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Disarmiamo gli animi armiamo la ragione ( Martini Carlo Maria , 1999 )
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In queste settimane di guerra nei Balcani due parole mi tornano alla mente . La prima è di Bertolt Brecht al termine del suo lavoro teatrale : La resistibile ascesa di Arturo Ui : " E voi imparate che occorre vedere e non guardare in aria ; occorre agire e non parlare . Questo mostro stava , una volta , per governare il mondo . I popoli lo spensero , ma ora non cantiamo vittoria troppo presto , il grembo da cui nacque è ancora fecondo " . Questa metafora del grembo ancora fecondo evoca una delle cause di quanto sta avvenendo . C ' è una matrice dalla quale sono stati generati molti stermini , fino alla Shoah . Essa continua a generarne . I conflitti nelle terre dell ' ex Jugoslavia , la " pulizia etnica " , l ' esodo forzato delle genti del Kosovo lo attestano , come pure tanti altri conflitti in altre regioni del mondo che , pur drammaticamente vivi , non fanno notizia . Tutto questo non è lontano da noi . Anche il nostro Paese ha conosciuto vergognose " leggi razziali " . Altre " notti feroci " gravano sull ' Europa , come Primo Levi ci aveva avvertiti . Avevamo sperato in un sempre più diffuso e radicato costume democratico e invece di nuovo rinascono forme di dittatura , di violenta privazione della libertà . Questo millennio si avvia alla conclusione tra incursioni aeree , bombardamenti , stragi . La seconda parola a cui ripenso in questi giorni è stata pronunciata dall ' Assemblea delle chiese cristiane europee a Basilea nel maggio 1989 : " Abbiamo causato guerre e non siamo stati capaci di sfruttare tutte le opportunità di dialogo e di riconciliazione : abbiamo accettato e spesso giustificato con troppa facilità le guerre " . Questa parola ci ricorda le responsabilità che portiamo anche come cristiani . Sulle ragioni possibili di alcuni atti di guerra ( cioè sul tema di una eventuale " guerra giusta " ) , si è ragionato a lungo nei due millenni cristiani . Sant ' Agostino scriveva : " Fare la guerra è una felicità per i malvagi , ma per i buoni una necessità ... è ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi , per desiderio di nuocere , per sete di potere , per ingrandire un impero , per ottenere ricchezze e acquistare gloria . In tutti questi casi la guerra va considerata un " brigantaggio in grande stile " " ( De Civitate Dei , IV , 6 ) . Ma Giovanni XXIII nella Pacem in terris , afferma : " Nell ' era atomica è irrazionale ( alienum est a ratione ) pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei diritti violati " . Il concetto di " guerra giusta " viene così superato . E il Concilio , che per lo più non ha voluto pronunciare anatemi , ha tuttavia su questo punto un parola ferma e dura : " Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti , è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato " . Tra le ragioni che hanno portato al superamento della dottrina della guerra giusta , accanto alla percezione dei danni incalcolabili prodotti dalle " moderne armi scientifiche " , vi è la progressiva adesione alla struttura politica di tipo democratico , con il riconoscimento dell ' opinione pubblica come istanza di controllo e di guida nella gestione del potere politico . Anche sul piano internazionale , il progressivo consolidarsi di una istanza sovranazionale costituisce una ( sia pur gracile ) alternativa alla guerra mediante la mediazione politica . Con la condanna del ricorso alla guerra , la coscienza cristiana va progressivamente superando anche la logica della deterrenza . La deterrenza , afferma il Concilio , " non è via sicura per conservare saldamente la pace ... le cause di guerre anziché venire eliminate da tale corsa minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente ... mentre si spendono enormi ricchezze per procurarsi sempre nuove armi , diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente " . In queste settimane di guerra ci ha costantemente guidato il magistero coerente e coraggioso del papa Giovanni Paolo II . Non dimentico le sue parole il mattino del primo giorno della guerra nel Golfo , era il 17 gennaio 1991 : " In queste ore di grandi pericoli , vorrei ripetere con forza che la guerra non può essere un mezzo adeguato per risolvere completamente i problemi esistenti tra le nazioni . Non lo è mai stato e non lo sarà mai . Continuo a sperare che ciò che è iniziato abbia fine al più presto . Prego affinché l ' esperienza di questo primo giorno di conflitto sia sufficiente per far comprendere l ' orrore di quanto sta succedendo e far capire la necessità che le aspirazioni e i diritti di tutti i popoli della regione siano oggetto di un particolare impegno della comunità internazionale . Si tratta di problemi la cui soluzione può essere ricercata solamente in un contesto internazionale , ove tutte le parti interessate siano presenti e cooperino con lealtà " . " Declino dell ' umanità , scacco della comunità internazionale , attentato ai valori più cari a tutte le religioni " , così diceva il Papa a proposito della guerra nel Golfo . Parole che dobbiamo ancora ripetere per la guerra nei Balcani . Dobbiamo instancabilmente cercare , pensare una alternativa all ' uso delle armi , anche quando essa sembra impossibile . Come vescovo avverto l ' urgenza di contribuire ad una educazione alla pace : solo scrutando le ragioni misteriose del male nella storia e nel cuore dell ' uomo possiamo comprendere perché la pace sia problema sempre aperto . Il riconoscimento del male in tutte le sue forme , questa immane potenza del negativo che ha nella guerra la sua manifestazione più drammatica , non deve però indurci al pessimismo paralizzando la fiducia nelle risorse positive dell ' uomo . Nasce di qui la tensione al dialogo come via privilegiata alla pace : " Ogni uomo , credente o no , pur restando prudente e lucido circa la possibile ostinazione del suo fratello , può e deve conservare una sufficiente fiducia nell ' uomo , nella sua capacità di essere ragionevole , nel suo senso del bene , della giustizia , dell ' equità , nella sua possibilità di amore fraterno e di speranza , mai totalmente pervertiti , per scommettere sul ricorso al dialogo e sulla sua possibile ripresa " ( Giovanni Paolo II , Messaggio per la Giornata della pace 1983 ) . Questa fiducia nell ' uomo è anzitutto fiducia nelle risorse della sua coscienza , soprattutto di quanti patiscono ingiustizia . Bisogna puntare " sulle forze di pace nascoste negli uomini e nei popoli che soffrono ... così da sottoporre le forze oppressive a delle spinte efficaci di trasformazione , più efficaci di quelle fiammate di violenza che in genere non producono nulla , se non un futuro di sofferenze ancora più grandi " ( Messaggio per la Giornata della pace , 1980 ) . Alla forza della coscienza e non alla violenza è affidata la causa della pace . Sul versante politico , la pace richiede strutture politiche sovranazionali davvero efficaci nell ' arginare le possibili sopraffazioni . Era già questo l ' auspicio di Paolo VI nel suo discorso alle Nazioni Unite nel 1965 : " Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di Poteri pubblici aventi ampiezza , strutture e mezzi delle stesse proporzioni , di Poteri pubblici cioè , che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale . Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali poteri vengano istituiti ... Chi non vede il bisogno di giungere così , progressivamente , a instaurare un ' autorità mondiale , capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico ? " . In questi giorni di guerra ripenso al lungo , difficile cammino della coscienza cristiana durante due millenni nel giudicare la guerra e gli armamenti . Prima delle armi nucleari e chimiche il principio della legittima difesa poteva in certi casi condurre a parlare di guerra giusta . Ora invece si è convinti della tragica inutilità e moralità di una guerra condotta con questi nuovi tipi di armamenti . Dobbiamo augurarci che la coscienza critica dei cristiani e di ogni uomo faccia ancora dei passi ulteriori . Intanto occorre che la mobilitazione contro il male sia accompagnata da un ' opera progettuale , che dia nuova consistenza alla pace , alla sicurezza , alla stessa dissuasione . In tale linea : una ricerca di giustizia , di eguaglianza , di solidarietà , il potenziamento del dialogo , dei sistemi democratici , degli organismi di controllo internazionali . La stessa dissuasione dovrebbe fondarsi non già sulla minaccia rappresentata dagli arsenali , bensì su quelle risorse ben più degne dell ' uomo che sono la solidarietà internazionale , le sanzioni giuridiche , l ' isolamento di chi fa ricorso alla prepotenza e alla forza . Rassegnarsi alla logica della guerra o della dissuasione armata vuol dire accettare la spirale perversa degli armamenti e finire in una trappola mortale per l ' umanità . Dal punto di vista progettuale , accanto alla proposta di studiare forme efficaci di difesa civile non violenta , sta il riconoscimento del valore della obiezione di coscienza , la denuncia di certe forme di ricerca scientifica subalterne a logiche di distruzione , lo scandalo rappresentato dal divario crescente Nord - Sud alimentato dal commercio delle armi . Sta l ' appello alla mediazione politica come strumento di composizione dei conflitti ; l ' appello a disarmare gli animi , armando la ragione ; l ' appello a credere nella Parola : " Forgeranno le loro spade in vomeri , le loro lance in falci , un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo " . ( Isaia , 2,4 ) .
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Nel dicembre del 1993 si è svolto alla Sorbona , sotto l ' egida della Academie Universelle des Cultures , un congresso sul concetto di intervento internazionale . C ' erano non solo giuristi , politologi , militari , politici , ma anche filosofi e storici come Paul Ricoeur o Jacques Le Goff , medici senza frontiere come Bernard Koutchner , rappresentanti di minoranze un tempo perseguitate come Elie Wiesel , Ariel Dorfmann , Toni Morrison , vittime della repressione di vari dittatori , come Leszek Kolakowski o Bronislaw Geremek o Jorge Semprun , insomma molta gente a cui la guerra non piace , non è mai piaciuta e non vorrebbero vederne più . Si aveva paura a usare parole come " intervento " , che sapeva troppo di ingerenza ( anche Sagunto è stato un intervento , e ha permesso ai romani di fare fuori i cartaginesi ) , e si preferiva parlare di soccorso e di " azione internazionale " . Pura ipocrisia ? No , i romani che intervengono a favore di Sagunto sono romani , e basta . In quel convegno invece si stava parlando di comunità internazionale , di un gruppo di paesi che ritengono che la situazione , in un punto qualsiasi del globo , abbia raggiunto l ' intollerabile , e decidono di intervenire per porre fine a quello che la coscienza comune definisce un delitto . Ma quali paesi fanno parte della comunità internazionale , e quali sono i limiti della coscienza comune ? Si può certo sostenere che per ogni civiltà uccidere sia un male , ma solo entro certi limiti . Noi europei e cristiani ammettiamo per esempio l ' omicidio per legittima difesa , ma gli antichi abitanti del Centro e Sud America ammettevano il sacrificio umano rituale , e gli attuali abitanti degli Stati Uniti ammettono la pena di morte . Una delle conclusioni di quel tormentatissimo convegno era stata che , come avviene in chirurgia , intervenire significa agire energicamente per interrompere o eliminare un male . La chirurgia vuole il bene , ma i suoi metodi sono violenti . È consentita una chirurgia internazionale ? Tutta la filosofia politica moderna ci dice che , per evitare la guerra di tutti contro tutti , lo Stato deve esercitare una certa violenza sugli individui . Ma quegli individui hanno sottoscritto un contratto sociale . Che cosa avviene tra stati che non hanno sottoscritto un contratto comune ? Di solito una comunità , che si ritiene depositaria di valori molto diffusi ( diciamo i paesi democratici ) stabilisce i limiti di ciò che essa giudica intollerabile . Non è tollerabile condannare a morte per reati d ' opinione . Non è tollerabile il genocidio . Non è tollerabile l ' infibulazione ( almeno , se praticata a casa nostra ) . Pertanto si decide di difendere coloro che sono danneggiati ai limiti dell ' intollerabile . Ma sia chiaro che quell ' intollerabile è intollerabile per noi , non per "loro".Chi siamo noi ? I cristiani ? Non necessariamente , cristiani rispettabilissimi , anche se non cattolici , appoggiano Milosevic . Il bello è che questo " noi " ( anche se è definito da un trattato , come quello nord - atlantico ) è un Noi impreciso . È una Comunità che si riconosce su alcuni valori . Dunque quando si decide di intervenire in base ai valori di una Comunità , si fa una scommessa : che i nostri valori , e il nostro senso dei limiti tra tollerabile e intollerabile , siano giusti . Si tratta di una sorta di scommessa storica non diversa da quella che legittima le rivoluzioni , o i tirannicidi : chi mi dice che io abbia diritto di esercitare la violenza ( e che violenza , talora ) per ristabilire quella che ritengo una giustizia violata ? Non c ' è nulla che legittimi una rivoluzione , per chi l ' avversa : semplicemente chi vi si impegna crede , scommette , che ciò che fa sia giusto . Non diversamente accade per la decisione di un intervento internazionale . È questa situazione quella che spiega l ' angoscia che afferra tutti in questi giorni . C ' è un male terribile a cui opporsi ( la pulizia etnica ) : è l ' intervento bellico lecito o no ? Si deve fare una guerra per impedire una ingiustizia ? Secondo giustizia sì . E secondo carità ? Ancora una volta si ripropone il problema della scommessa : se con una violenza minima avrò impedito una ingiustizia enorme , avrò agito secondo carità , come fa il poliziotto che spara al pazzo assassino per salvare la vita a molti innocenti . Ma la scommessa è duplice . Da un lato si scommette che noi siamo in accordo col senso comune , che quello che vogliamo reprimere è qualche cosa di universalmente intollerabile ( e peggio per chi non lo capisce e ammette ancora ) . Dall ' altro si scommette che la violenza che giustifichiamo riuscirà a prevenire violenze maggiori . Sono due problemi assolutamente diversi . Ora provo a dare per scontato il primo , che scontato non è , ma vorrei ricordare a tutti che questo non è un trattato di etica , bensì un articolo di giornale , sordidamente ricattato da esigenze di spazio e di comprensibilità . In altre parole , il primo problema è così grave , e angoscioso , che non può , anzi non deve essere trattato sulle gazzette . Diciamo allora che è giusto , per impedire un delitto come la pulizia etnica ( foriero di altri delitti e di altre atrocità che il nostro secolo ha conosciuto ) , ricorrere alla violenza . Ma la seconda domanda è se la forma di violenza che esercitiamo possa davvero prevenire violenze maggiori . Qui non siamo più di fronte a un problema etico bensì a un problema tecnico , il quale ha tuttavia un risvolto etico : se l ' ingiustizia a cui mi piego non prevenisse l ' ingiustizia maggiore , sarebbe stato lecito usarla ? Questo equivale a fare un discorso sulla utilità della guerra , nel senso di guerra guerreggiata , di guerra tradizionale , che ha per fine l ' annientamento finale del nemico e la vittoria del vincitore . Il discorso sulla inutilità della guerra è difficile perché pare che chi lo fa parli in favore dell ' ingiustizia che la guerra cerca di sanare . Ma questo è un ricatto psicologico . Se qualcuno per esempio dicesse che tutti i guai della Serbia derivano dalla dittatura di Milosevic , e che se i servizi segreti occidentali riuscissero a uccidere Milosevic tutto si risolverebbe in un giorno , questo qualcuno criticherebbe la guerra come strumento utile per risolvere il problema del Kosovo , ma non sarebbe pro - Milosevic . D ' accordo ? Perché nessuno adotta questa posizione ? Per due ragioni . Una , che i servizi segreti di tutto il mondo sono per definizione inefficienti , non sono stati capaci di fare ammazzare né Castro né Saddam ed è vergognoso che si consideri ancora giusto sperperare per essi pubblico denaro . L ' altro è che non è affatto vero che quello che fanno i serbi sia dovuto alla follia di un dittatore , ma dipende da odi etnici millenari , che coinvolgono e loro e altre etnie balcaniche , il che rende il problema ancora più drammatico . Torniamo allora al discorso sulla utilità della guerra . Qual è stato nel corso dei secoli il fine di quella che chiameremo paleo - guerra ? Sconfiggere l ' avversario in modo da trarre un beneficio dalla sua perdita . Questo imponeva tre condizioni : che al nemico dovessero essere tenute segrete le nostre forze e le nostre intenzioni , in modo da poterlo prendere di sorpresa ; che ci fosse una forte solidarietà nel fronte interno ; che infine tutte le forze a disposizione fossero utilizzate per distruggere il nemico . Per questo nella paleo - guerra ( compresa la guerra fredda ) si stroncavano coloro che dall ' interno del fronte amico trasmettevano informazioni al fronte nemico ( fucilazione di Mata Hari , i Rosenberg sulla sedia elettrica ) , si impediva la propaganda del fronte avverso ( si metteva in prigione chi ascoltava Radio Londra , McCarthy condannava i filocomunisti di Hollywood ) , e si punivano coloro che , dall ' interno del fronte nemico , lavoravano contro il proprio paese ( impiccagione di John Amery , segregazione a vita di Ezra Pound ) perché non si doveva fiaccare lo spirito dei cittadini . E infine si insegnava a tutti che il nemico andava ucciso , e i bollettini di guerra esultavano quando le forze nemiche venivano sterminate . Queste condizioni sono entrate in crisi con la prima neo - guerra , quella del Golfo , ma si attribuiva ancora la smagliatura alla stupidità dei popoli di colore , che ammettevano i giornalisti americani a Bagdad , forse per vanità , o per corruzione . Ora non ci sono più equivoci , l ' Italia invia aerei in Serbia ma mantiene relazioni diplomatiche con la Jugoslavia , le televisioni della Nato comunicano ora per ora ai serbi quali aerei Nato stanno lasciando Aviano , agenti serbi sostengono le ragioni del governo avversario dagli schermi della televisione di stato , giornalisti italiani trasmettono da Belgrado con l ' appoggio delle autorità locali . Ma è guerra questa , col nemico in casa che fa propaganda per i suoi ? Nella neo - guerra ciascun belligerante ha il nemico nelle retrovie e , dando continuamente la parola all ' avversario , i media demoralizzano i cittadini ( mentre Clausewitz ricordava che condizione della vittoria è la coesione morale di tutti i combattenti ) . D ' altra parte , quand ' anche i media fossero imbavagliati , le nuove tecnologie della comunicazione permettono flussi d ' informazione inarrestabili - e non so quanto Milosevic possa bloccare non dico Internet ma le trasmissioni radio da paesi nemici . Tutte le cose che ho detto sembrano contraddire il bell ' articolo di Furio Colombo su Repubblica del 19 aprile scorso , dove si sostiene che il Villaggio Globale di McLuhaniana memoria sarebbe morto il 13 aprile 1999 , quando in un mondo di media , cellulari , satelliti , spie spaziali e così via , si dovette dipendere dal telefonino da campo di un funzionario di agenzia internazionale , incapace di chiarire se davvero fosse avvenuta una infiltrazione serba in territorio albanese . " Noi non sappiamo nulla dei serbi . I serbi non sanno nulla di noi . Gli albanesi non riescono a vedere sopra il mare di teste che li sta invadendo . La Macedonia scambia i profughi per nemici e li massacra di botte " . Ma allora , questa è una guerra dove ciascuno sa tutto degli altri o dove nessuno sa niente ? Tutte e due le cose . Il fronte interno è trasparente , mentre la frontiera è opaca . Gli agenti di Milosevic parlano nelle trasmissioni di Gad Lerner , mentre sul fronte , là dove i generali di un tempo esploravano col binocolo , e sapevano benissimo dove si appostava il nemico , oggi non si sa niente . Questo accade perché , se il fine della paleo - guerra era distruggere quanti più nemici fosse possibile , pare tipico della neo - guerra cercare di ucciderne il meno possibile , perché a ucciderne troppi si incorrerebbe nella riprovazione dei media . Nella neo - guerra non si è ansiosi di distruggere il nemico , perché i media ci rendono vulnerabili di fronte alla sua morte - non più evento lontano e impreciso , ma evidenza visiva insostenibile . Nella neo - guerra ogni armata si muove all ' insegna del vittimismo . Milosevic accusa orribili perdite ( Mussolini se ne sarebbe vergognato ) , e basta che un aviatore della Nato caschi a terra che tutti si commuovono . Insomma , nella neo - guerra perde , di fronte all ' opinione pubblica , chi ha ammazzato troppo . E dunque è giusto che alla frontiera nessuno si affronti e nessuno sappia niente dell ' altro . In fondo la neo - guerra è all ' insegna della " bomba intelligente " , che dovrebbe distruggere il nemico senza ammazzarlo , e si capiscono i nostri ministri che dicono : noi , scontri col nemico ? ma niente affatto ! Che poi un sacco di gente muoia lo stesso è tecnicamente irrilevante . Anzi , il difetto della neo - guerra è che muore della gente , ma non si vince . Ma possibile che nessuno sappia condurre una neo - guerra ? Nessuno , è naturale . L ' equilibrio del terrore aveva preparato gli strateghi a una guerra atomica ma non a una terza guerra mondiale , dove si dovessero spezzare le reni alla Serbia . É come se i migliori laureati del Politecnico fossero stati tenuti per cinquant ' anni a fare videogiochi . Vi fidereste a lasciargli fare ora un ponte ? Ma infine , l ' ultima beffa della neo - guerra non è che non ci sia nessuno oggi in servizio che sia vecchio abbastanza da avere imparato a fare una guerra - e non ci potrebbe essere in ogni caso , perché la neo - guerra è un gioco dove per definizione si perde sempre , anche perché la tecnologia che viene usata è più complessa del cervello di coloro che la manovrano e un semplice computer , benché fondamentalmente idiota , può giocare più scherzi di quanti ne immagini colui che lo manovra .. Bisogna intervenire contro il delitto del nazionalismo serbo , ma forse la guerra è un ' arma spuntata . Forse l ' unica speranza è nell ' avidità umana . Se la vecchia guerra ingrassava i mercanti di cannoni , e questo guadagno faceva passare in secondo piano l ' arresto provvisorio di alcuni scambi commerciali , la neo - guerra , se pure permette di smerciare un surplus di armamenti prima che diventino obsoleti , mette in crisi i trasporti aerei , il turismo , gli stessi media ( che perdono pubblicità commerciale ) e in genere tutta l ' industria del superfluo . Se l ' industria degli armamenti ha bisogno di tensione , quella del superfluo ha bisogno di pace . Prima o poi qualcuno più potente di Clinton e di Milosevic dirà basta , e tutti e due ci staranno a perdere un poco di faccia , pur di salvare il resto . È triste , ma almeno è vero .
La trasgressione impossibile ( Perina Flavia , 2000 )
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POTREBBE essere un racconto di Pirandello . Il racconto di un uomo sempre controcorrente , che sul marciare controvento ha costruito una clamorosa e onoratissima carriera diventando il simbolo stesso della demolizione delle regole e del rovesciamento degli schemi , che tuttavia non riesce ad ammettere - neanche per un attimo , nemmeno con se stesso - la prima e la più assoluta delle sue trasgressioni : l ' adesione a una " causa sbagliata " , poi diventata nell ' arco degli anni un autentico tabù sociale e storico . Potrebbe essere un racconto di Pirandello , e invece è la vicenda di Dario Fo , tornata d ' attualità sull ' onda della polemica sulle " confessioni " di Roberto Vivarelli riguardo all ' adesione alla Rsi . Anche Dario Fo vestì la divisa della Rsi . Anche lui è stato interpellato di recente sui motivi di quella scelta . A oltre cinquantanni di distanza , da uno così uno che sul " coraggio di dire di no " ha costruito una carriera da Nobel , ci si poteva aspettare un fulminante " outing " . E vero , l ' ho fatto . Invece è arrivato un deprimente contorcimento . Deprimente sia per il compagno di " Guerra di popolo in Cile " sia per il camerata di " Battaglioni del Duce battaglioni " . " A differenza di Vivarelli che , sebbene per poco , ci credette - ha spiegato Dario Fo al " Corriere " - io aderii alla Rsi per ragioni molto più pratiche : cercare di imboscarmi , portare a casa la pelle " . Fo dice di aver scelto l ' artiglieria contraerea di Varese perché tanto " non aveva cannoni " ed era facile prevedere che gli arruolati sarebbero presto stati rimandati a casa . Quando capì che invece rischiava di essere spedito in Germania " a sostituire gli artiglieri tedeschi massacrati dalle bombe " , trovò un ' altra scappatoia . Si arruolò nella scuola paracadutisti di Tradate . Frequentò il corso . E " finito l ' addestramento , fuga finale . Tornai nelle mie valli , cercai di unirmi a qualche gruppo di partigiani , ma non ne era rimasto nessuno " . E ' una versione ben differente da quella che lo stesso Fo fornì vent ' anni fa , e di cui diamo conto nell ' articolo qui a fianco . All ' epoca il giullare di " Mistero buffo " sosteneva addirittura di essere entrato nella Rsi su incarico di formazioni partigiane . Smentito in processo , è stato probabilmente costretto a " emendare " i suoi ricordi . Resta da chiedersi come mai nemmeno dopo mezzo secolo , nemmeno dopo il Nobel , nemmeno dopo l ' incrinatura del tabù che ha ossessionato due generazioni di italiani , un pluri - settantenne del calibro di Fo , ormai al riparo dalle intemperie della discriminazione , riesca a riconciliarsi con le scelte della sua giovinezza . Delle due l ' una : o la gabbia creata dalle vestali del " politicamente corretto " è infrangibile , o è molto fragile - debole , succubo conformista - lui .
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San Francisco - Telegraph Hill è una delle tante colline sulle quali è costruita San Francisco , forse la più alta . Sulla cima della collina c ' è un belvedere e un faro , tra ameni boschetti e aiuole fiorite . Si può salire in cima al faro e di lassù godersi la vista di tutta la città , variamente disposta su e giù per le alture ; dei due grandi ponti , l ' uno rosso e l ' altro ferreo che scavalcano la baia ; della baia stessa , azzurra e scintillante al sole , con l ' isoletta penitenziaria di Alcatraz e i cento battelli che la solcano . Un giorno che guardavamo questo bellissimo panorama sul quale le nuvole leggere e bianche che viaggiavano nel cielo gettavano or sì or no grandi ombre effimere , qualcuno ci indicò un quartiere lontano : " Laggiù abitano i Russi , o meglio i discendenti americani della colonia russa di San Francisco " . Dapprima rimanemmo sconcertati , quindi ricordammo ; nel 1811 i Russi nella loro marcia verso l ' Oriente avevano finito per raggiungere anche questo lembo dell ' estremo Occidente . Il corriere dello Zar arrivava fin qui , portando i dispacci di San Pietroburgo alla Compagnia Russa delle pellicce insediata a Yerba Buena , antico nome di San Francisco . La Compagnia delle pellicce durò fino al 1840 e poi fu sciolta e la Russia rinunziò alla California e i Russi che restarono a Yerba Buena diventarono col tempo cittadini americani . Erano forse un centinaio ; assommano oggi a parecchie migliaia . Questa informazione ci diede da pensare : i Russi erano stati in questa parte dell ' America prim ' ancora degli Americani , avevano posseduto l ' Alaska ( poi venduta agli Stati Uniti , nel 1867 , per sette milioni di dollari ) , avevano impiantato una colonia in California . Insomma i rapporti degli Stati Uniti con la Russia erano molto antichi ed erano rapporti di frontiera , né più né meno di quelli con l ' Inghilterra e con la Spagna . Tre imperi , dunque , quello inglese , quello spagnuolo e quello russo avevano sbarrato il passo all ' espansione yankee : con l ' impero inglese , gli Americani dopo contrasti secolari , hanno stabilito legami di cuginanza , se non di fraternità ; di quello spagnuolo , hanno pensato a liberarli gli stessi domini spagnuoli d ' America , rendendosi indipendenti ; con l ' impero russo , invece , i rapporti , come è noto , sono , ancor oggi , tutt ' altro che buoni . Ora che a Ginevra è scoppiata , come dicono facetamente le gazzette , la pace , si può fare forse il punto su questi rapporti e domandarsi : che pensano gli Americani della Russia ; e in maniera più particolare : quali sono , fuori della situazione ufficiale e diplomatica , i sentimenti del popolo americano per la Russia ? Bisogna prima di tutto distinguere i gruppi intellettuali e fino ad un certo segno politici , dalla massa , ossia dalla middle - class . Per quanto riguarda i gruppi intellettuali e politici , i cosiddetti anni trenta , ossia il periodo che va dalla crisi del 1929 alla fine della guerra civile in Spagna , segnano al tempo stesso il punto di incontro e di rottura tra l ' intellighenzia americana e il marxismo staliniano . La grande crisi economica del 1929 , chiudendo centinaia di fabbriche e gettando sul lastrico fino a dodici milioni di persone , aveva fatto dubitare molti Americani della bontà e solidità del sistema politico ed economico tradizionale degli Stati Uniti . Il comunismo o meglio il marxismo sembrò allora a molti intellettuali la sola teoria economica e politica alla quale si potesse ricorrere per risolvere la crisi nazionale , la più grave della storia americana dopo quella della guerracivile . Però , fatto importante e che occorre sottolineare , questa simpatia per il marxismo e per la Russia di Stalin non oltrepassò i limiti di ristretti gruppi di intellettuali e uomini politici ; le masse che purtuttavia erano state le più colpite dalla crisi economica , restarono fuori di questa simpatia ; le grandi Trade Unions si mantennero sopra un terreno strettamente economico ; il partito comunista americano non fu mai più di un ' insignificante setta di poche migliaia di persone . Il movimento di simpatia per il marxismo staliniano e per la Russia Sovietica non durò più di una decina di anni , approssimativamente dalla grande crisi o poco prima , alla fine della guerra di Spagna . All ' infatuazione , forse superficiale , forse dilettantesca , forse fondata piuttosto su motivi negativi che positivi , seguì una profonda delusione che , in un Paese come gli Stati Uniti dove le esperienze psicologiche individuali hanno sempre uno sfondo morale e sociale , ebbe effetti addirittura storici . Questa delusione derivò da due fatti , l ' uno interno e l ' altro esterno : all ' interno , come si è detto , le masse rimasero sorde all ' appello marxista e fedeli all ' american way of life e così gli intellettuali e lo stesso partito comunista americano sentirono di essere al tutto privi di giustificazioni sociali . All ' esterno , la politica estera di Stalin , oltre a dar prova di un machiavellismo addirittura rinascimentale ( assassinio di Trotzky , condotta della guerra in Spagna , trattato germano - sovietico etc. etc . ) ripugnante alla mentalità puritana ed anglosassone , si configurò per giunta , in maniera sempre più decisa , come politica di rivalità non tanto ideologica quanto nazionale con gli Stati Uniti . In altri termini gli intellettuali , a torto o a ragione , scoprirono o credettero di scoprire che il comunismo internazionale era uno strumento della politica estera russa e che la loro simpatia per il marxismo poteva portarli , alla lunga , su posizioni non tanto anticapitaliste quanto antiamericane . Oggi , se si vuoi parlare di comunismo , non è certo nei circoli intellettuali di Nuova York che si trovano orecchie pazienti e ragionevoli . L ' anticomunismo degli intellettuali americani , forse perché radicato in un ' antica e profonda delusione , è tenace , violento e assolutamente irriducibile . Circa le masse , ossia la middle - class che abbraccia con i suoi standard uniformi la maggioranza degli Americani , il discorso si fa più complicato e più sottile . Per il suo anti - comunismo e antisovietismo valgono le stesse ragioni che per gli intellettuali , più altre inerenti alla natura dello sviluppo industriale economico e sociale degli Stati Uniti . Le prime ragioni sono quelle già esposte : la Russia si è giocata le simpatie delle masse americane dal giorno in cui Stalin fece una politica di rivalità nazionale con gli Stati Uniti . In altri termini non riuscì alla Russia di fare negli Stati Uniti ciò che aveva fatto con successo in altri Paesi : contrapporre le masse alla classe dirigente e nello stesso tempo sganciare l ' ideologia marxista dalla politica estera russa . E si capisce anche perché : gli Stati Uniti sono il solo Paese al mondo forse con il quale la Russia è in un rapporto diretto di rivalità prim ' ancora nazionale che ideologica . Così , in America , avviene alla politica russa il rovescio esatto di quanto le accade negli altri Paesi : mentre in altri Paesi facilmente si interpretano gli accorgimenti tradizionali della politica estera russa come sviluppi coerenti della dialettica marxista , in America le complessità e sottigliezze di questa dialettica vengono sovente scambiate per pure astuzie e furberie sarmatiche . Il patriottismo delle masse americane , in tal modo , è stato svegliato e messo in allarme ; e ci vorranno molti anni di vera pace perché si calmi e abbandoni la sua estrema diffidenza . Ma le ragioni del disinteresse delle masse americane per il marxismo sono anche dovute , come abbiamo accennato , a motivi inerenti alla natura stessa dello sviluppo industriale e sociale degli Stati Uniti . In maniera generale , si può affermare che il marxismo non trova appigli tra le masse degli Stati Uniti per la buona ragione che , all ' infuori di riforme strettamente politiche ( e dunque poco importanti , trattandosi dopo tutto di una teoria politica fondata sull ' economia ) , esso per ora non ha nulla da offrire di veramente nuovo alle masse americane . È vero che agli Stati Uniti c ' è il capitalismo ; ma uno degli agganci della polemica comunista contro il capitalismo in Europa , ossia i suoi legami con le vecchie classi feudali e parassitarie , in America manca del tutto . Inoltre il marxismo che nell ' Europa orientale e in Asia fa leva sul formidabile motivo della rivoluzione industriale e della creazione di una classe dirigente tecnocratica , in America , trova rivoluzione industriale e classe tecnocratica già bell ' e formate ad opera del capitalismo . Del resto quando si parla di masse e di simpatie delle masse , si allude piuttosto che a determinate condizioni materiali , a esperienze psicologiche e morali . Ora gli Americani hanno già fatto l ' esperienza psicologica e morale della rivoluzione industriale e tecnocratica , hanno già assaporato l ' ebbrezza collettiva della prosperità di massa , hanno già digerito la scoperta delle determinazioni economiche della vita sociale ; e ben difficilmente saranno tentati in futuro di dare ascolto ad una teoria che gli proponga di nuovo queste stesse scontate esperienze . Marx , tra tante profezie azzeccate , ne aveva fatta una che si è verificata sbagliata , e cioè che il comunismo avrebbe avuto i suoi primi successi nei Paesi di più avanzato sviluppo industriale . In realtà è avvenuto il contrario ; e il maggior ostacolo alla comprensione del marxismo in America , a parte la mentalità puritana , sta proprio nella coscienza economica e industriale delle masse americane , nella loro maturità tecnocratica . Naturalmente non si vuol dire con questo che in America non ci sia il capitalismo : si vuol dire soltanto che il capitalismo vi ha raggiunto per conto suo molti degli scopi ai quali mira il comunismo in Europa orientale e in Asia . Donde la mancanza di attrazione del mito sovietico e la riduzione della Russia Sovietica a Paese rivale , quando addirittura non ostile . S ' intende che ciò non significa affatto che gli Americani nutrano una preconcetta ostilità contro i Russi . Le accoglienze cordiali che recentemente hanno ricevuto i membri della commissione agricola russa in viaggio negli Stati Uniti stanno a dimostrare una verità antica quanto il mondo : nessun popolo odia alcun popolo . Ma , d ' altra parte , è anche vero che per gli Americani la Russia Sovietica è forse , tra tutti i Paesi del mondo , il più difficile a capirsi . Più della Cina di Mao ; più dei Paesi di diversa religione e civiltà , buddisti o maomettani . L ' incomprensione degli Americani è dovuta in parte all ' ignoranza dei motivi storici , sociali e filosofici del comunismo ; ma soprattutto , strano a dirsi , alla lentezza con la quale la rivoluzione comunista si configura storicamente in una società stabile e riconoscibile . Gli ideali americani del successo , della praticità e dell ' efficienza sono contraddetti da una rivoluzione che pare continuamente essere ritirata , come diceva Machiavelli , verso i suoi principi ; che dopo circa quarant ' anni non si è ancora disfatta dei mezzi coercitivi di cui si servì agli inizi per trionfare dei suoi nemici ; e che sembra rimandare ad un domani mitico i risultati materiali per raggiungere i quali è stata compiuta . Strano a dirsi , ripetiamo , ma se il comunismo riuscisse a portare le masse russe ad un livello di prosperità di tipo occidentale , se le frontiere della Russia fossero aperte e milioni di turisti russi ben vestiti ed equipaggiati invadessero il mondo , l ' incomprensione degli Americani verso la Russia Sovietica si attenuerebbe di molto . In queste cose è difficile arrivare ad una conclusione ; tanto più che i rapporti russo - americani sono forse entrati in questi giorni in una nuova fase di cui è impossibile prevedere gli sviluppi . Ma più di un secolo fa Alexis de Tocqueville , nel suo libro sulla democrazia in America fece alcune considerazioni che oggi sembrano addirittura profetiche : " Ci sono oggi due grandi popoli che partiti da punti diversi sembrano dirigersi verso gli stessi scopi : i Russi e gli Americani . Tutti e due sono cresciuti nell ' oscurità e mentre gli sguardi degli uomini erano distratti altrove , si sono ad un tratto posti in prima fila tra le Nazioni e il mondo ha appreso al tempo stesso la loro nascita e la loro grandezza . Tutti gli altri popoli sembrano aver raggiunto il loro limite ; soltanto loro sono in crescenza . Tutti gli altri si sono fermati o avanzano con sforzo , solo loro procedono con passo spedito e rapido in una carriera di cui per ora non possiamo neppure intravedere la conclusione . L ' Americano lotta contro gli ostacoli che gli oppone la natura . Il Russo è alle prese con l ' uomo . L ' uno combatte il deserto e la barbarie , l ' altro la civiltà rivestita di tutte le sue armi . Così le conquiste dell ' Americano si fanno con l ' aratro dell ' agricoltore e quelle del Russo con le armi del soldato . Per raggiungere i suoi scopi il primo si fonda sull ' interesse personale e lascia agire senza dirigerle la forza e la ragione degli individui . Il secondo concentra in qualche modo in un sol uomo tutta la potenza della società . L ' uno ha come mezzo principale di azione la libertà ; l ' altro la servitù . Il loro punto di partenza è diverso , le loro strade sono diverse ; tuttavia ciascuno di essi sembra essere chiamato , da un segreto disegno della Provvidenza , a tenere un giorno nelle proprie mani il destino della metà del mondo " . Alexis de Tocqueville , per quanto profetico , non poteva prevedere la rivoluzione russa ( neppure Marx l ' aveva prevista ) ; ma il suo occhio sagace , in un tempo in cui le maggiori Potenze del mondo erano ancora la Francia e l ' Inghilterra , aveva intuito le linee principali dell ' avvenire del mondo , ossia la presenza di due grandi Potenze come gli Stati Uniti e la Russia , la loro rivalità negli stessi campi e per gli stessi scopi , e , in certo modo , anche la loro coesistenza , per dirla con una parola di moda . Per completare il quadro dei rapporti russo - americani , bisognerebbe forse adesso poter dire quali sono i sentimenti del popolo russo per quello americano , che cosa sa e non sa il popolo russo degli Stati Uniti . Non siamo in grado di farlo ; ma è chiaro che la pace del mondo dipende quasi per intero dalla mutua conoscenza e comprensione di questi due popoli così profondamente diversi .
Kika - Un corpo in prestito ( Tornabuoni Lietta , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Comico , sessuale , sarcastico , Kika , che per via di contese giudiziarie esce in Italia con un anno di ritardo sul resto d ' Europa , è quasi un ' antologia , un collage o un pastiche del cinema di Almodóvar , quasi una sintesi d ' addio a quel mondo e a quello stile bizzarro , spiritoso , erotico , anarchico e brillante che ha reso celebre e fatto amare nel mondo il regista spagnolo quarantaquattrenne . Appena un po ' stanco , a volte ripetitivo : ma è nel caso la ripetizione di personaggi e avventure così divertenti che ( capita anche con Woody Allen ) li si rincontra sempre con gran piacere . In due giornate travolgenti e assurde si condensano tanti tic di Almodóvar : storie melodrammatiche sincere e ironiche ; donne ardite , sensuali , nevrotiche e allegre ; cieli notturni d ' azzurro profondo con luminose lune da presepio ; passioni e sentimenti tanto abnormi quanto schietti ; colori primari e squillanti , soprattutto il rosso ; trasgressione , peripezie , carnalità , buffoneria . In più , c ' è in Kika l ' ossessione voyeuristica contemporanea della vita guardata anziché vissuta ; c ' è la vanificazione del desiderio e dell ' utopia ; c ' è l ' invadenza televisiva che riduce i destini umani a brandelli d ' informazione sensazionalista . A rappresentare la tv abietta è Victoria Abril , ex psicologa , autrice del teleprogramma « Il peggio della giornata » che mescola notizie raccapriccianti e interviste con vittime o carnefici quotidiani , battezzata Andrea la Sfregiata ( « Caracortada » ) , montata su un ' immensa motocicletta veloce , vestita da Jean - Paul Gaultier , con in testa un casco - telecamera che le permette di riprendere tutto ciò che vive e vede . La cultura tradizionale è invece impersonata da Donna Paquita , una vecchia signora ( è la mamma di Almodòvar ) che conduce stracca un telesalotto letterario , senza neppure fingersi interessata ai libri e ai loro autori , ostentando persino la propria ignoranza e la propria noia : e che ha quindi gran successo . Molto più simpatica , Kika è una truccatrice che attraversa lietamente indenne le più straordinarie avventure . Trucca un morto così bene da riportarlo in vita . Abita con un fotografo che non arriva all ' orgasmo senza le Polaroid scattate durante l ' amore , che la spia da lontano con il teleobiettivo , che porta uno zainetto leopardato e che la ama « al mio modo sporco e silenzioso » . È anche amante del patrigno dell ' amante , uno scrittore americano assassino . Ha una cameriera lesbica che pure la ama ma critica la sua eterosessualità : « Juanita , sei mai stata con un uomo ? » « No , solo con mio fratello , un subnormale , ipersessuato come tutti i subnormali » . Questo fratello , un galeotto ex pornodivo , fugge dalla prigione , piomba in casa , ruba , si getta su Kika e la violenta in uno stupro lunghissimo ( lei , annoiata , lo incita a sbrigarsi , a farla finita ) , frenetico e impossibile da interrompere : neanche la polizia , quando arriva , riesce a tirarlo via dal corpo della donna . Ma nulla doma la vitalità di Kika , sempre pronta a nuove peripezie e compagnie , a nuovi viaggi , a nuove scoperte : e speriamo che così sia anche per Almodóvar .
Dino Buzzati ( Montanelli Indro , 1951 )
StampaQuotidiana ,
La cosa più straordinaria che potesse capitare e che difatti capitò a Dino Buzzati fu di fare l ' inviato speciale di un grande giornale in tempo di guerra . Ci riuscì splendidamente , intendiamoci . Le sue corrispondenze marinare sono ancora oggi dei pezzi di antologia , e ognuna di esse costituisce un racconto perfettamente composto nella sua armoniosa architettura . Di sbagliato , o meglio di inutile , non c ' è che la prima riga : quella che precisa il luogo , il giorno , il mese e l ' anno in cui l ' articolo fu scritto . Ma era il giornale ad aggiungerla , perché Buzzati se ne dimenticava sempre . In realtà le sue descrizioni , salvo qualche trascurabile particolare tecnico , erano così al di fuori del tempo e dello spazio , che avrebbero potuto benissimo adattarsi anche a Lepanto , a Trafalgar , a Tsushima o alle Falkland . Qualcuno in redazione si preoccupava di interpolarvi gl ' indispensabili riferimenti , e anche i punti e le virgole . Perché Buzzati scrive senza punteggiatura , e non ha mai capito dov ' è che finisce una frase e ne comincia un ' altra , dov ' è che bisogna far pausa e aprire una proposizione subordinata . Buzzati sfugge le regole ortografiche per la stessa ragione per cui sfugge i fatti . Quando ha finito , con molta fatica , il suo « pezzo » , vi sparge sopra , come una manciata di sale , un congruo numero di virgole , dove vanno vanno . Poi rilegge , ha paura ( sempre ) di aver scritto soltanto delle sciocchezze , e chiama Gaetano Afeltra perché gli dia un giudizio . Il più magico degli scrittori italiani è anche il più incerto di sé e timoroso . Non usa la macchina da scrivere . Compone a penna con una calligrafia da bambino , chiarissima , e spesso ricopia tre o quattro volte il compitino , che di lontano ricorda sempre un po ' la lettera che si usava ai « cari genitori » per Natale e capodanno . Qua e là poi , ogni tanto , è capace di disegnarvi delle figurine , specie di animali ; e si vede benissimo che mentalmente egli dedica i suoi scritti a della gente come lui : cioè a dei bambini di trenta , quaranta o cinquant ' anni . Eccolo che arriva al giornale con la sua Topolino di antiquato modello . Non la rinnova perché è avaro , e lo confessa . E va piano perché è pauroso , ed anche questo lo confessa . Però guida con i guanti infilati come se si trattasse di attraversare l ' Europa , e ogni volta che scende è tutta una liturgia di saluti come se fosse reduce da un fortunoso viaggio in terre lontane . Buzzati augura il buon giorno e si toglie il cappello al portiere , al garagista , al fattorino , all ' impiegato , alla dattilografa e perfino a tutti i colleghi che incontra per le scale . Non dà del « lei » anche a me , solo perché potrebbe sembrare una posa ; ma è chiaro che il « tu » gli costa un certo sforzo . È vestito con suprema eleganza . Tanta , che nessuno si è mai accorto che Buzzati è un uomo elegante . Porta i capelli , su cui gli anni hanno cominciato a seminare qualche filo d ' argento , tagliati corti , giacche senza attillatura e con spalle a bottiglia ; cravatte di colore spento , annodate in modo che sembra che sia stata la mamma a farlo , mormorandogli all ' orecchio la consueta raccomandazione : « E non sporcarti , eh ? La roba a lavarla , si consuma ; e costa tanto , al giorno d 'oggi...» . Dino , figlio obbediente , non sporca mai nulla . La giacca , appunto per non sporcarla , se la cambia appena entra nel suo ufficio ; e ogni poco si alza per andare a lavarsi le mani . Infatti a pensarci bene le sue pagine si sente benissimo che sono state composte da mani pulite . In tutti sensi . Quando , subito dopo la Liberazione , ci fu , al « Corriere » , l ' inchiesta per epurare i collaborazionisti , Buzzati fu , a quanto pare , l ' unico , fra quelli rimasti al lavoro dopo 1'8 settembre , a non subire processi . A nessuno poteva venire , e a nessuno infatti venne in mente di incriminarlo . Il primo a stupirsene sinceramente sarebbe stato lui che , quando io dalla prigione in cui mi trovavo rinchiuso gli mandai un biglietto per supplicarlo di astenersi dal lavoro , ora che bisognava svolgerlo sotto il controllo tedesco , mi rispose con un altro biglietto che conteneva questa sola parola : « Perché ? » . E in quell ' interrogativo era riassunto il suo ritratto . Buzzati era corrispondente in Abissinia quando la guerra scoppiò . Dopo qualche mese venne in licenza a Milano , perché era la licenza che gli spettava , ed egli ha , delle vacanze , una concezione burocratica quasi sacra : per nessuna ragione al mondo vi rinunzierebbe , quando gli toccano . Con altrettanto burocratica puntualità , esaurite le ferie , si presentò al direttore Aldo Borelli per salutarlo prima di ripartire per Addis Abeba . Borelli lo guardò esterrefatto di sopra gli occhiali : c ' era dunque qualcuno che ancora non si rendeva conto che un ritorno ad Addis Abeba , a parte le difficoltà e i pericoli del viaggio , significava la propria consegna nelle mani degl ' inglesi ? Si , c ' era : Dino Buzzati . Borelli non poteva dargli ordine di restare in patria : sarebbe stato un gesto di disfattismo e di sfiducia nelle sorti delle nostre armi . « Ma » , disse , « prima di vederla ripartire , vorrei che lei si sentisse del tutto a posto con la salute ... » « Con la salute ! ? » , rispose Buzzati col suo nasino per aria . « Ma io non sono mica malato !...» Borelli si grattò la testa un po ' con imbarazzo , un po ' con rabbia . « Come non è malato ? » , fece . « Suvvia , a chi vuoi darla ad intendere ? » « Ma no , direttore , le assicuro » , insisté Dino , « che io non sono malato !...» « Ma sì che è malato ! » « Ma no che non sono malato !...» Borelli lo guardò con odio , strinse i pugni , li sbatté violentemente sul tavolo rovesciando il calamaio , e scoppiò fragorosamente : « E io le dico che è malato , vuol capirla o non vuol capirla ? ... Malato di cretinismo , per la Madonnal ... Vada a curarsi !...» . Pallido in volto e con le lacrime agli occhi , Buzzati venne da Afeltra e da me per tradurci l ' accaduto in queste parole : « Il direttore mi ha licenziato ! » . Altrettanto pallidi e con le lacrime agli occhi , Afeltra ed io ci precipitammo dal direttore per , conoscere i motivi di sì grave decisione e , se possibile , farla revocare . Borelli ci ascoltò con pazienza , poi si prese la testa fra le mani con un gesto di disperazione , e sordamente mugolò : « L ' ho sempre detto , io , che gli unici veri grandi imbecilli sono i poeti » . Ci fissò , poi aggiunse con voce carica di minaccia : « Tornate da Buzzati e ditegli da parte mia che è un grande poeta . Grandissimo . Il più grande che abbia incontrato » . Afeltra ed io impiegammo parecchie ore per spiegare a Dino come e perché Borelli , pur impedendogli di tornare in Abissinia , non aveva inteso affatto licenziarlo . Egli ci ascoltava col nasino per in su , gli occhi candidi e interrogativi posati ora su me ora su Gaetano , la cravatta annodata come se fosse stata la mamma a farlo . Poi disse , semplicemente : « Ah ! » . Ci ripensò , parve poco convinto , e aggiunse perplesso : « Ma non sarò mica , senza saperlo , ammalato per davvero ? » . Perché colui che , per obbedienza agli ordini del giornale , stava per affrontare un viaggio rischiosissimo e la certa cattura , ha una paura birbona delle malattie . Da allora Buzzati continuò a stare , ufficialmente richiamato come corrispondente di guerra , dove lo mettevano . E lo misero dapprima su un incrociatore . Fu uno dei pochi , tra noi , a non soffrire il mal di mare e a farsi amare dai marinai . Prese parte a convogli , e li descrisse come cavalcate di neri angeli nella notte . E le volte che gli toccò correre un rischio , lo fece con sì sorridente impassibilità e tranquilla modestia che passò per un uomo coraggiosissimo . Lo è infatti , in un certo senso : nel senso cioè che i rischi Buzzati non li vede , lui che traspone tutto al soprannaturale e non può concepire nemmeno un siluro se non sotto le sembianze di un mostruoso ma innocuo delfino . L'8 settembre il giornale diede ordine a Buzzati di restare al lavoro in redazione , e Buzzati ci restò . Ecco perché egli non comprese il biglietto che dalla prigione gli mandai , nel timore del castigo in cui avrebbe potuto incorrere più tardi . Quale castigo ? dovette domandarsi con la stessa aria di sbigottimento che gli si era dipinta sul volto il giorno in cui Borelli , per salvarlo senza compromettersi , aveva voluto persuaderlo che era malato . E infatti non ne subì . Perfino di fronte a degli " epuratori " , cioè alla più bassa sottospecie cui l ' umanità , in nome di qualunque ideologia , possa degradarsi , l ' innocenza , quando è dipinta con tanta evidenza sul volto e nei gesti e nelle parole di un uomo come lo è sul volto , nei gesti e nelle parole di Dino , trova la forza di imporsi . Stanotte Buzzati deve partire per ragioni di servizio , e ancora non lo sa . È andato a letto , perché è sua abitudine coricarsi presto , prima ancora che in redazione giungesse l ' annunzio della spaventosa tragedia di Albenga , dove alcune dozzine di bambini milanesi sono morti affogati . Chi s ' incarica di dargli la terribile notizia ? « Be ' » , dice il direttore ad Afeltra , « glielo dica lei . È un fatto orribile , siamo d ' accordo . Ma , in fondo , tra quei poveri morticini , non c ' è mica anche un figlio di Buzzati !...» Afeltra ha il guizzo di un sorriso nei suoi neri malinconici furbi occhi di napoletano ; poi mi prende in disparte : « Questo pover uomo crede che , per Dino , sia terribile la notizia della morte dei bambini ! ... No , la notizia terribile , per lui , è che ora , all ' una di notte , deve alzarsi e partire ! » . E non sbaglia . Buzzati ascolta dall ' altro capo del filo il resoconto della sciagura che Afeltra gli colorisce con apocalittici accenti . Poi risponde : « Povere creature ! ... Ne riparliamo domani ! » . E riattacca il ricevitore . Afeltra mi fissa con uno sguardo che suona : " Te l ' avevo detto , io ? " e lo fa richiamare . « No , Dino , senti ... » , ricomincia con voce dolcissima , « tu mi pare che non hai capito bene di che cosa si tratta ... Sono quasi tutti di Milano , i bambini ... Qui , domani , tutta la città è in lutto , e capirai che il giornale non può uscire con la notizia nuda e cruda ... » « No , certo » , gracida la voce di Dino , « dovete mandar qualcuno ... » , e riattacca . Per la terza volta Afeltra lo fa chiamare . « Dino ? ... Carissimo Dino ... Sono ancora io , Gaetano . Senti , lasciami parlare ... Ad Albenga , per un servizio di questo genere , non si può mandare uno qualunque ... Ci vogliono una penna e una firma ... Ci vuole soprattutto un cuore che batte ... E qui , a portata di mano , non abbiamo nessuno ... Piovene , come sai , è a Parigi ... Vergani al Tour ... Corradi in Inghilterra ... Grazzini in Sicilia ... Montanelli non ha cuore , o passa per uno che non ne ha : il che agli effetti del pubblico , è lo stesso ... Cosa dici ? ... Hanno suonato alla porta ? ... Sì , va ' a aprire , va ' : è l ' autista che , d ' ordine del direttore , è venuto con la macchina a prenderti per condurti ad Albenga ... » Ed è lui , stavolta , a riattaccare il ricevitore . Ma le fatiche di Afeltra non sono finite con la partenza di Buzzati , l ' impareggiabile purosangue di cui egli è il naturale fantino . Con trepida impazienza , finito , alle quattro , il lavoro in tipografia , invece di coricarsi , si chiude nella cabina telefonica ad attendere il primo resoconto del suo puledro . Quando torno la sera , lo trovo ancora lì , con la cravatta sbilenca , la faccia irta di barba , gli occhi lustri di gioia . « Leggi , leggi ... » , mi dice accennando con una mano il dattiloscritto in cui lo stenografo ha già tradotto il resoconto telefonico di Dino , mentre con l ' altra sèguita a tenersi poggiato all ' orecchio il ricevitore . « Leggi che meraviglial ... » Lo è , infatti : pagine pulite , lisce , in cui la Morte traluce come una cosa viva e affabile , appena riverberando un ' ombra sui cadaveri allineati sotto il suo mantello non più , come al solito , lugubre e solenne , ma cordiale e paterno : uno dei più bei reportages , forse il più bello , fra quelli che in tanti anni di mestiere mi son capitati da leggere . « No , no , aspetta ! » , urla Afeltra all ' apparecchio . « La chiusa non dev ' essere questa ! ... La chiusa la devi fare sul torpedone delle mamme che sono già partite da Milano per venire a vedere i loro bambini morti e devono essere in arrivo costà ... Sul loro urlo di dolore ... » « E perché dovrebbero urlare ? » , risponde placida la voce di Dino , al ' altro capo del filo . « Come " perché dovrebbero urlare " ! ? » , esplode Afeltra con voce strozzata . « ... Ma che vai dicendo , Dino ! ? ... I loro figli ... » « Sono così belli ! » , ribatte dolcissima la voce di Buzzati . « Li vedessi , Gaetano , come sono belli ! ... Sorridono ... Angeli che , per diventarlo , sono così contenti di essere morti ... » Quando l ' indomani , al suo ritorno , stringo la mano a Buzzati per complimentarmi con lui dello stupendo articolo che ha scritto , egli rimane ad ascoltarmi col nasino per in su , gli occhi candidi e interrogativi posati ora su me ora su Gaetano che approva , la cravatta annodata , nonostante il viaggio e le due insonni notti , come se fosse stata la mamma a farlo . Poi mi chiede : « Davvero ? » , con lo stesso tono lievemente incredulo con cui mi rivolse la stessa domanda allorché , letto che ebbi Il deserto dei tartari , gli dissi che aveva scritto il più bel romanzo italiano degli ultimi vent ' anni ( e sono ancora dello stesso avviso ) . Lo guardo . E d ' improvviso mi accorgo che , come i bambini che ha descritto , anche lui in fondo è un angelo : l ' unico che , per diventarlo , non abbia avuto bisogno , prima , di morire .
Può succedere anche a te ( Tornabuoni Lietta , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Favola melensa di soldi e d ' amore , commedia di buoni sentimenti , ennesimo tentativo ( come sempre fallito ) di imitare Frank Capra , il film mette in scena un uomo , una ragazza , una donna e una città . L ' uomo è Nicolas Cage , poliziotto di quartiere , gran brava persona piena di risorse e di buon senso , amichevole e soccorrevole verso gli altri soprattutto se sono ragazzi , bambini , vecchi , diseredati . La ragazza è Bridget Fonda , cameriera in un posto per mangiare a poco prezzo , caricata di debiti e perseguitata da un ex marito attore , generosa , simpatica e buona . La donna è Rosie Perez , moglie del poliziotto , una parrucchiera petulante , aggressiva , avida di danaro , arrampicatrice , egocentrica , bisbetica senza qualità . La città è New York , bella e incredibile come nei film di Woody Allen . Trama della favola ? Un giorno il poliziotto squattrinato , non potendo lasciare una mancia alla cameriera , promette di darle metà della vincita alla lotteria , se il biglietto che ha appena comperato per incarico della moglie risulterà vincente . Vince quattro milioni di dollari , e mantiene la promessa : provocando un evento telegiornalistico sensazionale e un felice mutamento nella vita della cameriera , innamorandosi di lei e scatenando il furore della moglie . Per colpa di quest ' ultima , che fa causa e vuole il divorzio , poliziotto e cameriera rimangono senza un soldo : sarà il grande cuore di New York a risarcirli permettendo loro anche di sposarsi in pallone , lassù nell ' alto dei cieli . Nicolas Cage ha un talento speciale per scegliere male i film da interpretare , Bridget Fonda è molto carina : ma , come spesso capita quando i protagonisti sono così buoni e perbene , il personaggio più divertente è la cattiva Rosie Perez , bravissima nel suo ritratto di donna stupida e volgare .
Viridiana di Luis Buñuel ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Grazie alla censura Viridiana era divenuto un mito , e sventolato come una bandiera . Ora che anche in Italia lo possiamo vedere in edizione integrale si può dire che su quel vessillo ci sono molti segni , ma non tutti riconducibili a un ' interpretazione anticlericale e antifranchista di comodo . È vero che tutto fa brodo , agli occhi dei fanatici , ma Buñuel non è un uomo di cinema che si lasci facilmente utilizzare come strumento di polemica politica : cercare nella sua opera troppi significati moralistici equivale , anzi , a ridurne di molto la personalità artistica . L ' ha detto chiaro : Viridiana non vuole dimostrare nulla , soltanto esprimere , con i modi dell ' umor nero , ossessioni erotiche e religiose . Le stesse che da molti decenni devastano l ' animo inquieto di questo spagnolo uscito da una facoltosa famiglia di terrieri cattolici , educato dai gesuiti , passato attraverso l ' esperienza del surrealismo come attraverso una scuola di eversione di ogni valore conformistico ; infine , esule dalla patria con tutto il bagaglio di stimoli spirituali e di suggestioni culturali che hanno esasperato una naturale vocazione tragica . Se dunque , invece , si vuole anatomizzare il film per cercarvi il messaggio , non rischiamo di trovarci i cascami di un picarismo letterario e di un anarchismo ottocentesco , se non addirittura di un terribilismo alla Sade inserito con qualche snobismo nel filone dell ' irrazionalismo novecentesco ? Senza dire che L ' Angelo sterminatore , il film successivo a Viridiana , e che si vide l ' anno scorso a Cannes , non avrebbe portato avanti il discorso , anzi avrebbe ribadito quella che sembra l ' unica costante delle cupe invenzioni di Buñuel : l ' insofferenza per le convenzioni , la malinconia per la condizione di schiavitù propria degli uomini . Buñuel resta , a nostro avviso , un nichilista la cui forza poetica è data proprio dalla coerenza con cui esprime la sua disperazione di non poter sostituire nulla all ' ordine che vuol distruggere . Chi ne fa un profeta della rivoluzione dovrebbe chiedersi di quali valori positivi si fa apportatore Buñuel con un film come Viridiana . L ' immagine finale che egli ci offre del mondo , dopo la sconfitta del bene e del male , è perplessa e sarcastica . È una partita a carte in cui tutti sono coinvolti . Egli esprime , semplicemente , la vanità degli sforzi dell ' individuo senza proporci con convinzione l ' alternativa collettivistica . Se egli irride , oggi , la carità di quanti percorrono le strade del Novecento puntellandosi a un ' emblematica medievale ( tale gli sembrano la croce , il martello , i chiodi e la corona di spine ai quali Viridiana s ' aggrappa ) , non perciò mostra di aver maggiore fiducia in chi lavora di zappa e calcina . Questi avranno più meriti agli occhi del mondo , ma anche la loro esistenza è presa nel gran gioco di un destino di falsità . Si vuoi dire che , con virulenza di visionario e il gusto del ripugnante che gli deriva dalla tradizione artistica spagnola , Buñuel grida troppo forte perché la vena di rimpianto , l ' ansia di purezza assoluta che forse gli serpeggia nel corpo gonfio di sdegni non si secchi nello stagno dello scetticismo . Proprio per questo , come non abbiamo un tribuno , così abbiamo un fortissimo artista ( e anche un maestro di cinema ) , che spezza ogni mito ideologico con la potenza fantastica e figurativa ; che ci propone un universo poetico compatto nel delirio del sentimento , e lo esprime con un linguaggio che risolve tutti i contenuti in una forma grondante di incisività . Viridiana è un esempio calzante della assunzione di tutti i valori nello stile . Se ha modi , e tecnica , di vecchio stampo , ivi compreso il sovrabbondante ricorso alla simbologia , è perché Buñuel appartiene a una generazione artistica di estrazione naturalistica che non lasciava i margini dei libri troppo bianchi , perché i lettori proseguissero l ' opera per proprio conto . Un romanzo era un romanzo , non una proposta di romanzo ; e un film un racconto in cui l ' autore realizzava tutto se stesso . O prendere o lasciare . La storia di Viridiana ( Silvia Pinal ) è quella di una novizia che si perde . Comincia sulle note di Mozart e di Händel , e finisce sui ritmi del jazz . Alla vigilia di prendere i voti , Viridiana va a far visita a un vecchio zio ( Fernando Rey ) che abita in una villa di campagna , ossessionato dalla memoria della moglie mortagli trent ' anni prima , la sera stessa delle nozze , e che egli custodisce attraverso il culto feticista per i suoi abiti da sposa . Identificando Viridiana con la moglie , lo zio le chiede di sposarlo , e al suo rifiuto la droga , con la complicità di una serva , dopo averle chiesto , come ultimo favore , di indossare il bianco abito di nozze che egli ha conservato per tutti quegli anni . Priva di conoscenza , la novizia subirebbe l ' oltraggio del vecchio , se questi non fosse all ' ultimo momento trattenuto dalla speranza di possederla legittimamente con una menzogna : facendole credere , l ' indomani mattina , che nella notte egli le ha fatto violenza . Inorridita , Viridiana lascia la casa per tornare al convento , senza perdonare lo zio , ma quando sta per partire viene avvertita che il vecchio si è impiccato e l ' ha lasciata erede , insieme a un cugino , della fattoria . La ragazza si considera responsabile del gesto dello zio : per espiare rinunzierà a farsi suora , ma si darà a opere di bene , accogliendo nella fattoria quanti mendicanti , ladri , vagabondi , troverà nel paese : il suo peccato d ' orgoglio confina con l ' ingenuità . Arriva intanto il cugino Jorge ( Francisco Rabal ) , che vuol riorganizzare la proprietà e appoderare i campi abbandonati . È un bell ' uomo , e ha con sé un ' amante , ma se ne libera presto perché ha messo gli occhi su Viridiana , benché la consideri una « bigotta marcia » e intanto si gode la serva . La cugina , ritiratasi in una misera stanzetta , è intenta soltanto alla preghiera e alla beneficienza , tutta circondata di speranze mistiche e di fiducia nell ' avvenire . Mentre i suoi vagabondi recitano l ' Angelus , i muratori di Jorge lavorano e sudano . Due modi di affrontare la vita , dopotutto . Un giorno , assenti i padroni , i poveri invadono la villa e la mettono a soqquadro , insozzano le stanze , profanano ogni simbolo di purezza , finalmente si siedono a banchetto facendosi « fotografare » lubricamente nell ' atteggiamento dell ' Ultima Cena . Sorpresi dai padroni , uno dei mendicanti tenta di violentare Viridiana , ma il cugino la salva convincendo uno di loro ad uccidere , per denaro , l ' amico . Tramontata la sua illusione di poter fare del bene , Viridiana tenta ancora di resistere all ' istinto della femminilità che si è svegliato in lei ; ma è fatale che cada : il male del vivere è più forte , ormai , della sua fede . La corona di spine brucia in un falò , la donna va a sedersi al tavolo dove il cugino e la serva giocano a carte : ora , sul grammofono , gira un disco di cha - cha - cha . La realtà vince il sogno . E il disprezzo di Buñuel ha coinvolto tanto la superstizione religiosa quanto l ' erotismo dei vecchi , la corruzione dell ' infanzia e le buone intenzioni di Viridiana . La sua « corte dei miracoli » ha corroso , con il vieto concetto di beneficenza , l ' ipotesi stessa del bene . Non è certo da un laido sottoproletariato che viene la speranza : esso è servito a inserire Viridiana in una società filistea , ma non a proporre un ricambio sociale . Se vogliamo restare fedeli alle intenzioni di Buñuel , il suo film è un grottesco che non a caso ebbe , oltre alla palma d ' oro di Cannes nel 1961 , il premio dell ' humour noir . Non . come anche è stato detto , soltanto una serie di gags , ma certamente il frutto di una fantasia lugubre , che si esercita su alcuni mali della società contemporanea con gusto autodistruttivo , riscattato soltanto da una assoluta libertà morale . Se nel film c ' è qualcosa di blasfemo è questo incrudelire sull ' uomo a vantaggio dell ' artista , che si getta con voluttà in una ricostruzione tendenziosa della realtà , e riesce a dipingerla con tinte così forti e cupe da mettere i brividi . Se il mondo fosse questo , meglio spararsi . È raro che il cinema riesca a dare una così dura impressione . Quando lo fa , vuol dire che le scene , così pregnanti , sono uscite dalle mani di un vero creatore , il quale si assume molte responsabilità purché gli si riconosca sincerità con se stesso . Triviale , cinico , truculento , tutto si potrà dire di Buñuel tranne che non sia un autentico spagnolo ossessionato dalla cecità degli uomini e dalla nostalgia della pietà .
Idee per un partito neoconservatore. ( Matteucci Nicola , 1997 )
StampaQuotidiana ,
Devo confessare che gli attuali dibattiti sulla cultura di destra e sulla cultura di sinistra mi annoiano , meglio mi infastidiscono , perché li ritengo fuorvianti . Destra e Sinistra hanno un mero significato : essi descrivono la collocazione nell ' aula parlamentare di un senatore odi un deputato . La Destra e la Sinistra sono , così , mere astrazione ; in sé non esistono e tanto meno hanno una cultura , che è fatta di concetti pensati . L ' individualismo metodologico ci ha insegnato che reali sono soltanto i singoli individui in relazioni ( anche associative ) con gli altri . Se guardiamo all ' oggi , al nostro Parlamento , potremmo subito dire che il Polo per le libertà ( la Destra ) e l ' Ulivo ( la Sinistra ) non hanno una loro propria omogenea cultura . Facciamo due esempi . Innanzitutto la grave crisi dello Stato di diritto . Ebbene , il più forte difensore dello Stato di diritto è Emanuele Macaluso , un autorevole esponente della Sinistra , che segue i fatti di Palermo con una documentazione precisa e minuziosa , pari - se non superiore - a quella di Giuliano Ferrara su il Foglio . Ebbene loro , assieme a tanti altri di Destra e di Sinistra , combattono la stessa battaglia , che è una battaglia sui principi . L ' altro grave problema è quello economico . Quando l ' allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi presentò il suo programma ebbe la ( tardiva ) approvazione di Paolo Sylos Labini , che - come è noto - non ama certo il Cavaliere . Ma la maggior parte degli appartenenti alla corporazione scientifica degli economisti ragiona nella stessa maniera , ragionano cioè da economisti . Si è però visto che né l ' Ulivo , né il Polo si sono dimostrati compatti su queste posizioni , per il prevalere di persone senza cultura che difendono piccoli interessi o radicati umori . Quando parliamo di cultura è opportuno riferirsi alle idee pensate , ai concetti forti e non alla cultura imparaticcia tanto diffusa fra i politici e i mass media . Alle etichette fuorvianti di Destra e di Sinistra preferisco esaminare quali siano le idee all ' altezza dei nostri tempi . Sono le idee aperte ai problemi del futuro e che abbiano una capacità di incidere su un mondo in rapida trasformazione . Dobbiamo affrontare due grandi trasformazioni epocali : il crollo del totalitarismo comunista , che pure ha lasciato in Europa troppi residui della presunzione fatale socialista . Dall ' altro lato c ' è il processo di secolarizzazione della società , un fenomeno più antico , che il totalitarismo ha accelerato e ora ispira la società del benessere , perché essa ha altri fondamenti . Per guardare al futuro in modo costruttivo dobbiamo evitare tre errori . Primo : persa la fede in una ragione assoluta , che ci ha portato alla catastrofe , spesso si sceglie la scorciatoia dell ' irrazionalismo , e sono irrazionalistiche tutte le posizioni fideistiche . Esiste anche un razionalismo critico che ammette la confutazione , in base all ' esperienza , delle proprie congetture . Secondo : ma del razionalismo dogmatico ci è rimasta la mentalità antistorica . Si pensa di costruire il futuro dimenticando o facendo tabula rasa del passato , mentre ogni innovazione deve avere in esso le sue radici . È rimasta così una mentalità costruttivistica : pensiamo alle continue riforme dei nostri ordinamenti scolastici dalle elementari all ' università , dimenticando non solo i valori del passato , ma anche la cultura di chi dovrebbe attuarle . Si ama solo il " novitismo " . Terzo : con il Sessantotto si è imposta una nuova morale , quella della " gioia di vivere " . È una reincarnazione del decadentismo con il suo sensualismo . Esso mina sempre più istituzioni che sono alla base dello sviluppo dell ' umanità , come la famiglia , e concede a molti scienziati il sogno di poter liberare la razza umana dal peso paralizzante del bene e del male e dei concetti perversi di giusto e sbagliato . Concetti che sono a fondamento dell ' ordine politico . Taluno potrà bollare questa mia proposta come neoconservatrice , ma fuori di essa non c ' è che la noiosa ripetizione di vecchi discorsi o il ritornare nel sogno dell ' utopia .
Otto e mezzo di Federico Fellini ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Otto e mezzo di Federico Fellini : il miele dell ' illusione fornito dalla magia contro la vita agra , la fuga dell ' individuo dal pessimismo cattolico in una serena finzione di solidarismo , una sorta di fantastico balletto sulla passerella dell ' esistenza . Una favola e un incubo , dal quale si esce impietositi per gli uomini , se non ci consolasse questa facoltà dell ' arte , sorella della stregoneria , di rendere toccabile , e perciò vero , il mondo dell ' ignoto in cui si dibatte la coscienza . È forse lo sforzo più duro che Fellini abbia compiuto sinora per compromettere tutto se stesso nella ricerca di sé e di quanto lo leghi agli altri . Protagonista è Guido , un regista sui quarantacinque , famoso , ricco , sposato , con un ' amante quieta , e quante altre donne vuole intorno . Dovendo fare un film , ha pensato confusamente a qualcosa di fantascienza , una nave spaziale che porti su un altro pianeta i resti dell ' umanità decimata dalla peste atomica . Una malattia , e la paura della morte , improvvisamente lo blocca . Subito un incubo : di restare soffocato nell ' automobile , e l ' umanità che assiste al lugubre spettacolo . Vola in cielo , ma qualcosa lo lega : un impegno di responsabilità , che non riesce ad affrontare , ma al quale non può sfuggire : la sua vita privata , il film , gli attori che pendono da lui , i piani di lavorazione . Come vogliono i medici , va a curarsi in una stazione termale . È il momento in cui Guido rimette tutto in discussione . È in crisi il suo talento , le idee sono nebbiose , non sa come portare avanti il film . È , a rimorchio , è in crisi la sua coscienza . Non ha mai saputo rinunziare a niente , non ha mai saputo scegliere una cosa sola e restarle fedele . Ora i rimorsi sono giunti a maturazione , lo macerano nella scontentezza e nella solitudine . Si guarda intorno : uno scrittore , chiamato a collaborare alla stesura del film , gli distrugge , con freddo razionalismo , quanto ha fatto sinora ; un amico , non più giovane , ha lasciato la moglie e , pur di sentirsi qualcuno vicino , ha preso per amante una compagna di scuola della figlia ; la gente che circola per le strade , ricca , soddisfatta , ha spento nell ' abitudine e nella finzione sociale ogni stimolo verso la verità . C ' è una bella ragazza , alla fonte , che gli porge il bicchiere , e gli fa indovinare un ideale di purezza , ma appare e scompare come un fantasma . È non sarà anch ' essa , per lui , un ' ambizione di conquista , per continuare a mentire sotto il velo di un lavacro d ' innocenza ? Arriva Carla , l ' amante di Guido , bianca di pelle , pastosa , tutta mossettine , positiva . Altre volte gli bastò rifugiarsi nella sua soda stupidità . Ora non più : se ne vergogna , la sistema in un alberghetto . A letto con lei , trasognato dal suo bianco , Guido si assopisce e si trova nella luce di un cimitero . Il padre , che torna a morire calandosi vivo nella terra ; la madre , dolente , che all ' improvviso assume il volto di Luisa , la moglie di Guido ... I ricordi , le presenze , gli si confondono e lo mordono : non è stato giusto con nessuno , non ha fatto mai nulla per gli altri . Intanto tutta la troupe del film l ' ha raggiunto : il produttore , gli attori , i tecnici premono perché spieghi cosa vuoi fare , come distribuire le parti , perché scelga e risponda . La sera , al night delle terme , un mago fa esperimenti di telepatia . Perché egli riesce a indovinare il pensiero degli altri , e Guido non sa più vedere nemmeno in se stesso ? Eppure il passato gli è vivo dinanzi : l ' infanzia nella fattoria , in Romagna , la felice sicurezza dei giochi , le mani delle donne . Forse Luisa , la moglie , può restituirgli quella pace : è un ' ancora alla quale Guido si aggrappa . Che venga , Luisa , lo raggiunga alle terme , se vuole . È intanto la ragazza della fonte gli riappare , come una tentazione . È intanto a Carla viene un febbrone , e Guido rifiuta ancora una volta di prendersi la responsabilità : sarà meglio chiamare il marito . Affascinato dal corpo di lei , ecco ora il ricordo dei primi pensieri peccaminosi . Guido è in collegio , bambino : insieme ai compagni è andato nascostamente sulla spiaggia a vedere la Saraghina , una femmina animalesca che vive tra i ruderi d ' una casamatta . Sorpreso dagli istitutori , è scosso di paura e vergogna . Fu allora , forse , che cominciò a mentire a se stesso . Non gli verrebbe una parola di consolazione dalla Chiesa ? Alle terme c ' è anche un cardinale . Guido lo interroga , ma ne ha una risposta sconsolante : « Chi ha detto che si viene al mondo per essere felici ? » . Arriva Luisa , e con lei nuovi motivi di disagio ; perché Guido le mentisce fingendo di ignorare la presenza di Carla alle terme , e la moglie si rifiuta di continuare ad accettarlo qual è , un uomo che mentisce come respira . Ancora un sogno egoista , per Guido : di vedere la moglie e l ' amante a braccetto , e poi di trovarsi intorno tutte le donne della sua vita , come in un harem festoso , e lui coccolato come un bambino e temuto come un domatore . Ma il film non procede , e tutto l ' ambiente è a rumore : insomma , cosa vuole il regista ? Gli si è seccata la vena ? Perché fa il misterioso ? Vigliacco , oltreché buffone ? È ora , che parte ha Claudia , la diva che si è aggiunta alla troupe ? In Claudia Guido identifica la ragazza della fonte e l ' attrice famosa . Sta rompendo con la moglie , sta pensando di rinunziare al cinema : Claudia può restituirgli la verginità dei sentimenti e delle parole . Ma anche questa speranza fallisce , e ormai l ' organizzazione del film è al punto da costringere Guido a pronunziarsi . Di fronte al grande traliccio costruito per il lancio dell ' astronave , il produttore convoca una conferenza - stampa . Preso d ' assalto , Guido deve confessare il proprio fallimento di regista e di uomo . Finzione e realtà ormai si confondono in lui e l ' ossessionano . Pensa di sfuggire a tutte le responsabilità col suicidio , ma mentre la folla si disperde il mago che nel night faceva gli esperimenti di telepatia lo ferma , presentandogli una realtà miracolosamente pacificata nella suprema finzione . In un lampo , Guido intuisce che il senso del film e della vita sta nell ' accettare il mondo , nel rinunziare a fuggire in un altro pianeta , nell ' abbandonarsi , sfilando tutti insieme come su una passerella , al necessario , inevitabile gioco della vita , in cui l ' egoismo di ciascuno coincide con la verità di tutti . La creatura di sogno , tutta vestita di bianco , la ritroviamo allora in noi , nell ' innocenza di noi stessi bambini . Nel suo cono di luce ci sembra di rinascere . In Otto e mezzo ( l ' ottavo film di Fellini , più Luci del varietà , firmato insieme a Lattuada ) , lo scrittore che era stato chiamato a consulto da Guido , e lo aveva duramente criticato , finisce impiccato . Questa è la sorte che Fellini riserva a chi voglia vedere , sempre , tutto chiaro , e rifiuti le confessioni che non seguano il gelido ordine razionale . D ' accordo , strangoliamo la critica se vuole obbligarci a giudicare una grande opera d ' arte come questa con i canoni cartesiani . Siamo in un ' età di transizione , dobbiamo lasciarci convincere dalla stessa indeterminatezza di un ' idea , se essa ci emoziona . Abbiamo bisogno di sentirci scaldare , di farci trasportare . Non è nemmeno quanto Fellini ci dice sul tumulto della sua vita individuale ( perché l ' identificazione fra Guido e Fellini è totale , e questo può essere un difetto del film ) , ciò che più ci interessa . Dopo tutto sono fatti suoi , e si può anche non essere d ' accordo sulla validità universale della soluzione ch ' egli ci propone , e non troppo chiaramente , a conclusione di un itinerario larghissimamente autobiografico . È il fatto che un uomo di cinema , pur dando íl suo luogo all ' astuzia , si metta nudo in piazza , si offra al dileggio , e intanto le sue carni si traducano in immagini di ineguagliabile evidenza fantastica , ciò che colpisce e mozza il fiato . La parabola pronunciata da Fellini può anche lasciarci freddi , se la isoliamo dal contesto ( e indubbiamente la contemporaneità dei tre piani narrativi e psicologici - quello che Guido è , è stato e vorrebbe essere - non è perfettamente risolta in racconto unitario ) , ma l ' eccezionalità del film sta proprio nella « bella confusione » ( questo è il titolo che Flaiano aveva proposto ) di errore e verità , di realtà e sogno , di valori stilistici e valori umani , nel totale adeguamento del linguaggio cinematografico di Fellini alle sconnesse immaginazioni di Guido . Come distinguere il regista della realtà da quello della finzione è impossibile , così i difetti di Fellíni coincidono con le ombre spirituali di Guido . L ' osmosi fra arte e vita è strabiliante . Certo siamo di fronte a un esperimento irripetibile . Da nessun altro saremmo disposti ad ammettere che « il film deve contenere errori come la vita , come la gente » : quella che per Fellíni è stata , durante la lavorazione laboriosa del film , la consapevole scelta di un rischio gravissimo , per chiunque altro potrà essere un alibi . Piuttosto dobbiamo chiederci perché un ' avventura tanto personale , talché Otto e mezzo , con i suoi rintocchi malinconici , sta fra la confessione e il testamento , raggiunga una delle vette più alte del cinema mondiale contemporaneo . Il segreto , dite pure il trucco , sta nell ' aver portato all ' estremo quella disponibilità inventiva e quella maestria tecnica grazie alle quali anche immagini sparse prendono corpo e divengono frasi di un discorso che perennemente si arrotola e si snoda sul piano della fantasia , della memoria e del sortilegio , e nell ' averle nutrite di tutte le angosce del nostro tempo . Quante volte è stato detto che Fellini è soprattutto un visionario ? Ma ormai le sue visioni sono un grido . Ormai egli proietta tutti i suoi dubbi morali su uno schermo magico , che assorbe la confessione nella visione , senza il consueto tramite della introspezione , ma il lampo gli parte dal profondo dell ' essere . È uno sdrucciolone nell ' intuizionismo se volete , ma compiuto da un umanista che resta fedele ai modi realistici : per un ' arcana operazione i valori stilistici del film sono anche quelli psicologici , e la frondosità , l ' eccesso di simbolismo , le ridondanze , tutto quanto c ' è di floreale nel regista restano nel contempo i connotati morali di un artista ossessionato , che non vuole staccarsi dal magma che gli bolle dentro , preferendo tentare di liberarsene col bruciarsi le facoltà ordinatrici , sia pure irridendo alla propria ambizione . In Otto e mezzo l ' operazione è riuscita fino allo spasimo . Non c ' è sequenza del film in cui non sia visibile questo sforzo di sincerità . Tutto il film è . un incrociarsi di ipotesi , presagi , intuizioni che assumono consistenza figurativa nell ' attimo stesso in cui sono avvertiti dalla coscienza , e la cui convinzione deriva dalla loro verità spirituale . « Qualcosa tra una sgangherata seduta psicanalitica e un disordinato esame di coscienza , in un ' atmosfera di limbo » , ha detto Fellini del suo film . Non sarà piuttosto il supremo vagheggiamento di un poeta che irrazionalmente identifica l ' arte con la vita , e le riassume , con splendida ipocrisia , nella bella favola ? Anziché una « verifica intima » , che interesserà soprattutto la storia di Fellini , Otto e mezzo è allora un canto consolatorio , sincopato tuttavia da un ritornello di autoderisione . Di qui quella vena di comico che scorre nella tragica allegoria . I motivi ( e le polemiche ) che serpeggiano nel film sono infiniti e appartengono a un repertorio già noto : è vano tentare di farne un elenco , così come degli scorci di racconto , dei ritratti e dei paesaggi umani . Ovunque qui il genio di Fellini brilla come raramente si è visto al cinema . Non c ' è ambiente , non c ' è personaggio , non c ' è situazione privi di un significato preciso sul grande palcoscenico di Otto e mezzo . Certe soluzioni registiche lasciano sbalorditi per l ' uso del bianco e nero , per l ' abilità con cui la messa in scena è chiamata a rivelare la realtà e a commuovere , per il concorso che la musica , le luci , l ' evidenza dei personaggi danno all ' evocazione di uno stato d ' animo . Entrare nei particolari è già rompere il tessuto di un film che va accettato nella sua totalità , come un acquario o un luna park vi affascina prima ancora che ne analizziate i curiosi abitanti . Diciamo soltanto che alla confusione della coscienza contemporanea Fellini risponde accettandola con l ' esprimerla negli unici modi suoi propri : quelli dell ' allucinazione e dello strazio , accentuandone l ' eco crepuscolare . Gli attori sono Mastroianni , la Cardinale ( finalmente non doppiata ) , Anouk Aimée , Sandra Milo , Rossella Falk , Caterina Boratto , Annibale Ninchi , Giuditta Rissone e moltissimi altri . Il soggetto è di Fellini e Flaiano , alla sceneggiatura hanno lavorato , oltre loro , Pinelli e Rondi . La scenografia e i costumi sono di Piero Gherardi , la fotografia di Di Venanzo , le musiche di Rota , il montaggio di Leo Cattozzo . È un nudo , ingiusto elenco di nomi , perché ciascuno meriterebbe un elogio , così vivo è stato il loro apporto al film . Ma è tutto quello che qui si può fare , vedendo gli attori e i collaboratori toccati dalla bacchetta magica di un creatore al quale nel cinema mondiale di oggi non vediamo chi possa stare vicino .