StampaQuotidiana ,
Qualunque
sia
il
capriccio
della
stagione
,
splenda
il
sole
o
lo
velino
le
nubi
,
c
'
è
una
cosa
che
nessuna
stagione
più
vela
,
c
'
è
una
bandiera
che
nessun
tempo
ci
fa
più
ammainare
,
c
'
è
una
fede
che
più
non
si
oscura
,
e
questa
cosa
è
la
libertà
,
questa
bandiera
è
quella
dai
tre
colori
,
questa
fede
è
quella
di
Vittorio
Emanuele
.
Erede
del
primo
Re
che
ha
sfoderata
la
spada
per
la
rivoluzione
,
figlio
del
primo
campione
scettrato
per
la
indipendenza
d
'
Italia
,
Vittorio
Emanuele
ha
piantata
la
statua
della
libertà
sopra
un
piedistallo
di
porfido
,
e
l
'
Alfiere
di
Piazza
Castello
che
colla
spada
sguainata
veglia
minaccioso
al
vessillo
italiano
,
non
simboleggia
che
la
fierezza
,
italiana
di
questo
Re
,
che
da
16
anni
sta
a
guardia
della
risurrezione
della
patria
,
e
della
sua
libertà
.
Salve
,
Re
d
'
Italia
!
Se
sei
superbo
del
tuo
valore
e
della
tua
fede
,
n
'
hai
d
'
onde
.
Gira
attorno
lo
sguardo
e
sotto
le
assise
dei
tuoi
guerrieri
,
sotto
il
fremito
di
gioia
di
questi
popoli
che
ti
salutano
,
nello
stesso
seguito
del
tuo
stato
maggiore
,
conterai
gli
uomini
che
un
dì
nemici
a
tuttoché
sapeva
di
regio
,
ora
esultano
con
Te
nella
esultanza
italiana
.
Dal
sasso
dell
'
algente
Cenisio
a
quello
delle
terre
vulcaniche
,
tutta
la
gentile
penisola
inneggia
oggi
alla
libertà
.
Dove
segnavano
barriere
i
patiboli
,
ora
sventolano
i
colori
d
'
Italia
,
e
se
due
sorelle
mancano
ancora
al
nazionale
tripudio
,
non
son
esse
,
nel
lutto
,
meno
di
noi
incrollabili
nella
fede
dell
'
avvenire
,
perché
san
bene
che
tutto
questo
vasto
territorio
di
gente
libera
,
non
può
da
umana
forza
esser
più
risospinto
nelle
tenebre
E
finché
arde
la
luce
,
finché
questa
fiamma
è
tenuta
alta
dalla
forte
tua
destra
,
o
Re
Vittorio
,
non
può
più
sorger
timore
di
smarrire
la
via
che
ci
conduca
tutti
all
'
ultima
mèta
.
La
Spagna
può
avere
i
suoi
Galindi
anche
nel
pieno
possesso
della
sua
indipendenza
,
ma
l
'
Italia
è
terra
privilegiata
troppo
da
Dio
,
perché
una
volta
rotta
la
lapide
del
suo
sepolcro
,
non
torni
maestra
di
civiltà
a
quanti
sono
nella
barbarie
.
Salve
,
o
Re
d
'
Italia
!
Era
ben
tempo
che
se
un
Re
Galantuomo
disertasse
dal
sinedrio
dei
Re
spergiuri
,
anche
i
popoli
disertassero
dalle
mene
settarie
per
salutarlo
loro
padre
e
fratello
.
E
Tu
sei
l
'
uno
e
l
'
altro
per
noi
,
che
sbattuti
per
secoli
nelle
ire
di
parte
,
e
nelle
torture
dei
despoti
,
ti
abbiam
veduto
scendere
dal
trono
per
accomunarti
nei
diritti
ai
tuoi
cittadini
,
lasciare
la
reggia
per
accomunarti
nei
perigli
del
campo
ai
tuoi
gloriosi
soldati
,
gittar
la
Corona
di
Principe
per
aver
la
gemma
dell
'
amore
della
Nazione
.
E
questa
Nazione
ti
ama
,
perché
Tu
le
provasti
di
amarla
,
né
ama
Te
solo
ma
la
tua
stirpe
intera
,
perché
per
quanto
audacemente
aneli
al
progresso
,
ella
sente
che
niuna
forma
,
o
niun
nome
,
potrebbe
accrescerle
lo
splendore
che
Tu
le
hai
conquistato
,
né
garantirle
più
fortemente
la
libertà
,
che
dai
gradini
del
trono
è
a
lei
discesa
.
Oh
che
quella
concordia
che
fu
prima
autrice
di
questo
glorioso
presente
,
non
sia
mai
una
vana
invocazione
,
e
quanti
amano
e
sperano
si
confondano
nei
voti
tuoi
,
che
sono
voti
sinceri
di
cittadino
più
che
di
Re
!
E
Voi
,
fratelli
nostri
,
che
tendete
ansanti
a
superare
i
confini
che
ancora
segnano
una
linea
di
lutto
in
Italia
,
non
vi
scoraggiate
per
ore
o
per
giorni
che
ci
dividano
ancora
da
voi
Quando
sentirete
echeggiare
le
grida
del
nostro
saluto
,
gioite
e
sperate
,
ché
queste
grida
non
sono
di
egoistico
tripudio
,
ma
sì
di
altissimo
orgoglio
per
trecentomila
figli
che
assordano
l
'
aria
col
rimbombo
dei
loro
moschetti
,
col
tuono
dei
loro
cannoni
,
sono
grida
di
libertà
che
alla
vigilia
del
6
giugno
l
'
Italia
manda
alla
tomba
di
Santena
,
per
tranquillare
lo
spirito
del
Conte
Cavour
,
sulle
profetate
sorti
d
'
Italia
.
Se
è
morto
Cavour
,
è
sempre
come
torre
fermo
Vittorio
Emanuele
,
e
Vittorio
Emanuele
è
il
Re
Galantuomo
.
Nel
1865
solennizzeremo
la
libertà
in
Piazza
San
Marco
.
StampaQuotidiana ,
Non
è
lecito
dubitare
.
A
Torino
il
Presidente
del
Consiglio
ha
dichiarato
nettamente
di
essere
dall
'
altra
parte
.
Per
il
controllo
degli
operai
sulle
industrie
.
Per
la
sottomissione
a
tutte
le
violenze
che
sono
state
compiute
e
sono
compiute
da
una
minoranza
,
mentre
la
maggioranza
degli
operai
ha
disertato
le
fabbriche
.
Presa
di
possesso
,
rapina
,
sequestro
di
persone
,
furto
,
non
sono
più
nemmeno
amnistiati
ché
è
tolto
ad
essi
il
carattere
di
reato
.
Si
elabora
il
nuovo
diritto
.
Il
Governo
si
compiace
di
dichiararsi
impotente
.
Così
,
in
questa
sorte
di
disgrazia
che
sono
i
governi
succedutisi
in
Italia
per
distruggere
la
vittoria
,
Giolitti
prende
apertamente
,
deliberatamente
la
successione
di
Nitti
.
Già
minacciando
di
continuare
l
'
opera
ne
fasta
nella
politica
adriatica
,
egli
oggi
si
pone
per
la
politica
interna
nel
quadro
della
politica
di
sconfitta
,
di
cui
abbiamo
segnati
i
caratteri
.
Quando
la
vertenza
era
dei
soli
metallurgici
,
già
il
Governo
aveva
dimostrato
di
favorire
la
tesi
aggressiva
operaia
e
cercava
giustificazioni
in
asseriti
torti
degli
industriali
.
Ma
oggi
queste
giustificazioni
sono
impossibili
.
La
vertenza
non
è
più
limitata
all
'
industria
metallurgica
.
Il
controllo
operaio
tocca
tutta
l
'
economia
nazionale
.
Ne
scrolla
le
basi
e
ne
minaccia
l
'
esistenza
,
in
piena
crisi
di
materie
prime
,
di
tonnellaggio
,
di
finanziamento
,
quando
era
necessario
concentrare
uno
sforzo
nazionale
per
scongiurare
il
pericolo
del
fallimento
.
Ebbene
l
'
on
.
Giolitti
appoggiandosi
a
quelle
frazioni
e
fazioni
plutocratiche
che
portano
in
sé
sempre
il
germe
della
sconfitta
,
l
'
abulia
nazionale
,
il
senso
della
sottovalutazione
,
l
'
on
.
Giolitti
,
non
ha
esitato
.
Egli
vuoi
continuare
nell
'
opera
di
defezione
dello
Stato
.
Già
nella
vertenza
dei
ferrovieri
secondari
,
il
ministro
dei
Lavori
Pubblici
,
aveva
operato
come
già
Nitti
nello
sciopero
dei
ferrovieri
.
Si
poteva
credere
ad
un
difetto
del
ministro
.
Invece
no
.
Siamo
di
fronte
ad
un
'
azione
di
governo
.
O
peggio
all
'
inazione
che
cerca
poi
di
incollarsi
per
etichetta
un
programma
.
Poiché
siamo
nella
continuazione
dello
stesso
sistema
dell
'
amnistia
ai
disertori
che
tradiva
i
combattenti
e
distruggeva
il
fondamento
nazionale
dello
Stato
;
delle
trattative
del
comm
.
Magno
col
sindacato
rosso
dei
ferrovieri
che
tradiva
i
ferrovieri
rimasti
fedeli
allo
Stato
.
Quando
il
governo
con
la
sua
viltà
e
partigianeria
ha
creato
una
situazione
di
crisi
,
e
il
paese
resta
smarrito
senza
guida
,
anzi
col
senso
del
tradimento
,
allora
giustifica
la
sua
inazione
con
le
condizioni
del
paese
stesso
.
Così
ha
fatto
Nitti
.
Così
continua
Giolitti
,
ritornato
al
potere
perché
attendeva
che
trovasse
un
punto
di
arresto
nella
china
fatale
.
E
non
c
'
è
nemmeno
lo
stile
di
una
sottomissione
ad
una
volontà
organizzata
poiché
questa
domanda
di
controllo
sulle
fabbriche
è
stata
improvvisata
perché
non
fosse
da
una
parte
misurata
l
'
impotenza
massimalistica
e
dall
'
altra
travolta
l
'
organizzazione
privilegiata
proletaria
,
le
cui
schiere
sono
quasi
tutte
costituite
dagli
esonerati
.
L
'
esperimento
della
presa
di
possesso
è
una
cosa
ridicola
destinata
all
'
esaurimento
.
Ma
come
Nitti
intervenne
a
trattare
col
sindacato
rosso
proprio
quando
lo
sciopero
ferroviario
era
vinto
,
così
Giolitti
interviene
in
favore
del
controllo
,
quando
l
'
esperimento
della
gestione
diretta
è
fallito
.
Quando
cioè
l
'
assenteismo
del
governo
,
che
ha
lasciato
occupare
le
fabbriche
,
poteva
forse
trovare
un
'
assolutoria
nella
dura
esperienza
cui
sono
costrette
le
masse
operaie
.
L
'
intervento
dell
'
on
.
Giolitti
è
però
la
confessione
di
una
defezione
dello
Stato
e
di
una
incapacità
di
governo
.
Con
la
prima
si
subisce
l
'
esperimento
di
una
gestione
,
quando
lo
Stato
doveva
garantire
all
'
economia
nazionale
il
massimo
sforzo
per
poter
fronteggiare
il
carico
finanziario
e
correggere
il
terribile
sbilancio
commerciale
.
Con
la
seconda
si
vuole
la
resa
a
discrezione
a
chi
non
ha
altra
forza
che
la
debolezza
,
lo
smarrimento
,
la
vergognosa
esibizione
di
sottomissione
della
parte
avversa
.
Oggi
gli
industriali
debbono
decidere
.
Ma
la
libertà
,
la
possibilità
della
loro
decisione
sono
infirmate
.
L
'
on
.
Giolitti
ha
dichiarato
di
non
essere
neutrale
.
Ma
partigiano
.
E
,
quel
che
è
peggio
,
partigiano
per
incoscienza
e
per
impotenza
.
Cioè
per
servitù
.
Così
la
generazione
di
Adua
tenta
di
strangolare
la
vittoria
.
StampaQuotidiana ,
È
morto
Corrado
Alvaro
.
Il
mio
primo
ricordo
di
lui
risale
al
tempo
in
cui
-
sradicato
dalla
nativa
Calabria
,
ventenne
,
mutilato
sul
Carso
,
fatto
esperto
da
una
prima
esperienza
giornalistica
al
«
Carlino
»
di
Bologna
e
poi
al
«
Corriere
della
Sera
»
-
arrivò
a
Roma
.
Doveva
essere
fra
il
'19
e
il
'20
.
Le
date
precise
non
contano
,
nel
ricordo
:
ma
il
colore
del
.
tempo
,
la
stagione
della
storia
.
Erano
giorni
decisivi
,
nel
senso
morale
,
soprattutto
per
la
generazione
dei
giovani
e
per
il
maturare
o
per
il
doloroso
frangersi
o
corrompersi
delle
loro
intelligenze
e
delle
loro
speranze
.
Giorni
decisivi
anche
per
l
'
arte
e
per
la
letteratura
,
e
non
solamente
in
Italia
.
Per
quanto
Marinetti
fosse
di
parere
contrario
,
il
futurismo
era
già
da
tempo
avviato
al
tramonto
.
Non
si
considerava
possibile
il
rinascere
dei
movimenti
fiorentini
della
«
Voce
»
di
«
Lacerba
»
.
«
La
Ronda
»
parlava
di
un
ritorno
all
'
ordine
,
riunendo
nelle
sue
pagine
le
prose
di
alta
solennità
di
Cardarelli
,
i
saggi
teatrali
di
Riccardo
Bacchelli
,
la
tempesta
immaginifica
del
grande
«
barocco
»
di
Bruno
Barilli
.
Era
una
stagione
molto
singolare
.
D
'
Annunzio
aveva
trovato
una
nuova
clausura
fra
gli
ulivi
del
lago
di
Garda
.
Grazia
Deledda
scriveva
con
regolarità
i
suoi
romanzi
,
lavorando
dalle
nove
alle
undici
del
mattino
in
una
modesta
villetta
impiegatizia
di
via
Porto
Maurizio
,
sulla
stessa
tavola
dove
avrebbe
poi
steso
la
tovaglia
per
la
colazione
della
sua
famiglia
.
Luigi
Pirandello
era
ancora
catalogato
fra
i
cosiddetti
«
scrittori
ameni
»
.
Federigo
Tozzi
entrava
da
Aragno
solo
per
uscirne
in
preda
a
un
violento
corruccio
.
Odiava
-
e
lo
dichiarava
-
le
chiacchiere
.
Fra
i
ragazzi
di
quegli
anni
-
che
forse
davano
un
po
'
presuntuosamente
del
«
tu
»
a
tutti
-
il
giovane
Alvaro
era
già
«
qualcuno
»
.
Le
sue
poesie
di
ispirazione
militare
-
le
Poesie
grigioverdi
,
stampate
da
un
libraio
editore
che
aveva
bottega
a
due
passi
da
Aragno
in
via
delle
Convertite
-
lo
avevano
reso
noto
.
Quei
versi
erano
stati
scritti
nella
corsia
di
un
ospedale
militare
,
a
Bologna
,
dove
il
sottotenente
Alvaro
-
bel
nome
romantico
e
spagnolesco
-
era
andato
a
rieducare
alla
meglio
le
mani
mutilate
.
Si
era
curiosi
,
quando
il
giovanotto
arrivò
a
Roma
,
di
vedere
da
quale
parte
si
sarebbe
indirizzato
,
in
quale
«
scuola
»
si
sarebbe
irreggimentato
,
quale
«
capo
»
avrebbe
scelto
.
Così
si
ragionava
a
diciotto
e
a
diciannove
anni
.
Quello
che
vedemmo
era
un
giovane
che
non
sorrideva
mai
,
o
pochissimo
,
che
aveva
rare
conoscenze
e
non
desiderava
forse
di
averne
.
Accompagnato
talvolta
dalla
giovane
moglie
,
sedeva
a
un
tavolino
appartato
del
famoso
caffè
letterario
,
dove
non
c
'
era
giornalista
che
non
entrasse
per
dare
un
'
occhiata
.
Era
piuttosto
piccolo
di
statura
:
un
vero
fante
,
un
vero
«
soldato
meridionale
»
come
quelli
che
aveva
avuto
vicini
in
guerra
:
ma
dei
«
meridionali
»
,
almeno
come
li
immaginano
i
«
manieristi
»
,
non
aveva
certamente
il
volto
.
Della
sua
terra
dell
'
Aspromonte
,
la
faccia
custodiva
un
'
antica
,
silente
melanconia
:
i
suoi
lineamenti
erano
in
modo
singolare
assomiglianti
a
quelli
di
un
mugik
russo
,
forse
di
un
piccolo
fante
russo
.
Il
suo
viso
sembrava
modellato
dallo
stesso
pollice
che
aveva
plasmato
il
volto
di
Massimo
Gorkij
.
Spesso
«
il
volto
è
l
'
uomo
»
,
è
modellato
dall
'
anima
dell
'
uomo
.
Ce
ne
accorgemmo
quando
ci
accadde
di
leggere
i
primi
racconti
firmati
da
Alvaro
.
La
melanconia
,
la
mestizia
,
la
desolazione
non
hanno
paesi
precisi
.
Il
dolore
umano
è
uguale
nella
steppa
slava
e
sui
monti
di
Calabria
.
Alvaro
veniva
dal
grande
ceppo
del
«
regionalismo
»
italiano
.
Solamente
le
acque
dello
stretto
di
Messina
lo
separavano
da
Giovanni
Verga
.
Era
dello
stesso
sangue
,
letterariamente
,
di
Federigo
Tozzi
,
così
duramente
radicato
fra
le
«
crete
»
senesi
e
i
vicoli
foschi
della
sua
Siena
.
Erano
tempi
,
in
sede
europea
,
di
narrativa
cosmopolita
.
Ma
su
Alvaro
non
operavano
gli
incantesimi
delle
metropoli
e
delle
terre
lontane
.
Il
suo
cuore
era
rimasto
ancorato
ai
monti
di
Calabria
come
quello
di
Grazia
Deledda
ai
sughereti
e
alla
«
tanca
»
della
sua
Sardegna
.
Si
trattava
di
una
fedeltà
poetica
:
la
fedeltà
ai
segreti
miti
tragici
della
povera
gente
nelle
ultime
,
contorte
vallate
dell
'
Appennino
.
In
quel
cerchio
di
ricordi
del
mondo
esplorato
e
vissuto
durante
la
prima
giovinezza
,
Alvaro
doveva
compiere
i
suoi
schietti
,
profondi
,
sicuri
approdi
di
scrittore
.
Nei
romanzi
-
in
quell
'
Uomo
nel
labirinto
,
che
resta
fra
gli
esemplari
della
sua
generazione
,
e
in
quell
'
Uomo
e
forte
pubblicato
molti
anni
dopo
-
la
sua
indagine
si
svolse
in
più
profonde
psicologie
,
in
più
folte
tenebre
,
in
più
complesse
angosce
.
Ma
il
suo
«
mondo
»
trovò
la
sua
definizione
completa
in
quei
racconti
della
sua
terra
che
concludono
,
in
una
misura
degna
del
maestro
e
della
tradizione
,
il
tempo
che
si
iniziò
con
Verga
e
che
ebbe
il
suo
ultimo
fiorire
con
Tozzi
e
con
Alvaro
.
Giornalista
fu
sempre
,
anche
se
negli
ultimi
anni
aveva
potuto
raccogliersi
e
risparmiarsi
in
pagine
e
fatiche
meno
rapidamente
professionali
,
sostando
anche
sui
piani
di
un
suo
meditare
che
si
volgeva
all
'
intimità
di
quella
«
condizione
umana
»
che
con
termine
più
facile
viene
chiamato
il
problema
delle
nuove
società
.
Era
stato
-
negli
anni
della
giovinezza
-
a
Parigi
:
e
più
tardi
in
Russia
.
Non
si
può
dimenticare
ciò
che
egli
seppe
vedere
allora
con
il
suo
sguardo
apparentemente
lento
e
quasi
immoto
.
Le
sue
emozioni
di
viaggiatore
in
mondi
lontani
erano
tutte
in
rapporto
a
una
facoltà
meditativa
che
pareva
derivasse
dal
fondo
greco
che
sta
alla
base
di
ogni
uomo
nato
in
vista
del
Mediterraneo
.
Per
tutta
la
vita
,
fu
un
«
uomo
in
disparte
»
chiuso
negli
stessi
silenzi
,
rotti
da
poche
parole
e
da
improvvisi
affetti
,
che
da
ragazzi
conoscemmo
al
terzo
piano
della
sua
casa
in
via
Sistina
dove
abitava
quasi
di
fronte
alle
finestre
dietro
alle
quali
aveva
vissuto
Gogol
'
.
La
vita
non
gli
era
stata
facile
,
era
stata
talvolta
dura
e
anche
di
alto
dolore
.
Dissentiva
dal
fascismo
,
ma
non
ebbe
,
alla
sua
caduta
,
rancori
o
ironie
.
Del
suo
paese
soffrì
la
tragedia
.
Era
un
animo
nobile
:
un
solitario
.
StampaQuotidiana ,
Ed
ora
che
importa
di
fare
?
Importa
di
far
conoscere
all
'
Italia
il
vero
carattere
dei
moti
di
Torino
.
Importa
si
sappia
che
Torino
ha
parlato
per
l
'
Italia
,
e
non
per
sé
,
come
vorrebbero
far
credere
i
nostri
nemici
.
Importa
che
il
nuovo
ministero
non
abbia
carattere
piuttosto
piemontese
che
siciliano
,
lombardo
che
napolitano
,
e
via
dicendo
.
Importa
in
una
parola
tener
fermo
più
che
mai
ad
un
programma
veramente
,
grandemente
ITALIANO
.
Perché
ci
siam
noi
dichiarati
ostili
alla
Convenzione
?
Forse
per
la
sola
ed
abbietta
ragione
ch
'
essa
ledeva
gli
interessi
di
Torino
?
No
certo
perché
se
un
tale
egoismo
avesse
forza
in
questi
paesi
,
invece
di
provocare
continuamente
per
un
decennio
intero
la
terza
riscossa
,
essi
sarebbero
chiusi
ad
ogn
'
idea
di
guerra
nazionale
,
per
godersi
una
pace
che
la
situazione
dell
'
Europa
avrebbe
guarentita
.
Torino
dunque
ha
avversata
la
Convenzione
colla
Francia
anzitutto
perché
la
crede
funestissima
all
'
Italia
.
E
qui
,
poiché
i
nostri
avversari
si
studiano
di
trarre
in
inganno
le
popolazioni
circa
le
origini
di
questa
discussione
,
ci
si
permetta
per
conto
nostro
un
po
'
di
rivista
retrospettiva
.
Il
giorno
in
cui
la
Convenzione
colla
Francia
fu
conosciuta
in
seguito
ad
una
indiscrezione
più
o
meno
volontaria
della
stampa
officiosa
,
noi
ignoravamo
ancora
la
clausola
segreta
del
trasferimento
della
capitale
,
né
vi
avremmo
pensato
neppur
per
sogno
,
sia
perché
avevamo
prestata
fede
alla
smentita
risolutissima
data
dall
'
Opinione
,
sia
perché
non
viene
in
mente
a
nessuno
che
un
fatto
interno
,
come
il
trasferimento
della
sede
del
governo
da
luogo
a
luogo
,
possa
fare
oggetto
di
convenzioni
internazionali
,
salvo
il
caso
in
cui
uno
dei
due
governi
subisca
la
legge
dell
'
altro
.
Noi
dunque
scrivemmo
il
seguente
articolo
:
«
Torino
,
17
settembre
La
conclusione
d
'
una
convenzione
od
accordo
colla
Francia
per
l
'
intiera
cessazione
dell
'
occupazione
francese
in
Roma
sembra
ormai
un
fatto
compiuto
e
(
salvo
il
caso
di
articoli
segreti
)
essa
sarebbe
un
avviamento
allo
scioglimento
definitivo
.
«
I
francesi
si
ritirerebbero
da
Roma
entro
due
anni
,
tempo
stimato
sufficentissimo
perché
il
governo
papale
possa
formarsi
una
forza
militare
sua
propria
.
«
Il
governo
italiano
dal
canto
suo
prenderebbe
l
'
impegno
di
non
invadere
né
lasciare
invadere
il
territorio
pontificio
,
sicché
i
romani
resterebbero
soli
giudici
di
conservare
o
licenziare
il
Papa
e
la
guardia
pretoriana
di
esso
.
«
Oltre
a
ciò
assumeremo
a
nostro
carico
una
parte
proporzionale
del
debito
romano
.
«
Come
ben
dice
il
Cittadino
d
'
Asti
«
non
è
questa
ancora
una
soluzione
,
ma
sarebbe
tuttavia
tale
atto
che
metterebbe
fine
ad
una
incertezza
Ia
quale
,
mentre
è
cagione
di
gravi
imbarazzi
alla
Francia
,
è
permanente
motivo
di
malessere
all
'
Italia
.
Eppertanto
tutto
il
partito
liberale
temperato
sarà
senza
dubbio
disposto
ad
accettarlo
come
un
pegno
della
più
intima
amicizia
che
sarebbe
ristabilita
tra
il
Regno
d
'
Italia
ed
il
governo
imperiale
di
Francia
»
.
«
Ma
ci
sono
dei
ma
assai
forti
che
meritano
molte
serie
considerazioni
.
«
Così
per
esempio
non
soccombiamo
sotto
il
peso
della
quistione
finanziaria
,
e
se
per
prima
condizione
ci
si
accrescono
i
debiti
,
evidentemente
i
due
anni
d
'
aspettativa
saranno
d
'
altrettanto
più
duri
per
noi
che
non
pel
governo
papale
.
«
Aspettando
gli
utili
cominceremo
con
averne
il
danno
.
«
Si
dirà
forse
che
questo
aumento
di
spesa
sarà
compensato
da
una
condizione
sottintesa
,
cioè
dal
disarmo
?
«
Ma
allora
per
non
aver
Roma
se
non
che
in
modo
eventuale
in
avvenire
noi
rinuncieremo
fin
d
'
ora
e
in
modo
esplicito
a
Venezia
.
«
La
questione
è
molto
grave
.
«
Sul
bilancio
della
guerra
si
possono
fare
molte
e
importantissime
economie
,
ma
non
tali
da
far
contrappeso
all
'
aggravio
che
ci
verrebbe
dall
'
assunto
debito
romano
,
se
pur
non
volessimo
intaccare
l
'
organizzazione
stessa
dell
'
esercito
anziché
limitarci
all
'
invio
di
più
classi
in
congedo
.
«
Oltre
a
ciò
è
forte
da
temere
che
i
partiti
invece
di
quietare
s
'
inasprissero
,
tanto
più
se
s
'
aggiungessero
altre
condizioni
ancora
ignote
.
«
In
conclusione
la
combinazione
immaginata
tra
il
governo
francese
e
l
'
italiano
,
nei
termini
in
cui
finora
è
fatta
conoscere
,
esprimerebbe
le
migliori
intenzioni
da
ambe
le
parti
;
ma
siccome
il
governo
italiano
si
addosserebbe
nuovi
pesi
immediati
senza
essere
sicuro
che
entro
i
due
anni
lo
scioglimento
di
Roma
arrivi
a
giorno
fisso
,
così
temiamo
assai
che
contro
il
volere
dei
contraenti
la
convenzione
invece
di
essere
utile
all
'
Italia
e
dannosa
al
governo
pontificio
sia
un
'
arma
a
doppio
taglio
che
possa
facilissimamente
ferire
l
'
Italia
sola
.
«
Infatti
in
due
anni
può
aver
luogo
un
mondo
di
avvenimenti
tutti
a
nostro
danno
,
e
non
un
solo
in
favore
,
perché
ad
ogni
modo
noi
saremo
vincolati
per
tutto
il
biennio
.
«
Il
primo
di
questi
avvenimenti
già
s
'
intende
,
sarebbe
il
pagamento
dei
milioni
del
debito
pontificio
;
e
questo
sarebbe
certo
.
«
Il
secondo
una
crisi
qualunque
in
Francia
che
desse
motivo
più
o
meno
fondato
al
governo
di
Parigi
di
prolungare
l
'
occupazione
anche
oltre
quei
due
anni
.
«
Il
terzo
una
crisi
qualunque
in
Italia
,
e
questa
pur
troppo
non
pare
improbabile
se
non
iscongiuriamo
la
fatale
iettatura
che
perseguita
le
nostre
finanze
.
«
Egli
è
evidente
che
al
primo
sorgere
d
'
un
pericolo
interno
ci
si
direbbe
dopo
il
biennio
:
«
Non
siete
forti
abbastanza
per
guarantire
che
il
Papa
non
sarà
attaccato
,
e
perciò
con
grandissimo
nostro
dispiacere
noi
resteremo
ancora
a
Roma
»
.
Di
guisa
che
la
convenzione
non
avrebbe
portato
alcun
altro
risultato
se
non
che
i
milioni
del
debito
papalino
invece
d
'
essere
pagati
dal
Papa
,
lo
sarebbero
dal
governo
italiano
,
cioè
dagli
avversari
politici
del
Papa
.
Saremmo
insomma
i
minchioni
della
farsa
.
«
La
condizione
dell
'
Italia
,
peggiorata
d
'
assai
,
potrebbe
divenir
tale
da
rendere
problematico
,
non
che
il
conseguimento
dell
'
Unità
completa
con
Roma
e
Venezia
,
anche
la
conservazione
di
ciò
che
esiste
fin
d
'
ora
.
«
Quindi
è
che
concludiamo
:
«
la
combinazione
di
cui
si
parla
può
essere
buona
ma
a
patto
che
la
nostra
condizione
finanziaria
non
ne
resti
aggravata
sotto
alcun
aspetto
,
e
che
non
sianvi
condizioni
che
gettino
la
discordia
fra
gli
italiani
,
come
sarebbe
quella
di
una
rinuncia
esplicita
od
implicita
a
Venezia
.
«
In
caso
diverso
meglio
,
assai
meglio
la
libertà
d
'
azione
finora
goduta
.
Essa
ha
certo
i
suoi
inconvenienti
ma
di
gran
lunga
minori
di
quelli
che
scaturirebbero
da
un
contratto
il
quale
in
fin
dei
conti
non
vincolerebbe
che
noi
soli
,
che
portando
nuovi
aggravi
e
fortissime
cagioni
di
discordie
tenderebbe
(
senza
volerlo
)
assai
più
allo
sfasciamento
che
al
consolidamento
di
questa
Italia
»
.
Ecco
in
qual
modo
oppugnammo
la
Convenzione
sin
dal
primo
giorno
,
e
la
pacatezza
di
parole
così
disinteressate
è
la
migliore
risposta
che
possiam
fare
ai
nostri
nemici
.
La
clausola
segreta
del
trasferimento
cominciò
a
trapelare
in
città
nella
giornata
stessa
del
17
.
E
non
era
per
fermo
tal
condizione
da
farci
mutar
parere
intorno
al
complesso
della
Convenzione
!
Noi
vi
vedemmo
l
'
abbandono
di
Roma
,
noi
vi
vedemmo
una
ragione
di
più
per
respingere
un
trattato
fatale
,
ma
indipendentemente
da
qualsiasi
considerazione
torinese
per
la
buona
ragione
che
non
esitammo
giammai
a
combattere
anche
Torino
quando
Torino
ci
parve
aver
torto
,
e
sono
note
le
nostre
polemiche
contro
il
municipio
durante
anni
ed
anni
.
Invano
i
nostri
avversari
vollero
trarci
sul
campo
municipale
facendo
suonar
alta
la
quistione
dei
compensi
.
Noi
non
riconoscemmo
che
la
quistione
italiana
.
Non
è
in
campo
Torino
;
è
in
campo
Roma
.
Torino
non
ha
protestato
per
se
sola
;
ha
protestato
per
l
'
Italia
.
Ed
è
questa
la
condotta
in
cui
dobbiamo
persistere
con
fermezza
.
Il
cambiamento
di
ministero
non
risolverebbe
la
quistione
(
come
ha
già
osservato
il
Diritto
)
;
ed
infatti
la
Convenzione
colla
Francia
esiste
tuttora
,
e
ci
crea
una
situazione
piena
di
difficoltà
.
Se
sarà
eseguita
,
evidentemente
non
diverrà
migliore
per
ciò
solo
che
la
eseguirà
Lamarmora
piuttostoché
Minghetti
e
Peruzzi
.
E
nel
caso
contrario
i
nostri
nemici
presenteranno
il
fatto
come
trionfo
esclusivo
del
così
detto
piemontesismo
,
per
suscitare
nel
resto
d
'
Italia
una
reazione
contro
Torino
e
il
Piemonte
.
Questa
situazione
,
di
cui
l
'
Italia
va
debitrice
al
ministero
scivolato
nel
sangue
,
è
molto
grave
.
E
se
per
risolverla
,
se
per
potere
annullare
una
Convenzione
che
già
sin
d
'
ora
ha
portato
all
'
Italia
assai
maggior
danno
che
una
battaglia
perduta
è
necessario
un
ministero
inaccessibile
all
'
accusa
di
piemontesismo
,
noi
saremo
i
primi
ad
appoggiarlo
.
Né
esitiamo
a
riconoscere
che
un
ministero
con
prevalenza
di
piemontesi
di
qualsiasi
colore
sarebbe
il
meno
acconcio
ad
ottenere
un
tale
risultato
.
Noi
crediamo
che
per
la
salvezza
d
'
Italia
la
Convenzione
non
debba
eseguirsi
,
ma
il
suo
annullamento
deve
essere
fatto
in
modo
che
non
sia
né
sembri
una
vittoria
esclusiva
di
Torino
.
Non
è
Torino
che
deve
vincere
,
ma
la
causa
d
'
Italia
,
la
causa
della
unità
,
la
causa
della
libertà
,
ROMA
!
StampaQuotidiana ,
A
che
cosa
miravano
,
da
quale
motivo
erano
animati
i
barricadieri
di
Firenze
e
gl
'
incendiari
di
Trieste
nel
perpetrare
i
loro
atti
terroristici
?
Non
dal
disagio
economico
e
tanto
meno
dalla
fame
.
La
fame
e
il
disagio
economico
non
possono
più
compiere
la
loro
classica
funzione
di
cattivi
consiglieri
presso
una
classe
che
oramai
ha
raggiunto
salari
notevolmente
più
alti
del
reddito
medio
che
l
'
economia
nazionale
comporti
.
Se
fosse
il
disagio
economico
ad
alimentare
un
qualsiasi
proposito
rivoluzionario
,
prima
di
arrivare
alle
odierne
categorie
di
rivoltosi
,
esso
dovrebbe
svolgere
la
sua
attività
istigatrice
presso
infinite
altre
categorie
e
ceti
,
che
,
pur
lottando
per
i
loro
miglioramenti
,
forniscono
invece
i
contingenti
più
numerosi
e
più
volenterosi
alla
difesa
dell
'
ordine
.
Nelle
attuali
condizioni
della
economia
nazionale
,
si
comprenderebbero
più
facilmente
gli
impiegati
dello
Stato
e
gli
ufficiali
dell
'
esercito
a
dar
fuoco
agli
uffici
e
alle
caserme
,
che
non
gli
operai
incendiare
gli
opifici
e
i
contadini
devastare
i
campi
.
E
non
dal
bisogno
di
scuotere
il
giogo
di
una
opprimente
oligarchia
politica
,
ché
il
cosiddetto
regime
di
libertà
e
il
suffragio
universale
e
i
pavidi
governi
borghesi
hanno
ormai
già
finito
di
trasformare
gli
oppressi
in
oppressori
e
d
'
insediare
le
camarille
socialiste
in
buona
parte
dei
municipi
italiani
.
E
neppure
infine
dalla
fondata
speranza
di
potere
instaurare
un
ordine
nuovo
quale
esso
sia
,
ché
essi
sanno
per
prova
quanto
salda
sia
la
fedeltà
dell
'
esercito
e
quanto
deliberato
il
proposito
di
tutte
le
classi
non
esclusa
la
grande
maggioranza
di
quelle
a
cui
essi
stessi
appartengono
,
a
non
consentire
attentati
all
'
ordine
costituito
.
Or
dunque
,
né
la
necessità
,
economica
o
politica
,
né
una
grande
passione
,
per
quanto
errata
,
né
uno
scopo
ritenuto
possibile
,
se
anche
non
probabile
,
possono
invocarsi
a
giustificare
,
o
almeno
a
spiegare
,
la
furia
insurrezionale
che
si
è
venuta
determinando
in
questi
ultimi
giorni
.
Siamo
dunque
di
fronte
alla
rivolta
gratuita
,
alla
rivolta
senza
causa
e
senza
scopo
,
alla
rivolta
per
la
rivolta
.
Un
simile
atto
nel
mondo
della
delinquenza
individuale
si
chiamerebbe
un
delitto
per
brutale
malvagità
.
La
cosa
e
il
nome
non
possono
mutare
se
invece
di
uno
siano
in
mille
,
o
in
diecimila
,
a
compiere
gli
stessi
fatti
.
Ciò
che
è
avvenuto
a
Firenze
e
a
Trieste
non
merita
il
nome
di
rivoluzione
e
neppure
di
rivolta
,
ma
di
follia
criminosa
di
parossismo
delinquente
,
che
invano
si
cercherebbe
di
spiegare
con
l
'
azione
di
cause
attuali
di
qualsiasi
specie
,
ma
solo
con
l
'
azione
atavica
di
antichi
istinti
sanguinari
.
Di
fronte
ad
un
fenomeno
simile
è
assurdo
e
pericoloso
pronunziare
parole
di
pace
.
Ogni
atteggiamento
conciliatore
sarebbe
una
dedizione
,
che
darebbe
nuova
esca
al
furore
criminale
,
che
imperversa
per
le
città
e
per
le
campagne
d
'
Italia
.
Noi
rifiutiamo
di
associarci
all
'
opera
di
pacificazione
che
da
più
parti
s
'
invoca
.
Lasciamo
questo
compito
ai
politicanti
borghesi
,
abituati
a
comprare
ora
per
ora
,
a
furia
di
compromessi
e
a
prezzo
della
propria
dignità
,
il
diritto
di
vivere
,
e
ai
politicanti
socialisti
che
,
pur
fingendo
di
deplorare
gli
eccessi
,
hanno
tutto
l
'
interesse
di
mantenere
in
vita
la
criminalità
rivoluzionaria
,
per
ricattare
la
borghesia
e
consolidare
il
loro
potere
personale
.
E
lasciamo
ai
politicanti
comunisti
di
speculare
sulla
vanità
dei
crimini
odierni
,
per
gridare
la
faute
...
a
Serrati
.
Noi
,
abituati
a
dire
parole
nuove
e
ingrate
alla
vecchia
Italia
borghese
e
socialista
,
diciamo
che
ogni
tentativo
di
pacificazione
è
una
commedia
indegna
,
e
che
non
si
deve
disarmare
fino
a
che
il
nuovo
brigantaggio
che
infesta
l
'
Italia
non
sarà
distrutto
alla
radice
.
StampaQuotidiana ,
Costretto
a
vivere
in
uno
studio
da
pittore
,
di
quelli
all
'
antica
con
la
luce
che
piove
verticale
e
accademica
dall
'
alto
,
attraverso
ai
vetri
di
un
lucernario
sul
quale
passa
l
'
ombra
volante
dei
piccioni
e
delle
rondini
,
Bruno
Barilli
s
'
addormentava
con
la
luna
e
le
stelle
che
gli
«
battevano
»
in
faccia
.
Rincasava
a
tarda
ora
,
arrivando
alto
e
spettrale
da
via
del
Babuino
e
da
piazza
del
Popolo
,
dove
non
c
'
era
altra
voce
al
di
fuori
di
quella
delle
fontane
attorno
all
'
obelisco
:
si
inselvava
in
un
parco
cintato
che
fiancheggiava
Villa
Borghese
,
dove
un
vecchio
signore
olandese
,
dalla
barba
e
dai
silenzi
simili
a
quelli
di
un
mago
,
aveva
costruito
certi
padiglioni
a
forma
di
baita
per
affittarli
,
in
cambio
di
pochissima
moneta
,
agli
artisti
che
avessero
voluto
vivere
in
una
specie
di
labirinto
arboreo
,
lontani
dai
rumorosi
selci
delle
strade
di
Roma
e
dal
vocio
dei
vetturini
e
dei
cocomerari
.
L
'
arredamento
dello
studio
era
costituito
da
un
materasso
buttato
su
due
trespoli
,
i
vestiti
si
attaccavano
a
quattro
chiodi
,
la
biancheria
stava
per
terra
,
fra
due
fogli
di
giornale
.
Nelle
notti
di
estate
,
nella
stagione
degli
amori
,
arrivavano
fra
gli
alberi
il
ruggito
dei
leoni
e
l
'
urlo
delle
tigri
chiusi
nelle
gabbie
del
vicino
Giardino
Zoologico
.
All
'
alba
il
sole
illuminava
il
letto
sfatto
,
la
grande
figura
del
dormiente
e
il
lungo
volto
ossuto
traversato
,
all
'
altezza
degli
occhi
,
da
una
larga
benda
di
seta
nera
.
Barilli
-
in
quello
scenario
da
Fantasma
dell
'
Opera
-
usava
le
sue
precauzioni
per
difendersi
dalla
luce
.
Sul
pavimento
un
tappeto
balcanico
,
avanzo
dei
ricordi
di
antichi
viaggi
,
pareva
,
con
le
sue
ruvide
lane
rosse
,
una
larga
traccia
di
sangue
.
Questo
è
un
ricordo
vecchissimo
,
quasi
antico
:
risale
al
tempo
in
cui
,
se
ritroviamo
la
loro
immagine
,
gli
uomini
sono
ancora
vestiti
in
costume
,
con
la
bombetta
,
con
le
ghette
,
con
grande
sciupio
di
amido
per
i
colletti
e
i
polsini
.
Le
donne
si
tingevano
gli
occhi
con
una
ditata
di
cerone
azzurro
e
le
adultere
,
nascoste
sotto
al
mantice
di
tela
cerata
delle
carrozzelle
,
riparavano
il
viso
sotto
velette
fiorate
.
Se
prestavi
l
'
orecchio
,
sulla
dirittura
del
Corso
pareva
di
udire
ancora
l
'
eco
delle
corse
dei
«
barberi
»
e
per
via
Gregoriana
il
passo
di
Andrea
Sperelli
.
Ogni
tanto
sfilava
qualche
gruppetto
di
arditi
,
con
il
fez
nero
dal
lungo
fiocco
,
che
parevano
usciti
da
una
stampa
del
Callot
.
Era
,
insomma
,
il
tempo
fra
il
1918
e
il
1920
,
quando
i
sottosegretari
dei
governi
non
avevano
ancora
a
disposizione
l
'
automobile
,
ma
una
vasta
carrozza
foderata
di
panno
verde
.
Bruno
Barilli
,
scrittore
di
musica
,
violoncellista
,
figlio
di
uno
scenografo
del
Regio
di
Parma
,
marito
di
una
nipote
del
re
Pietro
di
Serbia
,
erede
di
una
duplice
assomiglianza
con
Berlioz
e
con
Niccolò
Paganini
,
rosso
nei
capelli
cespugliosi
,
scavato
nel
volto
come
il
personaggio
di
un
disegno
di
Gustavo
Doré
,
povero
in
canna
,
lungo
come
un
flauto
,
avvolto
in
larghi
abiti
di
serge
blu
,
il
candido
colletto
floscio
sventolante
con
i
due
pizzi
sotto
alle
lunghe
mascelle
,
sembrava
arrivare
dritto
dritto
dalla
soffitta
dove
vivevano
i
personaggi
dei
racconti
di
Hoffmann
,
di
Poe
,
di
Gérard
de
Nerval
.
Quando
,
nel
1924
,
gli
fu
offerto
di
raccogliere
le
sue
prose
in
un
volumetto
,
che
ebbe
per
titolo
Delirama
e
che
segnò
un
punto
preciso
come
libro
essenziale
della
letteratura
italiana
di
questo
primo
mezzo
secolo
,
Barilli
si
era
guardato
attorno
lieto
e
impacciato
.
Dove
,
come
ritrovare
i
suoi
scritti
?
Ne
aveva
disseminati
nelle
«
terze
pagine
»
,
non
li
aveva
mai
conservati
.
Solo
la
buona
volontà
di
Emilio
Cecchi
poteva
compiere
il
miracolo
di
recuperare
quelle
settanta
-
ottanta
preziose
paginette
.
Di
qualcuna
che
non
era
possibile
scovare
da
nessuna
parte
,
Bruno
trovò
la
traccia
a
lapis
su
vecchi
programmi
del
Costanzi
e
dell
'
Augusteo
o
nel
rovescio
di
qualche
biglietto
d
'
ingresso
.
Anche
di
correggere
le
bozze
si
incaricò
Cecchi
,
perché
Barilli
non
lo
sapeva
fare
e
perché
,
come
al
solito
,
doveva
partire
.
La
vita
di
Barilli
fu
effettivamente
una
continua
partenza
.
Era
incapace
di
avere
una
casa
,
un
recapito
,
un
indirizzo
.
Viaggiava
,
lasciava
la
valigia
con
il
frac
al
giornale
,
arrivava
trafelato
,
si
cambiava
in
redazione
,
si
cibava
durante
lo
spettacolo
con
un
cartoccetto
di
bucce
d
'
arancia
candite
,
prendeva
le
sue
note
al
buio
appoggiando
il
taccuino
sul
ginocchio
ossuto
.
Non
c
'
è
da
stupirsi
che
i
suoi
libri
e
i
suoi
articoli
uscissero
a
urlo
di
lupo
.
La
povertà
,
la
melanconia
,
la
difficoltà
di
farsi
capire
come
musicista
,
un
orgoglio
leonino
e
un
animo
di
fanciullo
sperduto
,
l
'
incapacità
agli
accomodamenti
e
alle
alleanze
,
le
lunghe
amnesie
,
le
ansie
e
i
triboli
di
una
vita
solitaria
disperdevano
la
sua
vita
come
quella
di
un
esiliato
.
Compiuti
gli
studi
a
Parma
assieme
a
Ildebrando
Pizzetti
,
il
figlio
del
pittore
Cecrope
Barilli
è
diviso
fra
la
creazione
musicale
,
l
'
estro
letterario
e
la
vocazione
per
la
vita
nomade
.
Prima
della
Grande
Guerra
è
a
Parigi
che
resterà
spiritualmente
,
dopo
Parma
,
la
sua
seconda
patria
.
Il
suo
animo
illuminato
e
stoico
gli
permette
di
vivere
con
quasi
nulla
,
gli
consente
i
più
duri
adattamenti
.
Viaggia
qua
e
là
per
l
'
Europa
.
La
prima
guerra
balcanica
lo
sorprende
in
Serbia
.
Invece
di
tornare
in
Italia
-
non
vuole
,
perché
si
è
innamorato
di
una
nipote
di
re
Pietro
,
e
,
contro
la
volontà
del
sovrano
,
finirà
per
sposarla
e
per
avere
da
lei
una
figlia
,
Milena
-
telegrafa
al
«
Corriere
della
Sera
»
offrendosi
come
inviato
al
fronte
.
Aveva
già
scritto
per
«
La
Tribuna
»
.
L
'
offerta
è
accettata
dagli
Albertini
.
Barilli
però
non
è
tipo
di
adattarsi
a
un
giornalismo
rigoroso
che
finirebbe
a
non
lasciargli
tempo
per
la
musica
:
per
scriverne
e
soprattutto
per
pensarla
e
amarla
.
Ritorna
a
Parigi
e
si
sfama
e
sfama
la
piccola
Milena
suonando
il
violoncello
nelle
orchestrine
dei
caffè
.
Suona
anche
il
pianoforte
in
qualche
cinematografo
di
periferia
.
Conosce
il
russo
.
Si
lega
d
'
amicizia
con
i
musicisti
e
con
le
ballerine
della
prima
troupe
di
Diaghilev
quando
questi
cala
a
Parigi
.
Sono
i
tempi
in
cui
impara
a
cibarsi
di
valenciennc
'
e
di
acqua
.
Il
richiamo
della
sua
classe
lo
riporta
in
patria
,
con
un
berrettuccio
da
ufficiale
calcato
sui
capelli
rossi
.
Riappare
a
Parma
e
a
Roma
.
È
uno
strano
ufficiale
che
pretende
di
farsi
la
barba
con
un
paio
di
forbicine
da
unghie
.
Questa
è
un
'
abitudine
che
gli
resta
per
tutta
la
vita
:
le
sue
forbicine
lavorano
al
caffè
,
in
strada
,
in
tutti
i
momenti
in
cui
Barilli
naviga
tra
le
sue
fantasie
.
Sono
gli
anni
in
cui
,
dopo
avere
scritto
Medusa
,
compone
1'Emiral
.
Dove
?
In
quello
studio
da
pittore
di
villa
Strohl
-
Fern
,
non
c
'
è
l
'
ombra
di
un
pianoforte
.
Barilli
non
può
permettersi
di
noleggiarne
uno
e
si
fa
assumere
come
pianista
in
un
piccolo
cinema
dalle
parti
del
Vaticano
.
Deve
accompagnare
i
film
muti
.
Nelle
ore
del
primo
pomeriggio
,
quando
in
sala
ci
sono
soltanto
due
,
tre
coppie
di
innamorati
che
non
fanno
attenzione
né
al
film
né
alla
musica
,
Barilli
,
tranquillo
come
se
fosse
nel
proprio
studio
,
lavora
all
'
Emiral
.
Gli
amici
della
«
Ronda
»
sono
curiosi
di
conoscere
l
'
opera
.
Barilli
invita
tutti
al
cinematografo
e
,
durante
la
proiezione
di
un
film
di
Tom
Mix
,
la
suona
.
Fa
tutti
i
mestieri
,
solo
perché
si
è
promesso
di
non
fare
«
musica
di
mestiere
»
.
Per
pagarsi
questo
lusso
,
diventa
comparsa
nei
film
muti
.
Diventa
anche
attore
.
Caramba
gli
fa
interpretare
la
parte
di
Virgilio
,
in
una
specie
di
fantasia
sulla
Divina
Commedia
,
e
Arnaldo
Fratelli
,
che
in
quegli
anni
è
regista
,
lo
sceglie
per
protagonista
della
Rosa
,
il
primo
film
tratto
da
una
novella
di
Pirandello
.
Barilli
recita
bene
,
puntuale
,
disciplinato
.
Rifiuta
solo
una
sequenza
dove
deve
figurare
in
terra
,
morto
,
con
vicino
una
candela
.
Per
scaramanzia
?
No
.
Perché
gli
pareva
fa
scena
della
morte
di
Scarpia
e
,
come
musicista
,
quella
scena
della
'
rosea
non
gli
piaceva
.
La
sua
carriera
è
stroncata
da
un
atto
di
sincerità
artistica
nel
quale
sa
di
giocare
tutte
le
sue
già
tanto
precarie
fortune
di
operista
.
Dopo
la
prima
del
Nerone
,
a
Milano
,
scrive
in
un
giornale
romano
una
fiammeggiante
bellissima
pagina
di
prosa
nella
quale
Boito
,
Mefistofele
compreso
,
è
fatto
in
briciole
.
L
'
industria
del
teatro
d
'
opera
non
gli
perdonerà
mai
quell
'
articolo
che
,
dal
punto
di
vista
critico
,
è
perfetto
.
Non
si
può
più
ascoltare
Boito
senza
ricordare
la
stroncatura
di
Barilli
.
Ma
sono
gesti
che
pesano
:
lo
scrittore
di
musica
è
messo
al
bando
dai
giornali
benpensanti
che
non
amano
le
«
grane
»
.
Se
vuole
mangiare
,
Barilli
deve
trasformarsi
in
scrittore
di
viaggi
.
Dal
suo
periplo
dell
'
Africa
,
nasce
il
più
bel
libro
italiano
su
quel
continente
.
La
poesia
melanconica
,
la
cupa
segreta
disperazione
di
Barilli
si
riflettono
nell
'
Africa
e
negli
occhi
delle
sue
umili
genti
come
in
uno
specchio
nero
.
Al
termine
del
viaggio
,
si
ammala
e
resta
per
tre
mesi
in
fin
di
vita
,
al
Cairo
.
La
sua
fine
è
segnata
.
Le
sue
capacità
di
lavoro
-
un
lavoro
lento
,
fatto
di
raccoglimento
e
di
lunghissime
osservazioni
-
diminuiscono
.
Vive
solitario
in
una
stanzuccia
d
'
albergo
a
Roma
,
sorretto
da
un
solo
entusiasmo
.
Sua
figlia
Milena
,
che
è
emigrata
negli
Stati
Uniti
,
si
è
fatta
un
buon
nome
come
pittrice
,
e
aiuta
il
suo
strano
papà
mandandogli
in
dono
quadri
da
vendere
.
Bruno
si
intenerisce
e
,
invece
di
venderli
,
attacca
i
quadri
alle
pareti
della
sua
camera
.
Vive
poveramente
,
dignitosamente
chiuso
nei
suoi
vecchi
vestiti
azzurri
,
scrivendo
ogni
tanto
,
a
fatica
,
qualche
elzeviro
.
Sembra
che
abbia
dimenticato
di
essere
un
musicista
.
Un
giorno
,
un
telegramma
dall
'
America
gli
annuncia
che
Milena
è
morta
cadendo
da
cavallo
.
Bruno
si
avvia
al
naufragio
.
Continua
a
vivere
in
silenzio
a
tazze
di
tè
,
di
grissini
,
di
valenciennes
.
Perde
uno
alla
volta
i
denti
.
Si
riconosce
alla
fine
nello
specchio
come
un
triste
vecchio
sdentato
.
I
suoi
scritti
non
sono
ormai
che
la
tragica
storia
di
una
decadenza
.
Una
sera
,
trova
in
albergo
l
'
avviso
di
andare
alla
stazione
a
prendere
un
pacco
in
arrivo
da
New
York
.
È
la
cassettina
con
l
'
urna
che
contiene
le
ceneri
di
Milena
.
Tutti
sapevano
quanto
la
prosa
italiana
-
e
non
solamente
la
prosa
,
perché
il
riflesso
dell
'
arte
di
Barilli
ha
agito
in
vari
modi
a
cominciare
,
per
esempio
,
dalle
composizioni
pittoriche
e
dal
clima
fantastico
del
pittore
Scipione
-
doveva
a
Bruno
Barilli
:
ma
da
questo
ad
avere
per
lui
un
segno
fattivo
di
riconoscenza
il
passo
è
stato
lungo
e
incompiuto
.
Sembra
fosse
stato
firmato
un
decreto
che
,
nominandolo
ispettore
musicale
di
un
istituto
cinematografico
,
gli
avrebbe
assicurato
il
pane
.
Il
decreto
è
arrivato
quando
,
in
clinica
,
Barilli
già
vaneggiava
e
dal
fondo
del
suo
letto
come
chiamando
una
amica
,
ripeteva
con
voce
ancora
ferma
:
«
Avanti
,
Morte
!
»
.
StampaQuotidiana ,
Guardiamo
sempre
a
Santena
,
e
Santena
ci
risponde
:
Venezia
e
Roma
.
Guardiamo
ai
convenzionisti
,
e
ci
rispondono
:
Tappa
e
disarmo
.
Ebbene
,
no
.
Né
tappa
né
disarmo
.
Quest
'
è
il
nostro
programma
dell
'
avvenire
,
questa
la
posizione
nostra
franca
,
netta
,
decisa
.
Ma
la
Convenzione
è
legge
.
Sì
,
è
legge
,
e
la
rispetteremo
.
Ma
noi
le
daremo
altro
sviluppo
da
quello
che
intenderebbero
darle
i
loro
autori
.
Mentr
'
essi
abdicarono
al
programma
del
Conte
Cavour
,
noi
lo
vorremo
compito
fino
alla
sua
ultima
sillaba
.
Noi
,
soli
difensori
delle
Questioni
urgenti
di
Massimo
d
'
Azeglio
quand
'
era
vivo
Cavour
,
contro
il
briaco
schiamazzare
d
'
una
stampa
che
appena
allora
vagìa
di
politica
,
noi
non
apostatiamo
alla
nostra
fede
come
fan
essi
che
oggi
accettano
quello
contro
cui
bestemmiavano
allora
.
Noi
,
cui
piacque
sentir
le
nobili
ire
della
stampa
a
noi
ostile
contro
il
programma
di
raccoglimento
del
Conte
di
San
Martino
,
non
apostatiamo
oggi
al
nostro
grido
che
«
il
disarmo
con
Venezia
in
catene
sarebbe
tradimento
»
,
ma
subendo
la
inesorabile
necessità
a
cui
ci
trascina
la
Convenzione
fatta
legge
,
ci
adopreremo
perché
si
arrestino
,
per
quanto
è
possibile
,
le
ultime
conseguenze
di
un
atto
che
ci
condurrebbe
sa
Dio
a
quali
tristi
sciagure
.
Per
far
ciò
bisogna
che
il
Piemonte
corra
dietro
all
'
Italia
,
che
gli
si
tenta
rapire
.
Bisogna
rispettare
la
legge
del
trasporto
ma
star
sentinelle
col
moschetto
al
viso
per
attendere
l
'
ultimo
minuto
dei
due
anni
in
cui
la
Francia
s
'
è
impegnata
a
trarre
il
Corpo
d
'
occupazione
da
Roma
.
Bisogna
completare
l
'
Italia
con
Venezia
nostra
,
colla
Monarchia
in
Campidoglio
.
Eccoci
fermi
nei
nostri
principii
,
eccoci
saldi
sempre
alla
nostra
bandiera
.
Chi
vede
in
noi
il
municipalismo
,
ci
guarda
colle
lenti
proprie
.
Come
non
conosciamo
consorterie
,
come
non
conosciamo
partiti
,
come
non
conosciamo
interessi
che
ci
leghino
a
una
piuttostoché
ad
altra
contrada
,
così
non
conosciamo
municipii
.
Il
nostro
campanile
è
in
Campidoglio
.
Il
nostro
programma
è
quello
del
Conte
Cavour
!
StampaQuotidiana ,
Ogni
sforzo
diretto
a
porre
fine
alla
violenza
e
a
conciliare
gli
animi
esasperati
non
può
non
essere
guardato
con
benevolenza
e
secondato
con
sincero
desiderio
di
successo
.
Ma
perché
il
successo
sia
non
apparente
,
ma
reale
e
fecondo
di
utili
risultati
per
il
Paese
,
bisogna
che
i
vantaggi
conseguiti
dalla
parte
nazionale
sulla
parte
antinazionale
,
dall
'
Italia
sull
'
antitalia
abbiano
pieno
riconoscimento
e
siano
consolidati
in
quel
nuovo
stato
di
fatto
,
che
seguirà
all
'
accordo
.
Diversamente
sarebbe
non
una
pace
,
ma
una
semplice
tregua
a
tutto
vantaggio
dei
nemici
interni
,
che
la
pusillanime
tolleranza
o
assenza
dei
governanti
aveva
resi
audaci
e
spavaldi
e
che
la
spontanea
reazione
delle
giovani
forze
nazionali
,
dopo
averli
costretti
ad
una
disperata
difensiva
,
li
ha
ridotti
a
chiedere
mercé
.
Il
Popolo
italiano
non
è
una
scolaresca
in
vacanza
,
che
dopo
avere
giocato
alla
guerra
,
si
diverte
a
stipulare
la
pace
.
La
pace
interna
deve
essere
una
cosa
seria
,
appunto
perché
la
guerra
interna
è
stata
una
cosa
triste
ed
atroce
.
Come
coi
nemici
esterni
così
coi
nemici
interni
l
'
Italia
non
può
volere
una
pace
di
compromesso
,
ma
una
pace
vittoriosa
.
Ora
una
pace
vittoriosa
all
'
interno
non
può
voler
dire
semplicemente
la
fine
della
materiale
violenza
,
ma
il
riconoscimento
pieno
ed
universale
della
supremazia
morale
dell
'
Italia
,
l
'
osservanza
per
tutti
del
culto
,
per
lo
meno
esterno
,
della
Patria
.
Se
la
fine
della
violenza
non
deve
essere
l
'
effetto
dell
'
esaurimento
fisico
delle
parti
contendenti
o
di
un
intervento
coercitivo
del
potere
pubblico
,
ma
l
'
oggetto
di
una
regolare
stipulazione
contrattuale
,
questa
non
può
avere
per
presupposto
il
diritto
ad
una
incondizionata
libertà
di
manifestare
e
di
esaltare
la
propria
idealità
,
anche
se
in
contrasto
ed
in
ispregio
con
l
'
idea
sovrana
di
Patria
.
Non
si
può
contrattare
il
rispetto
alla
bandiera
nazionale
,
mediante
il
corrispettivo
del
rispetto
alla
bandiera
rossa
.
Al
disarmo
materiale
della
parte
nazionale
deve
corrispondere
da
parte
degli
elementi
sovversivi
il
disarmo
degli
spiriti
almeno
nelle
loro
manifestazioni
esteriori
.
Ora
sono
gli
uomini
,
che
si
assumono
la
responsabilità
di
rappresentarli
,
in
grado
di
garantire
che
non
avranno
più
a
ripetersi
gli
oltraggi
alla
bandiera
nazionale
,
il
vilipendio
dell
'
esercito
,
gli
insulti
ai
combattenti
e
le
offese
alla
vittoria
italiana
,
che
già
furono
in
onore
nelle
manifestazioni
pubbliche
e
sulla
stampa
di
loro
parte
?
Di
non
permettere
più
lo
sventolio
delle
bandiere
rosse
nei
loro
municipi
e
nelle
sedi
delle
loro
organizzazioni
,
i
voti
antipatriottici
nei
loro
consessi
?
Se
sì
,
firmino
pure
l
'
accordo
e
la
pace
sarà
fatta
.
Se
no
,
è
perfettamente
inutile
che
si
reciti
la
commedia
della
pace
interna
,
mediante
la
stipulazione
di
un
regolare
protocollo
di
rappresentanti
senza
credenziali
.
È
inutile
,
perché
la
violenza
,
non
potrà
mai
essere
eliminata
finché
permangono
le
provocazioni
alla
violenza
.
Noi
non
possiamo
ammettere
che
i
simboli
della
Patria
,
come
la
bandiera
nazionale
,
e
gli
organi
essenziali
della
Patria
,
come
l
'
esercito
,
siano
identificati
ai
simboli
e
agli
organi
di
un
partito
e
quindi
equiparati
,
nel
mutuo
rispetto
e
nella
mutua
tolleranza
,
ai
simboli
e
agli
organi
di
un
altro
partito
,
che
disconosce
la
Patria
in
tutti
i
suoi
attributi
e
in
tutti
i
suoi
simboli
.
Perciò
un
accordo
per
la
pacificazione
non
può
avere
per
oggetto
che
o
la
garanzia
dei
capi
socialisti
dell
'
ossequio
da
parte
dei
loro
seguaci
alle
forme
e
agli
istituti
che
incarnano
e
simboleggiano
la
maestà
della
Patria
;
o
l
'
impegno
da
parte
degli
stessi
capi
di
consentire
acché
lo
Stato
reprima
fermamente
,
anche
,
se
occorre
,
mercé
nuovi
provvedimenti
legislativi
,
ogni
forma
di
vilipendio
alla
Patria
e
ogni
offesa
alla
coscienza
nazionale
.
StampaQuotidiana ,
La
storia
del
mondo
voltava
pagina
.
Quando
Luigi
Barzini
,
ragazzo
di
Orvieto
,
scese
a
Roma
,
arruolato
in
un
modesto
giornale
,
che
mescolava
i
piccoli
entrefilets
con
i
«
pupazzetti
»
nel
genere
di
quelli
di
Vamba
e
di
Gandolin
,
e
fu
scovato
da
Luigi
Albertini
e
spedito
a
Londra
come
corrispondente
del
«
Corriere
della
Sera
»
,
erano
,
senza
che
molti
se
ne
rendessero
conto
,
anni
di
avvenimenti
favolosi
.
Dalla
lanterna
magica
si
passava
alle
pellicole
dei
Lumière
,
la
Patti
e
Tamagno
incidevano
i
loro
primi
«
cilindri
di
cera
»
per
il
fonografo
,
Marconi
studiava
il
telegrafo
senza
fili
,
l
'
uomo
si
ostinava
a
tentare
di
volare
affidato
ad
un
paio
d
'
ali
simili
a
quelle
di
un
pipistrello
.
Molto
cambiava
nel
mondo
.
Al
corredo
dei
soldati
giapponesi
sarebbe
stata
aggiunta
di
lì
a
poco
una
zappetta
per
scavare
,
idea
difensiva
del
tutto
nuova
,
una
trincea
.
Barzini
aveva
ventidue
anni
al
tempo
di
Adua
,
dove
cadde
ucciso
il
primo
inviato
speciale
italiano
.
Il
suo
spirito
di
italiano
rimase
per
tutta
la
vita
,
per
quel
ricordo
,
legato
al
problema
di
una
dignità
da
salvare
.
Il
giornalismo
al
cui
servizio
lo
chiamò
Luigi
Albertini
-
Barzini
aveva
ventiquattro
anni
,
Albertini
ventotto
-
sarebbe
stato
del
tutto
diverso
da
quello
dei
Bottero
,
dei
Bersezio
,
dei
Mercatelli
,
dei
Gobbi
-
Belcredi
,
dei
Roux
e
del
principe
Sciarra
.
Fosse
rimasto
a
Roma
,
Barzini
sarebbe
probabilmente
naufragato
nelle
cronache
,
nei
pettegolezzi
e
fra
i
«
pupazzetti
»
di
Montecitorio
.
Albertini
mandava
Ugo
Ojetti
,
altro
coetaneo
,
a
conoscere
le
terre
d
'
oltre
Adriatico
da
cui
sarebbe
giunta
in
Italia
la
bellissima
Principessa
Elena
e
,
subito
dopo
,
lo
mandava
in
Calabria
sulle
tracce
del
brigante
Musolino
.
A
Barzini
,
alto
,
magro
,
pettinato
con
una
riga
in
mezzo
,
Albertini
consegnò
le
chiavi
del
mondo
ad
un
'
età
in
cui
,
mentre
l
'
Ottocento
tramontava
,
era
ancora
difficile
che
si
affidassero
ai
ragazzi
le
chiavi
di
casa
.
Negli
uffici
del
«
Corriere
»
Barzini
non
ebbe
mai
una
propria
scrivania
.
A
casa
,
per
vari
anni
,
non
ebbe
il
telefono
,
in
una
Milano
che
nel
1906
aveva
solamente
mille
apparecchi
.
Il
figlio
non
ci
racconta
se
suo
padre
«
batteva
»
a
macchina
.
La
stilografica
era
appena
nata
ed
era
una
novità
addirittura
entusiasmante
,
tanto
che
certi
giornalisti
intitolavano
Stilografiche
le
loro
rubriche
.
Gli
articoli
di
viaggio
e
le
corrispondenze
si
chiamavano
Lettere
da
Londra
o
Lettere
dalla
Russia
o
addirittura
,
più
tardi
,
Lettere
dal
fronte
perché
erano
proprio
delle
lettere
da
porto
doppio
,
impostate
con
francobolli
da
15
centesimi
.
Milano
non
toccava
il
mezzo
milione
di
abitanti
.
Barzini
andava
in
terre
lontane
:
e
,
nelle
terre
lontane
,
viaggiava
ancora
a
cavallo
.
Nei
conti
che
,
al
ritorno
,
consegnava
all
'
amministratore
Eugenio
Balzan
,
c
'
erano
«
voci
»
che
oggi
sanno
di
favola
:
cavallo
,
stalla
,
striglia
,
avena
,
carrube
.
La
Cina
per
la
guerra
dei
Boxers
;
la
Siberia
vista
dalla
Transiberiana
;
la
tragica
epopea
della
guerra
russo
-
giapponese
fino
alla
battaglia
di
Mukden
;
infine
i
16
mila
chilometri
di
viaggio
in
automobile
da
Pechino
a
Parigi
:
sono
i
sette
anni
stupefacenti
di
Barzini
,
scrittore
lento
,
pieno
di
dubbi
e
di
tormenti
,
infaticabile
nello
sforzo
di
raggiungere
una
«
limpidità
»
che
fino
allora
,
salvo
per
De
Amicis
,
sembrava
negata
alla
nostra
prosa
non
solamente
giornalistica
.
Per
chi
conosce
i
suoi
predecessori
,
la
differenza
di
tono
appare
evidente
.
Barzini
non
amoreggia
con
i
crepuscolari
:
non
è
un
seguace
del
«
naturalismo
»
e
,
soprattutto
,
non
si
lascia
prendere
nemmeno
con
la
punta
del
mignolo
nelle
tagliole
del
dannunzianesimo
.
Sempre
salvo
da
ogni
contagio
,
è
probabile
che
leggesse
assai
poco
i
suoi
contemporanei
.
Era
tutto
teso
a
«
vedere
»
,
si
fidava
più
della
memoria
visiva
che
non
del
taccuino
.
Collega
di
due
grossi
bibliofili
come
Ojetti
e
Simoni
,
in
casa
-
salii
una
volta
,
a
vent
'
anni
,
al
suo
quarto
piano
-
non
aveva
vistose
librerie
.
I
libri
erano
quasi
tutti
,
probabilmente
,
di
sua
moglie
,
ch
'
era
buona
scrittrice
:
e
per
quanto
io
guardassi
attorno
sulle
pareti
e
sugli
scaffali
e
persino
nei
corridoi
,
non
aveva
souvenirs
de
voyage
non
,
come
avevo
immaginato
,
selle
arabe
,
fucili
dal
calcio
intarsiato
di
madreperla
,
tappeti
,
gualdrappe
di
cammelli
,
paraventi
cinesi
,
ventagli
giapponesi
.
Anche
le
sue
pagine
di
viaggio
nel
mondo
delle
geishe
,
o
nella
vecchia
Pechino
,
o
nelle
città
czariste
,
non
convogliano
in
sé
colori
di
rigatteria
o
di
esotismo
turistico
,
per
esempio
alla
Pierre
Loti
o
alla
Claude
Farrère
.
Barzini
tornava
a
casa
con
un
bagaglio
leggerissimo
,
sempre
pronto
a
ripartire
all
'
indomani
.
Egli
credeva
,
penso
,
solamente
nel
filtro
della
memoria
e
nel
potere
,
che
chiamerei
epistolare
,
del
suo
stile
.
Di
qui
la
chiarezza
del
suo
colloquio
con
il
lettore
,
una
parola
senza
riboboli
e
senza
barocchismi
,
un
disegno
descrittivo
netto
,
e
mai
il
fiato
corto
o
il
fiato
grosso
,
e
mai
il
compiacimento
del
«
pezzo
»
che
strizza
l
'
occhio
sul
virtuosismo
e
dice
:
«
Guardate
quanto
son
bravo
!
»
.
Un
intuito
infallibile
negli
«
attacchi
»
-
chi
fa
il
nostro
mestiere
sa
che
nelle
prime
righe
si
mette
tutto
in
gioco
-
,
nessun
crescendo
retorico
,
mai
troppa
spinta
nel
premere
il
pedale
.
Dopo
quasi
sessant
'
anni
la
prosa
di
queste
«
avventure
»
non
ha
forfora
,
non
ha
chiazze
di
sopraggiunta
calvizie
,
non
ha
rughe
o
zampe
di
gallina
,
non
ci
appare
,
mai
in
«
costume
»
,
non
denuncia
un
«
gusto
»
.
La
sua
lezione
è
ancora
valida
,
dopo
che
tre
generazioni
si
sono
lustrate
le
maniche
sul
tavolo
a
buttar
fuori
prosa
che
faccia
velocemente
girare
la
rotativa
.
StampaQuotidiana ,
Il
telegrafo
aveva
alquanto
addolcito
il
tuono
di
superiorità
assunto
dal
discorso
napoleonico
nella
parte
che
concerne
la
quistione
italiana
.
L
'
Imperatore
non
ha
detto
solamente
:
«
Nel
mezzogiorno
dell
'
Europa
la
nostra
azione
doveva
esercitarsi
con
maggiore
risolutezza
»
ma
ha
voluto
esplicitamente
rivendicare
la
Convenzione
come
un
atto
suo
proprio
e
personalissimo
.
Egli
così
s
'
è
espresso
:
«
Nel
mezzogiorno
dell
'
Europa
l
'
azione
della
Francia
doveva
esercitarsi
con
maggior
risolutezza
.
IO
HO
VOLUTO
render
possibile
la
soluzione
di
un
difficile
problema
»
.
Davanti
a
questo
J
'
AI
VOULU
che
cosa
resta
della
famosa
formula
del
ministero
passato
«
indipendenti
sempre
,
isolati
mai
?
»
.
J
'
ai
voulu
,
e
l
'
Italia
(
salvo
il
piccolo
Stato
ai
piedi
delle
Alpi
a
cui
le
membra
sparse
della
patria
italiana
cercavano
di
riattaccarsi
per
mezzo
di
deboli
legami
)
ha
trangugiata
la
pillola
non
solo
con
rassegnazione
,
ma
con
entusiasmo
.
Questo
divario
d
'
opinione
tra
il
resto
d
'
Italia
e
il
piccolo
paese
porge
al
discorso
imperiale
naturalissima
occasione
di
fulminare
i
pregiudizi
anti
-
convenzionisti
,
e
di
lasciar
cadere
dalla
penna
un
'
idea
nuova
espressa
in
modo
irréprochable
,
l
'
idea
cioè
che
tra
le
membra
della
patria
italiana
e
il
piccolo
paese
ai
piedi
delle
Alpi
corra
un
non
so
che
di
distinto
,
o
in
altri
termini
,
che
l
'
Italia
che
si
proclama
costituita
definitivamente
senza
Venezia
e
senza
Roma
,
potrà
esserlo
anche
senza
il
piccolo
paese
.
Ma
del
piccolo
paese
che
cosa
intendesi
di
fare
?
Un
Regno
a
parte
perché
serva
di
cuscino
intermedio
per
rammorbidire
gli
attriti
fra
la
Francia
e
l
'
Italia
futura
,
come
prima
fra
la
Francia
e
l
'
Austria
?
Oppure
addirittura
dipartimenti
francesi
?
Oh
bene
!
Il
Piemonte
risponde
intanto
alla
frase
imperiale
,
ricordandosi
l
'
eroe
biellese
,
e
gridando
VIVA
PIETRO
MICCA
!
Il
Piemonte
ha
da
lagnarsi
altamente
di
alcune
provincie
italiane
,
ma
i
torti
di
fratelli
non
gli
faranno
rinnegare
la
madre
.
E
poi
or
ch
'
è
palese
che
la
Convenzione
non
è
cosa
italiana
,
perchè
avrebbe
rancori
contro
gente
che
non
sapeva
quello
che
si
facesse
?
Viva
l
'
Italia
!
Viva
Pietro
Micca
!