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Sebbene fosse aspettata , dopo parecchi giorni di dolorose alternative , ieri la morte di Leone XIII produsse viva impressione ed il giornale uscito qualche ora dopo pervenuto l ' annunzio ufficiale venne avidamente letto da tutti . Iersera , poiché il Municipio non aveva ricevuto comunicazione ufficiale dell ' avvenimento , ebbe luogo il consueto concerto al Foro Umberto I , dove del resto intervenne , come al solito , poca gente . Un gruppo di giovani cattolici verso le 10 si recò alla marina e protestò con una dimostrazione perché non si era sospeso il concerto . Un altro gruppo , di opposto avviso , fece una contro dimostrazione . Intervenne il commissario cav . Damiani che indusse i dimostranti ad allontanarsi ; e così l ' incidente non ebbe più seguito .
IL FANATISMO ( Abbagnano Nicola , 1965 )
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Una parte almeno del compianto unanime che ha accolto la morte di Churchill è certo dovuta a un tratto della sua figura che è il meno frequente nei personaggi storici : Churchill è stato un capo senza essere un fanatico . Churchill non si è mai sentito « l ' uomo della provvidenza » o « del destino » . Le responsabilità che si è assunto nei momenti più critici della storia contemporanea , il peso decisivo delle sue scelte e della sua condotta di uomo politico , il successo che ha coronato la sua opera non gli hanno fatto ritenere d ' essere un uomo privilegiato , investito di una missione nel cui compimento nessuno potesse sostituirlo e di fronte alla quale la comune umanità valesse soltanto come mezzo . La figura di Churchill è , da questo punto di vista , la più ovvia smentita alla credenza che l ' azione efficace , il coraggio e la resistenza alle forze avverse possono essere alimentati e sostenuti soltanto dal senso di una investitura dall ' alto e dalla certezza di essere lo strumento unico e privilegiato di un disegno super - umano . Tuttavia la credenza nel carattere praticamente benefico del fanatismo , nella sua capacità di valere come una leva potente per muovere masse e individui , infiammarli di sacro entusiasmo , renderli insensibili a sacrifici e rinunce , e portarli alla realizzazione di scopi grandiosi ( o ritenuti tali ) , è ancora abbastanza diffusa e si lascia talora intravedere nei discorsi di politici o di capipartito . In un passato recente , la parola aveva perfino perduto , nell ' uso di certi partiti politici , la connotazione negativa che i dizionari solitamente le attribuiscono , per essere esaltata come un merito del seguace zelante e del credente a tutta prova . E per quanto oggi l ' esaltazione esplicita del fanatismo sia difficile a trovarsi o si presenti in forma camuffata ( come quando si è detto : « L ' estremismo nella difesa della libertà non è un vizio ; la moderazione nel conseguimento della giustizia non è una virtù » ) , una certa nostalgia per il fanatismo e un certo rispetto superstizioso ( che è a sua volta fanatico ) verso di esso serpeggiano ancora nei vari campi della cultura e in certi angoli dell ' opinione comune . Ciò accade perché il fanatismo sembra , in primo luogo , una testimonianza resa alla verità , anzi alla Verità unica ed assoluta , di cui il fanatico si ritiene il depositario , l ' interprete e il realizzatore . Questo atteggiamento sembra l ' opposto di quello dello « scettico » o , come anche si dice , del « cinico » che non crede a nulla o non prende nulla sul serio e perciò è incapace di rendere omaggio alla verità ed impegnarsi per essa . In secondo luogo il fanatico non ha bisogno di argomenti o di « ragioni » per credere nella sua verità . Gli argomenti o le ragioni sono spesso deboli o di esito incerto : possono venire controbattuti , bilanciati o distrutti da altre ragioni ; e sotto questo aspetto la convinzione razionale , che è aperta alle critiche e ne tiene conto , appare , come strumento d ' azione , assai più debole e vacillante della persuasione fanatica che condanna chi la possiede all ' entusiasmo perpetuo . In terzo luogo , il fanatismo è per sua natura collettivo e pandemico ; tende a diffondersi da individuo a individuo , a travolgere o a rendere insignificante il dubbio privato , a fondere gli individui nell ' unità di una massa anonima e compatta che può agire come forza d ' urto . Sono , questi , i vantaggi teorici e pratici del fanatismo ; e sarebbero vantaggi importanti , se fossero veri . Sono invece fittizi . La verità , e specialmente la Verità con la V maiuscola , che dovrebbe essere ( se ci fosse ) una forza spirituale che agisce o si manifesta soltanto nei poteri più alti , più difficili e più rari di cui l ' uomo dispone , non ha nulla a che fare con il fanatismo che è più agevolmente suscitato da viete superstizioni e da rozze credenze . Anzi , il fatto dimostra che non c ' è superstizione così grossolana , credenza così infondata , ideale così balordo che non abbia trovato o non trovi i suoi fanatici e che non possa essere assunto come insegna di violenze e persecuzioni contro coloro che non lo condividono . Ciò che il fanatismo chiama « verità » non è che un pretesto per attribuirsi un potere sovrano nei confronti delle credenze e della vita degli altri . Essere fedeli alla verità significa essere disposti a cercarla , a riconoscerla dovunque si presenti , sia in noi che negli altri , anche quando non ci torna comodo , significa adoperare strumenti adatti a questo fine , correggere o rettificare le proprie opinioni e abbandonarle , sia pure con sforzo , quando la verità lo richieda . Questo atteggiamento implica , non già la certezza di un possesso infallibile , ma il dubbio incessante , la critica , uno scetticismo metodico e ( perché no ? ) anche un certo cinismo che fa dire pane al pane e vino al vino e non si lascia incantare dalle parole solenni e dal manto di porpora degli ideali fittizi . Esso consiste nell ' esercizio della ragione e delle sue tecniche , quali si sono venute costituendo nei vari campi del sapere , sul fondamento della loro continua revisione e correzione . Kant giustamente ritenne il fanatismo , sotto questo aspetto , « la trasgressione dei limiti della ragione umana » : cioè il non tener conto dei limiti e delle imperfezioni delle nostre capacità d ' indagine e di accertamento , perciò l ' identificare se stessi con la voce della verità e della giustizia e ritenere che tutto il resto dell ' umanità sia dalla parte dell ' errore e del male . Certamente , per questi stessi limiti , la ragione umana è una debole forza : gli argomenti di cui si avvale , le prove che adduce , le conclusioni che raggiunge , sono continuamente soggette alla revisione e alla critica e possono essere corrette o confutate . Ma proprio da questa debolezza essa ricava la sua forza . La critica che smonta un argomento rafforza il potere di critica , la prova che confuta un ' altra prova è un passo in avanti rispetto all ' altra ; una conclusione corretta o sostituita con un ' altra contiene una maggiore garanzia di validità . Anche se , per un ' ipotesi inverosimile , tutto ciò che la ragione umana ha conseguito finora si rivelasse privo di fondamento , questa conquista negativa della ragione sarebbe un segno della sua forza , perché costituirebbe la premessa di un ' opera costruttiva più valida . Ma una « verità » fanaticamente accettata non può subire correzioni ed aggiunte ; teme le critiche e persino la tepidezza dell ' entusiasmo ; è fragile nei confronti dei dubbi e cade di colpo alla prima occasione . Cade senza lasciare nulla , se non forse un atteggiamento fanatico , provvisoriamente disoccupato o alla ricerca di nuovi pretesti . Come già diceva Locke , che ci dette nella quarta edizione del Saggio ( 1700 ) la prima celebre critica del fanatismo , questo è un fuoco fatuo . E alla prima occasione , la fusione delle masse o dei gruppi fanatici , l ' entusiasmo travolgente che era parso una poderosa forza d ' urto , si scioglie o si spegne come un fuoco fatuo e non lascia dietro di sé che il caos o il deserto . Non si può far conto sui fuochi fatui per illuminare il difficile cammino dell ' umanità nel mondo : occorre che l ' umanità cerchi e trovi altri mezzi di orientamento e che questi mezzi possano costantemente essere corretti e migliorati . La convinzione ben radicata dei limiti dell ' uomo e la disposizione che ne deriva all ' ironia , alla pietà e alla solidarietà umana sono , come già avevano visto gli analisti del '700 ( Shaftesbury , Voltaire , Kant ) , i migliori correttivi del fanatismo e alcuni dei costituenti essenziali della nostra civiltà . La tentazione del fanatismo si presenta ogni qualvolta si tende a trasformare gli ideali umani anche più nobili ( per esempio la libertà o la giustizia ) in fini assoluti ai quali la comune umanità va senz ' altro sacrificata . Cerchiamo di ricordare che tali ideali sono invece sempre e soltanto strumenti : strumenti che l ' uomo ha escogitato , e che può e deve correggere , per sopravvivere come uomo e vivere in pace .
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Dopo una lunga discussione sulla mozione del deputato Bissolati per una inchiesta sulla gestione del ministro della P . I . , dal 1901 al 1903 , il Presidente della Camera dei Deputati annunzia che in adempimento del mandato conferitogli dalla Camera ha chiamato a far parte del comitato incaricato di procedere all ' inchiesta sull ' amministrazione dell ' on . Nasi , gli on . Berenini , Cappelli , Chiapusso , Gorio e Guicciardini .
IL «SIGNIFICATO» DELLA VITA ( Abbagnano Nicola , 1965 )
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Viktor Frankl , un medico psichiatra che passò parecchi anni nel campo di concentramento di Auschwitz , racconta che il desiderio di riscrivere un libro il cui manoscritto gli era stato confiscato e distrutto al suo ingresso nel campo , fu il fattore decisivo che gli consentì di sopravvivere , mentre intorno a lui soccombevano molti suoi compagni di prigionia dotati di robustezza fisica maggiore . Questo fatto , che non è isolato , sembra mostrare che , quando la vita ha un significato , è più facile per l ' uomo sopportarne i pericoli e le durezze e che perciò il problema del significato della vita è , per ogni uomo , il problema fondamentale , quello da cui dipendono la sua sopravvivenza , il suo equilibrio e la sua felicità . Ma questo problema ha , rigorosamente parlando , un « significato » ? In un libro recente Huston Smith , professore di filosofia nel Massachusetts Institute of Technology ( Condemned to Meaning , New York , 1965 ) , ha messo in luce la situazione paradossale in cui si trova oggi la filosofia di fronte a questo problema . Da un lato gli antropologi , gli psicologi , i teologi e i filosofi esistenzialisti riconoscono l ' autenticità del problema e lo ritengono ineludibile , anche se le soluzioni da essi apprestate sono diverse e non convincenti . Dall ' altro lato ( e soprattutto nei paesi anglosassoni ) i filosofi analisti ritengono che il problema del significato della vita sia uno pseudo - problema derivante dall ' uso improprio della parola « significato » : la quale appartiene alla sfera linguistica , per cui si può parlare del significato di un termine o di una espressione , non della vita nel suo complesso . I primi considerano solo il significato esistenziale , i secondi solo il significato linguistico : i primi si occupano delle situazioni della vita , dei problemi che esse presentano e delle soluzioni che prospettano ; i secondi si occupano delle situazioni linguistiche , delle loro confusioni e delle possibilità di chiarirle . Il libro di Huston Smith vuole in qualche modo mediare i due punti di vista che abitualmente rimangono separati e non entrano neppure in dialogo : intende mostrare che una trattazione analitica è possibile , entro certi limiti , anche nella sfera del problema che concerne il significato della vita . Ovviamente , questo tentativo suppone che tale problema sia autentico , cioè che non si riduca a una confusione linguistica . Huston Smith ritiene che l ' autenticità di esso risulta provata dall ' importanza che il problema riveste nella vita di ogni uomo : perché la perdita o l ' assenza di significato , cioè di uno scopo per cui valga la pena di vivere , lottare e soffrire , determina spesso ( come psicologi e antropologi mettono in luce ) squilibri , infelicità e pazzia o , nel migliore dei casi , la perdita o la diminuzione del gusto di vivere . Egli ha perciò dato al suo libro il titolo Condannato al significato : una espressione di Merleau - Ponty , riferita all ' uomo , che significa l ' impossibilità per l ' uomo di vivere senza dare un significato alla vita . Ma Smith ritiene pure che il significato della vita l ' uomo deve in qualche modo costruirlo : cioè che esso non è un dato , ma un risultato da ottenere attraverso un ' attività che investe le manifestazioni della vita e le porta a ordinarsi e organizzarsi in modo da costituire modelli significanti . E come Kant parlò di categorie intellettuali che presiedono alla nostra costruzione del mondo conoscitivo , così Smith parla di categorie di significati che permettono all ' uomo di organizzare la struttura delle sue esperienze , che altrimenti rimarrebbero caotiche e prive di scopo . Queste categorie di significato sono : l ' inquietudine o angoscia ; h speranza ; lo sforzo , cioè la capacità di trascendersi e di tendere a qualcosa che non esiste ma può esistere ; la fiducia , cioè il senso di essere aiutato o garantito nello sforzo dall ' ordine delle cose ; e infine il mistero , cioè il senso di una realtà che non può essere attinta attraverso le vie normali della conoscenza . Bisogna subito dire che queste categorie appaiono inadeguate alla funzione , cui Smith le destina , di costruire un mondo di significati . La prima , cioè l ' angoscia , non è una categoria , ma piuttosto lo stato o la condizione di chi si sente privo o povero di possibilità a venire e pertanto non riesce a dare un significato alla vita . Le altre sembra che presuppongano questo significato piuttosto che renderlo possibile : giacché , come si fa a sperare , a sforzarsi per uno scopo , ad aver fiducia nel mondo e a credere in una realtà misteriosa , se già non si è certi del significato che la vita possiede ? D ' altronde , se la vita ha il significato che noi stessi chiediamo , questo non implica forse che essa è , in se stessa , priva di significato ? Smith risponde a quest ' ultima domanda asserendo che il significato della vita non è né imposto all ' uomo dai fatti , né imposto dall ' uomo ai fatti stessi : non è , in altri termini , né oggettivo né soggettivo , ma alcunché di intermedio , come qualsiasi costruzione umana che , se utilizza gli elementi e le leggi della natura , non è tuttavia opera totale della natura ma dell ' uomo . E questa risposta sarebbe valida se sapessimo qualcosa in più su ciò che deve intendersi per « significato della vita » . In realtà il tentativo di Smith si ferma alla difesa di un ' esigenza generica , ma non entra a esaminare la natura specifica dei « significati » che la vita può avere . E di « significati » si tratta , non di « significato » . Per illuminante e tipico che possa essere il caso del medico Frankl nel campo di Auschwitz , nessuno lo generalizzerebbe asserendo che , per qualsiasi uomo , lo scopo della vita è di riscrivere ( o scrivere ) un libro . Ciò che per un uomo è ragione di vita , per l ' altro è motivo di fastidio o di noia . Esistono , senza dubbio , significati partecipabili da gruppi più o meno estesi di individui umani , e sono quelli su cui fanno leva le grandi religioni e le filosofie popolari . Ma è molto dubbio che esista un unico , totale , esauriente significato della vita ed è molto dubbio che una filosofia qualsiasi sia in grado di « costruirlo » . Ciò che la filosofia può fare consiste sostanzialmente nell ' aiutare l ' uomo , ogni singolo uomo , a scoprire o a costruire da sé il significato della vita : chiarendo in forma oggettiva , sulla base degli elementi positivi del sapere di cui disponiamo , la sua situazione nel mondo e fra gli uomini , la struttura e i limiti delle sue possibilità , le minacce che incombono su di lui e le prospettive di riuscita meno ingannevoli e più feconde . Essa può anche delucidare la natura e i limiti della scelta che si offre a ogni individuo tra i significati specifici che la vita può offrirgli ; ma , quanto a questa scelta , nessuno può farla per un altro . Proprio in ciò sta l ' insegnamento della filosofia esistenzialistica , cui Huston Smith fa troppo imprecisi riferimenti . Quando i filosofi analitici negano ( ma ormai lo negano sempre più di rado ) che il problema dell ' esistenza sia autentico , intendono semplicemente asserire che gli strumenti linguistici di cui l ' uomo dispone non consentono di parlarne e che pertanto ( come diceva Wittgenstein ) « di ciò di cui non si può parlare , si deve tacere » . Essi partono cioè da una teoria del linguaggio il quale , considerato come una specie di immagine dei fatti del mondo , non offre la possibilità di parlare di altro che di tali fatti . La risposta alla loro negazione non si può quindi ottenere asserendo l ' importanza generica del problema dell ' esistenza , ma facendo appello a un ' altra teoria del linguaggio : a una teoria che , senza sfumare nel vago e nel mistero , renda possibile affrontare le condizioni specifiche di quel problema con ordine e correttezza . Questa teoria del linguaggio è , oggi , più un desiderio che una realtà ; è tuttavia il presupposto per ridare alla filosofia il suo carattere umano .
Ragioni d'orgoglio ( Ginzburg Natalia , 1975 )
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Nei movimenti femminili , ciò che mi sembra sommamente sbagliato è lo spirito di competizione con il sesso opposto , e lo spirito d ' orgoglio . Le parole « donna è bello » non hanno nessun senso . In verità essere una donna non è né bello né brutto , oppure è tutt ' e due , lo stesso come essere un uomo . Ne sbagliato scoprire delle ragioni d ' orgoglio , o delle ragioni d ' avvilimento , nella propria nascita o origine , o nella propria condizione umana . Riguardo all ' essere ebrei , è sbagliato esserne avviliti , sbagliato gloriarsene . Riguardo all ' essere omosessuali , è sbagliato esserne umiliati , sbagliato esserne orgogliosi . L ' atteggiamento giusto è sentire , nei confronti della propria condizione umana , una totale indifferenza . Una fra le cose che oggi avvelenano il mondo , è la retorica costruita sopra delle semplici condizioni umane . Si suole dire che l ' orgoglio ideologico , nei movimenti femminili per esempio , è generato da secoli di umiliazioni e persecuzioni , ed è perciò giustificabile e comprensibile . Questo significa che bisogna accordare loro indulgenza , se assumono atteggiamenti sbagliati , se commettono errori . Ma l ' indulgenza va accordata agli errori delle persone singole , non agli errori delle idee . Alle idee si chiede che siano vere e giuste , subito e in assoluto . Non credo che gli esseri umani abbiano , in quanto esseri umani , nessuna giusta ragione d ' orgoglio . Non credo che sia una giusta ragione d ' orgoglio né essere una donna , né essere un uomo , né essere un omosessuale . Non credo che sia una ragione d ' orgoglio né l ' essere madre , né l ' essere padre , né il non esserlo . Meno ancora credo che una di queste condizioni umane sia una ragione d ' umiliazione . Allo stesso modo , non credo che sia una ragione d ' orgoglio appartenere alla schiera dei giovani , né credo che appartenere alla schiera dei vecchi sia umiliante . Simili condizioni umane , in se stesse , non sono evidentemente né un merito , né una colpa . Portarle come dei meriti , o delle colpe , è un ' attitudine di assoluta stolidità e irrealtà . Tutto questo appare ovvio , ma è accaduto che nel mondo presente , si siano riempite le strade di fiumane d ' orgoglio e d ' umiliazione e che tali fiumane siano di qualità sessuale , o razziale , o generazionale . I meriti e le colpe sono cosa strettamente individuale , inscindibile dalla coscienza di ogni essere singolo . Ciascuno di noi conosce le proprie colpe e i propria meriti , e se ne gloria o se ne avvilisce dentro di sé . Riguardo all ' orgoglio , esso è legittimo in una persona , per un ' azione singola che questa stessa persona ha compiuto . E però legittimo e tollerabile se non dura più d ' un istante . Quando lo sentiamo protrarsi nel tempo , ne sentiamo la stolidità e l ' irrealtà . Quando diventa un ' attitudine dello spirito , non è più tollerabile . Non lo tollerano gli altri in noi , e non lo tolleriamo noi in noi stessi , se guardiamo in noi stessi con un giusto sguardo . L ' orgoglio riveste la nostra stessa immagine , dentro di noi , di uniformi e di insegne , che la separano dalle comunità . Riguardo all ' avvilimento , è anch ' esso legittimo soltanto se episodico e momentaneo . Ma quando diventa un ' attitudine dello spirito , a sua volta veste allora la nostra stessa immagine di un ' uniforme , la copre di grigi grembiali e la induce a scivolare via a testa bassa . Si tratta un ' attitudine dello spirito forse meno intollerabile dell ' orgoglio , perché più disarmata e più mite , e perché i negletti grembiali sono ben meglio delle insegne dei capitani . è però un ' attitudine dello spirito sbagliata e viziata non meno dell ' orgoglio , quando ricopre e schiaccia l ' intiera nostra esistenza , nel passato , nel presente e nel futuro . Anche il grigiore dell ' avvilimento è un modo di pensare la nostra immagine separata dalle comunità . Ora noi possiamo sentirci , in mezzo alle comunità , soli e diversi , ma il desiderio di rassomigliare ai nostri simili e il desiderio di condividere il più possibile il destino comune è qualcosa che dobbiamo custodire nel corso della nostra esistenza e che se si spegne è male . Di diversità e solitudine , e di desiderio di essere come tutti , è fatta la nostra infelicità e tuttavia sentiamo che tale infelicità forma la sostanza migliore della nostra persona ed è qualcosa che non dovremmo perdere mai . Ragioni di scoprirci diversi in mezzo alle comunità , noi ne abbiamo infinite , e ciascuno trova prontamente le proprie , o le ha trovate e coltivate fin dalla più lontana infanzia . Tutti o quasi tutti siamo o donne , o ebrei , o omosessuali , oppure siamo diversi semplicemente per inclinazione alla diversità , per malinconia , per timidezza , per nevrosi , per silenzio . Siamo tutti « diversi » . L ' essenziale è portare giustamente la propria diversità , l ' essenziale è non farne né un ' insegna né un ' uniforme , e mescolarla silenziosamente nelle infinite diversità degli altri , in quelle che noi riteniamo le comunità dei non diversi e normali . Comunque , l ' orgoglio e l ' avvilimento sono i nostri stati d ' animo abituali , e noi usiamo passare dall ' uno all ' altro come dalla notte al mattino . Finché sono i nostri sentimenti individuali , e finché sono volubili e momentanei , non sono di qualità scadente . Diventano però di qualità deteriore e scadente se diventano il fondamento di un ' idea . A muovere le idee e a portarle avanti dovrebbero essere dei sentimenti di qualità superiore e nobile , e fatti per essere innalzati su un piano universale . Sono di questa qualità e natura l ' impegno civile , la solidarietà umana , il senso della giustizia , il coraggio . La parola « valori » è una parola che oggi adoperiamo e leggiamo con diffidenza , perché è stata adoperata troppo e male , si è scolorita e sembra non significare più nulla . Tuttavia è forse proprio questa parola che è necessario adoperare per mettere in chiaro ciò che può essere innalzato su un piano universale . L ' orgoglio non è un valore e non ha qualità universale . L ' orgoglio ideologico , noi lo detestiamo e ci fa orrore , quando prende forma di orgoglio di patria . Lo riconosciamo allora in tutta la sua turpitudine . Nesso è orribile perché irreale . E orribile anche e soprattutto perché è una sorgente di odio , perché cerca intorno a sé delle armi per uccidere i propri nemici , quelli che pensa come propri nemici , e separa un paese dalla folla dei paesi , lo separa colmandolo di ideologiche vanità e irrealtà . L ' orgoglio di sesso nei movimenti femminili è però assai simile all ' orgoglio di patria , poiché ne assume le fattezze , ne assume gli aspetti aggressivi e faziosi , la grottesca e irreale combattività . Essere donne , essere ebrei , essere o diventare omosessuali , è come essere nati in un paese o in un altro . La persona adulta è tenuta a trarre , dalle origini che le ha assegnato il caso , i massimi beni possibili , e la massima quantità possibile di conoscenza della propria terra . Ma alle umiliazioni e oppressioni e persecuzioni che la società ha inflitto o infligge alle donne , o agli omosessuali , o agli ebrei , donne e omosessuali e ebrei sono tenuti a rispondere come se umiliazioni e oppressioni e persecuzioni non offendessero soltanto loro ma l ' intiera collettività degli uomini . Nessi sono tenuti a rispondere non con le miserabili combattività dell ' orgoglio ingiuriato ma con l ' indifferenza ai propri fatti personali e territoriali che contraddistingue la vera e adulta libertà . Ne invalso oggi il costume di radunare alcuni gruppi umani in sorte di eserciti , che si propongono di imitare i partiti politici , o anzi dichiarano di muoversi al seguito di insegne o bandiere . Ma i partiti politici nascono da scelte politiche , ideologiche , morali . I migliori fra i partiti politici sono fondati su idee vere , su un vero e reale e possibile disegno del mondo , e le loro idee , partendo da valori universali , sono nel loro contenuto migliore libere da ogni specie di orgoglio ideologico , quindi chiare e secche . Le separazioni che si creano fra la gente , per motivi politici , hanno un senso . Le separazioni che si creano fra la gente , quando non perseguono un chiaro disegno del mondo , non hanno nessun senso . Le separazioni che si delineano fra i gruppi umani , le alleanze fra donne , o fra omosessuali , o fra ebrei , non hanno nessun senso perché non ubbidiscono a una scelta politica , ma si basano su un lontano fatto d ' origine , legato all ' ora della nascita , o magari , come è forse nel caso degli omosessuali , legato a una lontana decisione infantile . Identificare le condizioni umane con i partiti politici è perciò irreale . Non esiste , fra le condizioni umane e i partiti politici , nessuna specie di affinità . Una condizione umana non è frutto di scelta , ma discende dal destino e dal caso . I movimenti femminili non saranno mai un partito politico , perché mentre è ben possibile immaginare un mondo governato dalle forze d ' una determinata e nuova classe sociale , immaginare un mondo composto esclusivamente di donne e dominato da loro è impossibile , irreale e mortale .
DIRITTO E GIUSTIZIA ( Abbagnano Nicola , 1966 )
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Quando a Socrate , che era in carcere in attesa del processo , gli amici proposero la fuga da Atene , egli rifiutò perché fuggire sarebbe stato azione ingiusta nei confronti delle leggi ateniesi che avevano presieduto alla sua nascita , alla sua educazione e all ' intera sua vita . « Giusto » è , in modo tipico , il comportamento di Socrate : cioè , in generale , di chi si ispira al rispetto delle leggi anche quando esse si rivolgono contro il suo interesse privato . Ma che cosa accade quando le leggi stesse , cui si dovrebbe obbedire per essere giusti , si ritengono « ingiuste » ? E come si fa a giudicare , in generale , se una legge è « giusta » o non lo è ? Gli uomini hanno presto fatto l ' amara esperienza che non tutte le leggi sono giuste . E per valutare la giustizia delle leggi , hanno fatto appello a una legge più alta , data dalla natura o da Dio , che sarebbe il fondamento di tutte le leggi umane . In un passo famoso del De Republica , Cicerone esaltava la legge eterna , razionale e conforme a natura che è immutabile in tutti i luoghi e in tutti i tempi ed è l ' espressione stessa della divinità che governa il mondo . E già Aristotele , in un ' illustrazione rimasta classica del concetto di « equità » , mostrava come questa fosse la correzione che i giudici apportano alle imperfezioni della legge positiva , mediante il ricorso alla legge eterna della giustizia . Per duemila anni circa , questi fondamenti del giusnaturalismo sono stati i principi incontestabili di ogni dottrina del diritto . Quando , nel '600 , la ragione umana cominciò a rivendicare la sua autonomia nei confronti dell ' ordine cosmico e della stessa divinità , la legge naturale apparve come la manifestazione della ragione e Grozio affermava che essa aveva la stessa necessità dei principi della matematica . Con ciò , essa non perdeva , ovviamente , la sua certezza assoluta , ma mutava soltanto il suo fondamento : che non veniva più riconosciuto nell ' ordine naturale o divino , ma nella infallibilità dell ' umana ragione . La consolante credenza in un ' unica , immutabile legge di giustizia ha continuato a permeare , anche dopo il tramonto del giusnaturalismo razionalistico del '700 , la maggior parte delle teorie filosofiche del diritto , che ne hanno dato ora questa ora quella giustificazione o l ' hanno in molti modi camuffata o mistificata . Soltanto negli ultimi decenni , ad opera di quella corrente che suol chiamarsi « positivismo giuridico » ma che non ha niente a che fare con il vecchio positivismo e perciò meglio si chiamerebbe « neoempirismo giuridico » , quella certezza è stata messa in crisi . La crisi è il riflesso , nel campo della teoria del diritto , della crisi generale della metafisica cioè della credenza in elementi assoluti , soprannaturali , trascendenti per spiegare il mondo della realtà umana . Quali sono le ragioni specifiche della crisi ? Il diritto naturale è stato invocato a fondare le leggi più disparate . Si è ricorso ad esso per giustificare l ' autorità assoluta dello Stato come per giustificare la lotta e l ' insurrezione contro lo Stato . Si è fondata su di esso la divisione naturale tra schiavi e liberi ( come fecero Platone e Aristotele ) e l ' uguaglianza naturale di tutti gli uomini ( come fecero gli Stoici , i Cristiani e gli Illuministi ) . Si è ritenuta legge di natura che il più forte prevalga sul più debole ( come dicevano gli antichi Sofisti e alcuni moderni ) e che tutti gli uomini debbano comportarsi come fratelli . Se ne è vista l ' espressione nella guerra belluina di tutti contro tutti e nella « solidarietà » che lega tutti gli uomini fra loro . Si è « dedotto » da esso l ' assolutismo politico ( Hobbes ) come il liberalismo ( Locke e molti moderni ) . Ma a che può servire una « legge unica ed eterna » che consente di giustificare le leggi positive più contrastanti e non permette di scegliere razionalmente tra esse ? È questo l ' interrogativo che domina il libro recente di una lancia spezzata del neoempirismo giuridico , il danese Alf Ross ( Diritto e giustizia ; l ' edizione italiana è del 1965 ) . « Il diritto naturale » scrive Ross « cerca l ' assoluto , l ' eterno , ciò che deve rendere il diritto qualcosa di più di una creazione dell ' uomo e che esonera il legislatore dalle penose responsabilità della decisione ... Ma l ' esperienza mostra che le dottrine costruite dagli uomini su questo fondamento , ben lungi dall ' essere eterne e immutabili , sono mutate a seconda dei tempi , dei luoghi e delle persone . La nobile sembianza del diritto naturale è stata usata per difendere o combattere ogni possibile tipo di richieste nascenti da una specifica situazione di vita o determinate da interessi politici ed economici di classe , dalla tradizione culturale , dai suoi pregiudizi e dalle sue aspirazioni . » Sotto quelle nobili sembianze si cela perciò , secondo Ross , « una sgualdrina che è a disposizione di tutti » . Il risultato di quest ' atteggiamento è la dissociazione totale tra i concetti di « diritto » e di « giustizia » . Le parole « giusto » e « ingiusto » sono interamente prive di significato se riferite , non ad un comportamento , ma ad una norma generale o ad un ordinamento giuridico . L ' ideologia della giustizia conduce solo al fanatismo e al conflitto perché pretende dar valore assoluto a interessi che si oppongono ad altri interessi e chiude la strada alla discussione diretta a trovare una soluzione razionale dei conflitti . Pertanto dichiarare ingiusta una norma o un riordinamento giuridico non è un atto di ragione ma l ' espressione di una reazione emotiva , cioè di atteggiamenti o di interessi che sono in contrasto con quella norma o non trovano in essa una sufficiente difesa . Sembrerebbe con ciò che ogni critica del diritto vigente , ogni tentativo di modificarlo o correggerlo , appartenesse al dominio dell ' irrazionale e consistesse solo in una cieca lotta di interessi . Ma Ross non spinge sino a questo punto la sua coerenza . Egli si preoccupa di stabilire anche il compito della « politica del diritto » cioè della disciplina di trasformazione del diritto . La politica del diritto concerne problemi che non sono , o non sono soltanto , giuridici perché appartengono all ' economia , alla finanza , pubblica o privata , al commercio , all ' educazione , ai rapporti con gli Stati esteri , alla difesa e via dicendo . Questi problemi devono ovviamente essere trattati o elaborati con le tecniche specifiche del campo cui appartengono e in base a tali tecniche vanno trovate le soluzioni di essi . La considerazione giuridica interviene soltanto per prevedere , nei limiti del possibile , quali sono le possibilità di influenzare , nel senso previsto da quelle soluzioni , le azioni umane mediante sanzioni giuridiche . E in questo senso la politica del diritto è « sociologia giuridica applicata » o « tecnica giuridica » . In tal modo all ' ideale di una unica norma di giustizia valida come criterio o fondamento di tutte le leggi si sostituisce come criterio per la valutazione e la correzione delle leggi il pluralismo delle tecniche invalse nei vari campi che sono , o possono essere , oggetto di regolamentazione giuridica . Soltanto queste tecniche potranno infatti dirci quali sono i fini che nei campi rispettivi è conveniente , o utile o indispensabile realizzare ; mentre la dottrina giuridica ci dirà se , e in quale misura , questa regolamentazione , agendo sui comportamenti , potrà condurre alla realizzazione di quei fini . Ma se così stanno le cose , può ancora dirsi , come vuole Ross , che dichiarare « ingiusta » una legge significa semplicemente abbandonarsi ad una « reazione emotiva » ? Mettendo tra parentesi l ' appello all ' ideale assoluto di giustizia del vecchio giusnaturalismo , affermare che una legge è « ingiusta » può avere proprio il significato chiarito da Ross , che essa non risponde alle tecniche del campo che dovrebbe regolamentare o alla tecnica causale delle sanzioni . Se per esempio l ' esperienza prova che la pena di morte non è un deterrente più efficace di altri , la sua abolizione diventa « razionale » perché fra l ' altro evita le conseguenze fatali di un possibile errore giudiziario . Norme legislative che aggravano i conflitti invece di evitarli o risolverli o che impediscono , limitano o inceppano attività che è interesse comune garantire e sviluppare o che negano ai cittadini , o a gruppi di cittadini , possibilità che sono a loro stessi o ad altri utili , convenienti o indispensabili , possono ben dichiararsi « irrazionali » nel senso ristretto e specifico di questo termine . E se per razionale s ' intende , non già il dettato di una ragione infallibile , ma ogni tecnica efficace , convalidata e correggibile , di un campo qualsiasi , il vecchio ideale della giustizia trascendente e normativa si converte in quello della razionalizzazione delle norme giuridiche , mediante l ' adeguazione a queste tecniche . Un compito limitato e fallibile quanto si vuole , ma profondamente umano e impegnativo , perché consente agli uomini di guardare con più fiducia al loro avvenire .
UTILITARISMO VECCHIO E NUOVO ( Abbagnano Nicola , 1966 )
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Alle domande : « Come devo agire ? Quale deve essere la guida delle mie azioni ? » , Si possono dare due risposte diverse . Si può dire : « Agisci secondo la voce della tua coscienza che è quella stessa della ragione o dell ' ordine cosmico o della volontà divina » . O si può dire : « Agisci in modo che la tua azione tenda ad accrescere la somma del benessere o della felicità comune » . Quest ' ultima è la risposta data al problema morale dall ' utilitarismo . Questa dottrina ( di cui si possono scorgere le prime tracce nei Sofisti e nello stesso Platone ) fu difesa , oltreché dagli Illuministi , da economisti e filosofi inglesi nella prima metà dell ' '800 ed è rimasta una delle alternative fondamentali della filosofia morale nel mondo moderno . Secondo l ' utilitarismo , un ' azione è buona o cattiva a seconda che tende ad accrescere o a diminuire il benessere pubblico . L ' azione morale dev ' essere la risultanza di un calcolo : bisogna pesare l ' entità rispettiva del piacere attuale e del piacere futuro e mai sacrificare il piacere maggiore al piacere minore . « L ' uomo virtuoso » diceva Bentham « accumula per l ' avvenire un tesoro di felicità ; l ' uomo vizioso è un prodigo che dissipa senza calcolo il suo reddito di felicità . » Chi resiste alla tentazione di un piacere presente in vista del danno che esso procurerà a sé o agli altri , si comporta moralmente ; chi soggiace a quella tentazione senza pensare a ciò che accadrà domani , si comporta immoralmente . Il benessere privato coincide con il benessere pubblico : l ' azione apparentemente disinteressata dell ' individuo che sacrifica il suo piacere al benessere comune , risponde all ' autentico interesse dell ' individuo ed è frutto di un calcolo intelligente che considera entrambi i piatti della bilancia . Bentham ( che dette la prima sistemazione rigorosa all ' utilitarismo ) riteneva che solo per questa via la morale può diventare una scienza esatta e sottrarsi alla saggezza decorativa , alle parole sacramentali , alle distinzioni casistiche e ai dogmi dell ' intolleranza . L ' utilitarismo ( egli diceva ) rende di facile uso la regola del dovere e ne fa un aiuto efficace per il benessere quotidiano degli uomini . La critica che Alessandro Manzoni rivolse all ' utilitarismo nell ' appendice al capitolo terzo della Morale cattolica ( 1855 ) è rimasta decisiva per la filosofia italiana . Manzoni opponeva all ' utilitarismo che ciò che è moralmente giusto non si può confondere con ciò che è utile all ' individuo e alla società , che l ' azione morale autentica è ispirata non dall ' interesse , ma da una norma che obbliga la coscienza e che il concetto stesso di obbligazione non nascerebbe se la morale fosse fondata sull ' utilità perché seguire l ' interesse non è un obbligo ma una tendenza . Manzoni riconosceva che ciò che è giusto è anche utile , nel senso che chi agisce giustamente può attendersi una ricompensa e chi agisce ingiustamente un castigo ; ma riteneva che questo legame tra giustizia e utilità non indicasse l ' identità dei due termini ma piuttosto la loro distinzione . E negava che il criterio dell ' utilità servisse a rendere più facile la scelta dell ' azione da compiere . Infatti , prevedere tutti gli effetti che una azione determinata avrà nel futuro su noi stessi e sugli altri , per determinarne il grado di utilità , è un compito difficile e quasi impossibile sulla scorta delle indicazioni che l ' esperienza passata può dare : tanto più che l ' esperienza può farci prevedere il corso probabile delle cose , non quello certo . Dopo la critica manzoniana , l ' utilitarismo ( che era stata la premessa filosofica dell ' opera di Beccaria , Dei delitti e delle pene ) non ha suscitato in Italia che un blando interesse storico ma non è stato assunto , neppure da pensatori positivisti , come punto di partenza dell ' indagine della vita morale . Nella filosofia anglo - americana invece esso è rimasto , con poche eccezioni , l ' indirizzo dominante , pur essendo sottoposto a critiche minute , e continua ad essere l ' unica alternativa all ' interpretazione metafisica o teologica del mondo morale . Dopo la guerra , esso ha assunto una nuova forma ed è stato chiamato utilitarismo « modificato » , « ristretto » , o « indiretto » , perché non si applica più alle azioni ma solo alle regole da cui esse sono dirette . Secondo il vecchio utilitarismo , un ' azione è buona o cattiva a seconda che contribuisce o no al benessere o alla felicità comune . Secondo il nuovo utilitarismo , un ' azione è buona o cattiva se si conforma o no a una regola ; ma una regola è buona o cattiva a seconda che contribuisce o no al benessere comune . Secondo il vecchio utilitarismo , il calcolo dei piaceri o dei dolori che possono derivare da un ' azione determinata deve essere fatto da chiunque si appresta a compiere l ' azione stessa ; secondo il nuovo utilitarismo , questo calcolo dev ' essere fatto solo da coloro che si accingono a dare un giudizio sulle regole della morale e vogliono saggiarne o determinarne il valore . Da questo punto di vista , mentre la vita morale consiste ( proprio come crede il comune buon senso ) nell ' obbedienza alle leggi e non ha bisogno di appellarsi al criterio utilitario , l ' indagine morale , al livello della riflessione filosofica , deve fare appello a quel criterio nella valutazione e nella critica delle norme morali , delle leggi giuridiche e delle istituzioni sociali . Si tratta , certamente , di un punto di vista assai più scaltrito che si sottrae in buona parte alle critiche cui andava soggetto l ' utilitarismo classico . Rimane da vedere se esso si sottrae veramente a tutte le critiche decisive , cioè se dà conto di tutti gli aspetti della vita morale . E su questo punto i pareri sono ancora discordi . Un libro recente di David Lyons ( Forms and Limits of Utilitarianism , Oxford , 1965 ) giunge su questo punto a conclusioni negative . L ' utilitarismo nuovo , come il vecchio , non risolve tutti i problemi della morale . Soprattutto non dà conto dei diritti , dei doveri , delle obbligazioni nel loro carattere assoluto e incondizionato : in quanto non ammettono le limitazioni cui la clausola delle utilità li sottoporrebbe . Una promessa , ad esempio , è un impegno che è giusto sia mantenuto ad ogni costo , anche se il suo mantenimento cessa di essere utile per uno dei contraenti . Ancora una volta , il criterio dell ' utilità non risponde ( pare ) a tutte le esigenze della giustizia ed è dichiarato insufficiente a spiegare la vita morale . In un passo de La Repubblica , Platone diceva che neppure una banda di briganti o di ladri potrebbe mettersi insieme e portare a termine una malefatta qualsiasi , se non rispettasse , nel suo interno , le regole della giustizia . Non si potrebbe esprimere meglio il carattere funzionale delle regole che costituiscono la giustizia o , in generale , la vita morale . Queste regole tendono a far sì che gli uomini , invece di ammazzarsi e nuocersi a vicenda , possano vivere insieme e progettare e coordinare le attività da cui dipende la loro vita nel mondo . Tendono altresì a eliminare i conflitti o a diminuirli o a stabilire criteri per la loro soluzione pacifica ; nonché a favorire e dirigere certe trasformazioni dei moduli cui si conforma la vita associata o a escluderne altre . Si può discutere all ' infinito sul fondamento trascendente o immanente delle regole morali , sulle vie in cui sono manifestate o rivelate all ' uomo , sulla loro assolutezza o relatività e via dicendo . Ma sul fatto fondamentale della funzione che esse assolvono o debbono assolvere nella vita associata , cioè di rendere possibile questa vita e di non votarla alla distruzione ( che sarebbe la distruzione degli stessi individui che la compongono ) , si trovano d ' accordo i più disparati sistemi di etica . Ora proprio su questa funzione delle regole morali ha fatto leva l ' utilitarismo antico e moderno e fanno leva soprattutto le nuove forme di utilitarismo indiretto . Forse il termine stesso di « utilità » ( e quindi anche di « utilitarismo » ) è troppo ristretto per indicare la molteplicità delle funzioni che le norme morali devono assolvere nel contesto sociale , perché sembra riferirsi all ' interesse ristretto dell ' individuo che va in cerca del suo utile particolare . E certo avevano ragione i critici del vecchio utilitarismo ( Manzoni compreso ) di dubitare che l ' utile individuale coincidesse sempre con l ' utile comune . Ma il concetto di funzionalità delle regole morali ( come di quelle giuridiche ) non soggiace a queste critiche , perché si situa a un livello più alto di generalizzazione e non concerne più l ' utile privato come tale . Il criterio della funzionalità è presente , almeno implicitamente , a tutte le critiche ben fondate che oggi si rivolgono a istituzioni , ordinamenti giuridici o costumi o atteggiamenti ricorrenti : in quanto mostrano che istituzioni , ordinamenti , atteggiamenti non assolvono più la loro funzione o mirano a realizzare scopi che sono estranei al funzionamento di certi aspetti della società moderna . E se si considera la varietà e la disparità delle credenze , dei costumi , delle istituzioni dei popoli che ormai vivono a contatto di gomito in un mondo divenuto troppo stretto , e tra i quali c ' è una ferrea solidarietà di fatto che ha preceduto di gran lunga la buona volontà della comprensione reciproca , si vede subito come la considerazione funzionalistica della morale , indipendente com ' è , per sua natura , dai conflitti ideologici , è la sola capace di preparare la condizione per una effettiva coesistenza pacifica .
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A una settimana dal voto , una riflessione più pacata può integrare , e in parte correggere , le riflessioni immediate . La prima considerazione è che se l ' insuccesso della sinistra è fuori discussione , la vittoria della destra è meno evidente di quanto i commenti dei primi giorni abbiano lasciato intendere . Non si può dire che gli italiani abbiano scelto Berlusconi : su 48 milioni di elettori solo 8 hanno votato per Forza Italia . Dopo il confronto televisivo con Occhetto , il Cavaliere , in una festa con i suoi sostenitori , deplorando di non poter utilizzare appieno il suo apparato propagandistico aveva detto di temere che un consenso giunto al 40 per cento potesse scendere al 20 . Aggiungeva , però , che gli ultimi sondaggi ( da non rendere pubblici ) gli assicuravano ancora un terzo dei suffragi . Era il 23 marzo . Cinque giorni dopo , Forza Italia si assestava proprio al 21 per cento , solo mezzo punto in più dello sconfitto PDS . Sconfitta , in termini di voti , era anche la Lega , che col suo 8,4 per cento scendeva al di sotto del livello del 1992 , dopo che nel 1993 il suo consenso poteva valutarsi al 20 per cento . Il risultato migliore del Polo della libertà e del Buon governo era quello di Alleanza Nazionale , il cui 13,6 per cento è determinante nel collocare il Polo al di sopra del 40 per cento . Senza la Fiamma lo schieramento , col 29,4 per cento , sarebbe di un solo punto al di sopra dei progressisti , che , senza Rifondazione , inutilizzabile come forza di governo , si collocano al 28,4 . Queste cifre ridimensionano il quadro di una destra trionfante e di una sinistra a pezzi . È un ' immagine rafforzata dal grande divario di seggi alla Camera , conseguenza sia della legge elettorale che di una sua utilizzazione da parte di un elettorato che ha preferito la polarizzazione alla frammentazione : da qui la frana degli alleati non comunisti del PDS e le proporzioni della sconfitta progressista nel lombardo - veneto . Proprio perché è stato il lombardo - veneto , con la Lega , a battere i partiti della Prima Repubblica , si può capire la difficoltà di Bossi . Non è detto che il suo problema sia quello di venir meno all ' impegno di non fare « mai » un governo con i « fascisti » , con la « destra forcaiola » . Se si trattasse solo di modificare una posizione non sarebbe la prima volta nella vita politica . Ma il fatto è che omologandosi a una destra egemonizzata da Forza Italia , la Lega potrebbe ridursi a un soggetto marginale nel giro di un anno , già alle elezioni regionali del 1995 . La distribuzione del 43 per cento dei voti che la Lega aveva raccolto a Milano nello scorso giugno ( oggi 15 alla Lega , 28 a Berlusconi ) è per Bossi un campanello d ' allarme che potrebbe trasformarsi in un rintocco funebre . Egli ha oggi il gruppo parlamentare più numeroso , al quale spetterebbe il primo incarico per la formazione del governo in assenza di una maggioranza precostituita . Ma è un vantaggio temporaneo , in una situazione precaria . Se la Lega non trasforma il federalismo da slogan in progetto preciso , il suo destino potrebbe essere segnato . Quella di Bossi non è una pretattica , come afferma Fini , ma esigenza di sopravvivenza . Ed è questa situazione che offre al PDS una occasione che potrebbe cogliere , se il suo gruppo dirigente passasse la mano , invece di rimanere paralizzato nella rassegnazione . Occhetto e D ' Alema possono uscire onorevolmente di scena e contribuire al ruolo che il partito può svolgere con la loro esperienza di parlamentari . Questo ruolo non si capisce perché debba essere quello di assistere inerti , all ' opposizione , a un governo egemonizzato da Forza Italia . Questo governo potrebbe essere in grado di promuovere quell ' ampio consenso che Berlusconi sperava e che non ha ottenuto , tanto che al Senato manca la maggioranza . Essa sarebbe comunque risicata ( e probabilmente inadeguata ai compiti che l ' attendono ) , anche col voto dei senatori a vita della vecchia DC . Un PDS rinnovato al vertice potrebbe proporsi per il sostegno esterno a una coalizione con forte maggioranza nei due rami del Parlamento , in grado di procedere rapidamente al necessario riassetto istituzionale , con quella larga autonomia di macroregioni che non si vede come Alleanza Nazionale potrebbe accettare . Senza una mossa d ' anticipo , l ' attendere che siano Segni , Pannella e Formigoni ad ampliare l ' orizzonte della destra non aprirebbe la via a una opposizione in grado di essere alternativa ma a una egemonia moderata proiettata verso il Duemila . Un PDS protagonista costituente della Seconda Repubblica potrebbe invece superare la frustrazione del 28 marzo , che in caso contrario potrebbe protrarsi indefinitamente .
OTTIMISMO E PESSIMISMO ( Abbagnano Nicola , 1966 )
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Nel Candide di Voltaire , il protagonista , sottoposto dalla sorte ad ogni specie di immeritate e dolorose vicende , si consola asserendo , in accordo con gli insegnamenti del suo maestro Pangloss , che « tutto va per il meglio nel miglior dei mondi possibili » . Pochi di noi sarebbero oggi disposti a ripetere l ' insegnamento di Pangloss o a consolarsi come Candido . L ' esperienza di due guerre mondiali particolarmente feroci , con il loro accompagnamento di orrori , di distruzioni e di crudeltà inaudite ; quella , altrettanto decisiva , del carattere ostile e maligno delle forze naturali che , per quanto imbrigliate e dominate dalla tecnica scientifica , non mancano ad ogni occasione di rifarsi a danno della vita e dei beni degli uomini ; l ' eco dei disastri che colpiscono ora questa ora quella popolazione del globo , senza eccettuarne nessuna ; e il timore o la previsione di disastri e difficoltà ancora maggiori cui il genere umano può andare incontro nel prossimo o lontano futuro , sono tutti elementi che distolgono le persone pensose dall ' ottimismo di Candido . La stessa facilità e rapidità delle comunicazioni e la solidarietà di fatto che si è creata fra tutto il genere umano e per la quale niente che accada a una parte di esso è privo di conseguenze per le altre parti , rendono immediatamente presente anche all ' uomo più fortunato i dolori o le minacce che incombono su altri suoi simili e gli rendono difficile creder di vivere nel migliore dei mondi . Tuttavia , l ' atteggiamento suggerito dall ' ottimismo tende a conservarsi per inerzia anche quando la credenza nell ' ottimismo è stata ripudiata . Ci sono atteggiamenti ricorrenti , ai quali ciascuno di noi si abbandona frequentemente nel corso della vita , che sarebbero giustificabili solo sulla base della dottrina di Pangloss . Che il mondo vada avanti da sé , anche se io non mi preoccupo , nei limiti delle mie possibilità , di farlo andare avanti ; che le cose alla fine si accomodino e che il buon senso e la giustizia prevalgano in ogni caso ; che tutti i mali che capitano agli uomini siano portatori o forieri di altrettanti beni , sono forme di consolazione o di evasione cui ognuno è tentato di ricorrere in determinate circostanze ; e soprattutto quando l ' egoismo , la sfiducia o la pigrizia vanno in cerca di una giustificazione . Sembra che , in questi casi , una dottrina opposta a quella di Pangloss , cioè il pessimismo , sia una medicina salutare . Sembra , cioè , che l ' uomo sia meglio stimolato all ' azione e a una condotta razionale delle proprie faccende dalla credenza che il mondo non va da sé ma ha bisogno , per andare avanti , del contributo di tutti e che le cose volgono al peggio se nessuno fa nulla per migliorarle . Filosoficamente parlando , l ' ottimismo si fonda sulla dottrina che il mondo è stato fatto per gli uomini , cioè per rendere possibile la loro vita e la loro felicità e che la storia è indirizzata , dall ' ordine stesso del mondo , verso il progresso del genere umano . Il finalismo della natura e il progresso della storia sono le due espressioni dell ' ottimismo filosofico . Le grandi sintesi speculative dell ' '800 , dall ' idealismo al positivismo , hanno dato una base diversa a questi due pilastri , ma si sono accordate nel tenerli in piedi . L ' idealismo fondò questi pilastri sulla presenza , nel mondo , di una Ragione onnipotente che indirizza il divenire del mondo verso le istituzioni e le attività umane di natura più alta e spirituale ( lo Stato , l ' arte , la religione e la filosofia ) . Il positivismo ritenne che al divenire del mondo presiedesse un meccanismo infallibile , destinato a garantire la conservazione del genere umano e il suo progresso continuo . Nell ' uno e nell ' altro caso , l ' uomo appariva come il fine ultimo dell ' intera vita cosmica e le attività specificamente umane , cioè quelle spirituali , apparivano radicate nella sostanza del mondo e garantite da essa nella loro conservazione e nel loro sviluppo . È ovvio che da questo punto di vista c ' è poco da temere per le sorti dell ' uomo nel mondo . Il corso degli eventi , anche se apparentemente disordinato o sfavorevole , provvede , a lungo andare , alla correzione del disordine e alla restaurazione dei valori , nonostante la cattiva o deficiente volontà degli uomini , che può anche essere , a volte , uno strumento di quella correzione . Dall ' altro lato , quando Schopenhauer , nella sua polemica contro l ' idealismo , ne volle battere in breccia l ' ottimismo , ne capovolse proprio i presupposti metafisici . Il mondo non è l ' espressione di una Ragione onnipotente ma di una Volontà irrazionale e cieca , internamente dilaniata da conflitti insanabili , che mette gli esseri viventi gli uni contro gli altri e non garantisce a nessuno di essi la felicità e il progresso . Da questo punto di vista , la vita è un desiderare continuo senza meta e senza riposo ; è bisogno o mancanza , cioè dolore , e l ' infelicità è la condizione insuperabile dell ' uomo nel mondo . Schopenhauer additava l ' unica salvezza possibile nella negazione della volontà di vivere ( il nirvana buddistico ) cioè nell ' ascesi che fa tacere gradualmente tutti i bisogni e annulla la vita alla sua radice . Se questo fosse tutto quanto il pessimismo può dirci , l ' atteggiamento che ne deriva per l ' uomo non sarebbe diverso da quello dell ' ottimismo . Per ciò che riguarda la sua vita nel mondo , l ' uomo non può far nulla . Se c ' è una forza benigna o maligna , che regge le sorti del mondo e cui l ' uomo stesso è soggetto , la parte dell ' uomo si riduce a zero . La ragion pigra è la conseguenza di ogni impostazione filosofica di questo genere : una volta decisa qual è la natura del mondo , le situazioni in cui l ' uomo viene a trovarsi perdono ogni importanza perché si sa già in anticipo che si risolveranno in quell ' unico modo . L ' uomo può assumere la figura di un attore più o meno importante , nella storia del mondo , solo se le sorti di questa storia non sono decise in anticipo . In realtà , circa la natura del mondo nel suo complesso , gli uomini non sanno nulla . Pessimismo e ottimismo sono ipotesi molto azzardate che i filosofi formulano generalizzando certe situazioni , in cui l ' uomo viene frequentemente a trovarsi . In alcune di queste situazioni , l ' uomo riesce ad avere la meglio , in altre soccombe . Questo è tutto ciò che sappiamo . Generalizzare su questa base , decidere una volta per tutte che la natura del mondo è questa o quella , è un inutile azzardo che ha l ' unico risultato di fare dell ' uomo un pigro spettatore di eventi . Ciò che l ' uomo può fare di utile e di positivo è di rendersi conto , con analisi precise , delle situazioni che più frequentemente gli si offrono e di darsi alla ricerca dei mezzi che possono permettergli di superarle con successo . Questo gli impedirà di abbandonarsi troppo fiduciosamente al corso delle cose o di rinunziare in partenza a ogni tentativo di modificarlo . Lo renderà vigilante e attivo , seppure alieno dall ' illusione che ogni sua impresa sarà coronata dal successo . Gli darà una misurata fiducia nelle sue forze , facendogli apparire indegna di lui la rinuncia o la disperazione passiva . Lo aiuterà a progettare le varie forme della sua attività ma gli darà anche il senso del limite dei suoi progetti , delle condizioni cui debbono soddisfare e che possono determinarne la sorte . A conti fatti , si tratterà pur sempre di un pessimismo ma di un pessimismo , per così dire , di metodo , non di dottrina . Noi non sappiamo se l ' uomo riuscirà a sottrarre se stesso alla fame , alla distruzione , alla degenerazione , agli innumerevoli flagelli che lo minacciano . Sappiamo che dobbiamo provarci . Sappiamo anche che molto dipenderà dalla coordinazione e dalla tenacia dei nostri sforzi e molto , ancora , dalla conoscenza spregiudicata delle condizioni in cui questi sforzi si effettueranno e delle reazioni che susciteranno . E a questo fine , l ' uomo dovrà meglio conoscere se stesso e le sue capacità , oltre che le energie che la natura gli può offrire . Più che di miti , di apocalissi , di diagnosi totalitarie , l ' uomo ha bisogno , in ogni campo , e in primo luogo nella filosofia , di conoscenze e di norme che reggano alla prova dei fatti e che siano adatte a correggere i fatti stessi . Un pessimismo di questo genere non s ' arrende di fronte ai fatti , non dà sempre ragione ai fatti , ma non cessa di tenerne conto . E può consentire a ciascun uomo di aiutare meglio se stesso e di tendere con più efficacia la mano al suo prossimo .
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Non un incontro di persone colte e competenti , ma evento per contribuire a formare una mentalità e un comportamento popolare . È questo secondo monsignor Clemente Riva , Vescovo Ausiliare di Roma e Presidente e della Commissione Ecumenica Diocesana , il significato della « Giornata per l ' approfondimento e o sviluppo del dialogo religioso ebraico - cristiano » , che per la prima volta è stata celebrata mercoledì 17 gennaio . Al giornata rappresenta così un momento alto e ricco di promesse per il cammino di riconcliazione e di amicizia che cattolici ed ebrei hanno intrapreso da ormai molti anni , segnando nel contempo la strada percorsa sinora dalla Chiesa Cattolica con una pietra miliare di grande significato religioso e umano . La Conferenza Episcopale Italiana ha istituito questa nuova iniziativa che si pone come strumento per la conoscenza e la comprensione della religione ebraica . Questo , come ha più volte sottolineato Monsignor Riva , consentirà ai cattolici di sapere di più non solo su un ' altra religione , ma anche e soprattutto sulla propria . Il Vescovo Ausiliario di Roma ha ribadito con vigore la continuità che contraddistingue inequivocabilmente ebraismo e cristianesimo ricordando come la conoscenza di ciò che è differente , ma non opposto , contribuisca a far meglio comprendere se stessi . Per meglio far intendere il significato delle sue affermazioni , Monsignor Riva ha analizzato i contenuti delle due religioni identificando tre elementi nei quali entrambi si fondano : il monoteismo , la legge di Mosè e l ' amore . La fraternità che lega i fratelli maggiori ebrei ai più giovani fratelli cristiani è radicata nella paternità dell ' unico signore . La lezione offerta da Monsignor Riva è stata centrata soprattutto sulla presentazione dei documenti con i quali la Chiesa Cattolica ha nei tempi recenti intrapreso il cammino ancora in atto di riconciliazione con gli ebrei . Il Vescovo ha ricordato il punto di partenza , la Dichiarazione conciliare Nostra aetate , poi gli Orientamenti e suggerimenti per l ' applicazione della Nostra aetate , del 1974 , ed , infine , il documento Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica . Questi documenti trovarono una loro efficace sintesi nel discorso che Giovanni Paolo Il pronunciò nel tempio maggiore della comunità israelitica romana durante la memorabile visita del 13 aprile 1986 . Monsignor Riva ha richiamato l ' impegno e la volontà dei cattolici a superare e vincere l ' antisemitismo che purtroppo non è ancora morto invitando tutti ad essere fiduciosi sull ' esito del dialogo intrapreso , malgrado gli incidenti di percorso . « Ma il cammino andrà avanti nonostante noi - ha affermato - perché è nelle mani del Signore » . La prima parte dell ' incontro è stata animata dalla Prof . Maria Vingiani , Presidente Nazionale del Segretariato Attività Ecumeniche , e dal Prof . Elio Toaff , Rabbino capo di Roma . La Prof . Vingiani ha collocatole l ' iniziativa di questa « Giornata » nel percorso compiuto dalla Chiesa a partire dal 1960 , quando , il 13 giugno , lo storico ebreo Jules Isaac ebbe in Vaticano un memorabile colloquio con Giovanni XXIII . Lo studioso affidò al Papa un suo studio sull ' antisemitismo . Il Papa , profondamente colpito , « passò » il dossier al Cardinale Bea . Da questo avvenimento prese avvio il cammino che ora si arricchisce di una nuova iniziativa con la quale si vuol far sì che la riconciliazione sia non un qualcosa da celebrare e basta ma qualcosa da calare nella vita di tutti i giorni , affinché diventi una vera e diffusa mentalità . Da parte sua , il Prof . Toaff ha « presentato » agli intervenuti la religione ebraica . Questa si caratterizza per essere religione di azione , non religione del dogma , L ' azione è la vera dimostrazione della fede e la fede senza l ' azione è morta . La religione ebraica , fondata da Abramo , perfezionata da Mosé con la sua legge è immutata da millenni . In essa e per essa sono vissuti in Israele o ovunque dispersi nel mondo uomini e comunità che si sono sempre riconosciuti come figli dell ' unico Dio e appartenenti alla sua stirpe sacerdotale . I commenti e le interpretazioni al nucleo immutabile della religione - la misnah e il Talmud - non costituiscono modificazioni della religione ma testimoniano della volontà del popolo ebreo di vivere sempre nel proprio tempo . La celebrazione romana dello « Giornata » si è conclusa con un breve dibattito al quale hanno partecipato sacerdoti e laici . Ne è emersa con chiarezza la necessità che la « Giornata dell ' Ebraismo » sia sempre più « pedagogia » e « catechesi » . È infatti evidente che molto deve ancora essere fatto prime che la riconciliazione , da tutti i relatori ardentemente auspicata , diventi da ideale un po ' astratto una realtà vissuta da cattolici ed ebrei nella loro vita quotidiana . Un aspetto dalla celebrazione va notato . Il luogo dell ' incontro , la « Sala Baldmi » , in piazza di Campitelli , fu il lungo di ricovero , cinquanta anni or sono , degli ebrei della comunità romana che cosa sfuggivano alle retate naziste e ricorda quel Monsignor Baldini che in quell ' epoca fu parroco di S . Maria in Campitelli e che fu poi Vescovo di Chiusi - Pienza . Alla celebrazione ha partecipato un pubblico numeroso , superiore ad ogni previsione . Tra i presenti erano l ' Ambasciatore d ' Italia presso la Santa Sede Scammacca del Murgo , ed esponenti del laicato cattolico e della comunità ebraica . L ' assemblea si è sciolta dopo la meditazione su un brano tratto dal libro del Profeta Michea ( 4 , 1-5 ) , e la recita del salmo l30 : « Dal profondo a te grido , o Signore » .