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16 ANNI DI LIBERTÀ ( - , 1864 )
StampaQuotidiana ,
Qualunque sia il capriccio della stagione , splenda il sole o lo velino le nubi , c ' è una cosa che nessuna stagione più vela , c ' è una bandiera che nessun tempo ci fa più ammainare , c ' è una fede che più non si oscura , e questa cosa è la libertà , questa bandiera è quella dai tre colori , questa fede è quella di Vittorio Emanuele . Erede del primo Re che ha sfoderata la spada per la rivoluzione , figlio del primo campione scettrato per la indipendenza d ' Italia , Vittorio Emanuele ha piantata la statua della libertà sopra un piedistallo di porfido , e l ' Alfiere di Piazza Castello che colla spada sguainata veglia minaccioso al vessillo italiano , non simboleggia che la fierezza , italiana di questo Re , che da 16 anni sta a guardia della risurrezione della patria , e della sua libertà . Salve , Re d ' Italia ! Se sei superbo del tuo valore e della tua fede , n ' hai d ' onde . Gira attorno lo sguardo e sotto le assise dei tuoi guerrieri , sotto il fremito di gioia di questi popoli che ti salutano , nello stesso seguito del tuo stato maggiore , conterai gli uomini che un dì nemici a tuttoché sapeva di regio , ora esultano con Te nella esultanza italiana . Dal sasso dell ' algente Cenisio a quello delle terre vulcaniche , tutta la gentile penisola inneggia oggi alla libertà . Dove segnavano barriere i patiboli , ora sventolano i colori d ' Italia , e se due sorelle mancano ancora al nazionale tripudio , non son esse , nel lutto , meno di noi incrollabili nella fede dell ' avvenire , perché san bene che tutto questo vasto territorio di gente libera , non può da umana forza esser più risospinto nelle tenebre E finché arde la luce , finché questa fiamma è tenuta alta dalla forte tua destra , o Re Vittorio , non può più sorger timore di smarrire la via che ci conduca tutti all ' ultima mèta . La Spagna può avere i suoi Galindi anche nel pieno possesso della sua indipendenza , ma l ' Italia è terra privilegiata troppo da Dio , perché una volta rotta la lapide del suo sepolcro , non torni maestra di civiltà a quanti sono nella barbarie . Salve , o Re d ' Italia ! Era ben tempo che se un Re Galantuomo disertasse dal sinedrio dei Re spergiuri , anche i popoli disertassero dalle mene settarie per salutarlo loro padre e fratello . E Tu sei l ' uno e l ' altro per noi , che sbattuti per secoli nelle ire di parte , e nelle torture dei despoti , ti abbiam veduto scendere dal trono per accomunarti nei diritti ai tuoi cittadini , lasciare la reggia per accomunarti nei perigli del campo ai tuoi gloriosi soldati , gittar la Corona di Principe per aver la gemma dell ' amore della Nazione . E questa Nazione ti ama , perché Tu le provasti di amarla , né ama Te solo ma la tua stirpe intera , perché per quanto audacemente aneli al progresso , ella sente che niuna forma , o niun nome , potrebbe accrescerle lo splendore che Tu le hai conquistato , né garantirle più fortemente la libertà , che dai gradini del trono è a lei discesa . Oh che quella concordia che fu prima autrice di questo glorioso presente , non sia mai una vana invocazione , e quanti amano e sperano si confondano nei voti tuoi , che sono voti sinceri di cittadino più che di Re ! E Voi , fratelli nostri , che tendete ansanti a superare i confini che ancora segnano una linea di lutto in Italia , non vi scoraggiate per ore o per giorni che ci dividano ancora da voi Quando sentirete echeggiare le grida del nostro saluto , gioite e sperate , ché queste grida non sono di egoistico tripudio , ma sì di altissimo orgoglio per trecentomila figli che assordano l ' aria col rimbombo dei loro moschetti , col tuono dei loro cannoni , sono grida di libertà che alla vigilia del 6 giugno l ' Italia manda alla tomba di Santena , per tranquillare lo spirito del Conte Cavour , sulle profetate sorti d ' Italia . Se è morto Cavour , è sempre come torre fermo Vittorio Emanuele , e Vittorio Emanuele è il Re Galantuomo . Nel 1865 solennizzeremo la libertà in Piazza San Marco .
StampaQuotidiana ,
Non è lecito dubitare . A Torino il Presidente del Consiglio ha dichiarato nettamente di essere dall ' altra parte . Per il controllo degli operai sulle industrie . Per la sottomissione a tutte le violenze che sono state compiute e sono compiute da una minoranza , mentre la maggioranza degli operai ha disertato le fabbriche . Presa di possesso , rapina , sequestro di persone , furto , non sono più nemmeno amnistiati ché è tolto ad essi il carattere di reato . Si elabora il nuovo diritto . Il Governo si compiace di dichiararsi impotente . Così , in questa sorte di disgrazia che sono i governi succedutisi in Italia per distruggere la vittoria , Giolitti prende apertamente , deliberatamente la successione di Nitti . Già minacciando di continuare l ' opera ne fasta nella politica adriatica , egli oggi si pone per la politica interna nel quadro della politica di sconfitta , di cui abbiamo segnati i caratteri . Quando la vertenza era dei soli metallurgici , già il Governo aveva dimostrato di favorire la tesi aggressiva operaia e cercava giustificazioni in asseriti torti degli industriali . Ma oggi queste giustificazioni sono impossibili . La vertenza non è più limitata all ' industria metallurgica . Il controllo operaio tocca tutta l ' economia nazionale . Ne scrolla le basi e ne minaccia l ' esistenza , in piena crisi di materie prime , di tonnellaggio , di finanziamento , quando era necessario concentrare uno sforzo nazionale per scongiurare il pericolo del fallimento . Ebbene l ' on . Giolitti appoggiandosi a quelle frazioni e fazioni plutocratiche che portano in sé sempre il germe della sconfitta , l ' abulia nazionale , il senso della sottovalutazione , l ' on . Giolitti , non ha esitato . Egli vuoi continuare nell ' opera di defezione dello Stato . Già nella vertenza dei ferrovieri secondari , il ministro dei Lavori Pubblici , aveva operato come già Nitti nello sciopero dei ferrovieri . Si poteva credere ad un difetto del ministro . Invece no . Siamo di fronte ad un ' azione di governo . O peggio all ' inazione che cerca poi di incollarsi per etichetta un programma . Poiché siamo nella continuazione dello stesso sistema dell ' amnistia ai disertori che tradiva i combattenti e distruggeva il fondamento nazionale dello Stato ; delle trattative del comm . Magno col sindacato rosso dei ferrovieri che tradiva i ferrovieri rimasti fedeli allo Stato . Quando il governo con la sua viltà e partigianeria ha creato una situazione di crisi , e il paese resta smarrito senza guida , anzi col senso del tradimento , allora giustifica la sua inazione con le condizioni del paese stesso . Così ha fatto Nitti . Così continua Giolitti , ritornato al potere perché attendeva che trovasse un punto di arresto nella china fatale . E non c ' è nemmeno lo stile di una sottomissione ad una volontà organizzata poiché questa domanda di controllo sulle fabbriche è stata improvvisata perché non fosse da una parte misurata l ' impotenza massimalistica e dall ' altra travolta l ' organizzazione privilegiata proletaria , le cui schiere sono quasi tutte costituite dagli esonerati . L ' esperimento della presa di possesso è una cosa ridicola destinata all ' esaurimento . Ma come Nitti intervenne a trattare col sindacato rosso proprio quando lo sciopero ferroviario era vinto , così Giolitti interviene in favore del controllo , quando l ' esperimento della gestione diretta è fallito . Quando cioè l ' assenteismo del governo , che ha lasciato occupare le fabbriche , poteva forse trovare un ' assolutoria nella dura esperienza cui sono costrette le masse operaie . L ' intervento dell ' on . Giolitti è però la confessione di una defezione dello Stato e di una incapacità di governo . Con la prima si subisce l ' esperimento di una gestione , quando lo Stato doveva garantire all ' economia nazionale il massimo sforzo per poter fronteggiare il carico finanziario e correggere il terribile sbilancio commerciale . Con la seconda si vuole la resa a discrezione a chi non ha altra forza che la debolezza , lo smarrimento , la vergognosa esibizione di sottomissione della parte avversa . Oggi gli industriali debbono decidere . Ma la libertà , la possibilità della loro decisione sono infirmate . L ' on . Giolitti ha dichiarato di non essere neutrale . Ma partigiano . E , quel che è peggio , partigiano per incoscienza e per impotenza . Cioè per servitù . Così la generazione di Adua tenta di strangolare la vittoria .
Corrado Alvaro ( Vergani Orio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
È morto Corrado Alvaro . Il mio primo ricordo di lui risale al tempo in cui - sradicato dalla nativa Calabria , ventenne , mutilato sul Carso , fatto esperto da una prima esperienza giornalistica al « Carlino » di Bologna e poi al « Corriere della Sera » - arrivò a Roma . Doveva essere fra il '19 e il '20 . Le date precise non contano , nel ricordo : ma il colore del . tempo , la stagione della storia . Erano giorni decisivi , nel senso morale , soprattutto per la generazione dei giovani e per il maturare o per il doloroso frangersi o corrompersi delle loro intelligenze e delle loro speranze . Giorni decisivi anche per l ' arte e per la letteratura , e non solamente in Italia . Per quanto Marinetti fosse di parere contrario , il futurismo era già da tempo avviato al tramonto . Non si considerava possibile il rinascere dei movimenti fiorentini della « Voce » di « Lacerba » . « La Ronda » parlava di un ritorno all ' ordine , riunendo nelle sue pagine le prose di alta solennità di Cardarelli , i saggi teatrali di Riccardo Bacchelli , la tempesta immaginifica del grande « barocco » di Bruno Barilli . Era una stagione molto singolare . D ' Annunzio aveva trovato una nuova clausura fra gli ulivi del lago di Garda . Grazia Deledda scriveva con regolarità i suoi romanzi , lavorando dalle nove alle undici del mattino in una modesta villetta impiegatizia di via Porto Maurizio , sulla stessa tavola dove avrebbe poi steso la tovaglia per la colazione della sua famiglia . Luigi Pirandello era ancora catalogato fra i cosiddetti « scrittori ameni » . Federigo Tozzi entrava da Aragno solo per uscirne in preda a un violento corruccio . Odiava - e lo dichiarava - le chiacchiere . Fra i ragazzi di quegli anni - che forse davano un po ' presuntuosamente del « tu » a tutti - il giovane Alvaro era già « qualcuno » . Le sue poesie di ispirazione militare - le Poesie grigioverdi , stampate da un libraio editore che aveva bottega a due passi da Aragno in via delle Convertite - lo avevano reso noto . Quei versi erano stati scritti nella corsia di un ospedale militare , a Bologna , dove il sottotenente Alvaro - bel nome romantico e spagnolesco - era andato a rieducare alla meglio le mani mutilate . Si era curiosi , quando il giovanotto arrivò a Roma , di vedere da quale parte si sarebbe indirizzato , in quale « scuola » si sarebbe irreggimentato , quale « capo » avrebbe scelto . Così si ragionava a diciotto e a diciannove anni . Quello che vedemmo era un giovane che non sorrideva mai , o pochissimo , che aveva rare conoscenze e non desiderava forse di averne . Accompagnato talvolta dalla giovane moglie , sedeva a un tavolino appartato del famoso caffè letterario , dove non c ' era giornalista che non entrasse per dare un ' occhiata . Era piuttosto piccolo di statura : un vero fante , un vero « soldato meridionale » come quelli che aveva avuto vicini in guerra : ma dei « meridionali » , almeno come li immaginano i « manieristi » , non aveva certamente il volto . Della sua terra dell ' Aspromonte , la faccia custodiva un ' antica , silente melanconia : i suoi lineamenti erano in modo singolare assomiglianti a quelli di un mugik russo , forse di un piccolo fante russo . Il suo viso sembrava modellato dallo stesso pollice che aveva plasmato il volto di Massimo Gorkij . Spesso « il volto è l ' uomo » , è modellato dall ' anima dell ' uomo . Ce ne accorgemmo quando ci accadde di leggere i primi racconti firmati da Alvaro . La melanconia , la mestizia , la desolazione non hanno paesi precisi . Il dolore umano è uguale nella steppa slava e sui monti di Calabria . Alvaro veniva dal grande ceppo del « regionalismo » italiano . Solamente le acque dello stretto di Messina lo separavano da Giovanni Verga . Era dello stesso sangue , letterariamente , di Federigo Tozzi , così duramente radicato fra le « crete » senesi e i vicoli foschi della sua Siena . Erano tempi , in sede europea , di narrativa cosmopolita . Ma su Alvaro non operavano gli incantesimi delle metropoli e delle terre lontane . Il suo cuore era rimasto ancorato ai monti di Calabria come quello di Grazia Deledda ai sughereti e alla « tanca » della sua Sardegna . Si trattava di una fedeltà poetica : la fedeltà ai segreti miti tragici della povera gente nelle ultime , contorte vallate dell ' Appennino . In quel cerchio di ricordi del mondo esplorato e vissuto durante la prima giovinezza , Alvaro doveva compiere i suoi schietti , profondi , sicuri approdi di scrittore . Nei romanzi - in quell ' Uomo nel labirinto , che resta fra gli esemplari della sua generazione , e in quell ' Uomo e forte pubblicato molti anni dopo - la sua indagine si svolse in più profonde psicologie , in più folte tenebre , in più complesse angosce . Ma il suo « mondo » trovò la sua definizione completa in quei racconti della sua terra che concludono , in una misura degna del maestro e della tradizione , il tempo che si iniziò con Verga e che ebbe il suo ultimo fiorire con Tozzi e con Alvaro . Giornalista fu sempre , anche se negli ultimi anni aveva potuto raccogliersi e risparmiarsi in pagine e fatiche meno rapidamente professionali , sostando anche sui piani di un suo meditare che si volgeva all ' intimità di quella « condizione umana » che con termine più facile viene chiamato il problema delle nuove società . Era stato - negli anni della giovinezza - a Parigi : e più tardi in Russia . Non si può dimenticare ciò che egli seppe vedere allora con il suo sguardo apparentemente lento e quasi immoto . Le sue emozioni di viaggiatore in mondi lontani erano tutte in rapporto a una facoltà meditativa che pareva derivasse dal fondo greco che sta alla base di ogni uomo nato in vista del Mediterraneo . Per tutta la vita , fu un « uomo in disparte » chiuso negli stessi silenzi , rotti da poche parole e da improvvisi affetti , che da ragazzi conoscemmo al terzo piano della sua casa in via Sistina dove abitava quasi di fronte alle finestre dietro alle quali aveva vissuto Gogol ' . La vita non gli era stata facile , era stata talvolta dura e anche di alto dolore . Dissentiva dal fascismo , ma non ebbe , alla sua caduta , rancori o ironie . Del suo paese soffrì la tragedia . Era un animo nobile : un solitario .
TORINO, 25 SETTEMBRE ( - , 1864 )
StampaQuotidiana ,
Ed ora che importa di fare ? Importa di far conoscere all ' Italia il vero carattere dei moti di Torino . Importa si sappia che Torino ha parlato per l ' Italia , e non per sé , come vorrebbero far credere i nostri nemici . Importa che il nuovo ministero non abbia carattere piuttosto piemontese che siciliano , lombardo che napolitano , e via dicendo . Importa in una parola tener fermo più che mai ad un programma veramente , grandemente ITALIANO . Perché ci siam noi dichiarati ostili alla Convenzione ? Forse per la sola ed abbietta ragione ch ' essa ledeva gli interessi di Torino ? No certo perché se un tale egoismo avesse forza in questi paesi , invece di provocare continuamente per un decennio intero la terza riscossa , essi sarebbero chiusi ad ogn ' idea di guerra nazionale , per godersi una pace che la situazione dell ' Europa avrebbe guarentita . Torino dunque ha avversata la Convenzione colla Francia anzitutto perché la crede funestissima all ' Italia . E qui , poiché i nostri avversari si studiano di trarre in inganno le popolazioni circa le origini di questa discussione , ci si permetta per conto nostro un po ' di rivista retrospettiva . Il giorno in cui la Convenzione colla Francia fu conosciuta in seguito ad una indiscrezione più o meno volontaria della stampa officiosa , noi ignoravamo ancora la clausola segreta del trasferimento della capitale , né vi avremmo pensato neppur per sogno , sia perché avevamo prestata fede alla smentita risolutissima data dall ' Opinione , sia perché non viene in mente a nessuno che un fatto interno , come il trasferimento della sede del governo da luogo a luogo , possa fare oggetto di convenzioni internazionali , salvo il caso in cui uno dei due governi subisca la legge dell ' altro . Noi dunque scrivemmo il seguente articolo : « Torino , 17 settembre La conclusione d ' una convenzione od accordo colla Francia per l ' intiera cessazione dell ' occupazione francese in Roma sembra ormai un fatto compiuto e ( salvo il caso di articoli segreti ) essa sarebbe un avviamento allo scioglimento definitivo . « I francesi si ritirerebbero da Roma entro due anni , tempo stimato sufficentissimo perché il governo papale possa formarsi una forza militare sua propria . « Il governo italiano dal canto suo prenderebbe l ' impegno di non invadere né lasciare invadere il territorio pontificio , sicché i romani resterebbero soli giudici di conservare o licenziare il Papa e la guardia pretoriana di esso . « Oltre a ciò assumeremo a nostro carico una parte proporzionale del debito romano . « Come ben dice il Cittadino d ' Asti « non è questa ancora una soluzione , ma sarebbe tuttavia tale atto che metterebbe fine ad una incertezza Ia quale , mentre è cagione di gravi imbarazzi alla Francia , è permanente motivo di malessere all ' Italia . Eppertanto tutto il partito liberale temperato sarà senza dubbio disposto ad accettarlo come un pegno della più intima amicizia che sarebbe ristabilita tra il Regno d ' Italia ed il governo imperiale di Francia » . « Ma ci sono dei ma assai forti che meritano molte serie considerazioni . « Così per esempio non soccombiamo sotto il peso della quistione finanziaria , e se per prima condizione ci si accrescono i debiti , evidentemente i due anni d ' aspettativa saranno d ' altrettanto più duri per noi che non pel governo papale . « Aspettando gli utili cominceremo con averne il danno . « Si dirà forse che questo aumento di spesa sarà compensato da una condizione sottintesa , cioè dal disarmo ? « Ma allora per non aver Roma se non che in modo eventuale in avvenire noi rinuncieremo fin d ' ora e in modo esplicito a Venezia . « La questione è molto grave . « Sul bilancio della guerra si possono fare molte e importantissime economie , ma non tali da far contrappeso all ' aggravio che ci verrebbe dall ' assunto debito romano , se pur non volessimo intaccare l ' organizzazione stessa dell ' esercito anziché limitarci all ' invio di più classi in congedo . « Oltre a ciò è forte da temere che i partiti invece di quietare s ' inasprissero , tanto più se s ' aggiungessero altre condizioni ancora ignote . « In conclusione la combinazione immaginata tra il governo francese e l ' italiano , nei termini in cui finora è fatta conoscere , esprimerebbe le migliori intenzioni da ambe le parti ; ma siccome il governo italiano si addosserebbe nuovi pesi immediati senza essere sicuro che entro i due anni lo scioglimento di Roma arrivi a giorno fisso , così temiamo assai che contro il volere dei contraenti la convenzione invece di essere utile all ' Italia e dannosa al governo pontificio sia un ' arma a doppio taglio che possa facilissimamente ferire l ' Italia sola . « Infatti in due anni può aver luogo un mondo di avvenimenti tutti a nostro danno , e non un solo in favore , perché ad ogni modo noi saremo vincolati per tutto il biennio . « Il primo di questi avvenimenti già s ' intende , sarebbe il pagamento dei milioni del debito pontificio ; e questo sarebbe certo . « Il secondo una crisi qualunque in Francia che desse motivo più o meno fondato al governo di Parigi di prolungare l ' occupazione anche oltre quei due anni . « Il terzo una crisi qualunque in Italia , e questa pur troppo non pare improbabile se non iscongiuriamo la fatale iettatura che perseguita le nostre finanze . « Egli è evidente che al primo sorgere d ' un pericolo interno ci si direbbe dopo il biennio : « Non siete forti abbastanza per guarantire che il Papa non sarà attaccato , e perciò con grandissimo nostro dispiacere noi resteremo ancora a Roma » . Di guisa che la convenzione non avrebbe portato alcun altro risultato se non che i milioni del debito papalino invece d ' essere pagati dal Papa , lo sarebbero dal governo italiano , cioè dagli avversari politici del Papa . Saremmo insomma i minchioni della farsa . « La condizione dell ' Italia , peggiorata d ' assai , potrebbe divenir tale da rendere problematico , non che il conseguimento dell ' Unità completa con Roma e Venezia , anche la conservazione di ciò che esiste fin d ' ora . « Quindi è che concludiamo : « la combinazione di cui si parla può essere buona ma a patto che la nostra condizione finanziaria non ne resti aggravata sotto alcun aspetto , e che non sianvi condizioni che gettino la discordia fra gli italiani , come sarebbe quella di una rinuncia esplicita od implicita a Venezia . « In caso diverso meglio , assai meglio la libertà d ' azione finora goduta . Essa ha certo i suoi inconvenienti ma di gran lunga minori di quelli che scaturirebbero da un contratto il quale in fin dei conti non vincolerebbe che noi soli , che portando nuovi aggravi e fortissime cagioni di discordie tenderebbe ( senza volerlo ) assai più allo sfasciamento che al consolidamento di questa Italia » . Ecco in qual modo oppugnammo la Convenzione sin dal primo giorno , e la pacatezza di parole così disinteressate è la migliore risposta che possiam fare ai nostri nemici . La clausola segreta del trasferimento cominciò a trapelare in città nella giornata stessa del 17 . E non era per fermo tal condizione da farci mutar parere intorno al complesso della Convenzione ! Noi vi vedemmo l ' abbandono di Roma , noi vi vedemmo una ragione di più per respingere un trattato fatale , ma indipendentemente da qualsiasi considerazione torinese per la buona ragione che non esitammo giammai a combattere anche Torino quando Torino ci parve aver torto , e sono note le nostre polemiche contro il municipio durante anni ed anni . Invano i nostri avversari vollero trarci sul campo municipale facendo suonar alta la quistione dei compensi . Noi non riconoscemmo che la quistione italiana . Non è in campo Torino ; è in campo Roma . Torino non ha protestato per se sola ; ha protestato per l ' Italia . Ed è questa la condotta in cui dobbiamo persistere con fermezza . Il cambiamento di ministero non risolverebbe la quistione ( come ha già osservato il Diritto ) ; ed infatti la Convenzione colla Francia esiste tuttora , e ci crea una situazione piena di difficoltà . Se sarà eseguita , evidentemente non diverrà migliore per ciò solo che la eseguirà Lamarmora piuttostoché Minghetti e Peruzzi . E nel caso contrario i nostri nemici presenteranno il fatto come trionfo esclusivo del così detto piemontesismo , per suscitare nel resto d ' Italia una reazione contro Torino e il Piemonte . Questa situazione , di cui l ' Italia va debitrice al ministero scivolato nel sangue , è molto grave . E se per risolverla , se per potere annullare una Convenzione che già sin d ' ora ha portato all ' Italia assai maggior danno che una battaglia perduta è necessario un ministero inaccessibile all ' accusa di piemontesismo , noi saremo i primi ad appoggiarlo . Né esitiamo a riconoscere che un ministero con prevalenza di piemontesi di qualsiasi colore sarebbe il meno acconcio ad ottenere un tale risultato . Noi crediamo che per la salvezza d ' Italia la Convenzione non debba eseguirsi , ma il suo annullamento deve essere fatto in modo che non sia né sembri una vittoria esclusiva di Torino . Non è Torino che deve vincere , ma la causa d ' Italia , la causa della unità , la causa della libertà , ROMA !
NON DISARMARE ( - , 1921 )
StampaQuotidiana ,
A che cosa miravano , da quale motivo erano animati i barricadieri di Firenze e gl ' incendiari di Trieste nel perpetrare i loro atti terroristici ? Non dal disagio economico e tanto meno dalla fame . La fame e il disagio economico non possono più compiere la loro classica funzione di cattivi consiglieri presso una classe che oramai ha raggiunto salari notevolmente più alti del reddito medio che l ' economia nazionale comporti . Se fosse il disagio economico ad alimentare un qualsiasi proposito rivoluzionario , prima di arrivare alle odierne categorie di rivoltosi , esso dovrebbe svolgere la sua attività istigatrice presso infinite altre categorie e ceti , che , pur lottando per i loro miglioramenti , forniscono invece i contingenti più numerosi e più volenterosi alla difesa dell ' ordine . Nelle attuali condizioni della economia nazionale , si comprenderebbero più facilmente gli impiegati dello Stato e gli ufficiali dell ' esercito a dar fuoco agli uffici e alle caserme , che non gli operai incendiare gli opifici e i contadini devastare i campi . E non dal bisogno di scuotere il giogo di una opprimente oligarchia politica , ché il cosiddetto regime di libertà e il suffragio universale e i pavidi governi borghesi hanno ormai già finito di trasformare gli oppressi in oppressori e d ' insediare le camarille socialiste in buona parte dei municipi italiani . E neppure infine dalla fondata speranza di potere instaurare un ordine nuovo quale esso sia , ché essi sanno per prova quanto salda sia la fedeltà dell ' esercito e quanto deliberato il proposito di tutte le classi non esclusa la grande maggioranza di quelle a cui essi stessi appartengono , a non consentire attentati all ' ordine costituito . Or dunque , né la necessità , economica o politica , né una grande passione , per quanto errata , né uno scopo ritenuto possibile , se anche non probabile , possono invocarsi a giustificare , o almeno a spiegare , la furia insurrezionale che si è venuta determinando in questi ultimi giorni . Siamo dunque di fronte alla rivolta gratuita , alla rivolta senza causa e senza scopo , alla rivolta per la rivolta . Un simile atto nel mondo della delinquenza individuale si chiamerebbe un delitto per brutale malvagità . La cosa e il nome non possono mutare se invece di uno siano in mille , o in diecimila , a compiere gli stessi fatti . Ciò che è avvenuto a Firenze e a Trieste non merita il nome di rivoluzione e neppure di rivolta , ma di follia criminosa di parossismo delinquente , che invano si cercherebbe di spiegare con l ' azione di cause attuali di qualsiasi specie , ma solo con l ' azione atavica di antichi istinti sanguinari . Di fronte ad un fenomeno simile è assurdo e pericoloso pronunziare parole di pace . Ogni atteggiamento conciliatore sarebbe una dedizione , che darebbe nuova esca al furore criminale , che imperversa per le città e per le campagne d ' Italia . Noi rifiutiamo di associarci all ' opera di pacificazione che da più parti s ' invoca . Lasciamo questo compito ai politicanti borghesi , abituati a comprare ora per ora , a furia di compromessi e a prezzo della propria dignità , il diritto di vivere , e ai politicanti socialisti che , pur fingendo di deplorare gli eccessi , hanno tutto l ' interesse di mantenere in vita la criminalità rivoluzionaria , per ricattare la borghesia e consolidare il loro potere personale . E lasciamo ai politicanti comunisti di speculare sulla vanità dei crimini odierni , per gridare la faute ... a Serrati . Noi , abituati a dire parole nuove e ingrate alla vecchia Italia borghese e socialista , diciamo che ogni tentativo di pacificazione è una commedia indegna , e che non si deve disarmare fino a che il nuovo brigantaggio che infesta l ' Italia non sarà distrutto alla radice .
Bruno Barilli ( Vergani Orio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Costretto a vivere in uno studio da pittore , di quelli all ' antica con la luce che piove verticale e accademica dall ' alto , attraverso ai vetri di un lucernario sul quale passa l ' ombra volante dei piccioni e delle rondini , Bruno Barilli s ' addormentava con la luna e le stelle che gli « battevano » in faccia . Rincasava a tarda ora , arrivando alto e spettrale da via del Babuino e da piazza del Popolo , dove non c ' era altra voce al di fuori di quella delle fontane attorno all ' obelisco : si inselvava in un parco cintato che fiancheggiava Villa Borghese , dove un vecchio signore olandese , dalla barba e dai silenzi simili a quelli di un mago , aveva costruito certi padiglioni a forma di baita per affittarli , in cambio di pochissima moneta , agli artisti che avessero voluto vivere in una specie di labirinto arboreo , lontani dai rumorosi selci delle strade di Roma e dal vocio dei vetturini e dei cocomerari . L ' arredamento dello studio era costituito da un materasso buttato su due trespoli , i vestiti si attaccavano a quattro chiodi , la biancheria stava per terra , fra due fogli di giornale . Nelle notti di estate , nella stagione degli amori , arrivavano fra gli alberi il ruggito dei leoni e l ' urlo delle tigri chiusi nelle gabbie del vicino Giardino Zoologico . All ' alba il sole illuminava il letto sfatto , la grande figura del dormiente e il lungo volto ossuto traversato , all ' altezza degli occhi , da una larga benda di seta nera . Barilli - in quello scenario da Fantasma dell ' Opera - usava le sue precauzioni per difendersi dalla luce . Sul pavimento un tappeto balcanico , avanzo dei ricordi di antichi viaggi , pareva , con le sue ruvide lane rosse , una larga traccia di sangue . Questo è un ricordo vecchissimo , quasi antico : risale al tempo in cui , se ritroviamo la loro immagine , gli uomini sono ancora vestiti in costume , con la bombetta , con le ghette , con grande sciupio di amido per i colletti e i polsini . Le donne si tingevano gli occhi con una ditata di cerone azzurro e le adultere , nascoste sotto al mantice di tela cerata delle carrozzelle , riparavano il viso sotto velette fiorate . Se prestavi l ' orecchio , sulla dirittura del Corso pareva di udire ancora l ' eco delle corse dei « barberi » e per via Gregoriana il passo di Andrea Sperelli . Ogni tanto sfilava qualche gruppetto di arditi , con il fez nero dal lungo fiocco , che parevano usciti da una stampa del Callot . Era , insomma , il tempo fra il 1918 e il 1920 , quando i sottosegretari dei governi non avevano ancora a disposizione l ' automobile , ma una vasta carrozza foderata di panno verde . Bruno Barilli , scrittore di musica , violoncellista , figlio di uno scenografo del Regio di Parma , marito di una nipote del re Pietro di Serbia , erede di una duplice assomiglianza con Berlioz e con Niccolò Paganini , rosso nei capelli cespugliosi , scavato nel volto come il personaggio di un disegno di Gustavo Doré , povero in canna , lungo come un flauto , avvolto in larghi abiti di serge blu , il candido colletto floscio sventolante con i due pizzi sotto alle lunghe mascelle , sembrava arrivare dritto dritto dalla soffitta dove vivevano i personaggi dei racconti di Hoffmann , di Poe , di Gérard de Nerval . Quando , nel 1924 , gli fu offerto di raccogliere le sue prose in un volumetto , che ebbe per titolo Delirama e che segnò un punto preciso come libro essenziale della letteratura italiana di questo primo mezzo secolo , Barilli si era guardato attorno lieto e impacciato . Dove , come ritrovare i suoi scritti ? Ne aveva disseminati nelle « terze pagine » , non li aveva mai conservati . Solo la buona volontà di Emilio Cecchi poteva compiere il miracolo di recuperare quelle settanta - ottanta preziose paginette . Di qualcuna che non era possibile scovare da nessuna parte , Bruno trovò la traccia a lapis su vecchi programmi del Costanzi e dell ' Augusteo o nel rovescio di qualche biglietto d ' ingresso . Anche di correggere le bozze si incaricò Cecchi , perché Barilli non lo sapeva fare e perché , come al solito , doveva partire . La vita di Barilli fu effettivamente una continua partenza . Era incapace di avere una casa , un recapito , un indirizzo . Viaggiava , lasciava la valigia con il frac al giornale , arrivava trafelato , si cambiava in redazione , si cibava durante lo spettacolo con un cartoccetto di bucce d ' arancia candite , prendeva le sue note al buio appoggiando il taccuino sul ginocchio ossuto . Non c ' è da stupirsi che i suoi libri e i suoi articoli uscissero a urlo di lupo . La povertà , la melanconia , la difficoltà di farsi capire come musicista , un orgoglio leonino e un animo di fanciullo sperduto , l ' incapacità agli accomodamenti e alle alleanze , le lunghe amnesie , le ansie e i triboli di una vita solitaria disperdevano la sua vita come quella di un esiliato . Compiuti gli studi a Parma assieme a Ildebrando Pizzetti , il figlio del pittore Cecrope Barilli è diviso fra la creazione musicale , l ' estro letterario e la vocazione per la vita nomade . Prima della Grande Guerra è a Parigi che resterà spiritualmente , dopo Parma , la sua seconda patria . Il suo animo illuminato e stoico gli permette di vivere con quasi nulla , gli consente i più duri adattamenti . Viaggia qua e là per l ' Europa . La prima guerra balcanica lo sorprende in Serbia . Invece di tornare in Italia - non vuole , perché si è innamorato di una nipote di re Pietro , e , contro la volontà del sovrano , finirà per sposarla e per avere da lei una figlia , Milena - telegrafa al « Corriere della Sera » offrendosi come inviato al fronte . Aveva già scritto per « La Tribuna » . L ' offerta è accettata dagli Albertini . Barilli però non è tipo di adattarsi a un giornalismo rigoroso che finirebbe a non lasciargli tempo per la musica : per scriverne e soprattutto per pensarla e amarla . Ritorna a Parigi e si sfama e sfama la piccola Milena suonando il violoncello nelle orchestrine dei caffè . Suona anche il pianoforte in qualche cinematografo di periferia . Conosce il russo . Si lega d ' amicizia con i musicisti e con le ballerine della prima troupe di Diaghilev quando questi cala a Parigi . Sono i tempi in cui impara a cibarsi di valenciennc ' e di acqua . Il richiamo della sua classe lo riporta in patria , con un berrettuccio da ufficiale calcato sui capelli rossi . Riappare a Parma e a Roma . È uno strano ufficiale che pretende di farsi la barba con un paio di forbicine da unghie . Questa è un ' abitudine che gli resta per tutta la vita : le sue forbicine lavorano al caffè , in strada , in tutti i momenti in cui Barilli naviga tra le sue fantasie . Sono gli anni in cui , dopo avere scritto Medusa , compone 1'Emiral . Dove ? In quello studio da pittore di villa Strohl - Fern , non c ' è l ' ombra di un pianoforte . Barilli non può permettersi di noleggiarne uno e si fa assumere come pianista in un piccolo cinema dalle parti del Vaticano . Deve accompagnare i film muti . Nelle ore del primo pomeriggio , quando in sala ci sono soltanto due , tre coppie di innamorati che non fanno attenzione né al film né alla musica , Barilli , tranquillo come se fosse nel proprio studio , lavora all ' Emiral . Gli amici della « Ronda » sono curiosi di conoscere l ' opera . Barilli invita tutti al cinematografo e , durante la proiezione di un film di Tom Mix , la suona . Fa tutti i mestieri , solo perché si è promesso di non fare « musica di mestiere » . Per pagarsi questo lusso , diventa comparsa nei film muti . Diventa anche attore . Caramba gli fa interpretare la parte di Virgilio , in una specie di fantasia sulla Divina Commedia , e Arnaldo Fratelli , che in quegli anni è regista , lo sceglie per protagonista della Rosa , il primo film tratto da una novella di Pirandello . Barilli recita bene , puntuale , disciplinato . Rifiuta solo una sequenza dove deve figurare in terra , morto , con vicino una candela . Per scaramanzia ? No . Perché gli pareva fa scena della morte di Scarpia e , come musicista , quella scena della ' rosea non gli piaceva . La sua carriera è stroncata da un atto di sincerità artistica nel quale sa di giocare tutte le sue già tanto precarie fortune di operista . Dopo la prima del Nerone , a Milano , scrive in un giornale romano una fiammeggiante bellissima pagina di prosa nella quale Boito , Mefistofele compreso , è fatto in briciole . L ' industria del teatro d ' opera non gli perdonerà mai quell ' articolo che , dal punto di vista critico , è perfetto . Non si può più ascoltare Boito senza ricordare la stroncatura di Barilli . Ma sono gesti che pesano : lo scrittore di musica è messo al bando dai giornali benpensanti che non amano le « grane » . Se vuole mangiare , Barilli deve trasformarsi in scrittore di viaggi . Dal suo periplo dell ' Africa , nasce il più bel libro italiano su quel continente . La poesia melanconica , la cupa segreta disperazione di Barilli si riflettono nell ' Africa e negli occhi delle sue umili genti come in uno specchio nero . Al termine del viaggio , si ammala e resta per tre mesi in fin di vita , al Cairo . La sua fine è segnata . Le sue capacità di lavoro - un lavoro lento , fatto di raccoglimento e di lunghissime osservazioni - diminuiscono . Vive solitario in una stanzuccia d ' albergo a Roma , sorretto da un solo entusiasmo . Sua figlia Milena , che è emigrata negli Stati Uniti , si è fatta un buon nome come pittrice , e aiuta il suo strano papà mandandogli in dono quadri da vendere . Bruno si intenerisce e , invece di venderli , attacca i quadri alle pareti della sua camera . Vive poveramente , dignitosamente chiuso nei suoi vecchi vestiti azzurri , scrivendo ogni tanto , a fatica , qualche elzeviro . Sembra che abbia dimenticato di essere un musicista . Un giorno , un telegramma dall ' America gli annuncia che Milena è morta cadendo da cavallo . Bruno si avvia al naufragio . Continua a vivere in silenzio a tazze di tè , di grissini , di valenciennes . Perde uno alla volta i denti . Si riconosce alla fine nello specchio come un triste vecchio sdentato . I suoi scritti non sono ormai che la tragica storia di una decadenza . Una sera , trova in albergo l ' avviso di andare alla stazione a prendere un pacco in arrivo da New York . È la cassettina con l ' urna che contiene le ceneri di Milena . Tutti sapevano quanto la prosa italiana - e non solamente la prosa , perché il riflesso dell ' arte di Barilli ha agito in vari modi a cominciare , per esempio , dalle composizioni pittoriche e dal clima fantastico del pittore Scipione - doveva a Bruno Barilli : ma da questo ad avere per lui un segno fattivo di riconoscenza il passo è stato lungo e incompiuto . Sembra fosse stato firmato un decreto che , nominandolo ispettore musicale di un istituto cinematografico , gli avrebbe assicurato il pane . Il decreto è arrivato quando , in clinica , Barilli già vaneggiava e dal fondo del suo letto come chiamando una amica , ripeteva con voce ancora ferma : « Avanti , Morte ! » .
StampaQuotidiana ,
Guardiamo sempre a Santena , e Santena ci risponde : Venezia e Roma . Guardiamo ai convenzionisti , e ci rispondono : Tappa e disarmo . Ebbene , no . Né tappa né disarmo . Quest ' è il nostro programma dell ' avvenire , questa la posizione nostra franca , netta , decisa . Ma la Convenzione è legge . Sì , è legge , e la rispetteremo . Ma noi le daremo altro sviluppo da quello che intenderebbero darle i loro autori . Mentr ' essi abdicarono al programma del Conte Cavour , noi lo vorremo compito fino alla sua ultima sillaba . Noi , soli difensori delle Questioni urgenti di Massimo d ' Azeglio quand ' era vivo Cavour , contro il briaco schiamazzare d ' una stampa che appena allora vagìa di politica , noi non apostatiamo alla nostra fede come fan essi che oggi accettano quello contro cui bestemmiavano allora . Noi , cui piacque sentir le nobili ire della stampa a noi ostile contro il programma di raccoglimento del Conte di San Martino , non apostatiamo oggi al nostro grido che « il disarmo con Venezia in catene sarebbe tradimento » , ma subendo la inesorabile necessità a cui ci trascina la Convenzione fatta legge , ci adopreremo perché si arrestino , per quanto è possibile , le ultime conseguenze di un atto che ci condurrebbe sa Dio a quali tristi sciagure . Per far ciò bisogna che il Piemonte corra dietro all ' Italia , che gli si tenta rapire . Bisogna rispettare la legge del trasporto ma star sentinelle col moschetto al viso per attendere l ' ultimo minuto dei due anni in cui la Francia s ' è impegnata a trarre il Corpo d ' occupazione da Roma . Bisogna completare l ' Italia con Venezia nostra , colla Monarchia in Campidoglio . Eccoci fermi nei nostri principii , eccoci saldi sempre alla nostra bandiera . Chi vede in noi il municipalismo , ci guarda colle lenti proprie . Come non conosciamo consorterie , come non conosciamo partiti , come non conosciamo interessi che ci leghino a una piuttostoché ad altra contrada , così non conosciamo municipii . Il nostro campanile è in Campidoglio . Il nostro programma è quello del Conte Cavour !
LA «PACE» INTERNA ( - , 1921 )
StampaQuotidiana ,
Ogni sforzo diretto a porre fine alla violenza e a conciliare gli animi esasperati non può non essere guardato con benevolenza e secondato con sincero desiderio di successo . Ma perché il successo sia non apparente , ma reale e fecondo di utili risultati per il Paese , bisogna che i vantaggi conseguiti dalla parte nazionale sulla parte antinazionale , dall ' Italia sull ' antitalia abbiano pieno riconoscimento e siano consolidati in quel nuovo stato di fatto , che seguirà all ' accordo . Diversamente sarebbe non una pace , ma una semplice tregua a tutto vantaggio dei nemici interni , che la pusillanime tolleranza o assenza dei governanti aveva resi audaci e spavaldi e che la spontanea reazione delle giovani forze nazionali , dopo averli costretti ad una disperata difensiva , li ha ridotti a chiedere mercé . Il Popolo italiano non è una scolaresca in vacanza , che dopo avere giocato alla guerra , si diverte a stipulare la pace . La pace interna deve essere una cosa seria , appunto perché la guerra interna è stata una cosa triste ed atroce . Come coi nemici esterni così coi nemici interni l ' Italia non può volere una pace di compromesso , ma una pace vittoriosa . Ora una pace vittoriosa all ' interno non può voler dire semplicemente la fine della materiale violenza , ma il riconoscimento pieno ed universale della supremazia morale dell ' Italia , l ' osservanza per tutti del culto , per lo meno esterno , della Patria . Se la fine della violenza non deve essere l ' effetto dell ' esaurimento fisico delle parti contendenti o di un intervento coercitivo del potere pubblico , ma l ' oggetto di una regolare stipulazione contrattuale , questa non può avere per presupposto il diritto ad una incondizionata libertà di manifestare e di esaltare la propria idealità , anche se in contrasto ed in ispregio con l ' idea sovrana di Patria . Non si può contrattare il rispetto alla bandiera nazionale , mediante il corrispettivo del rispetto alla bandiera rossa . Al disarmo materiale della parte nazionale deve corrispondere da parte degli elementi sovversivi il disarmo degli spiriti almeno nelle loro manifestazioni esteriori . Ora sono gli uomini , che si assumono la responsabilità di rappresentarli , in grado di garantire che non avranno più a ripetersi gli oltraggi alla bandiera nazionale , il vilipendio dell ' esercito , gli insulti ai combattenti e le offese alla vittoria italiana , che già furono in onore nelle manifestazioni pubbliche e sulla stampa di loro parte ? Di non permettere più lo sventolio delle bandiere rosse nei loro municipi e nelle sedi delle loro organizzazioni , i voti antipatriottici nei loro consessi ? Se sì , firmino pure l ' accordo e la pace sarà fatta . Se no , è perfettamente inutile che si reciti la commedia della pace interna , mediante la stipulazione di un regolare protocollo di rappresentanti senza credenziali . È inutile , perché la violenza , non potrà mai essere eliminata finché permangono le provocazioni alla violenza . Noi non possiamo ammettere che i simboli della Patria , come la bandiera nazionale , e gli organi essenziali della Patria , come l ' esercito , siano identificati ai simboli e agli organi di un partito e quindi equiparati , nel mutuo rispetto e nella mutua tolleranza , ai simboli e agli organi di un altro partito , che disconosce la Patria in tutti i suoi attributi e in tutti i suoi simboli . Perciò un accordo per la pacificazione non può avere per oggetto che o la garanzia dei capi socialisti dell ' ossequio da parte dei loro seguaci alle forme e agli istituti che incarnano e simboleggiano la maestà della Patria ; o l ' impegno da parte degli stessi capi di consentire acché lo Stato reprima fermamente , anche , se occorre , mercé nuovi provvedimenti legislativi , ogni forma di vilipendio alla Patria e ogni offesa alla coscienza nazionale .
Luigi Barzini senior ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
La storia del mondo voltava pagina . Quando Luigi Barzini , ragazzo di Orvieto , scese a Roma , arruolato in un modesto giornale , che mescolava i piccoli entrefilets con i « pupazzetti » nel genere di quelli di Vamba e di Gandolin , e fu scovato da Luigi Albertini e spedito a Londra come corrispondente del « Corriere della Sera » , erano , senza che molti se ne rendessero conto , anni di avvenimenti favolosi . Dalla lanterna magica si passava alle pellicole dei Lumière , la Patti e Tamagno incidevano i loro primi « cilindri di cera » per il fonografo , Marconi studiava il telegrafo senza fili , l ' uomo si ostinava a tentare di volare affidato ad un paio d ' ali simili a quelle di un pipistrello . Molto cambiava nel mondo . Al corredo dei soldati giapponesi sarebbe stata aggiunta di lì a poco una zappetta per scavare , idea difensiva del tutto nuova , una trincea . Barzini aveva ventidue anni al tempo di Adua , dove cadde ucciso il primo inviato speciale italiano . Il suo spirito di italiano rimase per tutta la vita , per quel ricordo , legato al problema di una dignità da salvare . Il giornalismo al cui servizio lo chiamò Luigi Albertini - Barzini aveva ventiquattro anni , Albertini ventotto - sarebbe stato del tutto diverso da quello dei Bottero , dei Bersezio , dei Mercatelli , dei Gobbi - Belcredi , dei Roux e del principe Sciarra . Fosse rimasto a Roma , Barzini sarebbe probabilmente naufragato nelle cronache , nei pettegolezzi e fra i « pupazzetti » di Montecitorio . Albertini mandava Ugo Ojetti , altro coetaneo , a conoscere le terre d ' oltre Adriatico da cui sarebbe giunta in Italia la bellissima Principessa Elena e , subito dopo , lo mandava in Calabria sulle tracce del brigante Musolino . A Barzini , alto , magro , pettinato con una riga in mezzo , Albertini consegnò le chiavi del mondo ad un ' età in cui , mentre l ' Ottocento tramontava , era ancora difficile che si affidassero ai ragazzi le chiavi di casa . Negli uffici del « Corriere » Barzini non ebbe mai una propria scrivania . A casa , per vari anni , non ebbe il telefono , in una Milano che nel 1906 aveva solamente mille apparecchi . Il figlio non ci racconta se suo padre « batteva » a macchina . La stilografica era appena nata ed era una novità addirittura entusiasmante , tanto che certi giornalisti intitolavano Stilografiche le loro rubriche . Gli articoli di viaggio e le corrispondenze si chiamavano Lettere da Londra o Lettere dalla Russia o addirittura , più tardi , Lettere dal fronte perché erano proprio delle lettere da porto doppio , impostate con francobolli da 15 centesimi . Milano non toccava il mezzo milione di abitanti . Barzini andava in terre lontane : e , nelle terre lontane , viaggiava ancora a cavallo . Nei conti che , al ritorno , consegnava all ' amministratore Eugenio Balzan , c ' erano « voci » che oggi sanno di favola : cavallo , stalla , striglia , avena , carrube . La Cina per la guerra dei Boxers ; la Siberia vista dalla Transiberiana ; la tragica epopea della guerra russo - giapponese fino alla battaglia di Mukden ; infine i 16 mila chilometri di viaggio in automobile da Pechino a Parigi : sono i sette anni stupefacenti di Barzini , scrittore lento , pieno di dubbi e di tormenti , infaticabile nello sforzo di raggiungere una « limpidità » che fino allora , salvo per De Amicis , sembrava negata alla nostra prosa non solamente giornalistica . Per chi conosce i suoi predecessori , la differenza di tono appare evidente . Barzini non amoreggia con i crepuscolari : non è un seguace del « naturalismo » e , soprattutto , non si lascia prendere nemmeno con la punta del mignolo nelle tagliole del dannunzianesimo . Sempre salvo da ogni contagio , è probabile che leggesse assai poco i suoi contemporanei . Era tutto teso a « vedere » , si fidava più della memoria visiva che non del taccuino . Collega di due grossi bibliofili come Ojetti e Simoni , in casa - salii una volta , a vent ' anni , al suo quarto piano - non aveva vistose librerie . I libri erano quasi tutti , probabilmente , di sua moglie , ch ' era buona scrittrice : e per quanto io guardassi attorno sulle pareti e sugli scaffali e persino nei corridoi , non aveva souvenirs de voyage non , come avevo immaginato , selle arabe , fucili dal calcio intarsiato di madreperla , tappeti , gualdrappe di cammelli , paraventi cinesi , ventagli giapponesi . Anche le sue pagine di viaggio nel mondo delle geishe , o nella vecchia Pechino , o nelle città czariste , non convogliano in sé colori di rigatteria o di esotismo turistico , per esempio alla Pierre Loti o alla Claude Farrère . Barzini tornava a casa con un bagaglio leggerissimo , sempre pronto a ripartire all ' indomani . Egli credeva , penso , solamente nel filtro della memoria e nel potere , che chiamerei epistolare , del suo stile . Di qui la chiarezza del suo colloquio con il lettore , una parola senza riboboli e senza barocchismi , un disegno descrittivo netto , e mai il fiato corto o il fiato grosso , e mai il compiacimento del « pezzo » che strizza l ' occhio sul virtuosismo e dice : « Guardate quanto son bravo ! » . Un intuito infallibile negli « attacchi » - chi fa il nostro mestiere sa che nelle prime righe si mette tutto in gioco - , nessun crescendo retorico , mai troppa spinta nel premere il pedale . Dopo quasi sessant ' anni la prosa di queste « avventure » non ha forfora , non ha chiazze di sopraggiunta calvizie , non ha rughe o zampe di gallina , non ci appare , mai in « costume » , non denuncia un « gusto » . La sua lezione è ancora valida , dopo che tre generazioni si sono lustrate le maniche sul tavolo a buttar fuori prosa che faccia velocemente girare la rotativa .
VIVA PIETRO MICCA ! ( - , 1865 )
StampaQuotidiana ,
Il telegrafo aveva alquanto addolcito il tuono di superiorità assunto dal discorso napoleonico nella parte che concerne la quistione italiana . L ' Imperatore non ha detto solamente : « Nel mezzogiorno dell ' Europa la nostra azione doveva esercitarsi con maggiore risolutezza » ma ha voluto esplicitamente rivendicare la Convenzione come un atto suo proprio e personalissimo . Egli così s ' è espresso : « Nel mezzogiorno dell ' Europa l ' azione della Francia doveva esercitarsi con maggior risolutezza . IO HO VOLUTO render possibile la soluzione di un difficile problema » . Davanti a questo J ' AI VOULU che cosa resta della famosa formula del ministero passato « indipendenti sempre , isolati mai ? » . J ' ai voulu , e l ' Italia ( salvo il piccolo Stato ai piedi delle Alpi a cui le membra sparse della patria italiana cercavano di riattaccarsi per mezzo di deboli legami ) ha trangugiata la pillola non solo con rassegnazione , ma con entusiasmo . Questo divario d ' opinione tra il resto d ' Italia e il piccolo paese porge al discorso imperiale naturalissima occasione di fulminare i pregiudizi anti - convenzionisti , e di lasciar cadere dalla penna un ' idea nuova espressa in modo irréprochable , l ' idea cioè che tra le membra della patria italiana e il piccolo paese ai piedi delle Alpi corra un non so che di distinto , o in altri termini , che l ' Italia che si proclama costituita definitivamente senza Venezia e senza Roma , potrà esserlo anche senza il piccolo paese . Ma del piccolo paese che cosa intendesi di fare ? Un Regno a parte perché serva di cuscino intermedio per rammorbidire gli attriti fra la Francia e l ' Italia futura , come prima fra la Francia e l ' Austria ? Oppure addirittura dipartimenti francesi ? Oh bene ! Il Piemonte risponde intanto alla frase imperiale , ricordandosi l ' eroe biellese , e gridando VIVA PIETRO MICCA ! Il Piemonte ha da lagnarsi altamente di alcune provincie italiane , ma i torti di fratelli non gli faranno rinnegare la madre . E poi or ch ' è palese che la Convenzione non è cosa italiana , perchè avrebbe rancori contro gente che non sapeva quello che si facesse ? Viva l ' Italia ! Viva Pietro Micca !