cui
le
nazioni
tutte
libere
ed
indipendenti
,
quanto
più
è
praticamente
possibile
nei
loro
chiusi
territori
,
possano
,
senza
ricordi
di
odio
ed
aspirazioni
di
rivincita
,
collaborare
all
'
opera
comune
della
civiltà
.
Vogliono
i
due
rami
della
famiglia
anglo
-
sassone
assicurarsi
contro
il
rischio
ricorrente
di
un
impero
militare
,
il
quale
minacci
la
loro
esistenza
e
li
distolga
dalle
opere
di
pace
.
Ed
han
ragione
;
e
nessuno
più
degli
italiani
,
soggetti
al
medesimo
rischio
mortale
,
ha
interesse
di
plaudire
all
'
opera
sapiente
e
provvida
.
Ma
nessun
edificio
sorge
saldo
,
il
quale
non
sia
costruito
sul
granitico
fondamento
della
giustizia
distributiva
.
Contro
ai
vantaggi
incommensurabili
della
distruzione
dell
'
impero
militare
tedesco
e
della
costruzione
della
Società
delle
nazioni
libere
ed
uguali
,
stanno
costi
terribili
,
in
uomini
e
in
denaro
.
Comune
è
l
'
onore
ed
il
vantaggio
.
Si
è
pensato
abbastanza
che
comuni
debbono
essere
i
costi
?
Purtroppo
Francia
ed
Italia
non
potranno
mai
ricevere
un
compenso
per
i
milioni
di
uomini
giovani
e
fiorenti
che
esse
hanno
offerto
in
olocausto
alla
causa
comune
.
Esse
si
sono
dissanguate
a
dismisura
più
degli
altri
grandi
stati
che
ora
dirigono
l
'
areopago
delle
nazioni
.
Di
ciò
Francia
ed
Italia
non
si
lagnano
.
Era
la
loro
sorte
fatale
di
sentinelle
avanzate
della
volontà
di
vivere
o
morir
liberi
contro
chi
pretendeva
al
dominio
universale
.
Vi
sono
però
i
costi
valutabili
in
denaro
,
di
ricchezze
sperdute
,
di
terre
e
case
distrutte
,
di
sacrifici
eroicamente
sopportati
,
di
centinaia
di
miliardi
di
debito
incontrato
per
la
causa
comune
.
La
perequazione
,
il
conguaglio
dei
costi
si
impongono
come
un
preliminare
necessario
innanzi
di
raccogliere
i
frutti
che
solo
da
quel
sacrificio
sono
stati
resi
possibili
.
Nelle
sedute
del
congresso
di
Parigi
si
è
parlato
di
molte
cose
;
ma
finora
non
abbiamo
visto
,
con
stupore
grande
,
che
sia
stato
affrontato
il
problema
della
ripartizione
fra
gli
alleati
del
costo
della
guerra
.
Eppure
questo
è
il
punto
preliminare
che
deve
essere
risoluto
.
I
particolari
delle
applicazioni
potranno
essere
rinviati
alle
commissioni
tecniche
,
È
un
particolare
tecnico
anche
la
ripartizione
delle
indennità
da
pagarsi
dal
nemico
.
Un
particolare
incerto
ed
aleatorio
,
su
cui
non
è
possibile
prudentemente
fare
a
fidanza
.
Il
punto
essenziale
è
di
affermare
il
principio
che
,
poiché
comune
è
la
causa
,
poiché
comuni
sono
i
benefici
che
si
ritrarranno
dalla
distruzione
del
sogno
tedesco
di
egemonia
e
dalla
ricostruzione
del
mondo
,
così
comuni
debbono
essere
i
costi
,
le
fort
portant
le
faible
.
Chi
ha
speso
molto
,
ma
,
per
la
sua
ricchezza
,
è
di
gran
lunga
più
capace
di
sopportare
i
pesi
dei
suoi
debiti
;
chi
ha
speso
poco
ed
è
dovizioso
,
come
può
dar
consigli
e
richiedere
rinuncie
a
chi
ha
speso
,
in
proporzione
ai
suoi
mezzi
,
smisuratamente
di
più
?
Il
costo
della
guerra
,
qualunque
siano
le
modalità
tecniche
di
attuazione
,
deve
idealmente
essere
assunto
dalla
Società
delle
nazioni
.
È
l
'
apporto
che
i
vari
paesi
fanno
al
sodalizio
che
li
unisce
;
né
sarebbe
una
società
equa
quella
in
cui
alcuni
soci
potessero
camminare
spediti
e
liberi
,
mentre
gli
altri
dovrebbero
andar
curvi
sotto
il
peso
immane
.
Fermato
il
principio
della
società
dei
costi
,
si
potrà
procedere
innanzi
nella
ripartizione
degli
uffici
a
cui
nella
società
rinnovata
delle
nazioni
ogni
stato
dovrà
provvedere
e
dei
territori
a
cui
dovranno
estendersi
i
suoi
compiti
.
Come
fermare
tal
punto
,
se
gli
stati
contraenti
non
sanno
di
qual
forza
economica
potranno
disporre
,
di
qual
margine
di
bilancio
potranno
avvantaggiarsi
per
la
ricostruzione
delle
terre
invase
o
redente
e
per
la
civilizzazione
dei
territori
coloniali
ricevuti
in
custodia
dall
'
ente
superiore
?
Si
vuole
che
gli
stati
amministrino
le
colonie
nell
'
interesse
dei
popoli
ivi
abitanti
.
Così
deve
essere
.
Non
Wilson
ha
inventato
questo
principio
,
ché
egli
lo
trasse
dallo
spirito
della
rivoluzione
americana
e
dalla
pratica
costante
dell
'
Inghilterra
dopo
il
rapporto
di
Lord
Durham
.
Ma
se
si
vuole
applicare
quel
principio
,
bisogna
essere
preparati
a
sopportare
sacrifici
a
pro
delle
colonie
,
senza
alcun
utile
diretto
compensativo
.
Anche
la
conseguenza
è
logica
ed
è
giusta
.
Ma
come
potrebbero
Francia
ed
Italia
,
sovraccariche
di
debiti
incontrati
per
la
salvezza
propria
ed
altrui
,
sobbarcarsi
ad
un
'
opera
di
civiltà
magnifica
,
l
'
unica
possibile
e
veramente
a
lungo
andare
remuneratrice
,
ma
negli
inizi
costosissima
?
Moralmente
,
politicamente
ed
economicamente
è
dovere
degli
uomini
i
quali
dirigono
i
lavori
della
conferenza
di
Parigi
di
affrontare
subito
il
problema
preliminare
della
ripartizione
solidaria
dei
costi
della
guerra
.
Occorre
una
pronta
affermazione
di
principio
.
Fatta
questa
,
la
conferenza
potrà
procedere
senza
che
dubbi
angoscianti
turbino
la
mente
di
alcuno
degli
statisti
in
essa
convenuti
.
E
potranno
essere
prese
,
intorno
ai
singoli
problemi
della
ricostruzione
,
deliberazioni
più
serene
e
più
umane
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
15
settembre
-
Il
concerto
di
ieri
sera
,
che
si
è
tenuto
come
i
precedenti
nella
sala
dello
Scrutinio
di
Palazzo
Ducale
,
è
l
'
unico
di
questo
festival
che
non
sia
dedicato
esclusivamente
alla
musica
contemporanea
.
Vi
abbiamo
ascoltato
,
infatti
,
una
sinfonia
di
Berlioz
,
Il
corsaro
,
che
risale
al
1845;
la
ben
nota
Sinfonia
n
.
1
in
do
maggiore
di
Bizet
(
1855
)
;
e
una
Suite
provençale
del
Milhaud
,
che
crediamo
non
nuova
per
l
'
Italia
.
Di
nuovo
c
'
era
solo
la
Prima
sinfonia
di
Henri
Dutilleux
,
compositore
abbastanza
giovane
,
già
prix
de
Rome
e
ora
caposervizio
delle
trasmissioni
musicali
alla
radiodiffusione
francese
.
Il
maggiore
elemento
d
'
interesse
era
dato
dal
fatto
che
queste
musiche
erano
eseguite
dall
'
Orchestra
nazionale
della
Radiodiffusione
-
Televisione
francese
,
una
delle
più
perfette
compagini
orchestrali
attualmente
esistenti
,
e
che
il
direttore
era
André
Cluytens
,
già
applaudito
dai
milanesi
come
eccellente
interprete
del
Parsifal
alla
Scala
.
Ancora
una
volta
l
'
illustre
direttore
fiammingo
ha
confermato
le
sue
qualità
di
autentico
dominatore
dell
'
orchestra
,
la
sicurezza
e
la
sobrietà
del
suo
gusto
,
la
capacità
di
far
rivivere
musiche
di
stile
assai
diverso
rispettandone
il
carattere
e
non
sopraffacendole
.
Né
Berlioz
,
né
il
Bizet
della
Sinfonia
in
(
lo
maggiore
e
nemmeno
il
quasi
folcloristico
impressionismo
del
Milhaud
potevano
offrire
serie
difficoltà
a
lui
e
alla
sua
orchestra
.
Forse
più
difficile
la
musica
liberamente
atonale
del
Dutilleux
.
Il
programma
ci
dice
che
essa
dovrebbe
rappresentare
un
sogno
o
un
incubo
sospeso
tra
due
evanescenze
.
Forse
l
'
incubo
fu
dell
'
autore
,
ma
all
'
ascoltazione
questa
musica
disordinata
,
sconquassata
,
inutilmente
fragorosa
non
produce
che
noia
e
fastidio
.
Non
si
comprende
perché
sia
stata
eseguita
al
festival
:
forse
la
posizione
occupata
dal
Dutilleux
alla
Radiodiffusione
francese
spiega
tutto
.
Certo
,
se
si
doveva
scegliere
tra
l
'
Ottocento
e
il
Novecento
di
Francia
,
si
sarebbe
potuto
presentare
un
programma
assai
più
interessante
.
Ciò
sia
detto
senza
negare
il
merito
delle
vigorose
,
popolaresche
gighe
e
trescone
che
formano
il
tessuto
della
Suite
provençale
.
StampaQuotidiana ,
La
piantina
di
Milano
,
spiegata
sulla
parete
della
sede
nazionale
di
Forza
Italia
,
in
Via
dell
'
Umiltà
a
Roma
,
sembra
la
planimetria
di
un
campo
di
battaglia
.
Puntini
,
cerchietti
e
riquadri
di
diverso
colore
,
collegati
tra
loro
da
linee
diagonali
che
si
dipartono
tutte
da
un
unico
centro
:
il
Forum
di
Assago
.
Lì
,
il
prossimo
16
aprile
,
si
aprirà
il
primo
congresso
nazionale
di
Forza
Italia
,
il
movimento
inventato
appena
quattro
anni
fa
da
Silvio
Berlusconi
che
ora
vuol
diventare
,
a
tutti
gli
effetti
,
un
partito
.
Sotto
quella
piantina
,
telefono
appoggiato
in
permanenza
all
'
orecchio
e
tastiera
del
computer
sotto
le
dita
,
lavorano
dalla
mattina
alla
sera
le
ragazze
addette
alla
"
logistica
"
.
Non
è
roba
da
poco
:
a
Milano
convergeranno
,
in
quei
tre
giorni
,
3.079
congressisti
ai
quali
vanno
assicurati
(
e
pagati
)
alloggio
,
pasti
e
spostamenti
,
più
un
numero
imprecisato
di
ospiti
e
di
giornalisti
.
A
complicare
ulteriormente
le
cose
ci
si
è
messa
anche
la
concomitante
Fiera
del
mobile
,
una
delle
grandi
manifestazioni
commerciali
che
intasano
periodicamente
Milano
.
Gli
organizzatori
del
congresso
si
sono
messi
le
mani
nei
capelli
,
quando
se
ne
sono
resi
conto
:
le
assise
non
potevano
certo
essere
spostate
un
'
altra
volta
,
e
poi
la
data
ad
alto
potenziale
simbolico
del
18
aprile
,
cinquantesimo
anniversario
della
vittoria
del
fronte
moderato
di
Alcide
De
Gasperi
sulla
sinistra
frontista
di
Pietro
Nenni
e
Palmiro
Togliatti
,
era
stata
accuratamente
scelta
da
Berlusconi
stesso
per
celebrare
,
con
un
comizio
a
Piazza
Duomo
,
la
chiusura
del
congresso
e
la
nascita
ufficiale
del
partito
.
D
'
altra
parte
,
non
si
poteva
rischiare
di
lasciare
all
'
addiaccio
,
nel
clima
traditore
di
metà
aprile
,
migliaia
di
congressisti
.
Per
fare
fronte
all
'
emergenza
,
i
responsabili
organizzativi
hanno
chiamato
in
soccorso
un
esperto
:
il
generale
(
e
ora
senatore
)
Luigi
Manfredi
,
già
comandante
del
IV
corpo
d
'
armata
degli
Alpini
e
responsabile
della
Protezione
civile
.
Manfredi
è
arrivato
a
via
dell
'
Umiltà
armato
di
mappe
e
cartine
,
ha
messo
su
una
piccola
task
force
di
telefoniste
,
ha
affidato
a
ciascuna
uno
spicchio
di
città
(
i
delegati
che
vengono
dal
nord
verranno
smistati
nel
quadrante
settentrionale
della
città
,
quelli
che
arrivano
da
sud
in
quello
meridionale
e
così
via
)
,
e
ora
il
responsabile
organizzativo
di
FI
,
Claudio
Scajola
,
può
tirare
un
sospiro
di
sollievo
:
"
Grazie
al
generale
,
ce
la
faremo
a
sistemare
tutti
"
.
Il
primo
congresso
di
Forza
Italia
(
quanto
costerà
nessuno
lo
sa
ancora
dire
con
precisione
,
ma
si
parla
di
cifre
da
capogiro
,
tra
gli
8
e
i
10
miliardi
)
si
aprirà
dunque
giovedì
16
aprile
nella
più
solida
enclave
azzurra
dell
'
Italia
ulivista
,
in
una
scenografia
che
è
il
segreto
meglio
conservato
dell
'
operazione
,
perché
Berlusconi
ne
sta
curando
personalmente
l
'
ideazione
.
Se
ne
occupa
durante
i
weekend
ad
Arcore
,
con
il
supporto
di
alcuni
"
creativi
"
di
Mediaset
:
il
suo
obiettivo
,
spiegano
,
è
di
assicurare
una
cornice
"
spettacolare
"
al
debutto
di
quello
che
"
non
è
un
partito
di
plastica
"
,
come
recita
lo
slogan
di
maggior
successo
di
questa
lunga
vigilia
congressuale
.
Lo
ha
coniato
,
ovviamente
,
Berlusconi
,
e
lo
ripetono
a
ogni
piè
sospinto
tutti
gli
esponenti
più
vicini
al
leader
,
dal
suo
portavoce
Paolo
Bonaiuti
a
Giuliano
Urbani
(
cui
è
affidata
gran
parte
dell
'
elaborazione
tematica
congressuale
)
a
Franco
Frattini
.
Lo
ripete
,
con
più
gusto
di
tutti
,
Claudio
Scajola
,
che
del
nuovo
partito
è
lo
strenuo
organizzatore
,
e
che
sciorina
orgogliosamente
i
suoi
dati
:
140.000
iscritti
ad
almeno
100.000
lire
l
'
uno
nei
tre
mesi
della
campagna
1997
(
attraverso
spot
Tv
e
"
telemarketing
"
)
,
che
hanno
fruttato
11
miliardi
di
entrate
;
117
congressi
provinciali
,
celebrati
negli
ultimi
mesi
,
che
hanno
eletto
i
coordinatori
locali
e
i
delegati
alle
assise
nazionali
.
Nel
congresso
,
che
sarà
articolato
in
sei
"
sessioni
tematiche
"
destinate
ad
aggiornare
il
programma
elettorale
del
'94
,
si
voterà
per
il
Presidente
(
Berlusconi
,
naturalmente
)
,
per
sei
membri
dei
18
del
Comitato
di
presidenza
e
cinquanta
del
Consiglio
nazionale
.
Restano
di
nomina
presidenziale
,
invece
,
i
20
coordinatori
regionali
e
sei
membri
del
Comitato
(
i
restanti
sei
sono
di
diritto
)
.
È
stato
nel
'96
,
dopo
la
sconfitta
elettorale
,
che
Berlusconi
ha
deciso
di
dare
a
FI
una
struttura
che
le
garantisse
l
'
insediamento
sul
territorio
,
visto
che
la
cosiddetta
"
par
condicio
"
non
avrebbe
più
consentito
l
'
utilizzo
dei
mezzi
di
comunicazione
per
diffondere
i
messaggi
politici
:
"
La
sinistra
ha
200.000
iscritti
che
si
incaricano
di
fare
la
propaganda
"
,
disse
ai
suoi
collaboratori
.
"
Non
avendo
più
le
Tv
,
anche
noi
dobbiamo
fare
altrettanto
"
.
Fino
a
quel
momento
,
c
'
erano
stati
diversi
tentativi
di
trasformare
il
comitato
elettorale
che
aveva
portato
al
trionfo
del
'94
(
nel
quale
un
ruolo
fondamentale
era
stato
svolto
dagli
uomini
"
dell
'
azienda
"
,
e
di
Publitalia
in
particolare
,
sotto
la
guida
di
Marcello
Dell
'
Utri
)
in
una
struttura
più
radicata
e
permanente
.
Nell
'
impresa
si
sono
cimentati
diversi
dirigenti
,
da
Mario
Valducci
(
oggi
responsabile
Enti
locali
)
a
Cesare
Previti
(
coordinatore
nazionale
tra
il
'94
e
il
'96
)
,
ma
solo
dopo
la
batosta
elettorale
il
disegno
prese
davvero
corpo
.
Ex
sindaco
di
Imperia
,
esponente
della
Dc
(
dove
però
,
tiene
a
precisare
,
"
non
ho
mai
fatto
politica
a
livello
nazionale
"
)
,
Scajola
venne
candidato
alla
Camera
in
quella
tornata
,
risultando
eletto
.
Appena
un
mese
dopo
,
Berlusconi
lo
insediò
a
Via
dell
'
Umiltà
,
da
dove
sono
stati
elaborati
,
in
questi
due
anni
,
lo
statuto
(
approvato
il
18
gennaio
del
'97
,
nel
terzo
anniversario
della
fondazione
di
FI
)
e
l
'
assetto
territoriale
e
centrale
del
partito
.
Perché
proprio
lui
,
l
'
ultimo
arrivato
?
Scajola
non
ha
dubbi
:
"
Perché
Berlusconi
ha
avuto
fiuto
"
,
spiega
.
I
suoi
nemici
(
e
lui
ammette
:
"
So
di
essermene
fatti
tanti
,
da
quando
sono
qui
"
)
lo
accusano
però
di
essersi
dedicato
alla
costruzione
di
un
apparato
di
partito
,
scegliendo
dirigenti
a
lui
legati
e
ricalcando
vecchi
modelli
di
organizzazione
politica
.
Alla
struttura
che
vedeva
come
unità
territoriale
di
FI
il
collegio
uninominale
della
Camera
(
inventata
da
Guido
Possa
,
amico
ed
ex
compagno
di
scuola
di
Berlusconi
,
già
vice
del
coordinatore
Previti
e
oggi
responsabile
delle
rete
ormai
in
disarmo
dei
club
di
Forza
Italia
)
si
è
sostituita
un
'
organizzazione
che
ricalca
l
'
assetto
degli
enti
locali
:
comune
,
provincia
,
regione
.
Ogni
livello
ha
i
suoi
organismi
e
i
suoi
dirigenti
,
a
riproduzione
di
quelli
nazionali
.
"
Una
struttura
inutilmente
burocratica
,
dove
rischiano
di
affermarsi
i
signori
delle
tessere
"
,
accusano
i
critici
,
sostenitori
di
un
partito
"
leggero
"
:
l
'
ala
liberale
di
Antonio
Martino
e
Marco
Taradash
,
il
variegato
gruppo
dei
professori
(
dall
'
insoddisfatto
Giorgio
Rebuffa
a
Lucio
Colletti
,
che
del
congresso
non
vuol
neppure
sentire
parlare
)
,
e
anche
buona
parte
dei
gruppi
parlamentari
,
a
cominciare
dal
presidente
dei
deputati
Giuseppe
Pisanu
.
Ma
Scajola
difende
la
sua
creatura
:
"
Stiamo
facendo
venire
alla
luce
,
dalla
periferia
di
FI
,
una
nuova
classe
dirigente
di
inaspettato
valore
.
Abbiamo
scritto
uno
statuto
estremamente
democratico
,
che
ha
due
fondamentali
obiettivi
:
impedire
la
nascita
di
correnti
e
garantire
l
'
elezione
diretta
dei
dirigenti
"
.
Ai
suoi
detrattori
,
che
gli
rimproverano
di
"
democristianizzare
"
FI
,
Scajola
replica
:
"
La
Dc
ha
avuto
difetti
e
degenerazioni
da
cui
vogliamo
stare
lontani
,
ma
è
anche
durata
50
anni
,
e
io
spero
che
FI
possa
fare
altrettanto
"
.
Critiche
e
gelosie
,
spiega
,
nascono
dal
fatto
che
"
i
gruppi
parlamentari
,
che
erano
l
'
unico
centro
'
direzionalè
del
partito
,
temono
di
perdere
il
loro
peso
"
.
Come
lui
stesso
ammette
,
nei
collegi
,
tra
i
parlamentari
e
i
nuovi
dirigenti
locali
di
partito
,
si
sono
prodotte
numerose
tensioni
,
alcune
delle
quali
sono
sfociate
in
abbandoni
.
Dal
'96
a
oggi
,
sono
quindici
i
parlamentari
che
hanno
abbandonato
i
gruppi
azzurri
.
Certo
è
che
,
per
la
prima
volta
nella
sua
esistenza
,
FI
sta
registrando
le
tipiche
scosse
sismiche
di
ogni
vigilia
congressuale
che
si
rispetti
.
Chi
è
esperto
nella
geografia
interna
del
movimento
individua
principalmente
due
assi
contrapposti
:
quello
dell
'
apparato
centrale
,
guidato
dallo
stesso
Scajola
e
dagli
uomini
più
vicini
(
il
deputato
sardo
Salvatore
Cicu
,
ex
giovane
Dc
e
responsabile
del
settore
adesioni
,
il
consulente
per
il
congresso
Luigi
Baruffi
,
ex
responsabile
organizzativo
della
Dc
,
Mario
Valducci
,
il
tesoriere
Giovanni
Dell
'
Elce
)
e
che
avrebbe
l
'
appoggio
del
capogruppo
al
Senato
Enrico
La
Loggia
,
e
quello
capeggiato
da
Pisanu
e
Frattini
,
forte
di
un
buon
rapporto
con
Gianni
Letta
.
A
quest
'
ultimo
,
che
pure
non
ha
alcun
incarico
formale
,
e
non
è
neppure
iscritto
al
partito
,
tutti
riconoscono
però
un
ruolo
centrale
di
equilibrio
e
mediazione
.
Il
principale
scontro
precongressuale
,
che
verteva
sul
sistema
per
l
'
elezione
dei
membri
del
Comitato
di
presidenza
,
è
stato
risolto
da
Berlusconi
stesso
mercoledì
sera
,
nell
'
assemblea
dei
gruppi
,
a
favore
dell
'
asse
Pisanu
-
Frattini
.
Niente
liste
bloccate
,
come
suggeriva
Scajola
,
si
voterà
a
preferenza
unica
:
"
Non
mi
piacciono
le
cordate
"
,
ha
tagliato
corto
il
leader
.
Il
voto
sarà
a
scrutinio
elettronico
,
come
per
il
Totocalcio
:
un
'
innovazione
tecnologica
che
permetterà
la
massima
rapidità
nelle
operazioni
.
Ai
parlamentari
,
Berlusconi
ha
spiegato
:
"
Il
congresso
non
sarà
una
passerella
:
ci
sarà
un
vero
dibattito
,
nel
quale
tutti
potranno
dire
la
loro
"
.
La
base
della
discussione
sarà
il
programma
"
liberale
e
liberista
"
del
'94
,
che
poi
"
gli
alleati
ci
costrinsero
ad
annacquare
nel
'96
,
facendoci
togliere
capisaldi
della
nostra
proposta
di
governo
,
come
il
buono
scuola
e
sanità
e
la
separazione
delle
carriere
"
.
Ma
al
congresso
di
Milano
si
parlerà
naturalmente
anche
di
strategie
e
di
rapporti
politici
:
dal
dialogo
con
il
centro
cossighiano
a
quello
con
la
Lega
.
Per
ora
,
si
guarda
con
attenzione
alle
assise
del
Carroccio
,
che
si
apriranno
oggi
e
alle
quali
parteciperà
Giulio
Tremonti
,
massimo
sostenitore
della
"
svolta
nordista
"
di
FI
.
Vari
altri
esponenti
azzurri
(
dal
coordinatore
lombardo
Dario
Rivolta
a
Giancarlo
Galan
,
presidente
della
Regione
Veneto
,
a
Tiziana
Maiolo
)
stanno
già
lavorando
a
possibili
campagne
comuni
con
la
Lega
,
ma
i
rapporti
con
Umberto
Bossi
li
gestisce
Belusconi
in
prima
persona
.
Un
Berlusconi
di
ottimo
umore
,
racconta
chi
ha
partecipato
alla
riunione
di
mercoledì
.
A
chi
lo
investiva
con
i
suoi
"
cahiers
des
doléances
"
sul
funzionamento
di
gruppi
e
partito
,
ha
replicato
con
aria
divertita
:
"
Ci
sto
pensando
da
tempo
:
se
avessi
organizzato
le
mie
imprese
come
questa
baracca
,
sarei
fallito
in
tre
mesi
"
.
StampaQuotidiana ,
Il
professore
L
.
M
.
Billia
mi
comunica
alcune
sue
osservazioni
intorno
alla
tesi
dell
'
«
Economist
»
,
secondo
la
quale
l
'
Inghilterra
dovrebbe
passare
la
spugna
sui
crediti
di
guerra
verso
gli
alleati
.
Siccome
gli
appunti
son
degni
di
nota
,
giova
sunteggiando
,
riferirli
,
nella
loro
interezza
.
I
doni
son
doni
,
i
crediti
ed
i
debiti
sono
debiti
e
crediti
.
La
prima
regola
non
solo
morale
,
ma
anche
e
principalmente
economica
di
qualunque
amministrazione
è
pagare
i
debiti
,
e
a
tempo
;
chi
non
paga
non
produce
,
spende
:
è
un
giocatore
,
non
un
lavoratore
.
La
funzione
del
credito
si
regge
sulla
fiducia
,
e
quindi
condonare
un
debito
si
può
,
si
deve
per
carità
a
questo
o
a
quell
'
individuo
;
ma
è
uno
schiaffo
a
una
ditta
,
è
un
tagliarla
via
dalla
piazza
.
La
obiezione
si
afforza
,
riflettendo
che
la
guerra
odierna
potrà
non
essere
l
'
ultima
e
l
'
Italia
potrà
ancora
avere
bisogno
di
credito
dagli
alleati
.
Or
chi
non
vede
che
perdonare
un
debito
è
togliere
il
credito
e
chiudere
lo
sportello
per
qualunque
prestito
ulteriore
?
Il
miglior
modo
per
evitare
la
seconda
e
la
terza
e
decima
richiesta
di
cento
lire
dal
giovinetto
studente
figlio
dell
'
amico
è
di
non
consentirgli
di
restituire
le
prime
cinquanta
.
E
siccome
in
politica
,
diciam
pure
negli
affari
,
c
'
è
gente
molto
meno
delicata
dello
studente
,
chi
vi
assicura
che
il
non
avere
pagato
una
volta
non
diventi
invece
stimolo
a
lanciarsi
nelle
avventure
?
Doppio
pericolo
in
questa
non
desiderabile
larghezza
dell
'
«
Economist
»
;
non
trovare
più
credito
nelle
necessità
,
trovare
l
'
incentivo
alla
temerarietà
.
L
'
osservazione
,
bisogna
riconoscerlo
,
è
sostanziosa
.
Ma
parmi
non
sia
pertinente
.
Il
«
condono
dei
debiti
»
è
la
pura
forma
assunta
da
un
altro
fatto
,
che
è
il
vero
e
fondamentale
:
il
regolamento
dei
conti
di
dare
e
di
avere
dell
'
impresa
comune
.
Francia
ed
Italia
,
che
sono
i
due
paesi
che
han
perduto
più
uomini
e
consumato
maggiori
ricchezze
,
non
dicono
già
:
«
condonateci
i
crediti
,
che
noi
ci
eravamo
obbligati
a
rimborsare
»
.
Se
questo
soltanto
fosse
il
discorso
nostro
sarebbe
invero
,
come
teme
il
Billia
,
distruttivo
del
credito
ed
a
lungo
andare
pernicioso
alla
nazione
.
Perciò
,
sia
lecito
confessarlo
,
ho
veduto
anch
'
io
con
repugnanza
le
domande
di
conversione
dei
prestiti
inglesi
in
sussidi
a
fondo
perduto
che
in
Italia
si
erano
elevate
fin
dal
1915
ed
è
doveroso
ricordare
in
proposito
la
campagna
del
«
Momento
economico
»
di
Milano
perché
mi
pareva
che
quelle
domande
fossero
,
allora
,
moralmente
insostenibili
.
Eravamo
allora
dei
semplici
debitori
,
ed
avevamo
chiesto
credito
,
all
'
interno
ed
all
'
estero
,
in
una
misura
non
superiore
alle
nostre
forze
.
Mi
pareva
e
mi
pare
ancora
adesso
che
in
una
società
conclusa
per
fini
nazionali
ed
ideali
,
come
fu
la
società
dell
'
intesa
,
ogni
socio
ha
il
dovere
di
bastare
a
se
stesso
,
finché
ciò
non
distrugga
le
sue
fonti
di
vita
,
finché
i
sacrifici
attuali
non
rendano
troppo
difficile
alle
generazioni
venture
la
consecuzione
di
quei
più
alti
fini
,
a
cui
la
guerra
fu
indirizzata
.
Fino
all
'
anno
scorso
parve
a
me
che
fosse
un
punto
d
'
onore
ed
insieme
un
buon
affare
per
l
'
Italia
astenersi
nel
regolamento
definitivo
dei
conti
da
ogni
domanda
di
aiuto
finanziario
a
fondo
perduto
.
L
'
essere
capaci
,
come
saremmo
stati
indubbiamente
se
i
debiti
nuovi
di
guerra
,
interni
ed
esteri
,
si
fossero
aggirati
su
una
cifra
più
adatta
alla
nostra
fortuna
,
a
bastare
a
noi
stessi
ci
avrebbe
dato
in
confronto
ad
altri
paesi
meno
gravati
e
più
ricchi
,
un
tale
prestigio
,
che
il
vantaggio
futuro
di
credito
e
di
produttività
avrebbe
superato
di
gran
lunga
il
sacrificio
del
pagamento
degli
interessi
.
Il
prolungarsi
della
guerra
,
il
violento
crescere
delle
spese
nell
'
ultimo
periodo
,
la
situazione
torbida
dell
'
Europa
orientale
e
centrale
,
che
richiederanno
la
prosecuzione
di
notevoli
spese
post
-
belliche
ben
oltre
il
previsto
hanno
messo
in
evidenza
che
accanto
alla
figura
del
debitore
vi
è
quella
del
socio
.
Eravamo
soci
fin
dall
'
inizio
;
ma
non
esisteva
ancora
la
necessità
dell
'
accomunare
le
risorse
;
ed
in
affari
pubblici
di
questo
genere
è
solo
la
necessità
non
la
convenienza
quella
che
può
legittimare
la
richiesta
del
socio
povero
di
essere
aiutato
dal
socio
ricco
.
Ora
che
tutto
fa
prevedere
che
la
Francia
non
uscirà
dalla
guerra
con
meno
di
15o
miliardi
di
debito
nuovo
e
l
'
Italia
con
non
meno
di
60-65
,
ossia
con
somme
che
inseguono
da
vicino
i
due
terzi
od
i
quattro
quinti
della
ricchezza
totale
nazionale
prebellica
,
la
necessità
costringe
noi
a
chiedere
ai
soci
più
ricchi
un
regolamento
di
conti
,
o
meglio
ci
costringe
a
dare
il
nostro
consenso
ed
il
nostro
appoggio
alle
voci
più
generose
e
lungiveggenti
che
in
Inghilterra
e
negli
Stati
uniti
si
elevano
per
dire
che
è
nell
'
interesse
loro
di
impedire
il
nostro
disfacimento
finanziario
.
Questo
non
è
un
condono
di
debiti
;
è
una
compensazione
fra
il
debito
di
una
ventina
di
miliardi
che
l
'
Italia
potrà
avere
alla
fine
della
guerra
verso
gli
alleati
e
le
spese
che
l
'
Italia
sostenne
,
alla
pari
della
Francia
,
come
sentinella
avanzata
della
civiltà
oltre
l
'
apporto
massimo
che
le
sue
condizioni
economiche
le
permettevano
di
conferire
nella
cassa
comune
.
È
interesse
degli
Stati
uniti
in
primo
luogo
e
dell
'
Inghilterra
secondariamente
la
spesa
di
questa
poco
si
allontana
dal
carico
medio
far
sì
che
Francia
ed
Italia
possano
persistere
nella
missione
di
tutrici
della
pace
europea
.
Sarebbe
immorale
chiedere
che
tutta
la
spesa
in
denaro
sia
sostenuta
dagli
alleati
,
considerati
quasi
come
soci
di
capitale
;
ma
è
morale
ed
è
giusto
che
i
soci
più
doviziosi
ripartano
le
spese
comuni
in
maniera
tale
che
Francia
ed
Italia
serbino
almeno
quel
minimo
di
capitale
senza
di
cui
sarebbe
troppo
ardua
la
ripresa
del
cammino
in
avanti
.
Sì
,
come
dice
il
Billia
,
proseguendo
,
«
al
lavoro
,
al
risparmio
,
al
costume
,
al
carattere
domanderemo
le
fortune
»
e
non
alla
rimessione
dei
debiti
.
Ma
non
sarebbe
incentivo
al
lavoro
,
sibbene
al
malcontento
ed
a
rimpianti
verso
le
antiche
funeste
alleanze
,
il
dubbio
che
gli
alleati
ci
abbiano
abbandonati
col
carico
di
spese
non
nostre
ma
loro
.
Col
lavoro
provvederemo
al
servizio
di
tutto
il
debito
e
di
qualcosa
di
più
del
debito
che
in
una
equa
liquidazione
apparirà
come
nostra
quota
;
ma
non
pare
né
equo
né
durevole
sobbarcarci
a
gravami
che
indubbiamente
risultassero
spettare
altrui
.
Qui
non
si
vuole
pregiudicare
la
cifra
,
la
quale
dovrà
essere
determinata
,
con
attento
studio
,
da
tecnici
competenti
.
Si
vuole
affermare
il
principio
che
non
si
tratta
,
salvo
che
per
la
modalità
accidentale
di
attuazione
,
di
condono
di
debiti
,
sì
di
compensazione
fra
debiti
e
crediti
nei
rapporti
fra
associati
in
un
'
impresa
comune
.
Né
tema
il
Billia
che
le
partite
compensate
siano
così
grandi
da
stimolare
noi
allo
spreco
:
Pensiamo
un
momento
la
ripercussione
che
lo
svegliare
tale
speranza
e
peggio
ottenere
tanta
fortuna
avrebbe
all
'
interno
.
Il
furore
degli
appetiti
sarebbe
più
che
il
vantaggio
e
lo
sperderebbe
.
Che
incentivo
alle
pretese
,
al
disordine
,
alle
più
vergognose
inversioni
economiche
!
Giustissime
riflessioni
,
nelle
quali
è
degno
di
meditazione
il
vedere
il
Billia
d
'
accordo
col
pensiero
di
un
sapiente
economista
inglese
,
lo
Scott
,
professore
a
Glasgow
.
Anche
lo
Scott
teme
che
poco
frutto
godrebbero
i
contribuenti
dalla
scomparsa
del
debito
di
guerra
.
Le
spese
inutili
e
pazze
assorbirebbero
parte
notevole
degli
interessi
risparmiati
.
Ma
lo
Scott
parla
di
«
scomparsa
»
del
debito
;
e
le
sue
conclusioni
contrarie
ai
metodi
imposta
straordinaria
sul
capitale
con
cui
da
taluno
si
vorrebbe
estinguere
il
debito
di
guerra
,
non
si
applicano
ad
una
situazione
,
come
la
nostra
,
in
cui
malgrado
la
compensazione
dei
debiti
e
crediti
rimarranno
in
essere
ancora
parecchie
decine
di
miliardi
di
nuovo
debito
di
guerra
.
La
«
pressione
salutare
»
,
di
cui
parla
lo
Scott
,
del
debito
di
guerra
continuerà
dunque
per
molti
anni
.
Non
che
alleggerimenti
,
nuove
gravi
imposte
saranno
in
ogni
modo
necessarie
;
e
,
se
gli
uomini
serberanno
un
po
'
di
ragione
,
nessuna
gazzarra
di
spese
inutili
potrà
disfrenarsi
assumendo
a
pretesto
la
giustizia
resaci
dagli
alleati
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
17
settembre
-
Nei
due
concerti
che
si
sono
susseguiti
nella
sala
delle
Colonne
di
Ca
'
Giustinian
,
il
primo
ci
ha
fatto
conoscere
il
famoso
Quartetto
Julliard
,
interprete
di
musiche
di
Gian
Francesco
Malipiero
,
Anton
Webern
ed
Elliot
Carter
.
I
quattro
strumentisti
del
quartetto
,
dei
quali
il
programma
non
ci
fa
conoscere
i
nomi
,
sono
davvero
formidabili
e
la
loro
collaborazione
dura
dal
tempo
dei
loro
studi
musicali
.
(
Julliard
è
il
nome
di
un
'
alta
scuola
di
musica
negli
Stati
Uniti
.
)
Un
'
ottima
impressione
hanno
destato
i
Rispetti
e
strambotti
di
Malipiero
di
una
chiara
linea
melodica
e
anche
i
Cantari
alla
madrigalesca
dello
stesso
autore
,
forse
un
po
'
meno
felici
nella
loro
sovrabbondanza
.
Questi
lavori
risalgono
rispettivamente
al
1920
e
al
1931
e
appartengono
alla
migliore
stagione
dell
'
arte
malipieriana
.
I
Julliard
hanno
poi
eseguito
il
Secondo
quartetto
per
archi
di
Elliot
Carter
,
un
americano
nato
a
Nuova
York
nel
1908
.
A
questo
lavoro
è
stato
assegnato
il
premio
Pulitzer
nel
'59
,
data
della
sua
composizione
.
Si
tratta
di
una
musica
caotica
,
ispida
,
volutamente
inespressiva
,
di
una
aridità
che
non
è
nemmeno
sconcertante
perché
nessuno
è
più
capace
di
meravigliarsi
di
nulla
.
Tanto
il
Carter
è
rumoroso
quanto
era
invece
rarefatto
Anton
Webern
,
nei
Cinque
movimenti
per
quartetto
d
'
archi
(
1909
)
.
Questi
movimenti
che
appartengono
alla
musica
del
silenzio
,
oggi
molto
in
auge
,
ci
portano
alla
frontiera
del
nulla
assoluto
non
forse
per
la
sapiente
disgregazione
del
rapporto
tonale
ma
per
l
'
insolito
gioco
dei
rapporti
di
intervallo
.
Resta
sorprendente
che
dopo
il
Webern
si
sia
scritta
altra
musica
nella
stessa
direzione
.
Eppure
il
culto
di
questo
maestro
avrebbe
dovuto
sconsigliarlo
.
Scarso
il
pubblico
,
entusiastico
il
successo
personale
dei
meravigliosi
strumentisti
del
Julliard
.
Il
secondo
concerto
era
dedicato
ai
classici
contemporanei
:
Schönberg
,
Stravinskij
,
Hindemith
e
Bartók
.
Di
Schönberg
è
stato
eseguito
il
ben
noto
Pierrot
lunaire
(
1912
)
in
una
insufficiente
interpretazione
vocale
di
Magda
Laszlo
.
È
per
noi
un
mistero
perché
Schönberg
abbia
musicato
poesie
che
ci
riportano
al
tempo
della
«
Scena
Illustrata
»
di
Pilade
Pollazzi
.
Sebbene
non
si
intendesse
alcuna
parola
,
un
mutismo
completo
ci
avrebbe
permesso
di
gustare
meglio
il
sottofondo
armonico
di
questi
21
melodrammi
in
miniatura
.
Dell
'
Opera
36
n
.
4
di
Hindemith
(
Kammermusik
n
.
5
)
per
viola
e
orchestra
da
camera
(
1927
)
,
dell
'
Ottetto
per
strumenti
a
fiato
di
Stravinskij
(
1933
)
e
della
Sonata
per
due
pianoforti
e
percussione
di
Béla
Bartók
(
1937
)
non
c
'
è
che
da
lodare
la
vigorosa
,
vibrante
sostanza
sonora
,
carattere
che
rende
ancor
vive
e
attuali
queste
musiche
di
ieri
.
Ha
diretto
molto
bene
il
Pierrot
lunaire
il
pianista
Piero
Scarpini
,
assistito
dagli
strumentisti
Gazzelloni
,
Gaudini
,
Fusco
,
Asciolla
,
Morselli
.
Ottimo
direttore
delle
composizioni
è
stato
Ettore
Gracis
.
Da
notare
il
violista
Dino
Asciolla
,
il
duo
pianistico
Gorini
-
Lorenzi
e
i
batteristi
Torrebruno
e
Striano
.
Molto
pubblico
a
questo
secondo
concerto
e
molti
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Maria
Grazia
Cutuli
è
stata
assassinata
in
Afghanistan
,
sulla
strada
che
da
Jalalabad
porta
a
Kabul
,
a
90
chilometri
dalla
capitale
in
un
posto
orribile
che
si
chiama
Pouli
-
es
-
the
-
Kam
.
Maria
Grazia
era
lì
inviata
dal
Corriere
della
Sera
e
aveva
trentanove
anni
.
Era
lì
,
da
quelle
parti
,
prima
in
Pakistan
e
infine
in
Afghanistan
,
dal
giorno
successivo
all
'
attacco
alle
Torri
Gemelle
.
Pare
sia
stata
un
'
esecuzione
.
Secondo
la
ricostruzione
di
una
televisione
spagnola
le
hanno
sparato
alle
spalle
.
Con
lei
sono
stati
uccisi
altri
tre
giornalisti
.
Uno
è
Julio
Fuentes
,
spagnolo
,
di
El
Mundo
,
di
cui
Maria
Grazia
parlava
spesso
.
Erano
stati
anche
fidanzati
,
Maria
Grazia
e
Julio
.
Insieme
,
domenica
,
erano
entrati
in
una
delle
più
grandi
basi
militari
di
bin
Laden
,
abbandonata
dopo
la
ritirata
dei
talebani
da
Jalalabad
.
Lì
hanno
trovato
una
serie
di
fialette
di
Sarin
,
il
gas
nervino
.
Ieri
il
Corriere
e
il
Mundo
hanno
pubblicato
il
racconto
in
prima
pagina
.
C
'
è
chi
dice
che
con
la
loro
inchiesta
e
con
le
loro
domande
abbiano
infastidito
il
leader
locale
.
Si
chiama
Younis
Khalis
,
una
vecchia
gloria
del
Jihad
anti
sovietico
,
ed
è
l
'
uomo
che
dopo
un
lungo
negoziato
ha
costretto
i
talebani
a
lasciare
Jalalabad
.
I
due
giornalisti
hanno
scritto
che
Khalis
nel
1996
diede
a
Osama
ospitalità
e
il
permesso
di
costruire
la
base
sui
suoi
terreni
.
Secondo
altri
si
è
trattato
di
un
'
imboscata
a
scopo
di
rapina
,
in
una
terra
di
nessuno
tra
le
più
pericolose
dell
'
Afghanistan
.
Su
quelle
montagne
,
a
metà
strada
tra
Kabul
e
Jalalabad
,
ci
sono
sia
gli
arabi
di
bin
Laden
sia
i
talebani
scappati
dalle
due
città
.
In
fondo
,
conoscere
il
motivo
della
strage
non
conta
molto
:
tutti
e
quattro
i
giornalisti
sono
morti
.
Questo
conta
.
L
'
intrattabile
miss
Kigali
Dei
quattro
,
Maria
Grazia
Cutuli
è
quella
che
conosciamo
meglio
.
Era
di
Catania
.
Il
mese
scorso
aveva
compiuto
39
anni
.
Lavorava
alla
redazione
Esteri
del
Corriere
della
Sera
.
Si
occupava
di
Africa
,
di
Medio
Oriente
,
di
Balcani
,
di
Afghanistan
.
Era
la
più
grande
esperta
di
madrasse
,
le
scuole
coraniche
del
Pakistan
dove
hanno
,
si
fa
per
dire
,
studiato
i
talebani
.
Di
lei
sappiamo
che
era
una
donna
tosta
,
tostissima
.
Sappiamo
che
era
considerata
una
intrattabile
,
a
tratti
insopportabile
.
Maria
Grazia
si
lamentava
,
si
lamentava
sempre
,
le
sue
lamentele
erano
leggendarie
,
e
gli
amici
la
sfottevano
per
questo
.
Non
riusciva
a
restare
chiusa
in
redazione
a
passare
pezzi
,
come
si
dice
nel
nostro
gergo
,
o
a
fare
interviste
al
telefono
.
Era
monomaniaca
:
raccontare
la
guerra
,
meglio
la
guerriglia
,
era
la
sua
fissazione
.
Voleva
sempre
andare
dove
c
'
era
un
conflitto
.
Ci
andava
,
poi
.
Ci
riusciva
.
Perché
era
testarda
da
non
immaginarsi
.
Poi
tornava
e
sfiancava
gli
amici
con
i
suoi
racconti
,
e
non
smetteva
di
raccontare
e
lamentarsi
,
perché
quando
arrivava
lì
,
fosse
in
Ruanda
o
in
Medio
Oriente
,
improvvisamente
e
felicemente
si
fermava
tutto
.
Non
si
sparava
più
,
si
trattava
improvvisamente
la
pace
.
I
suoi
colleghi
dicevano
che
era
meglio
dell
'
Onu
:
arrivava
lei
e
la
guerra
si
fermava
.
Era
contenta
di
questo
.
Ironizzava
su
di
sé
.
A
chi
la
andava
a
trovare
a
casa
mostrava
sempre
le
sue
fotografie
scattate
in
Ruanda
il
Ruanda
era
la
sua
vera
fissazione
,
ci
tornava
pure
in
vacanza
.
A
Kigali
arrivò
proprio
alla
fine
del
genocidio
tra
hutu
e
tutsi
.
Per
andarci
si
dimise
da
Epoca
,
dove
lavorava
;
ci
andò
con
un
contratto
a
termine
delle
Nazioni
Unite
.
Da
lì
scrisse
anche
per
questo
giornale
.
Era
orgogliosa
delle
sue
foto
del
Ruanda
.
Gli
amici
la
prendevano
in
giro
perché
quelle
foto
raccontavano
un
Ruanda
diverso
da
quello
terribile
della
guerra
civile
.
Quelle
foto
la
ritraevano
danzante
su
un
magnifico
prato
all
'
inglese
.
Il
machete
aveva
appena
cessato
di
mozzare
teste
e
lei
,
per
scherzo
e
per
esorcizzare
la
paura
,
quella
sera
,
su
quel
prato
,
fu
eletta
Miss
Kigali
.
Fare
il
giornalista
di
guerra
,
si
sa
,
è
pericoloso
.
Le
parole
contano
meno
delle
armi
da
fuoco
.
Chi
decide
questa
vita
ne
è
perfettamente
consapevole
.
Ed
è
felice
.
Maria
Grazia
aveva
già
rischiato
la
vita
almeno
un
paio
di
volte
.
In
Ruanda
si
salvò
grazie
a
un
febbrone
che
la
costrinse
a
un
ricovero
all
'
ospedale
di
Kigali
.
La
sua
abitazione
,
quella
notte
fu
attaccata
e
quattro
suoi
colleghi
delle
Nazioni
Unite
furono
trucidati
.
In
Sudan
,
sui
monti
Nuba
,
al
seguito
della
guerriglia
cristiano
-
animista
evitò
per
un
niente
una
smitragliata
da
un
Antonov
governativo
.
I
suoi
amici
erano
abituati
a
questi
racconti
,
non
ci
facevano
più
caso
.
Per
coinvolgerli
,
per
fare
fino
in
fondo
il
suo
mestiere
,
lei
raccontava
loro
queste
immani
tragedie
in
modo
lieve
.
Per
non
annoiarli
.
Ci
riusciva
.
Come
quando
andò
a
Sarajevo
per
Epoca
.
La
città
fu
presa
d
'
assedio
e
lei
costretta
a
dormire
per
tre
settimane
nell
'
edificio
della
televisione
bosniaca
.
Appena
mettevi
il
naso
fuori
un
cecchino
prendeva
la
mira
e
sparava
.
Scrisse
articoli
bellissimi
.
A
cena
,
un
tocco
mondano
.
Agli
amici
faceva
credere
che
per
lei
la
cosa
peggiore
era
guardarsi
allo
specchio
i
capelli
sformi
.
StampaQuotidiana ,
Chi
segue
i
lavori
della
conferenza
di
Parigi
ha
l
'
impressione
di
qualcosa
di
scucito
,
di
non
ordinato
,
di
errate
concezioni
intorno
all
'
importanza
relativa
ai
problemi
posti
in
discussione
.
I
giornali
recano
ora
nel
tempo
stesso
,
ad
esempio
,
due
notizie
diverse
;
secondo
la
prima
,
la
commissione
presieduta
da
Wilson
per
la
redazione
del
progetto
della
Società
delle
nazioni
sta
per
presentare
le
sue
conclusioni
ai
capi
di
governo
.
In
base
alla
seconda
,
un
'
altra
commissione
interalleata
si
sarebbe
pronunziata
in
favore
del
metodo
britannico
,
a
preferenza
dei
metodi
francese
e
americano
,
di
calcolo
e
ripartizione
delle
indennità
dovute
dal
nemico
.
D
'
altra
parte
si
sente
dire
che
comincerebbe
a
porsi
allo
studio
il
problema
della
ripartizione
delle
spese
di
guerra
fra
tutte
le
nazioni
alleate
ed
associate
in
ragione
della
capacità
rispettiva
di
sostenere
i
gravissimi
sacrifici
economici
imposti
dalla
guerra
.
Nel
frattempo
la
commissione
francese
del
bilancio
si
trova
dinanzi
un
problema
quasi
insolubile
:
provvedere
ad
una
spesa
annua
ordinaria
di
18
miliardi
di
franchi
invece
di
5
antebellici
,
e
trovare
50
miliardi
di
proventi
straordinari
con
cui
pagare
l
'
indennità
agli
smobilitati
(
6
miliardi
)
,
ritirare
le
monete
tedesche
ed
i
buoni
di
cassa
municipali
nelle
provincie
invase
e
nell
'
Alsazia
-
Lorena
(
4
miliardi
)
e
indennizzare
coloro
che
soffersero
danni
di
guerra
(
da
30
a
40
miliardi
)
.
In
Italia
la
commissione
del
bilancio
non
si
è
ancora
posto
un
consimile
problema
,
probabilmente
perché
il
cessato
ministro
del
tesoro
ha
preferito
nella
sua
ultima
esposizione
finanziaria
limitarsi
a
cifre
del
passato
,
astenendosi
da
una
compiuta
,
chiara
e
persuasiva
disamina
dell
'
avvenire
,
ed
il
nuovo
non
ha
ancora
avuto
modo
di
presentare
alla
camera
questo
necessario
calcolo
preventivo
che
sarebbe
salutarissimo
in
tanto
disfrenarsi
di
richieste
solo
in
parte
giustificate
e
solo
in
parte
provenienti
da
coloro
che
realmente
soffersero
in
causa
della
guerra
.
Quando
il
conto
verrà
,
non
sarà
per
l
'
Italia
meno
preoccupante
che
per
la
Francia
.
Mentre
così
i
problemi
finanziari
battono
alle
porte
,
i
capi
dei
governi
sembrano
disinteressarsene
,
facendoli
discutere
da
commissioni
secondarie
o
abbandonandoli
addirittura
,
come
quello
della
ripartizione
delle
spese
belliche
tra
gli
alleati
,
nel
limbo
delle
questioni
interessanti
,
le
quali
potranno
essere
messe
avanti
quando
i
«
maggiori
»
problemi
,
quelli
territoriali
,
saranno
stati
risoluti
.
Essi
non
hanno
torto
se
per
problemi
territoriali
si
intendono
quelli
dei
confini
della
Francia
e
dell
'
Italia
.
L
'
Alsazia
-
Lorena
e
l
'
Italia
irredenta
hanno
per
noi
un
così
grande
valore
politico
e
sentimentale
che
li
possiamo
,
li
dobbiamo
considerare
incommensurabili
con
qualsiasi
altro
valore
,
pure
rilevantissimo
.
Stanno
quei
valori
nazionali
troppo
in
alto
,
perché
qualsiasi
interesse
possa
da
lungi
esservi
paragonato
.
Ma
vi
sono
altri
valori
,
altri
problemi
i
quali
pure
sono
oggetto
di
attento
esame
da
parte
dei
capi
di
governo
,
che
occupano
anzi
il
loro
tempo
e
le
loro
cure
in
maniera
assorbente
,
eppure
potrebbero
,
anzi
dovrebbero
essere
trattati
congiuntamente
al
problema
preminente
e
preliminare
dell
'
equa
ripartizione
delle
spese
tra
gli
alleati
:
vogliamo
accennare
allo
schema
della
Società
delle
nazioni
ed
alla
sorte
delle
colonie
e
dei
territori
appartenenti
all
'
antico
impero
turco
.
Noi
non
vogliamo
negare
l
'
importanza
somma
né
dell
'
uno
né
dell
'
altro
problema
.
Ma
diciamo
che
solo
una
mentalità
antiquata
,
strettamente
politica
,
può
far
consistere
il
successo
,
la
vittoria
soltanto
nella
soluzione
più
o
meno
favorevole
di
problemi
coloniali
extraeuropei
;
solo
una
concezione
diplomatica
da
santa
alleanza
può
far
consistere
la
Società
delle
nazioni
in
un
progetto
più
o
meno
elegante
di
consigli
,
conferenze
,
corti
arbitrali
e
simili
congegni
.
Purtroppo
la
mentalità
degli
uomini
politici
è
in
generale
conformata
in
maniera
da
vedere
solo
l
'
aspetto
formale
o
esteriore
dei
problemi
.
Nelle
colonie
vedono
un
territorio
da
sottoporre
alla
bandiera
nazionale
;
nel
progetto
di
Società
delle
nazioni
un
formulario
per
risolvere
grandi
litigi
,
ma
sempre
litigi
,
come
li
concepisce
un
giurista
o
un
politico
parlamentare
.
In
realtà
si
tratta
di
ben
altro
.
Per
le
colonie
e
per
i
territori
dell
'
impero
turco
sembra
prevalere
l
'
idea
di
Wilson
che
il
governo
delle
colonie
è
una
missione
,
un
dovere
verso
le
popolazioni
incapaci
a
reggersi
da
se
medesime
;
un
dovere
della
cui
esecuzione
fa
d
'
uopo
rendere
conto
,
che
può
richiedere
,
in
molti
casi
,
notevoli
sacrifici
.
Ora
chi
non
vede
che
una
missione
cosiffatta
non
può
essere
assunta
da
stati
finanziariamente
esausti
,
incapaci
di
adempiere
innanzi
tutto
alla
missione
interna
di
elevare
i
propri
nazionali
a
una
più
alta
meta
materiale
e
morale
?
Come
può
un
popolo
dissanguato
e
povero
assumersi
l
'
ufficio
di
cavaliere
dell
'
umanità
nei
paesi
non
ancora
partecipanti
alla
civiltà
moderna
?
Se
questa
verità
essenziale
fosse
fatta
presente
dai
nostri
capi
di
governo
a
Wilson
,
questi
non
potrebbe
chiudere
gli
occhi
dinanzi
ad
essa
.
Non
potrebbe
dire
:
«
Assumetevi
l
'
onere
di
governare
l
'
Asia
minore
,
la
Siria
,
grandi
zone
dell
'
Africa
,
obbligandovi
a
non
imporre
tributi
a
vostro
favore
,
a
mantenere
il
regime
della
porta
aperta
,
mentre
gli
Stati
uniti
che
della
guerra
pochissimo
sentirono
l
'
onere
finanziario
,
verranno
coi
loro
commerci
a
godere
i
frutti
della
vostra
opera
di
pionieri
della
civiltà
»
.
Noi
siamo
persuasi
che
Wilson
non
farebbe
questo
discorso
;
anzi
farebbe
quello
contrario
.
Ma
occorre
che
la
questione
dell
'
equa
partecipazione
di
tutti
alle
spese
della
guerra
sia
posta
dai
capi
di
governo
nostri
.
Occorre
che
essi
si
spoglino
della
mentalità
politica
prettamente
territoriale
e
formale
,
e
guardino
alla
sostanza
delle
cose
:
essere
la
politica
coloniale
,
così
altamente
concepita
,
una
missione
,
la
quale
non
si
può
adempiere
senza
mezzi
adeguati
.
Così
per
la
Società
delle
nazioni
.
Non
trattasi
di
istituire
conferenze
,
consigli
e
corti
di
arbitrato
.
Quello
che
si
deve
costruire
è
un
governo
:
il
governo
degli
interessi
essenziali
dell
'
umanità
.
Gli
stati
sovrani
si
devono
spogliare
di
una
parte
della
loro
sovranità
;
riconoscere
che
vi
sono
rapporti
interstatali
,
soprannazionali
,
umani
,
che
non
possono
essere
regolati
dai
singoli
stati
e
neppure
da
conferenze
occasionali
di
ambasciatori
e
di
ministri
degli
esteri
con
compromessi
variabili
e
caduchi
.
Devono
essere
regolati
da
un
governo
unitario
,
che
inizialmente
proceda
forse
per
tentativi
e
timidamente
,
ma
sia
destinato
nel
suo
campo
proprio
e
senza
invadere
la
sovranità
delle
singole
nazioni
ad
acquistare
sempre
maggior
forza
ed
efficacia
.
Ora
quale
compito
immediato
più
alto
,
più
cementante
potrebbe
essere
affidato
al
nuovo
ente
soprannazionale
,
di
quello
di
liquidare
il
peso
dei
debiti
di
guerra
che
furono
appunto
incontrati
per
rendere
possibile
la
sua
creazione
,
per
garantire
l
'
umanità
contro
lo
spirito
di
dominazione
e
di
sopraffazione
?
Nessuno
stato
,
nessun
ente
pubblico
e
perciò
nessuna
Società
delle
nazioni
può
ritenersi
vitale
se
non
sorge
con
mezzi
finanziari
adeguati
a
raggiungere
i
suoi
fini
;
e
qual
fine
più
urgente
di
quello
di
pagare
le
spese
che
furono
sostenute
per
mettere
il
nuovo
ente
alla
luce
,
di
rinsaldare
l
'
armonia
fra
gli
stati
associati
,
la
quale
sarebbe
irrimediabilmente
guasta
se
gli
uni
uscissero
dall
'
impresa
comune
persuasi
di
essersi
impoveriti
,
mentre
gli
altri
serbavano
intatta
o
crescevano
la
loro
gagliardia
economica
?
Cieco
chi
non
vede
che
la
nuova
umanità
non
può
fondarsi
se
non
sul
granitico
fondamento
della
giustizia
;
cieco
ancor
più
chi
chiude
gli
occhi
alla
verità
fondandosi
solo
sulla
speranza
degli
indennizzi
che
i
nemici
dovranno
pagare
.
Le
indennità
verranno
in
un
volgere
più
o
meno
lungo
di
anni
,
in
misura
più
o
meno
ampia
,
se
e
quando
le
nazioni
sconfitte
riusciranno
a
riorganizzarsi
e
a
produrre
ricchezze
.
Ma
il
problema
delle
spese
di
guerra
è
un
problema
immediato
che
batte
alle
porte
,
che
non
tollera
indugi
;
che
deve
essere
discusso
tra
noi
associati
nell
'
impresa
comune
,
astrazione
fatta
dai
rimborsi
futuri
che
potranno
da
parte
nemica
essere
ottenuti
a
pro
della
cassa
comune
.
È
un
problema
di
giustizia
che
deve
essere
posto
preliminarmente
alla
discussione
dei
piani
di
ricostruzione
mondiale
,
destinati
altrimenti
alla
più
sconfortante
caducità
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
19
settembre
-
Sabato
ci
siamo
trasferiti
alla
Fenice
,
felicemente
riaperta
,
ma
a
quanto
pare
per
quella
sola
serata
,
e
abbiamo
ascoltato
musiche
dodecafoniche
,
alcune
nuove
per
l
'
Italia
,
e
una
addirittura
«
novità
assoluta
»
.
Interpreti
del
programma
l
'
orchestra
e
il
coro
di
Radio
Colonia
-
un
insieme
eccellente
-
sotto
la
direzione
di
Bruno
Maderna
,
il
più
accreditato
specialista
italiano
di
questo
genere
di
musica
.
Si
è
cominciato
con
la
Settima
sinfonia
di
Karl
Amadeus
Hartmann
,
compositore
di
Monaco
,
oggi
cinquantacinquenne
,
un
lavoro
che
esprime
la
predilezione
dell
'
autore
per
la
polifonia
e
le
forme
concertanti
;
ma
che
non
si
alza
mai
dal
grigiore
del
più
convenzionale
,
anche
se
moderno
,
accademismo
.
Lo
stesso
può
dirsi
per
l
'
Aulodia
per
oboe
e
orchestra
di
Wolfgang
Fortner
,
fastidioso
elaborato
di
un
tema
di
tre
note
rovesciate
,
retrogradate
e
invertite
in
modo
da
raggiungere
il
fatidico
numero
di
dodici
note
.
Sostituiva
l
'
aulos
greco
l
'
oboe
del
poderoso
solista
Lothar
Faber
,
acclamatissimo
.
Novità
assoluta
erano
i
Dialoghi
per
violoncello
e
orchestra
di
Luigi
Dallapiccola
,
ultimo
lavoro
del
maestro
.
Il
maggior
pregio
di
questi
Dialoghi
sta
nell
'
aver
tolto
allo
strumento
solista
ogni
possibilità
di
abbandonarsi
a
quel
virtuosismo
individuale
che
oggi
rende
poco
sopportabili
le
composizioni
del
genere
.
Qui
il
solista
parla
senza
esibirsi
in
una
personale
oratoria
;
e
non
importa
poi
se
parli
con
quei
suoni
afoni
e
smozzicati
(
quando
non
siano
duramente
strappati
)
che
i
nuovi
asceti
musicali
prediligono
.
Il
pubblico
ha
ascoltato
con
simpatia
i
diciotto
minuti
di
musica
dei
Dialoghi
e
il
maestro
Dallapiccola
è
apparso
due
volte
al
proscenio
;
anche
alle
precedenti
composizioni
dell
'
Hartmann
e
del
Fortner
non
erano
mancati
applausi
,
seppure
poco
convinti
.
Nuovo
per
l
'
Italia
,
ma
già
apprezzato
altrove
,
era
il
Canto
sospeso
per
soprano
,
contralto
,
tenore
,
coro
misto
e
orchestra
di
Luigi
Nono
,
che
si
è
servito
di
alcuni
brani
delle
Lettere
di
condannati
a
morte
della
Resistenza
europea
,
pubblicate
da
Einaudi
.
Il
motivo
psicologico
fondamentale
della
vasta
composizione
,
divisa
in
nove
parti
,
non
differisce
da
quello
,
espresso
più
sobriamente
,
del
Diario
polacco
dello
stesso
Nono
,
ascoltato
al
festival
dello
scorso
anno
.
Più
che
di
polifonia
o
di
contrappunto
sembra
che
si
debba
parlare
di
aggregati
di
masse
o
strutture
sonore
,
che
delimitano
larghe
zone
di
angoscioso
silenzio
.
Aggregati
,
s
'
intende
,
nei
quali
i
singoli
strumenti
sono
impiegati
ai
limiti
estremi
delle
loro
possibilità
di
estensione
e
di
timbro
.
Siamo
portati
,
per
quanto
riguarda
gli
effetti
timbrici
,
quasi
ai
confini
della
musica
elettronica
.
Le
parole
non
s
'
intendono
neppure
nei
brani
affidati
ai
solisti
,
costretti
ai
consueti
,
difficili
intervalli
.
La
maggiore
efficacia
è
quindi
data
dalla
parte
orchestrale
e
da
quella
corale
(
questa
,
«
a
cappella
»
nel
primo
coro
,
più
libera
nel
finale
,
con
largo
intervento
di
ottoni
)
.
Avremo
occasione
di
riascoltare
questo
Canto
sospeso
,
il
quale
ha
ottenuto
l
'
effetto
di
suggestione
al
quale
mirava
,
strappando
calorose
acclamazioni
all
'
autore
e
agli
interpreti
.
Ha
diretto
il
magnifico
coro
Bernhard
Zimmerman
;
solisti
il
soprano
Hollweg
,
il
contralto
Bornemann
,
il
tenore
Lenz
.
Per
concludere
:
la
musica
di
estrema
avanguardia
può
ottenere
oggi
i
più
trionfali
successi
da
parte
del
pubblico
borghese
;
il
che
non
poteva
essere
nelle
sue
profonde
aspirazioni
.
C
'
è
qui
,
evidentemente
,
una
contraddizione
che
stride
.