StampaQuotidiana ,
La
Grosse
(
Wisconsin
)
,
22
novembre
-
Scrivo
questa
nota
dall
'
Holiday
Inn
di
La
Grosse
.
La
Grosse
è
una
cittadina
del
Wisconsin
.
Sono
le
13
,
ora
locale
;
la
sala
del
ristorante
è
affollata
:
c
'
è
un
gruppetto
di
vecchie
signore
che
chiacchierano
e
ridono
,
ci
sono
dei
camionisti
,
dei
commessi
viaggiatori
.
La
cameriera
dai
capelli
rossi
torna
correndo
dalla
cucina
e
strilla
:
«
Hanno
colpito
Kennedy
»
.
Nell
'
ingresso
dell
'
albergo
il
televisore
è
acceso
.
Parla
Walter
Cronkite
,
il
numero
uno
dei
commentatori
della
CBS
.
Lo
conoscete
anche
voi
:
è
il
giornalista
che
presenta
Aria
del
ventesimo
secolo
.
La
hall
si
riempie
di
gente
.
Cronkite
è
in
maniche
di
camicia
,
ha
alle
spalle
telescriventi
che
battono
,
ogni
tanto
qualcuno
gli
passa
un
foglio
.
Cronkite
parla
pacatamente
,
ha
la
faccia
tesa
,
a
un
certo
momento
si
toglie
gli
occhiali
e
dice
:
«
President
Kennedy
is
dead
»
.
Si
ferma
un
istante
:
«
Just
a
moment
»
,
si
scusa
e
si
schiarisce
la
voce
.
Le
telecamere
inquadrano
un
cartello
per
richiamare
l
'
attenzione
del
pubblico
:
una
voce
fuori
campo
prega
la
gente
di
non
telefonare
alle
stazioni
TV
,
le
linee
sono
sovraccariche
.
La
cameriera
dai
capelli
rossi
piange
.
«
Che
cosa
succederà
adesso
?
»
domanda
.
Riappare
Walter
Cronkite
e
racconta
che
il
Presidente
viaggiava
su
una
limousine
,
prende
in
mano
una
foto
e
la
mostra
,
si
vede
John
Kennedy
che
sorride
,
ha
accanto
Jacqueline
,
anche
Jacqueline
sembra
contenta
,
agita
una
mano
per
salutare
la
folla
,
il
governatore
Connally
ha
un
fiore
bianco
all
'
occhiello
.
Cronkite
legge
i
telegrammi
che
arrivano
.
Spiega
che
Kennedy
è
spirato
,
dopo
trentacinque
minuti
,
al
Park
Lane
Hospital
,
dice
che
Connally
,
quando
è
stato
ferito
,
ha
urlato
ai
poliziotti
:
«
Badate
a
Nelly
»
.
Nelly
è
la
moglie
.
Dice
che
dal
1901
non
c
'
era
stato
un
attentato
,
e
i
colpi
sparati
,
colpi
di
fucile
,
sono
tre
.
Venivano
da
una
finestra
d
'
angolo
,
forse
dal
terzo
piano
,
o
dal
quarto
.
Hanno
arrestato
un
giovane
di
ventiquattro
anni
che
aveva
in
tasca
una
pistola
.
S
'
interrompe
.
Le
telecamere
riprendono
la
sala
delle
riunioni
all
'
ONU
,
la
seduta
è
sospesa
,
i
delegati
vanno
a
stringere
la
mano
a
Stevenson
.
Lo
speaker
della
CBS
racconta
che
Johnson
,
il
vicepresidente
,
è
adesso
circondato
dai
poliziotti
che
hanno
paura
d
'
un
altro
attentato
.
Fuori
piove
forte
,
sul
Mississippi
stagnano
banchi
di
nebbia
.
Entrano
automobilisti
di
passaggio
,
con
gli
impermeabili
lucidi
e
subito
non
capiscono
.
Tanta
gente
è
attorno
al
televisore
.
Un
altro
giornalista
si
presenta
per
continuare
il
notiziario
,
Walter
Cronkite
si
infila
la
giacca
e
se
ne
va
.
Il
nuovo
commentatore
dice
che
a
New
York
molti
piangono
.
Pare
che
l
'
attentatore
,
dice
ancora
,
sia
uno
di
estrema
destra
.
Mostra
altre
fotografie
,
le
ultime
foto
di
John
Kennedy
,
prima
della
morte
.
Kennedy
stringe
le
mani
a
donne
agitate
,
è
allegro
,
ha
il
ciuffo
scomposto
,
applaude
anche
lui
Jacqueline
che
è
festeggiata
dagli
ascoltatori
di
un
comizio
.
La
cameriera
dai
capelli
rossi
sfoglia
l
'
ultimo
numero
di
«
Look
»
appena
uscito
,
c
'
è
un
servizio
fotografico
,
The
President
and
his
son
,
Kennedy
con
John
junior
,
che
gioca
,
si
nasconde
dietro
la
fotografia
di
«
Daddy
»
,
sale
sul
tavolo
ovale
dove
il
padre
si
riunisce
con
i
suoi
collaboratori
,
l
'
ultima
immagine
mostra
il
bambino
in
vestaglia
da
camera
che
dà
la
buonanotte
al
padre
.
Il
racconto
della
TV
continua
.
Il
fucile
che
ha
sparato
i
colpi
è
un
Mauser
.
Si
vede
un
cronista
che
intervista
í
passanti
su
una
strada
:
«
Non
è
possibile
»
dicono
,
«
non
ci
credo
»
.
Poi
trasmettono
un
filmato
,
ripreso
subito
dopo
gli
spari
.
Sulla
limousine
è
rimasto
il
mazzo
di
fiori
che
avevano
offerto
a
Jacqueline
all
'
aeroporto
.
I
poliziotti
in
borghese
,
grossi
e
con
i
cappelli
di
feltro
da
cow
-
boy
,
corrono
sui
marciapiedi
,
gli
agenti
hanno
i
fucili
sotto
il
braccio
,
un
dispaccio
avverte
che
il
corpo
del
Presidente
sarà
portato
a
Washington
.
Le
botteghe
di
La
Grosse
si
chiudono
;
nelle
vetrine
ci
sono
cartelli
che
fanno
propaganda
ai
tacchini
da
consumare
per
il
thanksgiving
,
il
giorno
del
ringraziamento
,
che
cade
giovedì
prossimo
,
ci
sono
i
primi
Babbi
Natale
.
Il
cronista
della
TV
racconta
che
la
signora
Kennedy
,
quando
le
hanno
detto
che
John
era
morto
,
ha
mormorato
soltanto
:
«
Oh
no
!
»
.
Come
la
gente
,
che
continua
a
dire
:
«
È
impossibile
,
non
ci
credo
»
.
StampaQuotidiana ,
In
fondo
è
bene
che
un
gruppetto
di
neonazisti
(
o
un
gruppo
?
o
pochi
teppisti
?
o
un
'
organizzazione
?
)
abbia
messo
una
bomba
al
museo
della
Liberazione
in
via
Tasso
.
Così
qualcuno
si
ricorderà
che
c
'
è
stata
la
Resistenza
antifascista
in
Italia
e
a
Roma
,
che
in
via
Tasso
c
'
era
una
feroce
prigione
tedesca
dove
molte
persone
sono
state
rinchiuse
,
torturate
e
uccise
.
Se
no
,
per
ricordarsene
,
bisogna
andare
in
una
cineteca
a
rivedere
Roma
città
aperta
.
I
gruppi
di
azione
patriottica
romani
(
Gap
)
avevano
un
piano
per
attaccare
il
covo
di
via
Tasso
e
liberare
i
prigionieri
ma
non
fu
possibile
realizzarlo
.
Mi
vien
da
pensare
che
,
se
lo
avessero
fatto
,
ci
sarebbe
stata
una
terribile
rappresaglia
e
qualche
giudice
tenterebbe
oggi
di
incriminare
i
combattenti
della
libertà
,
come
per
via
Rasella
.
Peccato
,
sarebbe
stata
una
bella
e
onorevole
impresa
.
Avevo
diciotto
anni
,
allora
,
e
mi
ricordo
di
via
Tasso
come
di
un
incubo
.
Per
mia
fortuna
non
sono
capitato
in
quella
prigione
,
ma
nel
suo
omologo
italiano
in
via
Romagna
,
nella
pensione
Jaccarino
governata
dal
tenente
Koch
(
tedesco
di
nome
ma
italiano
di
stirpe
)
e
dalla
sua
banda
paramilitare
.
Anche
qui
c
'
erano
forme
di
tortura
elementare
,
calci
,
pugni
e
bastoni
,
e
come
celle
una
carbonaia
e
un
cesso
.
Ma
eravamo
fortunati
al
confronto
,
e
la
nostra
più
grande
paura
non
era
la
fucilazione
annunciata
ma
di
essere
trasferiti
in
via
Tasso
.
Chi
sono
oggi
questi
dissennati
che
celebrano
simbolicamente
,
con
una
bomba
,
le
gesta
degli
aguzzini
nazisti
?
Si
dirà
che
sono
solo
teppisti
,
cani
sciolti
come
quelli
degli
stadi
,
come
i
profanatori
di
lapidi
e
cimiteri
.
Ma
attenzione
,
le
svastiche
sono
tornate
di
moda
e
sporcano
i
muri
di
molte
città
e
tornano
senza
infingimenti
anche
in
qualche
parlamento
europeo
.
Il
fascismo
,
non
come
regime
politico
ma
come
modo
di
essere
,
come
pulsione
antropologica
,
come
volontà
di
dominio
e
sopraffazione
,
è
una
brutta
bestia
che
si
riproduce
alimentata
dalla
violenza
del
mondo
moderno
.
Sarebbe
bene
non
dimenticare
mai
la
metafora
di
Jaurès
:
il
capitalismo
porta
in
sé
il
fascismo
e
la
guerra
come
la
nube
la
tempesta
.
È
sproporzionato
,
lo
so
.
Ma
preferisco
peccare
per
eccesso
che
per
difetto
.
Così
non
ho
dimenticato
l
'
omaggio
di
Reagan
ai
cimiteri
delle
SS
.
Non
ho
dimenticato
la
rivalutazione
del
nazismo
operata
da
dotti
e
rispettati
storici
tedeschi
.
Non
dimentico
l
'
ultimo
voto
in
Austria
.
Non
dimentico
neppure
l
'
equazione
,
la
bestemmia
,
nazismo
-
comunismo
,
l
'
antitesi
comunismo
-
libertà
gettata
sul
tavolo
verde
delle
politiche
di
palazzo
.
Scherzando
col
fuoco
ci
si
brucia
.
Mentre
il
male
trionfava
in
via
Tasso
,
una
strada
che
stava
in
tutta
Europa
,
la
libertà
vinceva
a
Stalingrado
.
Ma
perché
un
giovane
non
dovrebbe
confondersi
e
invertire
la
verità
,
se
i
primi
a
farlo
sono
degli
ex
giovani
smemorati
,
investiti
di
autorità
,
immeritata
?
StampaQuotidiana ,
Campo
Kannack
(
Sud
Vietnam
)
,
9
marzo
-
Il
campo
sorge
su
di
un
piccolo
altopiano
,
sedici
chilometri
a
nord
della
rotabile
19
,
che
unisce
Pleiku
a
Qui
Nonh
,
sulla
costa
;
due
località
passate
alla
storia
di
questa
guerra
:
a
Pleiku
i16
febbraio
,
alle
2
di
notte
,
cento
vietcong
,
il
volto
e
le
mani
spalmati
di
grasso
di
tigre
per
impaurire
i
cani
,
giunti
a
cinquanta
metri
da
Campo
Holloway
,
quartiere
degli
ufficiali
americani
,
piazzavano
quattro
mortai
made
in
USA
e
aprivano
il
fuoco
uccidendo
nove
soldati
,
ferendone
ventinove
,
distruggendo
ventidue
elicotteri
e
due
aerei
.
Il
giorno
successivo
caccia
-
bombardieri
della
VII
Flotta
bombardavano
Dong
Hoi
,
nel
Vietnam
del
Nord
,
per
decisione
del
Consiglio
di
sicurezza
degli
Stati
Uniti
.
Era
cominciata
la
escalation
.
Martedì
9
febbraio
commandos
del
Vietcong
facevano
saltare
a
Qui
Nonh
,
piccola
località
climatica
sul
litorale
del
Vietnam
centrale
,
una
casa
di
quattro
piani
in
cemento
armato
,
uccidendo
nel
sonno
trenta
ufficiali
degli
Stati
Uniti
.
Il
resto
è
cronaca
recentissima
,
la
guerra
nel
Vietnam
ha
preso
un
nuovo
corso
,
le
due
rappresaglie
americane
al
Nord
non
sembrano
aver
sortito
l
'
effetto
sperato
:
il
Vietcong
continua
a
combattere
,
assumendo
l
'
iniziativa
dovunque
,
e
in
particolare
nella
parte
centrale
del
Paese
.
In
questa
zona
,
obiettivo
vitale
è
la
rotabile
19
,
chiamata
«
la
strada
della
morte
»
perché
nel
1956
averla
perduta
significò
la
disfatta
per
duemila
uomini
del
Corpo
di
spedizione
francese
.
Le
stragi
di
Pleiku
e
di
Qui
Nonh
furono
le
promesse
di
una
offensiva
tuttora
in
corso
,
nella
quale
il
Vietcong
sta
impegnando
il
fiore
delle
sue
truppe
,
padrone
della
giungla
e
delle
montagne
che
sovrastano
la
provincia
di
Binh
Dinh
;
i
vietnamiti
tengono
i
campi
dell
'
alta
pianura
,
chi
riuscirà
ad
impadronirsi
dell
'
autostrada
19
avrà
vinto
la
partita
.
Dal
20
al
24
febbraio
e
ancora
il
5
marzo
si
è
combattuto
ai
margini
dell
'
arteria
e
in
ultimo
le
più
gravi
perdite
sono
state
dei
comunisti
.
Dopo
aver
ripreso
fiato
,
i
guerriglieri
hanno
scatenato
un
violento
attacco
al
Campo
Kannack
la
mattina
dell'8
marzo
alle
2
,
decisi
a
conquistare
la
posizione
chiave
ad
ogni
costo
.
Si
è
combattuto
fino
alle
6.30
,
quando
l
'
intervento
dell
'
aviazione
stroncava
i
vietcong
,
riusciti
con
temerari
assalti
condotti
da
tre
direzioni
ad
occupare
l
'
avamposto
settentrionale
di
Campo
Kannack
e
le
prime
posizioni
di
quello
a
sud
.
Nel
settore
est
i
guerriglieri
riuscivano
a
spingersi
fin
sotto
i
reticolati
,
ma
qui
il
fuoco
dei
difensori
li
stroncava
.
È
sulla
scena
del
terribile
scontro
che
il
generale
Co
,
comandante
del
Il
Corpo
,
l
'
uomo
sul
quale
pesa
la
responsabilità
di
impedire
al
nemico
di
tagliare
in
due
il
Vietnam
,
ha
fatto
stamane
,
a
sette
giornalisti
stranieri
,
il
punto
della
situazione
,
riassunto
più
sopra
.
Svegliati
all
'
alba
da
una
telefonata
del
capitano
King
,
ufficiale
di
collegamento
per
la
stampa
,
abbiamo
raggiunto
An
Khe
,
teatro
di
aspri
combattimenti
ancora
pochi
giorni
fa
,
in
un
'
ora
e
mezzo
di
volo
.
Qui
abbiamo
caricato
a
bordo
i
familiari
di
uno
dei
trentatré
vietnamiti
uccisi
negli
scontri
di
ieri
e
siamo
ripartiti
per
Campo
Kannack
sorvolando
un
verde
mare
di
intricata
vegetazione
,
la
giungla
,
dove
i
guerriglieri
hanno
le
loro
basi
,
campi
di
riposo
e
di
addestramento
,
ospedali
.
Magro
,
il
viso
da
bonzo
,
gli
occhi
lucidi
,
il
generale
Co
è
ad
attenderci
;
lo
seguiamo
su
per
una
breve
erta
:
il
mattino
è
gonfio
di
umida
nebbia
,
dal
cielo
cade
una
calda
pioggia
vischiosa
.
Il
campo
domina
una
breve
vallata
,
controllando
l
'
accesso
alla
strada
19
.
Un
triplo
ordine
di
reticolati
lo
circonda
.
I
segni
della
battaglia
sono
ovunque
:
cavalli
di
Frisia
divelti
,
buche
scavate
dalle
bombe
dei
mortai
,
casematte
incendiate
.
Sulle
nostre
teste
ronzano
,
instancabili
,
elicotteri
da
ricognizione
,
dalla
vicina
giungla
giunge
ogni
tanto
l
'
eco
di
una
raffica
:
il
rastrellamento
continua
e
i
soldati
della
«
Special
Force
»
(
una
sintesi
di
paracadutisti
,
marines
e
guerriglieri
,
truppa
scelta
addestrata
da
ufficiali
americani
reduci
dalla
Corea
)
ad
ogni
piè
sospinto
trovano
cadaveri
abbandonati
dal
nemico
in
ritirata
.
«
Io
ne
ho
contati
cento
,
di
morti
»
dice
il
generale
Co
,
«
ma
alla
fine
risulteranno
più
del
doppio
.
»
«
Intanto
,
eccone
un
bel
mucchio
»
soggiunge
un
ufficiale
vietnamita
:
svoltato
l
'
angolo
di
una
casamatta
di
bambù
ci
troviamo
di
fronte
ad
un
camion
.
È
pieno
zeppo
di
cadaveri
,
gli
uni
ammucchiati
sugli
altri
,
accatastati
alla
rinfusa
.
I
guerriglieri
sono
piccoli
e
minuti
,
sembrano
ragazzini
,
sotto
gli
squarci
del
nero
costume
da
contadino
affiora
una
pelle
color
della
giada
,
una
pelle
delicata
,
quasi
femminea
.
«
La
morte
ha
dato
espressioni
miti
o
stralunate
,
da
fanciulli
sorpresi
dalla
folgore
,
a
questi
coraggiosi
venuti
a
morire
fin
sotto
i
reticolati
di
Campo
Kannack
»
dice
l
'
ufficiale
di
prima
;
poi
,
sogghignando
,
mi
mostra
un
taccuino
preso
ad
un
comunista
:
c
'
è
dentro
la
sua
foto
in
borghese
,
un
'
altra
in
bicicletta
con
un
amico
o
un
parente
,
c
'
è
anche
la
fotografia
di
una
bella
ragazza
sorridente
.
L
'
ufficiale
non
vuoi
dirmi
il
nome
del
caduto
,
venuto
dal
Nord
Vietnam
nel
Sud
dopo
una
marcia
di
sessantaquattro
giorni
,
iniziata
il
12
novembre
1964;
si
limita
ad
informarmi
che
doveva
essere
un
graduato
,
a
giudicare
dalla
calligrafia
,
e
che
era
alto
un
metro
e
sessanta
.
Domando
dove
sia
,
e
l
'
altro
,
con
un
gesto
vago
:
«
Nel
mucchio
»
risponde
.
Non
c
'
è
pietà
sul
viso
dei
vietnamiti
che
ci
accompagnano
in
giro
per
il
campo
disseminato
di
caduti
.
Questa
è
una
guerra
senza
misericordia
,
dove
non
ci
si
ferma
mai
a
meditare
.
Ad
un
tratto
,
dal
camion
rotolano
giù
quattro
cadaveri
,
finendo
in
un
fossato
:
aderiscono
alla
terra
,
assumendo
positure
armoniose
,
come
di
danza
fissata
in
un
altorilievo
.
C
'
è
un
morto
che
è
proprio
un
giovinetto
;
cadendo
,
i
lunghi
capelli
neri
si
sono
sparsi
sulla
mota
giallastra
,
e
una
mano
è
rimasta
ripiegata
sotto
la
guancia
destra
.
Sembra
che
dorma
.
«
Non
avrà
più
di
sedici
anni
»
mormora
il
capitano
King
.
«
È
un
delitto
strappare
alle
famiglie
dei
ragazzi
,
farne
dei
fanatici
da
mandare
al
macello
.
»
Sembrano
proprio
agnelli
massacrati
da
un
beccaio
impazzito
,
specie
quelli
raggiunti
dall
'
esplosione
delle
mine
.
Tutto
il
perimetro
esterno
del
campo
ne
è
pieno
:
cadaveri
nelle
buche
,
nei
rigagnoli
,
a
ridosso
dei
reticolati
;
alcuni
fermati
dalla
morte
nell
'
atto
di
lanciare
una
bomba
,
altri
con
le
dita
serrate
sui
moschetti
di
fabbricazione
cecoslovacca
.
Quanti
morti
,
a
perdita
d
'
occhio
,
si
rischia
di
calpestarli
.
Sono
morti
poveri
,
senza
scarpe
,
con
accanto
tascapani
fatti
di
paglia
intrecciata
,
solo
pochi
calzano
rozzi
sandali
di
gomma
.
Gli
altri
,
i
caduti
del
Vietnam
,
dormono
composti
nelle
loro
belle
divise
,
entro
casse
dipinte
di
rosso
,
confortati
dal
pianto
dei
familiari
.
Perché
nei
campi
come
questo
vivono
anche
le
famiglie
di
molti
soldati
.
Le
donne
e
i
bambini
hanno
passato
le
ore
dell
'
attacco
nelle
buche
scavate
a
ridosso
delle
capanne
di
bambù
.
I
bambini
han
continuato
a
dormire
,
e
adesso
giocano
accanto
alle
casse
che
racchiudono
i
corpi
dei
loro
genitori
.
Come
si
somigliano
gli
uni
e
gli
altri
,
i
morti
del
Vietcong
e
i
morti
del
Vietnam
,
sembrano
fratelli
!
Sono
fratelli
che
la
guerra
spinge
ad
uccidersi
,
questa
è
la
realtà
.
Ora
si
è
levato
il
vento
,
ed
ha
portato
via
le
nuvole
.
Splende
il
sole
,
su
Campo
Kannack
;
dalle
cucine
si
leva
il
fumo
del
rancio
,
riso
bollito
e
carne
,
corrono
allegri
richiami
,
nella
giungla
non
si
spara
più
.
Intorno
,
fermenta
un
atroce
odor
di
corrotto
,
misto
a
disinfettante
.
Avvicinandosi
,
«
Ma
sì
,
ecco
il
nome
di
quel
morto
»
mi
dice
improvvisamente
l
'
ufficiale
che
non
aveva
voluto
darmelo
:
«
si
chiama
Nguyen
Hung
Kiem
.
Sul
retro
della
fotografia
della
ragazza
c
'
è
scritto
:
"
Con
amore
"
.
Chissà
,
se
il
suo
giornale
pubblica
il
nome
,
la
ragazza
,
o
forse
la
moglie
,
saprà
presto
che
fine
ha
fatto
questo
Nguyen
,
le
notizie
stampate
camminano
in
fretta
,
potrà
mettersi
il
cuore
in
pace
»
.
Poi
,
guardandomi
dritto
negli
occhi
:
«
Cosa
crede
,
la
guerra
non
piace
a
nessuno
»
soggiunge
brusco
,
«
Soprattutto
a
chi
la
fa
.
È
una
sporca
faccenda
,
specie
una
guerra
come
questa
.
Ma
fin
quando
ci
verranno
addosso
dovremo
ammazzarli
,
uno
per
uno
,
senza
pietà
.
Perché
loro
,
questo
vorrebbero
,
farci
fuori
tutti
»
.
StampaQuotidiana ,
Ho
visto
recentemente
in
televisione
un
documentario
sull
'
invasione
tedesca
dell
'
Unione
Sovietica
e
sulla
tragedia
del
corpo
di
spedizione
italiano
sul
Don
.
Belle
testimonianze
di
sopravvissuti
,
immagini
epiche
e
dolorose
.
Penso
che
bisognerebbe
raccogliere
e
proiettare
tutto
il
materiale
relativo
alla
guerra
sul
fronte
orientale
,
compresi
i
film
di
propaganda
:
lì
è
andato
in
scena
il
più
grande
spettacolo
del
mondo
e
lì
sta
la
chiave
della
storia
del
nostro
secolo
.
Ho
pensato
,
guardando
le
immagini
sconnesse
di
quel
documentario
e
ascoltando
il
commento
parlato
,
che
soltanto
chi
ha
più
di
settant
'
anni
conserva
una
memoria
diretta
di
quel
tempo
.
È
un
'
avventura
ma
un
grande
privilegio
.
Tutto
quello
che
io
so
,
per
poco
che
sia
,
l
'
ho
imparato
in
quei
due
o
tre
anni
.
E
la
menzogna
in
cui
oggi
siamo
immersi
e
in
cui
vivono
le
giovani
generazioni
suona
alle
mie
orecchie
come
un
insulto
a
cui
è
vano
opporre
la
memoria
individuale
.
Tutto
era
perduto
in
quei
giorni
e
anni
,
le
democrazie
europee
erano
crollate
sul
campo
come
cartapesta
,
le
armate
corazzate
del
Terzo
Reich
e
le
croci
uncinate
dilagavano
sul
continente
e
oltre
senza
colpo
ferire
,
il
fascismo
e
il
terrore
non
conoscevano
più
ostacoli
.
Meno
uno
,
il
solo
al
di
qua
dell
'
Atlantico
e
dei
mari
del
Nord
e
del
Sud
:
uno
strano
paese
,
che
aveva
fatto
una
sua
rivoluzione
solitaria
,
che
oggi
è
piombato
nella
corruzione
e
nella
decadenza
,
ed
è
in
guerra
con
se
stesso
,
ma
allora
si
alzò
in
piedi
come
un
gigante
che
spezza
ogni
catena
.
Dirà
qualche
anno
più
tardi
nell
'
aula
del
parlamento
italiano
un
esponente
del
governo
di
allora
:
di
certo
Stalin
è
stato
un
uomo
su
cui
Dio
ha
impresso
la
sua
impronta
.
Metafisica
a
parte
,
come
saranno
uscite
dalle
acciaierie
oltre
gli
Urali
quei
cannoni
e
quei
carri
pesanti
capaci
di
respingere
e
di
frantumare
la
macchina
di
guerra
tedesca
?
Come
avranno
fatto
quei
contadini
ucraini
,
quegli
operai
leningradesi
,
quegli
uomini
di
marmo
di
ogni
provincia
,
quei
giovani
tartari
,
uzbeki
,
mongoli
,
ceceni
,
a
formare
un
solo
grande
esercito
per
salvare
la
propria
terra
e
la
nostra
?
Come
ha
potuto
quella
guerra
patriottica
,
senza
i
Kutuzov
e
i
Tucha
?
evskij
,
saldarsi
con
l
'
antifascismo
mondiale
e
l
'
ideale
di
libertà
di
ogni
popolo
?
Come
fu
possibile
trarre
questa
forza
da
molte
privazioni
e
sofferenze
sotto
un
regime
rozzo
e
sprezzato
dai
posteri
?
C
'
era
qualcuno
,
forse
,
che
aveva
visto
più
lontano
degli
altri
.
Il
comunismo
ci
ha
rimesso
ma
noi
no
,
e
forse
dovremmo
ringraziare
.
Prima
ringraziare
e
poi
revisionare
e
anche
ribaltare
la
storia
:
tanto
è
lontana
mille
anni
e
nessuno
può
eccepire
.
Vicino
a
Mosca
commemorano
ogni
tanto
una
battaglia
dell
'
età
napoleonica
mimandola
sul
terreno
,
e
c
'
è
anche
un
museo
scenografico
che
la
fa
rivivere
agli
spettatori
come
ne
fossero
i
protagonisti
.
Ma
sulle
sponde
del
placido
Don
non
c
'
è
,
che
io
sappia
,
nessuna
Disneyland
che
onori
la
più
grande
vittoria
militare
del
XX
secolo
.
StampaQuotidiana ,
«
Tu
sai
che
sono
sotto
minaccia
di
un
gravissimo
danno
?
Il
1°
novembre
debbo
presentarmi
al
distretto
militare
.
Pensi
tu
alla
terribilità
del
mio
caso
?
Diciotto
mesi
di
caserma
?
I1
suicidio
sicuro
.
»
Con
quest
'
animo
Gabriele
D
'
Annunzio
partiva
soldato
a
ventisei
anni
.
Classe
1863
,
ma
iscritto
a
un
'
università
del
regno
(
che
non
frequentò
mai
)
,
gli
spettava
il
rinvio
,
ma
ora
,
come
succede
spesso
in
questi
casi
,
d
'
improvviso
,
con
terrore
,
vedeva
dinanzi
a
sé
un
anno
(
e
non
diciotto
mesi
)
di
vita
militare
.
Scelse
la
cavalleria
,
e
lo
destinarono
al
l4°
,
che
alla
fine
del
1889
stava
accantonato
a
Roma
,
nella
caserma
del
Macao
.
Ma
in
caserma
non
stette
molto
,
perché
quasi
subito
lo
mandarono
all
'
ospedale
per
una
crisi
di
nevrastenia
.
A
ventisei
anni
era
uno
scrittore
già
celebre
,
aveva
appena
pubblicato
Il
piacere
,
apparteneva
alla
cerchia
della
«
Cronaca
bizantina
»
,
e
così
gli
ufficiali
medici
non
digiuni
di
lettere
ebbero
per
lui
più
di
una
premura
:
licenze
,
permessi
serali
,
l
'
uso
di
una
camera
tutta
per
sé
.
Dimesso
,
raggiunse
il
14°
quando
già
il
reggimento
era
tornato
alla
sua
sede
,
Faenza
,
ma
anche
lì
fu
l
'
ospedale
,
stavolta
per
le
febbri
malariche
.
Sugli
esami
per
la
nomina
a
sottotenente
i
biografi
sono
vaghi
e
contraddittori
;
sappiamo
che
ebbe
diciassette
ventesimi
in
composizione
italiana
,
e
che
il
colonnello
,
bontà
sua
,
lo
incoraggiò
a
continuare
per
quella
strada
.
Non
sappiamo
invece
se
e
come
superò
le
altre
prove
.
Una
cosa
è
però
certa
,
che
non
fece
mai
il
servizio
di
prima
nomina
,
e
che
nell
'
ottobre
del
1890
era
in
congedo
illimitato
.
La
divisa
dell
'
ufficiale
la
indossò
venticinque
anni
più
tardi
,
rientrando
in
trionfo
dal
nono
glorioso
«
esilio
»
parigino
.
L
'
orazione
di
Quarto
,
le
accoglienze
entusiastiche
delle
folle
italiane
,
gli
attacchi
a
Giolitti
,
che
voleva
la
neutralità
,
Gabriele
D
'
Annunzio
s
'
era
subito
fatto
portavoce
di
quella
agguerrita
e
vociona
minoranza
che
-
così
parve
a
molti
-
in
quel
maggio
1915
prevalse
,
dalla
piazza
,
sulla
volontà
generale
del
Paese
.
Ora
il
dado
era
tratto
,
ed
egli
indossava
la
divisa
dei
lancieri
di
Novara
.
Una
disposizione
speciale
superava
l
'
ostacolo
della
scarsa
statura
(
1,64
comprese
le
scarpe
)
insufficiente
per
la
«
cavalleria
pesante
»
.
Cappotto
d
'
ordinanza
,
berretto
d
'
ordinanza
,
gambali
d
'
ordinanza
,
il
tenente
Gabriele
D
'
Annunzio
,
di
anni
cinquantadue
,
credeva
sinceramente
d
'
essere
un
soldato
qualunque
.
Una
sera
di
fine
maggio
,
congedandosi
dagli
amici
dopo
una
cena
,
concludeva
:
«
Ecco
l
'
alba
,
compagni
,
ecco
la
diana
,
e
fra
poco
sarà
l
'
aurora
.
Abbracciamoci
e
prendiamo
commiato
»
.
Così
partì
.
Ma
non
fu
un
soldato
qualunque
,
e
non
poteva
esserlo
.
Si
sistemò
a
Venezia
,
sul
Canal
Grande
,
nella
«
casetta
rossa
»
,
proprietà
d
'
un
suddito
tedesco
,
il
conte
Hohenlohe
,
dove
conduceva
la
sua
solita
splendida
vita
,
dispendiosissima
.
Non
gli
sarebbero
bastate
7000
lire
al
mese
,
gli
scriveva
Albertini
,
esortandolo
a
scrivere
di
più
per
il
Corriere
,
«
Dove
si
trovano
settemila
lire
al
mese
quando
produci
poco
o
nulla
?
Canta
!
Produci
!
Lavora
!
»
.
E
lui
di
rimando
:
«
Sì
,
dopo
la
cantata
,
tenderò
il
cappello
,
come
i
canterini
girovaghi
,
e
pioveranno
le
palanche
»
.
In
attesa
delle
palanche
sognava
l
'
azione
.
Il
20luglio
,
anniversario
di
Lissa
,
una
squadra
navale
italiana
avrebbe
dovuto
incrociare
a
dimostrazione
nelle
acque
di
Pola
,
e
il
tenente
dei
lancieri
chiese
d
'
essere
della
partita
.
Ma
al
comando
non
gli
diedero
molto
ascolto
,
fecero
un
mucchio
di
difficoltà
,
e
lui
non
partì
.
Infuriato
scrisse
a
Calandra
in
persona
:
«
Stamani
,
poiché
m
'
hanno
impedito
di
andare
a
svegliare
la
triste
Trieste
con
l
'
avvertimento
e
col
grido
italiano
,
stamani
io
ho
perduto
alcuni
minuti
di
vita
sublime
»
.
Si
mossero
subito
le
alte
sfere
,
intervenne
addirittura
il
generale
Cadorna
,
e
da
quel
momento
Gabriele
fu
libero
di
far
la
guerra
dove
e
come
volesse
:
sulla
terra
,
sul
mare
ma
soprattutto
nel
cielo
.
Se
in
quella
guerra
non
fu
il
solo
privilegiato
,
fu
certamente
lui
il
maggiore
,
il
primo
.
Diede
anzi
l
'
esempio
più
cospicuo
di
quell
'
arditismo
che
gli
alti
comandi
favorirono
,
convinti
che
fosse
una
trovata
tattica
.
La
Prima
guerra
mondiale
ha
avuto
ben
pochi
comandanti
di
grande
immaginazione
strategica
.
Sul
fronte
italiano
(
come
su
quello
francese
dopo
la
Marna
,
del
resto
)
tutto
si
ridusse
alla
«
guerra
di
logoramento
»
,
una
continua
macina
di
vite
umane
,
dall
'
una
all
'
altra
parte
,
fino
a
che
non
soccombesse
per
estinzione
la
meno
forte
,
la
meno
numerosa
.
Per
rimediare
,
sprovvisti
com
'
erano
di
un
vero
«
pensiero
»
strategico
,
i
generali
ricorsero
alla
tattica
dei
«
colpi
di
mano
»
.
Così
in
Italia
nacquero
i
reparti
degli
arditi
:
truppe
sceltissime
,
libere
da
ogni
altro
servizio
e
dai
gravosi
turni
di
trincea
,
con
vestiario
,
armamento
,
paga
e
altri
vantaggi
eccezionali
,
giungevano
in
linea
solo
quando
ce
n
'
era
bisogno
,
compivano
la
rapida
missione
e
tornavano
nelle
retrovie
.
Tutti
bei
giovani
spavaldi
,
questi
professionisti
del
«
colpo
di
mano
»
tenevano
,
in
servizio
e
fuori
,
un
contegno
che
possiamo
definire
dilettantesco
,
artistico
.
Spregiavano
la
disciplina
,
sbeffeggiavano
sia
i
poveri
fantaccini
che
i
pezzi
grossi
,
i
papaveri
della
burocrazia
,
prima
militare
e
poi
politica
.
Obbedivano
soltanto
al
superiore
diretto
.
Si
sentivano
parte
di
un
'
aristocrazia
,
e
non
soltanto
militare
.
Finita
la
guerra
diventeranno
quasi
tutti
fascisti
,
ma
del
fascismo
saranno
l
'
ala
più
turbolenta
,
più
riottosa
,
più
anarcoide
.
Il
fascismo
non
vedrà
l
'
ora
di
sbarazzarsene
,
in
qualunque
modo
,
anche
comprandone
l
'
inazione
.
D
'
Annunzio
era
dei
loro
,
il
più
grosso
.
Dopo
tanto
indugiare
,
ecco
improvviso
il
battesimo
del
fuoco
,
il
7
di
agosto
,
su
un
biposto
pilotato
dall
'
eroico
Giuseppe
Miraglia
.
Cominciavano
appena
allora
a
usare
gli
aerei
per
il
bombardamento
tattico
,
e
infatti
fu
poco
l
'
esplosivo
buttato
sull
'
arsenale
,
ma
molte
le
bandierine
tricolori
,
e
i
messaggi
.
Due
idrovolanti
austriaci
si
levarono
per
intercettarli
,
ma
tutto
andò
liscio
,
anzi
Gabriele
,
inebriato
da
quel
suo
primo
volo
,
annotava
sul
diario
di
bordo
due
versi
della
Vispa
Teresa
:
«
Vivendo
,
volando
,
che
male
ti
fo
?
»
.
E
invece
sognava
la
morte
,
purché
fosse
una
morte
ilare
,
bella
e
giovane
,
come
un
amplesso
definitivo
.
Non
a
caso
scritti
,
imprese
guerresche
e
amori
si
accavallano
e
si
intricano
più
che
mai
in
questi
anni
di
guerra
.
D
'
un
suo
convegno
amoroso
parla
così
:
«
Ha
ventisette
anni
,
è
nel
culmine
della
giovinezza
,
quando
la
prima
fame
è
sazia
e
cominciano
gli
indugi
sul
sapore
.
Ha
ventisette
anni
,
e
non
s
'
avvede
che
questa
assodata
giovinezza
è
ingiustizia
e
ingiuria
a
me
.
Per
avere
ventisette
anni
darei
il
libro
di
Alcyone
.
E
insiste
,
col
tono
dello
scialacquatore
un
po
'
trattenuto
:
«
Che
darei
per
avere
ventisette
anni
!
Anche
Laus
vitae
anche
Alcyone
anche
Forse
che
sì
forse
che
no
»
.
Come
se
lo
tormentasse
il
presagio
di
una
morte
vecchia
e
turpe
.
«
Oggi
a
cavallo
,
avevo
non
so
che
senso
giovanile
del
mio
corpo
.
Ma
là
,
nella
fotografia
di
ieri
,
nella
istantanea
spietata
,
sono
già
vecchio
.
»
Ecco
perché
la
morte
eroica
dei
suoi
amici
,
dei
suoi
compagni
d
'
ardimento
-
Giuseppe
Miraglia
,
Gino
Allegri
,
Giovanni
Randaccio
-
non
è
soltanto
un
grosso
dolore
,
ma
anche
un
'
occasione
per
contemplare
la
propria
morte
,
idealizzandola
:
«
Così
la
morte
non
era
più
di
un
passaggio
fra
due
luci
,
ma
era
la
congiunzione
chiara
di
due
luci
.
Tale
fu
poi
per
me
da
quel
punto
»
.
Dopo
di
lui
la
retorica
della
morte
,
la
retorica
del
teschio
e
delle
tibie
incrociate
,
ha
funestato
l
'
Italia
.
Ma
la
retorica
è
venuta
dopo
.
Quando
cantava
,
dei
compagni
di
Buccali
,
«
siamo
trenta
d
'
una
sorte
,
e
trentuno
con
la
morte
,
eia
,
l
'
ultima
,
alalà
!
»
,
Gabriele
era
sincero
.
In
guerra
rischiò
seriamente
la
vita
;
e
forse
il
destino
suo
fu
tragico
proprio
perché
la
morte
gli
toccò
vecchia
e
turpe
e
dorata
,
nel
mausoleo
di
Gardone
.
Persino
la
sua
maggior
ferita
in
guerra
fu
per
un
banale
incidente
di
volo
.
Il
16
gennaio
l
'
aereo
pilotato
dal
tenente
di
vascello
Bologna
dovette
per
il
maltempo
tornare
indietro
,
e
scendere
sul
mare
di
Grado
,
ma
per
un
errore
di
visuale
(
l
'
acqua
sotto
il
sole
fece
specchio
)
ammarò
troppo
bruscamente
,
e
Gabriele
andò
a
sbattere
la
testa
contro
la
mitragliatrice
di
prua
.
Il
sangue
fu
poco
,
ma
la
lesione
interna
gravissima
.
Quando
finalmente
il
poeta
,
tutto
preso
com
'
era
da
un
giro
di
conferenze
e
di
serate
benefiche
in
Lombardia
,
lasciò
che
i
maggiori
oculisti
italiani
lo
visitassero
,
si
vide
che
s
'
era
staccata
la
retina
dell
'
occhio
destro
,
e
che
l
'
occhio
s
'
era
perduto
.
Indispensabile
che
per
parecchie
settimane
restasse
a
riposo
completo
,
a
letto
,
nella
camera
buia
.
Al
buio
,
appunto
,
scrisse
il
Notturno
.
Gli
era
giunta
intanto
la
prima
medaglia
d
'
argento
e
a
settembre
poteva
riprendere
a
volare
.
«
Ora
io
sarei
contento
»
,
scriveva
all
'
Albertini
,
«
che
questa
mia
rientrata
in
servizio
attivo
fosse
annunziata
;
per
varie
ragioni
,
tra
le
quali
questo
nuovo
titolo
alla
mia
promozione
-
della
m
'
infischio
,
come
sai
.
Ma
i
miei
amici
zelanti
si
meravigliano
,
poiché
Guglielmo
Marroni
da
tenente
è
passato
maggiore
senza
mai
essere
stato
al
fuoco
.
»
Gli
amici
zelanti
ci
entrano
poco
,
e
non
era
vero
che
lui
se
ne
infischiasse
.
Al
contrario
,
non
l
'
abbandonò
mai
questa
ambizione
un
po
'
puerile
e
patetica
di
avere
,
come
si
diceva
ambiguamente
nel
gergo
degli
ufficiali
di
carriera
,
«
un
bel
petto
»
.
Al
fido
Tom
Antongini
scriveva
,
per
esempio
:
«
Ora
il
ministro
della
Guerra
è
Lyautey
,
che
mi
conosce
bene
.
Forse
è
più
facile
parlare
di
quella
famosa
Croce
»
.
E
ancora
,
sempre
all
'
Antongini
:
«
A
proposito
,
m
'
era
stata
annunziata
la
medaglia
d
'
oro
«
serba
»
-
che
tanti
hanno
avuto
-
e
l
'
ordine
di
Leopoldo
«
belga
»
.
Ne
sai
nulla
?
»
.
Ora
,
il
re
dei
belgi
aveva
altre
gatte
da
pelare
.
Il
re
dei
serbi
era
in
fuga
sopra
un
carro
tirato
da
buoi
,
fra
colonne
di
dispersi
e
fuggiaschi
,
e
cercava
di
raggiungere
la
costa
adriatica
,
dove
si
sarebbe
imbarcato
su
una
nave
da
guerra
italiana
.
Ma
la
Croix
de
Guerre
l
'
ebbe
,
ed
anche
la
britannica
Military
Cross
.
In
quanto
all
'
Italia
,
gli
diedero
tutto
quel
che
consentiva
il
regolamento
,
e
quando
occorse
modificarono
il
regolamento
per
dargli
di
più
:
cinque
medaglie
d
'
argento
,
una
d
'
oro
,
tre
promozioni
per
merito
di
guerra
(
fino
a
tenente
colonnello
)
,
la
Croce
dell
'
Ordine
militare
di
Savoia
.
Davvero
un
«
bel
petto
»
.
Persino
una
medaglia
di
bronzo
.
«
Il
bronzino
di
Buccari
»
,
diceva
Gabriele
stizzito
.
Quei
tre
motoscafi
siluranti
,
ciascuno
con
un
equipaggio
di
dieci
uomini
,
fecero
nella
notte
fra
il
10
e
l
'
1
l
febbraio
1918
un
'
arditissima
incursione
nella
rada
istriana
di
Buccari
,
al
comando
del
capitano
di
fregata
Costanzo
Ciano
.
I
risultati
pratici
furono
scarsi
:
un
piroscafo
austriaco
affondato
.
Ma
oltre
ai
siluri
,
in
quella
rada
lanciarono
anche
tre
bottiglie
sigillate
e
ornate
di
nastri
tricolori
,
con
dentro
un
messaggio
,
che
si
chiudeva
così
:
«
Un
buon
compagno
-
il
nemico
capitale
,
fra
tutti
lo
inimicissimo
,
quello
di
Pole
e
Cattaro
-
è
venuto
a
beffarsi
della
taglia
»
.
Questo
il
punto
:
sul
fronte
italiano
ormai
l
'
Austria
stava
combattendo
due
guerre
,
una
contro
l
'
Italia
,
l
'
altra
contro
D
'
Annunzio
.
La
taglia
sulla
sua
testa
c
'
era
veramente
,
sin
dal
1915
.
E
se
sfogliamo
i
giornali
umoristici
austriaci
di
allora
,
si
vedono
subito
i
due
bersagli
fondamentali
:
l
'
italiano
bassotto
,
baffuto
,
nero
,
con
il
cappello
da
brigante
calabrese
,
e
D
'
Annunzio
,
in
abiti
femminili
,
fra
nubi
di
profumi
e
di
cipria
.
Ecco
la
controprova
di
quanto
fosse
efficace
,
ben
articolata
,
puntuta
,
la
propaganda
di
Gabriele
.
Vien
voglia
di
chiedersi
perché
i
tecnici
della
persuasione
,
tanto
numerosi
e
rumorosi
ai
giorni
nostri
,
non
abbiano
mai
pensato
di
studiare
in
questo
senso
la
sua
vita
e
la
sua
opera
.
Un
volo
e
una
canzone
,
una
visita
alle
prime
linee
e
un
articolo
sul
Corriere
,
tutto
quel
che
D
'
Annunzio
fece
in
guerra
fu
anche
propaganda
di
prim
'
ordine
.
E
la
propaganda
,
come
ben
sappiamo
,
illumina
non
soltanto
la
cosa
che
si
lancia
,
ma
anche
la
persona
che
provvede
al
lancio
.
Non
a
caso
i
pubblicitari
«
firmano
»
.
D
'
Annunzio
firmava
,
sempre
,
tutti
i
manifesti
buttati
sul
nemico
.
Ecco
un
suo
arrivo
al
fronte
.
«
Truppe
non
logore
,
sfinite
:
per
rifarle
ci
vuol
ben
altro
che
il
teatro
del
soldato
...
Arriva
D
'
Annunzio
a
gran
corsa
.
È
sempre
come
una
ventata
di
aria
fresca
.
"
Sapete
"
;
dice
,
"
bisogna
smetterla
con
l
'
hip
,
hip
,
hurrah
.
Roba
da
barbari
.
Siamo
o
non
siamo
latini
e
omerici
?
Dunque
eia
,
eia
,
alalà
!
Attenti
:
eia
,
eia
,
eia
!..."
E
tutti
in
coro
a
rispondere
:
alalà
!
»
Ora
,
noi
possiamo
anche
dubitare
che
dopo
un
turno
di
trincea
sul
Carso
,
il
fante
-
un
contadino
della
bassa
Italia
-
potesse
sentirsi
«
omerico
»
e
«
rifarsi
»
con
un
alalà
.
Ma
chi
lo
comandava
,
il
tenentino
che
aveva
lasciato
gli
studi
l
'
anno
prima
e
che
sognava
(
tutto
in
un
sogno
solo
)
la
grandezza
d
'
Italia
,
la
vittoria
e
i
favori
delle
belle
donne
,
quel
tenentino
sicuramente
tornava
in
linea
convinto
di
dover
«
gittare
il
cuore
nella
trincea
nemica
»
e
andare
a
riprenderselo
.
Del
resto
D
'
Annunzio
era
ben
consapevole
di
quest
'
azione
propagandistica
.
Prima
della
nona
battaglia
dell
'
Isonzo
,
ecco
il
suo
solito
arrivo
«
a
corsa
»
con
l
'
alalà
,
come
lo
racconta
lui
in
privato
,
scrivendone
all
'
Antongini
:
«
Parto
domani
per
la
fronte
,
dove
faccio
l
'
ufficio
di
mascotte
per
le
"
spallate
"
»
.
Memento
audere
semper
,
non
piegare
d
'
un
'
ugna
,
l
'
orbo
veggente
,
sufficit
animus
:
l
'
imaginifico
era
diventato
un
eccezionale
trovatore
di
«
slogans
»
.
E
si
legga
questa
sua
disposizione
di
volo
,
prima
d
'
un
attacco
su
Pola
:
«
Quando
tutte
le
bombe
siano
andate
a
segno
,
ciascun
equipaggio
si
leverà
in
piedi
,
compreso
il
pilota
di
destra
,
e
lancerà
il
grido
attraverso
i
fuochi
di
sbarramento
:
alalà
»
.
Eppure
D
'
Annunzio
è
anche
l
'
autore
di
un
memoriale
sull
'
impiego
strategico
dell
'
aviazione
da
bombardamento
che
i
comandi
lessero
con
molta
attenzione
.
È
uno
scritto
tecnicamente
assai
buono
,
con
non
poche
idee
che
precorrono
i
tempi
:
l
'
uso
degli
aerei
siluranti
,
per
esempio
,
il
valore
psicologico
delle
incursioni
a
lunga
distanza
,
l
'
impiego
massiccio
dei
bombardieri
,
contro
l
'
opinione
corrente
di
allora
,
che
voleva
limitare
gli
aerei
a
compiti
di
osservazione
di
intercettamento
.
E
il
volo
su
Vienna
fu
impresa
unica
nella
Prima
guerra
mondiale
.
E
il
merito
fu
interamente
suo
,
perché
D
'
Annunzio
ci
pensava
sin
dallo
scoppio
delle
ostilità
.
Era
un
'
impresa
assai
difficile
,
sempre
sconsigliata
e
talvolta
osteggiata
dai
comandi
.
I
Caproni
disponibili
allora
,
da
300
hp
,
non
avevano
autonomia
neanche
per
il
solo
volo
di
andata
.
Quelli
da
450
hp
,
costruiti
più
tardi
,
potevan
bastare
a
patto
che
si
aggiungessero
dei
serbatoi
supplementari
,
ma
questo
imponeva
di
ridurre
al
minimo
il
carico
utile
.
Al
campo
di
San
Pelagio
lavorarono
febbrilmente
per
settimane
.
Prima
di
accettare
l
'
impresa
,
i
comandi
vollero
fare
un
volo
di
prova
di
mille
chilometri
sulla
Valle
Padana
.
E
siccome
D
'
Annunzio
non
era
pilota
,
si
dovette
trasformare
un
monoposto
(
quello
di
Natale
Palli
)
incastrando
un
seggiolino
in
un
incavo
ricavato
fra
le
lamiere
del
serbatoio
supplementare
.
L
'
ordine
di
operazione
era
rigoroso
:
non
lanciare
bombe
,
ma
limitarsi
a
un
'
azione
dimostrativa
,
non
lasciarsi
impegnare
dagli
aerei
da
caccia
austriaci
,
troppo
più
veloci
,
essere
pronti
ad
azionare
un
dispositivo
per
la
distruzione
dell
'
apparecchio
,
scendere
a
700
metri
sulla
capitale
nemica
per
il
lancio
utile
dei
manifestini
.
Decollarono
la
mattina
del
9
agosto
,
una
squadriglia
di
undici
apparecchi
in
formazione
serrata
.
Tre
dovettero
subito
ridiscendere
per
un
guasto
.
Il
pilota
Sarti
fu
costretto
ad
atterrare
in
territorio
nemico
.
In
sette
dunque
raggiunsero
Vienna
a
far
sentire
«
il
rombo
della
giovane
ala
italiana
»
che
«
non
somiglia
a
quello
del
bronzo
funebre
nel
cielo
mattutino
»
.
Tornarono
,
e
già
quando
furono
sul
cielo
di
Venezia
l
'
Italia
seppe
dell
'
impresa
e
impazzì
.
Qualcuno
propose
di
incoronare
di
lauro
il
Comandante
,
in
Campidoglio
.
La
guerra
di
D
'
Annunzio
fu
dunque
questa
:
il
coraggio
sposato
alla
retorica
,
l
'
intelligenza
alla
consapevole
volontà
di
propaganda
,
e
poi
l
'
ambizione
,
il
vagheggiamento
estetico
della
bella
morte
,
la
poesia
che
si
trasforma
in
vita
vissuta
,
il
poeta
che
passa
la
mano
al
Comandante
.
Non
fu
la
guerra
degli
altri
,
dei
poeti
,
degli
scrittori
,
degli
intellettuali
suoi
contemporanei
.
Costoro
partirono
tutti
per
il
fronte
.
Molti
ci
andarono
volontari
,
ciascuno
spinto
da
un
motivo
che
non
era
sempre
identico
a
quelli
altrui
.
Nella
guerra
,
fra
costoro
,
ci
fu
chi
vide
la
lotta
dei
popoli
contro
gli
imperi
,
e
ci
fu
chi
vide
la
conclusione
del
Risorgimento
,
e
chi
seppe
impararvi
la
nuda
lezione
della
fratellanza
fra
gli
uomini
.
Se
noi
oggi
vogliamo
capire
che
cosa
fu
la
Grande
guerra
leggiamo
le
pagine
di
Emilio
Lussu
,
di
Giuseppe
Ungaretti
,
di
Carlo
Emilio
Gadda
,
di
Renato
Serra
,
di
Carlo
Salsa
,
di
Ardengo
Soffici
.
Li
leggiamo
proprio
perché
loro
fecero
la
guerra
da
soldati
,
in
mezzo
ai
soldati
.
D
'
Annunzio
fece
la
sua
splendida
guerra
con
uno
stretto
manipolo
di
giovani
che
gli
somigliavano
,
o
che
si
sforzavano
di
somigliargli
.
La
visse
e
la
sentì
come
il
supremo
fastigio
di
una
vita
eroica
.
Non
ebbe
la
corona
in
Campidoglio
,
ma
entrò
,
vivo
,
in
un
mausoleo
,
il
Vittoriale
.
Ma
intanto
era
venuta
la
pace
.
Una
pace
gallica
,
inghilese
,
stelligera
,
per
dirla
con
le
sue
parole
,
non
certo
una
pace
italiana
,
che
facesse
per
esempio
dell
'
amarissimo
Adriatico
un
golfo
italiano
.
Un
suo
scritto
che
chiedeva
appunto
per
l
'
Italia
tutta
la
costa
dalmata
fino
a
Valona
non
fu
accettato
dal
Corriere
.
Era
la
fine
del
1918
e
in
tutta
l
'
Europa
,
già
stremata
dalla
guerra
,
la
spagnola
mieteva
altre
vittime
,
più
numerose
ancora
.
Prese
la
spagnola
anche
D
'
Annunzio
:
chiuso
nella
«
casetta
rossa
»
meditava
l
'
impresa
di
Fiume
.
StampaQuotidiana ,
Non
credo
che
Massimo
D
'
Alema
,
qualche
giorno
fa
,
sia
salito
al
Quirinale
per
dimettersi
e
sia
stato
dissuaso
da
Ciampi
perché
bisogna
prima
approvare
la
legge
finanziaria
.
Avrebbe
potuto
comunque
rassegnare
le
dimissioni
e
farsi
rinviare
alle
Camere
,
lasciando
alla
sua
squinternata
maggioranza
l
'
onere
e
l
'
onore
di
restituirgli
la
fiducia
o
negargliela
,
e
rigettando
sull
'
intero
parlamento
,
come
si
conviene
,
la
responsabilità
di
approvare
o
meno
la
legge
finanziaria
.
Non
credo
che
Massimo
D
'
Alema
abbia
questo
stile
,
uno
che
rientra
da
Helsinki
per
andare
a
Fiuggi
a
farsi
fischiare
dal
partito
inesistente
di
Boselli
Enrico
non
ha
questo
stile
.
E
non
credo
neppure
che
Massimo
D
'
Alema
sia
stanco
di
farsi
cuocere
a
fuoco
lento
e
preferisca
assumere
un
altro
ruolo
.
Ha
fatto
cose
turche
per
entrare
a
palazzo
Chigi
e
dipingerne
a
nuovo
la
facciata
e
farà
cose
turche
per
restarci
.
Non
corre
alcun
rischio
di
farsi
cuocere
a
fuoco
lento
perché
l
'
operazione
è
già
avvenuta
nel
breve
giro
di
un
anno
,
e
la
lepre
di
Gallipoli
è
già
uno
stracotto
servito
in
tavola
.
Secondo
le
logiche
della
politica
corrente
,
come
le
abbiamo
imparate
a
suo
tempo
,
è
giunta
l
'
ora
di
Walter
Veltroni
.
È
lui
la
carta
su
cui
puntano
le
frattaglie
della
maggioranza
(
Cossiga
Francesco
,
Mastella
non
so
,
Boselli
Enrico
ecc
.
)
per
far
fuori
i
bolscevichi
dal
palazzo
d
'
inverno
di
piazza
Colonna
.
E
non
c
'
è
in
giro
nell
'
area
del
centro
-
sinistra
,
e
forse
neppure
del
centro
-
destra
,
un
anticomunista
più
dichiarato
dell
'
attuale
segretario
dei
Ds
.
Non
faccia
velo
il
particolare
che
i
due
leader
in
questione
fanno
parte
dello
stesso
partito
:
nelle
conversazioni
private
i
due
si
chiamano
reciprocamente
«
quello
là
»
,
e
il
modo
come
Occhetto
fece
fuori
Natta
e
D
'
Alema
fece
fuori
Occhetto
è
diventata
una
scuola
di
pensiero
che
troverà
conferma
nella
successione
prossima
ventura
.
L
'
armata
brancaleone
del
centro
-
sinistra
governativo
può
permettersi
di
far
fuori
il
suo
incauto
comandante
e
inventore
,
cioè
Brancaleone
in
persona
,
ma
non
può
ancora
aspirare
a
cancellare
la
primazia
diessina
.
La
mortadella
prodiana
è
inacidita
,
una
controfigura
istituzionale
vorrebbe
dire
la
resa
incondizionata
della
residua
sinistra
governativa
.
Perciò
o
D
'
Alema
resta
a
penzolare
ancora
per
qualche
settimana
o
mese
,
o
è
l
'
ora
dell
'
altro
quello
là
.
Confesso
che
tutto
questo
non
presenta
per
me
,
e
penso
per
la
pubblica
opinione
in
generale
,
nessun
interesse
.
Potrebbe
essere
interessante
e
promettente
se
una
crisi
si
aprisse
,
non
si
risolvesse
inutilmente
e
malamente
,
e
si
andasse
alle
elezioni
generali
(
e
regionali
)
in
primavera
.
Con
una
legge
elettorale
democratica
,
cioè
proporzionalista
,
con
tutti
gli
sbarramenti
che
volete
alla
tedesca
.
Forse
allora
una
formazione
o
coalizione
di
sinistra
potrebbe
trovare
uno
spazio
dignitoso
e
una
parte
dei
cittadini
che
non
ne
possono
più
potrebbero
tornare
a
votare
,
fuori
dal
polo
nord
dal
polo
sud
.
StampaQuotidiana ,
Inutile
negarlo
:
al
Vittoriale
tu
arrivi
prevenuto
.
Troppi
gli
amici
che
ti
hanno
messo
sull
'
avviso
:
vedrai
la
retorica
,
la
bolsaggine
,
il
cattivo
gusto
!
Vedrai
i
soldi
sperperati
!
Pensa
,
monumento
nazionale
sin
dal
1925
,
con
dentro
lui
,
vivo
.
S
'
era
lasciato
seppellire
da
Mussolini
e
senza
nemmeno
soffrirne
troppo
.
Infatti
,
pensi
tu
quando
la
macchina
si
arresta
sullo
spiazzale
e
guardi
l
'
ingresso
.
«
Io
ho
quel
che
ho
donato
»
,
leggi
per
prima
cosa
.
Esatto
,
pensi
:
di
questa
roba
egli
fece
dono
agli
italiani
,
ma
ci
rimase
dentro
,
e
gli
italiani
gli
pagarono
tutto
quanto
,
la
terra
,
gli
immobili
,
le
aggiunte
successive
,
che
non
finivano
mai
.
Con
quest
'
animo
paghi
le
duecento
lire
del
biglietto
e
prendi
su
per
il
viale
selciato
a
«
cubi
porfirici
»
,
come
diceva
lui
.
Ed
ecco
la
retorica
,
pensi
,
quando
la
guida
ti
spiega
come
quel
gran
pennone
con
in
vetta
una
vittoria
alata
e
dorata
riproduca
la
forma
di
un
pilone
di
ponte
sul
Piave
.
Vero
,
constati
,
ma
lì
per
lì
non
te
n
'
eri
accorto
,
perché
stavi
guardando
altro
.
La
vegetazione
,
per
esempio
,
che
qui
è
ricca
,
varia
,
d
'
un
verde
sempre
intenso
ma
sfumato
dal
cipresso
all
'
ulivo
al
nespolo
all
'
edera
al
magnolio
.
Il
terreno
digrada
verso
il
lago
,
che
in
un
mattino
piovigginoso
,
come
oggi
,
è
d
'
un
chiaro
quasi
bianco
.
Certo
,
se
volgi
gli
occhi
attorno
vedi
archetti
,
colonne
,
pennoni
,
capitelli
,
un
sarcofago
grigio
e
massiccio
,
un
obice
da
centocinque
,
fontanine
,
oblò
,
vetri
colorati
,
nicchie
.
Vedi
un
mucchio
di
roba
,
che
però
non
rompe
la
bellezza
del
panorama
e
anzi
ne
è
soggiogata
,
ingentilita
.
Insomma
,
su
tutto
l
'
hanno
vinta
i
cipressi
svettanti
,
o
il
grande
pino
contorto
e
antichissimo
che
sta
nel
«
cortile
dalmata
»
.
Lì
accanto
c
'
è
il
pennone
massimo
,
che
ha
per
base
due
mole
da
frantoio
,
e
per
ornamento
otto
mascheroni
slavonici
,
di
pietra
.
Lo
sguardo
rimane
incerto
fra
pino
e
pennone
,
e
alla
fine
tu
pensi
che
va
be
'
,
non
è
mica
poi
tanto
brutto
.
Non
è
mica
tutta
retorica
,
pensi
adesso
;
insomma
,
ci
si
potrebbe
anche
campare
,
forse
bene
.
La
villa
di
Cargnacco
,
che
D
'
Annunzio
comprò
nel
1921
,
era
questa
fetta
centrale
,
ora
coperta
da
una
quarantina
di
stemmi
in
pietra
,
di
tutte
le
grandezze
e
con
tutti
i
motivi
:
ci
sono
cani
,
draghi
,
palle
,
teste
,
alberi
,
gladii
,
fiori
,
aquile
e
putti
.
Quando
lui
fece
l
'
acquisto
era
una
villa
campagnola
,
d
'
una
certa
eleganza
solenne
e
discreta
e
ci
abitava
un
critico
d
'
arte
tedesco
,
Heinrich
Tode
,
genero
di
Wagner
.
Solo
questa
fetta
:
nelle
fotografie
di
allora
ha
un
aspetto
a
metà
fra
la
fattoria
e
la
pieve
,
tanto
vero
che
il
Comandante
la
battezzò
,
scherzando
,
«
la
calonica
»
,
e
subito
si
accinse
a
cambiarla
.
Adesso
gli
edifici
formano
un
quadrato
di
vuoti
e
pieni
,
attorno
al
cortile
dalmata
:
muri
,
finestre
,
portici
,
altane
.
Ecco
lì
la
FIAT
tipo
4
della
marcia
da
Ronchi
,
scura
,
con
la
leva
del
freno
sul
predellino
,
e
i
fanali
ad
acetilene
.
Non
è
eroica
.
E
lassù
,
in
una
sala
rotonda
dove
si
tengono
anche
le
commemorazioni
,
appeso
col
fil
di
ferro
al
soffitto
,
l
'
aereo
del
volo
su
Vienna
:
è
uno
SVA
di
compensato
e
seta
,
con
il
leone
di
San
Marco
in
rosso
e
oro
(
«
iterum
rudit
leo
»
dice
il
motto
)
e
sulla
coda
le
sette
stelle
dell
'
Orsa
in
campo
azzurro
:
sette
come
furon
sette
gli
aerei
che
,
degli
undici
partiti
,
giunsero
sulla
capitale
austriaca
.
Nemmeno
questo
è
eroico
,
ormai
:
sembra
un
gran
farfallone
infilzato
a
mezz
'
aria
,
fragile
e
rinsecchito
,
come
polveroso
.
Non
sono
eroici
nemmeno
i
giardini
privati
,
nonostante
i
macigni
alpestri
,
ciascuno
con
scritto
in
rosso
il
monte
d
'
origine
:
Veliki
,
Sabotino
,
Podgora
,
Carso
e
così
via
,
e
frammezzo
una
mitragliatrice
(
raffreddamento
ad
acqua
,
pensi
)
,
proiettili
,
elmetti
,
e
un
san
Francesco
stilizzato
che
apre
le
braccia
verso
la
finestra
della
Zambracca
,
la
stanza
dove
morì
di
emorragia
cerebrale
il
Comandante
.
Non
sono
eroici
perché
anche
qui
la
vegetazione
domina
su
tutto
:
nel
boschetto
dei
magnolii
incontri
un
fossatello
,
e
per
superarlo
c
'
è
una
lastra
di
marmo
,
scritta
:
«
Strepitu
sine
ullo
»
,
dice
da
una
parte
,
e
dall
'
altra
:
«
Sordida
pellit
»
.
Spiega
la
guida
che
gli
indesiderati
,
i
malevoli
,
dovevano
restare
di
qua
,
nel
sordidume
,
mentre
i
fedeli
,
senza
far
chiasso
,
giungevano
sino
all
'
arengo
,
cioè
ad
una
serie
di
belle
panche
in
pietra
scolpita
,
con
alle
spalle
,
fra
magnolii
folti
,
ventisette
colonne
.
Il
Comandante
riceveva
qui
reduci
,
compagni
d
'
arme
,
belle
donne
,
Mussolini
,
Cicerin
,
Umberto
di
Savoia
,
e
intratteneva
tutti
con
le
sue
alate
concioni
,
con
le
sue
squisite
arguzie
.
Racconta
Dario
Niccodemi
d
'
essere
rimasto
quattordici
ore
,
fra
arengo
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
(
il
parente
sarebbe
Michelangelo
)
,
affascinato
e
divertito
,
da
non
accorgersi
che
il
tempo
passava
.
Ora
comincio
a
non
dubitare
che
ci
saremmo
divertiti
anche
noi
,
tanto
doveva
essere
ricca
e
variata
e
bislacca
la
conversazione
d
'
un
uomo
che
poteva
appigliarsi
a
tanti
particolari
in
mostra
,
a
tante
minutaglie
eterogenee
e
stravaganti
.
Infatti
nel
cortile
e
nel
portico
non
c
'
è
palmo
di
muro
che
non
rechi
infisso
un
medaglione
o
una
testa
,
o
un
paio
di
corna
bovine
,
una
clessidra
,
una
campana
,
un
lampione
,
una
testina
,
una
maiolica
,
un
'
epigrafe
,
un
'
anfora
,
un
motto
,
un
cartiglio
.
Ciriaco
Marini
,
oggi
guardiano
ma
allora
muratore
al
Vittoriale
,
mi
precisa
che
il
Comandante
,
in
compagnia
del
suo
fido
architetto
Maroni
,
presiedeva
ad
ogni
cosa
:
diceva
lui
voglio
qui
questo
,
lì
quello
,
così
va
bene
e
così
no
.
Era
attivissimo
,
esigente
,
preciso
,
piccolo
,
asciutto
,
gran
camminatore
,
generoso
,
cordiale
,
aristocratico
e
perciò
populista
.
Giù
verso
l
'
Acqua
Pazza
,
per
esempio
,
un
giorno
stavano
sistemando
una
piaggia
a
gradini
.
Arrivò
in
visita
il
Comandante
,
sempre
in
compagnia
del
Maroni
,
e
con
le
sue
gambette
di
vecchio
non
ce
la
faceva
a
superare
lo
sbalzo
del
terreno
.
Si
rivolse
all
'
operaio
Betta
:
«
Dammi
la
mano
»
,
comandò
con
quella
voce
acuta
(
«
Pareva
una
cornetta
»
,
spiega
il
guardiano
)
.
Ma
il
Bella
non
voleva
,
si
scherniva
:
aveva
la
mano
sporca
di
terra
.
«
Dammi
la
mano
»
,
strillò
D
'
Annunzio
.
E
poi
,
a
monito
:
«
Ricordati
,
la
mano
di
un
operaio
giammai
sarà
sporca
»
.
I
guardiani
d
'
oggi
(
portano
una
divisa
,
ma
in
estate
,
con
le
insegne
del
principato
di
Montenevoso
)
ricordano
parecchie
cose
e
sanno
dirti
a
memoria
il
nome
di
tutto
.
Perché
qui
tutto
ha
un
nome
:
viale
d
'
Aligi
,
Acqua
Pazza
e
Acqua
Saggia
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
,
fontana
del
delfino
,
Pilo
del
«
dare
in
brocca
»
,
edicola
di
San
Rocco
,
colonna
dei
giuramenti
,
cortile
dalmata
,
torre
del
belvedere
.
È
una
toponomastica
che
basterebbe
per
un
quartiere
cittadino
,
e
invece
si
riferisce
a
poche
spanne
di
terra
.
E
continua
e
si
infittisce
e
si
accavalla
e
prolifera
dentro
casa
.
Qui
il
pubblico
non
può
entrare
,
e
si
capisce
perché
:
più
di
tre
persone
alla
volta
non
ci
si
muoverebbero
,
e
io
che
sono
grosso
ho
sempre
paura
di
rompere
qualcosa
.
Immagina
ora
d
'
essere
ospite
del
Comandante
.
Arrivi
alla
porta
,
e
un
'
epigrafe
ti
ammonisce
:
«
Clausura
finché
s
'
apra
,
silentium
fin
che
parli
»
.
Aprono
la
porta
,
e
vedi
due
leoni
d
'
oro
,
sette
scalini
rossi
,
un
andito
scuro
di
noce
vecchio
,
una
colonna
e
due
busti
.
Ti
fanno
accomodare
nell
'
oratorio
dalmata
,
che
è
proprio
un
oratorio
coi
suoi
scanni
e
i
cuscini
rossi
,
i
turiboli
,
gli
ostensori
,
le
croci
,
i
reliquarii
,
le
statue
dei
santi
,
e
appesa
al
soffitto
l
'
elica
dell
'
aereo
di
De
Pinedo
.
E
non
sai
cosa
guardare
.
E
se
ti
ammettono
alle
altre
stanze
,
cresce
questa
sensazione
,
questo
principio
di
capogiro
e
di
soffocazione
asmatica
.
Perché
ogni
stanza
è
tappezzata
,
ovattata
,
imbottita
,
straripante
di
oggetti
:
su
un
tavolo
foderato
di
rosso
,
dinanzi
a
un
tabernacolo
d
'
oro
,
il
volante
spezzato
del
pilota
inglese
Seagraves
.
Per
terra
cuscini
e
una
pelle
di
leopardo
,
e
accanto
,
dal
pavimento
a
l
soffitto
,
una
piramide
di
statue
:
si
comincia
con
due
gatti
di
porcellana
,
e
si
sale
,
traverso
Budda
e
Visnù
e
Krishna
e
non
sai
più
che
altro
,
fino
alla
Madonna
col
Bambino
,
di
legno
colorato
.
È
la
scala
delle
religioni
,
ti
spiegano
,
e
la
scritta
precisa
:
«
Tutti
gli
idoli
adombrano
un
dio
vivo
,
tutte
le
fedi
attestan
l
'
uomo
eterno
,
tutti
i
martiri
annunziano
un
sorriso
»
.
Nella
stanza
del
mappamondo
,
insieme
ai
tavoli
e
alle
statue
e
ai
libri
,
trovi
un
organo
,
il
globo
enorme
che
dà
nome
all
'
ambiente
e
una
mitragliatrice
Schwartzlose
,
preda
bellica
.
Le
luci
sono
tutte
smorzate
,
rosate
,
rossastre
,
giallicce
,
verdine
,
bluastre
.
La
sala
del
lebbroso
,
la
più
famosa
,
contiene
,
accanto
a
un
letto
-
culla
-
bara
coperto
di
seta
nera
con
scritte
latine
in
oro
,
una
statua
di
giovinetto
nudo
in
legno
chiaro
.
Tu
muovi
con
crescente
cautela
e
non
senti
il
rumore
dei
tuoi
passi
,
per
i
continui
tappeti
che
si
susseguono
sovrapposti
agli
orli
.
Saranno
più
di
mille
.
E
ogni
stanza
ha
il
suo
nome
d
'
invenzione
.
Nella
stanza
della
Zambracca
(
in
veneto
significa
,
se
non
sbaglio
,
«
cameraccia
»
)
c
'
è
un
fornitissimo
armadio
di
medicinali
(
ultimamente
il
poeta
aveva
gran
paura
delle
malattie
)
e
il
guardaroba
,
dove
stupisce
il
gran
numero
delle
cravatte
a
farfallino
.
Un
appunto
del
poeta
ti
dice
che
anche
ai
«
servizi
»
doveva
toccare
il
nome
,
in
latino
:
bibliothecula
stercoraria
,
balneolum
vetusculum
,
cellula
vinaria
et
dearia
.
La
stanza
della
Cheli
prende
nome
da
una
tartaruga
enorme
che
sta
sul
tavolo
da
pranzo
.
Quest
'
animale
morì
per
una
indigestione
di
tuberose
,
ma
il
poeta
la
volle
ancora
:
il
guscio
è
il
suo
,
dorato
,
la
testa
e
le
zampe
le
rifece
in
bronzo
,
pure
dorato
,
lo
scultore
Bronzi
.
Ora
,
si
pensi
che
D
'
Annunzio
fece
mangiare
a
questo
tavolo
Umberto
di
Savoia
e
Mussolini
,
con
a
capo
tavola
la
tartaruga
Cheli
.
Se
riesci
a
dominare
il
senso
di
vertigine
che
a
questo
punto
t
'
ha
preso
,
non
eviti
un
dubbio
:
faceva
sempre
sul
serio
,
il
Poeta
?
Perché
di
solito
,
lui
così
parco
,
mangiava
giù
,
solo
,
nella
Zambracca
,
e
a
tavola
con
la
tartaruga
ci
andava
solo
in
compagnia
di
ospiti
illustri
.
Ancora
:
entri
nel
bagno
,
a
fatica
rintracci
vasca
,
bidet
e
lavabo
,
di
maiolica
blu
,
annullati
dal
carico
di
anfore
,
uccelli
,
piatti
,
mattonelle
,
teste
,
frutti
finti
,
ampolline
,
teche
e
fotografie
(
più
di
duemila
pezzi
,
avverte
serissima
la
guida
)
.
Guardi
sul
tavolino
,
e
in
bella
mostra
vedi
e
conti
almeno
dieci
spazzole
pei
capelli
.
E
tutti
sanno
che
D
'
Annunzio
era
calvo
.
Qualcuno
mi
dice
:
possibile
dormire
avendo
ai
piedi
del
letto
un
calco
in
gesso
del
Prigione
di
Michelangelo
?
Giusto
:
ma
non
si
dimentichi
che
questa
enorme
statua
porta
alla
vita
un
pezzo
di
damasco
dorato
che
gli
fa
da
gonnella
.
È
questo
un
modo
serio
di
trattare
un
artista
venerato
e
per
giunta
«
parente
»
?
Né
si
scordi
,
per
esempio
,
che
lo
scrittoio
del
monco
,
con
quella
rossa
mano
mozza
sopra
l
'
architrave
,
serviva
a
raccogliere
la
posta
inevasa
,
le
lettere
dinanzi
alle
quali
Gabriele
sentiva
cader
giù
la
mano
,
lettere
di
seccatori
,
postulanti
,
creditori
.
E
oltre
tutto
in
queste
stanze
D
'
Annunzio
non
lavorava
:
e
chi
ci
riuscirebbe
?
Al
piano
di
sopra
c
'
è
l
'
Officina
,
cioè
lo
studio
.
Se
da
questa
stanza
leviamo
la
copia
d
'
una
Vittoria
,
qualche
calco
,
qualche
fotografia
,
potrebbe
sembrare
lo
studio
di
uno
scrittore
qualunque
.
È
di
legno
chiaro
;
la
luce
basta
per
leggere
,
lo
scrittoio
è
piccolo
(
non
si
lavora
bene
sui
tavoli
grandi
)
,
i
libri
sono
ben
disposti
,
a
portata
di
mano
;
rigorosamente
allineati
,
accanto
ai
numerosi
dizionari
(
l
'
imaginifico
non
tirava
mai
a
indovinare
,
quanto
alle
parole
)
ecco
i
volumi
d
'
una
storia
economica
della
Toscana
:
quando
morì
,
mi
spiegano
,
stava
lavorando
a
una
vita
di
Santa
Caterina
,
e
voleva
documentarsi
a
dovere
.
E
in
tutta
la
casa
non
trovi
un
libro
inutile
:
i
trentamila
volumi
formano
una
biblioteca
strumentale
,
e
non
ripetono
affatto
le
stramberie
degli
altri
oggetti
;
non
vedi
nemmeno
un
incunabolo
,
né
un
'
edizione
pregiata
.
È
la
biblioteca
d
'
uno
studioso
,
non
d
'
un
bibliofilo
estetizzante
.
Insomma
al
tavolo
di
lavoro
D
'
Annunzio
diventava
serio
.
Qualcuno
dei
guardiani
ricorda
che
era
capace
di
restarsene
a
sedere
per
dodici
,
quattordici
ore
di
fila
.
Preoccupati
,
essi
ogni
tanto
spiavano
questo
faticatore
della
penna
,
e
allora
vedevano
sulla
testa
calva
una
vena
gonfiarsi
e
tendersi
come
una
corda
,
per
lo
sforzo
.
Lavorava
sodo
,
dimentico
di
tanta
paccottiglia
che
gl
'
ingombrava
le
stanze
di
sotto
.
Certo
,
non
era
più
lui
:
passata
la
sessantina
,
aveva
dato
il
meglio
di
sé
,
e
adesso
gli
restavano
i
progetti
di
altre
quaranta
opere
che
non
scrisse
mai
,
ma
che
promise
al
suo
editore
.
Esaurita
la
vena
dello
scrittore
,
conclusa
la
vita
eroica
di
Buccari
,
di
Vienna
,
di
Fiume
,
adesso
la
sua
avventura
diventava
di
estetica
quotidiana
.
«
Tutto
qui
è
dunque
una
forma
della
mia
mente
,
un
aspetto
della
mia
anima
,
una
prova
del
mio
fervore
.
»
Era
sincero
.
Ma
doveva
fare
i
conti
con
un
doppio
rischio
.
Ecco
il
primo
.
Girando
per
queste
sale
io
mi
chiedevo
quale
poté
essere
il
gusto
di
D
'
Annunzio
verso
le
arti
figurative
.
E
constatavo
che
in
casa
non
esiste
un
quadro
né
una
statua
di
pregio
.
I
calchi
michelangioleschi
,
così
bianchi
,
enormi
,
e
gessosi
,
sono
orrendi
.
I
quattro
o
cinque
quadri
del
Previati
che
oggi
,
ben
illuminati
,
stanno
nella
camera
di
Schifamondo
,
par
che
non
gli
piacessero
,
e
infatti
li
aveva
relegati
in
una
specie
di
magazzino
.
Il
gusto
delle
maioliche
orientali
dunque
?
Non
lo
apparenta
forse
a
certi
decadenti
inglesi
,
a
Whistler
,
a
Rossetti
,
a
Howell
,
fanatici
del
blue
china
?
E
i
disegni
del
De
Carolis
(
fece
tutti
i
suoi
frontespizi
)
non
saranno
forse
l
'
equivalente
delle
illustrazioni
che
tracciò
Aubrey
Beardsley
per
le
opere
di
Oscar
Wilde
?
Nemmeno
questo
convince
.
E
forse
la
risposta
giusta
è
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
un
preciso
gusto
figurativo
;
che
questi
oggetti
servivano
,
come
suol
dirsi
,
a
creare
l
'
atmosfera
,
a
sollecitare
la
fantasia
;
che
ebbero
un
valore
più
tattile
,
più
vellicatorio
che
visivo
.
Secondo
rischio
.
In
un
certo
senso
,
il
Vittoriale
è
davvero
degli
Italiani
:
esso
infatti
ospita
tutto
quel
che
gli
italiani
regalarono
a
D
'
Annunzio
.
Una
pera
di
vetro
,
una
pina
secca
,
un
satiro
in
stile
Novecento
,
un
palloncino
di
carta
,
una
pietra
consacrata
,
una
camicia
sporca
di
sangue
:
non
sempre
fu
lui
a
mettersi
in
casa
questa
roba
.
E
poté
accadere
che
non
sapesse
sbarazzarsi
d
'
un
dono
,
far
piazza
pulita
degli
oggetti
inutili
,
o
di
quelli
brutti
.
Poté
accadere
,
all
'
inverso
,
che
donasse
ad
un
visitatore
oggetti
di
pregio
autentico
.
Lui
stesso
dovette
accorgersi
di
questo
progressivo
soffocamento
quando
decise
di
«
schifare
il
mondo
»
(
e
cioè
quel
mondo
,
quelle
pere
di
vetro
,
quelle
zucche
luminescenti
,
quei
pugnali
)
e
trasferirsi
a
vivere
lì
accanto
,
in
due
sole
stanze
,
brutte
quanto
si
vuole
anche
esse
,
ma
perlomeno
non
più
attuffate
da
tanta
paccottiglia
.
Schifamondo
,
disse
lui
:
una
camera
da
letto
scura
,
arredata
nello
stile
che
fu
degli
anni
Trenta
,
con
più
i
calchi
giganteschi
,
a
capo
del
letto
un
occhio
d
'
oro
,
con
l
'
insegna
«
per
non
dormire
»
.
Le
luci
piovono
dal
soffitto
smorzate
e
opalescenti
;
l
'
effetto
complessivo
è
funereo
,
ma
d
'
una
certa
solennità
.
D
'
Annunzio
su
quel
letto
non
riposò
mai
,
se
non
dopo
morto
.
Lì
lo
vide
per
l
'
ultima
volta
Mussolini
,
poi
lo
esposero
alla
folla
sotto
il
portico
del
cortile
dalmata
,
e
infine
lo
sotterrarono
(
no
,
non
in
piedi
,
mi
dice
l
'
ex
muratore
Ciriaco
Marini
,
che
era
presente
;
no
,
disteso
come
un
cristiano
qualunque
)
.
Adesso
il
corpo
di
Gabriele
è
in
una
nicchia
abbastanza
semplice
dell
'
Esedra
:
il
nome
,
un
pugnale
,
la
corona
dell
'
Accademia
d
'
Italia
,
la
terra
di
Pescara
,
l
'
acqua
del
Piave
.
Sta
lì
di
fronte
alla
casa
.
Ma
c
'
è
chi
non
vorrebbe
lasciarcelo
.
Nel
1940
cominciarono
i
lavori
per
l
'
erezione
del
Mausoleo
,
che
è
più
grande
di
tutti
gli
altri
edifici
messi
insieme
.
Sta
in
cima
al
poggio
che
guarda
la
prua
della
nave
«
Puglia
»
(
sempre
lì
in
attesa
di
salpare
,
ma
non
si
muove
mai
,
purtroppo
)
.
È
a
pianta
circolare
,
con
balze
successive
ornate
da
pochi
stenti
ulivi
che
non
vogliono
attecchire
.
Bianche
scalinate
portano
da
una
balza
all
'
altra
,
e
sul
cerchio
più
alto
si
levano
dieci
arche
spigolose
,
e
un
'
undicesima
sta
al
centro
,
in
mezzo
a
una
specie
di
vasca
,
più
alta
di
tutte
.
Lì
vorrebbero
mettere
D
'
Annunzio
,
circondato
da
dieci
eroi
fiumani
(
sette
già
ci
sono
)
.
L
'
architetto
Maroni
,
che
qui
e
altrove
fece
cose
non
indegne
,
stavolta
si
lasciò
prendere
la
mano
dal
gusto
littorio
dell
'
ossario
imponente
e
falso
.
Il
mausoleo
è
brutto
.
È
una
cattiveria
contro
la
dolcezza
del
paesaggio
.
Per
fortuna
non
è
stato
mai
finito
,
e
speriamo
che
non
sia
mai
.
Dopo
tutto
un
mausoleo
per
D
'
Annunzio
non
serve
.
Esiste
già
.
È
quello
,
il
Vittoriale
.
Teniamolo
così
:
un
monumento
patetico
,
che
costruì
per
se
medesimo
un
uomo
vecchio
.
Entriamoci
a
guardarlo
con
la
pietà
che
dobbiamo
a
un
nostro
nonno
.
Era
un
nonno
strambo
,
ma
a
suo
modo
geniale
.
StampaQuotidiana ,
«
La
cosa
che
donna
M
.
temeva
è
ormai
una
certezza
.
Bisognerà
trovare
un
mezzo
per
rimediare
prontamente
...
La
madre
finora
non
sa
nulla
:
dubita
soltanto
.
Il
caso
è
stranissimo
.
Io
prima
avrei
giurato
che
non
poteva
essere
.
Tu
che
pensi
?
Che
mi
consigli
?
»
Così
scriveva
Gabriele
al
padre
nel
maggio
del
1883
.
È
la
tipica
lettera
del
giovanotto
meridionale
salito
in
città
a
fare
fortuna
che
ha
«
commenato
'
o
gliommere
»
,
cioè
ha
combinato
il
pasticcio
e
ora
non
sa
più
a
che
santo
votarsi
:
sbalordito
,
teme
le
ire
del
padre
suo
,
della
madre
di
lei
,
teme
le
chiacchiere
di
amici
e
conoscenti
,
ma
al
tempo
stesso
,
sotto
sotto
,
si
compiace
della
sua
grossa
avventura
.
Donna
M
.
,
e
cioè
Maria
Hardouin
duchessina
di
Galles
,
era
incinta
.
La
nobiltà
romana
,
da
lei
impersonata
,
gli
aveva
ceduto
a
tal
punto
.
Una
nobiltà
di
mezza
tacca
,
certo
:
il
padre
di
lei
,
Jules
Hardouin
,
era
sottufficiale
degli
ussari
.
Accantonato
col
suo
plotone
al
pian
terreno
di
palazzo
Altemps
,
aveva
sedotto
la
vedova
del
duca
di
Gallese
,
l
'
aveva
sposata
e
papa
Pio
IX
gli
concesse
allora
la
nomina
a
sottotenente
.
Non
solo
:
la
duchessa
sedotta
e
impalmata
ottenne
dal
pontefice
anche
il
passaggio
del
titolo
nobiliare
al
suo
aitante
ex
sergentone
.
E
ora
quel
titolo
,
grazie
a
una
seconda
seduzione
,
veniva
a
ornare
la
nomea
del
giovanissimo
Gabriele
.
Quel
bel
ragazzino
biondo
,
ricciuto
,
piccoletto
,
capellutissimo
,
dagli
occhi
azzurri
,
era
evidentemente
destinato
a
far
carriera
.
Gli
amici
romani
del
Fanfulla
,
della
Cronaca
bizantina
,
e
infine
della
Tribuna
,
ne
erano
anch
'
essi
,
a
modo
loro
,
sedotti
,
e
se
lo
coccolavano
,
se
lo
portavano
dietro
a
mangiar
pane
e
ricotta
,
a
pellegrinare
sull
'
Appia
antica
,
a
recitare
a
gran
voce
un
'
ode
carducciana
.
«
In
lui
era
tanto
spontaneo
il
senso
della
barbarie
e
tanto
curiosamente
commisto
a
una
nativa
gentilezza
di
donna
,
che
lo
avresti
detto
una
di
quelle
querce
educate
al
tempo
del
barocchismo
e
potate
in
guisa
da
dar
sembianza
d
'
una
qualche
cosa
poco
selvatica
.
»
Sono
parole
di
Eduardo
Scarfoglio
,
che
di
lì
a
poco
doveva
scoprire
,
con
appassionata
disillusione
,
quanto
poco
barbara
fosse
la
sua
giovane
amica
quercia
pescarese
.
Gabriele
,
che
sino
ad
allora
girava
con
la
chioma
irsuta
,
senza
cravatta
,
con
indosso
una
stenta
giacchetta
,
si
trasformò
rapidamente
in
un
damerino
,
accolto
in
tutti
i
salotti
e
in
non
poche
alcove
.
La
prova
eccola
lì
,
donna
Maria
incinta
,
il
matrimonio
irrevocabile
,
i
parenti
di
lei
sdegnati
ma
pur
sempre
costretti
ad
accettare
gli
sponsali
,
e
a
trovare
per
Gabriele
un
posto
degno
e
sicuro
:
cinquecento
lire
alla
Tribuna
,
per
redigere
la
cronaca
mondana
.
Ora
Gabriele
lanciava
una
firma
che
avrà
fortuna
,
Duca
Minimo
,
prendeva
lezioni
di
cavallo
e
di
scherma
,
che
gli
saranno
assai
utili
in
un
paio
di
duelli
,
cominciava
a
far
debiti
,
entrava
nel
suo
turbinoso
giro
di
avventure
galanti
.
«
La
giovinezza
mia
barbara
e
forte
in
braccio
de
le
femmine
si
uccide
»
.
Olga
Ossani
era
una
cronista
mondana
,
e
si
firmava
Febea
:
più
anziana
di
Gabriele
,
precocemente
canuta
,
spregiudicata
,
avviò
lei
questo
amorazzo
redazionale
,
e
guidava
il
suo
giovane
amico
,
padre
da
poche
settimane
,
nell
'
«
alta
selva
»
di
Villa
Medici
,
e
gli
insegnava
certi
suoi
strani
riti
paleocristiani
.
Nel
Piacere
la
Ossani
si
chiamerà
Elena
Muti
,
e
il
suo
amore
con
Gabriele
durerà
esattamente
quanto
l
'
amore
di
Elena
per
Andrea
Sperelli
.
Ma
il
libro
fu
dedicato
alla
moglie
:
è
già
cominciata
una
specie
di
staffetta
,
per
cui
sul
frontespizio
del
libro
figura
il
nome
della
donna
abbandonata
,
mentre
il
nuovo
amore
ne
costituisce
la
materia
.
Eduardo
Scarfoglio
è
ormai
un
ex
amico
e
diventa
critico
mordace
:
«
Risaotto
al
pomidauro
»
,
scrive
sul
Corriere
di
Roma
,
all
'
uscita
dell
'
Isaotta
Guttadauro
,
e
i
due
scendono
sul
terreno
,
spada
alla
mano
.
Proprio
Scarfoglio
gli
aveva
fatto
da
padrino
nel
primo
duello
,
con
un
certo
Magnico
:
ferito
di
fendente
alla
testa
,
il
medico
lo
curò
con
una
soluzione
di
cloruro
di
ferro
,
che
bastò
a
fermare
il
sangue
,
ma
anche
gli
bruciò
il
bulbo
dei
capelli
,
avviando
già
da
allora
la
rapida
calvizie
del
poeta
.
Il
nuovo
amico
adesso
è
Adolfo
De
Bosis
,
che
organizza
una
crociera
argonautica
.
Sopra
un
panfilo
a
vela
,
la
«
Lady
Giare
»
,
innalzando
la
bandiera
di
Shelley
,
bianca
e
azzurra
con
tre
conchiglie
,
salparono
da
Ortona
,
decisi
a
far
cabotaggio
lungo
la
adriatica
,
fino
a
Venezia
,
a
Trieste
,
a
Fiume
,
e
poi
giù
giù
verso
Spalato
,
Zara
e
Gattaro
(
luoghi
che
entrano
adesso
nella
poetica
dannunziana
)
.
Portavano
con
sé
tappeti
persiani
e
vasellame
d
'
argento
,
e
a
ogni
porto
scendevano
a
terra
per
prepararsi
il
tè
.
«
Mo
arriveno
li
ggiochi
»
,
dicevano
i
pescatori
abruzzesi
e
marchigiani
al
veder
stendere
quei
tappeti
,
convinti
che
fosse
una
compagnia
di
saltimbanchi
.
Avevano
scelto
la
ciurma
con
un
criterio
estetico
,
e
cioè
s
'
erano
presi
due
marinai
dal
nome
sonante
.
Ippolito
Santillozzo
e
Valente
Veniero
.
Purtroppo
l
'
uno
non
aveva
mai
navigato
a
vela
,
l
'
altro
era
un
mezzo
deficiente
,
e
fu
così
che
la
«
Lady
Giare
»
dopo
Rimini
perse
la
rotta
,
e
il
vento
la
portava
al
largo
.
Li
salvò
,
per
loro
buona
sorte
,
una
nave
da
guerra
che
incrociava
da
quelle
parti
,
e
li
rimorchiò
a
Venezia
.
Gabriele
ebbe
lì
la
notizia
della
nascita
del
terzo
figlio
(
che
battezzò
Veniero
)
,
ma
non
si
mosse
.
Aveva
mandato
via
anche
Barbara
Leoni
e
adesso
pensava
solo
a
discutere
di
problemi
navali
con
certi
ufficiali
della
«
Barbarigo
»
.
Degli
amori
con
Barbara
Leoni
dava
un
resoconto
quasi
cronistico
nel
Trionfo
della
Morte
che
uscì
nel
1887
,
quando
già
era
cominciata
una
storia
d
'
amore
nuova
,
con
la
nobildonna
napoletana
Maria
Gravina
Cruyllas
.
A
lei
è
dedicato
L
'
innocente
,
che
pure
ha
per
protagonista
,
ancora
,
Barbara
,
anzi
contiene
,
ricopiati
pari
pari
,
interi
brani
di
lettere
a
lei
.
A
questo
punto
tu
cominci
a
pensare
che
a
Gabriele
importasse
più
la
letteratura
che
le
donne
.
«
Se
veramente
pel
mio
letto
passassero
tutte
le
donne
che
don
Giovanni
sognava
»
,
scriveva
a
Barbara
addolorata
e
offesa
,
«
tu
dovresti
esserne
quasi
lieta
alla
fine
:
perché
tutte
certamente
,
certamente
,
mi
lascerebbero
il
rimpianto
e
il
desiderio
furioso
di
te
»
.
Certi
biografi
affermano
che
la
Barbara
Leoni
fu
il
più
grande
amore
del
poeta
.
Altri
danno
il
primo
posto
alla
Eleonora
Duse
.
Ma
chi
segua
questa
catena
di
storie
che
si
accavallano
e
si
confondono
e
sfumano
l
'
una
nell
'
altra
senza
visibili
differenze
,
è
indotto
a
concludere
che
grandi
amori
nella
vita
di
D
'
Annunzio
non
ce
ne
furono
,
e
che
egli
anzi
soffrì
d
'
una
innata
incapacità
di
affetti
profondi
.
E
che
non
ebbe
neanche
una
profonda
sensualità
.
Infatti
una
sensualità
autentica
presuppone
sempre
una
radice
interiore
di
impegno
morale
,
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
.
Nei
rapporti
con
le
donne
,
e
così
con
gli
animali
e
con
gli
oggetti
,
D
'
Annunzio
portò
una
sensibilità
acuta
,
anche
esasperata
,
ma
sempre
epidermica
.
Vagheggiò
il
piacere
come
esperienza
tattile
,
olfattiva
,
visiva
,
non
di
più
.
Fu
tutto
pelle
,
tutto
vellicamento
,
e
portò
al
parossismo
quest
'
arte
.
Ha
scritto
il
Croce
che
egli
fu
«
dilettante
di
sensazioni
»
.
Non
sta
a
noi
dire
qui
se
è
veramente
così
.
Ecco
come
racconta
il
ritorno
da
una
cavalcata
peri
poggi
intorno
a
Settignano
:
«
Balzavamo
di
sella
,
su
lo
spiazzo
,
palpando
il
collo
della
bestia
generosa
col
guanto
inzuppato
.
I
garzoni
accorrevano
...
Il
palafreniere
curvo
su
la
lettiera
asciutta
,
con
una
manciata
di
paglia
per
ogni
mano
,
e
quello
che
tuffava
la
spugna
nella
secchia
tenendo
la
coda
o
il
piede
,
ognuno
accompagnava
la
bisogna
con
un
certo
soffiare
ch
'
era
come
un
suono
lieve
di
persuasione
e
di
blandimento
...
Di
posta
in
posta
,
palpavo
con
la
mano
senza
guanto
la
spalla
le
reni
l
'
anca
per
sentirle
asciutte
;
e
più
d
'
una
volta
eccitavo
lo
zelo
con
l
'
esempio
,
in
gara
di
prontezza
,
ché
tu
sai
quanto
mi
piaccia
fra
i
destri
essere
più
destro
»
.
Come
si
vede
,
il
lavoro
degli
uomini
è
guardato
solo
in
quanto
occasione
che
mette
in
rilievo
un
bel
gesto
,
un
bel
contrasto
visivo
o
sonoro
,
e
gli
animali
si
riducono
a
sensazione
tattile
,
assaporata
sottilmente
(
prima
col
guanto
e
poi
senza
)
.
Anche
il
figlio
neonato
,
la
prima
volta
che
lo
vede
,
gli
suscita
sensazioni
di
questo
tipo
:
«
È
una
cosa
molle
,
rosea
,
calda
,
palpitante
,
che
a
volte
si
muove
tutta
e
ha
degli
annaspamenti
di
ragno
,
delle
grazie
di
scimmia
giovane
,
degli
accenti
talora
bestiali
,
talora
sovrumani
»
.
E
quando
una
sua
nuova
amante
,
la
Alessandra
di
Rudinì
,
la
«
Nike
»
ammalata
,
dovette
subire
tre
operazioni
,
lui
volle
essere
presente
,
e
così
racconta
:
«
Non
so
quale
ebrezza
di
volontà
m
'
infiammi
e
moltiplichi
le
mie
forze
...
Per
la
terza
volta
ho
tenuto
nelle
mie
mani
le
mani
della
vittima
mentre
la
sua
anima
si
profondava
nel
buio
,
sotto
la
maschera
del
cloroformio
;
e
m
'
è
parso
di
assistere
a
tre
agonie
e
ho
udito
salire
da
ciascuna
parole
inaudite
,
parole
che
non
possono
essere
dette
se
non
alla
soglia
della
morte
...
»
.
Anche
un
corpo
sofferente
e
dilaniato
diventava
ragione
di
godimento
epidermico
.
Era
veramente
un
dilettante
di
sensazioni
,
che
nulla
si
negava
pur
di
accrescere
questo
suo
estetico
diletto
.
La
casa
della
Capponcina
,
con
ventun
servitori
,
otto
cavalli
e
trentanove
cani
,
stracolma
di
oggetti
,
di
mobili
antichi
,
di
stalli
da
oratorio
,
di
cuscini
,
di
tappeti
,
turiboli
,
ferri
battuti
,
damaschi
(
una
prefigurazione
del
Vittoriale
)
,
sta
a
provare
quel
furibondo
bisogno
del
superfluo
,
necessario
a
lui
quanto
l
'
aria
che
respirava
.
Già
allora
correvano
sul
suo
conto
le
voci
più
strane
,
e
lui
non
faceva
nulla
per
smentirle
,
anzi
non
di
rado
le
metteva
in
circolazione
,
un
po
'
per
burla
,
un
po
'
sul
serio
.
Ad
ognuna
delle
sue
numerose
cadute
da
cavallo
,
qualche
giornale
stampava
che
D
'
Annunzio
era
morto
.
Alla
villa
di
Settignano
,
diceva
la
gente
,
D
'
Annunzio
beve
filtri
d
'
amore
nel
cranio
d
'
una
vergine
.
E
indossa
pantofole
di
pelle
umana
.
E
sostiene
il
suo
declinante
vigore
mangiando
carne
di
neonato
.
Cavalca
nudo
sulla
spiaggia
di
Bocca
d
'
Arno
,
in
compagnia
di
una
Diana
caucasica
,
matta
della
più
nera
mattezza
slava
.
La
slava
matta
,
un
amore
brevissimo
,
era
Natalia
Golubev
,
alta
,
bionda
,
formosa
.
E
se
,
come
abbiamo
visto
,
tornando
da
una
cavalcata
sostava
ad
ammirare
il
bel
gesto
d
'
un
palafreniere
,
finita
la
suggestione
estetizzante
,
il
prossimo
gli
diventava
all
'
improvviso
odioso
,
meschino
,
vile
e
repellente
.
Un
giorno
in
pretura
per
una
causa
da
lui
stesso
promossa
,
lo
ricorda
così
:
«
Cara
contessa
,
sono
rimasto
fino
a
mezzogiorno
e
mezzo
nell
'
orrendo
fetore
del
prossimo
.
E
debbo
tornare
in
pretura
alle
tre
!
Mi
compianga
»
.
Era
la
causa
contro
un
contadino
di
Settignano
,
certo
Volpi
;
colpevole
di
aver
ucciso
con
un
colpo
di
vanga
un
cane
del
D
'
Annunzio
,
che
faceva
strage
di
galline
nei
pollai
dei
dintorni
.
Il
poeta
ne
parla
con
accenti
quasi
ebbri
:
«
Io
sono
stato
accolto
con
pazza
gioia
dai
miei
cani
innumerevoli
,
che
sono
il
terrore
del
vicinato
.
Nella
mia
assenza
hanno
trucidato
una
cinquantina
fra
polli
e
anatre
!
Ieri
li
ho
condotti
a
gran
galoppo
su
per
la
spiaggia
,
tra
le
grida
dei
bagnanti
e
dei
pescatori
»
.
Per
i
danni
ai
pollai
offriva
,
magnanimo
,
cinque
lire
in
cambio
d
'
ogni
capo
azzannato
.
Ora
,
si
è
parlato
di
bontà
del
D
'
Annunzio
verso
gli
umili
:
qualche
suo
vecchio
servitore
che
ho
conosciuto
al
Vittoriale
mi
ha
detto
dei
suoi
modi
cortesi
e
signorili
,
della
sua
generosità
.
È
vero
:
è
anche
vero
che
D
'
Annunzio
ebbe
a
volte
certe
impennate
da
populista
.
Ma
amore
per
gli
umili
non
ne
ebbe
mai
,
e
la
sostanza
della
sua
generosità
la
ritroviamo
in
un
ricordo
di
lui
ragazzo
al
Cicognini
,
quando
ebbe
il
permesso
dal
rettore
di
recarsi
in
libera
uscita
a
Firenze
e
ne
profittò
per
visitare
un
bordello
.
Ci
andò
in
carrozza
e
scese
all
'
imbocco
di
via
dell
'
Amorino
.
«
Balzai
giù
dal
legno
;
accomiatai
il
cocchiere
;
gli
fui
prodigo
.
Già
incominciavo
a
esercitare
la
prodigalità
come
un
mezzo
di
allontanamento
,
come
un
modo
di
recidere
i
vincoli
e
di
confermare
le
distanze
.
»
Così
il
danaro
che
dava
.
Quello
che
ricevette
gli
parve
,
sempre
,
un
debito
del
mondo
intero
verso
di
lui
.
Per
esempio
,
sappiamo
tutti
quanto
siano
sempre
stati
,
e
sempre
siano
,
vaghi
e
precari
i
rapporti
fra
editore
e
scrittore
.
Raramente
rimangono
sul
puro
piano
commerciale
(
io
scrivo
,
tu
stampi
,
questo
il
contratto
,
tanto
la
percentuale
,
punto
e
basta
)
.
Tendono
invece
ad
assomigliare
ai
rapporti
fra
società
sportiva
e
centravanti
,
fra
impresario
dell
'
opera
e
primadonna
:
ripicche
,
gelosie
,
scenate
,
sberleffi
,
improvvisi
ritorni
d
'
amore
.
Ma
Gabriele
,
in
questo
,
ha
superato
ogni
esempio
,
anche
futuro
,
anche
ipotetico
.
La
sua
corrispondenza
con
Treves
meriterebbe
un
articolo
apposta
.
Aveva
ventidue
anni
,
era
uno
sconosciuto
,
e
già
gli
scriveva
così
:
«
Per
le
poesie
chiedo
4000
lire
;
concessione
,
per
cinque
anni
.
Questo
a
lei
non
converrà
,
certamente
;
quindi
sarà
inutile
ragionare
»
.
E
il
Treves
,
di
rimando
:
«
Vedo
che
con
lei
i
rapporti
sarebbero
molto
difficili
,
avendo
acquisito
idee
erronee
sul
movimento
letterario
in
Italia
.
Le
rimando
quindi
le
sue
novelle
»
.
Invece
trovarono
il
modo
di
mettersi
d
'
accordo
,
e
le
lettere
si
susseguirono
fitte
fino
all
'
«
esilio
»
in
Francia
.
Inevitabile
che
il
Treves
non
gli
volesse
mai
bene
davvero
,
anche
se
ne
subì
il
fascino
e
la
seduzione
.
D
'
Annunzio
,
se
escludiamo
,
forse
,
Ciccillo
Michetti
,
non
ebbe
mai
un
amico
vero
.
Lamentava
la
litigiosità
altrui
,
ma
era
pronto
a
far
causa
contro
Eduardo
Scarpetta
,
che
gli
andava
parodiando
sulle
scene
La
figlia
di
Jorio
.
Accettava
danaro
dagli
strozzini
,
e
poi
imprecava
quando
gli
strozzini
facevano
il
mestier
loro
,
e
cioè
lo
strozzavano
.
Non
seppe
mai
farsi
una
donna
,
allo
stesso
modo
in
cui
non
seppe
mai
farsi
una
casa
,
e
vagò
invece
da
un
quartiere
all
'
altro
di
Roma
,
e
poi
da
Roma
a
Francavilla
,
a
Napoli
,
a
Venezia
,
a
Settignano
,
a
Bocca
d
'
Arno
,
a
Ostia
,
a
Romena
,
ad
Arcachon
.
Dilettante
anche
come
padrone
di
casa
,
diventava
professionista
solo
al
tavolo
di
lavoro
:
allora
dimenticava
le
donne
,
i
cavalli
,
i
cani
,
i
begli
oggetti
,
gli
amici
,
persino
i
pasti
.
Imponeva
a
se
medesimo
una
disciplina
di
ferro
.
E
sapeva
farsi
pagare
,
sempre
,
da
tutti
,
e
bene
.
Eppure
il
professionista
non
bastò
mai
a
pagare
i
capricci
del
dilettante
.
Nel
1910
la
situazione
era
diventata
insostenibile
,
ed
egli
tentò
le
più
strambe
vie
d
'
uscita
.
Pensò
addirittura
di
impiantare
un
'
industria
profumiera
,
e
di
mettere
in
commercio
un
'
essenza
di
sua
invenzione
,
che
battezzò
«
acqua
nunzia
»
:
cercava
nelle
farmacie
e
dagli
erboristi
ambra
,
belzuino
,
rose
,
gelsomini
,
zagare
.
Fu
un
fallimento
.
Poi
saltò
fuori
un
emigrato
abruzzese
,
diventato
milionario
in
Argentina
,
certo
Giovanni
del
Guzzo
.
Aveva
il
rimedio
:
si
fece
dare
dal
poeta
diciassette
manoscritti
,
un
'
automobile
usata
marca
«
Florentia
»
,
e
la
promessa
di
scrivere
un
'
ode
per
il
centenario
della
indipendenza
argentina
,
e
di
tenere
un
ciclo
di
conferenze
nei
maggiori
teatri
di
quel
Paese
.
In
cambio
assicurava
a
D
'
Annunzio
un
guadagno
di
almeno
300mila
lire
,
che
sarebbe
servito
a
colmare
i
debiti
.
Per
sé
avrebbe
trattenuto
il
venti
per
cento
.
Questo
Del
Guzzo
pensò
anche
di
comperare
la
Capponcina
e
di
trasformarla
in
museo
,
con
biglietto
d
'
ingresso
di
lire
due
.
Il
poeta
parve
acconsentire
,
e
così
firmarono
un
«
patto
d
'
alleanza
»
con
tutte
le
clausole
in
bell
'
italiano
e
in
bella
scrittura
.
Ma
prima
d
'
imbarcarsi
per
l
'
Argentina
il
poeta
dichiarò
che
gli
era
indispensabile
recarsi
a
Parigi
per
farsi
curare
i
denti
da
uno
specialista
.
Arrivò
in
Francia
il
28
marzo
1910
,
e
ci
rimase
cinque
anni
.
Intanto
alla
Capponcina
mettevano
all
'
asta
tutto
,
esclusi
i
muri
:
statue
di
santi
,
stalli
d
'
oratorio
,
coperte
di
damasco
,
un
cavallo
,
torciere
in
ferro
battuto
,
materassi
di
lana
,
orologi
,
uno
iatagan
arabo
,
colonne
di
marmo
,
tele
,
terrecotte
,
libri
antichi
e
calamai
.
L
'
asta
durò
otto
giorni
e
diede
un
ricavato
di
centotrentamila
lire
.
StampaQuotidiana ,
Con
commossa
unanimità
di
accenti
,
da
destra
e
da
sinistra
,
la
stampa
italiana
piange
Pier
Paolo
Pasolini
,
l
'
intellettuale
più
scomodo
che
abbiamo
avuto
in
questi
anni
.
Diventato
,
anzi
,
scomodissimo
.
Non
piaceva
a
nessuno
,
quel
che
negli
ultimi
tempi
andava
scrivendo
.
Non
a
noi
,
la
sinistra
,
perché
battagliava
contro
il
1968
,
le
femministe
,
l
'
aborto
e
la
disobbedienza
.
Non
piaceva
alla
destra
perché
queste
sue
sortite
si
accompagnavano
a
un
'
argomentazione
sconcertante
,
per
la
destra
inutilizzabile
,
sospetta
.
Non
piaceva
soprattutto
agli
intellettuali
;
perché
erano
il
contrario
di
quel
che
in
genere
essi
sono
,
cauti
distillatori
di
parole
e
di
posizioni
,
pacifici
fruitori
della
separazione
fra
"
letteratura
"
e
"
vita
"
,
anche
quelli
cui
il
1968
aveva
dato
cattiva
coscienza
.
Solo
di
essi
,
Sanguineti
ha
avuto
,
ieri
,
il
coraggio
di
scrivere
"
finalmente
ce
lo
siamo
tolto
dai
piedi
,
questo
confusionario
,
residuo
degli
anni
cinquanta
". Gli
anni
cioè
della
lacerazione
,
apocalittici
,
tragici
.
Finalmente
,
per
l
'
intellettuale
di
sinistra
,
superati
.
Questa
pressoché
totale
unanimità
è
certo
la
seconda
pesante
macchina
che
passa
sul
corpo
di
Pasolini
.
Come
della
prima
,
chi
ha
la
coscienza
a
posto
può
dire
:
"
se
l
'
è
cercata
"
.
Per
chi
non
ha
queste
certezze
è
invece
l
'
ultimo
segno
di
contraddizione
,
di
questa
contraddittoria
creatura
:
una
contraddizione
vera
,
non
ricomponibile
in
qualche
artificio
dialettico
.
Giacché
se
una
cosa
è
certa
è
che
questo
improvviso
riconoscersi
tutti
nelle
sue
ragioni
,
ora
che
è
morto
e
in
questo
modo
,
è
davvero
l
'
ultimo
sbeffeggiamento
che
gli
restituisce
questo
nostro
mondo
non
amato
.
Non
è
,
infatti
,
il
tradizionale
omaggio
al
defunto
illustre
,
e
neppure
la
consueta
assoluzione
per
il
defunto
in
vita
detestato
.
Se
tutti
scrivono
sullo
stesso
registro
(
l
'
Unità
,
in
un
corsivo
commosso
,
abbozza
perfino
un
'
autocritica
,
mentre
il
partito
radicale
lo
iscrive
post
mortem
)
è
perché
ognuno
,
dalle
ragioni
di
Pasolini
,
pensa
oggi
di
poter
trarre
il
profitto
suo
.
Non
diceva
che
i
giovani
sono
,
ormai
,
come
una
schiuma
lasciata
da
una
mareggiata
che
ha
distrutto
i
vecchi
valori
?
che
una
collettività
deve
darsi
un
ordine
,
un
sistema
di
convivenza
,
un
modello
?
Su
questo
sono
d
'
accordo
tutti
,
salvo
dare
ciascuno
,
a
questo
ordine
e
a
questa
denuncia
,
il
segno
che
più
gli
conviene
.
Pasolini
,
l
'
intellettuale
più
outsider
della
nostra
società
culturale
,
fornisce
con
la
sua
indecorosa
morte
la
prova
ferrea
che
così
non
si
può
andare
avanti
.
Così
comoda
,
che
tutto
il
resto
è
perdonato
.
Penso
che
su
questo
fervore
e
i
suoi
corollari
,
Pasolini
avrebbe
-
se
è
lecito
immaginare
questo
gesto
in
un
uomo
così
dimessamente
gentile
-
sputato
sopra
.
Che
,
se
ne
fosse
uscito
vivo
,
oggi
sarebbe
dalla
parte
del
diciassettenne
che
lo
ha
ammazzato
di
botte
.
Maledicendole
,
ma
con
lui
.
E
così
fino
all
'
inevitabile
,
forse
prevista
e
temuta
,
altra
occasione
di
morte
.
Ma
con
lui
perché
era
il
mondo
,
queste
le
creature
della
sua
vita
più
vera
(
"
io
li
conosco
questi
giovani
,
davvero
,
sono
parte
di
me
,
della
mia
vita
diretta
,
privata
"
)
in
cui
cercava
,
ostinatamente
,
una
luce
.
In
loro
,
non
nel
mondo
d
'
ordine
,
che
non
sono
solo
i
commissariati
di
polizia
.
Qui
tornava
perché
nella
sua
visione
del
mondo
altre
strade
non
c
'
erano
.
La
sua
denuncia
dello
"
sviluppo
"
,
dei
valori
del
consumismo
,
del
profitto
,
dell
'
appiattimento
da
essi
indotto
in
una
società
preindustriale
dove
ancora
potevano
prevalere
i
rapporti
personali
,
non
alienati
,
non
passivamente
accolti
era
-
come
in
genere
è
in
questo
filone
,
che
ha
esponenti
illustri
,
cattolici
e
laici
-
unidimensionale
come
la
società
che
criticava
;
era
vissuta
come
fine
della
storia
,
imbarbarimento
,
di
fronte
al
quale
soltanto
cercar
di
arretrare
.
Arretrare
,
finché
un
rifiuto
opposto
a
questo
tipo
di
"
sviluppo
"
-
e
chi
può
opporvisi
se
non
il
margine
,
o
un
terzo
mondo
non
ancora
arrivato
a
questa
soglia
?
-
non
avrebbe
offerto
un
'
ancora
di
salvezza
.
Altrove
,
salvezze
non
vedeva
,
per
questo
Pasolini
tornava
,
ostinatamente
,
in
borgata
e
più
gli
sfuggiva
,
più
vi
tornava
tormentosamente
.
Tanto
più
che
in
tutti
i
sensi
doveva
presentarglisi
come
una
frustrazione
,
una
contraddizione
.
Cercava
un
rapporto
autentico
,
e
non
tesseva
,
invece
,
un
rapporto
mercificato
?
cercava
un
rapporto
libero
e
non
ripeteva
lui
stesso
-
l
'
intellettuale
ricco
che
arriva
con
l
'
Alfa
e
paga
il
ragazzo
davanti
a
lui
,
socialmente
e
personalmente
tanto
più
fragile
-
un
rapporto
fra
oppressore
e
oppresso
?
né
l
'
umiliazione
che
ne
doveva
ricevere
in
cambio
(
quante
prove
,
meno
tragicamente
finite
,
di
questa
sua
morte
deve
aver
vissuto
;
l
'
irrisione
del
compagno
occasionale
,
il
rifiuto
,
la
resistenza
di
chi
si
fa
usare
ma
si
sente
usato
,
e
quindi
si
ribella
)
poteva
assolverlo
dal
fatto
che
entrava
egli
stesso
in
questo
meccanismo
alienante
.
Nel
quale
l
'
interlocutore
diventava
sempre
più
sfuggente
,
più
"
oggetto
"
.
Diverso
da
un
tempo
,
quando
il
ragazzo
veniva
con
lui
ma
mantenendo
una
sua
figura
,
una
sua
dimensione
non
integrata
,
non
asservibile
,
come
il
Tommaso
di
Una
vita
violenta
.
Oggi
non
era
più
così
:
il
ragazzo
che
lo
ha
ucciso
ha
poco
in
comune
col
borgataro
d
'
un
tempo
.
Dovrebbe
esser
rilasciato
domani
,
ai
sensi
dei
valori
che
reggono
questa
società
(
oltre
che
di
un
'
umanità
elementare
)
perché
non
è
da
dubitare
della
testimonianza
della
sua
borgata
,
e
cioè
che
non
aveva
gran
voglia
di
lavorare
-
e
chi
ce
l
'
ha
-
ma
era
pronto
e
prossimo
a
rientrare
nell
'
ordine
della
famiglia
,
solo
provvisoriamente
e
venalmente
violato
.
Nulla
,
in
questa
storia
,
è
davvero
uguale
a
quel
che
sembra
.
Non
il
ricco
vizioso
che
cerca
amori
nascosti
fra
gli
emarginati
,
giacché
nessuno
come
Pasolini
viveva
più
semplicemente
la
sua
inclinazione
omosessuale
e
avrebbe
potuto
soddisfarla
,
in
una
società
ormai
più
permissiva
,
senza
rischi
di
sorta
.
Non
il
giovane
vizioso
,
che
non
c
'
è
:
né
come
vizioso
,
né
come
delinquente
,
e
neppure
come
volontariamente
deviante
,
ribelle
alla
norma
.
Morte
accidentale
nell
'
inseguimento
di
un
fantasma
,
si
potrebbe
dire
.
Con
soddisfazione
per
i
più
,
con
amarezza
per
chi
di
Pasolini
aveva
stima
e
rispetto
.
E
funerali
,
adesso
,
con
assunzione
in
gloria
da
parte
di
chi
,
quel
fantasma
,
ha
prima
costruito
e
poi
esorcizzato
.
Se
Pasolini
è
oggi
così
lodato
,
se
probabilmente
in
buona
fede
tanti
si
riconoscono
in
metà
del
discorso
che
lui
faceva
,
è
perché
l
'
altra
metà
per
lui
essenziale
,
quella
in
cui
riponeva
la
sua
speranza
,
non
aveva
fondamento
.
Quante
discussioni
,
le
poche
volte
che
lo
incontravo
,
e
sempre
le
stesse
;
le
stesse
che
ripeteva
puntualmente
con
Moravia
.
È
vero
che
il
capitale
ci
ha
disumanizzato
.
È
vero
.
È
vero
che
la
conformizzazione
al
suo
modello
è
mostruosa
.
È
vero
che
essa
è
così
potente
,
da
riflettersi
persino
in
chi
la
nega
;
nel
1968
,
quando
scrisse
la
famosa
poesia
sugli
scontri
di
Valle
Giulia
,
Pasolini
vedeva
nello
studente
il
prodotto
d
'
un
ceto
che
può
perfino
"
provare
"
la
rivoluzione
,
cosa
che
al
poliziotto
,
figlio
di
bracciante
meridionale
,
non
è
permessa
;
e
coglieva
una
parte
di
verità
.
È
vero
che
oggi
,
e
non
ieri
,
si
può
parlare
di
aborto
,
e
non
solo
perché
è
maturato
il
movimento
femminista
,
ma
la
società
maschile
pensa
a
"
economizzarsi
"
.
È
vero
che
scuola
dell
'
obbligo
e
Tv
sono
organismi
del
consenso
.
È
vero
che
il
fascista
non
è
così
diverso
dal
democratico
,
nei
suoi
modelli
culturali
,
come
era
nel
1922
.
Vero
tutto
,
e
tutto
parziale
:
perché
ogni
volta
che
Pasolini
toccava
con
mano
queste
scomode
verità
,
l
'
ambiguità
del
presente
,
faceva
seguire
un
salto
indietro
,
verso
l
'
umanità
non
ambigua
di
"
prima
"
,
invece
che
cogliere
nello
studente
,
nel
femminismo
,
nella
scolarizzazione
,
nella
stessa
conformizzazione
,
il
principio
d
'
una
sicuramente
spuria
,
ma
vitale
via
d
'
uscita
in
avanti
.
L
'
idea
che
questo
itinerario
si
dovesse
compiere
fino
in
fondo
e
di
qui
ritrovare
il
filo
d
'
un
mondo
restituito
all
'
umanità
,
era
in
lui
sempre
più
lontana
.
Avrebbe
potuto
essere
uno
scettico
,
diventava
,
in
senso
classico
,
un
"
reazionario
"
.
E
questo
oggi
viene
sfruttato
,
questa
è
la
seconda
macchina
che
passa
sul
suo
corpo
.
Giacché
del
valore
dirompente
,
violento
,
di
questa
sua
"
reazione
"
nulla
resta
,
nella
elegia
delle
prime
,
seconde
e
terze
pagine
che
gli
sono
dedicate
.
Avrà
un
funerale
borghese
,
e
fra
qualche
tempo
il
comune
di
Roma
gli
dedicherà
una
strada
.
Lo
ammazzeranno
meglio
,
i
suoi
veri
nemici
,
che
non
il
ragazzo
dell
'
altra
sera
.
Nel
quale
,
prima
di
perire
,
deve
aver
visto
soltanto
la
via
senza
uscite
in
cui
s
'
era
cacciato
,
la
dimensione
del
suo
errore
.
E
pensare
che
cercava
l
'
angelo
della
passione
secondo
Matteo
.
StampaQuotidiana ,
Sembrerà
un
paradosso
,
ma
se
confrontiamo
il
nostro
dopoguerra
con
quello
dei
nostri
padri
,
dobbiamo
concludere
che
la
loro
condizione
fu
assai
più
difficile
.
Dopo
la
sconfitta
,
noi
ci
trovammo
vaccinati
a
vita
contro
il
fascismo
,
e
uniti
almeno
in
questo
:
nella
volontà
di
ricostruire
il
Paese
(
poi
,
naturalmente
,
cominciavano
le
divisioni
,
sul
modo
di
ricostruire
)
.
I
nostri
padri
,
vincitori
,
assistevano
inconsapevoli
alla
fine
del
Risorgimento
,
e
furono
divisi
su
tutto
,
persino
sul
significato
da
attribuire
alla
sanguinosissima
vittoria
.
Cominciava
l
'
inflazione
;
l
'
industria
era
in
crisi
,
stentando
a
convertirsi
alla
produzione
di
pace
;
i
milioni
di
smobilitati
aspettavano
inquieti
un
lavoro
;
i
contadini
s
'
agitavano
per
la
mancata
promessa
della
terra
;
gli
operai
stavano
a
guardare
,
trepidi
,
gli
sviluppi
della
Rivoluzione
d
'
ottobre
;
una
classe
dirigente
invecchiata
e
stanca
non
riusciva
a
far
fronte
ai
problemi
,
antichi
e
nuovi
;
si
riaccendeva
la
polemica
fra
interventisti
e
neutralisti
,
e
i
secondi
,
strano
a
dirsi
,
ci
mettevano
uno
zelo
stizzoso
che
purtroppo
era
loro
mancato
quando
la
guerra
scoppiò
.
I
nostri
plenipotenziari
alla
Conferenza
di
Parigi
sostenevano
la
causa
italiana
in
maniera
assurda
,
appellandosi
ora
al
rispetto
dei
trattati
,
ora
al
principio
della
nazionalità
,
ora
al
«
sacro
egoismo
»
delle
frontiere
(
per
ragioni
di
difesa
,
naturalmente
)
.
Trovavano
in
Lord
Balfour
un
amico
,
ma
che
non
bastava
a
vincere
l
'
astratto
rigore
dell
'
uomo
nuovo
,
Wilson
.
Per
loro
disgrazia
,
dovevano
prestare
orecchio
a
troppe
voci
:
le
minoranze
italiane
si
agitavano
a
Spalato
e
a
Fiume
;
i
generali
della
Terza
Armata
parlavano
di
colpi
di
mano
in
Dalmazia
,
e
addirittura
di
costituire
una
Repubblica
delle
Tre
Venezie
,
col
duca
d
'
Aosta
presidente
.
D
'
Annunzio
in
Campidoglio
sventolava
la
bandiera
di
Giovanni
Randaccio
,
agitava
la
spada
di
Nino
Bixio
.
Nitti
gli
vietava
i
comizi
,
ma
lui
poteva
sempre
stampare
e
diffondere
il
suo
discorso
:
«
Se
seguissi
il
mio
istinto
,
io
stasera
,
con
le
latte
di
benzina
che
avanzarono
alla
beffa
di
Buccari
,
andrei
a
bruciare
il
Palazzo
Braschi
,
infischiandomi
della
bella
scalinata
di
Pio
vi
»
.
Alle
trame
dei
politici
contrapponeva
l
'
azione
diretta
,
eroica
(
«
ardisco
,
non
ordisco
»
era
il
suo
motto
di
quei
giorni
)
;
progettava
un
grande
raid
aviatorio
,
da
Roma
a
Tokio
,
inveiva
contro
la
nuova
nazione
jugoslava
(
«
gli
schiavi
del
sud
»
)
,
tendeva
l
'
orecchio
alle
voci
che
gli
giungevano
dal
mare
amarissimo
,
da
Zara
,
da
Spalato
,
soprattutto
da
Fiume
.
Per
la
verità
,
quella
città
non
figurava
fra
le
promesse
del
Patto
di
Londra
,
un
accordo
superato
dal
nuovo
principio
wilsoniano
,
il
diritto
delle
nazioni
a
decidere
la
propria
sorte
.
Però
Fiume
aveva
più
volte
,
durante
e
dopo
la
guerra
,
manifestato
la
volontà
di
annettersi
all
'
Italia
.
Per
adesso
la
occupava
un
corpo
interalleato
,
e
viveva
giorni
di
grande
irrequietezza
.
Uno
scontro
,
con
morti
fra
fiumani
,
soldati
italiani
e
truppe
francesi
di
colore
,
provocò
un
'
inchiesta
,
che
decise
l
'
allontanamento
sia
degli
italiani
che
dei
francesi
.
Fu
allora
che
sette
giovani
ufficiali
dei
granatieri
giurarono
di
ritornare
,
e
offersero
il
giuramento
a
D
'
Annunzio
,
che
era
tornato
alla
«
casetta
rossa
»
sul
Canal
Grande
.
AI
poeta
,
che
aveva
la
febbre
,
piacque
tuttavia
quel
numero
fatidico
,
sette
,
e
scelse
per
l
'
azione
una
data
a
lui
propizia
,
l
'
undici
.
«11
dado
è
tratto
»
,
scrisse
allora
a
Mussolini
.
«
Parto
ora
.
Domattina
prenderò
Fiume
con
le
armi
.
Il
Dio
d
'
Italia
ci
assista
.
Mi
levo
dal
letto
febbricitante
.
Ma
non
è
possibile
differire
.
»
Fu
così
che
partirono
da
Ronchi
trecento
granatieri
del
maggiore
Reina
,
con
quaranta
autocarri
e
sette
autoblindo
,
prelevate
di
forza
dal
deposito
di
Palmanova
.
Al
confine
provvisorio
il
generale
Pittaluga
non
osò
sparare
contro
la
medaglia
d
'
oro
che
il
poeta
gli
offriva
come
bersaglio
(
in
realtà
era
già
d
'
accordo
)
e
gli
autocarri
passarono
.
Quei
trecento
uomini
crebbero
rapidamente
di
numero
:
erano
già
pronti
gruppi
di
volontari
(
il
più
grosso
era
la
legione
fiumana
di
Host
Venturi
)
,
e
vari
reparti
,
di
fanteria
,
di
bersaglieri
,
artiglieri
e
marinai
,
disertarono
per
unirsi
all
'
impresa
e
raggiungere
Fiume
.
In
breve
tempo
D
'
Annunzio
ebbe
ai
suoi
ordini
l
'
equivalente
di
sei
o
sette
battaglioni
,
circa
duemilacinquecento
uomini
.
Entrarono
tutti
in
Fiume
senza
sparare
un
colpo
;
le
truppe
d
'
occupazione
furono
consegnate
nelle
caserme
,
e
le
bandiere
ammainate
(
con
l
'
onore
delle
armi
)
lasciando
a
svettare
solo
quella
italiana
.
La
risposta
del
governo
fu
pronta
e
decisa
,
ma
soltanto
nelle
intenzioni
di
Nitti
.
Badoglio
,
nominato
commissario
straordinario
per
le
Venezie
,
cominciò
subito
una
sua
politica
personale
piuttosto
ambigua
.
Il
cordone
steso
attorno
alla
città
non
sempre
resse
,
nell
'
uno
e
nell
'
altro
verso
.
I
legionari
fiumani
a
più
riprese
lo
ruppero
,
in
improvvisi
e
fruttuosi
colpi
di
mano
sui
depositi
e
sui
parcheggi
dell
'
esercito
regio
.
Una
volta
giunsero
addirittura
a
sequestrare
un
generale
.
All
'
inverso
,
poterono
entrare
a
Fiume
rifornimenti
,
armi
,
nuovi
gruppi
di
volontari
e
di
disertori
,
e
via
via
,
in
successione
sempre
più
rapida
,
uomini
politici
delle
più
varie
tendenze
,
emissari
del
governo
,
messi
personali
di
Badoglio
,
grosse
personalità
della
cultura
,
pestatori
assortiti
.
Il
Comandante
(
ormai
lo
chiamavano
tutti
così
)
,
otteneva
dal
Consiglio
Nazionale
Fiumano
i
pieni
poteri
,
s
'
installava
a
palazzo
,
attorniato
da
gente
la
più
diversa
.
Bisogna
chiarirlo
subito
:
il
fascismo
,
più
tardi
,
con
non
comune
abilità
,
si
«
annesse
»
l
'
impresa
fiumana
,
ma
la
verità
è
che
a
Fiume
i
fascisti
(
anzi
i
«
mussoliniani
»
)
furono
in
minoranza
.
Nei
sedici
mesi
dell
'
occupazione
dannunziana
,
a
Fiume
troviamo
nazionalisti
come
Giuriati
e
Rocco
,
repubblicani
come
Marinetti
e
Ferruccio
Vecchi
,
sindacalisti
rivoluzionari
come
Alceste
De
Ambris
,
anarchici
come
Errico
Malatesta
,
letterati
puri
come
Giovanni
Comisso
e
Henry
Furst
,
matti
di
genio
come
Guido
Keller
.
Ci
troviamo
,
naturalmente
,
una
discreta
manica
di
avventurieri
,
di
disoccupati
,
di
poveri
diavoli
.
Fra
gli
ufficiali
superiori
,
ce
n
'
era
uno
che
si
dichiarava
figlio
naturale
del
re
Umberto
I
;
ad
ogni
nuovo
conoscente
regalava
una
moneta
dicendo
:
«
Prendi
,
è
il
ritratto
di
mio
fratello
»
.
Il
Comandante
lanciava
messaggi
alati
,
teneva
concioni
e
colloqui
con
la
folla
,
guidava
marce
di
armati
coi
moschetti
adorni
di
fiori
di
ciliegio
.
Aveva
un
«
segretario
d
'
azione
»
,
Guido
Keller
,
che
abitava
in
compagnia
di
un
'
aquila
,
regalo
di
certi
alpini
,
come
se
fosse
una
donna
,
anzi
sua
moglie
.
Appollaiata
sulla
spalliera
della
sua
poltrona
,
in
veranda
,
lasciava
che
gli
beccasse
la
lunga
chioma
.
D
'
Annunzio
,
per
scherzo
,
gliela
fece
rapire
,
e
lui
si
ritenne
offeso
a
tal
punto
che
mandò
i
padrini
,
e
poi
,
per
vendetta
,
voleva
rapire
a
sua
volta
la
donna
del
poeta
,
che
a
quel
tempo
era
la
pianista
Baccara
.
A
sera
,
in
compagnia
dei
suoi
amici
Comisso
e
Furst
,
discuteva
i
progetti
più
straordinari
:
fondare
un
movimento
«
yoga
»
,
cioè
un
'
unione
di
spiriti
liberi
tendenti
alla
perfezione
;
creare
una
società
dove
fossero
aboliti
il
danaro
e
le
prigioni
,
e
l
'
amore
fosse
libero
,
le
città
abbellite
,
i
gradi
dell
'
esercito
elettivi
,
e
mai
superiori
al
suo
(
capitano
)
,
il
governo
affidato
a
un
principe
eroico
e
geniale
.
Valorosissimo
pilota
,
pensò
addirittura
di
raggiungere
in
volo
Mosca
,
e
poi
dalla
Russia
spingere
orde
barbariche
sull
'
Europa
,
per
distruggere
la
civiltà
meccanica
e
far
rinascere
la
vita
dello
spirito
.
Sarà
lui
,
il
4
novembre
del
1920
,
a
volare
su
Roma
,
dove
si
stava
inumando
la
salma
del
Milite
Ignoto
,
per
lanciare
su
Montecitorio
un
vaso
da
notte
pieno
di
rape
,
con
questo
messaggio
:
«
Guido
Keller
,
ala
:
azione
nello
splendore
,
dona
al
Parlamento
e
al
governo
che
si
reggono
da
tempo
con
la
menzogna
e
con
la
paura
la
tangibilità
allegorica
del
loro
valore
»
.
Durante
il
volo
di
ritorno
scorse
la
Repubblica
di
San
Marino
,
e
decise
di
atterrarvi
.
Finì
incolume
,
sopra
un
albero
,
e
i
reggenti
lo
accolsero
con
grandi
feste
;
anzi
,
lo
nominarono
ambasciatore
a
vita
di
Fiume
presso
il
loro
antico
staterello
.
Tornato
a
Fiume
,
donò
al
Comandante
un
ornitorinco
impagliato
,
e
col
nome
di
questo
animale
fu
ribattezzata
l
'
osteria
prediletta
.
D
'
Annunzio
era
lì
quasi
tutte
le
sere
,
e
offriva
agli
amici
«
sangue
di
Morlacco
»
,
cioè
bicchierini
di
maraschino
.
A
molti
perciò
quest
'
impresa
di
Fiume
parve
un
glorioso
carnevale
.
Certo
,
purché
si
rammenti
che
in
città
l
'
entusiasmo
era
autentico
,
genialoide
,
festaiolo
.
Un
altro
tratto
,
questo
,
che
distingue
il
fiumanesimo
dal
fascismo
,
che
fu
all
'
opposto
sempre
lugubre
,
ottuso
.
E
c
'
è
di
più
.
Quando
il
blocco
si
fece
più
aspro
,
i
legionari
,
un
po
'
per
bisogno
e
un
po
'
per
spirito
di
avventura
,
si
diedero
alla
pirateria
.
Nacquero
gli
«
uscocchi
»
(
così
si
chiamavano
gli
antichi
corsari
dalmati
che
taglieggiavano
la
navigazione
adriatica
)
;
uscivano
nottetempo
coi
Mas
dalla
rada
di
Fiume
,
abbordavano
le
navi
da
carico
sulla
loro
rotta
,
e
le
costringevano
a
dirigere
su
Fiume
.
A
capo
degli
«
uscocchi
»
D
'
Annunzio
mise
il
«
capitan
magro
»
,
cioè
il
capitano
Mario
Magri
(
morirà
trucidato
dai
tedeschi
alle
Fosse
Ardeatine
)
.
Il
primo
colpo
di
mano
fu
contro
il
piroscafo
«
Persia
»
,
che
faceva
rotta
verso
l
'
Estremo
Oriente
,
portando
-
così
almeno
si
credette
allora
-
rifornimenti
all
'
armata
controrivoluzionaria
del
generale
Kolciak
.
Impossibile
dire
se
fra
gli
scopi
dell
'
impresa
ci
fu
anche
quello
di
aiutare
i
bolscevichi
;
ma
è
certo
che
il
ratto
del
«
Persia
»
fu
voluto
da
Giuseppe
Giulietti
,
capo
della
Federazione
dei
Lavoratori
del
Mare
;
ed
è
altrettanto
certo
che
nel
1921
il
ministro
degli
Esteri
sovietico
Georgi
Cicerin
andò
a
trovare
D
'
Annunzio
a
Gardone
cd
ebbe
con
lui
un
lungo
colloquio
.
Non
sapremo
mai
,
ovviamente
,
quel
che
dissero
.
Dell
'
incontro
resta
solo
qualche
fotografia
.
Su
di
una
D
'
Annunzio
,
imitando
l
'
italiano
del
suo
ospite
fulvo
e
barbuto
,
aveva
scritto
:
«
Tu
criedi
di
friegarmi
»
.
Comunque
sia
,
nell
'
azione
di
D
'
Annunzio
c
'
è
una
componente
populista
di
sinistra
,
che
si
andò
accentuando
col
passare
dei
mesi
.
Fra
le
varie
influenze
che
egli
subì
durante
l
'
occupazione
di
Fiume
,
quelle
di
Alceste
De
Ambris
e
di
Giuseppe
Giulietti
andarono
sempre
di
più
crescendo
,
con
ira
e
dissenso
della
fazione
nazionalista
.
Ai
primi
dell
'
anno
nuovo
il
contrasto
era
acuto
,
fra
nazionalisti
ed
estremisti
.
Un
contrasto
non
di
metodo
,
ma
di
fondo
:
i
primi
vedevano
nell
'
occupazione
di
Fiume
soltanto
un
mezzo
per
forzare
la
mano
al
governo
e
insieme
dargli
buon
gioco
verso
gli
alleati
,
mettendolo
di
fronte
al
fatto
compiuto
.
I
secondi
volevano
la
marcia
su
Roma
,
e
cioè
un
moto
di
liberazione
popolare
che
,
partendo
da
Fiume
e
dalla
Dalmazia
,
accendesse
prima
le
Venezie
e
la
Romagna
,
e
poi
tutta
l
'
Italia
,
già
scossa
da
una
vasta
ondata
di
scioperi
,
per
creare
infine
un
ordine
nuovo
,
repubblicano
.
Ecco
perché
,
motivi
di
concorrenza
e
d
'
invidia
personale
a
parte
,
Mussolini
allora
sconsigliò
a
D
'
Annunzio
la
marcia
su
Roma
.
Così
la
scissione
fu
inevitabile
.
Il
maggiore
Reina
,
fra
i
primi
,
come
abbiamo
visto
,
ad
entrare
in
Fiume
,
tornandosene
fra
le
file
dell
'
esercito
regio
,
rimproverava
al
Comandante
di
avere
come
programma
«
un
colpo
di
Stato
militarista
-
anarchico
»
e
lo
ammoniva
che
questo
programma
«
non
noi
,
ma
i
Malatesta
l
'
avrebbero
compiuto
»
.
Partì
il
maggiore
Reina
,
partì
il
generale
Ceccherini
,
partì
il
capitano
Vadalà
coi
suoi
carabinieri
.
In
città
intanto
era
scoppiata
un
'
epidemia
,
e
i
viveri
tornarono
a
scarseggiare
.
Badoglio
era
stato
promosso
Capo
di
Stato
Maggiore
(
parve
a
molti
che
fosse
un
modo
per
allontanarlo
dalle
Venezie
)
e
al
posto
suo
misero
l
'
intransigente
generale
Caviglia
,
che
aveva
sicuro
il
senso
della
disciplina
e
faceva
rispettare
il
blocco
.
L
'
ammiraglio
Millo
,
che
occupava
Zara
,
a
poco
a
poco
si
staccò
da
D
'
Annunzio
.
Il
Comandante
cominciava
a
sentire
sempre
più
netto
l
'
isolamento
.
«
Fiumani
,
perché
queste
grida
?
perché
questo
furore
?
perché
questa
angoscia
?
-
La
voce
di
Fiume
s
'
è
mutata
.
Non
la
riconosco
più
.
La
voce
di
Fiume
s
'
è
fatta
aspra
come
s
'
è
intorbidita
la
sua
acqua
.
L
'
acqua
di
Fiume
era
limpida
e
salutare
:
ci
rinfrescava
la
gola
e
l
'
anima
.
Un
giorno
scoprimmo
che
s
'
era
infettata
.
»
Né
era
capace
di
impegnarsi
fino
in
fondo
con
l
'
ala
estremista
ormai
dominante
.
Lo
Statuto
della
Reggenza
,
o
Carta
del
Carnaro
,
se
anche
è
dannunziano
nella
forma
,
fu
concepito
soprattutto
da
Alceste
De
Ambris
,
e
suonava
ormai
anacronistico
se
messo
al
confronto
con
le
reali
posizioni
di
forza
a
Fiume
.
Proprio
a
questo
punto
Mussolini
gli
consigliava
la
marcia
su
Roma
.
Perché
?
Voleva
vederlo
naufragare
.
E
quando
1'11
novembre
,
a
Rapallo
gli
alleati
si
accordarono
sul
confine
giuliano
,
su
Zara
all
'
Italia
e
la
Dalmazia
alla
Jugoslavia
,
e
sullo
status
di
città
libera
per
Fiume
,
in
attesa
del
plebiscito
,
Mussolini
approvò
,
diede
ragione
a
Giolitti
,
si
scaricò
di
ogni
responsabilità
fiumana
,
si
preparava
la
strada
del
tacito
appoggio
governativo
,
e
già
intravedeva
la
sua
marcia
su
Roma
.
Per
D
'
Annunzio
era
la
fine
.
Sarebbe
fin
troppo
facile
ironizzare
sull
'
unica
cannonata
dell
'
«
Andrea
Doria
»
che
bastò
a
indurre
il
Comandante
alla
resa
.
In
realtà
D
'
Annunzio
s
'
era
già
arreso
,
vinto
proprio
dal
voltafaccia
dei
nazionalisti
e
di
Mussolini
,
oltre
che
,
beninteso
,
dalla
sua
scarsa
chiarezza
d
'
intenti
politici
.
Ventitré
anni
prima
il
«
deputato
della
bellezza
»
,
eletto
coi
voti
conservatori
nel
collegio
di
Ortona
a
Mare
,
aveva
rotto
coi
suoi
per
andare
«
verso
la
vita
»
,
per
passare
cioè
all
'
estrema
sinistra
.
Non
fu
soltanto
un
gesto
estetizzante
.
Pochi
giorni
dopo
la
clamorosa
scenata
egli
precisava
:
«
E
voi
credete
che
io
sia
socialista
?
Io
sono
sempre
lo
stesso
...
Sono
e
rimango
individualista
ad
oltranza
...
Ma
da
noi
non
c
'
è
più
altra
politica
che
quella
del
distruggere
.
Tutto
ciò
che
attualmente
esiste
è
nulla
:
è
il
marciume
,
la
morte
che
si
oppone
alla
vita
.
Bisogna
dapprima
tutto
distruggere
»
.
E
il
suo
interventismo
,
nel
maggio
del
1915
,
fu
di
questo
tipo
:
mosso
da
un
impulso
di
azione
distruttiva
,
contro
una
dirigenza
politica
che
gli
appariva
marcia
,
cancerosa
.
Come
ben
dice
Nino
Valeri
,
a
Fiume
aveva
nuovamente
«
captato
gli
spazi
e
le
menti
di
una
tendenza
sovvertitrice
»
,
elementi
variatissimi
:
l
'
azione
dei
marittimi
e
di
capitan
Giulietti
,
quella
dei
sindacalisti
,
dei
soreliani
,
degli
anarchici
,
dei
futuristi
,
dei
mussoliniani
.
Mussolini
,
di
lui
infinitamente
più
abile
in
politica
,
fiutò
il
vento
buono
,
smise
d
'
essere
mussoliniano
e
diventò
fascista
.
Tese
la
mano
alla
monarchia
;
col
discorso
del
fascismo
«
tendenzialmente
»
repubblicano
,
diede
il
suo
avallo
all
'
operato
di
Giolitti
,
fece
persino
buon
viso
al
Vaticano
.
In
questo
modo
diventava
l
'
uomo
dei
banchieri
e
dei
bottegai
,
degli
industriali
e
degli
agrari
;
fu
il
salvatore
della
vittoria
mutilata
.
Dell
'
impresa
di
Fiume
prese
gli
spogli
,
il
ciarpame
retorico
,
i
«
me
ne
frego
»
.
Ma
ci
aggiunse
il
manganello
e
l
'
olio
di
ricino
,
che
non
sono
invenzioni
di
D
'
Annunzio
.
Non
pochi
legionari
fiumani
ci
caddero
,
e
nel
'22
furono
convinti
che
quella
marcia
su
Roma
fosse
la
continuazione
dell
'
impresa
di
Fiume
.
Eppure
D
'
Annunzio
aveva
ancora
qualche
carta
in
mano
.
Nell
'
agosto
del
1922
si
andava
preparando
un
incontro
segreto
fra
D
'
Annunzio
,
Mussolini
e
Nitti
(
il
vituperato
«
Cagoia
»
)
in
vista
d
'
un
governo
di
pacificazione
nazionale
.
Ciascuno
dei
tre
andava
disponendo
le
sue
pedine
:
Nitti
intendeva
imbrigliare
il
sovversivismo
degli
altri
due
nell
'
alveo
parlamentare
e
governativo
.
D
'
Annunzio
,
se
da
un
lato
riceveva
a
Gardone
il
socialista
D
'
Aragona
e
il
ministro
sovietico
Cicerin
,
dall
'
altro
preparava
con
una
rappresentanza
dei
combattenti
la
grandiosa
cerimonia
del
4
novembre
.
Mussolini
fece
il
gioco
più
abile
:
trattava
con
Giolitti
e
con
Facta
e
coi
fascisti
rivoluzionari
.
Prometteva
l
'
ordine
ai
primi
e
agli
altri
la
rivoluzione
.
L
'
incontro
era
fissato
per
il
15
.
Nitti
aveva
già
pronta
l
'
auto
e
il
salvacondotto
personale
di
Mussolini
,
contro
una
possibile
imboscata
delle
squadracce
.
Il
giorno
14
D
'
Annunzio
cadeva
da
una
finestra
della
villa
,
a
Gardone
.
Rimase
a
lungo
fra
la
vita
e
la
morte
.
Nessuno
-
men
che
mai
il
poeta
-
ha
mai
spiegato
come
andarono
le
cose
.