StampaQuotidiana ,
In
queste
settimane
di
guerra
nei
Balcani
due
parole
mi
tornano
alla
mente
.
La
prima
è
di
Bertolt
Brecht
al
termine
del
suo
lavoro
teatrale
:
La
resistibile
ascesa
di
Arturo
Ui
:
"
E
voi
imparate
che
occorre
vedere
e
non
guardare
in
aria
;
occorre
agire
e
non
parlare
.
Questo
mostro
stava
,
una
volta
,
per
governare
il
mondo
.
I
popoli
lo
spensero
,
ma
ora
non
cantiamo
vittoria
troppo
presto
,
il
grembo
da
cui
nacque
è
ancora
fecondo
"
.
Questa
metafora
del
grembo
ancora
fecondo
evoca
una
delle
cause
di
quanto
sta
avvenendo
.
C
'
è
una
matrice
dalla
quale
sono
stati
generati
molti
stermini
,
fino
alla
Shoah
.
Essa
continua
a
generarne
.
I
conflitti
nelle
terre
dell
'
ex
Jugoslavia
,
la
"
pulizia
etnica
"
,
l
'
esodo
forzato
delle
genti
del
Kosovo
lo
attestano
,
come
pure
tanti
altri
conflitti
in
altre
regioni
del
mondo
che
,
pur
drammaticamente
vivi
,
non
fanno
notizia
.
Tutto
questo
non
è
lontano
da
noi
.
Anche
il
nostro
Paese
ha
conosciuto
vergognose
"
leggi
razziali
"
.
Altre
"
notti
feroci
"
gravano
sull
'
Europa
,
come
Primo
Levi
ci
aveva
avvertiti
.
Avevamo
sperato
in
un
sempre
più
diffuso
e
radicato
costume
democratico
e
invece
di
nuovo
rinascono
forme
di
dittatura
,
di
violenta
privazione
della
libertà
.
Questo
millennio
si
avvia
alla
conclusione
tra
incursioni
aeree
,
bombardamenti
,
stragi
.
La
seconda
parola
a
cui
ripenso
in
questi
giorni
è
stata
pronunciata
dall
'
Assemblea
delle
chiese
cristiane
europee
a
Basilea
nel
maggio
1989
:
"
Abbiamo
causato
guerre
e
non
siamo
stati
capaci
di
sfruttare
tutte
le
opportunità
di
dialogo
e
di
riconciliazione
:
abbiamo
accettato
e
spesso
giustificato
con
troppa
facilità
le
guerre
"
.
Questa
parola
ci
ricorda
le
responsabilità
che
portiamo
anche
come
cristiani
.
Sulle
ragioni
possibili
di
alcuni
atti
di
guerra
(
cioè
sul
tema
di
una
eventuale
"
guerra
giusta
"
)
,
si
è
ragionato
a
lungo
nei
due
millenni
cristiani
.
Sant
'
Agostino
scriveva
:
"
Fare
la
guerra
è
una
felicità
per
i
malvagi
,
ma
per
i
buoni
una
necessità
...
è
ingiusta
la
guerra
fatta
contro
popoli
inoffensivi
,
per
desiderio
di
nuocere
,
per
sete
di
potere
,
per
ingrandire
un
impero
,
per
ottenere
ricchezze
e
acquistare
gloria
.
In
tutti
questi
casi
la
guerra
va
considerata
un
"
brigantaggio
in
grande
stile
"
"
(
De
Civitate
Dei
,
IV
,
6
)
.
Ma
Giovanni
XXIII
nella
Pacem
in
terris
,
afferma
:
"
Nell
'
era
atomica
è
irrazionale
(
alienum
est
a
ratione
)
pensare
che
la
guerra
possa
essere
utilizzata
come
strumento
di
riparazione
dei
diritti
violati
"
.
Il
concetto
di
"
guerra
giusta
"
viene
così
superato
.
E
il
Concilio
,
che
per
lo
più
non
ha
voluto
pronunciare
anatemi
,
ha
tuttavia
su
questo
punto
un
parola
ferma
e
dura
:
"
Ogni
atto
di
guerra
che
indiscriminatamente
mira
alla
distruzione
di
intere
città
o
di
vaste
regioni
e
dei
loro
abitanti
,
è
delitto
contro
Dio
e
contro
la
stessa
umanità
e
con
fermezza
e
senza
esitazione
deve
essere
condannato
"
.
Tra
le
ragioni
che
hanno
portato
al
superamento
della
dottrina
della
guerra
giusta
,
accanto
alla
percezione
dei
danni
incalcolabili
prodotti
dalle
"
moderne
armi
scientifiche
"
,
vi
è
la
progressiva
adesione
alla
struttura
politica
di
tipo
democratico
,
con
il
riconoscimento
dell
'
opinione
pubblica
come
istanza
di
controllo
e
di
guida
nella
gestione
del
potere
politico
.
Anche
sul
piano
internazionale
,
il
progressivo
consolidarsi
di
una
istanza
sovranazionale
costituisce
una
(
sia
pur
gracile
)
alternativa
alla
guerra
mediante
la
mediazione
politica
.
Con
la
condanna
del
ricorso
alla
guerra
,
la
coscienza
cristiana
va
progressivamente
superando
anche
la
logica
della
deterrenza
.
La
deterrenza
,
afferma
il
Concilio
,
"
non
è
via
sicura
per
conservare
saldamente
la
pace
...
le
cause
di
guerre
anziché
venire
eliminate
da
tale
corsa
minacciano
piuttosto
di
aggravarsi
gradatamente
...
mentre
si
spendono
enormi
ricchezze
per
procurarsi
sempre
nuove
armi
,
diventa
poi
impossibile
arrecare
sufficiente
rimedio
alle
miserie
così
grandi
del
mondo
presente
"
.
In
queste
settimane
di
guerra
ci
ha
costantemente
guidato
il
magistero
coerente
e
coraggioso
del
papa
Giovanni
Paolo
II
.
Non
dimentico
le
sue
parole
il
mattino
del
primo
giorno
della
guerra
nel
Golfo
,
era
il
17
gennaio
1991
:
"
In
queste
ore
di
grandi
pericoli
,
vorrei
ripetere
con
forza
che
la
guerra
non
può
essere
un
mezzo
adeguato
per
risolvere
completamente
i
problemi
esistenti
tra
le
nazioni
.
Non
lo
è
mai
stato
e
non
lo
sarà
mai
.
Continuo
a
sperare
che
ciò
che
è
iniziato
abbia
fine
al
più
presto
.
Prego
affinché
l
'
esperienza
di
questo
primo
giorno
di
conflitto
sia
sufficiente
per
far
comprendere
l
'
orrore
di
quanto
sta
succedendo
e
far
capire
la
necessità
che
le
aspirazioni
e
i
diritti
di
tutti
i
popoli
della
regione
siano
oggetto
di
un
particolare
impegno
della
comunità
internazionale
.
Si
tratta
di
problemi
la
cui
soluzione
può
essere
ricercata
solamente
in
un
contesto
internazionale
,
ove
tutte
le
parti
interessate
siano
presenti
e
cooperino
con
lealtà
"
.
"
Declino
dell
'
umanità
,
scacco
della
comunità
internazionale
,
attentato
ai
valori
più
cari
a
tutte
le
religioni
"
,
così
diceva
il
Papa
a
proposito
della
guerra
nel
Golfo
.
Parole
che
dobbiamo
ancora
ripetere
per
la
guerra
nei
Balcani
.
Dobbiamo
instancabilmente
cercare
,
pensare
una
alternativa
all
'
uso
delle
armi
,
anche
quando
essa
sembra
impossibile
.
Come
vescovo
avverto
l
'
urgenza
di
contribuire
ad
una
educazione
alla
pace
:
solo
scrutando
le
ragioni
misteriose
del
male
nella
storia
e
nel
cuore
dell
'
uomo
possiamo
comprendere
perché
la
pace
sia
problema
sempre
aperto
.
Il
riconoscimento
del
male
in
tutte
le
sue
forme
,
questa
immane
potenza
del
negativo
che
ha
nella
guerra
la
sua
manifestazione
più
drammatica
,
non
deve
però
indurci
al
pessimismo
paralizzando
la
fiducia
nelle
risorse
positive
dell
'
uomo
.
Nasce
di
qui
la
tensione
al
dialogo
come
via
privilegiata
alla
pace
:
"
Ogni
uomo
,
credente
o
no
,
pur
restando
prudente
e
lucido
circa
la
possibile
ostinazione
del
suo
fratello
,
può
e
deve
conservare
una
sufficiente
fiducia
nell
'
uomo
,
nella
sua
capacità
di
essere
ragionevole
,
nel
suo
senso
del
bene
,
della
giustizia
,
dell
'
equità
,
nella
sua
possibilità
di
amore
fraterno
e
di
speranza
,
mai
totalmente
pervertiti
,
per
scommettere
sul
ricorso
al
dialogo
e
sulla
sua
possibile
ripresa
"
(
Giovanni
Paolo
II
,
Messaggio
per
la
Giornata
della
pace
1983
)
.
Questa
fiducia
nell
'
uomo
è
anzitutto
fiducia
nelle
risorse
della
sua
coscienza
,
soprattutto
di
quanti
patiscono
ingiustizia
.
Bisogna
puntare
"
sulle
forze
di
pace
nascoste
negli
uomini
e
nei
popoli
che
soffrono
...
così
da
sottoporre
le
forze
oppressive
a
delle
spinte
efficaci
di
trasformazione
,
più
efficaci
di
quelle
fiammate
di
violenza
che
in
genere
non
producono
nulla
,
se
non
un
futuro
di
sofferenze
ancora
più
grandi
"
(
Messaggio
per
la
Giornata
della
pace
,
1980
)
.
Alla
forza
della
coscienza
e
non
alla
violenza
è
affidata
la
causa
della
pace
.
Sul
versante
politico
,
la
pace
richiede
strutture
politiche
sovranazionali
davvero
efficaci
nell
'
arginare
le
possibili
sopraffazioni
.
Era
già
questo
l
'
auspicio
di
Paolo
VI
nel
suo
discorso
alle
Nazioni
Unite
nel
1965
:
"
Il
bene
comune
universale
pone
ora
problemi
a
dimensioni
mondiali
che
non
possono
essere
adeguatamente
affrontati
e
risolti
che
ad
opera
di
Poteri
pubblici
aventi
ampiezza
,
strutture
e
mezzi
delle
stesse
proporzioni
,
di
Poteri
pubblici
cioè
,
che
siano
in
grado
di
operare
in
modo
efficiente
sul
piano
mondiale
.
Lo
stesso
ordine
morale
quindi
domanda
che
tali
poteri
vengano
istituiti
...
Chi
non
vede
il
bisogno
di
giungere
così
,
progressivamente
,
a
instaurare
un
'
autorità
mondiale
,
capace
di
agire
con
efficacia
sul
piano
giuridico
e
politico
?
"
.
In
questi
giorni
di
guerra
ripenso
al
lungo
,
difficile
cammino
della
coscienza
cristiana
durante
due
millenni
nel
giudicare
la
guerra
e
gli
armamenti
.
Prima
delle
armi
nucleari
e
chimiche
il
principio
della
legittima
difesa
poteva
in
certi
casi
condurre
a
parlare
di
guerra
giusta
.
Ora
invece
si
è
convinti
della
tragica
inutilità
e
moralità
di
una
guerra
condotta
con
questi
nuovi
tipi
di
armamenti
.
Dobbiamo
augurarci
che
la
coscienza
critica
dei
cristiani
e
di
ogni
uomo
faccia
ancora
dei
passi
ulteriori
.
Intanto
occorre
che
la
mobilitazione
contro
il
male
sia
accompagnata
da
un
'
opera
progettuale
,
che
dia
nuova
consistenza
alla
pace
,
alla
sicurezza
,
alla
stessa
dissuasione
.
In
tale
linea
:
una
ricerca
di
giustizia
,
di
eguaglianza
,
di
solidarietà
,
il
potenziamento
del
dialogo
,
dei
sistemi
democratici
,
degli
organismi
di
controllo
internazionali
.
La
stessa
dissuasione
dovrebbe
fondarsi
non
già
sulla
minaccia
rappresentata
dagli
arsenali
,
bensì
su
quelle
risorse
ben
più
degne
dell
'
uomo
che
sono
la
solidarietà
internazionale
,
le
sanzioni
giuridiche
,
l
'
isolamento
di
chi
fa
ricorso
alla
prepotenza
e
alla
forza
.
Rassegnarsi
alla
logica
della
guerra
o
della
dissuasione
armata
vuol
dire
accettare
la
spirale
perversa
degli
armamenti
e
finire
in
una
trappola
mortale
per
l
'
umanità
.
Dal
punto
di
vista
progettuale
,
accanto
alla
proposta
di
studiare
forme
efficaci
di
difesa
civile
non
violenta
,
sta
il
riconoscimento
del
valore
della
obiezione
di
coscienza
,
la
denuncia
di
certe
forme
di
ricerca
scientifica
subalterne
a
logiche
di
distruzione
,
lo
scandalo
rappresentato
dal
divario
crescente
Nord
-
Sud
alimentato
dal
commercio
delle
armi
.
Sta
l
'
appello
alla
mediazione
politica
come
strumento
di
composizione
dei
conflitti
;
l
'
appello
a
disarmare
gli
animi
,
armando
la
ragione
;
l
'
appello
a
credere
nella
Parola
:
"
Forgeranno
le
loro
spade
in
vomeri
,
le
loro
lance
in
falci
,
un
popolo
non
alzerà
più
la
spada
contro
un
altro
popolo
"
.
(
Isaia
,
2,4
)
.
StampaQuotidiana ,
Nel
dicembre
del
1993
si
è
svolto
alla
Sorbona
,
sotto
l
'
egida
della
Academie
Universelle
des
Cultures
,
un
congresso
sul
concetto
di
intervento
internazionale
.
C
'
erano
non
solo
giuristi
,
politologi
,
militari
,
politici
,
ma
anche
filosofi
e
storici
come
Paul
Ricoeur
o
Jacques
Le
Goff
,
medici
senza
frontiere
come
Bernard
Koutchner
,
rappresentanti
di
minoranze
un
tempo
perseguitate
come
Elie
Wiesel
,
Ariel
Dorfmann
,
Toni
Morrison
,
vittime
della
repressione
di
vari
dittatori
,
come
Leszek
Kolakowski
o
Bronislaw
Geremek
o
Jorge
Semprun
,
insomma
molta
gente
a
cui
la
guerra
non
piace
,
non
è
mai
piaciuta
e
non
vorrebbero
vederne
più
.
Si
aveva
paura
a
usare
parole
come
"
intervento
"
,
che
sapeva
troppo
di
ingerenza
(
anche
Sagunto
è
stato
un
intervento
,
e
ha
permesso
ai
romani
di
fare
fuori
i
cartaginesi
)
,
e
si
preferiva
parlare
di
soccorso
e
di
"
azione
internazionale
"
.
Pura
ipocrisia
?
No
,
i
romani
che
intervengono
a
favore
di
Sagunto
sono
romani
,
e
basta
.
In
quel
convegno
invece
si
stava
parlando
di
comunità
internazionale
,
di
un
gruppo
di
paesi
che
ritengono
che
la
situazione
,
in
un
punto
qualsiasi
del
globo
,
abbia
raggiunto
l
'
intollerabile
,
e
decidono
di
intervenire
per
porre
fine
a
quello
che
la
coscienza
comune
definisce
un
delitto
.
Ma
quali
paesi
fanno
parte
della
comunità
internazionale
,
e
quali
sono
i
limiti
della
coscienza
comune
?
Si
può
certo
sostenere
che
per
ogni
civiltà
uccidere
sia
un
male
,
ma
solo
entro
certi
limiti
.
Noi
europei
e
cristiani
ammettiamo
per
esempio
l
'
omicidio
per
legittima
difesa
,
ma
gli
antichi
abitanti
del
Centro
e
Sud
America
ammettevano
il
sacrificio
umano
rituale
,
e
gli
attuali
abitanti
degli
Stati
Uniti
ammettono
la
pena
di
morte
.
Una
delle
conclusioni
di
quel
tormentatissimo
convegno
era
stata
che
,
come
avviene
in
chirurgia
,
intervenire
significa
agire
energicamente
per
interrompere
o
eliminare
un
male
.
La
chirurgia
vuole
il
bene
,
ma
i
suoi
metodi
sono
violenti
.
È
consentita
una
chirurgia
internazionale
?
Tutta
la
filosofia
politica
moderna
ci
dice
che
,
per
evitare
la
guerra
di
tutti
contro
tutti
,
lo
Stato
deve
esercitare
una
certa
violenza
sugli
individui
.
Ma
quegli
individui
hanno
sottoscritto
un
contratto
sociale
.
Che
cosa
avviene
tra
stati
che
non
hanno
sottoscritto
un
contratto
comune
?
Di
solito
una
comunità
,
che
si
ritiene
depositaria
di
valori
molto
diffusi
(
diciamo
i
paesi
democratici
)
stabilisce
i
limiti
di
ciò
che
essa
giudica
intollerabile
.
Non
è
tollerabile
condannare
a
morte
per
reati
d
'
opinione
.
Non
è
tollerabile
il
genocidio
.
Non
è
tollerabile
l
'
infibulazione
(
almeno
,
se
praticata
a
casa
nostra
)
.
Pertanto
si
decide
di
difendere
coloro
che
sono
danneggiati
ai
limiti
dell
'
intollerabile
.
Ma
sia
chiaro
che
quell
'
intollerabile
è
intollerabile
per
noi
,
non
per
"loro".Chi
siamo
noi
?
I
cristiani
?
Non
necessariamente
,
cristiani
rispettabilissimi
,
anche
se
non
cattolici
,
appoggiano
Milosevic
.
Il
bello
è
che
questo
"
noi
"
(
anche
se
è
definito
da
un
trattato
,
come
quello
nord
-
atlantico
)
è
un
Noi
impreciso
.
È
una
Comunità
che
si
riconosce
su
alcuni
valori
.
Dunque
quando
si
decide
di
intervenire
in
base
ai
valori
di
una
Comunità
,
si
fa
una
scommessa
:
che
i
nostri
valori
,
e
il
nostro
senso
dei
limiti
tra
tollerabile
e
intollerabile
,
siano
giusti
.
Si
tratta
di
una
sorta
di
scommessa
storica
non
diversa
da
quella
che
legittima
le
rivoluzioni
,
o
i
tirannicidi
:
chi
mi
dice
che
io
abbia
diritto
di
esercitare
la
violenza
(
e
che
violenza
,
talora
)
per
ristabilire
quella
che
ritengo
una
giustizia
violata
?
Non
c
'
è
nulla
che
legittimi
una
rivoluzione
,
per
chi
l
'
avversa
:
semplicemente
chi
vi
si
impegna
crede
,
scommette
,
che
ciò
che
fa
sia
giusto
.
Non
diversamente
accade
per
la
decisione
di
un
intervento
internazionale
.
È
questa
situazione
quella
che
spiega
l
'
angoscia
che
afferra
tutti
in
questi
giorni
.
C
'
è
un
male
terribile
a
cui
opporsi
(
la
pulizia
etnica
)
:
è
l
'
intervento
bellico
lecito
o
no
?
Si
deve
fare
una
guerra
per
impedire
una
ingiustizia
?
Secondo
giustizia
sì
.
E
secondo
carità
?
Ancora
una
volta
si
ripropone
il
problema
della
scommessa
:
se
con
una
violenza
minima
avrò
impedito
una
ingiustizia
enorme
,
avrò
agito
secondo
carità
,
come
fa
il
poliziotto
che
spara
al
pazzo
assassino
per
salvare
la
vita
a
molti
innocenti
.
Ma
la
scommessa
è
duplice
.
Da
un
lato
si
scommette
che
noi
siamo
in
accordo
col
senso
comune
,
che
quello
che
vogliamo
reprimere
è
qualche
cosa
di
universalmente
intollerabile
(
e
peggio
per
chi
non
lo
capisce
e
ammette
ancora
)
.
Dall
'
altro
si
scommette
che
la
violenza
che
giustifichiamo
riuscirà
a
prevenire
violenze
maggiori
.
Sono
due
problemi
assolutamente
diversi
.
Ora
provo
a
dare
per
scontato
il
primo
,
che
scontato
non
è
,
ma
vorrei
ricordare
a
tutti
che
questo
non
è
un
trattato
di
etica
,
bensì
un
articolo
di
giornale
,
sordidamente
ricattato
da
esigenze
di
spazio
e
di
comprensibilità
.
In
altre
parole
,
il
primo
problema
è
così
grave
,
e
angoscioso
,
che
non
può
,
anzi
non
deve
essere
trattato
sulle
gazzette
.
Diciamo
allora
che
è
giusto
,
per
impedire
un
delitto
come
la
pulizia
etnica
(
foriero
di
altri
delitti
e
di
altre
atrocità
che
il
nostro
secolo
ha
conosciuto
)
,
ricorrere
alla
violenza
.
Ma
la
seconda
domanda
è
se
la
forma
di
violenza
che
esercitiamo
possa
davvero
prevenire
violenze
maggiori
.
Qui
non
siamo
più
di
fronte
a
un
problema
etico
bensì
a
un
problema
tecnico
,
il
quale
ha
tuttavia
un
risvolto
etico
:
se
l
'
ingiustizia
a
cui
mi
piego
non
prevenisse
l
'
ingiustizia
maggiore
,
sarebbe
stato
lecito
usarla
?
Questo
equivale
a
fare
un
discorso
sulla
utilità
della
guerra
,
nel
senso
di
guerra
guerreggiata
,
di
guerra
tradizionale
,
che
ha
per
fine
l
'
annientamento
finale
del
nemico
e
la
vittoria
del
vincitore
.
Il
discorso
sulla
inutilità
della
guerra
è
difficile
perché
pare
che
chi
lo
fa
parli
in
favore
dell
'
ingiustizia
che
la
guerra
cerca
di
sanare
.
Ma
questo
è
un
ricatto
psicologico
.
Se
qualcuno
per
esempio
dicesse
che
tutti
i
guai
della
Serbia
derivano
dalla
dittatura
di
Milosevic
,
e
che
se
i
servizi
segreti
occidentali
riuscissero
a
uccidere
Milosevic
tutto
si
risolverebbe
in
un
giorno
,
questo
qualcuno
criticherebbe
la
guerra
come
strumento
utile
per
risolvere
il
problema
del
Kosovo
,
ma
non
sarebbe
pro
-
Milosevic
.
D
'
accordo
?
Perché
nessuno
adotta
questa
posizione
?
Per
due
ragioni
.
Una
,
che
i
servizi
segreti
di
tutto
il
mondo
sono
per
definizione
inefficienti
,
non
sono
stati
capaci
di
fare
ammazzare
né
Castro
né
Saddam
ed
è
vergognoso
che
si
consideri
ancora
giusto
sperperare
per
essi
pubblico
denaro
.
L
'
altro
è
che
non
è
affatto
vero
che
quello
che
fanno
i
serbi
sia
dovuto
alla
follia
di
un
dittatore
,
ma
dipende
da
odi
etnici
millenari
,
che
coinvolgono
e
loro
e
altre
etnie
balcaniche
,
il
che
rende
il
problema
ancora
più
drammatico
.
Torniamo
allora
al
discorso
sulla
utilità
della
guerra
.
Qual
è
stato
nel
corso
dei
secoli
il
fine
di
quella
che
chiameremo
paleo
-
guerra
?
Sconfiggere
l
'
avversario
in
modo
da
trarre
un
beneficio
dalla
sua
perdita
.
Questo
imponeva
tre
condizioni
:
che
al
nemico
dovessero
essere
tenute
segrete
le
nostre
forze
e
le
nostre
intenzioni
,
in
modo
da
poterlo
prendere
di
sorpresa
;
che
ci
fosse
una
forte
solidarietà
nel
fronte
interno
;
che
infine
tutte
le
forze
a
disposizione
fossero
utilizzate
per
distruggere
il
nemico
.
Per
questo
nella
paleo
-
guerra
(
compresa
la
guerra
fredda
)
si
stroncavano
coloro
che
dall
'
interno
del
fronte
amico
trasmettevano
informazioni
al
fronte
nemico
(
fucilazione
di
Mata
Hari
,
i
Rosenberg
sulla
sedia
elettrica
)
,
si
impediva
la
propaganda
del
fronte
avverso
(
si
metteva
in
prigione
chi
ascoltava
Radio
Londra
,
McCarthy
condannava
i
filocomunisti
di
Hollywood
)
,
e
si
punivano
coloro
che
,
dall
'
interno
del
fronte
nemico
,
lavoravano
contro
il
proprio
paese
(
impiccagione
di
John
Amery
,
segregazione
a
vita
di
Ezra
Pound
)
perché
non
si
doveva
fiaccare
lo
spirito
dei
cittadini
.
E
infine
si
insegnava
a
tutti
che
il
nemico
andava
ucciso
,
e
i
bollettini
di
guerra
esultavano
quando
le
forze
nemiche
venivano
sterminate
.
Queste
condizioni
sono
entrate
in
crisi
con
la
prima
neo
-
guerra
,
quella
del
Golfo
,
ma
si
attribuiva
ancora
la
smagliatura
alla
stupidità
dei
popoli
di
colore
,
che
ammettevano
i
giornalisti
americani
a
Bagdad
,
forse
per
vanità
,
o
per
corruzione
.
Ora
non
ci
sono
più
equivoci
,
l
'
Italia
invia
aerei
in
Serbia
ma
mantiene
relazioni
diplomatiche
con
la
Jugoslavia
,
le
televisioni
della
Nato
comunicano
ora
per
ora
ai
serbi
quali
aerei
Nato
stanno
lasciando
Aviano
,
agenti
serbi
sostengono
le
ragioni
del
governo
avversario
dagli
schermi
della
televisione
di
stato
,
giornalisti
italiani
trasmettono
da
Belgrado
con
l
'
appoggio
delle
autorità
locali
.
Ma
è
guerra
questa
,
col
nemico
in
casa
che
fa
propaganda
per
i
suoi
?
Nella
neo
-
guerra
ciascun
belligerante
ha
il
nemico
nelle
retrovie
e
,
dando
continuamente
la
parola
all
'
avversario
,
i
media
demoralizzano
i
cittadini
(
mentre
Clausewitz
ricordava
che
condizione
della
vittoria
è
la
coesione
morale
di
tutti
i
combattenti
)
.
D
'
altra
parte
,
quand
'
anche
i
media
fossero
imbavagliati
,
le
nuove
tecnologie
della
comunicazione
permettono
flussi
d
'
informazione
inarrestabili
-
e
non
so
quanto
Milosevic
possa
bloccare
non
dico
Internet
ma
le
trasmissioni
radio
da
paesi
nemici
.
Tutte
le
cose
che
ho
detto
sembrano
contraddire
il
bell
'
articolo
di
Furio
Colombo
su
Repubblica
del
19
aprile
scorso
,
dove
si
sostiene
che
il
Villaggio
Globale
di
McLuhaniana
memoria
sarebbe
morto
il
13
aprile
1999
,
quando
in
un
mondo
di
media
,
cellulari
,
satelliti
,
spie
spaziali
e
così
via
,
si
dovette
dipendere
dal
telefonino
da
campo
di
un
funzionario
di
agenzia
internazionale
,
incapace
di
chiarire
se
davvero
fosse
avvenuta
una
infiltrazione
serba
in
territorio
albanese
.
"
Noi
non
sappiamo
nulla
dei
serbi
.
I
serbi
non
sanno
nulla
di
noi
.
Gli
albanesi
non
riescono
a
vedere
sopra
il
mare
di
teste
che
li
sta
invadendo
.
La
Macedonia
scambia
i
profughi
per
nemici
e
li
massacra
di
botte
"
.
Ma
allora
,
questa
è
una
guerra
dove
ciascuno
sa
tutto
degli
altri
o
dove
nessuno
sa
niente
?
Tutte
e
due
le
cose
.
Il
fronte
interno
è
trasparente
,
mentre
la
frontiera
è
opaca
.
Gli
agenti
di
Milosevic
parlano
nelle
trasmissioni
di
Gad
Lerner
,
mentre
sul
fronte
,
là
dove
i
generali
di
un
tempo
esploravano
col
binocolo
,
e
sapevano
benissimo
dove
si
appostava
il
nemico
,
oggi
non
si
sa
niente
.
Questo
accade
perché
,
se
il
fine
della
paleo
-
guerra
era
distruggere
quanti
più
nemici
fosse
possibile
,
pare
tipico
della
neo
-
guerra
cercare
di
ucciderne
il
meno
possibile
,
perché
a
ucciderne
troppi
si
incorrerebbe
nella
riprovazione
dei
media
.
Nella
neo
-
guerra
non
si
è
ansiosi
di
distruggere
il
nemico
,
perché
i
media
ci
rendono
vulnerabili
di
fronte
alla
sua
morte
-
non
più
evento
lontano
e
impreciso
,
ma
evidenza
visiva
insostenibile
.
Nella
neo
-
guerra
ogni
armata
si
muove
all
'
insegna
del
vittimismo
.
Milosevic
accusa
orribili
perdite
(
Mussolini
se
ne
sarebbe
vergognato
)
,
e
basta
che
un
aviatore
della
Nato
caschi
a
terra
che
tutti
si
commuovono
.
Insomma
,
nella
neo
-
guerra
perde
,
di
fronte
all
'
opinione
pubblica
,
chi
ha
ammazzato
troppo
.
E
dunque
è
giusto
che
alla
frontiera
nessuno
si
affronti
e
nessuno
sappia
niente
dell
'
altro
.
In
fondo
la
neo
-
guerra
è
all
'
insegna
della
"
bomba
intelligente
"
,
che
dovrebbe
distruggere
il
nemico
senza
ammazzarlo
,
e
si
capiscono
i
nostri
ministri
che
dicono
:
noi
,
scontri
col
nemico
?
ma
niente
affatto
!
Che
poi
un
sacco
di
gente
muoia
lo
stesso
è
tecnicamente
irrilevante
.
Anzi
,
il
difetto
della
neo
-
guerra
è
che
muore
della
gente
,
ma
non
si
vince
.
Ma
possibile
che
nessuno
sappia
condurre
una
neo
-
guerra
?
Nessuno
,
è
naturale
.
L
'
equilibrio
del
terrore
aveva
preparato
gli
strateghi
a
una
guerra
atomica
ma
non
a
una
terza
guerra
mondiale
,
dove
si
dovessero
spezzare
le
reni
alla
Serbia
.
É
come
se
i
migliori
laureati
del
Politecnico
fossero
stati
tenuti
per
cinquant
'
anni
a
fare
videogiochi
.
Vi
fidereste
a
lasciargli
fare
ora
un
ponte
?
Ma
infine
,
l
'
ultima
beffa
della
neo
-
guerra
non
è
che
non
ci
sia
nessuno
oggi
in
servizio
che
sia
vecchio
abbastanza
da
avere
imparato
a
fare
una
guerra
-
e
non
ci
potrebbe
essere
in
ogni
caso
,
perché
la
neo
-
guerra
è
un
gioco
dove
per
definizione
si
perde
sempre
,
anche
perché
la
tecnologia
che
viene
usata
è
più
complessa
del
cervello
di
coloro
che
la
manovrano
e
un
semplice
computer
,
benché
fondamentalmente
idiota
,
può
giocare
più
scherzi
di
quanti
ne
immagini
colui
che
lo
manovra
..
Bisogna
intervenire
contro
il
delitto
del
nazionalismo
serbo
,
ma
forse
la
guerra
è
un
'
arma
spuntata
.
Forse
l
'
unica
speranza
è
nell
'
avidità
umana
.
Se
la
vecchia
guerra
ingrassava
i
mercanti
di
cannoni
,
e
questo
guadagno
faceva
passare
in
secondo
piano
l
'
arresto
provvisorio
di
alcuni
scambi
commerciali
,
la
neo
-
guerra
,
se
pure
permette
di
smerciare
un
surplus
di
armamenti
prima
che
diventino
obsoleti
,
mette
in
crisi
i
trasporti
aerei
,
il
turismo
,
gli
stessi
media
(
che
perdono
pubblicità
commerciale
)
e
in
genere
tutta
l
'
industria
del
superfluo
.
Se
l
'
industria
degli
armamenti
ha
bisogno
di
tensione
,
quella
del
superfluo
ha
bisogno
di
pace
.
Prima
o
poi
qualcuno
più
potente
di
Clinton
e
di
Milosevic
dirà
basta
,
e
tutti
e
due
ci
staranno
a
perdere
un
poco
di
faccia
,
pur
di
salvare
il
resto
.
È
triste
,
ma
almeno
è
vero
.
StampaQuotidiana ,
POTREBBE
essere
un
racconto
di
Pirandello
.
Il
racconto
di
un
uomo
sempre
controcorrente
,
che
sul
marciare
controvento
ha
costruito
una
clamorosa
e
onoratissima
carriera
diventando
il
simbolo
stesso
della
demolizione
delle
regole
e
del
rovesciamento
degli
schemi
,
che
tuttavia
non
riesce
ad
ammettere
-
neanche
per
un
attimo
,
nemmeno
con
se
stesso
-
la
prima
e
la
più
assoluta
delle
sue
trasgressioni
:
l
'
adesione
a
una
"
causa
sbagliata
"
,
poi
diventata
nell
'
arco
degli
anni
un
autentico
tabù
sociale
e
storico
.
Potrebbe
essere
un
racconto
di
Pirandello
,
e
invece
è
la
vicenda
di
Dario
Fo
,
tornata
d
'
attualità
sull
'
onda
della
polemica
sulle
"
confessioni
"
di
Roberto
Vivarelli
riguardo
all
'
adesione
alla
Rsi
.
Anche
Dario
Fo
vestì
la
divisa
della
Rsi
.
Anche
lui
è
stato
interpellato
di
recente
sui
motivi
di
quella
scelta
.
A
oltre
cinquantanni
di
distanza
,
da
uno
così
uno
che
sul
"
coraggio
di
dire
di
no
"
ha
costruito
una
carriera
da
Nobel
,
ci
si
poteva
aspettare
un
fulminante
"
outing
"
.
E
vero
,
l
'
ho
fatto
.
Invece
è
arrivato
un
deprimente
contorcimento
.
Deprimente
sia
per
il
compagno
di
"
Guerra
di
popolo
in
Cile
"
sia
per
il
camerata
di
"
Battaglioni
del
Duce
battaglioni
"
.
"
A
differenza
di
Vivarelli
che
,
sebbene
per
poco
,
ci
credette
-
ha
spiegato
Dario
Fo
al
"
Corriere
"
-
io
aderii
alla
Rsi
per
ragioni
molto
più
pratiche
:
cercare
di
imboscarmi
,
portare
a
casa
la
pelle
"
.
Fo
dice
di
aver
scelto
l
'
artiglieria
contraerea
di
Varese
perché
tanto
"
non
aveva
cannoni
"
ed
era
facile
prevedere
che
gli
arruolati
sarebbero
presto
stati
rimandati
a
casa
.
Quando
capì
che
invece
rischiava
di
essere
spedito
in
Germania
"
a
sostituire
gli
artiglieri
tedeschi
massacrati
dalle
bombe
"
,
trovò
un
'
altra
scappatoia
.
Si
arruolò
nella
scuola
paracadutisti
di
Tradate
.
Frequentò
il
corso
.
E
"
finito
l
'
addestramento
,
fuga
finale
.
Tornai
nelle
mie
valli
,
cercai
di
unirmi
a
qualche
gruppo
di
partigiani
,
ma
non
ne
era
rimasto
nessuno
"
.
E
'
una
versione
ben
differente
da
quella
che
lo
stesso
Fo
fornì
vent
'
anni
fa
,
e
di
cui
diamo
conto
nell
'
articolo
qui
a
fianco
.
All
'
epoca
il
giullare
di
"
Mistero
buffo
"
sosteneva
addirittura
di
essere
entrato
nella
Rsi
su
incarico
di
formazioni
partigiane
.
Smentito
in
processo
,
è
stato
probabilmente
costretto
a
"
emendare
"
i
suoi
ricordi
.
Resta
da
chiedersi
come
mai
nemmeno
dopo
mezzo
secolo
,
nemmeno
dopo
il
Nobel
,
nemmeno
dopo
l
'
incrinatura
del
tabù
che
ha
ossessionato
due
generazioni
di
italiani
,
un
pluri
-
settantenne
del
calibro
di
Fo
,
ormai
al
riparo
dalle
intemperie
della
discriminazione
,
riesca
a
riconciliarsi
con
le
scelte
della
sua
giovinezza
.
Delle
due
l
'
una
:
o
la
gabbia
creata
dalle
vestali
del
"
politicamente
corretto
"
è
infrangibile
,
o
è
molto
fragile
-
debole
,
succubo
conformista
-
lui
.
StampaQuotidiana ,
San
Francisco
-
Telegraph
Hill
è
una
delle
tante
colline
sulle
quali
è
costruita
San
Francisco
,
forse
la
più
alta
.
Sulla
cima
della
collina
c
'
è
un
belvedere
e
un
faro
,
tra
ameni
boschetti
e
aiuole
fiorite
.
Si
può
salire
in
cima
al
faro
e
di
lassù
godersi
la
vista
di
tutta
la
città
,
variamente
disposta
su
e
giù
per
le
alture
;
dei
due
grandi
ponti
,
l
'
uno
rosso
e
l
'
altro
ferreo
che
scavalcano
la
baia
;
della
baia
stessa
,
azzurra
e
scintillante
al
sole
,
con
l
'
isoletta
penitenziaria
di
Alcatraz
e
i
cento
battelli
che
la
solcano
.
Un
giorno
che
guardavamo
questo
bellissimo
panorama
sul
quale
le
nuvole
leggere
e
bianche
che
viaggiavano
nel
cielo
gettavano
or
sì
or
no
grandi
ombre
effimere
,
qualcuno
ci
indicò
un
quartiere
lontano
:
"
Laggiù
abitano
i
Russi
,
o
meglio
i
discendenti
americani
della
colonia
russa
di
San
Francisco
"
.
Dapprima
rimanemmo
sconcertati
,
quindi
ricordammo
;
nel
1811
i
Russi
nella
loro
marcia
verso
l
'
Oriente
avevano
finito
per
raggiungere
anche
questo
lembo
dell
'
estremo
Occidente
.
Il
corriere
dello
Zar
arrivava
fin
qui
,
portando
i
dispacci
di
San
Pietroburgo
alla
Compagnia
Russa
delle
pellicce
insediata
a
Yerba
Buena
,
antico
nome
di
San
Francisco
.
La
Compagnia
delle
pellicce
durò
fino
al
1840
e
poi
fu
sciolta
e
la
Russia
rinunziò
alla
California
e
i
Russi
che
restarono
a
Yerba
Buena
diventarono
col
tempo
cittadini
americani
.
Erano
forse
un
centinaio
;
assommano
oggi
a
parecchie
migliaia
.
Questa
informazione
ci
diede
da
pensare
:
i
Russi
erano
stati
in
questa
parte
dell
'
America
prim
'
ancora
degli
Americani
,
avevano
posseduto
l
'
Alaska
(
poi
venduta
agli
Stati
Uniti
,
nel
1867
,
per
sette
milioni
di
dollari
)
,
avevano
impiantato
una
colonia
in
California
.
Insomma
i
rapporti
degli
Stati
Uniti
con
la
Russia
erano
molto
antichi
ed
erano
rapporti
di
frontiera
,
né
più
né
meno
di
quelli
con
l
'
Inghilterra
e
con
la
Spagna
.
Tre
imperi
,
dunque
,
quello
inglese
,
quello
spagnuolo
e
quello
russo
avevano
sbarrato
il
passo
all
'
espansione
yankee
:
con
l
'
impero
inglese
,
gli
Americani
dopo
contrasti
secolari
,
hanno
stabilito
legami
di
cuginanza
,
se
non
di
fraternità
;
di
quello
spagnuolo
,
hanno
pensato
a
liberarli
gli
stessi
domini
spagnuoli
d
'
America
,
rendendosi
indipendenti
;
con
l
'
impero
russo
,
invece
,
i
rapporti
,
come
è
noto
,
sono
,
ancor
oggi
,
tutt
'
altro
che
buoni
.
Ora
che
a
Ginevra
è
scoppiata
,
come
dicono
facetamente
le
gazzette
,
la
pace
,
si
può
fare
forse
il
punto
su
questi
rapporti
e
domandarsi
:
che
pensano
gli
Americani
della
Russia
;
e
in
maniera
più
particolare
:
quali
sono
,
fuori
della
situazione
ufficiale
e
diplomatica
,
i
sentimenti
del
popolo
americano
per
la
Russia
?
Bisogna
prima
di
tutto
distinguere
i
gruppi
intellettuali
e
fino
ad
un
certo
segno
politici
,
dalla
massa
,
ossia
dalla
middle
-
class
.
Per
quanto
riguarda
i
gruppi
intellettuali
e
politici
,
i
cosiddetti
anni
trenta
,
ossia
il
periodo
che
va
dalla
crisi
del
1929
alla
fine
della
guerra
civile
in
Spagna
,
segnano
al
tempo
stesso
il
punto
di
incontro
e
di
rottura
tra
l
'
intellighenzia
americana
e
il
marxismo
staliniano
.
La
grande
crisi
economica
del
1929
,
chiudendo
centinaia
di
fabbriche
e
gettando
sul
lastrico
fino
a
dodici
milioni
di
persone
,
aveva
fatto
dubitare
molti
Americani
della
bontà
e
solidità
del
sistema
politico
ed
economico
tradizionale
degli
Stati
Uniti
.
Il
comunismo
o
meglio
il
marxismo
sembrò
allora
a
molti
intellettuali
la
sola
teoria
economica
e
politica
alla
quale
si
potesse
ricorrere
per
risolvere
la
crisi
nazionale
,
la
più
grave
della
storia
americana
dopo
quella
della
guerracivile
.
Però
,
fatto
importante
e
che
occorre
sottolineare
,
questa
simpatia
per
il
marxismo
e
per
la
Russia
di
Stalin
non
oltrepassò
i
limiti
di
ristretti
gruppi
di
intellettuali
e
uomini
politici
;
le
masse
che
purtuttavia
erano
state
le
più
colpite
dalla
crisi
economica
,
restarono
fuori
di
questa
simpatia
;
le
grandi
Trade
Unions
si
mantennero
sopra
un
terreno
strettamente
economico
;
il
partito
comunista
americano
non
fu
mai
più
di
un
'
insignificante
setta
di
poche
migliaia
di
persone
.
Il
movimento
di
simpatia
per
il
marxismo
staliniano
e
per
la
Russia
Sovietica
non
durò
più
di
una
decina
di
anni
,
approssimativamente
dalla
grande
crisi
o
poco
prima
,
alla
fine
della
guerra
di
Spagna
.
All
'
infatuazione
,
forse
superficiale
,
forse
dilettantesca
,
forse
fondata
piuttosto
su
motivi
negativi
che
positivi
,
seguì
una
profonda
delusione
che
,
in
un
Paese
come
gli
Stati
Uniti
dove
le
esperienze
psicologiche
individuali
hanno
sempre
uno
sfondo
morale
e
sociale
,
ebbe
effetti
addirittura
storici
.
Questa
delusione
derivò
da
due
fatti
,
l
'
uno
interno
e
l
'
altro
esterno
:
all
'
interno
,
come
si
è
detto
,
le
masse
rimasero
sorde
all
'
appello
marxista
e
fedeli
all
'
american
way
of
life
e
così
gli
intellettuali
e
lo
stesso
partito
comunista
americano
sentirono
di
essere
al
tutto
privi
di
giustificazioni
sociali
.
All
'
esterno
,
la
politica
estera
di
Stalin
,
oltre
a
dar
prova
di
un
machiavellismo
addirittura
rinascimentale
(
assassinio
di
Trotzky
,
condotta
della
guerra
in
Spagna
,
trattato
germano
-
sovietico
etc.
etc
.
)
ripugnante
alla
mentalità
puritana
ed
anglosassone
,
si
configurò
per
giunta
,
in
maniera
sempre
più
decisa
,
come
politica
di
rivalità
non
tanto
ideologica
quanto
nazionale
con
gli
Stati
Uniti
.
In
altri
termini
gli
intellettuali
,
a
torto
o
a
ragione
,
scoprirono
o
credettero
di
scoprire
che
il
comunismo
internazionale
era
uno
strumento
della
politica
estera
russa
e
che
la
loro
simpatia
per
il
marxismo
poteva
portarli
,
alla
lunga
,
su
posizioni
non
tanto
anticapitaliste
quanto
antiamericane
.
Oggi
,
se
si
vuoi
parlare
di
comunismo
,
non
è
certo
nei
circoli
intellettuali
di
Nuova
York
che
si
trovano
orecchie
pazienti
e
ragionevoli
.
L
'
anticomunismo
degli
intellettuali
americani
,
forse
perché
radicato
in
un
'
antica
e
profonda
delusione
,
è
tenace
,
violento
e
assolutamente
irriducibile
.
Circa
le
masse
,
ossia
la
middle
-
class
che
abbraccia
con
i
suoi
standard
uniformi
la
maggioranza
degli
Americani
,
il
discorso
si
fa
più
complicato
e
più
sottile
.
Per
il
suo
anti
-
comunismo
e
antisovietismo
valgono
le
stesse
ragioni
che
per
gli
intellettuali
,
più
altre
inerenti
alla
natura
dello
sviluppo
industriale
economico
e
sociale
degli
Stati
Uniti
.
Le
prime
ragioni
sono
quelle
già
esposte
:
la
Russia
si
è
giocata
le
simpatie
delle
masse
americane
dal
giorno
in
cui
Stalin
fece
una
politica
di
rivalità
nazionale
con
gli
Stati
Uniti
.
In
altri
termini
non
riuscì
alla
Russia
di
fare
negli
Stati
Uniti
ciò
che
aveva
fatto
con
successo
in
altri
Paesi
:
contrapporre
le
masse
alla
classe
dirigente
e
nello
stesso
tempo
sganciare
l
'
ideologia
marxista
dalla
politica
estera
russa
.
E
si
capisce
anche
perché
:
gli
Stati
Uniti
sono
il
solo
Paese
al
mondo
forse
con
il
quale
la
Russia
è
in
un
rapporto
diretto
di
rivalità
prim
'
ancora
nazionale
che
ideologica
.
Così
,
in
America
,
avviene
alla
politica
russa
il
rovescio
esatto
di
quanto
le
accade
negli
altri
Paesi
:
mentre
in
altri
Paesi
facilmente
si
interpretano
gli
accorgimenti
tradizionali
della
politica
estera
russa
come
sviluppi
coerenti
della
dialettica
marxista
,
in
America
le
complessità
e
sottigliezze
di
questa
dialettica
vengono
sovente
scambiate
per
pure
astuzie
e
furberie
sarmatiche
.
Il
patriottismo
delle
masse
americane
,
in
tal
modo
,
è
stato
svegliato
e
messo
in
allarme
;
e
ci
vorranno
molti
anni
di
vera
pace
perché
si
calmi
e
abbandoni
la
sua
estrema
diffidenza
.
Ma
le
ragioni
del
disinteresse
delle
masse
americane
per
il
marxismo
sono
anche
dovute
,
come
abbiamo
accennato
,
a
motivi
inerenti
alla
natura
stessa
dello
sviluppo
industriale
e
sociale
degli
Stati
Uniti
.
In
maniera
generale
,
si
può
affermare
che
il
marxismo
non
trova
appigli
tra
le
masse
degli
Stati
Uniti
per
la
buona
ragione
che
,
all
'
infuori
di
riforme
strettamente
politiche
(
e
dunque
poco
importanti
,
trattandosi
dopo
tutto
di
una
teoria
politica
fondata
sull
'
economia
)
,
esso
per
ora
non
ha
nulla
da
offrire
di
veramente
nuovo
alle
masse
americane
.
È
vero
che
agli
Stati
Uniti
c
'
è
il
capitalismo
;
ma
uno
degli
agganci
della
polemica
comunista
contro
il
capitalismo
in
Europa
,
ossia
i
suoi
legami
con
le
vecchie
classi
feudali
e
parassitarie
,
in
America
manca
del
tutto
.
Inoltre
il
marxismo
che
nell
'
Europa
orientale
e
in
Asia
fa
leva
sul
formidabile
motivo
della
rivoluzione
industriale
e
della
creazione
di
una
classe
dirigente
tecnocratica
,
in
America
,
trova
rivoluzione
industriale
e
classe
tecnocratica
già
bell
'
e
formate
ad
opera
del
capitalismo
.
Del
resto
quando
si
parla
di
masse
e
di
simpatie
delle
masse
,
si
allude
piuttosto
che
a
determinate
condizioni
materiali
,
a
esperienze
psicologiche
e
morali
.
Ora
gli
Americani
hanno
già
fatto
l
'
esperienza
psicologica
e
morale
della
rivoluzione
industriale
e
tecnocratica
,
hanno
già
assaporato
l
'
ebbrezza
collettiva
della
prosperità
di
massa
,
hanno
già
digerito
la
scoperta
delle
determinazioni
economiche
della
vita
sociale
;
e
ben
difficilmente
saranno
tentati
in
futuro
di
dare
ascolto
ad
una
teoria
che
gli
proponga
di
nuovo
queste
stesse
scontate
esperienze
.
Marx
,
tra
tante
profezie
azzeccate
,
ne
aveva
fatta
una
che
si
è
verificata
sbagliata
,
e
cioè
che
il
comunismo
avrebbe
avuto
i
suoi
primi
successi
nei
Paesi
di
più
avanzato
sviluppo
industriale
.
In
realtà
è
avvenuto
il
contrario
;
e
il
maggior
ostacolo
alla
comprensione
del
marxismo
in
America
,
a
parte
la
mentalità
puritana
,
sta
proprio
nella
coscienza
economica
e
industriale
delle
masse
americane
,
nella
loro
maturità
tecnocratica
.
Naturalmente
non
si
vuol
dire
con
questo
che
in
America
non
ci
sia
il
capitalismo
:
si
vuol
dire
soltanto
che
il
capitalismo
vi
ha
raggiunto
per
conto
suo
molti
degli
scopi
ai
quali
mira
il
comunismo
in
Europa
orientale
e
in
Asia
.
Donde
la
mancanza
di
attrazione
del
mito
sovietico
e
la
riduzione
della
Russia
Sovietica
a
Paese
rivale
,
quando
addirittura
non
ostile
.
S
'
intende
che
ciò
non
significa
affatto
che
gli
Americani
nutrano
una
preconcetta
ostilità
contro
i
Russi
.
Le
accoglienze
cordiali
che
recentemente
hanno
ricevuto
i
membri
della
commissione
agricola
russa
in
viaggio
negli
Stati
Uniti
stanno
a
dimostrare
una
verità
antica
quanto
il
mondo
:
nessun
popolo
odia
alcun
popolo
.
Ma
,
d
'
altra
parte
,
è
anche
vero
che
per
gli
Americani
la
Russia
Sovietica
è
forse
,
tra
tutti
i
Paesi
del
mondo
,
il
più
difficile
a
capirsi
.
Più
della
Cina
di
Mao
;
più
dei
Paesi
di
diversa
religione
e
civiltà
,
buddisti
o
maomettani
.
L
'
incomprensione
degli
Americani
è
dovuta
in
parte
all
'
ignoranza
dei
motivi
storici
,
sociali
e
filosofici
del
comunismo
;
ma
soprattutto
,
strano
a
dirsi
,
alla
lentezza
con
la
quale
la
rivoluzione
comunista
si
configura
storicamente
in
una
società
stabile
e
riconoscibile
.
Gli
ideali
americani
del
successo
,
della
praticità
e
dell
'
efficienza
sono
contraddetti
da
una
rivoluzione
che
pare
continuamente
essere
ritirata
,
come
diceva
Machiavelli
,
verso
i
suoi
principi
;
che
dopo
circa
quarant
'
anni
non
si
è
ancora
disfatta
dei
mezzi
coercitivi
di
cui
si
servì
agli
inizi
per
trionfare
dei
suoi
nemici
;
e
che
sembra
rimandare
ad
un
domani
mitico
i
risultati
materiali
per
raggiungere
i
quali
è
stata
compiuta
.
Strano
a
dirsi
,
ripetiamo
,
ma
se
il
comunismo
riuscisse
a
portare
le
masse
russe
ad
un
livello
di
prosperità
di
tipo
occidentale
,
se
le
frontiere
della
Russia
fossero
aperte
e
milioni
di
turisti
russi
ben
vestiti
ed
equipaggiati
invadessero
il
mondo
,
l
'
incomprensione
degli
Americani
verso
la
Russia
Sovietica
si
attenuerebbe
di
molto
.
In
queste
cose
è
difficile
arrivare
ad
una
conclusione
;
tanto
più
che
i
rapporti
russo
-
americani
sono
forse
entrati
in
questi
giorni
in
una
nuova
fase
di
cui
è
impossibile
prevedere
gli
sviluppi
.
Ma
più
di
un
secolo
fa
Alexis
de
Tocqueville
,
nel
suo
libro
sulla
democrazia
in
America
fece
alcune
considerazioni
che
oggi
sembrano
addirittura
profetiche
:
"
Ci
sono
oggi
due
grandi
popoli
che
partiti
da
punti
diversi
sembrano
dirigersi
verso
gli
stessi
scopi
:
i
Russi
e
gli
Americani
.
Tutti
e
due
sono
cresciuti
nell
'
oscurità
e
mentre
gli
sguardi
degli
uomini
erano
distratti
altrove
,
si
sono
ad
un
tratto
posti
in
prima
fila
tra
le
Nazioni
e
il
mondo
ha
appreso
al
tempo
stesso
la
loro
nascita
e
la
loro
grandezza
.
Tutti
gli
altri
popoli
sembrano
aver
raggiunto
il
loro
limite
;
soltanto
loro
sono
in
crescenza
.
Tutti
gli
altri
si
sono
fermati
o
avanzano
con
sforzo
,
solo
loro
procedono
con
passo
spedito
e
rapido
in
una
carriera
di
cui
per
ora
non
possiamo
neppure
intravedere
la
conclusione
.
L
'
Americano
lotta
contro
gli
ostacoli
che
gli
oppone
la
natura
.
Il
Russo
è
alle
prese
con
l
'
uomo
.
L
'
uno
combatte
il
deserto
e
la
barbarie
,
l
'
altro
la
civiltà
rivestita
di
tutte
le
sue
armi
.
Così
le
conquiste
dell
'
Americano
si
fanno
con
l
'
aratro
dell
'
agricoltore
e
quelle
del
Russo
con
le
armi
del
soldato
.
Per
raggiungere
i
suoi
scopi
il
primo
si
fonda
sull
'
interesse
personale
e
lascia
agire
senza
dirigerle
la
forza
e
la
ragione
degli
individui
.
Il
secondo
concentra
in
qualche
modo
in
un
sol
uomo
tutta
la
potenza
della
società
.
L
'
uno
ha
come
mezzo
principale
di
azione
la
libertà
;
l
'
altro
la
servitù
.
Il
loro
punto
di
partenza
è
diverso
,
le
loro
strade
sono
diverse
;
tuttavia
ciascuno
di
essi
sembra
essere
chiamato
,
da
un
segreto
disegno
della
Provvidenza
,
a
tenere
un
giorno
nelle
proprie
mani
il
destino
della
metà
del
mondo
"
.
Alexis
de
Tocqueville
,
per
quanto
profetico
,
non
poteva
prevedere
la
rivoluzione
russa
(
neppure
Marx
l
'
aveva
prevista
)
;
ma
il
suo
occhio
sagace
,
in
un
tempo
in
cui
le
maggiori
Potenze
del
mondo
erano
ancora
la
Francia
e
l
'
Inghilterra
,
aveva
intuito
le
linee
principali
dell
'
avvenire
del
mondo
,
ossia
la
presenza
di
due
grandi
Potenze
come
gli
Stati
Uniti
e
la
Russia
,
la
loro
rivalità
negli
stessi
campi
e
per
gli
stessi
scopi
,
e
,
in
certo
modo
,
anche
la
loro
coesistenza
,
per
dirla
con
una
parola
di
moda
.
Per
completare
il
quadro
dei
rapporti
russo
-
americani
,
bisognerebbe
forse
adesso
poter
dire
quali
sono
i
sentimenti
del
popolo
russo
per
quello
americano
,
che
cosa
sa
e
non
sa
il
popolo
russo
degli
Stati
Uniti
.
Non
siamo
in
grado
di
farlo
;
ma
è
chiaro
che
la
pace
del
mondo
dipende
quasi
per
intero
dalla
mutua
conoscenza
e
comprensione
di
questi
due
popoli
così
profondamente
diversi
.
StampaQuotidiana ,
Comico
,
sessuale
,
sarcastico
,
Kika
,
che
per
via
di
contese
giudiziarie
esce
in
Italia
con
un
anno
di
ritardo
sul
resto
d
'
Europa
,
è
quasi
un
'
antologia
,
un
collage
o
un
pastiche
del
cinema
di
Almodóvar
,
quasi
una
sintesi
d
'
addio
a
quel
mondo
e
a
quello
stile
bizzarro
,
spiritoso
,
erotico
,
anarchico
e
brillante
che
ha
reso
celebre
e
fatto
amare
nel
mondo
il
regista
spagnolo
quarantaquattrenne
.
Appena
un
po
'
stanco
,
a
volte
ripetitivo
:
ma
è
nel
caso
la
ripetizione
di
personaggi
e
avventure
così
divertenti
che
(
capita
anche
con
Woody
Allen
)
li
si
rincontra
sempre
con
gran
piacere
.
In
due
giornate
travolgenti
e
assurde
si
condensano
tanti
tic
di
Almodóvar
:
storie
melodrammatiche
sincere
e
ironiche
;
donne
ardite
,
sensuali
,
nevrotiche
e
allegre
;
cieli
notturni
d
'
azzurro
profondo
con
luminose
lune
da
presepio
;
passioni
e
sentimenti
tanto
abnormi
quanto
schietti
;
colori
primari
e
squillanti
,
soprattutto
il
rosso
;
trasgressione
,
peripezie
,
carnalità
,
buffoneria
.
In
più
,
c
'
è
in
Kika
l
'
ossessione
voyeuristica
contemporanea
della
vita
guardata
anziché
vissuta
;
c
'
è
la
vanificazione
del
desiderio
e
dell
'
utopia
;
c
'
è
l
'
invadenza
televisiva
che
riduce
i
destini
umani
a
brandelli
d
'
informazione
sensazionalista
.
A
rappresentare
la
tv
abietta
è
Victoria
Abril
,
ex
psicologa
,
autrice
del
teleprogramma
«
Il
peggio
della
giornata
»
che
mescola
notizie
raccapriccianti
e
interviste
con
vittime
o
carnefici
quotidiani
,
battezzata
Andrea
la
Sfregiata
(
«
Caracortada
»
)
,
montata
su
un
'
immensa
motocicletta
veloce
,
vestita
da
Jean
-
Paul
Gaultier
,
con
in
testa
un
casco
-
telecamera
che
le
permette
di
riprendere
tutto
ciò
che
vive
e
vede
.
La
cultura
tradizionale
è
invece
impersonata
da
Donna
Paquita
,
una
vecchia
signora
(
è
la
mamma
di
Almodòvar
)
che
conduce
stracca
un
telesalotto
letterario
,
senza
neppure
fingersi
interessata
ai
libri
e
ai
loro
autori
,
ostentando
persino
la
propria
ignoranza
e
la
propria
noia
:
e
che
ha
quindi
gran
successo
.
Molto
più
simpatica
,
Kika
è
una
truccatrice
che
attraversa
lietamente
indenne
le
più
straordinarie
avventure
.
Trucca
un
morto
così
bene
da
riportarlo
in
vita
.
Abita
con
un
fotografo
che
non
arriva
all
'
orgasmo
senza
le
Polaroid
scattate
durante
l
'
amore
,
che
la
spia
da
lontano
con
il
teleobiettivo
,
che
porta
uno
zainetto
leopardato
e
che
la
ama
«
al
mio
modo
sporco
e
silenzioso
»
.
È
anche
amante
del
patrigno
dell
'
amante
,
uno
scrittore
americano
assassino
.
Ha
una
cameriera
lesbica
che
pure
la
ama
ma
critica
la
sua
eterosessualità
:
«
Juanita
,
sei
mai
stata
con
un
uomo
?
»
«
No
,
solo
con
mio
fratello
,
un
subnormale
,
ipersessuato
come
tutti
i
subnormali
»
.
Questo
fratello
,
un
galeotto
ex
pornodivo
,
fugge
dalla
prigione
,
piomba
in
casa
,
ruba
,
si
getta
su
Kika
e
la
violenta
in
uno
stupro
lunghissimo
(
lei
,
annoiata
,
lo
incita
a
sbrigarsi
,
a
farla
finita
)
,
frenetico
e
impossibile
da
interrompere
:
neanche
la
polizia
,
quando
arriva
,
riesce
a
tirarlo
via
dal
corpo
della
donna
.
Ma
nulla
doma
la
vitalità
di
Kika
,
sempre
pronta
a
nuove
peripezie
e
compagnie
,
a
nuovi
viaggi
,
a
nuove
scoperte
:
e
speriamo
che
così
sia
anche
per
Almodóvar
.
StampaQuotidiana ,
La
cosa
più
straordinaria
che
potesse
capitare
e
che
difatti
capitò
a
Dino
Buzzati
fu
di
fare
l
'
inviato
speciale
di
un
grande
giornale
in
tempo
di
guerra
.
Ci
riuscì
splendidamente
,
intendiamoci
.
Le
sue
corrispondenze
marinare
sono
ancora
oggi
dei
pezzi
di
antologia
,
e
ognuna
di
esse
costituisce
un
racconto
perfettamente
composto
nella
sua
armoniosa
architettura
.
Di
sbagliato
,
o
meglio
di
inutile
,
non
c
'
è
che
la
prima
riga
:
quella
che
precisa
il
luogo
,
il
giorno
,
il
mese
e
l
'
anno
in
cui
l
'
articolo
fu
scritto
.
Ma
era
il
giornale
ad
aggiungerla
,
perché
Buzzati
se
ne
dimenticava
sempre
.
In
realtà
le
sue
descrizioni
,
salvo
qualche
trascurabile
particolare
tecnico
,
erano
così
al
di
fuori
del
tempo
e
dello
spazio
,
che
avrebbero
potuto
benissimo
adattarsi
anche
a
Lepanto
,
a
Trafalgar
,
a
Tsushima
o
alle
Falkland
.
Qualcuno
in
redazione
si
preoccupava
di
interpolarvi
gl
'
indispensabili
riferimenti
,
e
anche
i
punti
e
le
virgole
.
Perché
Buzzati
scrive
senza
punteggiatura
,
e
non
ha
mai
capito
dov
'
è
che
finisce
una
frase
e
ne
comincia
un
'
altra
,
dov
'
è
che
bisogna
far
pausa
e
aprire
una
proposizione
subordinata
.
Buzzati
sfugge
le
regole
ortografiche
per
la
stessa
ragione
per
cui
sfugge
i
fatti
.
Quando
ha
finito
,
con
molta
fatica
,
il
suo
«
pezzo
»
,
vi
sparge
sopra
,
come
una
manciata
di
sale
,
un
congruo
numero
di
virgole
,
dove
vanno
vanno
.
Poi
rilegge
,
ha
paura
(
sempre
)
di
aver
scritto
soltanto
delle
sciocchezze
,
e
chiama
Gaetano
Afeltra
perché
gli
dia
un
giudizio
.
Il
più
magico
degli
scrittori
italiani
è
anche
il
più
incerto
di
sé
e
timoroso
.
Non
usa
la
macchina
da
scrivere
.
Compone
a
penna
con
una
calligrafia
da
bambino
,
chiarissima
,
e
spesso
ricopia
tre
o
quattro
volte
il
compitino
,
che
di
lontano
ricorda
sempre
un
po
'
la
lettera
che
si
usava
ai
«
cari
genitori
»
per
Natale
e
capodanno
.
Qua
e
là
poi
,
ogni
tanto
,
è
capace
di
disegnarvi
delle
figurine
,
specie
di
animali
;
e
si
vede
benissimo
che
mentalmente
egli
dedica
i
suoi
scritti
a
della
gente
come
lui
:
cioè
a
dei
bambini
di
trenta
,
quaranta
o
cinquant
'
anni
.
Eccolo
che
arriva
al
giornale
con
la
sua
Topolino
di
antiquato
modello
.
Non
la
rinnova
perché
è
avaro
,
e
lo
confessa
.
E
va
piano
perché
è
pauroso
,
ed
anche
questo
lo
confessa
.
Però
guida
con
i
guanti
infilati
come
se
si
trattasse
di
attraversare
l
'
Europa
,
e
ogni
volta
che
scende
è
tutta
una
liturgia
di
saluti
come
se
fosse
reduce
da
un
fortunoso
viaggio
in
terre
lontane
.
Buzzati
augura
il
buon
giorno
e
si
toglie
il
cappello
al
portiere
,
al
garagista
,
al
fattorino
,
all
'
impiegato
,
alla
dattilografa
e
perfino
a
tutti
i
colleghi
che
incontra
per
le
scale
.
Non
dà
del
«
lei
»
anche
a
me
,
solo
perché
potrebbe
sembrare
una
posa
;
ma
è
chiaro
che
il
«
tu
»
gli
costa
un
certo
sforzo
.
È
vestito
con
suprema
eleganza
.
Tanta
,
che
nessuno
si
è
mai
accorto
che
Buzzati
è
un
uomo
elegante
.
Porta
i
capelli
,
su
cui
gli
anni
hanno
cominciato
a
seminare
qualche
filo
d
'
argento
,
tagliati
corti
,
giacche
senza
attillatura
e
con
spalle
a
bottiglia
;
cravatte
di
colore
spento
,
annodate
in
modo
che
sembra
che
sia
stata
la
mamma
a
farlo
,
mormorandogli
all
'
orecchio
la
consueta
raccomandazione
:
«
E
non
sporcarti
,
eh
?
La
roba
a
lavarla
,
si
consuma
;
e
costa
tanto
,
al
giorno
d
'oggi...»
.
Dino
,
figlio
obbediente
,
non
sporca
mai
nulla
.
La
giacca
,
appunto
per
non
sporcarla
,
se
la
cambia
appena
entra
nel
suo
ufficio
;
e
ogni
poco
si
alza
per
andare
a
lavarsi
le
mani
.
Infatti
a
pensarci
bene
le
sue
pagine
si
sente
benissimo
che
sono
state
composte
da
mani
pulite
.
In
tutti
sensi
.
Quando
,
subito
dopo
la
Liberazione
,
ci
fu
,
al
«
Corriere
»
,
l
'
inchiesta
per
epurare
i
collaborazionisti
,
Buzzati
fu
,
a
quanto
pare
,
l
'
unico
,
fra
quelli
rimasti
al
lavoro
dopo
1'8
settembre
,
a
non
subire
processi
.
A
nessuno
poteva
venire
,
e
a
nessuno
infatti
venne
in
mente
di
incriminarlo
.
Il
primo
a
stupirsene
sinceramente
sarebbe
stato
lui
che
,
quando
io
dalla
prigione
in
cui
mi
trovavo
rinchiuso
gli
mandai
un
biglietto
per
supplicarlo
di
astenersi
dal
lavoro
,
ora
che
bisognava
svolgerlo
sotto
il
controllo
tedesco
,
mi
rispose
con
un
altro
biglietto
che
conteneva
questa
sola
parola
:
«
Perché
?
»
.
E
in
quell
'
interrogativo
era
riassunto
il
suo
ritratto
.
Buzzati
era
corrispondente
in
Abissinia
quando
la
guerra
scoppiò
.
Dopo
qualche
mese
venne
in
licenza
a
Milano
,
perché
era
la
licenza
che
gli
spettava
,
ed
egli
ha
,
delle
vacanze
,
una
concezione
burocratica
quasi
sacra
:
per
nessuna
ragione
al
mondo
vi
rinunzierebbe
,
quando
gli
toccano
.
Con
altrettanto
burocratica
puntualità
,
esaurite
le
ferie
,
si
presentò
al
direttore
Aldo
Borelli
per
salutarlo
prima
di
ripartire
per
Addis
Abeba
.
Borelli
lo
guardò
esterrefatto
di
sopra
gli
occhiali
:
c
'
era
dunque
qualcuno
che
ancora
non
si
rendeva
conto
che
un
ritorno
ad
Addis
Abeba
,
a
parte
le
difficoltà
e
i
pericoli
del
viaggio
,
significava
la
propria
consegna
nelle
mani
degl
'
inglesi
?
Si
,
c
'
era
:
Dino
Buzzati
.
Borelli
non
poteva
dargli
ordine
di
restare
in
patria
:
sarebbe
stato
un
gesto
di
disfattismo
e
di
sfiducia
nelle
sorti
delle
nostre
armi
.
«
Ma
»
,
disse
,
«
prima
di
vederla
ripartire
,
vorrei
che
lei
si
sentisse
del
tutto
a
posto
con
la
salute
...
»
«
Con
la
salute
!
?
»
,
rispose
Buzzati
col
suo
nasino
per
aria
.
«
Ma
io
non
sono
mica
malato
!...»
Borelli
si
grattò
la
testa
un
po
'
con
imbarazzo
,
un
po
'
con
rabbia
.
«
Come
non
è
malato
?
»
,
fece
.
«
Suvvia
,
a
chi
vuoi
darla
ad
intendere
?
»
«
Ma
no
,
direttore
,
le
assicuro
»
,
insisté
Dino
,
«
che
io
non
sono
malato
!...»
«
Ma
sì
che
è
malato
!
»
«
Ma
no
che
non
sono
malato
!...»
Borelli
lo
guardò
con
odio
,
strinse
i
pugni
,
li
sbatté
violentemente
sul
tavolo
rovesciando
il
calamaio
,
e
scoppiò
fragorosamente
:
«
E
io
le
dico
che
è
malato
,
vuol
capirla
o
non
vuol
capirla
?
...
Malato
di
cretinismo
,
per
la
Madonnal
...
Vada
a
curarsi
!...»
.
Pallido
in
volto
e
con
le
lacrime
agli
occhi
,
Buzzati
venne
da
Afeltra
e
da
me
per
tradurci
l
'
accaduto
in
queste
parole
:
«
Il
direttore
mi
ha
licenziato
!
»
.
Altrettanto
pallidi
e
con
le
lacrime
agli
occhi
,
Afeltra
ed
io
ci
precipitammo
dal
direttore
per
,
conoscere
i
motivi
di
sì
grave
decisione
e
,
se
possibile
,
farla
revocare
.
Borelli
ci
ascoltò
con
pazienza
,
poi
si
prese
la
testa
fra
le
mani
con
un
gesto
di
disperazione
,
e
sordamente
mugolò
:
«
L
'
ho
sempre
detto
,
io
,
che
gli
unici
veri
grandi
imbecilli
sono
i
poeti
»
.
Ci
fissò
,
poi
aggiunse
con
voce
carica
di
minaccia
:
«
Tornate
da
Buzzati
e
ditegli
da
parte
mia
che
è
un
grande
poeta
.
Grandissimo
.
Il
più
grande
che
abbia
incontrato
»
.
Afeltra
ed
io
impiegammo
parecchie
ore
per
spiegare
a
Dino
come
e
perché
Borelli
,
pur
impedendogli
di
tornare
in
Abissinia
,
non
aveva
inteso
affatto
licenziarlo
.
Egli
ci
ascoltava
col
nasino
per
in
su
,
gli
occhi
candidi
e
interrogativi
posati
ora
su
me
ora
su
Gaetano
,
la
cravatta
annodata
come
se
fosse
stata
la
mamma
a
farlo
.
Poi
disse
,
semplicemente
:
«
Ah
!
»
.
Ci
ripensò
,
parve
poco
convinto
,
e
aggiunse
perplesso
:
«
Ma
non
sarò
mica
,
senza
saperlo
,
ammalato
per
davvero
?
»
.
Perché
colui
che
,
per
obbedienza
agli
ordini
del
giornale
,
stava
per
affrontare
un
viaggio
rischiosissimo
e
la
certa
cattura
,
ha
una
paura
birbona
delle
malattie
.
Da
allora
Buzzati
continuò
a
stare
,
ufficialmente
richiamato
come
corrispondente
di
guerra
,
dove
lo
mettevano
.
E
lo
misero
dapprima
su
un
incrociatore
.
Fu
uno
dei
pochi
,
tra
noi
,
a
non
soffrire
il
mal
di
mare
e
a
farsi
amare
dai
marinai
.
Prese
parte
a
convogli
,
e
li
descrisse
come
cavalcate
di
neri
angeli
nella
notte
.
E
le
volte
che
gli
toccò
correre
un
rischio
,
lo
fece
con
sì
sorridente
impassibilità
e
tranquilla
modestia
che
passò
per
un
uomo
coraggiosissimo
.
Lo
è
infatti
,
in
un
certo
senso
:
nel
senso
cioè
che
i
rischi
Buzzati
non
li
vede
,
lui
che
traspone
tutto
al
soprannaturale
e
non
può
concepire
nemmeno
un
siluro
se
non
sotto
le
sembianze
di
un
mostruoso
ma
innocuo
delfino
.
L'8
settembre
il
giornale
diede
ordine
a
Buzzati
di
restare
al
lavoro
in
redazione
,
e
Buzzati
ci
restò
.
Ecco
perché
egli
non
comprese
il
biglietto
che
dalla
prigione
gli
mandai
,
nel
timore
del
castigo
in
cui
avrebbe
potuto
incorrere
più
tardi
.
Quale
castigo
?
dovette
domandarsi
con
la
stessa
aria
di
sbigottimento
che
gli
si
era
dipinta
sul
volto
il
giorno
in
cui
Borelli
,
per
salvarlo
senza
compromettersi
,
aveva
voluto
persuaderlo
che
era
malato
.
E
infatti
non
ne
subì
.
Perfino
di
fronte
a
degli
"
epuratori
"
,
cioè
alla
più
bassa
sottospecie
cui
l
'
umanità
,
in
nome
di
qualunque
ideologia
,
possa
degradarsi
,
l
'
innocenza
,
quando
è
dipinta
con
tanta
evidenza
sul
volto
e
nei
gesti
e
nelle
parole
di
un
uomo
come
lo
è
sul
volto
,
nei
gesti
e
nelle
parole
di
Dino
,
trova
la
forza
di
imporsi
.
Stanotte
Buzzati
deve
partire
per
ragioni
di
servizio
,
e
ancora
non
lo
sa
.
È
andato
a
letto
,
perché
è
sua
abitudine
coricarsi
presto
,
prima
ancora
che
in
redazione
giungesse
l
'
annunzio
della
spaventosa
tragedia
di
Albenga
,
dove
alcune
dozzine
di
bambini
milanesi
sono
morti
affogati
.
Chi
s
'
incarica
di
dargli
la
terribile
notizia
?
«
Be
'
»
,
dice
il
direttore
ad
Afeltra
,
«
glielo
dica
lei
.
È
un
fatto
orribile
,
siamo
d
'
accordo
.
Ma
,
in
fondo
,
tra
quei
poveri
morticini
,
non
c
'
è
mica
anche
un
figlio
di
Buzzati
!...»
Afeltra
ha
il
guizzo
di
un
sorriso
nei
suoi
neri
malinconici
furbi
occhi
di
napoletano
;
poi
mi
prende
in
disparte
:
«
Questo
pover
uomo
crede
che
,
per
Dino
,
sia
terribile
la
notizia
della
morte
dei
bambini
!
...
No
,
la
notizia
terribile
,
per
lui
,
è
che
ora
,
all
'
una
di
notte
,
deve
alzarsi
e
partire
!
»
.
E
non
sbaglia
.
Buzzati
ascolta
dall
'
altro
capo
del
filo
il
resoconto
della
sciagura
che
Afeltra
gli
colorisce
con
apocalittici
accenti
.
Poi
risponde
:
«
Povere
creature
!
...
Ne
riparliamo
domani
!
»
.
E
riattacca
il
ricevitore
.
Afeltra
mi
fissa
con
uno
sguardo
che
suona
:
"
Te
l
'
avevo
detto
,
io
?
"
e
lo
fa
richiamare
.
«
No
,
Dino
,
senti
...
»
,
ricomincia
con
voce
dolcissima
,
«
tu
mi
pare
che
non
hai
capito
bene
di
che
cosa
si
tratta
...
Sono
quasi
tutti
di
Milano
,
i
bambini
...
Qui
,
domani
,
tutta
la
città
è
in
lutto
,
e
capirai
che
il
giornale
non
può
uscire
con
la
notizia
nuda
e
cruda
...
»
«
No
,
certo
»
,
gracida
la
voce
di
Dino
,
«
dovete
mandar
qualcuno
...
»
,
e
riattacca
.
Per
la
terza
volta
Afeltra
lo
fa
chiamare
.
«
Dino
?
...
Carissimo
Dino
...
Sono
ancora
io
,
Gaetano
.
Senti
,
lasciami
parlare
...
Ad
Albenga
,
per
un
servizio
di
questo
genere
,
non
si
può
mandare
uno
qualunque
...
Ci
vogliono
una
penna
e
una
firma
...
Ci
vuole
soprattutto
un
cuore
che
batte
...
E
qui
,
a
portata
di
mano
,
non
abbiamo
nessuno
...
Piovene
,
come
sai
,
è
a
Parigi
...
Vergani
al
Tour
...
Corradi
in
Inghilterra
...
Grazzini
in
Sicilia
...
Montanelli
non
ha
cuore
,
o
passa
per
uno
che
non
ne
ha
:
il
che
agli
effetti
del
pubblico
,
è
lo
stesso
...
Cosa
dici
?
...
Hanno
suonato
alla
porta
?
...
Sì
,
va
'
a
aprire
,
va
'
:
è
l
'
autista
che
,
d
'
ordine
del
direttore
,
è
venuto
con
la
macchina
a
prenderti
per
condurti
ad
Albenga
...
»
Ed
è
lui
,
stavolta
,
a
riattaccare
il
ricevitore
.
Ma
le
fatiche
di
Afeltra
non
sono
finite
con
la
partenza
di
Buzzati
,
l
'
impareggiabile
purosangue
di
cui
egli
è
il
naturale
fantino
.
Con
trepida
impazienza
,
finito
,
alle
quattro
,
il
lavoro
in
tipografia
,
invece
di
coricarsi
,
si
chiude
nella
cabina
telefonica
ad
attendere
il
primo
resoconto
del
suo
puledro
.
Quando
torno
la
sera
,
lo
trovo
ancora
lì
,
con
la
cravatta
sbilenca
,
la
faccia
irta
di
barba
,
gli
occhi
lustri
di
gioia
.
«
Leggi
,
leggi
...
»
,
mi
dice
accennando
con
una
mano
il
dattiloscritto
in
cui
lo
stenografo
ha
già
tradotto
il
resoconto
telefonico
di
Dino
,
mentre
con
l
'
altra
sèguita
a
tenersi
poggiato
all
'
orecchio
il
ricevitore
.
«
Leggi
che
meraviglial
...
»
Lo
è
,
infatti
:
pagine
pulite
,
lisce
,
in
cui
la
Morte
traluce
come
una
cosa
viva
e
affabile
,
appena
riverberando
un
'
ombra
sui
cadaveri
allineati
sotto
il
suo
mantello
non
più
,
come
al
solito
,
lugubre
e
solenne
,
ma
cordiale
e
paterno
:
uno
dei
più
bei
reportages
,
forse
il
più
bello
,
fra
quelli
che
in
tanti
anni
di
mestiere
mi
son
capitati
da
leggere
.
«
No
,
no
,
aspetta
!
»
,
urla
Afeltra
all
'
apparecchio
.
«
La
chiusa
non
dev
'
essere
questa
!
...
La
chiusa
la
devi
fare
sul
torpedone
delle
mamme
che
sono
già
partite
da
Milano
per
venire
a
vedere
i
loro
bambini
morti
e
devono
essere
in
arrivo
costà
...
Sul
loro
urlo
di
dolore
...
»
«
E
perché
dovrebbero
urlare
?
»
,
risponde
placida
la
voce
di
Dino
,
al
'
altro
capo
del
filo
.
«
Come
"
perché
dovrebbero
urlare
"
!
?
»
,
esplode
Afeltra
con
voce
strozzata
.
«
...
Ma
che
vai
dicendo
,
Dino
!
?
...
I
loro
figli
...
»
«
Sono
così
belli
!
»
,
ribatte
dolcissima
la
voce
di
Buzzati
.
«
Li
vedessi
,
Gaetano
,
come
sono
belli
!
...
Sorridono
...
Angeli
che
,
per
diventarlo
,
sono
così
contenti
di
essere
morti
...
»
Quando
l
'
indomani
,
al
suo
ritorno
,
stringo
la
mano
a
Buzzati
per
complimentarmi
con
lui
dello
stupendo
articolo
che
ha
scritto
,
egli
rimane
ad
ascoltarmi
col
nasino
per
in
su
,
gli
occhi
candidi
e
interrogativi
posati
ora
su
me
ora
su
Gaetano
che
approva
,
la
cravatta
annodata
,
nonostante
il
viaggio
e
le
due
insonni
notti
,
come
se
fosse
stata
la
mamma
a
farlo
.
Poi
mi
chiede
:
«
Davvero
?
»
,
con
lo
stesso
tono
lievemente
incredulo
con
cui
mi
rivolse
la
stessa
domanda
allorché
,
letto
che
ebbi
Il
deserto
dei
tartari
,
gli
dissi
che
aveva
scritto
il
più
bel
romanzo
italiano
degli
ultimi
vent
'
anni
(
e
sono
ancora
dello
stesso
avviso
)
.
Lo
guardo
.
E
d
'
improvviso
mi
accorgo
che
,
come
i
bambini
che
ha
descritto
,
anche
lui
in
fondo
è
un
angelo
:
l
'
unico
che
,
per
diventarlo
,
non
abbia
avuto
bisogno
,
prima
,
di
morire
.
StampaQuotidiana ,
Favola
melensa
di
soldi
e
d
'
amore
,
commedia
di
buoni
sentimenti
,
ennesimo
tentativo
(
come
sempre
fallito
)
di
imitare
Frank
Capra
,
il
film
mette
in
scena
un
uomo
,
una
ragazza
,
una
donna
e
una
città
.
L
'
uomo
è
Nicolas
Cage
,
poliziotto
di
quartiere
,
gran
brava
persona
piena
di
risorse
e
di
buon
senso
,
amichevole
e
soccorrevole
verso
gli
altri
soprattutto
se
sono
ragazzi
,
bambini
,
vecchi
,
diseredati
.
La
ragazza
è
Bridget
Fonda
,
cameriera
in
un
posto
per
mangiare
a
poco
prezzo
,
caricata
di
debiti
e
perseguitata
da
un
ex
marito
attore
,
generosa
,
simpatica
e
buona
.
La
donna
è
Rosie
Perez
,
moglie
del
poliziotto
,
una
parrucchiera
petulante
,
aggressiva
,
avida
di
danaro
,
arrampicatrice
,
egocentrica
,
bisbetica
senza
qualità
.
La
città
è
New
York
,
bella
e
incredibile
come
nei
film
di
Woody
Allen
.
Trama
della
favola
?
Un
giorno
il
poliziotto
squattrinato
,
non
potendo
lasciare
una
mancia
alla
cameriera
,
promette
di
darle
metà
della
vincita
alla
lotteria
,
se
il
biglietto
che
ha
appena
comperato
per
incarico
della
moglie
risulterà
vincente
.
Vince
quattro
milioni
di
dollari
,
e
mantiene
la
promessa
:
provocando
un
evento
telegiornalistico
sensazionale
e
un
felice
mutamento
nella
vita
della
cameriera
,
innamorandosi
di
lei
e
scatenando
il
furore
della
moglie
.
Per
colpa
di
quest
'
ultima
,
che
fa
causa
e
vuole
il
divorzio
,
poliziotto
e
cameriera
rimangono
senza
un
soldo
:
sarà
il
grande
cuore
di
New
York
a
risarcirli
permettendo
loro
anche
di
sposarsi
in
pallone
,
lassù
nell
'
alto
dei
cieli
.
Nicolas
Cage
ha
un
talento
speciale
per
scegliere
male
i
film
da
interpretare
,
Bridget
Fonda
è
molto
carina
:
ma
,
come
spesso
capita
quando
i
protagonisti
sono
così
buoni
e
perbene
,
il
personaggio
più
divertente
è
la
cattiva
Rosie
Perez
,
bravissima
nel
suo
ritratto
di
donna
stupida
e
volgare
.
StampaQuotidiana ,
Grazie
alla
censura
Viridiana
era
divenuto
un
mito
,
e
sventolato
come
una
bandiera
.
Ora
che
anche
in
Italia
lo
possiamo
vedere
in
edizione
integrale
si
può
dire
che
su
quel
vessillo
ci
sono
molti
segni
,
ma
non
tutti
riconducibili
a
un
'
interpretazione
anticlericale
e
antifranchista
di
comodo
.
È
vero
che
tutto
fa
brodo
,
agli
occhi
dei
fanatici
,
ma
Buñuel
non
è
un
uomo
di
cinema
che
si
lasci
facilmente
utilizzare
come
strumento
di
polemica
politica
:
cercare
nella
sua
opera
troppi
significati
moralistici
equivale
,
anzi
,
a
ridurne
di
molto
la
personalità
artistica
.
L
'
ha
detto
chiaro
:
Viridiana
non
vuole
dimostrare
nulla
,
soltanto
esprimere
,
con
i
modi
dell
'
umor
nero
,
ossessioni
erotiche
e
religiose
.
Le
stesse
che
da
molti
decenni
devastano
l
'
animo
inquieto
di
questo
spagnolo
uscito
da
una
facoltosa
famiglia
di
terrieri
cattolici
,
educato
dai
gesuiti
,
passato
attraverso
l
'
esperienza
del
surrealismo
come
attraverso
una
scuola
di
eversione
di
ogni
valore
conformistico
;
infine
,
esule
dalla
patria
con
tutto
il
bagaglio
di
stimoli
spirituali
e
di
suggestioni
culturali
che
hanno
esasperato
una
naturale
vocazione
tragica
.
Se
dunque
,
invece
,
si
vuole
anatomizzare
il
film
per
cercarvi
il
messaggio
,
non
rischiamo
di
trovarci
i
cascami
di
un
picarismo
letterario
e
di
un
anarchismo
ottocentesco
,
se
non
addirittura
di
un
terribilismo
alla
Sade
inserito
con
qualche
snobismo
nel
filone
dell
'
irrazionalismo
novecentesco
?
Senza
dire
che
L
'
Angelo
sterminatore
,
il
film
successivo
a
Viridiana
,
e
che
si
vide
l
'
anno
scorso
a
Cannes
,
non
avrebbe
portato
avanti
il
discorso
,
anzi
avrebbe
ribadito
quella
che
sembra
l
'
unica
costante
delle
cupe
invenzioni
di
Buñuel
:
l
'
insofferenza
per
le
convenzioni
,
la
malinconia
per
la
condizione
di
schiavitù
propria
degli
uomini
.
Buñuel
resta
,
a
nostro
avviso
,
un
nichilista
la
cui
forza
poetica
è
data
proprio
dalla
coerenza
con
cui
esprime
la
sua
disperazione
di
non
poter
sostituire
nulla
all
'
ordine
che
vuol
distruggere
.
Chi
ne
fa
un
profeta
della
rivoluzione
dovrebbe
chiedersi
di
quali
valori
positivi
si
fa
apportatore
Buñuel
con
un
film
come
Viridiana
.
L
'
immagine
finale
che
egli
ci
offre
del
mondo
,
dopo
la
sconfitta
del
bene
e
del
male
,
è
perplessa
e
sarcastica
.
È
una
partita
a
carte
in
cui
tutti
sono
coinvolti
.
Egli
esprime
,
semplicemente
,
la
vanità
degli
sforzi
dell
'
individuo
senza
proporci
con
convinzione
l
'
alternativa
collettivistica
.
Se
egli
irride
,
oggi
,
la
carità
di
quanti
percorrono
le
strade
del
Novecento
puntellandosi
a
un
'
emblematica
medievale
(
tale
gli
sembrano
la
croce
,
il
martello
,
i
chiodi
e
la
corona
di
spine
ai
quali
Viridiana
s
'
aggrappa
)
,
non
perciò
mostra
di
aver
maggiore
fiducia
in
chi
lavora
di
zappa
e
calcina
.
Questi
avranno
più
meriti
agli
occhi
del
mondo
,
ma
anche
la
loro
esistenza
è
presa
nel
gran
gioco
di
un
destino
di
falsità
.
Si
vuoi
dire
che
,
con
virulenza
di
visionario
e
il
gusto
del
ripugnante
che
gli
deriva
dalla
tradizione
artistica
spagnola
,
Buñuel
grida
troppo
forte
perché
la
vena
di
rimpianto
,
l
'
ansia
di
purezza
assoluta
che
forse
gli
serpeggia
nel
corpo
gonfio
di
sdegni
non
si
secchi
nello
stagno
dello
scetticismo
.
Proprio
per
questo
,
come
non
abbiamo
un
tribuno
,
così
abbiamo
un
fortissimo
artista
(
e
anche
un
maestro
di
cinema
)
,
che
spezza
ogni
mito
ideologico
con
la
potenza
fantastica
e
figurativa
;
che
ci
propone
un
universo
poetico
compatto
nel
delirio
del
sentimento
,
e
lo
esprime
con
un
linguaggio
che
risolve
tutti
i
contenuti
in
una
forma
grondante
di
incisività
.
Viridiana
è
un
esempio
calzante
della
assunzione
di
tutti
i
valori
nello
stile
.
Se
ha
modi
,
e
tecnica
,
di
vecchio
stampo
,
ivi
compreso
il
sovrabbondante
ricorso
alla
simbologia
,
è
perché
Buñuel
appartiene
a
una
generazione
artistica
di
estrazione
naturalistica
che
non
lasciava
i
margini
dei
libri
troppo
bianchi
,
perché
i
lettori
proseguissero
l
'
opera
per
proprio
conto
.
Un
romanzo
era
un
romanzo
,
non
una
proposta
di
romanzo
;
e
un
film
un
racconto
in
cui
l
'
autore
realizzava
tutto
se
stesso
.
O
prendere
o
lasciare
.
La
storia
di
Viridiana
(
Silvia
Pinal
)
è
quella
di
una
novizia
che
si
perde
.
Comincia
sulle
note
di
Mozart
e
di
Händel
,
e
finisce
sui
ritmi
del
jazz
.
Alla
vigilia
di
prendere
i
voti
,
Viridiana
va
a
far
visita
a
un
vecchio
zio
(
Fernando
Rey
)
che
abita
in
una
villa
di
campagna
,
ossessionato
dalla
memoria
della
moglie
mortagli
trent
'
anni
prima
,
la
sera
stessa
delle
nozze
,
e
che
egli
custodisce
attraverso
il
culto
feticista
per
i
suoi
abiti
da
sposa
.
Identificando
Viridiana
con
la
moglie
,
lo
zio
le
chiede
di
sposarlo
,
e
al
suo
rifiuto
la
droga
,
con
la
complicità
di
una
serva
,
dopo
averle
chiesto
,
come
ultimo
favore
,
di
indossare
il
bianco
abito
di
nozze
che
egli
ha
conservato
per
tutti
quegli
anni
.
Priva
di
conoscenza
,
la
novizia
subirebbe
l
'
oltraggio
del
vecchio
,
se
questi
non
fosse
all
'
ultimo
momento
trattenuto
dalla
speranza
di
possederla
legittimamente
con
una
menzogna
:
facendole
credere
,
l
'
indomani
mattina
,
che
nella
notte
egli
le
ha
fatto
violenza
.
Inorridita
,
Viridiana
lascia
la
casa
per
tornare
al
convento
,
senza
perdonare
lo
zio
,
ma
quando
sta
per
partire
viene
avvertita
che
il
vecchio
si
è
impiccato
e
l
'
ha
lasciata
erede
,
insieme
a
un
cugino
,
della
fattoria
.
La
ragazza
si
considera
responsabile
del
gesto
dello
zio
:
per
espiare
rinunzierà
a
farsi
suora
,
ma
si
darà
a
opere
di
bene
,
accogliendo
nella
fattoria
quanti
mendicanti
,
ladri
,
vagabondi
,
troverà
nel
paese
:
il
suo
peccato
d
'
orgoglio
confina
con
l
'
ingenuità
.
Arriva
intanto
il
cugino
Jorge
(
Francisco
Rabal
)
,
che
vuol
riorganizzare
la
proprietà
e
appoderare
i
campi
abbandonati
.
È
un
bell
'
uomo
,
e
ha
con
sé
un
'
amante
,
ma
se
ne
libera
presto
perché
ha
messo
gli
occhi
su
Viridiana
,
benché
la
consideri
una
«
bigotta
marcia
»
e
intanto
si
gode
la
serva
.
La
cugina
,
ritiratasi
in
una
misera
stanzetta
,
è
intenta
soltanto
alla
preghiera
e
alla
beneficienza
,
tutta
circondata
di
speranze
mistiche
e
di
fiducia
nell
'
avvenire
.
Mentre
i
suoi
vagabondi
recitano
l
'
Angelus
,
i
muratori
di
Jorge
lavorano
e
sudano
.
Due
modi
di
affrontare
la
vita
,
dopotutto
.
Un
giorno
,
assenti
i
padroni
,
i
poveri
invadono
la
villa
e
la
mettono
a
soqquadro
,
insozzano
le
stanze
,
profanano
ogni
simbolo
di
purezza
,
finalmente
si
siedono
a
banchetto
facendosi
«
fotografare
»
lubricamente
nell
'
atteggiamento
dell
'
Ultima
Cena
.
Sorpresi
dai
padroni
,
uno
dei
mendicanti
tenta
di
violentare
Viridiana
,
ma
il
cugino
la
salva
convincendo
uno
di
loro
ad
uccidere
,
per
denaro
,
l
'
amico
.
Tramontata
la
sua
illusione
di
poter
fare
del
bene
,
Viridiana
tenta
ancora
di
resistere
all
'
istinto
della
femminilità
che
si
è
svegliato
in
lei
;
ma
è
fatale
che
cada
:
il
male
del
vivere
è
più
forte
,
ormai
,
della
sua
fede
.
La
corona
di
spine
brucia
in
un
falò
,
la
donna
va
a
sedersi
al
tavolo
dove
il
cugino
e
la
serva
giocano
a
carte
:
ora
,
sul
grammofono
,
gira
un
disco
di
cha
-
cha
-
cha
.
La
realtà
vince
il
sogno
.
E
il
disprezzo
di
Buñuel
ha
coinvolto
tanto
la
superstizione
religiosa
quanto
l
'
erotismo
dei
vecchi
,
la
corruzione
dell
'
infanzia
e
le
buone
intenzioni
di
Viridiana
.
La
sua
«
corte
dei
miracoli
»
ha
corroso
,
con
il
vieto
concetto
di
beneficenza
,
l
'
ipotesi
stessa
del
bene
.
Non
è
certo
da
un
laido
sottoproletariato
che
viene
la
speranza
:
esso
è
servito
a
inserire
Viridiana
in
una
società
filistea
,
ma
non
a
proporre
un
ricambio
sociale
.
Se
vogliamo
restare
fedeli
alle
intenzioni
di
Buñuel
,
il
suo
film
è
un
grottesco
che
non
a
caso
ebbe
,
oltre
alla
palma
d
'
oro
di
Cannes
nel
1961
,
il
premio
dell
'
humour
noir
.
Non
.
come
anche
è
stato
detto
,
soltanto
una
serie
di
gags
,
ma
certamente
il
frutto
di
una
fantasia
lugubre
,
che
si
esercita
su
alcuni
mali
della
società
contemporanea
con
gusto
autodistruttivo
,
riscattato
soltanto
da
una
assoluta
libertà
morale
.
Se
nel
film
c
'
è
qualcosa
di
blasfemo
è
questo
incrudelire
sull
'
uomo
a
vantaggio
dell
'
artista
,
che
si
getta
con
voluttà
in
una
ricostruzione
tendenziosa
della
realtà
,
e
riesce
a
dipingerla
con
tinte
così
forti
e
cupe
da
mettere
i
brividi
.
Se
il
mondo
fosse
questo
,
meglio
spararsi
.
È
raro
che
il
cinema
riesca
a
dare
una
così
dura
impressione
.
Quando
lo
fa
,
vuol
dire
che
le
scene
,
così
pregnanti
,
sono
uscite
dalle
mani
di
un
vero
creatore
,
il
quale
si
assume
molte
responsabilità
purché
gli
si
riconosca
sincerità
con
se
stesso
.
Triviale
,
cinico
,
truculento
,
tutto
si
potrà
dire
di
Buñuel
tranne
che
non
sia
un
autentico
spagnolo
ossessionato
dalla
cecità
degli
uomini
e
dalla
nostalgia
della
pietà
.
StampaQuotidiana ,
Devo
confessare
che
gli
attuali
dibattiti
sulla
cultura
di
destra
e
sulla
cultura
di
sinistra
mi
annoiano
,
meglio
mi
infastidiscono
,
perché
li
ritengo
fuorvianti
.
Destra
e
Sinistra
hanno
un
mero
significato
:
essi
descrivono
la
collocazione
nell
'
aula
parlamentare
di
un
senatore
odi
un
deputato
.
La
Destra
e
la
Sinistra
sono
,
così
,
mere
astrazione
;
in
sé
non
esistono
e
tanto
meno
hanno
una
cultura
,
che
è
fatta
di
concetti
pensati
.
L
'
individualismo
metodologico
ci
ha
insegnato
che
reali
sono
soltanto
i
singoli
individui
in
relazioni
(
anche
associative
)
con
gli
altri
.
Se
guardiamo
all
'
oggi
,
al
nostro
Parlamento
,
potremmo
subito
dire
che
il
Polo
per
le
libertà
(
la
Destra
)
e
l
'
Ulivo
(
la
Sinistra
)
non
hanno
una
loro
propria
omogenea
cultura
.
Facciamo
due
esempi
.
Innanzitutto
la
grave
crisi
dello
Stato
di
diritto
.
Ebbene
,
il
più
forte
difensore
dello
Stato
di
diritto
è
Emanuele
Macaluso
,
un
autorevole
esponente
della
Sinistra
,
che
segue
i
fatti
di
Palermo
con
una
documentazione
precisa
e
minuziosa
,
pari
-
se
non
superiore
-
a
quella
di
Giuliano
Ferrara
su
il
Foglio
.
Ebbene
loro
,
assieme
a
tanti
altri
di
Destra
e
di
Sinistra
,
combattono
la
stessa
battaglia
,
che
è
una
battaglia
sui
principi
.
L
'
altro
grave
problema
è
quello
economico
.
Quando
l
'
allora
presidente
del
Consiglio
Silvio
Berlusconi
presentò
il
suo
programma
ebbe
la
(
tardiva
)
approvazione
di
Paolo
Sylos
Labini
,
che
-
come
è
noto
-
non
ama
certo
il
Cavaliere
.
Ma
la
maggior
parte
degli
appartenenti
alla
corporazione
scientifica
degli
economisti
ragiona
nella
stessa
maniera
,
ragionano
cioè
da
economisti
.
Si
è
però
visto
che
né
l
'
Ulivo
,
né
il
Polo
si
sono
dimostrati
compatti
su
queste
posizioni
,
per
il
prevalere
di
persone
senza
cultura
che
difendono
piccoli
interessi
o
radicati
umori
.
Quando
parliamo
di
cultura
è
opportuno
riferirsi
alle
idee
pensate
,
ai
concetti
forti
e
non
alla
cultura
imparaticcia
tanto
diffusa
fra
i
politici
e
i
mass
media
.
Alle
etichette
fuorvianti
di
Destra
e
di
Sinistra
preferisco
esaminare
quali
siano
le
idee
all
'
altezza
dei
nostri
tempi
.
Sono
le
idee
aperte
ai
problemi
del
futuro
e
che
abbiano
una
capacità
di
incidere
su
un
mondo
in
rapida
trasformazione
.
Dobbiamo
affrontare
due
grandi
trasformazioni
epocali
:
il
crollo
del
totalitarismo
comunista
,
che
pure
ha
lasciato
in
Europa
troppi
residui
della
presunzione
fatale
socialista
.
Dall
'
altro
lato
c
'
è
il
processo
di
secolarizzazione
della
società
,
un
fenomeno
più
antico
,
che
il
totalitarismo
ha
accelerato
e
ora
ispira
la
società
del
benessere
,
perché
essa
ha
altri
fondamenti
.
Per
guardare
al
futuro
in
modo
costruttivo
dobbiamo
evitare
tre
errori
.
Primo
:
persa
la
fede
in
una
ragione
assoluta
,
che
ci
ha
portato
alla
catastrofe
,
spesso
si
sceglie
la
scorciatoia
dell
'
irrazionalismo
,
e
sono
irrazionalistiche
tutte
le
posizioni
fideistiche
.
Esiste
anche
un
razionalismo
critico
che
ammette
la
confutazione
,
in
base
all
'
esperienza
,
delle
proprie
congetture
.
Secondo
:
ma
del
razionalismo
dogmatico
ci
è
rimasta
la
mentalità
antistorica
.
Si
pensa
di
costruire
il
futuro
dimenticando
o
facendo
tabula
rasa
del
passato
,
mentre
ogni
innovazione
deve
avere
in
esso
le
sue
radici
.
È
rimasta
così
una
mentalità
costruttivistica
:
pensiamo
alle
continue
riforme
dei
nostri
ordinamenti
scolastici
dalle
elementari
all
'
università
,
dimenticando
non
solo
i
valori
del
passato
,
ma
anche
la
cultura
di
chi
dovrebbe
attuarle
.
Si
ama
solo
il
"
novitismo
"
.
Terzo
:
con
il
Sessantotto
si
è
imposta
una
nuova
morale
,
quella
della
"
gioia
di
vivere
"
.
È
una
reincarnazione
del
decadentismo
con
il
suo
sensualismo
.
Esso
mina
sempre
più
istituzioni
che
sono
alla
base
dello
sviluppo
dell
'
umanità
,
come
la
famiglia
,
e
concede
a
molti
scienziati
il
sogno
di
poter
liberare
la
razza
umana
dal
peso
paralizzante
del
bene
e
del
male
e
dei
concetti
perversi
di
giusto
e
sbagliato
.
Concetti
che
sono
a
fondamento
dell
'
ordine
politico
.
Taluno
potrà
bollare
questa
mia
proposta
come
neoconservatrice
,
ma
fuori
di
essa
non
c
'
è
che
la
noiosa
ripetizione
di
vecchi
discorsi
o
il
ritornare
nel
sogno
dell
'
utopia
.
StampaQuotidiana ,
Otto
e
mezzo
di
Federico
Fellini
:
il
miele
dell
'
illusione
fornito
dalla
magia
contro
la
vita
agra
,
la
fuga
dell
'
individuo
dal
pessimismo
cattolico
in
una
serena
finzione
di
solidarismo
,
una
sorta
di
fantastico
balletto
sulla
passerella
dell
'
esistenza
.
Una
favola
e
un
incubo
,
dal
quale
si
esce
impietositi
per
gli
uomini
,
se
non
ci
consolasse
questa
facoltà
dell
'
arte
,
sorella
della
stregoneria
,
di
rendere
toccabile
,
e
perciò
vero
,
il
mondo
dell
'
ignoto
in
cui
si
dibatte
la
coscienza
.
È
forse
lo
sforzo
più
duro
che
Fellini
abbia
compiuto
sinora
per
compromettere
tutto
se
stesso
nella
ricerca
di
sé
e
di
quanto
lo
leghi
agli
altri
.
Protagonista
è
Guido
,
un
regista
sui
quarantacinque
,
famoso
,
ricco
,
sposato
,
con
un
'
amante
quieta
,
e
quante
altre
donne
vuole
intorno
.
Dovendo
fare
un
film
,
ha
pensato
confusamente
a
qualcosa
di
fantascienza
,
una
nave
spaziale
che
porti
su
un
altro
pianeta
i
resti
dell
'
umanità
decimata
dalla
peste
atomica
.
Una
malattia
,
e
la
paura
della
morte
,
improvvisamente
lo
blocca
.
Subito
un
incubo
:
di
restare
soffocato
nell
'
automobile
,
e
l
'
umanità
che
assiste
al
lugubre
spettacolo
.
Vola
in
cielo
,
ma
qualcosa
lo
lega
:
un
impegno
di
responsabilità
,
che
non
riesce
ad
affrontare
,
ma
al
quale
non
può
sfuggire
:
la
sua
vita
privata
,
il
film
,
gli
attori
che
pendono
da
lui
,
i
piani
di
lavorazione
.
Come
vogliono
i
medici
,
va
a
curarsi
in
una
stazione
termale
.
È
il
momento
in
cui
Guido
rimette
tutto
in
discussione
.
È
in
crisi
il
suo
talento
,
le
idee
sono
nebbiose
,
non
sa
come
portare
avanti
il
film
.
È
,
a
rimorchio
,
è
in
crisi
la
sua
coscienza
.
Non
ha
mai
saputo
rinunziare
a
niente
,
non
ha
mai
saputo
scegliere
una
cosa
sola
e
restarle
fedele
.
Ora
i
rimorsi
sono
giunti
a
maturazione
,
lo
macerano
nella
scontentezza
e
nella
solitudine
.
Si
guarda
intorno
:
uno
scrittore
,
chiamato
a
collaborare
alla
stesura
del
film
,
gli
distrugge
,
con
freddo
razionalismo
,
quanto
ha
fatto
sinora
;
un
amico
,
non
più
giovane
,
ha
lasciato
la
moglie
e
,
pur
di
sentirsi
qualcuno
vicino
,
ha
preso
per
amante
una
compagna
di
scuola
della
figlia
;
la
gente
che
circola
per
le
strade
,
ricca
,
soddisfatta
,
ha
spento
nell
'
abitudine
e
nella
finzione
sociale
ogni
stimolo
verso
la
verità
.
C
'
è
una
bella
ragazza
,
alla
fonte
,
che
gli
porge
il
bicchiere
,
e
gli
fa
indovinare
un
ideale
di
purezza
,
ma
appare
e
scompare
come
un
fantasma
.
È
non
sarà
anch
'
essa
,
per
lui
,
un
'
ambizione
di
conquista
,
per
continuare
a
mentire
sotto
il
velo
di
un
lavacro
d
'
innocenza
?
Arriva
Carla
,
l
'
amante
di
Guido
,
bianca
di
pelle
,
pastosa
,
tutta
mossettine
,
positiva
.
Altre
volte
gli
bastò
rifugiarsi
nella
sua
soda
stupidità
.
Ora
non
più
:
se
ne
vergogna
,
la
sistema
in
un
alberghetto
.
A
letto
con
lei
,
trasognato
dal
suo
bianco
,
Guido
si
assopisce
e
si
trova
nella
luce
di
un
cimitero
.
Il
padre
,
che
torna
a
morire
calandosi
vivo
nella
terra
;
la
madre
,
dolente
,
che
all
'
improvviso
assume
il
volto
di
Luisa
,
la
moglie
di
Guido
...
I
ricordi
,
le
presenze
,
gli
si
confondono
e
lo
mordono
:
non
è
stato
giusto
con
nessuno
,
non
ha
fatto
mai
nulla
per
gli
altri
.
Intanto
tutta
la
troupe
del
film
l
'
ha
raggiunto
:
il
produttore
,
gli
attori
,
i
tecnici
premono
perché
spieghi
cosa
vuoi
fare
,
come
distribuire
le
parti
,
perché
scelga
e
risponda
.
La
sera
,
al
night
delle
terme
,
un
mago
fa
esperimenti
di
telepatia
.
Perché
egli
riesce
a
indovinare
il
pensiero
degli
altri
,
e
Guido
non
sa
più
vedere
nemmeno
in
se
stesso
?
Eppure
il
passato
gli
è
vivo
dinanzi
:
l
'
infanzia
nella
fattoria
,
in
Romagna
,
la
felice
sicurezza
dei
giochi
,
le
mani
delle
donne
.
Forse
Luisa
,
la
moglie
,
può
restituirgli
quella
pace
:
è
un
'
ancora
alla
quale
Guido
si
aggrappa
.
Che
venga
,
Luisa
,
lo
raggiunga
alle
terme
,
se
vuole
.
È
intanto
la
ragazza
della
fonte
gli
riappare
,
come
una
tentazione
.
È
intanto
a
Carla
viene
un
febbrone
,
e
Guido
rifiuta
ancora
una
volta
di
prendersi
la
responsabilità
:
sarà
meglio
chiamare
il
marito
.
Affascinato
dal
corpo
di
lei
,
ecco
ora
il
ricordo
dei
primi
pensieri
peccaminosi
.
Guido
è
in
collegio
,
bambino
:
insieme
ai
compagni
è
andato
nascostamente
sulla
spiaggia
a
vedere
la
Saraghina
,
una
femmina
animalesca
che
vive
tra
i
ruderi
d
'
una
casamatta
.
Sorpreso
dagli
istitutori
,
è
scosso
di
paura
e
vergogna
.
Fu
allora
,
forse
,
che
cominciò
a
mentire
a
se
stesso
.
Non
gli
verrebbe
una
parola
di
consolazione
dalla
Chiesa
?
Alle
terme
c
'
è
anche
un
cardinale
.
Guido
lo
interroga
,
ma
ne
ha
una
risposta
sconsolante
:
«
Chi
ha
detto
che
si
viene
al
mondo
per
essere
felici
?
»
.
Arriva
Luisa
,
e
con
lei
nuovi
motivi
di
disagio
;
perché
Guido
le
mentisce
fingendo
di
ignorare
la
presenza
di
Carla
alle
terme
,
e
la
moglie
si
rifiuta
di
continuare
ad
accettarlo
qual
è
,
un
uomo
che
mentisce
come
respira
.
Ancora
un
sogno
egoista
,
per
Guido
:
di
vedere
la
moglie
e
l
'
amante
a
braccetto
,
e
poi
di
trovarsi
intorno
tutte
le
donne
della
sua
vita
,
come
in
un
harem
festoso
,
e
lui
coccolato
come
un
bambino
e
temuto
come
un
domatore
.
Ma
il
film
non
procede
,
e
tutto
l
'
ambiente
è
a
rumore
:
insomma
,
cosa
vuole
il
regista
?
Gli
si
è
seccata
la
vena
?
Perché
fa
il
misterioso
?
Vigliacco
,
oltreché
buffone
?
È
ora
,
che
parte
ha
Claudia
,
la
diva
che
si
è
aggiunta
alla
troupe
?
In
Claudia
Guido
identifica
la
ragazza
della
fonte
e
l
'
attrice
famosa
.
Sta
rompendo
con
la
moglie
,
sta
pensando
di
rinunziare
al
cinema
:
Claudia
può
restituirgli
la
verginità
dei
sentimenti
e
delle
parole
.
Ma
anche
questa
speranza
fallisce
,
e
ormai
l
'
organizzazione
del
film
è
al
punto
da
costringere
Guido
a
pronunziarsi
.
Di
fronte
al
grande
traliccio
costruito
per
il
lancio
dell
'
astronave
,
il
produttore
convoca
una
conferenza
-
stampa
.
Preso
d
'
assalto
,
Guido
deve
confessare
il
proprio
fallimento
di
regista
e
di
uomo
.
Finzione
e
realtà
ormai
si
confondono
in
lui
e
l
'
ossessionano
.
Pensa
di
sfuggire
a
tutte
le
responsabilità
col
suicidio
,
ma
mentre
la
folla
si
disperde
il
mago
che
nel
night
faceva
gli
esperimenti
di
telepatia
lo
ferma
,
presentandogli
una
realtà
miracolosamente
pacificata
nella
suprema
finzione
.
In
un
lampo
,
Guido
intuisce
che
il
senso
del
film
e
della
vita
sta
nell
'
accettare
il
mondo
,
nel
rinunziare
a
fuggire
in
un
altro
pianeta
,
nell
'
abbandonarsi
,
sfilando
tutti
insieme
come
su
una
passerella
,
al
necessario
,
inevitabile
gioco
della
vita
,
in
cui
l
'
egoismo
di
ciascuno
coincide
con
la
verità
di
tutti
.
La
creatura
di
sogno
,
tutta
vestita
di
bianco
,
la
ritroviamo
allora
in
noi
,
nell
'
innocenza
di
noi
stessi
bambini
.
Nel
suo
cono
di
luce
ci
sembra
di
rinascere
.
In
Otto
e
mezzo
(
l
'
ottavo
film
di
Fellini
,
più
Luci
del
varietà
,
firmato
insieme
a
Lattuada
)
,
lo
scrittore
che
era
stato
chiamato
a
consulto
da
Guido
,
e
lo
aveva
duramente
criticato
,
finisce
impiccato
.
Questa
è
la
sorte
che
Fellini
riserva
a
chi
voglia
vedere
,
sempre
,
tutto
chiaro
,
e
rifiuti
le
confessioni
che
non
seguano
il
gelido
ordine
razionale
.
D
'
accordo
,
strangoliamo
la
critica
se
vuole
obbligarci
a
giudicare
una
grande
opera
d
'
arte
come
questa
con
i
canoni
cartesiani
.
Siamo
in
un
'
età
di
transizione
,
dobbiamo
lasciarci
convincere
dalla
stessa
indeterminatezza
di
un
'
idea
,
se
essa
ci
emoziona
.
Abbiamo
bisogno
di
sentirci
scaldare
,
di
farci
trasportare
.
Non
è
nemmeno
quanto
Fellini
ci
dice
sul
tumulto
della
sua
vita
individuale
(
perché
l
'
identificazione
fra
Guido
e
Fellini
è
totale
,
e
questo
può
essere
un
difetto
del
film
)
,
ciò
che
più
ci
interessa
.
Dopo
tutto
sono
fatti
suoi
,
e
si
può
anche
non
essere
d
'
accordo
sulla
validità
universale
della
soluzione
ch
'
egli
ci
propone
,
e
non
troppo
chiaramente
,
a
conclusione
di
un
itinerario
larghissimamente
autobiografico
.
È
il
fatto
che
un
uomo
di
cinema
,
pur
dando
íl
suo
luogo
all
'
astuzia
,
si
metta
nudo
in
piazza
,
si
offra
al
dileggio
,
e
intanto
le
sue
carni
si
traducano
in
immagini
di
ineguagliabile
evidenza
fantastica
,
ciò
che
colpisce
e
mozza
il
fiato
.
La
parabola
pronunciata
da
Fellini
può
anche
lasciarci
freddi
,
se
la
isoliamo
dal
contesto
(
e
indubbiamente
la
contemporaneità
dei
tre
piani
narrativi
e
psicologici
-
quello
che
Guido
è
,
è
stato
e
vorrebbe
essere
-
non
è
perfettamente
risolta
in
racconto
unitario
)
,
ma
l
'
eccezionalità
del
film
sta
proprio
nella
«
bella
confusione
»
(
questo
è
il
titolo
che
Flaiano
aveva
proposto
)
di
errore
e
verità
,
di
realtà
e
sogno
,
di
valori
stilistici
e
valori
umani
,
nel
totale
adeguamento
del
linguaggio
cinematografico
di
Fellini
alle
sconnesse
immaginazioni
di
Guido
.
Come
distinguere
il
regista
della
realtà
da
quello
della
finzione
è
impossibile
,
così
i
difetti
di
Fellíni
coincidono
con
le
ombre
spirituali
di
Guido
.
L
'
osmosi
fra
arte
e
vita
è
strabiliante
.
Certo
siamo
di
fronte
a
un
esperimento
irripetibile
.
Da
nessun
altro
saremmo
disposti
ad
ammettere
che
«
il
film
deve
contenere
errori
come
la
vita
,
come
la
gente
»
:
quella
che
per
Fellíni
è
stata
,
durante
la
lavorazione
laboriosa
del
film
,
la
consapevole
scelta
di
un
rischio
gravissimo
,
per
chiunque
altro
potrà
essere
un
alibi
.
Piuttosto
dobbiamo
chiederci
perché
un
'
avventura
tanto
personale
,
talché
Otto
e
mezzo
,
con
i
suoi
rintocchi
malinconici
,
sta
fra
la
confessione
e
il
testamento
,
raggiunga
una
delle
vette
più
alte
del
cinema
mondiale
contemporaneo
.
Il
segreto
,
dite
pure
il
trucco
,
sta
nell
'
aver
portato
all
'
estremo
quella
disponibilità
inventiva
e
quella
maestria
tecnica
grazie
alle
quali
anche
immagini
sparse
prendono
corpo
e
divengono
frasi
di
un
discorso
che
perennemente
si
arrotola
e
si
snoda
sul
piano
della
fantasia
,
della
memoria
e
del
sortilegio
,
e
nell
'
averle
nutrite
di
tutte
le
angosce
del
nostro
tempo
.
Quante
volte
è
stato
detto
che
Fellini
è
soprattutto
un
visionario
?
Ma
ormai
le
sue
visioni
sono
un
grido
.
Ormai
egli
proietta
tutti
i
suoi
dubbi
morali
su
uno
schermo
magico
,
che
assorbe
la
confessione
nella
visione
,
senza
il
consueto
tramite
della
introspezione
,
ma
il
lampo
gli
parte
dal
profondo
dell
'
essere
.
È
uno
sdrucciolone
nell
'
intuizionismo
se
volete
,
ma
compiuto
da
un
umanista
che
resta
fedele
ai
modi
realistici
:
per
un
'
arcana
operazione
i
valori
stilistici
del
film
sono
anche
quelli
psicologici
,
e
la
frondosità
,
l
'
eccesso
di
simbolismo
,
le
ridondanze
,
tutto
quanto
c
'
è
di
floreale
nel
regista
restano
nel
contempo
i
connotati
morali
di
un
artista
ossessionato
,
che
non
vuole
staccarsi
dal
magma
che
gli
bolle
dentro
,
preferendo
tentare
di
liberarsene
col
bruciarsi
le
facoltà
ordinatrici
,
sia
pure
irridendo
alla
propria
ambizione
.
In
Otto
e
mezzo
l
'
operazione
è
riuscita
fino
allo
spasimo
.
Non
c
'
è
sequenza
del
film
in
cui
non
sia
visibile
questo
sforzo
di
sincerità
.
Tutto
il
film
è
.
un
incrociarsi
di
ipotesi
,
presagi
,
intuizioni
che
assumono
consistenza
figurativa
nell
'
attimo
stesso
in
cui
sono
avvertiti
dalla
coscienza
,
e
la
cui
convinzione
deriva
dalla
loro
verità
spirituale
.
«
Qualcosa
tra
una
sgangherata
seduta
psicanalitica
e
un
disordinato
esame
di
coscienza
,
in
un
'
atmosfera
di
limbo
»
,
ha
detto
Fellini
del
suo
film
.
Non
sarà
piuttosto
il
supremo
vagheggiamento
di
un
poeta
che
irrazionalmente
identifica
l
'
arte
con
la
vita
,
e
le
riassume
,
con
splendida
ipocrisia
,
nella
bella
favola
?
Anziché
una
«
verifica
intima
»
,
che
interesserà
soprattutto
la
storia
di
Fellini
,
Otto
e
mezzo
è
allora
un
canto
consolatorio
,
sincopato
tuttavia
da
un
ritornello
di
autoderisione
.
Di
qui
quella
vena
di
comico
che
scorre
nella
tragica
allegoria
.
I
motivi
(
e
le
polemiche
)
che
serpeggiano
nel
film
sono
infiniti
e
appartengono
a
un
repertorio
già
noto
:
è
vano
tentare
di
farne
un
elenco
,
così
come
degli
scorci
di
racconto
,
dei
ritratti
e
dei
paesaggi
umani
.
Ovunque
qui
il
genio
di
Fellini
brilla
come
raramente
si
è
visto
al
cinema
.
Non
c
'
è
ambiente
,
non
c
'
è
personaggio
,
non
c
'
è
situazione
privi
di
un
significato
preciso
sul
grande
palcoscenico
di
Otto
e
mezzo
.
Certe
soluzioni
registiche
lasciano
sbalorditi
per
l
'
uso
del
bianco
e
nero
,
per
l
'
abilità
con
cui
la
messa
in
scena
è
chiamata
a
rivelare
la
realtà
e
a
commuovere
,
per
il
concorso
che
la
musica
,
le
luci
,
l
'
evidenza
dei
personaggi
danno
all
'
evocazione
di
uno
stato
d
'
animo
.
Entrare
nei
particolari
è
già
rompere
il
tessuto
di
un
film
che
va
accettato
nella
sua
totalità
,
come
un
acquario
o
un
luna
park
vi
affascina
prima
ancora
che
ne
analizziate
i
curiosi
abitanti
.
Diciamo
soltanto
che
alla
confusione
della
coscienza
contemporanea
Fellini
risponde
accettandola
con
l
'
esprimerla
negli
unici
modi
suoi
propri
:
quelli
dell
'
allucinazione
e
dello
strazio
,
accentuandone
l
'
eco
crepuscolare
.
Gli
attori
sono
Mastroianni
,
la
Cardinale
(
finalmente
non
doppiata
)
,
Anouk
Aimée
,
Sandra
Milo
,
Rossella
Falk
,
Caterina
Boratto
,
Annibale
Ninchi
,
Giuditta
Rissone
e
moltissimi
altri
.
Il
soggetto
è
di
Fellini
e
Flaiano
,
alla
sceneggiatura
hanno
lavorato
,
oltre
loro
,
Pinelli
e
Rondi
.
La
scenografia
e
i
costumi
sono
di
Piero
Gherardi
,
la
fotografia
di
Di
Venanzo
,
le
musiche
di
Rota
,
il
montaggio
di
Leo
Cattozzo
.
È
un
nudo
,
ingiusto
elenco
di
nomi
,
perché
ciascuno
meriterebbe
un
elogio
,
così
vivo
è
stato
il
loro
apporto
al
film
.
Ma
è
tutto
quello
che
qui
si
può
fare
,
vedendo
gli
attori
e
i
collaboratori
toccati
dalla
bacchetta
magica
di
un
creatore
al
quale
nel
cinema
mondiale
di
oggi
non
vediamo
chi
possa
stare
vicino
.