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Zarah Leander ( Vergani Orio , 1948 )
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È una donna ancora molto bella , Zarah Leander . Anche se la prima giovinezza sta staccandosi se pure molto dolcemente da lei , il suo volto ne ha acquistato un rilievo drammatico profondo . I suoi occhi sono stati e sono molto famosi , leggendariamente inquietanti . Ieri sera al Mediolanum , eccoli gli occhi di questa signora vestita di bianco che , quasi immobile davanti al microfono , cantava alcune canzoni in francese e in svedese . Non sono occhi particolarmente grandi , o particolarmente splendenti . Il loro colore , nella piena luce della ribalta , è mescolato d ' oro cupo e di qualche nota azzurra . Sono occhi difficili da raccontare : occhi d ' attrice come li vide un tempo , intensi , De Nittis in Sarah Bernhardt e Albert Besnard in Réjane : occhi un poco distanti e dallo sguardo raramente afferrabile . Anche Colette ha di questi occhi vibrati , fatti più per la malinconia che per il sorriso : occhi , direi , da confessione drammatica . Il canto di Zarah Leander è , come il suo sguardo , vibrato . È il canto in tono di contralto di una dicitrice dalla concitata veemenza , quasi virile , che in certi momenti spalanca brutalmente le porte sulla verità . Una voce inattesa per il nostro orecchio latino abituato alle tonalità canore definite e a un modellato delle parole meno rapinoso e meno sferzante . Raquel Meller - arrivata anche lei venticinque anni fa , alla fine della prima guerra mondiale , al music - hall dopo le esperienze del cinema - aveva nel canto la stessa virtù plastica , anche se la musica della Violetera , che fu la sua grande creazione , era di sentimenti meno neo - realisti di quelli delle canzoni francesi che la Leander canta come in un soliloquio di disperata confessione femminile , così come si può immaginare che una donna parli solo quando è sicura di essere assolutamente sola .
GLI ANALFABETI NELLE ELEZIONI POLITICHE ( SONNINO SIDNEY , 1877 )
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Firenze , li 4 novembre 1877 Gentilissimo sig . Direttore . Ora che sono di moda le proposte di riforma , più o meno radicali , della nostra legge comunale e provinciale , vorrei anch ' io suggerire un emendamento , lievissimo nella forma , ma importante per la sostanza , con il quale si verrebbe a rimediare ad una grave lacuna della legislazione attuale , lacuna a cui non si è in alcun modo provveduto né nella proposta di legge ministeriale né in quella della commissione parlamentare . Secondo la legge del 1865 come pure secondo i nuovi progetti presentati alla Camera l ' analfabeta è per regola generale , e salvo alcuni casi eccezionali tassativamente determinati dal legislatore , escluso affatto dall ' elettorato . Il solo motivo che giustifichi una tale esclusione è quello , che l ' analfabeta non può essere mai certo del suo voto , dovendosi fidare alla buona fede altrui ; e non è quindi interamente libero nell ' esercizio del suo diritto . Insomma non si ha nessuna sicurezza della sincerità del voto dell ' analfabeta . Noto , in parentesi , per chi non lo sapesse , che nelle elezioni amministrative la legge non richiede che il voto sia scritto di proprio pugno dall ' elettore , onde la giurisprudenza , sebbene non perfettamente concorde nei suoi giudizi sulla maggiore o minore capacità di scrivere richiesta dall ' elettore , ha però ritenuto sempre come requisito indispensabile quello di saper leggere un nome scritto da mano altrui . E sin qui nulla avrei da criticare , quanto alla questione teorica . Ma vediamo un poco quali sono nella pratica gli effetti di una tale esclusione . Avverto che mi restringerò a parlare della Toscana , come quella regione che è meglio cognita alla maggioranza dei lettori della « Nazione » ; le mie osservazioni però si possono applicare egualmente a quasi tutte le diverse regioni d ' Italia , e più specialmente in cui vige , come contratto agricolo , la mezzadria , sotto una qualunque delle sue molteplici forme . L ' esclusione degli analfabeti dall ' elettorato amministrativo non ha una grande importanza pratica nelle nostre città , e nemmeno nei paesi e nelle borgate , ma invece porta alla radiazione dalle liste elettorali della maggioranza dei contadini . E perché mai ? Perché i capoccia , ossia i capi delle famiglie coloniche , sono per la maggior parte illetterati , sebbene per censo avrebbero quasi tutti diritto all ' elettorato , sia in proprio come imposti da tasse di famiglia , sia imputando nel loro censo , in virtù dell ' art . 24 della legge del 1865 un terzo delle imposte reali pagate dal padrone del fondo . Or bene , siffatta esclusione della massa dei contadini dalle liste elettorali amministrative è , come ben sa chiunque ha pratica d ' amministrazione , un danno grandissimo per il nostro paese . Essa disturba la proporzionalità della rappresentanza dei diversi interessi nei consigli comunali , e , specialmente nei comuni di natura mista , cioè in parte urbani e in parte rurali , produce sconci gravissimi , ed ingiustizie ed oppressioni non poche , dando il potere esclusivamente in mano ad una piccola minoranza cittadina . Pei democratici dovrebbe essere argomento di dolore il veder leso a questo modo il principio delle maggioranze , come pure il principio del diritto di ogni contribuente di vegliare sulla gestione del denaro pubblico ; e d ' altra parte i conservatori dovrebbero deplorare la insufficiente rappresentanza della classe dei contadini , la quale è , per sua natura , conservatrice , e nemica delle rivoluzioni , delle guerre , e dei cataclismi . Il capoccia delle nostre famiglie coloniche , sebbene pur troppo spesso illetterato , è tutt ' altro che ignorante o rozzo ; ha invece buon senso , ha esperienza , una discreta cultura tecnica , ed una grande conoscenza degli uomini . E non si dica che l ' esclusione dei contadini dalle liste elettorali dipenda da colpa dei proprietari , i quali avendo in tante questioni interessi conformi a quelli dei contadini , dorrebbero adoperarsi ed insegnare a questi a leggere ed a scrivere . Ed invero non si può sperare né pretendere che i vecchi capoccia , uomini che hanno quasi tutti dai quarant ' anni in su , ed hanno sulle spalle tutto il peso del sostentamento della famiglia , possano ora andare a scuola ad imparare l ' abbicì . Le scuole serviranno per la nuova generazione , ma oramai i vecchi sono quel che sono . Di qui a venti o trent ' anni si sarà , forse , riparato all ' inconveniente attuale coll ' istruzione elementare più diffusa , ma intanto in venti o trent ' anni c ' è il tempo di mandare in rovina tutti i bilanci comunali e di fare dei danni incalcolabili ed irreparabili . E come si può sperare che i proprietari si adoprino efficacemente a diffondere l ' istruzione nelle campagne , quando non dovranno fruire del vantaggio di una tal diffusione che di qui a vent ' anni o più , mentre saranno per risentirne immediatamente i pesi per l ' aumentata spesa delle scuole , per la minore docilità dei contadini , ecc . Non esigiamo eroismi dalla media degli uomini , a qualunque classe appartengano ; e se vogliano che i proprietari si adoprino a tutt ' uomo all ' incremento dell ' istruzione pubblica , malgrado i danni diretti che ad essi ne proverranno , dobbiamo d ' altra parte far sì , che essi possano risentirne anche un qualche vantaggio immediato . Se no , faremo un buco nell ' acqua con tutte le nostre leggi di istruzione obbligatoria . « Ma dunque ? mi si domanderà vorreste forse dare il voto agli analfabeti ? » No ; tutt ' altro . E qui scendo alla parte positiva del mio ragionamento . L ' art . 22 dispone che « il padre può delegare ad uno dei figli l ' esercizio dei suoi diritti elettorali , purché nel delegato concorrano gli altri requisiti prescritti per essere elettori » . Con questa savia disposizione parrebbe che si fosse provveduto a tutto , poiché il padre che sarebbe elettore per censo ma che si trovasse escluso dalle liste perché analfabeta , delegherebbe il suo diritto ad uno dei suoi figli , il quale o avrà già frequentato la scuola elementare , oppure potrà sempre , andando alle scuole serali , acquistare ben presto la capacità di leggere e scrivere un nome sopra una scheda . Ma nossignori ! Ci stanno di mezzo le formole giuridiche . « Non si può delegare ad altri facoltà che non si hanno » . Dunque il padre che non è elettore , perché analfabeta , non può delegare nulla al figlio letterato . E quando in Italia si è trovato una formula giuridica , non c ' è più logica che tenga ; e gl ' Intendenti piemontesi decisero che il padre analfabeta non può delegare il censo al figlio . Questa decisione a me pare ingiusta ed assurda . All ' analfabeta si toglie l ' elettorato perché mancano in lui le garanzie di libertà e di sincerità del voto ; e non per punirlo , ché ogni pena siffatta , in Italia , sarebbe una iniquità . Ma quali sono le ragioni per cui un analfabeta non potrebbe , con egual cognizione di causa che un presidente dell ' Accademia della Crusca , delegare il suo voto al figlio ? Qui si tratta soltanto della questione se quel tale Tizio , il quale paga un censo adequato , abbia o no fiducia sufficiente nel suo figlio per delegare a lui la rappresentanza civica di quegl ' interessi familiari che hanno , per regola , diritto ad una voce nell ' elezione della autorità locale . E dovendosi tal delegazione far sempre per atto autentico , qual è la garanzia che manchi nel caso dell ' analfabeta più che in qualunque altro caso ? Quando ammettiate la delegazione del censo del padre analfabeta al figlio letterato , avrete in questi un elettore che sa leggere e scrivere e che rappresenta una somma d ' interessi nel comune . Quale può dunque essere la ragione di una tal esclusione ? Io non saprei davvero escogitarne una buona . Qui si tratta di una vera e propria delegazione di censo da padre a figlio , e non di altro ; tant ' è vero , che la delegazione è sempre revocabile , e che il padre che può essere elettore per capacità oltreché per censo , può , anche attualmente , delegare al figlio il censo restando egli stesso elettore . Ciò per la teoria . Quanto poi alla pratica , si otterrebbero colla delegazione del censo fatta dal padre analfabeta parecchi vantaggi grandissimi in primo luogo una classe importantissima della nostra popolazione tornerebbe ad avere la sua giusta parte d ' influenza nella gestione delle amministrazioni locali ; e in secondo luogo i proprietari avrebbero d ' ora in poi in moltissimi comuni un interesse diretto ed immediato alla diffusione dell ' istruzione elementare nelle campagne , interesse che ora manca affatto . In qualche provincia d ' Italia per esempio nel Palermitano , la deputazione provinciale ha , di fatto , ammesso la delegazione di censo fatta dal padre analfabeta ; ma questa ammissione è reputata generalmente illegale , e condannata dai commentatori della legge del 1865 . Le nuove proposte di legge presentate alla Camera ripetono a questo riguardo le disposizioni della legge attuale , senza pronunciarsi sulla questione che ho esaminato : mi reputerei davvero fortunato se , in occasione delle prossime discussioni parlamentari , potessi con questi rozzi appunti richiamare su di essa l ' attenzione dei nostri uomini pubblici . Le stringo cordialmente la mano confermandomi suo devotissimo SIDNEY SONNINO .
INSEGNAMENTI ( GRAMSCI ANTONIO , 1922 )
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Le conclusioni che si possono trarre dall ' andamento di questa manifestazione di Primo Maggio sono confortanti . La manifestazione è riuscita come intervento di masse , come estensione di solidarietà operaia . Ha dimostrato come il proletariato italiano malgrado la reazione è sempre rosso . Ed è anche riuscita come prova di spirito di combattività che si risveglia nelle file dei lavoratori . I fascisti si sono preoccupati di dimostrare col loro contegno e colle loro stesse dichiarazioni che si trattava di una manifestazione antifascista . E tale è stato il significato della astensione dal lavoro e dell ' intervento alle dimostrazioni di grandissime masse , da un capo all ' altro d ' Italia , e senza escludere le zone percosse dal fascismo . Se i cortei non si sono fatti si deve alla imposizione del governo : se si fossero potuti tenere , oggi conteremmo un maggior numero di morti operai , ma anche un maggior numero di morti fascisti . Tuttavia , accanto alla confortante constatazione della vastità ed imponenza della manifestazione e dell ' elevato morale della massa , dobbiamo porre quella che l ' organizzazione ha lasciato in generale a desiderare . La cosa non è senza ragione : la tattica dell ' unità di fronte adottata in questo Primo Maggio da tutti gli organismi proletari , esperimento dell ' Alleanza del lavoro italiana , ha recato insieme questo benefizio e questo vantaggio , che vanno dai comunisti attentamente considerati . Ci limitiamo qui ad accennare brevemente alla cosa , in presenza del comunicato diramato dal Comitato dell ' Alleanza del lavoro dopo il Primo Maggio . Con la tattica dell ' unità di fronte si sono potute radunare ai comizi di Primo Maggio grandi moltitudini operaie anche dove era ben chiaro nella coscienza fin dell ' ultimo intervenuto che non si trattava della solita e tradizionale coreografia , ma di una giornata di lotta . Ma questa dimostrazione dell ' avversione del proletariato alla reazione e al fascismo , dello spirito di classe che tuttora anima le grandi moltitudini di lavoratori , non è abbastanza per poter aver ragione del fascismo e della reazione . Il fascismo non sarà soffocato da unanimità platoniche : le rivoltelle e i pugni non saranno rese impotenti col gettarvi sopra una materassa . Il fascismo non ha il numero , ma ha l ' organizzazione , unitaria e centralizzata , ed è in ciò la sua forza , integrata nella centralizzazione del potere ufficiale borghese . L ' Alleanza del lavoro che oggi ha permesso di raggruppare masse imponenti deve divenire capace di inquadrarle con disciplina unitaria . Qui è il compito dei comunisti , nel conseguire questo risultato , verso il quale non si è fatto che il primo passo . Quando sarà possibile che le grandi adunate possano contare sul concorso proletario , e nello stesso tempo su una razionale preparazione delle nostre forze , allora il proletariato potrà dominare il suo nemico . In questo Primo Maggio si è potuto notare che i comizi e i movimenti concordati dalle organizzazioni alleate mancavano un po ' di preparazione organizzativa anche al modesto effetto della loro protezione dagli attacchi degli avversari , e questo dipendeva dal fatto che non era ben chiaro chi avesse organizzato i comizi e disposto il piano del loro svolgimento sotto tutti gli aspetti . I comitati locali dell ' Alleanza non sono che di recente formazione , e non hanno chiara consistenza organizzativa , e sufficienti poteri . Tuttavia , è già un gran vantaggio quello di aver potuto avere radunate comuni delle masse , perché ciò eleva il morale proletario e consente ai comunisti di portare a tutto il proletariato la loro franca parola . Tutto un ulteriore sviluppo dell ' interessante esperimento italiano della tattica del fronte unico condurrà ad integrare con questo vantaggio innegabile l ' altro dell ' effettiva ed intima unità di organizzazione . L ' argomento si presta ad importantissime considerazioni : vogliamo ora solo notare che il terreno sindacale su cui l ' Alleanza è costituita , permette ai comunisti di premere perché essa divenga sempre più stretta organizzativamente , giungendosi così all ' unità sindacale proletaria che sempre noi abbiamo auspicata e che il programma del Partito comunista solo può e dovrà riempire di contenuto rivoluzionario . Per ora vi è da reagire contro il carattere pigro ed incerto che ha fino ad oggi la dirigenza dell ' Alleanza del lavoro . I comunisti hanno già formulato in modo preciso e concreto le loro proposte per lo sviluppo , per il ravvivamento , per il potenziamento dell ' Alleanza , che potrebbe , se la campagna non venisse spinta energicamente innanzi , parallelamente alle eloquenti esperienze dell ' azione proletaria , degenerare in una burocratica ed ingombrante diplomazia di capi esitanti ed opportunisti . Quanto le proposte comuniste siano urgenti lo dimostra il contegno passivo dell ' Alleanza dinanzi alle gravissime provocazioni che hanno subito il Primo Maggio le folle operaie e , nonostante gli inviti all ' azione giunti da tante parti , lo dimostra la sua insensibilità alla pressione che viene oggi dal proletariato italiano disposto a procedere rapidamente sulla via della controffensiva . E lo dimostra , eloquentissimo documento , il comunicato diramato dal Comitato nazionale , che con le sue frasi piatte e banali declina la suggestione sorgente dalle masse anelanti la lotta : comunicato al quale non vogliamo scrivere altro commento , sicuri che , come la quistione è ormai irrevocabilmente posta innanzi alle masse , così queste non mancheranno di commentare e giudicare esse , per trarre da quest ' altra delusione nuovo stimolo a proseguire sull ' aspra ma sicura via della loro riscossa .
Leo Longanesi ( Vergani Orio , 1959 )
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Il mio primissimo ricordo di Longanesi risale lontano , ai tempi , attorno al 1925 , di una gita notturna da Bologna a Ferrara . Quanti anni aveva ? Una ventina . Non credo avesse terminato gli studi regolari : era piccolo di statura - i tre « piccoli » di Roma , quando vi si trasferì , erano , con lui , il pittore Bartoli e il pittore Maccari , che allora si arrangiava a far della modesta « cucina » giornalistica - , aveva , nel viso pallido di autodidatta , due occhi che sembravano pronti solamente all ' ironia o alla rissa . Il braccio , entro la manica dell ' abito scuro , lo sentii solido : la mano gentile , ma , nella stretta , dura . In sei dentro l ' automobile che ci portava a Ferrara con gran rumore di ferraglia e inquietanti sobbalzi , non s ' era sentito parlare che lui , il ragazzaccio seduto su uno strapuntino . A Ferrara ci aspettava l ' Alfonsa , un ' ostessa che pareva la sorella dell ' Esopo di Velázquez , cucinando una salama da sugo e , sulla soglia dell ' osteria , un candido ottuagenario , il professor Agnelli che qualche decennio prima aveva ricevuto dalle mani di Giosuè Carducci l ' autografo dell ' ode che dice : «...o Ferrara bella ne la splendida ora d ' Aprile - : ama il memore sole tra solitaria pace ... » ; avvenimento che aveva reso tremulo e orgoglioso per tutta la vita il buon umanista ferrarese . Subito dopo la salama da sugo , il vecchio professore ci aveva portato davanti al palazzo della Biblioteca , aveva tirato fuori un mazzo di chiavi , ci aveva fatto salire al primo piano alla luce di una lanterna cieca , e , aperto con una minuscola chiavetta un armadio vetrato , ne aveva tirato fuori un ' ampolla entro la quale galleggiava in un misterioso liquido brodoso , un « precordio » , il cuore di Vincenzo Monti . Apparizione macabra che il ventenne bolognese mi commentò con un furtivo colpo di gomito . Letterato , in quegli anni , Longanesi non lo era affatto e , del resto , non lo fu mai : ma , fra i primi libri che aveva pubblicato , Dio sa a costo di quali debiti e di quali prestiti che gli faceva la mamma , c ' era stato un volume di Bacchelli , litteratissimo . Pittore non era - le sue prime caricature avevano ancora una grafia studentesca - ma aveva « scoperto » Giorgio Morandi . Anche come artista grafico era alle prime esperienze : aveva stampato , a sedici anni , una rivistina con la copertina di carta azzurrina , di quelle leggere e lievemente spugnose , che si usavano per stampare i « pianeti » della fortuna . Aveva meno di vent ' anni ed era in corrispondenza con Ardengo Soffici . Si era salvato , per la minore età , dal contagio di certo futurismo provinciale . Non era ancora nato all ' epoca dei trionfi di De Carolis e di Sartorio . Sua mamma l ' aveva messo al mondo in tempo sicuro per salvarlo dalle suggestioni del michelangiolismo e del liberty . Quando buona parte dei ragazzi italiani che prendevano la penna in mano pitigrilleggiavano , Longanesi aveva probabilmente letto gli elzeviri di Alfredo Oriani ritagliati da suo padre nel « Carlino » . Nel suo mondo non c ' era nessun residuo di « pascoliamo » , nessuna tendenza all ' intenerimento e alla poetica melanconia professionale dei minori pascoliani . Questo straordinario improvvisatore maturò alla letteratura molto lentamente , intento , prima di tutto , a scoprire il proprio mondo e la scala dei suoi sentimenti e il suo talvolta stridente movimento di contraddizioni . Intanto , la sua vocazione era soprattutto quella del lettore : non avendo la possibilità di scrivere « L ' Italiano » tutto da solo , trovò i suoi compagni e anche i suoi maestri , talvolta scrittori di una certa pigrizia : e gli uni e gli altri stimolava a scrivere , sino a creare sotto agli occhi della gente , senza che quasi nessuno in principio se ne accorgesse , non solo uno « stile Longanesi » ma addirittura una « scuola » che poteva portare il suo nome , quando , in pratica , egli non aveva scritto ancora che un piccolo mucchio di paginette quasi clandestine . Per non vivere a carico dei genitori che aveva trascinato a trasferirsi a Roma , si « arrangiava » in ogni maniera e in ogni mestiere affine alle Lettere , alla tipografia , alla Pittura , al Teatro . Disegnò anche , fra l ' altro , i caratteri per le scatole e le bustine di sigarette del Monopolio di Tripoli . Fra gli scrittori che s ' era portati avanti sottobraccio basterà ricordare Ansaldo , Buzzati , Soldati , l ' americano Furst . Ad ogni numero , l ' uscita dell ' « Italiano » era un ' avventura . Preso nel giro di cento tentazioni dell ' intelligenza , amico della discussione al caffè , fra nuvole di fumo di sigarette , seduto sul divano foderato di tela color pulce del vecchio Aragno dove s ' era spento l ' ultimo anelito della « Ronda » e dove Malaparte aveva inutilmente tentato di ridar vita a « La Voce » , Longanesi non ebbe forse mai il tempo di fare , della letteratura , un preciso mestiere di romanziere , di novelliere o di elzevirista . Questo amico , laudatore e resuscitatore di un Ottocento rivissuto in una nostalgia di ordine e di pulizia morale , non poteva trovare i suoi maestri fra gli scrittori dell ' ultimo e del medio Ottocento , che gli aveva dato il gusto della bella tipografia al di fuori dei canoni neoclassici del Bodoni , in un clima di stampa popolaresca e clandestina come era stata quella del '48 . Dove poteva trovare , se mai , questi maestri di un impressionismo e , più di tutto , di un dramma dell ' Ottocento ? Nelle conversazioni del Doctor Veritas , nelle critiche sapienti di Panzacchi , fra i moribondi di Palazzo Carignano di Petruccelli della Gattina ; fra le complicazioni etimologiche e il breve narcisismo del Dossi ; nei monologhi di Gandolin ; nelle arguzie bonarie di Jarro ; negli acquerelli di Anton Giulio Barrili ; nel Cantoni , in Rernigio Zena , nelle novelle di Camillo Boito ? Se mai qualche tono , forse senza averli letti , poteva avvicinarlo a certe pagine garibaldine di Nino Costa e di Eugenio Checchi e dell ' Abba . Purtroppo lo spettacolo che gli offriva la patria non aveva , dal punto di vista morale , molto di eccitante , ispirando piuttosto il dissidio , il dubbio , lo scatto d ' ira anche se la giovinezza induceva allo sforzo di credere . Per impegnarsi in una precisa opera narrativa gli mancava lo specchio di una società che avrebbe forse potuto fare di lui un piccolo Balzac , tanta si rivelò poi la forza concisa di certi ritratti di piccoli o di grassi borghesi . La sua ispirazione più diretta l ' aveva , mi sembra , da certe noie e melanconie di quella giornata ispiratrice di tutto un secolo di letteratura , che è la domenica : era la solitudine in cui si ritrovava con tanto spleen quest ' uomo facondo , dalla frenetica mimica , dall ' intenso gusto dell ' imitazione caricaturale che , in altri ambienti , avrebbe fatto di lui un vivacissimo attore . Ad osservarlo bene il suo mondo fu un mondo di rovine : Longanesi si muove in uno scenario di ruderi , che non sono quelli del Foro Romano fra cui si aggirava Goethe , ma che si rivelavano al suo occhio come i ruderi di una civiltà cosiddetta moderna , con cento tare e cento vizi : come se attorno gli fosse crollata la Roma di Corso Vittorio , di Via Cavour , di Piazza Termini , le architetture dei Ministeri e dei ponti falsamente trionfali sul Tevere . Letterato di « rovine » , come di rovine vere o immaginarie erano stati pittori e incisori , il Pannini e il Piranesi . Tra quei selci , fra quei cementi armati , fra le casupole di Via del Gambero e le grigie palazzate dei Lungotevere , correvano , galoppavano , si acquattavano nel polverone piccoli uomini dai cento sotterfugi e dalle mille vanità e bugie , falsamente rigorosi , segretamente lascivi . Non ebbe mai fretta di scrivere : aveva molto più fretta di insegnare e , in silenzio , per se stesso , di provarsi e di sperimentarsi . Forse più che nel largo « Museo Grevin » del costume e della storia politica , i suoi umori desolati ed amari si filtravano più essenziali in certe note di diari che avrebbero potuto far di lui il Renard italiano . La sua vita aveva avuto ore molto dure : si stava rifacendo le ossa a Milano che gli fu amica generosa : forse credeva di avere molto , moltissimo tempo davanti a sé . Si preparava , un giorno o l ' altro , a rimboccarsi le maniche , mandando , per le Lettere e per la Pittura , ogni altra cosa a carte quarantotto . Non si accorgeva di correre su una rotaia che , ad un certo punto , si interrompeva . Si trovò , senza più un battito del cuore , su una sedia del suo ufficetto di Via Bigli . Le idee di cento libri che avrebbe suggerito di scrivere ai suoi amici restarono ferme in quella sua pallida immobilità che sembrò tanto , tanto strana , tra pacchi di ingiallite fotografie del tempo umbertino e di antiche vignette di Costantin Guys e di Daumier .
StampaQuotidiana ,
Sempre fedeli al nostro programma che difendemmo omai sempre colla libera e feconda discussione , nemici ognora della intransigenza ma fermi fautori del progresso civile ed economico del nostro paese , vi rivolgiamo oggi la parola perché domani nel segreto delle urne voi deponiate quel plebiscito di favore e di fiducia verso uomini che più volte vi diedero prova luminosa di solerte e patriottica amministrazione . Per forza di legge , per le maggiori guarentigie di libertà concesse dallo Stato , per l ' allargamento del suffragio popolare voi siete chiamati domani a rinnovare il Consiglio Comunale ed eleggere 6 Consiglieri provinciali . Non potete errare nella scelta , imperocché il partito liberale progressista , scevro da utopie politiche , nemico di ogni personalità e di maneggi elettorali , si ripresenta a voi con grandi garanzie : la fiducia della pubblica opinione che da vari anni lo ritenne , come difatti lo è moralmente il grande e benefico partito di maggioranza – il passato periodo di tempo speso unicamente pel bene del paese , al compimento di riforme , di lavori , d ' igiene e pubblico progresso ! Checché hanno sbraitato e malignato gli avversari , l ' omai compiuto acquedotto di S . Marco di acque pure e salutari , la viabilità interna ed esterna stabilita , la riselciatura , le fontane , gli abbeveratoi ed i cimiteri rurali in tutte le frazioni , il pubblico mattatoio , le opere di sventramento e di redenzione morali d ' interi quartieri col rialzamento del ponte di S . Antonio e del taglio del palazzo Marcatili , le strade obbligatorie di Venagrande e Casteltrosino , la riforma scolastica sia in città che nelle ville , tutto ciò in parte è stato compiuto , in parte si completerà , essendo stato convalidato , come di legge , sia la vendita dei beni comunali come la creazione del prestito straordinario . Questo vasto ed importantissimo programma , che fu accolto con entusiasmo da tutta la città , è valida garanzia di un vicinissimo , grande e lungo lavoro , immediatamente utile alle classi operaie . La libertà è la vita della democrazia – il governo di questo popolo laborioso e perseverante sta nella forza , nel lavoro . Per cui se il nostro partito cittadino progressista ha dato e compierà un programma di civili riforme e di utili e lucrosi lavori , le classi operaie trovano in esso la vera democrazia non di declamatori ma di onesti e solerti amministratori . Il paese è sempre più forte , temuto e rispettato , laddove il popolo lavora , s ' educa e s ' incivilisce ed allora in esso la libertà è vivo fuoco , sublime stimolo alla tempra delle coscienze , alla patriottica formazione del carattere italiano , unica base della forza nazionale . Nel Comune , istituzione civile eminentemente democratica , non deve violentare la politica le idee superiori di Stato e di governo non devono influenzare l ' amministrazione del circoscritto territorio – terranno esse forti e divisi gli uomini nelle aspirazioni , ma li manterrà sempre uniti nella ricerca del bene di tutti i cittadini . La civiltà dei tempi creò i Municipi in Italia , come la più bella e democratica rappresentanza di una grande famiglia , nella quale non vi devono essere cadetti , né primogeniti del Medio Evo . Tutti egualmente rappresentati perché la vera forza del Comune sta nell ' equilibrio costante delle varie classi sociali . Il partito liberale progressista si ripresenta alle urne fiducioso di ritrovare il favore del corpo elettorale promettendo l ' immediata esecuzione delle riforme tutte , già approvate , e di proseguire sempre nella via del progresso e della civiltà , senza fermarsi , combattendo pel trionfo della sua venerata bandiera ! La lista che a voi si presenta è composta di onesti e probi cittadini appartenenti alle varie classi sociali . Il vecchio partito progressista ridotto a quindici consiglieri viene rafforzato da ottimi elementi che rappresentano il censo , il territorio esterno , gli industriali , i reduci delle patrie battaglie , i professionisti e gli operai . Alla minoranza , affermatasi con programma radicale , spetta l ' obbligo di completare l ' amministrazione Comunale , perché si ottenga il vero bene del paese e delle classi operaie . ELETTORI ! Il nostro giornale che sostenne sempre contro avversari intransigenti , e stampe bugiarde il trionfo di tutte le riforme cittadine , che si volevano gettare da prepotenti ed interessati nelle voragini di esercizi o di perdizioni , a danno del popolo ed a scorno degli operai vi raccomanda caldamente i maggiori suffragi alla lista liberale progressista .
Sofia Loren ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
« Paride » , giudice di bellezza in una lontana stagione di Miss Italia , non mi accorsi di Sofia Scicolone , di Sofia Loren . Richiamato a darle un po ' di attenzione dal telegramma di un vecchio amico , alzai gli occhi verso di lei , le parlai , la misurai e la scrutai attentamente con lo sguardo , la fissai negli occhi , vidi - bisogna dirlo ? - le sue gambe , guardai la sua bocca , chiacchierai una mezz ' ora con lei , seduto su uno sgabello al bar del grande albergo , conclusi l ' incontro con questa melanconica e frettolosa considerazione : « Ecco un ' altra povera ragazza che si illude ... » . Non fui il solo a dire di no , sotto al velo del giudizio segreto , alla futura Sofia Loren . Disse di no anche un altro mio amico , un superesperto in fatto di selezione di belle donne , un « tecnico » . E altri dissero di no , finché il produttore cinematografico Mambretti , un milanese , propose una soluzione , per non mandar via troppo amareggiata la ragazza napoletana . Coniò un titolo di « Miss Eleganza » e propose di assegnarlo - quarta in graduatoria - alla dolente e forse segretamente irritata « piccola Sofia » . La signorina Scicolone ebbe - mi sembra - in dono un abito da sera bianco , e con quell ' abito sfilò quarta sulla passerella di Salsomaggiore . Se , a qualcuno , capitano sott ' occhio le fotografie di quei giorni , osserverà che Sofia non sorride mai : che ha un ' espressione assente e , in qualche fotografia , dura e contratta . Insomma , come dicono a Milano , aveva un gran « magone » . Oggi chi disse « No » Si trova nella situazione in cui si trovarono i maestri del Conservatorio di Milano quando , con in testa il maestro Rolla , dissero « No » a Verdi che chiedeva di essere ammesso e , a titolo di consolazione , gli consigliarono di studiare ancora , privatamente , indicandogli bonariamente due insegnanti , il Negri o il Lavigna . Una mezza offerta di tipo « verdiano » , e cioè di andare a scuola , di studiare da « privatista » fu , per la verità , fatta anche alla signorina Scicolone , tanto per darle , prima ancora che fosse emanato il giudizio finale , un « contentino » . Ma fu un suggerimento a mezza voce , quasi perché si temeva che , annusando la bocciatura , la bella ragazza cominciasse a lagrimare . Ma la futura Sofia Loren non pianse : divenne altera , sicura di sé , e - lo dico arrossendo - quasi sprezzante . Si capiva che si tratteneva solo per rispetto dei capelli grigi dei due giudici che le stavano di fronte . È più che legittimo immaginare che essa da brava napoletana li giudicasse due « fessi » . I fatti le danno ragione . Sofia Scicolone finì il suo bitter . Ci salutò con un sorriso smagliante , in cui palpitava , più che una mondana cordialità , una specie di sfida . Io e il « tecnico » sorridemmo : e poi finimmo , fra di noi , a sghignazzare . Credo che l ' ascensore del Grand Hotel di Salsomaggiore tremi ancora per il nostro ridere convulso , per il nostro ridere spietato . Paride I e Paride II dormirono quella notte come le altre notti di un sonno tranquillissimo . Il nostro giudizio non era stato incrinato dal minimo dubbio . Il « tecnico » era - bisogna dirlo - Remigio Paone , che pilotava non so quanti spettacoli di prosa , di rivista , di danza : che partiva ogni settimana per Parigi o Londra per scegliere , con occhio infallibile , la bellissima fra le belle ; che era allora in un certo senso , il Re delle Bluebell e che veniva ricevuto con profondissimi inchini , fra spari di champagne , quando si presentava al Lido di Parigi per passare in rivista le ragazze da arruolare per gli spettacoli del Nuovo , del Lirico , del Sistina . Lo scopritore di Sofia Loren - quello che aveva mandato il telegramma di segnalazione e di raccomandazione ai due amici - era un uomo che ormai da molti anni si vantava solamente di essere un ottimo pescatore dilettante . Aveva un bellissimo nome , aveva alle spalle una intelligente dinastia milanese : era un Ricordi , discendente cioè da una famiglia di scopritori di geni musicali . Aveva molto viaggiato , aveva condotto una vita molto elegante . È probabile che Sofia Loren si rammenti appena del gentile vecchio signore Alfredo Ricordi che , galantemente e paternamente , la raccomandò agli amici milanesi Vergani e Paone . Chieda , Sofia , e probabilmente le verrà spiegato che fu un Ricordi l ' uomo che per primo fece credito a Verdi . Alfredo Ricordi , rimasto vedovo , aveva trovato la sola consolazione al suo dolore nella vita di mare e nella pesca ; vestiva con un paio di pantaloni da marinaio e con una maglietta da ostricaro . A Portofino o a Cannes non parlava d ' altro che di cefali , di branzini , di ombrine , di pesci - cappone , di sardine , di triglie , di polipi e di murene . Era , bisogna dirlo , un caro attaccabottoni per via di quella sua esclusiva frenesia per la pesca . Cercava inutilmente compagni che sfidassero con lui le notti di burrasca o che lo aiutassero a tirar su la « sciabica » . Sofia Loren - me lo sono chiesto sempre - si ricorderà del caro vecchio , un po ' picchiatello che spedì da Alassio , dove , non potendo più affrontare il mare per l ' artrite , viveva in un appartamentino con le finestre aperte a tutti i venti del Tirreno , il telegramma che ci raccomandava la sua « scoperta » ? Noi leggemmo quel nome . Scicolone . Le ragazze erano già sfilate un paio di volte davanti a noi . Né Paone né io ci ricordavamo di una Scicolone . Con il vecchio Ricordi bisognava però essere gentili . Non buttammo il telegramma nel cestino . Cercammo questa Sofia , questa Scicolone , nel gruppo delle ragazze che , aspettando i turni di chiamata , prendevano al bar una tazza di caffè o una pastiglia di aspirina . Il settembre era torrido , le finestre chiuse per tenere lontani i curiosi ; le ragazze stavano tutto il giorno in costume da bagno , o coperte da un accappatoio , a parlare con le madri o con le amiche . Portavano al lato sinistro del costume da bagno un distintivo con il numero di iscrizione . Questo numero permise a me e a Paone di riconoscere la raccomandata di Alfredo Ricordi , vecchio pescatore malato di artrite . Sofia si era accorta della nostra manovra , dei nostri esami da lontano , del nostro bisbigliare , delle occhiate radenti di Paone , delle mie occhiate furtive dietro agli occhiali . Era bella ? Non ci parve . Prima di tutto ci sembrava appartenesse a quello che i nostri padri , amici delle bellezze floride , chiamavano il genere « pertica » . Troppo alta , troppo magra , troppo poco donna , troppo adolescente , ancora male impastata : e soprattutto « troppo bocca » . Era proprio sulla bocca - oggi è una delle più famose del mondo - che alle nostre occhiate di lontano cascava l ' asino . Quale poteva essere il destino di quella « spilungona » ? Tutt ' al più , con un po ' di fortuna , quello di « puntinista » , di ballerinetta da rivista . Toccò a me avvicinarmi alla ragazza dallo strano nome . Lo feci solo per rendere una cortesia ad Alfredo Ricordi . Le dissi del telegramma , le offrii di avvicinarsi al banco del bar per prendere un aperitivo . Si alzò , venne avanti , sedette su uno dei suoi alti sgabelli : le presentai Paone e le spiegai che si trattava di un celebre impresario teatrale . Sorrise : ma era evidente che non l ' aveva mai sentito nominare . Parlava con un accento napoletano degno dei dialoghi più stringenti di Peppino De Filippo . Cosa aveva di bello ? Non glielo dissi : aveva delle gambe bellissime , ma il mio elogio non poteva soffermarsi su questi particolari anatomici . Non sapevo fingere né entusiasmo né esprimere una qualunque promessa . Ma probabilmente mi sarei salvato davanti al giudizio della posterità proprio per via di quelle gambe . Domandai : « Le piacerebbe fare del teatro dialettale ? Penso che Paone potrebbe presentarla a De Filippo o a Taranto ... » . La ragazza taceva . Io guardai ancora quelle gambe ; dissi : « Le piacerebbe far della rivista ? Sa cantare ? Sa ballare ? Anche se non lo sa , non importa . In tre mesi , Paone potrebbe farla istruire da una brava maestra . Non ti pare , Remigio , che si potrebbe cavarne fuori una bella subrettina ? Se dovessi dire , in passerella la vedo , la vedrei subito ... » . Remigio non aveva l ' aria molto convinta ma , per non contraddirmi , fece un gesto di assenso . « Creda ! - continuai - sarebbe , un primo passo ... Con Macario , per esempio , o con la Osiris , una piccola scrittura si potrebbe pescarla ... » . La ragazza ci guardava senza più sorridere . Si asciugò con il mignolo una goccia di aperitivo che le era caduta , dal bicchiere , su una gamba e si pulì il dito , come una bambina , passandolo sulla bocca . Rispose semplicemente : « Teatro ? No ... Rivista ? No ... O cinema o niente ... » . Farfugliammo qualche parola di risposta , tanto per essere gentili . Lei ripeté : « O Cinema , o niente ! » Ci strinse la mano , ci salutò ; si allontanò sulle lunghissime gambe , sparì verso l ' atrio degli ascensori . La saletta del bar era deserta . Remigio ed io sbottammo a ridere sempre più fragorosamente . « Hai capito che presunzione ? Cinema ? Ma in questo albergo non ci sono specchi nelle camere ? Cinema ! ! ! Con quella bocca ! ! ! » . E il nostro riso si faceva addirittura tonante .
IL POETA LUDWIG HANSTEKEN ( PIRANDELLO LUIGI , 1916 )
StampaQuotidiana ,
Morto di questi giorni , benché non in guerra , merita una commemorazione il poeta Ludwig Hansteken . In guerra il poeta Hansteken non poteva morire . I poeti come lui sono per natura neutrali . E hanno quasi sempre la ventura di nascere in paesi neutrali . In Olanda per esempio , in Isvezia . Ma se pur nascono in più vulcaniche terre , ove sciaguratamente la coltura e le discipline spirituali non siano riuscite a mortificare il selvaggio istinto , costretti anch ' essi a indossare la divisa militare , non c ' è pericolo che muojano di piombo o di ferro o di strapazzo . Così vestiti vanno a combattere idealmente o negli uffici di maggiorità o a servizio d ' organizzazioni civili , con una penna in mano . E qua nelle tregue assaporano a occhi semichiusi , rosicchiando in punta il cannello della penna , l ' angosciosa dolcezza di visioni lontane nella manica della loro giubba grigio - verde . Visioni , o d ' una scolorita campagna settembrina , o d ' un malinconico lago , ove Dio solo sa che strani galleggiamenti può loro suggerire la tenue riccia peluria dell ' inoffeso e inoffensivo panno militare . È vero , che , per fortuna dell ' umanità , se non di piombo , di ferro o di strapazzo , possono ben morire di questi strani , ambigui galleggiamenti i poeti come Ludwig Hansteken . Il quale , difatti , è morto , come vedremo , affogato in uno dei tanti canali che scorrono per i paesi d ' Olanda , spintovi , a quanto pare , appena appena , da una smaniosa mano femminile vendicatrice , mentr ' egli sospirava a notte , non propriamente alle purissime stelle , ma ai loro riflessi che appunto galleggiavano con smorfiosi serpeggiamenti , fra altri ben nobili relitti , in quel canale . Per fortuna dell ' umanità , ho detto ; potrei aggiungere : per fortuna di loro stessi . Perché i poeti come Ludwig Hansteken non sono tanto per gli altri , quanto per loro stessi un tormento . Gli altri , possono anche riderne ; io per me confesso che soglio farmene le più matte risate , perché in verità , mi sembra che nulla si possa dare di più goffo e di più buffo di quel loro tormento . Tormento d ' una disperata impotenza che , pur tenendoli perennemente con le lagrime in pelle , li rende innocuamente e pazzescamente cattivi . Vedo che avrebbero tutti una gran sete di soffrire ; piangono di questa sete ; ma la grigia angolosa rabbia della loro aridità sassosa impedisce ad essi di cavare un qualche refrigerio finanche da quelle stesse lagrime amare . Vogliono esser poeti ; vogliono , lo ripetono con esasperata ostinazione : Noi siamo poeti ! noi siamo poeti ! noi siamo poeti ! ; cercano di spremerla in tutti i modi una gocciolina di poesia ; ahimè ; è come spremere un sasso . Ma questo appunto essi vogliono : spremere i sassi , perché non c ' è gusto per loro a trar sugo vivo sostanzioso dai saporiti frutti che maturano nei fertili assolati giardini della fantasia . Credono che ciò che gli altri fanno non valga la pena d ' esser fatto . Bisogna fare l ' impossibile , perché soltanto nell ' impossibile possono trovar la scusa della loro impotenza . E condannati da questa impotenza a star fuori per sempre da quei giardini , stringono rabbiosamente nel pugno sudato , i loro sassi , e dopo averli spremuti e spremuti e spremuti , vedendo che , se ne cavan qualche stilla , non è dal sasso , ma dalle loro mani spellate , stilla di sudicio sudore , li avventano contro quei frutti succosi , non si capisce bene se per disdegno , per ira , per dispetto o per vendetta , giacché nessuno veramente riesce a comprender nulla delle smorfie , delle boccacce , dei borbottamenti con cui accompagnano il lancio di quei sassi insudiciati . Se li intendono tra loro , quei borbottamenti intelligibili ! Ma spesso avviene per certi rumori , se non risponde in noi l ' immagine di ciò che li abbia prodotti , che si rimanga incerti , sospesi , storditi , anche angosciati , a chiedere intorno : che è stato ? com ' è ? che significa ? Ed ecco allora tanti poveri allocchi , con angustiosa perplessità di pollastri che muovano a scatto lo stupido capo crestuto a guardare di qua e di là , e non sappiano posar la zampa sul tappeto del salotto in cui per caso si sono introdotti , scappando dalla stia ; ecco , dico , tanti poveri allocchi giovinetti andar loro appresso cercando di cavar il senno astruso da quei borbottamenti e d ' interpretar quelle smorfie e quelle boccacce ; ed essi attirarseli attorno facendone di sempre più complicate e difficili . Uno stormo di fiere donnette esasperate anche li attornia , che han bisogno di credere che qualcuno possa dare a intendere come nobili aspirazioni ideali le loro torbide smanie interne . E tutti costoro , allocchi e donnette , si struggono di sapere come debbano parlare , come atteggiarsi per piacer loro : si fanno dare in mano quei sassi sudati , li voltano e rivoltano per scoprirvi preziosità di novissime gemme ; provano anche a metterseli in bocca per succhiarli come caramelle . Alla fine , non hanno il coraggio di dirselo , ma sentono d ' esser sotto un incubo che paralizza ogni loro spontaneità , lega i loro passi , opprime loro il respiro . Orbene , quest ' incubo troviamo con perfetta evidenza descritto e rappresentato in un recentissimo libro di Rosso di San Secondo , che mostra d ' averlo per alcun tempo sofferto , d ' essersene alla fine giocondamente liberato ( Rosso di San Secondo , Ponentino , novelle . Milano , Fratelli Treves , 1916 . Vedi parte seconda : Il poeta Ludwig Hansteken ) . Il San Secondo conobbe in Olanda il prototipo di questi poeti , Ludwig Hansteken , e ne narra in cento pagine la vita e la morte . Punto per punto , con sottilissima analisi armata di fosforiche arguzie , investiga e scopre il dramma di quest ' uomo , dramma sordo , angoscioso , disgustato ; e le ragioni per cui quest ' uomo , questo impotente , con la sua pesante tristezza fosse riuscito a preoccupare gli altri della sua esistenza . Il sentimento che spingeva Hansteken verso gli uomini , dice il San Secondo , non era pietà né amore , « ché , pesante com ' era , il suo istinto lo avrebbe piuttosto indotto a vivere leggiucchiando e appisolandosi : per varcar la soglia di casa egli infatti doveva forzare la sua natura ; per avvicinare un suo simile , poi , doveva addirittura vincere la repulsione che hanno tutti i pigri , gl ' indifferenti , i nati sordi di spirito , per quelli che invece hanno nel sangue la solerzia , la brama di vedere , conoscere , godere , vivere in una parola . Pure un tale sforzo sarebbe potuto essere nobile , come tutto ciò che tende a modificare la propria natura con il dominio della volontà ; ma Hansteken , se ben credesse appunto così , in realtà , presentandosi ai consimili , in quella veste di ammonitrice gravità , non obbediva che a un segreto senso d ' invidia , acre , biliosa , per quelli che la vitalità piena e un po ' anche spensierata induceva , non solo ad assaporare con voluttà il piacere d ' esistere , ma , oltrepassando i limiti del giusto , a commettere peccato » . Hansteken , insomma , non ha quell ' ebete sobrietà che potrebbe farlo pago : l ' odio per il peccato attivo sorgeva in lui « dal non potere egli stesso commetterlo : i peccati per soverchio di vitalità erano , infatti , per lui , un rimprovero sordo , una umiliazione continua per la sua fiacca gravezza . Le sue stesse lagrime non erano , perciò , come egli credeva , la naturale espressione della sua pietà per i fratelli , bensì della sua amarezza , della sua insoddisfazione , del fastidio sterile che lo spiritello interno gli comunicava , lottando invano contro il torpore invincibile della sua stanca natura . Sincero era dunque in lui soltanto questo stato penoso di disagio che , vestito dalla illusione d ' essere invece altra cosa , si rappresentava agli uomini normali come una forma superiore o per lo meno strana d ' esistenza » . Ed ecco il segreto del fascino e la ragione dell ' incubo : rappresentare agli altri questa impotenza chiusa , ansiosa , travagliosa , come una forma superiore di esistenza . « Se il poeta Hansteken avesse potuto cantare , dice altrove il San Secondo , non sarebbe stato così molesto al suo prossimo , né avrebbe avuto bisogno di quelle sue enormi costruzioni teoriche , simili a cattedrali di cartapesta , per giustificare la sua esistenza . Perché era questo il dubbio assillante che rodeva l ' animo dello sventurato : che egli non avesse , in fondo , nessuna ragione d ' esistere . Aveva creduto di dovere , per un bene supremo , rinunziare alla vita , per votarsi tutt ' intero alla sua dea , l ' arte . Aveva creduto che tale altissima finalità gli desse il diritto di sacrificare non solo la sua , ma anche l ' esistenza degli altri ; d ' imporre , con violenza testarda , a tutta la cittadinanza la sua personalità , prim ' ancora che si fosse espressa ; aveva voluto che tutti sapessero che egli esisteva , lui , Ludwig Hansteken ; che tutti con un sacro sgomento attendessero la grande parola che avrebbe detto . Ma Hansteken continuava a torcersi nel suo disperato monologo , ripeteva , in ogni verso , quello che aveva sempre detto : era come se girasse intorno a un nucleo chiuso che non riusciva a fendere , ad espugnare . E nei momenti più acuti di esasperazione , ecco che con sguardi freddi e taglienti insultava quelli stessi che , deferenti e mansueti , avevano ancora fiducia in lui , e gliela mostravano con una sottomissione ansiosa e piena di bontà » . Bisognava che qualcuno , per toglierlo da quel tormento , dichiarasse apertamente innanzi a tutti ciò che lui , Hansteken , voleva che gli altri alla fine comprendessero : che la poesia , cioè , non era tanto nella parola , quanto nella pausa , che la più alta cima della poesia era il silenzio . Perché umiliarlo ancora con quell ' aria di attesa deferente ? Che attendevano ancora da lui ? Egli aveva detto quello che doveva dire . Ora il sublime stava nel silenzio . Zitto lui , zitti tutti . Se questo veramente si fosse chiarito agli altri , Hansteken , pago , non più costretto a violentare con disumani sforzi la tetra sordità del suo spirito infecondo , immediatamente non sarebbe stato più un essere torbido e falso ; tutta la sua complessità si sarebbe sciolta e sarebbe apparsa così puerile da rasentare la più umile elementarità . Perché i poeti come lui sono in fondo orgogliosi come fanciulli che si vantano d ' esser soldati perché si sono messi in capo un kepì di cartone o che piangono per avere gli zuccherini e vogliono esser carezzati e giocare a far da papà . Così appunto conclude il San Secondo , nell ' estrosa commemorazione del poeta , commemorazione che è come il farnetico d ' un rimorso per la violenta liberazione dall ' incubo di lui perpetrata da una delle donnette più esasperate , proseliti del poeta , una certa Berta Tausen , la quale , passeggiando una notte con lui lungo un canale , lo aveva con una lieve spinta consegnato all ' immortalità e ai pesciolini di quel canale . Fa veramente piacere che questa liberazione da un incubo che opprime ancora parecchi giovani sia opera d ' un giovane scrittore come Rosso di San Secondo , d ' uno cioè che davvicino ha potuto studiare il complicato meccanismo di questi poeti che han per prototipo Ludwig Hansteken . La rappresentazione della vita e della morte di costui ha tutta l ' aria , ripeto , d ' una giocondissima satirica vendetta . Le sei novelle della prima parte del volume , fresche , ariose , e pur così impresse di solchi profondamente scavati nella tragica vita , le quattro elegie dell ' intermezzo a Maryke con quel riso indimenticabile degli occhi della Signora Liesbeth , sembrano veramente le foglie brillanti al soffio del ponentino nei giardini di cui ho parlato più su : quelli della fantasia , in cui il San Secondo è entrato da padrone per andare a rovesciare in fondo ad essi quel buffo e triste rospo abbottato , simbolo dell ' impotenza : il poeta Ludwig Hansteken .
Ugo Ojetti ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Non so in quale anno Ojetti , romano di nascita , fiorentino d ' elezione , milanese di lavoro , abbia comprato il Salviatino . Prima , mi hanno raccontato , aveva una villetta su un viale della circonvallazione - brutto nome , ma bellissima circonvallazione , quella di Firenze , appoggiata subito al primo gradino dei colli - e , se non sbaglio , la vendette telegraficamente per poter comprare un bassorilievo di Jacopo della Quercia che aveva scoperto a Londra , in un ' asta . Rimase qualche tempo senza casa , ma con un pezzo di marmo che sta nella Storia dell ' Arte . Questo può dare un ' idea dell ' uomo , e del suo amore per le cose belle e rare . Il Marmo di Jacopo è ancora su al Salviatino , dove fu poi portato , in una vecchia villa dei Salviati che sembrava lo specchio dell ' ordine nelle cose e nelle idee così amato dallo scrittore . Il Salviatino diventò , con gli anni , una specie di museo prezioso , vi si raccolsero una biblioteca foltissima e un archivio addirittura monumentale . Vi si andava come ad una specie di amabile Quirinale . Si suonava al cancello della portineria , in basso , aspettando che di lassù , dalla villa , oltre il parco , si rispondesse : « Passi » . I più si sforzavano di arrivarvi in taxi o in tassì come aveva insegnato a scrivere Ugo . Federigo Tozzi , nel 1910 , ci arrivò in bicicletta , da Siena , vestito come un girino , smaltato di fango , ma fu accolto egualmente con affetto . Quando io , venticinque anni fa , ci capitavo , tremavo sempre all ' idea che Ojetti ( immancabile lettore della terza pagina del « Corriere » ) mi mettesse con garbo sotto gli occhi un mio articolo segnato con un lapis sottile a tutti i francesismi , a tutti i punti e virgola sbagliati , a tutti gli odiati esclamativi . Caro Ojetti , la preoccupazione della lindura e del finito l ' aveva fatto un po ' pignolo : ma era un segno dell ' attenzione con cui fra i cinquanta e i sessant ' anni , seppe riconoscere alcuni giovani scrittori , come Piovene , Loria , Quarantotti Gambini , Arrigo Benedetti , la cui opera , più tardi , doveva dimostrare che Ojetti non era facile a sbagliarsi . Nel mezzanino della villa lo scrittore aveva il suo studio . La grande biblioteca con la quadreria stava e sta al primo piano : gli archivi , la fototeca , le collezioni di autografi al pianterreno . Nello studio era raccolta una biblioteca minore , divisa in tre stanze , dove potevi trovare , a colpo sicuro , tutto il pubblicato e l ' inedito , per esempio , su Diego Martelli , amico dei Macchiaioli , e combinare una perfetta bibliografia su Amedeo Modigliani o su Ugo Foscolo . Ojetti non era un improvvisatore , amava documentarsi all ' estremo e non fidarsi della memoria . Teneva ogni sera aggiornato un diario , e , quand ' era in viaggio , per veder meglio una certa cosa , per obbligare l ' occhio a una più accanita attenzione , ritraeva quella cosa con qualche appunto di disegno . Era stato , in gioventù , scrittore anche di novelle un po ' scorrevoli , ma , nella maturità , aveva imparato a scrivere i capitoli delle Cose viste in tre giorni e , in quei giorni , non rispondeva nemmeno al telefono . Era , nella conversazione , dallo stile francese , un po ' incline all ' aneddotica per il gusto del ritrattino d ' uomo e di ambiente schizzato con pochi tratti , come certi appunti dei taccuini di Boldini ; ma dietro al suo scrivere c ' era una lunga preparazione . Era difficile prenderlo in fallo . Giunto presto alla fortuna e quasi quasi , in un momento , alla dittatura delle arti e delle lettere , Ojetti non peccò mai , come capita agli arrivati e ai dittatori , di presunzione . Innanzi all ' artista - sia che di questo dovesse leggere un libro , o un sottile racconto , o guardare un quadro - egli era sempre in posizione di affetto e di rispetto : segno della sua intima civiltà . Questo spiega perché egli fosse portato come scrittore , alla « cosa vista » e al ritratto : proprio in un tempo in cui , in pittura , i ritrattisti venivano , in un certo ambiente critico , ridicolizzati , e in letteratura si andava verso l ' indefinito e l ' ermetico , quasi cercando sempre di camminare un palmo sopra terra . Dovendo scrivere , un giorno , degli artisti italiani suoi contemporanei disegnò dunque dei « ritratti » e non volle aggrovigliare , come oggi si farebbe , una lunga matassa di teorie estetiche . È questo un merito che fa ritrovare ancora vivi , dopo tanti anni , i profili dei pittori da lui conosciuti e amati , che cominciò a pubblicare nel 1911 , così come sono ancora vivi quelli dei letterati di cui andò alla scoperta più di cinquant ' anni fa , cominciando addirittura da un gustosissimo ritrattino del canuto decano dell ' Ottocento , Cesare Cantù . Il tempo s ' incaricherà , probabilmente , di rivedere tanto il gusto del tempo di Ojetti , quanto quello su cui con troppa sicurezza si giura oggi . Importa , per ora , che i ritratti , da quelli di Michetti e di Carena a quelli di Sartorio e di Spadini , siano fedeli e vivi , e che attorno ad essi sia vivo , come sa renderlo Ojetti , l ' ambiente del suo tempo anche se un po ' ottimistico . Molta polvere si è posata sul lucido di certe glorie : hanno però fatto bene a non spolverarle . I ritratti ci guadagnano così una certa patina , e le notizie , di cui Ojetti era avvedutissimo raccoglitore , restano essenziali e indicative . Magari , bisogna dire , venissero altri ritrattisti del merito e dell ' affetto di Ojetti , il « signore del Salviatino » . Il nostro tempo lascerà ben pochi documenti del suo travaglio e delle sue passioni . Non è stata scritta una vita di Spadini , non si trova un editore per una vita di Arturo Martini : non è stata scritta una « cronaca » del Futurismo o del Novecento o del movimento rondista : è inedito l ' epistolario di Giovanni Fattori . Sui pittori si pubblicano sontuose monografie , ma con prefazioni il cui valore informativo , per i posteri , sarà probabilmente nullo . Gli Italiani hanno sempre paura di non scrivere cose abbastanza importanti , e , pretendendo di parlare all ' eternità , finiscono spesso per parlare al vuoto o ad una sola chiesola .
'MARIONETTE, CHE PASSIONE!' ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Come questo lavoro drammatico di Rosso di San Secondo si presenti nella sua traduzione scenica , han veduto di recente gli spettatori del teatro Manzoni di Milano , che lo hanno accolto con grande favore e fervore d ' appassionate discussioni : vedranno tra pochi mesi gli spettatori del nostro teatro Valle . E allora , di questa traduzione scenica renderà conto con l ' usato acume il valoroso critico drammatico di questo giornale . Io parlo del libro ( Milano , Fratelli Treves , editori , 1918 ) ; vorrei dire , del testo che ne hanno sotto gli occhi i lettori , in luogo della traduzione che ne hanno avuto e ne avranno davanti gli spettatori : parlo cioè dell ' espressione unica e immediata dell ' autore ; non di quella , varia e necessariamente diversa , che per mezzo della loro persona , della loro voce , dei loro gesti , ne hanno dato e ne daranno gli attori . Questa dura una sera , più sere , una stagione , e passa ; il libro resta . Dobbiamo noi lettori fingerci veramente come tante marionette i personaggi di questa commedia , che non senza ragione son privi d ' un nome proprio e si chiamano : Il Signore in grigio , Il Signore a lutto , La Signora dalla volpe azzurra , ecc . ? E prima di tutto : son propriamente personaggi ? è propriamente una commedia , questa ? Avevano gli antichi una special forma di poesia , che i Greci chiamavano Erinni e i Latini Dira ; noi avemmo a simiglianza la Disperata . Erinni , Dira o Disperata in tre atti avrei voluto che Rosso di San Secondo chiamasse coraggiosamente questa sua opera , che soprattutto è di poesia . Pura sintesi lirica . Qui ogni preparazione logica , ogni sostegno logico sono aboliti . Precipitiamo d ' un tratto in una piena esasperazione dionisiaca . I personaggi , presi tutti nell ' ardente voragine della passione che li divora , non hanno più , né possono più avere , alcun carattere particolare : sono la loro stessa passione in diversi gradi o stadii , e basta appena un segno esteriore a distinguerli . Lo spasimo li ha induriti . Subitanee aderenze , bruschi contatti , improvvisi urti con la realtà più comune , li irrigidiscono vieppiù . Chi sono ? Eran due poveri uomini , una povera donna : un marito oltraggiato , un amante tradito , una amante calpestata . Non importa conoscerne la storia : è la più comune ; quella di jeri , d ' oggi , di domani . Non ne hanno più , storia , come non hanno più nome né nulla , tranne la passione che li muove a capriccio , senza volontà , in un giuoco casuale : non più dunque due poveri uomini , una povera donna ; ma per forza ormai tre grottesche marionette . Possono piangere e subito dopo ridere , e viceversa ; o ridere e piangere insieme . E il giuoco , a guardarlo da fuori , è divertentissimo . Pare una cosa di lusso . Invita quasi a svagarcisi per renderlo più attraente ; a pensare a toni e a colori , perché risulti più armonico all ' orecchio e più vivace agli occhi nella sua apparente incoerenza che è appunto la sua massima coerenza , come quella che ha radice nella disperazione , in cui , piangendo o ridendo , si snoda , come a caso . Ecco : un tono basso , quasi in sordina , intercalato da lunghe pause , e un color grigio slavato , di cielo piovoso , per il primo atto ; un tono stridulo , tutto scatti e scivoli , e una soffice imbottitura di raso celeste , da piumino da cipria avvelenata , per il secondo atto ; un tono lento , quasi solenne , un po ' declamatorio e una rigidezza di bianco e nero , bianco di stoviglie da tavola , di tovaglie e di sparati di camicia , nero di marsine e di cravatte , per il terzo atto : insomma tutta una galanteria di fino giuoco , che dia sussulti da morirne a ogni improvviso stridore che minacci di mandare ogni cosa a catafascio da un momento all ' altro , perché in verità è la galanteria questa di un fino giuoco mortale . Così , a goderselo da fuori , è anche uno spasso di strampaleria eroica il Don Chisciotte ; uno spasso d ' avventurosa strampaleria il Gulliver . Ma qui il pregio è nel rappresentare come reali e vivi un tipo straordinario , straordinarii casi e avventure . Il pregio di questa " Dira " consiste invece nella straordinaria rappresentazione , quasi irreale , quasi non viva , perché tutta indurita e starei per dire lignificata nelle mosse , di questi comunissimi personaggi senza nome , resi dall ' irrigidimento del loro spasimo interno marionette , che si muovono come a caso , in un fortuito incontro , in luoghi che non hanno nulla d ' insolito , al telegrafo , in trattoria , solitissimamente , nella più comune delle azioni , senz ' alcuna vicenda : passare un telegramma ; sostituire un guanto ; andare a cena : tutto nel giro di una mezza giornata . L ' urto , il contrasto tragico che dà brividi e fremiti d ' orrore , l ' angoscia che serra la gola , nascono appunto dallo straordinario di questa rappresentazione , appena tocchi o aderisca minimamente col comune della normalità quotidiana , in cui è condannata a sciogliersi e ad annegarsi , come ho detto , senza vicenda e senza nome . Non so come tutto questo risulti in teatro . M ' immagino che a uno spettatore appassionato non possa non risultare perfetto e non dare perciò un godimento squisito , se rappresentato da bravi attori . Certo perfetto risulta alla lettura e dà uno squisito godimento a uno spassionato lettore . E Rosso di San Secondo può andare orgoglioso d ' aver dato una pura opera di poesia al teatro italiano , che accenna a innalzarsi su nuove e più sicure basi .
Luigi Pirandello ( Vergani Orio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Via Pietralata pareva , allora , in capo al mondo . Era una traversa di via Nomentana , aperta , all ' imbocco , fra le mura di due vecchi giardini . Ci si arrivava con un tram sconquassato che sollevava nuvoli di polverone . Attorno a quello che oggi è solamente un terreno da costruzioni , tutto il paesaggio dev ' essere cambiato , e certamente , se mi accadesse di percorrere l ' attuale via De Rossi dove adesso abita Mario Soldati , non riconoscerei la vecchia via Pietralata che tanti pomeriggi e tante mattine udì sui suoi ciottoli e sul suo fango campestre il mio passo di ragazzo , fra il 1918 e il 1926 . Da un lato , entrando da via Nomentana , la strada confinava col muraglione del parco di Villa Torlonia ; dall ' altro con terreni e vigne di antiche proprietà ecclesiastiche . In quei vigneti e fra quei muriccioli degli orti e dei frutteti , si erano accampati , il 18 e il 19 settembre del '70 , i bersaglieri del generale Cadorna che dovevano dare l ' assalto a Porta Pia . Sotto al passo dei loro battaglioni aveva risposto , poche centinaia di metri più giù , l ' eco dei sotterranei delle catacombe di Sant ' Agnese . Dopo aver fiancheggiato Villa Torlonia si udiva , dietro al muro , il grido rauco dei pavoni , la strada sboccava fra le sterpaglie e gli orti malaticci di una zona di terreni incolti chiusi da siepi polverose e da barriere tarlate come quelle che nell ' Agro si usano per i chiusi dei bufali e delle vaccine . In uno di quei terreni , attorno al 1910 , il cinema muto aveva innalzato il baraccone di vetro di uno « studio » e , accanto allo spiazzo dove gli operatori venivano a girare i « primi piani » in pieno sole , era venuta su la « palazzina Ciangottini » : una villetta con tre o quattro appartamenti , dove Pirandello era andato ad abitare con la figlia Lietta e i ragazzi Stefano e Fausto . Era una casa semplice , che oggi si giudicherebbe assai modesta , con una piccola anticamera e la sala da pranzo separata dallo studio con un arco vetrato . Nell ' anticamera , c ' erano un borghesissimo attaccapanni d ' ottone e una non meno borghese cassapanca di imitazione cinquecentesca . Le case di Pirandello non assomigliarono mai a quelle che in Francia e anche in Italia si chiamarono le raisons d ' artiste , in parte museo e in parte magazzino di antiquariato , di cui esempi classici furono la casa di Victor Hugo nell ' isola di Guernesey , il « granaio » dei Goncourt a Parigi , la « sagrestia » di Anatole France , il « conventino » del giovane Claudel che fu giudicato insopportabile da Jules Renard , e , saggi supremi , la Capponcina e il Vittoriale di D ' Annunzio . Pirandello non « mise in scena » la propria vita : non fu il « tappezziere » che D ' Annunzio amava essere . Il mondo del suo spirito si proiettava tutto nel rettangolo del foglio bianco su cui scrivere . Le finestre del suo studio si aprivano su un panorama campestre macchiato qua e là dal bianco e dal rosa di qualche villetta , sparso di riquadri coltivati a carciofi e a rape , o abbandonato a praticelli incolti dove all ' alba si vedevano camminare lentamente fra siepe e siepe le donne che raccoglievano la cicoria selvatica . In quegli stessi prati , alla sera , si fermavano le greggi delle pecore che dovevano aspettare fino a notte per attraversare nel loro viaggio Roma , da Porta Pia a Porta del Popolo . In quello scenario che ancora apparteneva agli ottocenteschi sfondi della pittura « fuori porta » , capitava ancora nel 1920 di vedere , con il loro cane ringhiante , gli ultimi pastori dalle gambe avvolte nelle « ciocie » . Imboccata la via Pietralata , si continuava a camminare un pezzo fra le mura di quei giardini . La via era , nel primo tratto , in lieve salita . Le mura erano di vecchi mattoni rossi , mescolati ogni tanto al sasso . L ' aria era quella della antica periferia papale e cardinalizia , che Roma conservò fuori Porta Pia anche dopo la Breccia del 1870 . Molti anni erano passati da allora , ma Roma , da queste parti , non si era ancora allargata . L ' unità d ' Italia aveva creato i suoi nuovi quartieri in via XX Settembre e nelle sue grigie traverse di tipo torinese , dove Luigi Pirandello guardava vivere verso i primi del '900 quella borghesia attristita che passava , un tipo dopo l ' altro , nelle sue novelle . A Porta Pia la nuova Roma si fermava , avanzava con rari casoni verso viale della Regina , poi cedeva il passo a quella papale , alla campagna che con le sue lievi ondulazioni porta all ' Aniene e che nasconde nella sua terra bruna il tufo delle catacombe . Terra di monasteri e di vigneti ; l ' asfalto era ignoto , regnavano ancora , nelle vie più importanti , i selci e i selciaroli . Ogni tanto venivano avanti il corteo di un seminario , la carrozza di un cardinale - i principi della Chiesa non avevano ancora adottata l ' automobile - una coppia di cappuccini . La via Pietralata aveva un ' aria di oremus . Piaceva molto , per la sua solitudine , ai fidanzati . Le ragazze strappavano dalle siepi un fiore di gelsomino e lo mordevano mentre , a bassa voce , il fidanzato faceva una scena di gelosia . Il giovane , che io ero allora , andava per via Pietralata , girava in fondo dove la strada fa un gomito , seguiva una siepe , suonava al cancelletto della villetta . « C ' è il professore ? » . Il professore c ' era . La cameriera non annunciava nemmeno la visita quando si trattava di uno degli amici di Fausto e di Stefano . Il professore li lasciava entrare , andare e venire , chiacchierare , ridere , fare chiasso . Lui stava al suo tavolino , abituato da vent ' anni a lavorare con i figli vicino . Restava seduto al suo vecchio tavolino , che sembrava il tavolo da lavoro della nonna , cintato , tutto attorno , da una piccola balaustrata in miniatura . Vecchie lettere , bozze , manoscritti , giornali , tutto era andato ammucchiandosi su quel tavolino da vent ' anni . Lì erano nati quindici volumi di novelle e lì era nato Il fu Mattia Pascal . Sul ripiano , non c ' era posto che per una sola cartella . Davanti , stavano due boccettine di inchiostro nero e di inchiostro rosso . Pirandello usava l ' inchiostro rosso da quando aveva cominciato a scrivere per il teatro : lo usava per le didascalie dell ' azione in scena . Quello nero era riservato al dialogo . Pirandello alternava metodicamente le due penne , con un gesto preciso , senza fretta . Scriveva dettandosi a mezza voce ogni parola , come in un monologo . I personaggi erano vivi in lui fin dalla prima battuta : pareva ch ' egli si limitasse a prendere voce da un invisibile suggeritore . Non c ' era da attendere l ' ispirazione , o da interrogare il vuoto . Se il personaggio rideva , Pirandello rideva ; se il personaggio implorava , Pirandello implorava ; se il personaggio piangeva , Pirandello piangeva . E se l ' altro personaggio del dialogo , per rispondere , imprecava , Pirandello imprecava , e la commozione scompariva subito dall ' occhio e l ' ira lo colorava . In questo alternarsi di sentimenti non dimenticava l ' inchiostro rosso : e , prendendo l ' altra penna e dettandosi le parole delle didascalie , Pirandello era , all ' improvviso , calmo , sereno e attento , e guardava un attimo innanzi a sé come se avesse voluto controllare su un invisibile modellino della scena , i movimenti dei suoi personaggi . « Siedi un momento . Tra dieci minuti , ho finito » . Il ragazzo sapeva che Pirandello , tre mattine prima , aveva iniziato una nuova commedia . Sapeva che Pirandello prendeva a scrivere alle nove e che , di solito , a mezzogiorno metteva giù la penna , e un atto era finito . Improvvisazione ? No . Le novelle di Pirandello « covavano » talvolta per dieci anni . Le commedie derivavano dalle novelle , ed erano state « covate » anche loro decine d ' anni . I personaggi avevano ormai preso una realtà allucinante : bastava soffiar loro sul viso perché si destassero e parlassero . Quando il personaggio aveva conquistato , ormai , la sua intera ragione , lo scrittore gli regalava la parola . Così , parola per parola , lo accompagnava alla vita . C ' era dentro allo studio un sofà piuttosto sfondato , di cui si sentivano le molle cedere e cigolare sotto a chi sedeva : un armadio a vetri , di tipo « umbertino » conteneva alla rinfusa qualche fila di libri slegati , scompagnati , sdruciti . Quella era la « biblioteca » di Pirandello , che vi buttava dentro , alla rinfusa , senza tagliarne le pagine , le edizioni nuove delle sue opere , o quelle che gli arrivavano delle traduzioni straniere . La sua indifferenza per un se stesso inquadrato in un clima da museo era totale . Una volta , per varie settimane , vidi nello stesso angolo di quel divano un enorme pacco , arrivato dalla Spagna , con gli spaghi intatti . Alla fine , ottenni da lui il consenso di aprirlo : conteneva una ventina di volumi delle sue obras tradotte in spagnolo . Quando glielo annunciai e gli chiesi dove avrei potuto riporre in bell ' ordine quei libri , Pirandello alzò appena gli occhi dal tavolino e fece un cenno come per dire : « E che me ne importa ? » . Il ragazzo aspettava . Pirandello continuava a scrivere , alternando l ' inchiostro rosso e l ' inchiostro nero , con la mano tranquilla come quella di uno scrivano di notaio . Il sole entrava dalla finestra nello studio - salotto : illuminava l ' armadio a vetri della piccola libreria dove , in uno sportello , era infilata una vecchia fotografia fatta all ' università di Bonn : una fotografia heiniana . II ragazzo stava fermo , per non dare fastidio , essendo giunto in anticipo sull ' ora prevista . Non alzava gli occhi al tavolino dello scrittore per non disturbarlo . Guardava ogni tanto la sua immagine che si rifletteva nel vetro della libreria , un po ' sfumata , un po ' azzurrata . Seguiva là il gioco di quel volto che non era più il volto di Pirandello , ma quello dei suoi personaggi . La voce che dettava era , alla distanza di pochi metri , inintelligibile ; ma il tono mutava , saliva , scendeva , toccava le note del pianto , del disgusto , dello sgomento , dell ' orrore , della stupefazione . Pirandello posò la penna dell ' inchiostro nero . Prese l ' altra per una ultima didascalia . Poi guardò , contro luce , se la pagina era asciutta . Raccolse le cartelline , ne fece un mucchietto , riscontrò la numerazione . Domandò che ora era . Domandò anche : « Cosa mi hai portato ? » « Una novelletta . » Si alzò . Venne verso il ragazzo , si fece dare i suoi fogli . Disse : « La leggerò stasera . Oggi , a pomeriggio , devo scrivere il terzo atto , l ' ultimo , di un ' altra commedia » . « E questa che ha finito adesso , professore , come si intitola ? » « È , te l ' ho detto , quella commedia , dei personaggi che cercano un autore . Si intitola appunto Sei personaggi in cerca d 'autore.» Poi parlò subito d ' altro .