StampaQuotidiana ,
È
una
donna
ancora
molto
bella
,
Zarah
Leander
.
Anche
se
la
prima
giovinezza
sta
staccandosi
se
pure
molto
dolcemente
da
lei
,
il
suo
volto
ne
ha
acquistato
un
rilievo
drammatico
profondo
.
I
suoi
occhi
sono
stati
e
sono
molto
famosi
,
leggendariamente
inquietanti
.
Ieri
sera
al
Mediolanum
,
eccoli
gli
occhi
di
questa
signora
vestita
di
bianco
che
,
quasi
immobile
davanti
al
microfono
,
cantava
alcune
canzoni
in
francese
e
in
svedese
.
Non
sono
occhi
particolarmente
grandi
,
o
particolarmente
splendenti
.
Il
loro
colore
,
nella
piena
luce
della
ribalta
,
è
mescolato
d
'
oro
cupo
e
di
qualche
nota
azzurra
.
Sono
occhi
difficili
da
raccontare
:
occhi
d
'
attrice
come
li
vide
un
tempo
,
intensi
,
De
Nittis
in
Sarah
Bernhardt
e
Albert
Besnard
in
Réjane
:
occhi
un
poco
distanti
e
dallo
sguardo
raramente
afferrabile
.
Anche
Colette
ha
di
questi
occhi
vibrati
,
fatti
più
per
la
malinconia
che
per
il
sorriso
:
occhi
,
direi
,
da
confessione
drammatica
.
Il
canto
di
Zarah
Leander
è
,
come
il
suo
sguardo
,
vibrato
.
È
il
canto
in
tono
di
contralto
di
una
dicitrice
dalla
concitata
veemenza
,
quasi
virile
,
che
in
certi
momenti
spalanca
brutalmente
le
porte
sulla
verità
.
Una
voce
inattesa
per
il
nostro
orecchio
latino
abituato
alle
tonalità
canore
definite
e
a
un
modellato
delle
parole
meno
rapinoso
e
meno
sferzante
.
Raquel
Meller
-
arrivata
anche
lei
venticinque
anni
fa
,
alla
fine
della
prima
guerra
mondiale
,
al
music
-
hall
dopo
le
esperienze
del
cinema
-
aveva
nel
canto
la
stessa
virtù
plastica
,
anche
se
la
musica
della
Violetera
,
che
fu
la
sua
grande
creazione
,
era
di
sentimenti
meno
neo
-
realisti
di
quelli
delle
canzoni
francesi
che
la
Leander
canta
come
in
un
soliloquio
di
disperata
confessione
femminile
,
così
come
si
può
immaginare
che
una
donna
parli
solo
quando
è
sicura
di
essere
assolutamente
sola
.
StampaQuotidiana ,
Firenze
,
li
4
novembre
1877
Gentilissimo
sig
.
Direttore
.
Ora
che
sono
di
moda
le
proposte
di
riforma
,
più
o
meno
radicali
,
della
nostra
legge
comunale
e
provinciale
,
vorrei
anch
'
io
suggerire
un
emendamento
,
lievissimo
nella
forma
,
ma
importante
per
la
sostanza
,
con
il
quale
si
verrebbe
a
rimediare
ad
una
grave
lacuna
della
legislazione
attuale
,
lacuna
a
cui
non
si
è
in
alcun
modo
provveduto
né
nella
proposta
di
legge
ministeriale
né
in
quella
della
commissione
parlamentare
.
Secondo
la
legge
del
1865
come
pure
secondo
i
nuovi
progetti
presentati
alla
Camera
l
'
analfabeta
è
per
regola
generale
,
e
salvo
alcuni
casi
eccezionali
tassativamente
determinati
dal
legislatore
,
escluso
affatto
dall
'
elettorato
.
Il
solo
motivo
che
giustifichi
una
tale
esclusione
è
quello
,
che
l
'
analfabeta
non
può
essere
mai
certo
del
suo
voto
,
dovendosi
fidare
alla
buona
fede
altrui
;
e
non
è
quindi
interamente
libero
nell
'
esercizio
del
suo
diritto
.
Insomma
non
si
ha
nessuna
sicurezza
della
sincerità
del
voto
dell
'
analfabeta
.
Noto
,
in
parentesi
,
per
chi
non
lo
sapesse
,
che
nelle
elezioni
amministrative
la
legge
non
richiede
che
il
voto
sia
scritto
di
proprio
pugno
dall
'
elettore
,
onde
la
giurisprudenza
,
sebbene
non
perfettamente
concorde
nei
suoi
giudizi
sulla
maggiore
o
minore
capacità
di
scrivere
richiesta
dall
'
elettore
,
ha
però
ritenuto
sempre
come
requisito
indispensabile
quello
di
saper
leggere
un
nome
scritto
da
mano
altrui
.
E
sin
qui
nulla
avrei
da
criticare
,
quanto
alla
questione
teorica
.
Ma
vediamo
un
poco
quali
sono
nella
pratica
gli
effetti
di
una
tale
esclusione
.
Avverto
che
mi
restringerò
a
parlare
della
Toscana
,
come
quella
regione
che
è
meglio
cognita
alla
maggioranza
dei
lettori
della
«
Nazione
»
;
le
mie
osservazioni
però
si
possono
applicare
egualmente
a
quasi
tutte
le
diverse
regioni
d
'
Italia
,
e
più
specialmente
in
cui
vige
,
come
contratto
agricolo
,
la
mezzadria
,
sotto
una
qualunque
delle
sue
molteplici
forme
.
L
'
esclusione
degli
analfabeti
dall
'
elettorato
amministrativo
non
ha
una
grande
importanza
pratica
nelle
nostre
città
,
e
nemmeno
nei
paesi
e
nelle
borgate
,
ma
invece
porta
alla
radiazione
dalle
liste
elettorali
della
maggioranza
dei
contadini
.
E
perché
mai
?
Perché
i
capoccia
,
ossia
i
capi
delle
famiglie
coloniche
,
sono
per
la
maggior
parte
illetterati
,
sebbene
per
censo
avrebbero
quasi
tutti
diritto
all
'
elettorato
,
sia
in
proprio
come
imposti
da
tasse
di
famiglia
,
sia
imputando
nel
loro
censo
,
in
virtù
dell
'
art
.
24
della
legge
del
1865
un
terzo
delle
imposte
reali
pagate
dal
padrone
del
fondo
.
Or
bene
,
siffatta
esclusione
della
massa
dei
contadini
dalle
liste
elettorali
amministrative
è
,
come
ben
sa
chiunque
ha
pratica
d
'
amministrazione
,
un
danno
grandissimo
per
il
nostro
paese
.
Essa
disturba
la
proporzionalità
della
rappresentanza
dei
diversi
interessi
nei
consigli
comunali
,
e
,
specialmente
nei
comuni
di
natura
mista
,
cioè
in
parte
urbani
e
in
parte
rurali
,
produce
sconci
gravissimi
,
ed
ingiustizie
ed
oppressioni
non
poche
,
dando
il
potere
esclusivamente
in
mano
ad
una
piccola
minoranza
cittadina
.
Pei
democratici
dovrebbe
essere
argomento
di
dolore
il
veder
leso
a
questo
modo
il
principio
delle
maggioranze
,
come
pure
il
principio
del
diritto
di
ogni
contribuente
di
vegliare
sulla
gestione
del
denaro
pubblico
;
e
d
'
altra
parte
i
conservatori
dovrebbero
deplorare
la
insufficiente
rappresentanza
della
classe
dei
contadini
,
la
quale
è
,
per
sua
natura
,
conservatrice
,
e
nemica
delle
rivoluzioni
,
delle
guerre
,
e
dei
cataclismi
.
Il
capoccia
delle
nostre
famiglie
coloniche
,
sebbene
pur
troppo
spesso
illetterato
,
è
tutt
'
altro
che
ignorante
o
rozzo
;
ha
invece
buon
senso
,
ha
esperienza
,
una
discreta
cultura
tecnica
,
ed
una
grande
conoscenza
degli
uomini
.
E
non
si
dica
che
l
'
esclusione
dei
contadini
dalle
liste
elettorali
dipenda
da
colpa
dei
proprietari
,
i
quali
avendo
in
tante
questioni
interessi
conformi
a
quelli
dei
contadini
,
dorrebbero
adoperarsi
ed
insegnare
a
questi
a
leggere
ed
a
scrivere
.
Ed
invero
non
si
può
sperare
né
pretendere
che
i
vecchi
capoccia
,
uomini
che
hanno
quasi
tutti
dai
quarant
'
anni
in
su
,
ed
hanno
sulle
spalle
tutto
il
peso
del
sostentamento
della
famiglia
,
possano
ora
andare
a
scuola
ad
imparare
l
'
abbicì
.
Le
scuole
serviranno
per
la
nuova
generazione
,
ma
oramai
i
vecchi
sono
quel
che
sono
.
Di
qui
a
venti
o
trent
'
anni
si
sarà
,
forse
,
riparato
all
'
inconveniente
attuale
coll
'
istruzione
elementare
più
diffusa
,
ma
intanto
in
venti
o
trent
'
anni
c
'
è
il
tempo
di
mandare
in
rovina
tutti
i
bilanci
comunali
e
di
fare
dei
danni
incalcolabili
ed
irreparabili
.
E
come
si
può
sperare
che
i
proprietari
si
adoprino
efficacemente
a
diffondere
l
'
istruzione
nelle
campagne
,
quando
non
dovranno
fruire
del
vantaggio
di
una
tal
diffusione
che
di
qui
a
vent
'
anni
o
più
,
mentre
saranno
per
risentirne
immediatamente
i
pesi
per
l
'
aumentata
spesa
delle
scuole
,
per
la
minore
docilità
dei
contadini
,
ecc
.
Non
esigiamo
eroismi
dalla
media
degli
uomini
,
a
qualunque
classe
appartengano
;
e
se
vogliano
che
i
proprietari
si
adoprino
a
tutt
'
uomo
all
'
incremento
dell
'
istruzione
pubblica
,
malgrado
i
danni
diretti
che
ad
essi
ne
proverranno
,
dobbiamo
d
'
altra
parte
far
sì
,
che
essi
possano
risentirne
anche
un
qualche
vantaggio
immediato
.
Se
no
,
faremo
un
buco
nell
'
acqua
con
tutte
le
nostre
leggi
di
istruzione
obbligatoria
.
«
Ma
dunque
?
mi
si
domanderà
vorreste
forse
dare
il
voto
agli
analfabeti
?
»
No
;
tutt
'
altro
.
E
qui
scendo
alla
parte
positiva
del
mio
ragionamento
.
L
'
art
.
22
dispone
che
«
il
padre
può
delegare
ad
uno
dei
figli
l
'
esercizio
dei
suoi
diritti
elettorali
,
purché
nel
delegato
concorrano
gli
altri
requisiti
prescritti
per
essere
elettori
»
.
Con
questa
savia
disposizione
parrebbe
che
si
fosse
provveduto
a
tutto
,
poiché
il
padre
che
sarebbe
elettore
per
censo
ma
che
si
trovasse
escluso
dalle
liste
perché
analfabeta
,
delegherebbe
il
suo
diritto
ad
uno
dei
suoi
figli
,
il
quale
o
avrà
già
frequentato
la
scuola
elementare
,
oppure
potrà
sempre
,
andando
alle
scuole
serali
,
acquistare
ben
presto
la
capacità
di
leggere
e
scrivere
un
nome
sopra
una
scheda
.
Ma
nossignori
!
Ci
stanno
di
mezzo
le
formole
giuridiche
.
«
Non
si
può
delegare
ad
altri
facoltà
che
non
si
hanno
»
.
Dunque
il
padre
che
non
è
elettore
,
perché
analfabeta
,
non
può
delegare
nulla
al
figlio
letterato
.
E
quando
in
Italia
si
è
trovato
una
formula
giuridica
,
non
c
'
è
più
logica
che
tenga
;
e
gl
'
Intendenti
piemontesi
decisero
che
il
padre
analfabeta
non
può
delegare
il
censo
al
figlio
.
Questa
decisione
a
me
pare
ingiusta
ed
assurda
.
All
'
analfabeta
si
toglie
l
'
elettorato
perché
mancano
in
lui
le
garanzie
di
libertà
e
di
sincerità
del
voto
;
e
non
per
punirlo
,
ché
ogni
pena
siffatta
,
in
Italia
,
sarebbe
una
iniquità
.
Ma
quali
sono
le
ragioni
per
cui
un
analfabeta
non
potrebbe
,
con
egual
cognizione
di
causa
che
un
presidente
dell
'
Accademia
della
Crusca
,
delegare
il
suo
voto
al
figlio
?
Qui
si
tratta
soltanto
della
questione
se
quel
tale
Tizio
,
il
quale
paga
un
censo
adequato
,
abbia
o
no
fiducia
sufficiente
nel
suo
figlio
per
delegare
a
lui
la
rappresentanza
civica
di
quegl
'
interessi
familiari
che
hanno
,
per
regola
,
diritto
ad
una
voce
nell
'
elezione
della
autorità
locale
.
E
dovendosi
tal
delegazione
far
sempre
per
atto
autentico
,
qual
è
la
garanzia
che
manchi
nel
caso
dell
'
analfabeta
più
che
in
qualunque
altro
caso
?
Quando
ammettiate
la
delegazione
del
censo
del
padre
analfabeta
al
figlio
letterato
,
avrete
in
questi
un
elettore
che
sa
leggere
e
scrivere
e
che
rappresenta
una
somma
d
'
interessi
nel
comune
.
Quale
può
dunque
essere
la
ragione
di
una
tal
esclusione
?
Io
non
saprei
davvero
escogitarne
una
buona
.
Qui
si
tratta
di
una
vera
e
propria
delegazione
di
censo
da
padre
a
figlio
,
e
non
di
altro
;
tant
'
è
vero
,
che
la
delegazione
è
sempre
revocabile
,
e
che
il
padre
che
può
essere
elettore
per
capacità
oltreché
per
censo
,
può
,
anche
attualmente
,
delegare
al
figlio
il
censo
restando
egli
stesso
elettore
.
Ciò
per
la
teoria
.
Quanto
poi
alla
pratica
,
si
otterrebbero
colla
delegazione
del
censo
fatta
dal
padre
analfabeta
parecchi
vantaggi
grandissimi
in
primo
luogo
una
classe
importantissima
della
nostra
popolazione
tornerebbe
ad
avere
la
sua
giusta
parte
d
'
influenza
nella
gestione
delle
amministrazioni
locali
;
e
in
secondo
luogo
i
proprietari
avrebbero
d
'
ora
in
poi
in
moltissimi
comuni
un
interesse
diretto
ed
immediato
alla
diffusione
dell
'
istruzione
elementare
nelle
campagne
,
interesse
che
ora
manca
affatto
.
In
qualche
provincia
d
'
Italia
per
esempio
nel
Palermitano
,
la
deputazione
provinciale
ha
,
di
fatto
,
ammesso
la
delegazione
di
censo
fatta
dal
padre
analfabeta
;
ma
questa
ammissione
è
reputata
generalmente
illegale
,
e
condannata
dai
commentatori
della
legge
del
1865
.
Le
nuove
proposte
di
legge
presentate
alla
Camera
ripetono
a
questo
riguardo
le
disposizioni
della
legge
attuale
,
senza
pronunciarsi
sulla
questione
che
ho
esaminato
:
mi
reputerei
davvero
fortunato
se
,
in
occasione
delle
prossime
discussioni
parlamentari
,
potessi
con
questi
rozzi
appunti
richiamare
su
di
essa
l
'
attenzione
dei
nostri
uomini
pubblici
.
Le
stringo
cordialmente
la
mano
confermandomi
suo
devotissimo
SIDNEY
SONNINO
.
StampaQuotidiana ,
Le
conclusioni
che
si
possono
trarre
dall
'
andamento
di
questa
manifestazione
di
Primo
Maggio
sono
confortanti
.
La
manifestazione
è
riuscita
come
intervento
di
masse
,
come
estensione
di
solidarietà
operaia
.
Ha
dimostrato
come
il
proletariato
italiano
malgrado
la
reazione
è
sempre
rosso
.
Ed
è
anche
riuscita
come
prova
di
spirito
di
combattività
che
si
risveglia
nelle
file
dei
lavoratori
.
I
fascisti
si
sono
preoccupati
di
dimostrare
col
loro
contegno
e
colle
loro
stesse
dichiarazioni
che
si
trattava
di
una
manifestazione
antifascista
.
E
tale
è
stato
il
significato
della
astensione
dal
lavoro
e
dell
'
intervento
alle
dimostrazioni
di
grandissime
masse
,
da
un
capo
all
'
altro
d
'
Italia
,
e
senza
escludere
le
zone
percosse
dal
fascismo
.
Se
i
cortei
non
si
sono
fatti
si
deve
alla
imposizione
del
governo
:
se
si
fossero
potuti
tenere
,
oggi
conteremmo
un
maggior
numero
di
morti
operai
,
ma
anche
un
maggior
numero
di
morti
fascisti
.
Tuttavia
,
accanto
alla
confortante
constatazione
della
vastità
ed
imponenza
della
manifestazione
e
dell
'
elevato
morale
della
massa
,
dobbiamo
porre
quella
che
l
'
organizzazione
ha
lasciato
in
generale
a
desiderare
.
La
cosa
non
è
senza
ragione
:
la
tattica
dell
'
unità
di
fronte
adottata
in
questo
Primo
Maggio
da
tutti
gli
organismi
proletari
,
esperimento
dell
'
Alleanza
del
lavoro
italiana
,
ha
recato
insieme
questo
benefizio
e
questo
vantaggio
,
che
vanno
dai
comunisti
attentamente
considerati
.
Ci
limitiamo
qui
ad
accennare
brevemente
alla
cosa
,
in
presenza
del
comunicato
diramato
dal
Comitato
dell
'
Alleanza
del
lavoro
dopo
il
Primo
Maggio
.
Con
la
tattica
dell
'
unità
di
fronte
si
sono
potute
radunare
ai
comizi
di
Primo
Maggio
grandi
moltitudini
operaie
anche
dove
era
ben
chiaro
nella
coscienza
fin
dell
'
ultimo
intervenuto
che
non
si
trattava
della
solita
e
tradizionale
coreografia
,
ma
di
una
giornata
di
lotta
.
Ma
questa
dimostrazione
dell
'
avversione
del
proletariato
alla
reazione
e
al
fascismo
,
dello
spirito
di
classe
che
tuttora
anima
le
grandi
moltitudini
di
lavoratori
,
non
è
abbastanza
per
poter
aver
ragione
del
fascismo
e
della
reazione
.
Il
fascismo
non
sarà
soffocato
da
unanimità
platoniche
:
le
rivoltelle
e
i
pugni
non
saranno
rese
impotenti
col
gettarvi
sopra
una
materassa
.
Il
fascismo
non
ha
il
numero
,
ma
ha
l
'
organizzazione
,
unitaria
e
centralizzata
,
ed
è
in
ciò
la
sua
forza
,
integrata
nella
centralizzazione
del
potere
ufficiale
borghese
.
L
'
Alleanza
del
lavoro
che
oggi
ha
permesso
di
raggruppare
masse
imponenti
deve
divenire
capace
di
inquadrarle
con
disciplina
unitaria
.
Qui
è
il
compito
dei
comunisti
,
nel
conseguire
questo
risultato
,
verso
il
quale
non
si
è
fatto
che
il
primo
passo
.
Quando
sarà
possibile
che
le
grandi
adunate
possano
contare
sul
concorso
proletario
,
e
nello
stesso
tempo
su
una
razionale
preparazione
delle
nostre
forze
,
allora
il
proletariato
potrà
dominare
il
suo
nemico
.
In
questo
Primo
Maggio
si
è
potuto
notare
che
i
comizi
e
i
movimenti
concordati
dalle
organizzazioni
alleate
mancavano
un
po
'
di
preparazione
organizzativa
anche
al
modesto
effetto
della
loro
protezione
dagli
attacchi
degli
avversari
,
e
questo
dipendeva
dal
fatto
che
non
era
ben
chiaro
chi
avesse
organizzato
i
comizi
e
disposto
il
piano
del
loro
svolgimento
sotto
tutti
gli
aspetti
.
I
comitati
locali
dell
'
Alleanza
non
sono
che
di
recente
formazione
,
e
non
hanno
chiara
consistenza
organizzativa
,
e
sufficienti
poteri
.
Tuttavia
,
è
già
un
gran
vantaggio
quello
di
aver
potuto
avere
radunate
comuni
delle
masse
,
perché
ciò
eleva
il
morale
proletario
e
consente
ai
comunisti
di
portare
a
tutto
il
proletariato
la
loro
franca
parola
.
Tutto
un
ulteriore
sviluppo
dell
'
interessante
esperimento
italiano
della
tattica
del
fronte
unico
condurrà
ad
integrare
con
questo
vantaggio
innegabile
l
'
altro
dell
'
effettiva
ed
intima
unità
di
organizzazione
.
L
'
argomento
si
presta
ad
importantissime
considerazioni
:
vogliamo
ora
solo
notare
che
il
terreno
sindacale
su
cui
l
'
Alleanza
è
costituita
,
permette
ai
comunisti
di
premere
perché
essa
divenga
sempre
più
stretta
organizzativamente
,
giungendosi
così
all
'
unità
sindacale
proletaria
che
sempre
noi
abbiamo
auspicata
e
che
il
programma
del
Partito
comunista
solo
può
e
dovrà
riempire
di
contenuto
rivoluzionario
.
Per
ora
vi
è
da
reagire
contro
il
carattere
pigro
ed
incerto
che
ha
fino
ad
oggi
la
dirigenza
dell
'
Alleanza
del
lavoro
.
I
comunisti
hanno
già
formulato
in
modo
preciso
e
concreto
le
loro
proposte
per
lo
sviluppo
,
per
il
ravvivamento
,
per
il
potenziamento
dell
'
Alleanza
,
che
potrebbe
,
se
la
campagna
non
venisse
spinta
energicamente
innanzi
,
parallelamente
alle
eloquenti
esperienze
dell
'
azione
proletaria
,
degenerare
in
una
burocratica
ed
ingombrante
diplomazia
di
capi
esitanti
ed
opportunisti
.
Quanto
le
proposte
comuniste
siano
urgenti
lo
dimostra
il
contegno
passivo
dell
'
Alleanza
dinanzi
alle
gravissime
provocazioni
che
hanno
subito
il
Primo
Maggio
le
folle
operaie
e
,
nonostante
gli
inviti
all
'
azione
giunti
da
tante
parti
,
lo
dimostra
la
sua
insensibilità
alla
pressione
che
viene
oggi
dal
proletariato
italiano
disposto
a
procedere
rapidamente
sulla
via
della
controffensiva
.
E
lo
dimostra
,
eloquentissimo
documento
,
il
comunicato
diramato
dal
Comitato
nazionale
,
che
con
le
sue
frasi
piatte
e
banali
declina
la
suggestione
sorgente
dalle
masse
anelanti
la
lotta
:
comunicato
al
quale
non
vogliamo
scrivere
altro
commento
,
sicuri
che
,
come
la
quistione
è
ormai
irrevocabilmente
posta
innanzi
alle
masse
,
così
queste
non
mancheranno
di
commentare
e
giudicare
esse
,
per
trarre
da
quest
'
altra
delusione
nuovo
stimolo
a
proseguire
sull
'
aspra
ma
sicura
via
della
loro
riscossa
.
StampaQuotidiana ,
Il
mio
primissimo
ricordo
di
Longanesi
risale
lontano
,
ai
tempi
,
attorno
al
1925
,
di
una
gita
notturna
da
Bologna
a
Ferrara
.
Quanti
anni
aveva
?
Una
ventina
.
Non
credo
avesse
terminato
gli
studi
regolari
:
era
piccolo
di
statura
-
i
tre
«
piccoli
»
di
Roma
,
quando
vi
si
trasferì
,
erano
,
con
lui
,
il
pittore
Bartoli
e
il
pittore
Maccari
,
che
allora
si
arrangiava
a
far
della
modesta
«
cucina
»
giornalistica
-
,
aveva
,
nel
viso
pallido
di
autodidatta
,
due
occhi
che
sembravano
pronti
solamente
all
'
ironia
o
alla
rissa
.
Il
braccio
,
entro
la
manica
dell
'
abito
scuro
,
lo
sentii
solido
:
la
mano
gentile
,
ma
,
nella
stretta
,
dura
.
In
sei
dentro
l
'
automobile
che
ci
portava
a
Ferrara
con
gran
rumore
di
ferraglia
e
inquietanti
sobbalzi
,
non
s
'
era
sentito
parlare
che
lui
,
il
ragazzaccio
seduto
su
uno
strapuntino
.
A
Ferrara
ci
aspettava
l
'
Alfonsa
,
un
'
ostessa
che
pareva
la
sorella
dell
'
Esopo
di
Velázquez
,
cucinando
una
salama
da
sugo
e
,
sulla
soglia
dell
'
osteria
,
un
candido
ottuagenario
,
il
professor
Agnelli
che
qualche
decennio
prima
aveva
ricevuto
dalle
mani
di
Giosuè
Carducci
l
'
autografo
dell
'
ode
che
dice
:
«...o
Ferrara
bella
ne
la
splendida
ora
d
'
Aprile
-
:
ama
il
memore
sole
tra
solitaria
pace
...
»
;
avvenimento
che
aveva
reso
tremulo
e
orgoglioso
per
tutta
la
vita
il
buon
umanista
ferrarese
.
Subito
dopo
la
salama
da
sugo
,
il
vecchio
professore
ci
aveva
portato
davanti
al
palazzo
della
Biblioteca
,
aveva
tirato
fuori
un
mazzo
di
chiavi
,
ci
aveva
fatto
salire
al
primo
piano
alla
luce
di
una
lanterna
cieca
,
e
,
aperto
con
una
minuscola
chiavetta
un
armadio
vetrato
,
ne
aveva
tirato
fuori
un
'
ampolla
entro
la
quale
galleggiava
in
un
misterioso
liquido
brodoso
,
un
«
precordio
»
,
il
cuore
di
Vincenzo
Monti
.
Apparizione
macabra
che
il
ventenne
bolognese
mi
commentò
con
un
furtivo
colpo
di
gomito
.
Letterato
,
in
quegli
anni
,
Longanesi
non
lo
era
affatto
e
,
del
resto
,
non
lo
fu
mai
:
ma
,
fra
i
primi
libri
che
aveva
pubblicato
,
Dio
sa
a
costo
di
quali
debiti
e
di
quali
prestiti
che
gli
faceva
la
mamma
,
c
'
era
stato
un
volume
di
Bacchelli
,
litteratissimo
.
Pittore
non
era
-
le
sue
prime
caricature
avevano
ancora
una
grafia
studentesca
-
ma
aveva
«
scoperto
»
Giorgio
Morandi
.
Anche
come
artista
grafico
era
alle
prime
esperienze
:
aveva
stampato
,
a
sedici
anni
,
una
rivistina
con
la
copertina
di
carta
azzurrina
,
di
quelle
leggere
e
lievemente
spugnose
,
che
si
usavano
per
stampare
i
«
pianeti
»
della
fortuna
.
Aveva
meno
di
vent
'
anni
ed
era
in
corrispondenza
con
Ardengo
Soffici
.
Si
era
salvato
,
per
la
minore
età
,
dal
contagio
di
certo
futurismo
provinciale
.
Non
era
ancora
nato
all
'
epoca
dei
trionfi
di
De
Carolis
e
di
Sartorio
.
Sua
mamma
l
'
aveva
messo
al
mondo
in
tempo
sicuro
per
salvarlo
dalle
suggestioni
del
michelangiolismo
e
del
liberty
.
Quando
buona
parte
dei
ragazzi
italiani
che
prendevano
la
penna
in
mano
pitigrilleggiavano
,
Longanesi
aveva
probabilmente
letto
gli
elzeviri
di
Alfredo
Oriani
ritagliati
da
suo
padre
nel
«
Carlino
»
.
Nel
suo
mondo
non
c
'
era
nessun
residuo
di
«
pascoliamo
»
,
nessuna
tendenza
all
'
intenerimento
e
alla
poetica
melanconia
professionale
dei
minori
pascoliani
.
Questo
straordinario
improvvisatore
maturò
alla
letteratura
molto
lentamente
,
intento
,
prima
di
tutto
,
a
scoprire
il
proprio
mondo
e
la
scala
dei
suoi
sentimenti
e
il
suo
talvolta
stridente
movimento
di
contraddizioni
.
Intanto
,
la
sua
vocazione
era
soprattutto
quella
del
lettore
:
non
avendo
la
possibilità
di
scrivere
«
L
'
Italiano
»
tutto
da
solo
,
trovò
i
suoi
compagni
e
anche
i
suoi
maestri
,
talvolta
scrittori
di
una
certa
pigrizia
:
e
gli
uni
e
gli
altri
stimolava
a
scrivere
,
sino
a
creare
sotto
agli
occhi
della
gente
,
senza
che
quasi
nessuno
in
principio
se
ne
accorgesse
,
non
solo
uno
«
stile
Longanesi
»
ma
addirittura
una
«
scuola
»
che
poteva
portare
il
suo
nome
,
quando
,
in
pratica
,
egli
non
aveva
scritto
ancora
che
un
piccolo
mucchio
di
paginette
quasi
clandestine
.
Per
non
vivere
a
carico
dei
genitori
che
aveva
trascinato
a
trasferirsi
a
Roma
,
si
«
arrangiava
»
in
ogni
maniera
e
in
ogni
mestiere
affine
alle
Lettere
,
alla
tipografia
,
alla
Pittura
,
al
Teatro
.
Disegnò
anche
,
fra
l
'
altro
,
i
caratteri
per
le
scatole
e
le
bustine
di
sigarette
del
Monopolio
di
Tripoli
.
Fra
gli
scrittori
che
s
'
era
portati
avanti
sottobraccio
basterà
ricordare
Ansaldo
,
Buzzati
,
Soldati
,
l
'
americano
Furst
.
Ad
ogni
numero
,
l
'
uscita
dell
'
«
Italiano
»
era
un
'
avventura
.
Preso
nel
giro
di
cento
tentazioni
dell
'
intelligenza
,
amico
della
discussione
al
caffè
,
fra
nuvole
di
fumo
di
sigarette
,
seduto
sul
divano
foderato
di
tela
color
pulce
del
vecchio
Aragno
dove
s
'
era
spento
l
'
ultimo
anelito
della
«
Ronda
»
e
dove
Malaparte
aveva
inutilmente
tentato
di
ridar
vita
a
«
La
Voce
»
,
Longanesi
non
ebbe
forse
mai
il
tempo
di
fare
,
della
letteratura
,
un
preciso
mestiere
di
romanziere
,
di
novelliere
o
di
elzevirista
.
Questo
amico
,
laudatore
e
resuscitatore
di
un
Ottocento
rivissuto
in
una
nostalgia
di
ordine
e
di
pulizia
morale
,
non
poteva
trovare
i
suoi
maestri
fra
gli
scrittori
dell
'
ultimo
e
del
medio
Ottocento
,
che
gli
aveva
dato
il
gusto
della
bella
tipografia
al
di
fuori
dei
canoni
neoclassici
del
Bodoni
,
in
un
clima
di
stampa
popolaresca
e
clandestina
come
era
stata
quella
del
'48
.
Dove
poteva
trovare
,
se
mai
,
questi
maestri
di
un
impressionismo
e
,
più
di
tutto
,
di
un
dramma
dell
'
Ottocento
?
Nelle
conversazioni
del
Doctor
Veritas
,
nelle
critiche
sapienti
di
Panzacchi
,
fra
i
moribondi
di
Palazzo
Carignano
di
Petruccelli
della
Gattina
;
fra
le
complicazioni
etimologiche
e
il
breve
narcisismo
del
Dossi
;
nei
monologhi
di
Gandolin
;
nelle
arguzie
bonarie
di
Jarro
;
negli
acquerelli
di
Anton
Giulio
Barrili
;
nel
Cantoni
,
in
Rernigio
Zena
,
nelle
novelle
di
Camillo
Boito
?
Se
mai
qualche
tono
,
forse
senza
averli
letti
,
poteva
avvicinarlo
a
certe
pagine
garibaldine
di
Nino
Costa
e
di
Eugenio
Checchi
e
dell
'
Abba
.
Purtroppo
lo
spettacolo
che
gli
offriva
la
patria
non
aveva
,
dal
punto
di
vista
morale
,
molto
di
eccitante
,
ispirando
piuttosto
il
dissidio
,
il
dubbio
,
lo
scatto
d
'
ira
anche
se
la
giovinezza
induceva
allo
sforzo
di
credere
.
Per
impegnarsi
in
una
precisa
opera
narrativa
gli
mancava
lo
specchio
di
una
società
che
avrebbe
forse
potuto
fare
di
lui
un
piccolo
Balzac
,
tanta
si
rivelò
poi
la
forza
concisa
di
certi
ritratti
di
piccoli
o
di
grassi
borghesi
.
La
sua
ispirazione
più
diretta
l
'
aveva
,
mi
sembra
,
da
certe
noie
e
melanconie
di
quella
giornata
ispiratrice
di
tutto
un
secolo
di
letteratura
,
che
è
la
domenica
:
era
la
solitudine
in
cui
si
ritrovava
con
tanto
spleen
quest
'
uomo
facondo
,
dalla
frenetica
mimica
,
dall
'
intenso
gusto
dell
'
imitazione
caricaturale
che
,
in
altri
ambienti
,
avrebbe
fatto
di
lui
un
vivacissimo
attore
.
Ad
osservarlo
bene
il
suo
mondo
fu
un
mondo
di
rovine
:
Longanesi
si
muove
in
uno
scenario
di
ruderi
,
che
non
sono
quelli
del
Foro
Romano
fra
cui
si
aggirava
Goethe
,
ma
che
si
rivelavano
al
suo
occhio
come
i
ruderi
di
una
civiltà
cosiddetta
moderna
,
con
cento
tare
e
cento
vizi
:
come
se
attorno
gli
fosse
crollata
la
Roma
di
Corso
Vittorio
,
di
Via
Cavour
,
di
Piazza
Termini
,
le
architetture
dei
Ministeri
e
dei
ponti
falsamente
trionfali
sul
Tevere
.
Letterato
di
«
rovine
»
,
come
di
rovine
vere
o
immaginarie
erano
stati
pittori
e
incisori
,
il
Pannini
e
il
Piranesi
.
Tra
quei
selci
,
fra
quei
cementi
armati
,
fra
le
casupole
di
Via
del
Gambero
e
le
grigie
palazzate
dei
Lungotevere
,
correvano
,
galoppavano
,
si
acquattavano
nel
polverone
piccoli
uomini
dai
cento
sotterfugi
e
dalle
mille
vanità
e
bugie
,
falsamente
rigorosi
,
segretamente
lascivi
.
Non
ebbe
mai
fretta
di
scrivere
:
aveva
molto
più
fretta
di
insegnare
e
,
in
silenzio
,
per
se
stesso
,
di
provarsi
e
di
sperimentarsi
.
Forse
più
che
nel
largo
«
Museo
Grevin
»
del
costume
e
della
storia
politica
,
i
suoi
umori
desolati
ed
amari
si
filtravano
più
essenziali
in
certe
note
di
diari
che
avrebbero
potuto
far
di
lui
il
Renard
italiano
.
La
sua
vita
aveva
avuto
ore
molto
dure
:
si
stava
rifacendo
le
ossa
a
Milano
che
gli
fu
amica
generosa
:
forse
credeva
di
avere
molto
,
moltissimo
tempo
davanti
a
sé
.
Si
preparava
,
un
giorno
o
l
'
altro
,
a
rimboccarsi
le
maniche
,
mandando
,
per
le
Lettere
e
per
la
Pittura
,
ogni
altra
cosa
a
carte
quarantotto
.
Non
si
accorgeva
di
correre
su
una
rotaia
che
,
ad
un
certo
punto
,
si
interrompeva
.
Si
trovò
,
senza
più
un
battito
del
cuore
,
su
una
sedia
del
suo
ufficetto
di
Via
Bigli
.
Le
idee
di
cento
libri
che
avrebbe
suggerito
di
scrivere
ai
suoi
amici
restarono
ferme
in
quella
sua
pallida
immobilità
che
sembrò
tanto
,
tanto
strana
,
tra
pacchi
di
ingiallite
fotografie
del
tempo
umbertino
e
di
antiche
vignette
di
Costantin
Guys
e
di
Daumier
.
StampaQuotidiana ,
Sempre
fedeli
al
nostro
programma
che
difendemmo
omai
sempre
colla
libera
e
feconda
discussione
,
nemici
ognora
della
intransigenza
ma
fermi
fautori
del
progresso
civile
ed
economico
del
nostro
paese
,
vi
rivolgiamo
oggi
la
parola
perché
domani
nel
segreto
delle
urne
voi
deponiate
quel
plebiscito
di
favore
e
di
fiducia
verso
uomini
che
più
volte
vi
diedero
prova
luminosa
di
solerte
e
patriottica
amministrazione
.
Per
forza
di
legge
,
per
le
maggiori
guarentigie
di
libertà
concesse
dallo
Stato
,
per
l
'
allargamento
del
suffragio
popolare
voi
siete
chiamati
domani
a
rinnovare
il
Consiglio
Comunale
ed
eleggere
6
Consiglieri
provinciali
.
Non
potete
errare
nella
scelta
,
imperocché
il
partito
liberale
progressista
,
scevro
da
utopie
politiche
,
nemico
di
ogni
personalità
e
di
maneggi
elettorali
,
si
ripresenta
a
voi
con
grandi
garanzie
:
la
fiducia
della
pubblica
opinione
che
da
vari
anni
lo
ritenne
,
come
difatti
lo
è
moralmente
il
grande
e
benefico
partito
di
maggioranza
il
passato
periodo
di
tempo
speso
unicamente
pel
bene
del
paese
,
al
compimento
di
riforme
,
di
lavori
,
d
'
igiene
e
pubblico
progresso
!
Checché
hanno
sbraitato
e
malignato
gli
avversari
,
l
'
omai
compiuto
acquedotto
di
S
.
Marco
di
acque
pure
e
salutari
,
la
viabilità
interna
ed
esterna
stabilita
,
la
riselciatura
,
le
fontane
,
gli
abbeveratoi
ed
i
cimiteri
rurali
in
tutte
le
frazioni
,
il
pubblico
mattatoio
,
le
opere
di
sventramento
e
di
redenzione
morali
d
'
interi
quartieri
col
rialzamento
del
ponte
di
S
.
Antonio
e
del
taglio
del
palazzo
Marcatili
,
le
strade
obbligatorie
di
Venagrande
e
Casteltrosino
,
la
riforma
scolastica
sia
in
città
che
nelle
ville
,
tutto
ciò
in
parte
è
stato
compiuto
,
in
parte
si
completerà
,
essendo
stato
convalidato
,
come
di
legge
,
sia
la
vendita
dei
beni
comunali
come
la
creazione
del
prestito
straordinario
.
Questo
vasto
ed
importantissimo
programma
,
che
fu
accolto
con
entusiasmo
da
tutta
la
città
,
è
valida
garanzia
di
un
vicinissimo
,
grande
e
lungo
lavoro
,
immediatamente
utile
alle
classi
operaie
.
La
libertà
è
la
vita
della
democrazia
il
governo
di
questo
popolo
laborioso
e
perseverante
sta
nella
forza
,
nel
lavoro
.
Per
cui
se
il
nostro
partito
cittadino
progressista
ha
dato
e
compierà
un
programma
di
civili
riforme
e
di
utili
e
lucrosi
lavori
,
le
classi
operaie
trovano
in
esso
la
vera
democrazia
non
di
declamatori
ma
di
onesti
e
solerti
amministratori
.
Il
paese
è
sempre
più
forte
,
temuto
e
rispettato
,
laddove
il
popolo
lavora
,
s
'
educa
e
s
'
incivilisce
ed
allora
in
esso
la
libertà
è
vivo
fuoco
,
sublime
stimolo
alla
tempra
delle
coscienze
,
alla
patriottica
formazione
del
carattere
italiano
,
unica
base
della
forza
nazionale
.
Nel
Comune
,
istituzione
civile
eminentemente
democratica
,
non
deve
violentare
la
politica
le
idee
superiori
di
Stato
e
di
governo
non
devono
influenzare
l
'
amministrazione
del
circoscritto
territorio
terranno
esse
forti
e
divisi
gli
uomini
nelle
aspirazioni
,
ma
li
manterrà
sempre
uniti
nella
ricerca
del
bene
di
tutti
i
cittadini
.
La
civiltà
dei
tempi
creò
i
Municipi
in
Italia
,
come
la
più
bella
e
democratica
rappresentanza
di
una
grande
famiglia
,
nella
quale
non
vi
devono
essere
cadetti
,
né
primogeniti
del
Medio
Evo
.
Tutti
egualmente
rappresentati
perché
la
vera
forza
del
Comune
sta
nell
'
equilibrio
costante
delle
varie
classi
sociali
.
Il
partito
liberale
progressista
si
ripresenta
alle
urne
fiducioso
di
ritrovare
il
favore
del
corpo
elettorale
promettendo
l
'
immediata
esecuzione
delle
riforme
tutte
,
già
approvate
,
e
di
proseguire
sempre
nella
via
del
progresso
e
della
civiltà
,
senza
fermarsi
,
combattendo
pel
trionfo
della
sua
venerata
bandiera
!
La
lista
che
a
voi
si
presenta
è
composta
di
onesti
e
probi
cittadini
appartenenti
alle
varie
classi
sociali
.
Il
vecchio
partito
progressista
ridotto
a
quindici
consiglieri
viene
rafforzato
da
ottimi
elementi
che
rappresentano
il
censo
,
il
territorio
esterno
,
gli
industriali
,
i
reduci
delle
patrie
battaglie
,
i
professionisti
e
gli
operai
.
Alla
minoranza
,
affermatasi
con
programma
radicale
,
spetta
l
'
obbligo
di
completare
l
'
amministrazione
Comunale
,
perché
si
ottenga
il
vero
bene
del
paese
e
delle
classi
operaie
.
ELETTORI
!
Il
nostro
giornale
che
sostenne
sempre
contro
avversari
intransigenti
,
e
stampe
bugiarde
il
trionfo
di
tutte
le
riforme
cittadine
,
che
si
volevano
gettare
da
prepotenti
ed
interessati
nelle
voragini
di
esercizi
o
di
perdizioni
,
a
danno
del
popolo
ed
a
scorno
degli
operai
vi
raccomanda
caldamente
i
maggiori
suffragi
alla
lista
liberale
progressista
.
StampaQuotidiana ,
«
Paride
»
,
giudice
di
bellezza
in
una
lontana
stagione
di
Miss
Italia
,
non
mi
accorsi
di
Sofia
Scicolone
,
di
Sofia
Loren
.
Richiamato
a
darle
un
po
'
di
attenzione
dal
telegramma
di
un
vecchio
amico
,
alzai
gli
occhi
verso
di
lei
,
le
parlai
,
la
misurai
e
la
scrutai
attentamente
con
lo
sguardo
,
la
fissai
negli
occhi
,
vidi
-
bisogna
dirlo
?
-
le
sue
gambe
,
guardai
la
sua
bocca
,
chiacchierai
una
mezz
'
ora
con
lei
,
seduto
su
uno
sgabello
al
bar
del
grande
albergo
,
conclusi
l
'
incontro
con
questa
melanconica
e
frettolosa
considerazione
:
«
Ecco
un
'
altra
povera
ragazza
che
si
illude
...
»
.
Non
fui
il
solo
a
dire
di
no
,
sotto
al
velo
del
giudizio
segreto
,
alla
futura
Sofia
Loren
.
Disse
di
no
anche
un
altro
mio
amico
,
un
superesperto
in
fatto
di
selezione
di
belle
donne
,
un
«
tecnico
»
.
E
altri
dissero
di
no
,
finché
il
produttore
cinematografico
Mambretti
,
un
milanese
,
propose
una
soluzione
,
per
non
mandar
via
troppo
amareggiata
la
ragazza
napoletana
.
Coniò
un
titolo
di
«
Miss
Eleganza
»
e
propose
di
assegnarlo
-
quarta
in
graduatoria
-
alla
dolente
e
forse
segretamente
irritata
«
piccola
Sofia
»
.
La
signorina
Scicolone
ebbe
-
mi
sembra
-
in
dono
un
abito
da
sera
bianco
,
e
con
quell
'
abito
sfilò
quarta
sulla
passerella
di
Salsomaggiore
.
Se
,
a
qualcuno
,
capitano
sott
'
occhio
le
fotografie
di
quei
giorni
,
osserverà
che
Sofia
non
sorride
mai
:
che
ha
un
'
espressione
assente
e
,
in
qualche
fotografia
,
dura
e
contratta
.
Insomma
,
come
dicono
a
Milano
,
aveva
un
gran
«
magone
»
.
Oggi
chi
disse
«
No
»
Si
trova
nella
situazione
in
cui
si
trovarono
i
maestri
del
Conservatorio
di
Milano
quando
,
con
in
testa
il
maestro
Rolla
,
dissero
«
No
»
a
Verdi
che
chiedeva
di
essere
ammesso
e
,
a
titolo
di
consolazione
,
gli
consigliarono
di
studiare
ancora
,
privatamente
,
indicandogli
bonariamente
due
insegnanti
,
il
Negri
o
il
Lavigna
.
Una
mezza
offerta
di
tipo
«
verdiano
»
,
e
cioè
di
andare
a
scuola
,
di
studiare
da
«
privatista
»
fu
,
per
la
verità
,
fatta
anche
alla
signorina
Scicolone
,
tanto
per
darle
,
prima
ancora
che
fosse
emanato
il
giudizio
finale
,
un
«
contentino
»
.
Ma
fu
un
suggerimento
a
mezza
voce
,
quasi
perché
si
temeva
che
,
annusando
la
bocciatura
,
la
bella
ragazza
cominciasse
a
lagrimare
.
Ma
la
futura
Sofia
Loren
non
pianse
:
divenne
altera
,
sicura
di
sé
,
e
-
lo
dico
arrossendo
-
quasi
sprezzante
.
Si
capiva
che
si
tratteneva
solo
per
rispetto
dei
capelli
grigi
dei
due
giudici
che
le
stavano
di
fronte
.
È
più
che
legittimo
immaginare
che
essa
da
brava
napoletana
li
giudicasse
due
«
fessi
»
.
I
fatti
le
danno
ragione
.
Sofia
Scicolone
finì
il
suo
bitter
.
Ci
salutò
con
un
sorriso
smagliante
,
in
cui
palpitava
,
più
che
una
mondana
cordialità
,
una
specie
di
sfida
.
Io
e
il
«
tecnico
»
sorridemmo
:
e
poi
finimmo
,
fra
di
noi
,
a
sghignazzare
.
Credo
che
l
'
ascensore
del
Grand
Hotel
di
Salsomaggiore
tremi
ancora
per
il
nostro
ridere
convulso
,
per
il
nostro
ridere
spietato
.
Paride
I
e
Paride
II
dormirono
quella
notte
come
le
altre
notti
di
un
sonno
tranquillissimo
.
Il
nostro
giudizio
non
era
stato
incrinato
dal
minimo
dubbio
.
Il
«
tecnico
»
era
-
bisogna
dirlo
-
Remigio
Paone
,
che
pilotava
non
so
quanti
spettacoli
di
prosa
,
di
rivista
,
di
danza
:
che
partiva
ogni
settimana
per
Parigi
o
Londra
per
scegliere
,
con
occhio
infallibile
,
la
bellissima
fra
le
belle
;
che
era
allora
in
un
certo
senso
,
il
Re
delle
Bluebell
e
che
veniva
ricevuto
con
profondissimi
inchini
,
fra
spari
di
champagne
,
quando
si
presentava
al
Lido
di
Parigi
per
passare
in
rivista
le
ragazze
da
arruolare
per
gli
spettacoli
del
Nuovo
,
del
Lirico
,
del
Sistina
.
Lo
scopritore
di
Sofia
Loren
-
quello
che
aveva
mandato
il
telegramma
di
segnalazione
e
di
raccomandazione
ai
due
amici
-
era
un
uomo
che
ormai
da
molti
anni
si
vantava
solamente
di
essere
un
ottimo
pescatore
dilettante
.
Aveva
un
bellissimo
nome
,
aveva
alle
spalle
una
intelligente
dinastia
milanese
:
era
un
Ricordi
,
discendente
cioè
da
una
famiglia
di
scopritori
di
geni
musicali
.
Aveva
molto
viaggiato
,
aveva
condotto
una
vita
molto
elegante
.
È
probabile
che
Sofia
Loren
si
rammenti
appena
del
gentile
vecchio
signore
Alfredo
Ricordi
che
,
galantemente
e
paternamente
,
la
raccomandò
agli
amici
milanesi
Vergani
e
Paone
.
Chieda
,
Sofia
,
e
probabilmente
le
verrà
spiegato
che
fu
un
Ricordi
l
'
uomo
che
per
primo
fece
credito
a
Verdi
.
Alfredo
Ricordi
,
rimasto
vedovo
,
aveva
trovato
la
sola
consolazione
al
suo
dolore
nella
vita
di
mare
e
nella
pesca
;
vestiva
con
un
paio
di
pantaloni
da
marinaio
e
con
una
maglietta
da
ostricaro
.
A
Portofino
o
a
Cannes
non
parlava
d
'
altro
che
di
cefali
,
di
branzini
,
di
ombrine
,
di
pesci
-
cappone
,
di
sardine
,
di
triglie
,
di
polipi
e
di
murene
.
Era
,
bisogna
dirlo
,
un
caro
attaccabottoni
per
via
di
quella
sua
esclusiva
frenesia
per
la
pesca
.
Cercava
inutilmente
compagni
che
sfidassero
con
lui
le
notti
di
burrasca
o
che
lo
aiutassero
a
tirar
su
la
«
sciabica
»
.
Sofia
Loren
-
me
lo
sono
chiesto
sempre
-
si
ricorderà
del
caro
vecchio
,
un
po
'
picchiatello
che
spedì
da
Alassio
,
dove
,
non
potendo
più
affrontare
il
mare
per
l
'
artrite
,
viveva
in
un
appartamentino
con
le
finestre
aperte
a
tutti
i
venti
del
Tirreno
,
il
telegramma
che
ci
raccomandava
la
sua
«
scoperta
»
?
Noi
leggemmo
quel
nome
.
Scicolone
.
Le
ragazze
erano
già
sfilate
un
paio
di
volte
davanti
a
noi
.
Né
Paone
né
io
ci
ricordavamo
di
una
Scicolone
.
Con
il
vecchio
Ricordi
bisognava
però
essere
gentili
.
Non
buttammo
il
telegramma
nel
cestino
.
Cercammo
questa
Sofia
,
questa
Scicolone
,
nel
gruppo
delle
ragazze
che
,
aspettando
i
turni
di
chiamata
,
prendevano
al
bar
una
tazza
di
caffè
o
una
pastiglia
di
aspirina
.
Il
settembre
era
torrido
,
le
finestre
chiuse
per
tenere
lontani
i
curiosi
;
le
ragazze
stavano
tutto
il
giorno
in
costume
da
bagno
,
o
coperte
da
un
accappatoio
,
a
parlare
con
le
madri
o
con
le
amiche
.
Portavano
al
lato
sinistro
del
costume
da
bagno
un
distintivo
con
il
numero
di
iscrizione
.
Questo
numero
permise
a
me
e
a
Paone
di
riconoscere
la
raccomandata
di
Alfredo
Ricordi
,
vecchio
pescatore
malato
di
artrite
.
Sofia
si
era
accorta
della
nostra
manovra
,
dei
nostri
esami
da
lontano
,
del
nostro
bisbigliare
,
delle
occhiate
radenti
di
Paone
,
delle
mie
occhiate
furtive
dietro
agli
occhiali
.
Era
bella
?
Non
ci
parve
.
Prima
di
tutto
ci
sembrava
appartenesse
a
quello
che
i
nostri
padri
,
amici
delle
bellezze
floride
,
chiamavano
il
genere
«
pertica
»
.
Troppo
alta
,
troppo
magra
,
troppo
poco
donna
,
troppo
adolescente
,
ancora
male
impastata
:
e
soprattutto
«
troppo
bocca
»
.
Era
proprio
sulla
bocca
-
oggi
è
una
delle
più
famose
del
mondo
-
che
alle
nostre
occhiate
di
lontano
cascava
l
'
asino
.
Quale
poteva
essere
il
destino
di
quella
«
spilungona
»
?
Tutt
'
al
più
,
con
un
po
'
di
fortuna
,
quello
di
«
puntinista
»
,
di
ballerinetta
da
rivista
.
Toccò
a
me
avvicinarmi
alla
ragazza
dallo
strano
nome
.
Lo
feci
solo
per
rendere
una
cortesia
ad
Alfredo
Ricordi
.
Le
dissi
del
telegramma
,
le
offrii
di
avvicinarsi
al
banco
del
bar
per
prendere
un
aperitivo
.
Si
alzò
,
venne
avanti
,
sedette
su
uno
dei
suoi
alti
sgabelli
:
le
presentai
Paone
e
le
spiegai
che
si
trattava
di
un
celebre
impresario
teatrale
.
Sorrise
:
ma
era
evidente
che
non
l
'
aveva
mai
sentito
nominare
.
Parlava
con
un
accento
napoletano
degno
dei
dialoghi
più
stringenti
di
Peppino
De
Filippo
.
Cosa
aveva
di
bello
?
Non
glielo
dissi
:
aveva
delle
gambe
bellissime
,
ma
il
mio
elogio
non
poteva
soffermarsi
su
questi
particolari
anatomici
.
Non
sapevo
fingere
né
entusiasmo
né
esprimere
una
qualunque
promessa
.
Ma
probabilmente
mi
sarei
salvato
davanti
al
giudizio
della
posterità
proprio
per
via
di
quelle
gambe
.
Domandai
:
«
Le
piacerebbe
fare
del
teatro
dialettale
?
Penso
che
Paone
potrebbe
presentarla
a
De
Filippo
o
a
Taranto
...
»
.
La
ragazza
taceva
.
Io
guardai
ancora
quelle
gambe
;
dissi
:
«
Le
piacerebbe
far
della
rivista
?
Sa
cantare
?
Sa
ballare
?
Anche
se
non
lo
sa
,
non
importa
.
In
tre
mesi
,
Paone
potrebbe
farla
istruire
da
una
brava
maestra
.
Non
ti
pare
,
Remigio
,
che
si
potrebbe
cavarne
fuori
una
bella
subrettina
?
Se
dovessi
dire
,
in
passerella
la
vedo
,
la
vedrei
subito
...
»
.
Remigio
non
aveva
l
'
aria
molto
convinta
ma
,
per
non
contraddirmi
,
fece
un
gesto
di
assenso
.
«
Creda
!
-
continuai
-
sarebbe
,
un
primo
passo
...
Con
Macario
,
per
esempio
,
o
con
la
Osiris
,
una
piccola
scrittura
si
potrebbe
pescarla
...
»
.
La
ragazza
ci
guardava
senza
più
sorridere
.
Si
asciugò
con
il
mignolo
una
goccia
di
aperitivo
che
le
era
caduta
,
dal
bicchiere
,
su
una
gamba
e
si
pulì
il
dito
,
come
una
bambina
,
passandolo
sulla
bocca
.
Rispose
semplicemente
:
«
Teatro
?
No
...
Rivista
?
No
...
O
cinema
o
niente
...
»
.
Farfugliammo
qualche
parola
di
risposta
,
tanto
per
essere
gentili
.
Lei
ripeté
:
«
O
Cinema
,
o
niente
!
»
Ci
strinse
la
mano
,
ci
salutò
;
si
allontanò
sulle
lunghissime
gambe
,
sparì
verso
l
'
atrio
degli
ascensori
.
La
saletta
del
bar
era
deserta
.
Remigio
ed
io
sbottammo
a
ridere
sempre
più
fragorosamente
.
«
Hai
capito
che
presunzione
?
Cinema
?
Ma
in
questo
albergo
non
ci
sono
specchi
nelle
camere
?
Cinema
!
!
!
Con
quella
bocca
!
!
!
»
.
E
il
nostro
riso
si
faceva
addirittura
tonante
.
StampaQuotidiana ,
Morto
di
questi
giorni
,
benché
non
in
guerra
,
merita
una
commemorazione
il
poeta
Ludwig
Hansteken
.
In
guerra
il
poeta
Hansteken
non
poteva
morire
.
I
poeti
come
lui
sono
per
natura
neutrali
.
E
hanno
quasi
sempre
la
ventura
di
nascere
in
paesi
neutrali
.
In
Olanda
per
esempio
,
in
Isvezia
.
Ma
se
pur
nascono
in
più
vulcaniche
terre
,
ove
sciaguratamente
la
coltura
e
le
discipline
spirituali
non
siano
riuscite
a
mortificare
il
selvaggio
istinto
,
costretti
anch
'
essi
a
indossare
la
divisa
militare
,
non
c
'
è
pericolo
che
muojano
di
piombo
o
di
ferro
o
di
strapazzo
.
Così
vestiti
vanno
a
combattere
idealmente
o
negli
uffici
di
maggiorità
o
a
servizio
d
'
organizzazioni
civili
,
con
una
penna
in
mano
.
E
qua
nelle
tregue
assaporano
a
occhi
semichiusi
,
rosicchiando
in
punta
il
cannello
della
penna
,
l
'
angosciosa
dolcezza
di
visioni
lontane
nella
manica
della
loro
giubba
grigio
-
verde
.
Visioni
,
o
d
'
una
scolorita
campagna
settembrina
,
o
d
'
un
malinconico
lago
,
ove
Dio
solo
sa
che
strani
galleggiamenti
può
loro
suggerire
la
tenue
riccia
peluria
dell
'
inoffeso
e
inoffensivo
panno
militare
.
È
vero
,
che
,
per
fortuna
dell
'
umanità
,
se
non
di
piombo
,
di
ferro
o
di
strapazzo
,
possono
ben
morire
di
questi
strani
,
ambigui
galleggiamenti
i
poeti
come
Ludwig
Hansteken
.
Il
quale
,
difatti
,
è
morto
,
come
vedremo
,
affogato
in
uno
dei
tanti
canali
che
scorrono
per
i
paesi
d
'
Olanda
,
spintovi
,
a
quanto
pare
,
appena
appena
,
da
una
smaniosa
mano
femminile
vendicatrice
,
mentr
'
egli
sospirava
a
notte
,
non
propriamente
alle
purissime
stelle
,
ma
ai
loro
riflessi
che
appunto
galleggiavano
con
smorfiosi
serpeggiamenti
,
fra
altri
ben
nobili
relitti
,
in
quel
canale
.
Per
fortuna
dell
'
umanità
,
ho
detto
;
potrei
aggiungere
:
per
fortuna
di
loro
stessi
.
Perché
i
poeti
come
Ludwig
Hansteken
non
sono
tanto
per
gli
altri
,
quanto
per
loro
stessi
un
tormento
.
Gli
altri
,
possono
anche
riderne
;
io
per
me
confesso
che
soglio
farmene
le
più
matte
risate
,
perché
in
verità
,
mi
sembra
che
nulla
si
possa
dare
di
più
goffo
e
di
più
buffo
di
quel
loro
tormento
.
Tormento
d
'
una
disperata
impotenza
che
,
pur
tenendoli
perennemente
con
le
lagrime
in
pelle
,
li
rende
innocuamente
e
pazzescamente
cattivi
.
Vedo
che
avrebbero
tutti
una
gran
sete
di
soffrire
;
piangono
di
questa
sete
;
ma
la
grigia
angolosa
rabbia
della
loro
aridità
sassosa
impedisce
ad
essi
di
cavare
un
qualche
refrigerio
finanche
da
quelle
stesse
lagrime
amare
.
Vogliono
esser
poeti
;
vogliono
,
lo
ripetono
con
esasperata
ostinazione
:
Noi
siamo
poeti
!
noi
siamo
poeti
!
noi
siamo
poeti
!
;
cercano
di
spremerla
in
tutti
i
modi
una
gocciolina
di
poesia
;
ahimè
;
è
come
spremere
un
sasso
.
Ma
questo
appunto
essi
vogliono
:
spremere
i
sassi
,
perché
non
c
'
è
gusto
per
loro
a
trar
sugo
vivo
sostanzioso
dai
saporiti
frutti
che
maturano
nei
fertili
assolati
giardini
della
fantasia
.
Credono
che
ciò
che
gli
altri
fanno
non
valga
la
pena
d
'
esser
fatto
.
Bisogna
fare
l
'
impossibile
,
perché
soltanto
nell
'
impossibile
possono
trovar
la
scusa
della
loro
impotenza
.
E
condannati
da
questa
impotenza
a
star
fuori
per
sempre
da
quei
giardini
,
stringono
rabbiosamente
nel
pugno
sudato
,
i
loro
sassi
,
e
dopo
averli
spremuti
e
spremuti
e
spremuti
,
vedendo
che
,
se
ne
cavan
qualche
stilla
,
non
è
dal
sasso
,
ma
dalle
loro
mani
spellate
,
stilla
di
sudicio
sudore
,
li
avventano
contro
quei
frutti
succosi
,
non
si
capisce
bene
se
per
disdegno
,
per
ira
,
per
dispetto
o
per
vendetta
,
giacché
nessuno
veramente
riesce
a
comprender
nulla
delle
smorfie
,
delle
boccacce
,
dei
borbottamenti
con
cui
accompagnano
il
lancio
di
quei
sassi
insudiciati
.
Se
li
intendono
tra
loro
,
quei
borbottamenti
intelligibili
!
Ma
spesso
avviene
per
certi
rumori
,
se
non
risponde
in
noi
l
'
immagine
di
ciò
che
li
abbia
prodotti
,
che
si
rimanga
incerti
,
sospesi
,
storditi
,
anche
angosciati
,
a
chiedere
intorno
:
che
è
stato
?
com
'
è
?
che
significa
?
Ed
ecco
allora
tanti
poveri
allocchi
,
con
angustiosa
perplessità
di
pollastri
che
muovano
a
scatto
lo
stupido
capo
crestuto
a
guardare
di
qua
e
di
là
,
e
non
sappiano
posar
la
zampa
sul
tappeto
del
salotto
in
cui
per
caso
si
sono
introdotti
,
scappando
dalla
stia
;
ecco
,
dico
,
tanti
poveri
allocchi
giovinetti
andar
loro
appresso
cercando
di
cavar
il
senno
astruso
da
quei
borbottamenti
e
d
'
interpretar
quelle
smorfie
e
quelle
boccacce
;
ed
essi
attirarseli
attorno
facendone
di
sempre
più
complicate
e
difficili
.
Uno
stormo
di
fiere
donnette
esasperate
anche
li
attornia
,
che
han
bisogno
di
credere
che
qualcuno
possa
dare
a
intendere
come
nobili
aspirazioni
ideali
le
loro
torbide
smanie
interne
.
E
tutti
costoro
,
allocchi
e
donnette
,
si
struggono
di
sapere
come
debbano
parlare
,
come
atteggiarsi
per
piacer
loro
:
si
fanno
dare
in
mano
quei
sassi
sudati
,
li
voltano
e
rivoltano
per
scoprirvi
preziosità
di
novissime
gemme
;
provano
anche
a
metterseli
in
bocca
per
succhiarli
come
caramelle
.
Alla
fine
,
non
hanno
il
coraggio
di
dirselo
,
ma
sentono
d
'
esser
sotto
un
incubo
che
paralizza
ogni
loro
spontaneità
,
lega
i
loro
passi
,
opprime
loro
il
respiro
.
Orbene
,
quest
'
incubo
troviamo
con
perfetta
evidenza
descritto
e
rappresentato
in
un
recentissimo
libro
di
Rosso
di
San
Secondo
,
che
mostra
d
'
averlo
per
alcun
tempo
sofferto
,
d
'
essersene
alla
fine
giocondamente
liberato
(
Rosso
di
San
Secondo
,
Ponentino
,
novelle
.
Milano
,
Fratelli
Treves
,
1916
.
Vedi
parte
seconda
:
Il
poeta
Ludwig
Hansteken
)
.
Il
San
Secondo
conobbe
in
Olanda
il
prototipo
di
questi
poeti
,
Ludwig
Hansteken
,
e
ne
narra
in
cento
pagine
la
vita
e
la
morte
.
Punto
per
punto
,
con
sottilissima
analisi
armata
di
fosforiche
arguzie
,
investiga
e
scopre
il
dramma
di
quest
'
uomo
,
dramma
sordo
,
angoscioso
,
disgustato
;
e
le
ragioni
per
cui
quest
'
uomo
,
questo
impotente
,
con
la
sua
pesante
tristezza
fosse
riuscito
a
preoccupare
gli
altri
della
sua
esistenza
.
Il
sentimento
che
spingeva
Hansteken
verso
gli
uomini
,
dice
il
San
Secondo
,
non
era
pietà
né
amore
,
«
ché
,
pesante
com
'
era
,
il
suo
istinto
lo
avrebbe
piuttosto
indotto
a
vivere
leggiucchiando
e
appisolandosi
:
per
varcar
la
soglia
di
casa
egli
infatti
doveva
forzare
la
sua
natura
;
per
avvicinare
un
suo
simile
,
poi
,
doveva
addirittura
vincere
la
repulsione
che
hanno
tutti
i
pigri
,
gl
'
indifferenti
,
i
nati
sordi
di
spirito
,
per
quelli
che
invece
hanno
nel
sangue
la
solerzia
,
la
brama
di
vedere
,
conoscere
,
godere
,
vivere
in
una
parola
.
Pure
un
tale
sforzo
sarebbe
potuto
essere
nobile
,
come
tutto
ciò
che
tende
a
modificare
la
propria
natura
con
il
dominio
della
volontà
;
ma
Hansteken
,
se
ben
credesse
appunto
così
,
in
realtà
,
presentandosi
ai
consimili
,
in
quella
veste
di
ammonitrice
gravità
,
non
obbediva
che
a
un
segreto
senso
d
'
invidia
,
acre
,
biliosa
,
per
quelli
che
la
vitalità
piena
e
un
po
'
anche
spensierata
induceva
,
non
solo
ad
assaporare
con
voluttà
il
piacere
d
'
esistere
,
ma
,
oltrepassando
i
limiti
del
giusto
,
a
commettere
peccato
»
.
Hansteken
,
insomma
,
non
ha
quell
'
ebete
sobrietà
che
potrebbe
farlo
pago
:
l
'
odio
per
il
peccato
attivo
sorgeva
in
lui
«
dal
non
potere
egli
stesso
commetterlo
:
i
peccati
per
soverchio
di
vitalità
erano
,
infatti
,
per
lui
,
un
rimprovero
sordo
,
una
umiliazione
continua
per
la
sua
fiacca
gravezza
.
Le
sue
stesse
lagrime
non
erano
,
perciò
,
come
egli
credeva
,
la
naturale
espressione
della
sua
pietà
per
i
fratelli
,
bensì
della
sua
amarezza
,
della
sua
insoddisfazione
,
del
fastidio
sterile
che
lo
spiritello
interno
gli
comunicava
,
lottando
invano
contro
il
torpore
invincibile
della
sua
stanca
natura
.
Sincero
era
dunque
in
lui
soltanto
questo
stato
penoso
di
disagio
che
,
vestito
dalla
illusione
d
'
essere
invece
altra
cosa
,
si
rappresentava
agli
uomini
normali
come
una
forma
superiore
o
per
lo
meno
strana
d
'
esistenza
»
.
Ed
ecco
il
segreto
del
fascino
e
la
ragione
dell
'
incubo
:
rappresentare
agli
altri
questa
impotenza
chiusa
,
ansiosa
,
travagliosa
,
come
una
forma
superiore
di
esistenza
.
«
Se
il
poeta
Hansteken
avesse
potuto
cantare
,
dice
altrove
il
San
Secondo
,
non
sarebbe
stato
così
molesto
al
suo
prossimo
,
né
avrebbe
avuto
bisogno
di
quelle
sue
enormi
costruzioni
teoriche
,
simili
a
cattedrali
di
cartapesta
,
per
giustificare
la
sua
esistenza
.
Perché
era
questo
il
dubbio
assillante
che
rodeva
l
'
animo
dello
sventurato
:
che
egli
non
avesse
,
in
fondo
,
nessuna
ragione
d
'
esistere
.
Aveva
creduto
di
dovere
,
per
un
bene
supremo
,
rinunziare
alla
vita
,
per
votarsi
tutt
'
intero
alla
sua
dea
,
l
'
arte
.
Aveva
creduto
che
tale
altissima
finalità
gli
desse
il
diritto
di
sacrificare
non
solo
la
sua
,
ma
anche
l
'
esistenza
degli
altri
;
d
'
imporre
,
con
violenza
testarda
,
a
tutta
la
cittadinanza
la
sua
personalità
,
prim
'
ancora
che
si
fosse
espressa
;
aveva
voluto
che
tutti
sapessero
che
egli
esisteva
,
lui
,
Ludwig
Hansteken
;
che
tutti
con
un
sacro
sgomento
attendessero
la
grande
parola
che
avrebbe
detto
.
Ma
Hansteken
continuava
a
torcersi
nel
suo
disperato
monologo
,
ripeteva
,
in
ogni
verso
,
quello
che
aveva
sempre
detto
:
era
come
se
girasse
intorno
a
un
nucleo
chiuso
che
non
riusciva
a
fendere
,
ad
espugnare
.
E
nei
momenti
più
acuti
di
esasperazione
,
ecco
che
con
sguardi
freddi
e
taglienti
insultava
quelli
stessi
che
,
deferenti
e
mansueti
,
avevano
ancora
fiducia
in
lui
,
e
gliela
mostravano
con
una
sottomissione
ansiosa
e
piena
di
bontà
»
.
Bisognava
che
qualcuno
,
per
toglierlo
da
quel
tormento
,
dichiarasse
apertamente
innanzi
a
tutti
ciò
che
lui
,
Hansteken
,
voleva
che
gli
altri
alla
fine
comprendessero
:
che
la
poesia
,
cioè
,
non
era
tanto
nella
parola
,
quanto
nella
pausa
,
che
la
più
alta
cima
della
poesia
era
il
silenzio
.
Perché
umiliarlo
ancora
con
quell
'
aria
di
attesa
deferente
?
Che
attendevano
ancora
da
lui
?
Egli
aveva
detto
quello
che
doveva
dire
.
Ora
il
sublime
stava
nel
silenzio
.
Zitto
lui
,
zitti
tutti
.
Se
questo
veramente
si
fosse
chiarito
agli
altri
,
Hansteken
,
pago
,
non
più
costretto
a
violentare
con
disumani
sforzi
la
tetra
sordità
del
suo
spirito
infecondo
,
immediatamente
non
sarebbe
stato
più
un
essere
torbido
e
falso
;
tutta
la
sua
complessità
si
sarebbe
sciolta
e
sarebbe
apparsa
così
puerile
da
rasentare
la
più
umile
elementarità
.
Perché
i
poeti
come
lui
sono
in
fondo
orgogliosi
come
fanciulli
che
si
vantano
d
'
esser
soldati
perché
si
sono
messi
in
capo
un
kepì
di
cartone
o
che
piangono
per
avere
gli
zuccherini
e
vogliono
esser
carezzati
e
giocare
a
far
da
papà
.
Così
appunto
conclude
il
San
Secondo
,
nell
'
estrosa
commemorazione
del
poeta
,
commemorazione
che
è
come
il
farnetico
d
'
un
rimorso
per
la
violenta
liberazione
dall
'
incubo
di
lui
perpetrata
da
una
delle
donnette
più
esasperate
,
proseliti
del
poeta
,
una
certa
Berta
Tausen
,
la
quale
,
passeggiando
una
notte
con
lui
lungo
un
canale
,
lo
aveva
con
una
lieve
spinta
consegnato
all
'
immortalità
e
ai
pesciolini
di
quel
canale
.
Fa
veramente
piacere
che
questa
liberazione
da
un
incubo
che
opprime
ancora
parecchi
giovani
sia
opera
d
'
un
giovane
scrittore
come
Rosso
di
San
Secondo
,
d
'
uno
cioè
che
davvicino
ha
potuto
studiare
il
complicato
meccanismo
di
questi
poeti
che
han
per
prototipo
Ludwig
Hansteken
.
La
rappresentazione
della
vita
e
della
morte
di
costui
ha
tutta
l
'
aria
,
ripeto
,
d
'
una
giocondissima
satirica
vendetta
.
Le
sei
novelle
della
prima
parte
del
volume
,
fresche
,
ariose
,
e
pur
così
impresse
di
solchi
profondamente
scavati
nella
tragica
vita
,
le
quattro
elegie
dell
'
intermezzo
a
Maryke
con
quel
riso
indimenticabile
degli
occhi
della
Signora
Liesbeth
,
sembrano
veramente
le
foglie
brillanti
al
soffio
del
ponentino
nei
giardini
di
cui
ho
parlato
più
su
:
quelli
della
fantasia
,
in
cui
il
San
Secondo
è
entrato
da
padrone
per
andare
a
rovesciare
in
fondo
ad
essi
quel
buffo
e
triste
rospo
abbottato
,
simbolo
dell
'
impotenza
:
il
poeta
Ludwig
Hansteken
.
StampaQuotidiana ,
Non
so
in
quale
anno
Ojetti
,
romano
di
nascita
,
fiorentino
d
'
elezione
,
milanese
di
lavoro
,
abbia
comprato
il
Salviatino
.
Prima
,
mi
hanno
raccontato
,
aveva
una
villetta
su
un
viale
della
circonvallazione
-
brutto
nome
,
ma
bellissima
circonvallazione
,
quella
di
Firenze
,
appoggiata
subito
al
primo
gradino
dei
colli
-
e
,
se
non
sbaglio
,
la
vendette
telegraficamente
per
poter
comprare
un
bassorilievo
di
Jacopo
della
Quercia
che
aveva
scoperto
a
Londra
,
in
un
'
asta
.
Rimase
qualche
tempo
senza
casa
,
ma
con
un
pezzo
di
marmo
che
sta
nella
Storia
dell
'
Arte
.
Questo
può
dare
un
'
idea
dell
'
uomo
,
e
del
suo
amore
per
le
cose
belle
e
rare
.
Il
Marmo
di
Jacopo
è
ancora
su
al
Salviatino
,
dove
fu
poi
portato
,
in
una
vecchia
villa
dei
Salviati
che
sembrava
lo
specchio
dell
'
ordine
nelle
cose
e
nelle
idee
così
amato
dallo
scrittore
.
Il
Salviatino
diventò
,
con
gli
anni
,
una
specie
di
museo
prezioso
,
vi
si
raccolsero
una
biblioteca
foltissima
e
un
archivio
addirittura
monumentale
.
Vi
si
andava
come
ad
una
specie
di
amabile
Quirinale
.
Si
suonava
al
cancello
della
portineria
,
in
basso
,
aspettando
che
di
lassù
,
dalla
villa
,
oltre
il
parco
,
si
rispondesse
:
«
Passi
»
.
I
più
si
sforzavano
di
arrivarvi
in
taxi
o
in
tassì
come
aveva
insegnato
a
scrivere
Ugo
.
Federigo
Tozzi
,
nel
1910
,
ci
arrivò
in
bicicletta
,
da
Siena
,
vestito
come
un
girino
,
smaltato
di
fango
,
ma
fu
accolto
egualmente
con
affetto
.
Quando
io
,
venticinque
anni
fa
,
ci
capitavo
,
tremavo
sempre
all
'
idea
che
Ojetti
(
immancabile
lettore
della
terza
pagina
del
«
Corriere
»
)
mi
mettesse
con
garbo
sotto
gli
occhi
un
mio
articolo
segnato
con
un
lapis
sottile
a
tutti
i
francesismi
,
a
tutti
i
punti
e
virgola
sbagliati
,
a
tutti
gli
odiati
esclamativi
.
Caro
Ojetti
,
la
preoccupazione
della
lindura
e
del
finito
l
'
aveva
fatto
un
po
'
pignolo
:
ma
era
un
segno
dell
'
attenzione
con
cui
fra
i
cinquanta
e
i
sessant
'
anni
,
seppe
riconoscere
alcuni
giovani
scrittori
,
come
Piovene
,
Loria
,
Quarantotti
Gambini
,
Arrigo
Benedetti
,
la
cui
opera
,
più
tardi
,
doveva
dimostrare
che
Ojetti
non
era
facile
a
sbagliarsi
.
Nel
mezzanino
della
villa
lo
scrittore
aveva
il
suo
studio
.
La
grande
biblioteca
con
la
quadreria
stava
e
sta
al
primo
piano
:
gli
archivi
,
la
fototeca
,
le
collezioni
di
autografi
al
pianterreno
.
Nello
studio
era
raccolta
una
biblioteca
minore
,
divisa
in
tre
stanze
,
dove
potevi
trovare
,
a
colpo
sicuro
,
tutto
il
pubblicato
e
l
'
inedito
,
per
esempio
,
su
Diego
Martelli
,
amico
dei
Macchiaioli
,
e
combinare
una
perfetta
bibliografia
su
Amedeo
Modigliani
o
su
Ugo
Foscolo
.
Ojetti
non
era
un
improvvisatore
,
amava
documentarsi
all
'
estremo
e
non
fidarsi
della
memoria
.
Teneva
ogni
sera
aggiornato
un
diario
,
e
,
quand
'
era
in
viaggio
,
per
veder
meglio
una
certa
cosa
,
per
obbligare
l
'
occhio
a
una
più
accanita
attenzione
,
ritraeva
quella
cosa
con
qualche
appunto
di
disegno
.
Era
stato
,
in
gioventù
,
scrittore
anche
di
novelle
un
po
'
scorrevoli
,
ma
,
nella
maturità
,
aveva
imparato
a
scrivere
i
capitoli
delle
Cose
viste
in
tre
giorni
e
,
in
quei
giorni
,
non
rispondeva
nemmeno
al
telefono
.
Era
,
nella
conversazione
,
dallo
stile
francese
,
un
po
'
incline
all
'
aneddotica
per
il
gusto
del
ritrattino
d
'
uomo
e
di
ambiente
schizzato
con
pochi
tratti
,
come
certi
appunti
dei
taccuini
di
Boldini
;
ma
dietro
al
suo
scrivere
c
'
era
una
lunga
preparazione
.
Era
difficile
prenderlo
in
fallo
.
Giunto
presto
alla
fortuna
e
quasi
quasi
,
in
un
momento
,
alla
dittatura
delle
arti
e
delle
lettere
,
Ojetti
non
peccò
mai
,
come
capita
agli
arrivati
e
ai
dittatori
,
di
presunzione
.
Innanzi
all
'
artista
-
sia
che
di
questo
dovesse
leggere
un
libro
,
o
un
sottile
racconto
,
o
guardare
un
quadro
-
egli
era
sempre
in
posizione
di
affetto
e
di
rispetto
:
segno
della
sua
intima
civiltà
.
Questo
spiega
perché
egli
fosse
portato
come
scrittore
,
alla
«
cosa
vista
»
e
al
ritratto
:
proprio
in
un
tempo
in
cui
,
in
pittura
,
i
ritrattisti
venivano
,
in
un
certo
ambiente
critico
,
ridicolizzati
,
e
in
letteratura
si
andava
verso
l
'
indefinito
e
l
'
ermetico
,
quasi
cercando
sempre
di
camminare
un
palmo
sopra
terra
.
Dovendo
scrivere
,
un
giorno
,
degli
artisti
italiani
suoi
contemporanei
disegnò
dunque
dei
«
ritratti
»
e
non
volle
aggrovigliare
,
come
oggi
si
farebbe
,
una
lunga
matassa
di
teorie
estetiche
.
È
questo
un
merito
che
fa
ritrovare
ancora
vivi
,
dopo
tanti
anni
,
i
profili
dei
pittori
da
lui
conosciuti
e
amati
,
che
cominciò
a
pubblicare
nel
1911
,
così
come
sono
ancora
vivi
quelli
dei
letterati
di
cui
andò
alla
scoperta
più
di
cinquant
'
anni
fa
,
cominciando
addirittura
da
un
gustosissimo
ritrattino
del
canuto
decano
dell
'
Ottocento
,
Cesare
Cantù
.
Il
tempo
s
'
incaricherà
,
probabilmente
,
di
rivedere
tanto
il
gusto
del
tempo
di
Ojetti
,
quanto
quello
su
cui
con
troppa
sicurezza
si
giura
oggi
.
Importa
,
per
ora
,
che
i
ritratti
,
da
quelli
di
Michetti
e
di
Carena
a
quelli
di
Sartorio
e
di
Spadini
,
siano
fedeli
e
vivi
,
e
che
attorno
ad
essi
sia
vivo
,
come
sa
renderlo
Ojetti
,
l
'
ambiente
del
suo
tempo
anche
se
un
po
'
ottimistico
.
Molta
polvere
si
è
posata
sul
lucido
di
certe
glorie
:
hanno
però
fatto
bene
a
non
spolverarle
.
I
ritratti
ci
guadagnano
così
una
certa
patina
,
e
le
notizie
,
di
cui
Ojetti
era
avvedutissimo
raccoglitore
,
restano
essenziali
e
indicative
.
Magari
,
bisogna
dire
,
venissero
altri
ritrattisti
del
merito
e
dell
'
affetto
di
Ojetti
,
il
«
signore
del
Salviatino
»
.
Il
nostro
tempo
lascerà
ben
pochi
documenti
del
suo
travaglio
e
delle
sue
passioni
.
Non
è
stata
scritta
una
vita
di
Spadini
,
non
si
trova
un
editore
per
una
vita
di
Arturo
Martini
:
non
è
stata
scritta
una
«
cronaca
»
del
Futurismo
o
del
Novecento
o
del
movimento
rondista
:
è
inedito
l
'
epistolario
di
Giovanni
Fattori
.
Sui
pittori
si
pubblicano
sontuose
monografie
,
ma
con
prefazioni
il
cui
valore
informativo
,
per
i
posteri
,
sarà
probabilmente
nullo
.
Gli
Italiani
hanno
sempre
paura
di
non
scrivere
cose
abbastanza
importanti
,
e
,
pretendendo
di
parlare
all
'
eternità
,
finiscono
spesso
per
parlare
al
vuoto
o
ad
una
sola
chiesola
.
StampaQuotidiana ,
Come
questo
lavoro
drammatico
di
Rosso
di
San
Secondo
si
presenti
nella
sua
traduzione
scenica
,
han
veduto
di
recente
gli
spettatori
del
teatro
Manzoni
di
Milano
,
che
lo
hanno
accolto
con
grande
favore
e
fervore
d
'
appassionate
discussioni
:
vedranno
tra
pochi
mesi
gli
spettatori
del
nostro
teatro
Valle
.
E
allora
,
di
questa
traduzione
scenica
renderà
conto
con
l
'
usato
acume
il
valoroso
critico
drammatico
di
questo
giornale
.
Io
parlo
del
libro
(
Milano
,
Fratelli
Treves
,
editori
,
1918
)
;
vorrei
dire
,
del
testo
che
ne
hanno
sotto
gli
occhi
i
lettori
,
in
luogo
della
traduzione
che
ne
hanno
avuto
e
ne
avranno
davanti
gli
spettatori
:
parlo
cioè
dell
'
espressione
unica
e
immediata
dell
'
autore
;
non
di
quella
,
varia
e
necessariamente
diversa
,
che
per
mezzo
della
loro
persona
,
della
loro
voce
,
dei
loro
gesti
,
ne
hanno
dato
e
ne
daranno
gli
attori
.
Questa
dura
una
sera
,
più
sere
,
una
stagione
,
e
passa
;
il
libro
resta
.
Dobbiamo
noi
lettori
fingerci
veramente
come
tante
marionette
i
personaggi
di
questa
commedia
,
che
non
senza
ragione
son
privi
d
'
un
nome
proprio
e
si
chiamano
:
Il
Signore
in
grigio
,
Il
Signore
a
lutto
,
La
Signora
dalla
volpe
azzurra
,
ecc
.
?
E
prima
di
tutto
:
son
propriamente
personaggi
?
è
propriamente
una
commedia
,
questa
?
Avevano
gli
antichi
una
special
forma
di
poesia
,
che
i
Greci
chiamavano
Erinni
e
i
Latini
Dira
;
noi
avemmo
a
simiglianza
la
Disperata
.
Erinni
,
Dira
o
Disperata
in
tre
atti
avrei
voluto
che
Rosso
di
San
Secondo
chiamasse
coraggiosamente
questa
sua
opera
,
che
soprattutto
è
di
poesia
.
Pura
sintesi
lirica
.
Qui
ogni
preparazione
logica
,
ogni
sostegno
logico
sono
aboliti
.
Precipitiamo
d
'
un
tratto
in
una
piena
esasperazione
dionisiaca
.
I
personaggi
,
presi
tutti
nell
'
ardente
voragine
della
passione
che
li
divora
,
non
hanno
più
,
né
possono
più
avere
,
alcun
carattere
particolare
:
sono
la
loro
stessa
passione
in
diversi
gradi
o
stadii
,
e
basta
appena
un
segno
esteriore
a
distinguerli
.
Lo
spasimo
li
ha
induriti
.
Subitanee
aderenze
,
bruschi
contatti
,
improvvisi
urti
con
la
realtà
più
comune
,
li
irrigidiscono
vieppiù
.
Chi
sono
?
Eran
due
poveri
uomini
,
una
povera
donna
:
un
marito
oltraggiato
,
un
amante
tradito
,
una
amante
calpestata
.
Non
importa
conoscerne
la
storia
:
è
la
più
comune
;
quella
di
jeri
,
d
'
oggi
,
di
domani
.
Non
ne
hanno
più
,
storia
,
come
non
hanno
più
nome
né
nulla
,
tranne
la
passione
che
li
muove
a
capriccio
,
senza
volontà
,
in
un
giuoco
casuale
:
non
più
dunque
due
poveri
uomini
,
una
povera
donna
;
ma
per
forza
ormai
tre
grottesche
marionette
.
Possono
piangere
e
subito
dopo
ridere
,
e
viceversa
;
o
ridere
e
piangere
insieme
.
E
il
giuoco
,
a
guardarlo
da
fuori
,
è
divertentissimo
.
Pare
una
cosa
di
lusso
.
Invita
quasi
a
svagarcisi
per
renderlo
più
attraente
;
a
pensare
a
toni
e
a
colori
,
perché
risulti
più
armonico
all
'
orecchio
e
più
vivace
agli
occhi
nella
sua
apparente
incoerenza
che
è
appunto
la
sua
massima
coerenza
,
come
quella
che
ha
radice
nella
disperazione
,
in
cui
,
piangendo
o
ridendo
,
si
snoda
,
come
a
caso
.
Ecco
:
un
tono
basso
,
quasi
in
sordina
,
intercalato
da
lunghe
pause
,
e
un
color
grigio
slavato
,
di
cielo
piovoso
,
per
il
primo
atto
;
un
tono
stridulo
,
tutto
scatti
e
scivoli
,
e
una
soffice
imbottitura
di
raso
celeste
,
da
piumino
da
cipria
avvelenata
,
per
il
secondo
atto
;
un
tono
lento
,
quasi
solenne
,
un
po
'
declamatorio
e
una
rigidezza
di
bianco
e
nero
,
bianco
di
stoviglie
da
tavola
,
di
tovaglie
e
di
sparati
di
camicia
,
nero
di
marsine
e
di
cravatte
,
per
il
terzo
atto
:
insomma
tutta
una
galanteria
di
fino
giuoco
,
che
dia
sussulti
da
morirne
a
ogni
improvviso
stridore
che
minacci
di
mandare
ogni
cosa
a
catafascio
da
un
momento
all
'
altro
,
perché
in
verità
è
la
galanteria
questa
di
un
fino
giuoco
mortale
.
Così
,
a
goderselo
da
fuori
,
è
anche
uno
spasso
di
strampaleria
eroica
il
Don
Chisciotte
;
uno
spasso
d
'
avventurosa
strampaleria
il
Gulliver
.
Ma
qui
il
pregio
è
nel
rappresentare
come
reali
e
vivi
un
tipo
straordinario
,
straordinarii
casi
e
avventure
.
Il
pregio
di
questa
"
Dira
"
consiste
invece
nella
straordinaria
rappresentazione
,
quasi
irreale
,
quasi
non
viva
,
perché
tutta
indurita
e
starei
per
dire
lignificata
nelle
mosse
,
di
questi
comunissimi
personaggi
senza
nome
,
resi
dall
'
irrigidimento
del
loro
spasimo
interno
marionette
,
che
si
muovono
come
a
caso
,
in
un
fortuito
incontro
,
in
luoghi
che
non
hanno
nulla
d
'
insolito
,
al
telegrafo
,
in
trattoria
,
solitissimamente
,
nella
più
comune
delle
azioni
,
senz
'
alcuna
vicenda
:
passare
un
telegramma
;
sostituire
un
guanto
;
andare
a
cena
:
tutto
nel
giro
di
una
mezza
giornata
.
L
'
urto
,
il
contrasto
tragico
che
dà
brividi
e
fremiti
d
'
orrore
,
l
'
angoscia
che
serra
la
gola
,
nascono
appunto
dallo
straordinario
di
questa
rappresentazione
,
appena
tocchi
o
aderisca
minimamente
col
comune
della
normalità
quotidiana
,
in
cui
è
condannata
a
sciogliersi
e
ad
annegarsi
,
come
ho
detto
,
senza
vicenda
e
senza
nome
.
Non
so
come
tutto
questo
risulti
in
teatro
.
M
'
immagino
che
a
uno
spettatore
appassionato
non
possa
non
risultare
perfetto
e
non
dare
perciò
un
godimento
squisito
,
se
rappresentato
da
bravi
attori
.
Certo
perfetto
risulta
alla
lettura
e
dà
uno
squisito
godimento
a
uno
spassionato
lettore
.
E
Rosso
di
San
Secondo
può
andare
orgoglioso
d
'
aver
dato
una
pura
opera
di
poesia
al
teatro
italiano
,
che
accenna
a
innalzarsi
su
nuove
e
più
sicure
basi
.
StampaQuotidiana ,
Via
Pietralata
pareva
,
allora
,
in
capo
al
mondo
.
Era
una
traversa
di
via
Nomentana
,
aperta
,
all
'
imbocco
,
fra
le
mura
di
due
vecchi
giardini
.
Ci
si
arrivava
con
un
tram
sconquassato
che
sollevava
nuvoli
di
polverone
.
Attorno
a
quello
che
oggi
è
solamente
un
terreno
da
costruzioni
,
tutto
il
paesaggio
dev
'
essere
cambiato
,
e
certamente
,
se
mi
accadesse
di
percorrere
l
'
attuale
via
De
Rossi
dove
adesso
abita
Mario
Soldati
,
non
riconoscerei
la
vecchia
via
Pietralata
che
tanti
pomeriggi
e
tante
mattine
udì
sui
suoi
ciottoli
e
sul
suo
fango
campestre
il
mio
passo
di
ragazzo
,
fra
il
1918
e
il
1926
.
Da
un
lato
,
entrando
da
via
Nomentana
,
la
strada
confinava
col
muraglione
del
parco
di
Villa
Torlonia
;
dall
'
altro
con
terreni
e
vigne
di
antiche
proprietà
ecclesiastiche
.
In
quei
vigneti
e
fra
quei
muriccioli
degli
orti
e
dei
frutteti
,
si
erano
accampati
,
il
18
e
il
19
settembre
del
'70
,
i
bersaglieri
del
generale
Cadorna
che
dovevano
dare
l
'
assalto
a
Porta
Pia
.
Sotto
al
passo
dei
loro
battaglioni
aveva
risposto
,
poche
centinaia
di
metri
più
giù
,
l
'
eco
dei
sotterranei
delle
catacombe
di
Sant
'
Agnese
.
Dopo
aver
fiancheggiato
Villa
Torlonia
si
udiva
,
dietro
al
muro
,
il
grido
rauco
dei
pavoni
,
la
strada
sboccava
fra
le
sterpaglie
e
gli
orti
malaticci
di
una
zona
di
terreni
incolti
chiusi
da
siepi
polverose
e
da
barriere
tarlate
come
quelle
che
nell
'
Agro
si
usano
per
i
chiusi
dei
bufali
e
delle
vaccine
.
In
uno
di
quei
terreni
,
attorno
al
1910
,
il
cinema
muto
aveva
innalzato
il
baraccone
di
vetro
di
uno
«
studio
»
e
,
accanto
allo
spiazzo
dove
gli
operatori
venivano
a
girare
i
«
primi
piani
»
in
pieno
sole
,
era
venuta
su
la
«
palazzina
Ciangottini
»
:
una
villetta
con
tre
o
quattro
appartamenti
,
dove
Pirandello
era
andato
ad
abitare
con
la
figlia
Lietta
e
i
ragazzi
Stefano
e
Fausto
.
Era
una
casa
semplice
,
che
oggi
si
giudicherebbe
assai
modesta
,
con
una
piccola
anticamera
e
la
sala
da
pranzo
separata
dallo
studio
con
un
arco
vetrato
.
Nell
'
anticamera
,
c
'
erano
un
borghesissimo
attaccapanni
d
'
ottone
e
una
non
meno
borghese
cassapanca
di
imitazione
cinquecentesca
.
Le
case
di
Pirandello
non
assomigliarono
mai
a
quelle
che
in
Francia
e
anche
in
Italia
si
chiamarono
le
raisons
d
'
artiste
,
in
parte
museo
e
in
parte
magazzino
di
antiquariato
,
di
cui
esempi
classici
furono
la
casa
di
Victor
Hugo
nell
'
isola
di
Guernesey
,
il
«
granaio
»
dei
Goncourt
a
Parigi
,
la
«
sagrestia
»
di
Anatole
France
,
il
«
conventino
»
del
giovane
Claudel
che
fu
giudicato
insopportabile
da
Jules
Renard
,
e
,
saggi
supremi
,
la
Capponcina
e
il
Vittoriale
di
D
'
Annunzio
.
Pirandello
non
«
mise
in
scena
»
la
propria
vita
:
non
fu
il
«
tappezziere
»
che
D
'
Annunzio
amava
essere
.
Il
mondo
del
suo
spirito
si
proiettava
tutto
nel
rettangolo
del
foglio
bianco
su
cui
scrivere
.
Le
finestre
del
suo
studio
si
aprivano
su
un
panorama
campestre
macchiato
qua
e
là
dal
bianco
e
dal
rosa
di
qualche
villetta
,
sparso
di
riquadri
coltivati
a
carciofi
e
a
rape
,
o
abbandonato
a
praticelli
incolti
dove
all
'
alba
si
vedevano
camminare
lentamente
fra
siepe
e
siepe
le
donne
che
raccoglievano
la
cicoria
selvatica
.
In
quegli
stessi
prati
,
alla
sera
,
si
fermavano
le
greggi
delle
pecore
che
dovevano
aspettare
fino
a
notte
per
attraversare
nel
loro
viaggio
Roma
,
da
Porta
Pia
a
Porta
del
Popolo
.
In
quello
scenario
che
ancora
apparteneva
agli
ottocenteschi
sfondi
della
pittura
«
fuori
porta
»
,
capitava
ancora
nel
1920
di
vedere
,
con
il
loro
cane
ringhiante
,
gli
ultimi
pastori
dalle
gambe
avvolte
nelle
«
ciocie
»
.
Imboccata
la
via
Pietralata
,
si
continuava
a
camminare
un
pezzo
fra
le
mura
di
quei
giardini
.
La
via
era
,
nel
primo
tratto
,
in
lieve
salita
.
Le
mura
erano
di
vecchi
mattoni
rossi
,
mescolati
ogni
tanto
al
sasso
.
L
'
aria
era
quella
della
antica
periferia
papale
e
cardinalizia
,
che
Roma
conservò
fuori
Porta
Pia
anche
dopo
la
Breccia
del
1870
.
Molti
anni
erano
passati
da
allora
,
ma
Roma
,
da
queste
parti
,
non
si
era
ancora
allargata
.
L
'
unità
d
'
Italia
aveva
creato
i
suoi
nuovi
quartieri
in
via
XX
Settembre
e
nelle
sue
grigie
traverse
di
tipo
torinese
,
dove
Luigi
Pirandello
guardava
vivere
verso
i
primi
del
'900
quella
borghesia
attristita
che
passava
,
un
tipo
dopo
l
'
altro
,
nelle
sue
novelle
.
A
Porta
Pia
la
nuova
Roma
si
fermava
,
avanzava
con
rari
casoni
verso
viale
della
Regina
,
poi
cedeva
il
passo
a
quella
papale
,
alla
campagna
che
con
le
sue
lievi
ondulazioni
porta
all
'
Aniene
e
che
nasconde
nella
sua
terra
bruna
il
tufo
delle
catacombe
.
Terra
di
monasteri
e
di
vigneti
;
l
'
asfalto
era
ignoto
,
regnavano
ancora
,
nelle
vie
più
importanti
,
i
selci
e
i
selciaroli
.
Ogni
tanto
venivano
avanti
il
corteo
di
un
seminario
,
la
carrozza
di
un
cardinale
-
i
principi
della
Chiesa
non
avevano
ancora
adottata
l
'
automobile
-
una
coppia
di
cappuccini
.
La
via
Pietralata
aveva
un
'
aria
di
oremus
.
Piaceva
molto
,
per
la
sua
solitudine
,
ai
fidanzati
.
Le
ragazze
strappavano
dalle
siepi
un
fiore
di
gelsomino
e
lo
mordevano
mentre
,
a
bassa
voce
,
il
fidanzato
faceva
una
scena
di
gelosia
.
Il
giovane
,
che
io
ero
allora
,
andava
per
via
Pietralata
,
girava
in
fondo
dove
la
strada
fa
un
gomito
,
seguiva
una
siepe
,
suonava
al
cancelletto
della
villetta
.
«
C
'
è
il
professore
?
»
.
Il
professore
c
'
era
.
La
cameriera
non
annunciava
nemmeno
la
visita
quando
si
trattava
di
uno
degli
amici
di
Fausto
e
di
Stefano
.
Il
professore
li
lasciava
entrare
,
andare
e
venire
,
chiacchierare
,
ridere
,
fare
chiasso
.
Lui
stava
al
suo
tavolino
,
abituato
da
vent
'
anni
a
lavorare
con
i
figli
vicino
.
Restava
seduto
al
suo
vecchio
tavolino
,
che
sembrava
il
tavolo
da
lavoro
della
nonna
,
cintato
,
tutto
attorno
,
da
una
piccola
balaustrata
in
miniatura
.
Vecchie
lettere
,
bozze
,
manoscritti
,
giornali
,
tutto
era
andato
ammucchiandosi
su
quel
tavolino
da
vent
'
anni
.
Lì
erano
nati
quindici
volumi
di
novelle
e
lì
era
nato
Il
fu
Mattia
Pascal
.
Sul
ripiano
,
non
c
'
era
posto
che
per
una
sola
cartella
.
Davanti
,
stavano
due
boccettine
di
inchiostro
nero
e
di
inchiostro
rosso
.
Pirandello
usava
l
'
inchiostro
rosso
da
quando
aveva
cominciato
a
scrivere
per
il
teatro
:
lo
usava
per
le
didascalie
dell
'
azione
in
scena
.
Quello
nero
era
riservato
al
dialogo
.
Pirandello
alternava
metodicamente
le
due
penne
,
con
un
gesto
preciso
,
senza
fretta
.
Scriveva
dettandosi
a
mezza
voce
ogni
parola
,
come
in
un
monologo
.
I
personaggi
erano
vivi
in
lui
fin
dalla
prima
battuta
:
pareva
ch
'
egli
si
limitasse
a
prendere
voce
da
un
invisibile
suggeritore
.
Non
c
'
era
da
attendere
l
'
ispirazione
,
o
da
interrogare
il
vuoto
.
Se
il
personaggio
rideva
,
Pirandello
rideva
;
se
il
personaggio
implorava
,
Pirandello
implorava
;
se
il
personaggio
piangeva
,
Pirandello
piangeva
.
E
se
l
'
altro
personaggio
del
dialogo
,
per
rispondere
,
imprecava
,
Pirandello
imprecava
,
e
la
commozione
scompariva
subito
dall
'
occhio
e
l
'
ira
lo
colorava
.
In
questo
alternarsi
di
sentimenti
non
dimenticava
l
'
inchiostro
rosso
:
e
,
prendendo
l
'
altra
penna
e
dettandosi
le
parole
delle
didascalie
,
Pirandello
era
,
all
'
improvviso
,
calmo
,
sereno
e
attento
,
e
guardava
un
attimo
innanzi
a
sé
come
se
avesse
voluto
controllare
su
un
invisibile
modellino
della
scena
,
i
movimenti
dei
suoi
personaggi
.
«
Siedi
un
momento
.
Tra
dieci
minuti
,
ho
finito
»
.
Il
ragazzo
sapeva
che
Pirandello
,
tre
mattine
prima
,
aveva
iniziato
una
nuova
commedia
.
Sapeva
che
Pirandello
prendeva
a
scrivere
alle
nove
e
che
,
di
solito
,
a
mezzogiorno
metteva
giù
la
penna
,
e
un
atto
era
finito
.
Improvvisazione
?
No
.
Le
novelle
di
Pirandello
«
covavano
»
talvolta
per
dieci
anni
.
Le
commedie
derivavano
dalle
novelle
,
ed
erano
state
«
covate
»
anche
loro
decine
d
'
anni
.
I
personaggi
avevano
ormai
preso
una
realtà
allucinante
:
bastava
soffiar
loro
sul
viso
perché
si
destassero
e
parlassero
.
Quando
il
personaggio
aveva
conquistato
,
ormai
,
la
sua
intera
ragione
,
lo
scrittore
gli
regalava
la
parola
.
Così
,
parola
per
parola
,
lo
accompagnava
alla
vita
.
C
'
era
dentro
allo
studio
un
sofà
piuttosto
sfondato
,
di
cui
si
sentivano
le
molle
cedere
e
cigolare
sotto
a
chi
sedeva
:
un
armadio
a
vetri
,
di
tipo
«
umbertino
»
conteneva
alla
rinfusa
qualche
fila
di
libri
slegati
,
scompagnati
,
sdruciti
.
Quella
era
la
«
biblioteca
»
di
Pirandello
,
che
vi
buttava
dentro
,
alla
rinfusa
,
senza
tagliarne
le
pagine
,
le
edizioni
nuove
delle
sue
opere
,
o
quelle
che
gli
arrivavano
delle
traduzioni
straniere
.
La
sua
indifferenza
per
un
se
stesso
inquadrato
in
un
clima
da
museo
era
totale
.
Una
volta
,
per
varie
settimane
,
vidi
nello
stesso
angolo
di
quel
divano
un
enorme
pacco
,
arrivato
dalla
Spagna
,
con
gli
spaghi
intatti
.
Alla
fine
,
ottenni
da
lui
il
consenso
di
aprirlo
:
conteneva
una
ventina
di
volumi
delle
sue
obras
tradotte
in
spagnolo
.
Quando
glielo
annunciai
e
gli
chiesi
dove
avrei
potuto
riporre
in
bell
'
ordine
quei
libri
,
Pirandello
alzò
appena
gli
occhi
dal
tavolino
e
fece
un
cenno
come
per
dire
:
«
E
che
me
ne
importa
?
»
.
Il
ragazzo
aspettava
.
Pirandello
continuava
a
scrivere
,
alternando
l
'
inchiostro
rosso
e
l
'
inchiostro
nero
,
con
la
mano
tranquilla
come
quella
di
uno
scrivano
di
notaio
.
Il
sole
entrava
dalla
finestra
nello
studio
-
salotto
:
illuminava
l
'
armadio
a
vetri
della
piccola
libreria
dove
,
in
uno
sportello
,
era
infilata
una
vecchia
fotografia
fatta
all
'
università
di
Bonn
:
una
fotografia
heiniana
.
II
ragazzo
stava
fermo
,
per
non
dare
fastidio
,
essendo
giunto
in
anticipo
sull
'
ora
prevista
.
Non
alzava
gli
occhi
al
tavolino
dello
scrittore
per
non
disturbarlo
.
Guardava
ogni
tanto
la
sua
immagine
che
si
rifletteva
nel
vetro
della
libreria
,
un
po
'
sfumata
,
un
po
'
azzurrata
.
Seguiva
là
il
gioco
di
quel
volto
che
non
era
più
il
volto
di
Pirandello
,
ma
quello
dei
suoi
personaggi
.
La
voce
che
dettava
era
,
alla
distanza
di
pochi
metri
,
inintelligibile
;
ma
il
tono
mutava
,
saliva
,
scendeva
,
toccava
le
note
del
pianto
,
del
disgusto
,
dello
sgomento
,
dell
'
orrore
,
della
stupefazione
.
Pirandello
posò
la
penna
dell
'
inchiostro
nero
.
Prese
l
'
altra
per
una
ultima
didascalia
.
Poi
guardò
,
contro
luce
,
se
la
pagina
era
asciutta
.
Raccolse
le
cartelline
,
ne
fece
un
mucchietto
,
riscontrò
la
numerazione
.
Domandò
che
ora
era
.
Domandò
anche
:
«
Cosa
mi
hai
portato
?
»
«
Una
novelletta
.
»
Si
alzò
.
Venne
verso
il
ragazzo
,
si
fece
dare
i
suoi
fogli
.
Disse
:
«
La
leggerò
stasera
.
Oggi
,
a
pomeriggio
,
devo
scrivere
il
terzo
atto
,
l
'
ultimo
,
di
un
'
altra
commedia
»
.
«
E
questa
che
ha
finito
adesso
,
professore
,
come
si
intitola
?
»
«
È
,
te
l
'
ho
detto
,
quella
commedia
,
dei
personaggi
che
cercano
un
autore
.
Si
intitola
appunto
Sei
personaggi
in
cerca
d
'autore.»
Poi
parlò
subito
d
'
altro
.