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'CON GLI OCCHI CHIUSI” ( PIRANDELLO LUIGI , 1919 )
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Soltanto quando si sia arrivati alla fine , e meglio ancora si siano lasciati passare parecchi giorni dopo la lettura , si comprende con una chiarezza che dà l ' impressione di cose vedute e vissute realmente , che non a uno a uno i particolari inesauribili , quasi momentanei , con tutte le variabilità accidentali o illogiche , determinate o da moti istintivi o da cangiamenti istintivi di immagini , di pensieri , di sentimenti , d ' umori , di desiderii , per segreti richiami e incoercibili analogie , non solo nel riposto animo dei personaggi , ma tra l ' animo di questi personaggi e i casi estranei e gli aspetti naturali ; si comprende , dicevo , che non i particolari a uno a uno si sono forzati , come pareva leggendo , a metter su l ' insieme di questo romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi ( Milano , Fratelli Treves editori , 1919 ) ; ma , cosa veramente mirabile , la comprensione radicale , il totale dominio , il possesso pieno e assoluto di questi personaggi e del loro animo , dei loro casi , di tutto ciò che è in loro e attorno a loro , per immediato irradiamento delle loro più minute sensazioni e impressioni , in una parola , l ' insieme ha realmente creato per suscitazione spontanea di una continua , attenta , vigile momentaneità creativa tutta quella copia inesauribile di particolari vivi , che in prima ci era parso conducessero come a caso e senza determinate vicende la sua rappresentazione . Quando s ' è finito di leggere , e , meglio , parecchi giorni dopo la lettura , Domenico Rosi , l ' oste del Pesce azzurro di Siena , col suo podere di Poggio a ' Meli , Anna sua moglie e il figlio Pietro , Ghisola Giacco e Masa , gli assalariati del podere , gli avventori della trattoria di Siena , e quel podere e quella trattoria , uomini e cose , vicende e paesaggi , tutto insomma , acquista davanti a noi una tal consistenza di realtà , che veramente ci stupisce , perché non riusciamo più a renderci conto , come davanti alla vita stessa , quali di quei tanti particolari che parean momentanei e casuali , quali di quelle tante notazioni minute , che parevano incidentali od accidentali , e anche talvolta svagate , abbiano potuto darcela , e come , e quando , così perfetta e solida , così intera e finita , tutta quella consistenza di realtà . Si penserebbe al procedimento di certi pittori che con un turbinio di punteggiature , in cui , a guardar davvicino sembra che ogni tratto , ogni linea si perda , riescono poi a dare a distanza con insospettati rilievi d ' ombra e giuochi di luce una inattesa costruzione di forme , se il paragone non fosse reso fastidioso e inaccettabile dall ' assenza , qua , d ' ogni evidente e minuzioso sforzo di tecnica , dalla fluidità continua , lieve e senza ambagi , d ' una piena e felice natività espressiva , da una vena di lingua viva che scorre da per tutto e rinfresca e s ' addentra permanendo a toccar con la parola , senza che si veda come , perché lì , ogni volta , la parola è la cosa stessa , non più detta , ma viva . Non è questo . È ciò che in principio ho notato come una cosa veramente mirabile ; la comprensione radicale , il possesso pieno ed assoluto che il Tozzi ha di quel suo mondo da esprimere , che gli ha permesso d ' esprimerlo quasi col procedimento stesso della vita , in cui tutto , quando si stia dentro , non si guardi da fuori e da lontano , par che vada a caso e che si svolga per eventi accidentali , giorno per giorno , oggi così e domani chi sa come ... Si direbbe naturalismo : ma non è neanche questo ; perché qui tutto , invece , è atto e movimento lirico . Quel che pare naturalismo è invece scrupolosa lealtà da parte dello scrittore , il suo bisogno ansioso e urgente d ' una controllata aderenza dell ' espressione al sentimento suscitato in lui dalle cose vedute o immaginate in questo o in quel luogo , in questa e in quell ' ora , nella tale stagione , e così o così ; tutto per esser poi mosso con intera padronanza , come l ' animo dei personaggi , e anzi , nell ' animo stesso dei personaggi , allo stesso modo , con la più naturale variabilità di luci e di colori , cosicché nulla posi descritto , ma viva e respiri e svarii con tutte le sue mutevoli precisioni anche il paesaggio . E come non posa mai descritto il paesaggio , così non si sofferma mai raccontata la passione di Pietro Rosi per Ghisola , né mai si fissano delineati i caratteri e le figure di questi e degli altri personaggi , che nell ' instabile rappresentazione momentanea ci si muovono davanti , coi loro pensieri subitanei , i loro capricci , le loro smanie , e sofferenze e aspirazioni e illusioni e scontentezze e disinganni , ciascuno con tutte le sue possibilità d ' essere , così nel bene come nel male , soggetti , non a un preconcetto disegno del loro autore , ma quasi a ogni possibile evenienza della loro sorte ; e noi li seguiamo con ansia , non sapendo mai , non potendo mai prevedere che cosa debba o possa esser di loro tra poco , perché se i casi che a volta a volta capitano ad essi non fossero questi , ma altri , essi avrebbero pure in sé , ben note a noi , tutte le possibilità d ' una diversa vita e d ' un diverso destino . Quella Ghisola , così viva tutta , che si perde , e quel suo Pietro che non vede , sempre vagante in cerca di sé stesso ... Ma perché così ? ci domandiamo , pur sapendo e sentendo che così è giusto , e che è soltanto una nostra pena per loro che li vorrebbe altrimenti . È così . E non perché questo sia un romanzo della loro vita ; ma perché la loro vita è in questo romanzo , così . E il romanzo di Federigo Tozzi , per questo loro modo d ' essere , che è poi il vero modo d ' essere , appar tutto nuovo e una cosa veramente viva .
Salvatore Quasimodo ( Vergani Orio , 1959 )
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Chiuso in Italia , con i primi anni del secolo , il tempo della poesia dei « grandi professori » , dei dotti rimatori , dei vati dalle pupille fiammeggianti o dal cuore di « fanciulloni » , spenti gli ultimi echi delle odi civili , condannata o quasi la qualità oratoria dei carmi , il nostro , con ogni probabilità apparirà ai posteri come il tempo dei poeti autodidatti . I bassorilievi con le immagini delle Muse sono scomparse dagli studi dei poeti . Cerchiamo entro al fondo dell ' esperienza culturale nelle stagioni giovanili di quelli che sono i poeti d ' oggi . Troviamo ingegneri o studenti di ingegneria , matematici ( come lo fu Valéry ) , giovanotti che ad un certo momento chiedono il pane al mestiere di antiquari , correttori di bozze , segretari di sindacati , se non sbaglio , dei selciaroli romani - parlo di Cardarelli - interpreti e traduttori in un Ministero degli Esteri , come Ungaretti . Verso la fine dell ' Ottocento era di moda compilare dei volumi con il titolo Il primo passo , nei quali gli scrittori raccontavano per quale timido o fortunato sentiero fossero giunti ad aprire un primo spiraglio nell ' uscio della gloria . Anche l ' Italia ha avuto i suoi giovani poeti infelici , i suoi poètes maudits o addirittura folli e vagabondi come Campana : ragazzi che aspiravano a diventare attori come Palazzeschi e Moretti , giovani condannati dalla tisi come Gozzano : e anche giovani poeti suicidi , o , al tempo del primo Futurismo , versoliberisti che , otto ore al giorno , sbrigavano pratiche al Fondo Culti , dietro la romana Villa Aldobrandini . Il futurismo , che arruolò tanta « nuova accademia » ebbe poeti maestri di scienze tragiche e gelide , come la chirurgia . Altri poeti vissero per decine d ' anni sepolti in una biblioteca o in una libreria « circolante » . Più tardi i poeti trovarono il loro pane nei giornali , scrivendo note di cronaca nera , o nel mondo del rotocalco , componendo in righe di esatta misura didascalie per fotografie di moda , o in case editrici , con le scrivanie cintate da barricate di manoscritti . Ora che il lauro del Premio Nobel corona l ' opera di Salvatore Quasimodo - primo poeta nostro che venga a collocare il suo nome accanto a quello di Giosuè Carducci , Nobel del 1906 - verranno probabilmente scritte lunghe pagine sulla storia della sua vita . La poesia di Quasimodo non ha i caratteri autobiografici che usarono nel tempo passato : sarà difficile raccogliere le citazioni per una , come dice una collana francese , vie par lui même . La sua lirica non è fatta di « confessioni e ricordi » ; non ha , ci sembra , sfondi di paesaggi e di ambienti familiari : né riflessi identificabili di emozioni sentimentali . La vita di Quasimodo - uomo dal volto sottilmente altero : la sua « maschera » è stata acutamente studiata per busti modellati dal suo conterraneo Francesco Messina e da Manzù - può sostanzialmente apparire incolore . Il futuro poeta - molti pensano che sia siracusano , venuto al mondo vicino alle fonti della Ninfa Aretusa - nasce a Modica , nel retroterra agrario di quella che fu la Magna Grecia mediterranea . Vive la fanciullezza in una piccola stazione ferroviaria della Sicilia , col padre che spera di fare di lui , quando sarà uomo , un ingegnere . Letture infantili di grandi poeti : studi tecnici e scientifici a Messina . Dopo due anni di ingegneria , non può continuare l ' università e si adatta a lavorare da geometra : campa con un po ' di lavoro avventizio come disegnatore nello studio di un ingegnere ; si impiega come commesso in un grande « emporio » milanese ; riprende la sua attività di geometra per quella carriera che in Francia si chiama dei ponts et chaussées . I ricordi più antichi della figura di Quasimodo - che ha già presentato qualche lirica in « Solaria » e per il quale il « rondismo » appartiene ad una generazione che ha già definito e concluso il proprio ciclo - si inquadrano nel mondo milanese après 1930 . Egli rappresenta la generazione dei giovani emigranti intellettuali che sono « piovuti » a Milano senza precise idee su quelle che potrà essere il loro lavoro , senza precisabili titoli di studio , senza grosse aderenze nel mondo editoriale che non vuole poesia e cerca ancora gli eredi di Da Verona . Ecco - probabilmente abitano in modestissime camere ammobiliate - un tavolo al Savini : ma assai in disparte da quelli dei giornalisti famosi , delle attrici , degli autori drammatici : distanti anche dal tavolo dove siedono i pittori del gruppo del Novecento . È il tavolo , per citare qualche nome , di Francesco Messina , di Cesare Zavattini , di Raffaele Carrieri , del giovane ingegnere e poeta Leonardo Sinisgalli , del poeta Orazio Napoli , del giovane novelliere toscano Arturo Tofanelli , del pittore Domenico Cantatore . Gli italiani fanno della storia e della critica letteraria di toni cogitabondi . Dall ' aneddotica , dalla cronaca , dal diarismo ci si tiene al largo . La vita della Milano di quegli anni - eppure fu la città del Futurismo , della Pittura Metafisica , del « Novecento » , dell ' Ermetismo - non ha avuto il suo André Salmon , come lo ha avuto Parigi . Uomo segretamente inquieto sotto una maschera di apparente mutismo , Quasimodo - poeta dal nome subito indimenticabile , almeno per chi abbia letto Notre - Dame di Victor Hugo - sta al centro di quel mondo senza riti o premi letterari . Il cenacolo finirà , con gli anni , a disperdersi per varie vie . Adesso , inserito nella storia letteraria dal Nobel assegnato a quello che era allora il geometra di Modica , esso assume una sua precisa fisionomia : è il Cenacolo di Quasimodo . Erano i tempi del volume di liriche Oboe sommerso , di sapore , mi sembra , un po ' alla Debussy . Quasimodo diventa un portabandiera dell ' Ermetismo . I suoi primi critici sono Montale , Giansiro Ferrata , Vittorini , cui seguono Solmi , Anceschi , Bo , Vigorelli . Lo definiscono il poeta dalla « voce assorta » che modula gli echi di una accorata mitologia decantata dalle scorie di qualunque scolasticismo . In breve giro d ' anni , alcuni suoi versi ( Ed è subito sera ) diventano famosi . La nonna di Quasimodo ha origini greche : il nipote pensa all ' Ellade come ad una patria perduta , e al mondo come il misterioso luogo in cui tutti cerchiamo una nostra patria , e cioè la fonte di tutte le nostre origini e lo schermo di tutte le nostre speranze . Senza singhiozzi romantici , senza « fatti personali » , senza autobiografiche confessioni desolate , vorrei dire che Quasimodo appare ispirato da una Musa con le palpebre mestamente socchiuse . Idealmente , egli è riapprodato al sogno delle sue antichissime origini ancestrali , attraverso lo studio della poesia ellenica , al quale l ' autodidatta ha potuto dedicarsi solo alle soglie dell ' età matura , come un premio della giovinezza povera , affaticata , oscuramente laboriosa . Vicino ormai ai sessant ' anni , salvato dalla durissima minaccia di una malattia che stava per spezzare il suo cuore , simile in tante fasi della sua vita ad un « ulisside della speranza » , egli parla , in una lirica , di un compagno di fanciullezza , nel cui volto , però , ci pare egli guardi se stesso come in uno specchio : e quel fanciullo io amavo / sopra gli altri ; destro / nel gioco della lippa e delle piastre / e tacito sempre e senza riso .
TEATRO E LETTERATURA ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
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I signori autori drammatici , professionisti del teatro , sdegnano d ' esser tenuti in conto di letterati , perché dicono e sostengono che il teatro è teatro e non è letteratura . Non vogliamo malignare fino al punto di credere che la ragione di questo loro sdegno abbia in gran parte radice nella serietà dei loro guadagni di fronte all ' irrisorio scherzo dei meschini compensi di quei poveri illusi che sono i letterati puri . Certo essi hanno regolata da parte loro l ' azienda del teatro come un qualunque istituto commerciale , che si difende da altri istituti ugualmente commerciali , interessati da un ' altra parte nella stessa azienda : quello dei capocomici e quello dei proprietarii e gerenti dei teatri : norme per la cessione a questa o a quella compagnia della loro produzione ; assegnazione di " piazze " ; percentuale su gl ' incassi fissata avanti , tanto per la prima rappresentazione , tanto per la seconda , tanto per le altre seguenti , della cui riscossione è incaricata la Società degli Autori di Milano , la quale alla fine d ' ogni trimestre manda ai soci un rendiconto dei proventi , che per dir la verità per quanto male vada un dramma o una commedia superano sempre di molto quelli che ogni altro scrittore o di novelle o di romanzi ( non parliamo per carità dei poeti ! ) ricava dalla vendita dei suoi libri . Non c ' è dubbio che tutto questo non ha niente da vedere con la letteratura . Possiamo anche concedere che veramente il loro teatro , com ' essi vogliono , cioè quella loro produzione più o meno abbondante di drammi e di commedie lanciata sul mercato teatrale , non è letteratura . Resta però da vedere non essendo letteratura come e sotto qual nuova specie debbano essere considerati quei loro drammi e quelle loro commedie , quando da copioni diventano libri , quando dalla buca del suggeritore passano nella vetrina d ' un librajo , non più scritti a macchina ma stampati da un editore , quando dai lauti proventi che la voce e il gesto degli attori han procacciato loro dalle tavole d ' un palcoscenico , scendono a pietosamente mendicare le tre lirette , prezzo di copertina , tra quegli altri mendicanti esposti alla carità pubblica , che sono i volumi di novelle e i romanzi dei poveri letterati puri . Ma lasciamo una buona volta tutta questa contabilità , e veniamo a noi . Qua c ' è un grosso malinteso da chiarire . E il malinteso consiste appunto nella parola letteratura . I signori autori drammatici , professionisti del teatro , scrivono male , non solo perché non sanno o non si sono mai curati di scriver bene , ma perché credono in coscienza che lo scriver bene a teatro , sia da letterati , e che bisogni invece scrivere in quel certo modo parlato come scrivon loro , che non sappia di letteratura , perché i personaggi dei loro drammi e delle loro commedie dicono non essendo letterati , non possono parlare sulla scena come tali , cioè bene ; debbono parlar come si parla , senza letteratura . Così dicendo , non sospettano neppur lontanamente ch ' essi confondono lo scriver bene con lo scriver bello , o piuttosto , non vedono di cadere in questo errore : che scriver bene significhi scriver bello ; e non pensano che lo scriver bello di certi falsi letterati è , di fronte all ' estimativa estetica , per un eccesso contrario , lo stesso vizio del loro scriver male : letteratura che non è arte , vale a dire cattiva letteratura tanto quella di chi scrive bello , quanto quella di chi scrive male , e condannabile perciò come tale , anche se essi non vogliono passar per letterati . Scriver bene un dramma o una commedia non significa far parlare i personaggi in una forma letteraria , cioè in un linguaggio non parlato e per sé stesso letterario . Questo è scriver bello . Bisogna far parlare i personaggi come , dato il loro carattere , date le loro qualità e condizioni , nei varii momenti dell ' azione , debbono parlare . E questo non vuol mica dire che ne risulterà un linguaggio comune e non letterario . Che significa " non letterario " se s ' intende far opera d ' arte ? Il linguaggio non sarà mai comune ; perché sarà proprio a quel dato personaggio in quella data scena , proprio del suo carattere , della sua passione o del suo giuoco . E se i personaggi parleranno ciascuno in questo lor proprio modo , e non secondo la sciatteria volgare d ' un linguaggio impreciso , approssimativo , che denoterà soltanto la incapacità dell ' autore a trovar la giusta espressione perché non sa scrivere , la commedia sarà scritta bene , e una commedia scritta bene , se anche ben concepita e ben condotta , è opera d ' arte letteraria come un bel romanzo o una bella novella o una bella lirica . La verità è che i signori autori drammatici , professionisti del teatro , son tutti rimasti fermi a quella beata poetica del naturalismo , che confuse il fatto fisico , il fatto psichico e il fatto estetico in tale graziosa maniera , che al fatto estetico venne a dare ( almeno teoreticamente , poiché in pratica non era possibile ) quel carattere di necessità meccanica e quella fissità che sono proprie del fatto fisico . Ora bisogna porsi bene in mente che l ' arte , in qualunque sua forma ( dico l ' arte letteraria , di cui la drammatica è una delle tante forme ) non è imitazione o riproduzione , ma creazione . La questione del linguaggio , dunque se e come debba esser parlato ; la pretesa difficoltà di trovare in Italia una lingua veramente parlata in tutta la nazione , e l ' altra questione d ' una vita nazionale veramente italiana che manca per dar materia e carattere a un teatro che si possa dire italiano , come se appunto natura e ufficio dell ' arte fosse la riproduzione necessaria di questa vita , che ciascuno possa riconoscere per dati e fatti esteriori ; e tutte quelle altre angustiose quisquilie e vane superstizioni della così detta tecnica , che dovrebbe rispecchiare ( sempre in teoria , poiché in pratica non è possibile ) l ' azione come ce la vediamo svolgere sotto gli occhi nella realtà quotidiana ; tutto questo è tormento accattato di martiri volontarii d ' un sistema assurdo , d ' una aberrata poetica , per fortuna da un gran pezzo ormai superata , ma a cui , ripeto , dimostrano d ' esser rimasti fermi i signori professionisti del teatro . Non si tratta d ' imitare o di riprodurre la vita ; e questo , per la semplicissima ragione che non c ' è una vita che stia come una realtà per sé , da riprodurre con caratteri suoi proprii : la vita è flusso continuo e indistinto e non ha altra forma all ' infuori di quella che a volta a volta le diamo noi , infinitamente varia e continuamente mutevole . Ciascuno in realtà crea a sé stesso la propria vita : ma questa creazione , purtroppo , non è mai libera , non solo perché soggetta a tutte le necessità naturali e sociali che limitano le cose , gli uomini e le loro azioni e li deformano e li contrariano fino a farli fallire e cader miseramente ; non è mai libera anche perché , nella creazione della nostra vita , la nostra volontà tende quasi sempre , per non dir proprio sempre , a fini di pratica utilità , il raggiungimento di una condizione sociale , ecc . , che inducono ad azioni interessate e costringono a rinunzie o a doveri , che sono naturalmente limitazioni di libertà . Soltanto l ' arte , quando è vera arte , crea liberamente : crea , cioè , una realtà che ha solamente in sé stessa le sue necessità , le sue leggi , il suo fine , poiché la volontà non agisce più fuori , a vincere tutti gli ostacoli che si oppongono a quei fini di pratica utilità a cui tendiamo nell ' altra creazione interessata , voglio dire in quella che tutti ci sforziamo di fare , quotidianamente , della nostra vita , così come possiamo ; ma agisce interiormente , nella vita a cui intendiamo dar forma , e di questa forma appunto , ancora dentro di noi , ma già viva per sé stessa e dunque quasi del tutto ormai indipendente da noi , diviene il movimento . E questa è la vera e l ' unica tecnica : la volontà intesa come libero , spontaneo e immediato movimento della forma , quando cioè non siamo più noi a voler questa forma così o così , per un nostro fine ; ma è lei , assolutamente libera , poiché non ha altro fine che in sé stessa , lei che si vuole , lei che provoca in sé e in noi gli atti capaci di effettuarla fuori in un corpo : statua , quadro , libro ; e allora soltanto il fatto estetico è compiuto . Fuori , ordinariamente , le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo di contingenze senza valore , di particolari comuni a tutti . Volgari ostacoli impreveduti , improvvisi , deviano le azioni , deturpano i caratteri ; piccole miserie accidentali spesso li sminuiscono . L ' arte libera le cose , gli uomini e le loro azioni da queste contingenze senza valore , da questi particolari comuni , da questi volgari ostacoli , da queste accidentali miserie : in un certo senso , li astrae : cioè , rigetta , senza neppur badarvi , tutto ciò che contraria la concezione dell ' artista e aggruppa invece tutto ciò che , in accordo con essa , le dà più forza e più ricchezza . Crea così un ' opera che non è , come la natura , senz ' ordine ( almeno apparente ) e irta di contradizioni , ma quasi un piccolo mondo in cui tutti gli elementi si tendono a vicenda e a vicenda cooperano . In questo senso appunto l ' artista idealizza . Non già che egli rappresenti tipi o dipinga idee : semplifica e concentra . L ' idea che egli ha dei suoi personaggi , il sentimento che spira da essi evocano le immagini espressive , le aggruppano e le combinano . I particolari inutili spariscono ; tutto ciò che è imposto dalla logica vivente del carattere è riunito , concentrato nell ' unità d ' un essere , diciamo così , meno reale e tuttavia più vero . Ma ecco ora in che consiste la soggezione inovviabile del teatro , rispetto all ' opera d ' arte che ha già avuto la sua espressione definitiva , unica , nelle pagine dello scrittore . Questa che è già espressione , questa che è già forma , bisogna che diventi materia ; una materia a cui gli attori , secondo i loro mezzi e le loro capacità , debbono a lor volta dare forma . Perché l ' attore , se non vuole ( né può volerlo ) che le parole scritte del dramma gli escano dalla bocca come da un portavoce o da un fonografo , bisogna che riconcepisca , come sa , il personaggio , lo concepisca cioè a sua volta per conto suo ; bisogna che l ' immagine già espressa torni ad organarsi in lui e tenda a divenire il movimento che la effettui e la renda reale sulla scena . Anche per lui , insomma , l ' esecuzione bisogna che balzi viva dalla concezione , e soltanto per virtù di essa , per movimenti cioè promossi dall ' immagine stessa , viva e attiva , non solo dentro di lui , ma divenuta con lui e in lui anima e corpo . Ora , benché non nata nell ' attore spontaneamente , ma suscitata nello spirito di lui dall ' espressione dello scrittore , questa immagine può esser mai la stessa ? può non alterarsi , non modificarsi passando da uno spirito a un altro ? Non sarà più la stessa . Sarà magari una immagine approssimativa , più o meno somigliante ; ma la stessa , no . Quel dato personaggio sulla scena dirà le stesse parole del dramma scritto , ma non sarà mai quello del poeta , perché l ' attore l ' ha ricreato in sé , e sua è l ' espressione quantunque non siano sue le parole , sua la voce , suo il corpo , suo il gesto . L ' opera letteraria è il dramma e la commedia concepita e scritta dal poeta : quella che si vedrà in teatro non è e non potrà essere altro che una traduzione scenica . Tanti attori e tante traduzioni , più o meno fedeli , più o meno felici ; ma , come ogni traduzione , sempre e per forza inferiori all ' originale . Perché , se ci pensiamo bene , l ' attore deve fare e fa per forza il contrario di ciò che ha fatto il poeta . Rende , cioè , più reale e tuttavia men vero il personaggio creato dal poeta , gli toglie tanto , cioè , di quella verità ideale , superiore , quanto più gli dà di quella realtà materiale , comune ; e lo fa men vero anche perché lo traduce nella materialità fittizia e convenzionale d ' un palcoscenico . L ' attore insomma necessariamente dà una consistenza artefatta , in un ambiente posticcio , illusorio , a persone e ad azioni che hanno già avuto un ' espressione di vita ideale , qual è quella dell ' arte e che vivono e respirano in una realtà superiore . E allora ? Hanno ragione i signori autori drammatici , che non vedono altro che il teatro , e che dicono e sostengono che il teatro è teatro e non letteratura ? Se per teatro deve intendersi quel luogo dove si fanno rappresentazioni serali e diurne , con degli attori , a cui essi dànno argomento e materia da formare quasi lì per lì in scene d ' effetto , drammatiche o comiche , sì . Ma in questo caso , come posizione di fronte all ' arte , bisogna che si rassegnino a stare nella stessa linea di quei facili fucinatori di versi che si prestano a fare le poesiole sotto le vignette di certe riviste illustrate . Scrivono , non per il testo , ma per la traduzione . E veramente , allora , non ha bisogno affatto di letteratura il loro teatro . Materia per gli attori ; a cui gli attori daranno vita e consistenza sulla scena . Qualche cosa , insomma , come gli scenarii della commedia dell ' arte . Ma per noi il teatro vuol essere un ' altra cosa .
Umberto Saba ( Vergani Orio , 1957 )
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Malato da molti anni , Umberto Saba , forse , soffriva soprattutto di melanconia e di una complessa angoscia che doveva in gran parte risalire al trauma di cui aveva duramente sofferto durante il lungo periodo delle persecuzioni razziali . Il problema del « sangue » , come quello della religione , era stato presente nella sua vita fin da quando il padre suo aveva abbandonato la moglie ebrea , lasciandola sola e in povertà con un bambino gracile e pallido . Il seme di una cupa ingiustizia lo aveva accompagnato fin dall ' infanzia . Nato cattolico , aveva voluto dichiararsi spiritualmente ebraico , scegliendo fra quello paterno e quello materno , quest ' ultimo sangue ; e si era iscritto alla comunità israelita . Al tempo delle leggi razziali , non aveva ancora sessant ' anni , ma era stanco , pallido , esangue sino a sembrare quasi cereo . Egli fu considerato un « ebreo volontario » . Per questo , la sua « posizione » si presentava gravissima . Saba non era certamente un uomo preparato a lottare se non per problemi puramente spirituali . Aveva amato l ' Italia con un amore che l ' aveva condotto a lasciare Trieste nel 1914 e ad arruolarsi volontario con gli altri irredenti . Poi si era ritirato nella città amata e finalmente liberata . Non aveva la possibilità di una professione precisa : aveva pubblicato , nelle edizioni della « Voce » due piccole raccolte di versi che non gli avevano dato diritti d ' autore se non per acquistare qualche pacchetto di sigarette . Non poteva vivere con il semplice pane della buona stima letteraria fruttata da quei versi . Nel 191.9 , lasciato a casa il « grigioverde » , passeggiando per le vie di Trieste , si fermò davanti ad una libreria antiquaria in strada San Nicolò . Dopo qualche giorno il padrone della bottega lo osservò : fattosi sulla soglia della bottega , attaccò discorso e gli confidò , che non solo i volumi , ma l ' intero « commercio » era in vendita . Da quel colloquio nacque il Saba libraio antiquario . I suoi contatti con il mondo sarebbero stati rarissimi - Saba aveva troppi « complessi » per noti esser destinato all ' esistenza del deraciné : solo nelle quattro stanze di casa , con la moglie e con la figlia , la sua « pianticella » fioriva serena - se ogni tanto le necessità del commercio librario non lo avessero costretto a prendere un treno per recarsi a Milano o a Firenze per qualche acquisto . Allora Saba appariva - ma non andava a cercare nessuno : bisognava incontrarlo per caso - nelle città dove la vita letteraria era più intensa . Camminava rasente ai muri , con un berretto da ciclista in capo , sulla testa calva , e con il collo avvolto in uno scialle . Era difficile portarlo a discorrere di letteratura o a esprimere giudizi . Parlava con una voce di testa , quasi da sonnambulo , piegata talvolta in un modulo che pareva beffardo , ma più spesso resa soffocata da una intonazione affettuosa . Sapeva che gli amici della sua poesia erano pochi ; e non cercava di aumentarli . La sua Trieste era quella di Silvio Benco , di Slataper , di Svevo : città di alti fervori letterari ad un incrocio di razze e di lingue . Saba avrebbe potuto assimilare facilmente i profumi e i sapori del linguaggio poetico più moderno : ma come non era appartenuto al gruppo della « Ronda » , così non seguì gli ermetici . Il suo affetto e la sua consanguineità erano tutti per il tempo dello « Stil nuovo » : Petrarca lo aveva affascinato sin dall ' adolescenza : e il risultato di questi affetti si era già definito al tempo dei volumetti intitolati Poesie e Coi miei occhi o di vari anni prima della guerra del '15 . Saba era rimasto assolutamente indifferente alla tentazione del Futurismo , così come era stato lontano dal dannunzianesimo e dal sospiro dei crepuscolari . La solitudine nella quale amava vivere salvò la schiettezza e il metallo di quell ' alta melanconia lirica che ispira il Canzoniere , animato da temi che potevano sembrare a volte aspri , a volte dimessi e a volte quasi freudianamente inquietanti . Fu poeta d ' amore , ma di un amore umbratile , del . tutto chiuso nella storia di una fedeltà familiare . Venne nella sua vita di uomo non lontano dai sessant ' anni la tragedia delle persecuzioni . Si rifugiò a Parigi ; ma la nostalgia dell ' Italia era troppo grande . Non potendo farsi vedere a Trieste , cercò un riparo a Firenze : costretto a vagare intimorito da un nascondiglio all ' altro . Questo affanno e questi incubi stremarono le sue forze . Sfuggì alla deportazione e alla morte : ma nell ' ora della salvezza quello che si risvegliò ad una nuova vita era ormai un uomo distrutto , costretto a lunghissimi riposi , quasi oramai assente da ogni interesse umano , se non al segreto profondo del cuore avvilito e umiliato dallo spettacolo di crudeltà ai cui limiti sanguinosi aveva dovuto vivere . Adesso , di lui , resta il Canzoniere , con il suo alto carico di fervori , di melanconie , di introspezioni , con i suoi non corrotti incantesimi verbali , con certe sue musiche che paiono luci diafane in lento trascolorare . Che di un poeta si possa dire che la sua opera « resta » , questo è il massimo approdo . Egli - all ' anagrafe era Umberto Poli - aveva scelto per nome di poeta quello di Saba che in ebraico vuol dire « pane » . Era come promettersi , con animo dolente , alla comunione con gli uomini .
IMMAGINE DEL 'GROTTESCO' ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
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Dietro il cancellino d ' un orto , due alberetti di mandorlo . D ' inverno , parevano morti . Forse erano ; forse no ; o uno sì e uno no . Nessuno poteva dirlo , perché gli alberi che non siano di verde perenne bisogna aspettar marzo per vedere quali sono morti e quali no . A marzo si vide che uno solo di quei due alberetti era vivo : quello dietro al pilastrino più alto del cancello . E fu una pena veder l ' altro rimanere lì , nudo e stecchito , accanto a quello che , nella chiara mattina , rideva al sole come d ' un brillio di farfalle che vogliano e non vogliano posarsi . Se non che , ripassando dopo alcuni giorni davanti al cancellino di quell ' orto una sorpresa . O il dubbio d ' aver forse sbagliato la prima volta . Dei due alberetti non era più fiorito quello dietro il pilastrino più alto ; ma l ' altro . Possibile ? Era piovuto , in quei giorni , furiosamente . Forse la furia della pioggia aveva abbattuto i fiori dell ' uno e svegliato l ' altro dal sonno invernale , in cui s ' era troppo indugiato ? Ecco , sì ; qualche bianca fogliolina ingiallita , superstite , esitava ancora nei rami di quello ch ' era fiorito prima . La pioggia aveva dunque distrutto veramente la lieta , precoce fioritura . Ma la sorpresa si rinnovò più viva , e accompagnata da uno scoppio di risa , quando davvicino si poté vedere come e di che era tutto fiorito quell ' altro alberetto dietro il cancellino di quell ' orto chiuso . Signori miei , di bianche lumachelle ! Non erano fiori ! Era no lumachelle ! Tutti i rami scontorti di quell ' alberetto morto s ' erano incrostati , rabescati di bianche lumachelle , schiumate or ora dalla terra grassa , dopo l ' acquata tempestosa . E pareva che argutamente , nell ' umido grigiore frizzante dell ' aria ancora ben lontana dal rasserenarsi , quell ' alberetto , fiorito così per burla , dicesse a dispetto dell ' altro che aveva così presto perduto i suoi fiori : Eccomi qua ! Vedi ? Io sì , ora , e tu no . Fiorisco come posso . Una fioritura per cui senza dubbio chi credesse di doverne ridere , bisognava ci mettesse un po ' di buona volontà . Perché non era poi molto allegro fiorir così . Fioritura finta , sì ; ma intendiamoci . Non volevano mica parer fiori veri tutte quelle bianche lumachelle ; e né fiori finti , come sarebbe di pezza o di carta o di cera . No . Volevano parere quel che erano veramente : lumachelle bianche , lì incrostate , in strani e pur naturali rabeschi , su quei rami scontorti dell ' alberetto morto . Oh morto , sì ! E non voleva mica dare a intendere che l ' albero fosse vivo , quella fioritura di lumachelle . Dava anzi a veder chiaramente che lo credeva morto e che non lo prendeva sul serio , facendolo fiorir così . Rideva di sé stessa così evidentemente , Dio mio , quella fioritura . La colpa era di quella grande acquata , che prima di scaricarsi aveva per tanto tempo incavernato il cielo coi neri nuvoloni che la contenevano , in una tetraggine attonita e spaventevole . L ' alberetto ne era morto . Quell ' altro che s ' era provato , in una illusione di sereno , a fiorire , appena scaricata la tempesta , aveva subito perduto i suoi fiori . E neanche era colpa di quella fioritura di lumachelle , se i rami dell ' alberetto , privi com ' erano di frondi illusorie , si mostravano così tutti scontorti . Può la caduca illusione della primavera nascondere lo scontorcimento dei rami . I rami nudi non piaceranno ma son così per sé , scontorti . Del resto , guardate : quanto più e come meglio sanno e possono s ' adoperano anch ' esse a nascondere la triste nudità dei rami , queste graziose lumachelle . Non sono tutte gusciaglia . Guardate qui che bollichìo iridescente , ora che si mettono a far la bava ! Eh , i fiori , profumo ; le lumachelle , bava . Ma fa pure un bel vedere , questa bava che luce , or che rigonfia così tutta fervida e così tutta riflessi e colorata , or che risiede frigida , e vi spuntano per entro , uno più lungo e l ' altro meno , gli occhi della lumachella che fa le corna per guardare intorno , a tentoni , sorniona . Ma voi dite : I fiori veri ! le foglioline vive ! Lo so . Bisognerebbe vivere e non pensare : dico , bearci dei fiori ( quando ci sono ) , del loro profumo , e dell ' ombra e della freschezza delle foglie ( quando ci sono ) ; e non riflettere che , in fondo , via , se vogliamo , di primavera fiori e foglie sono molto comuni . Si dovrebbe essere come quella pianta ispida e amara , che ha le foglie a lama con la spina in punta , la pianta che non vuole neanche esser verde , che alla fine fallisce e va su , su , aerea diritta e solitaria , e in cima lassù ; da tutto quel suo desiderio estremo d ' altezza e d ' aria e di sole esprime un fiore , un fiore unico , e poi muore . Ma questi alberetti , che fioriscono per famiglie , quasi in cooperativa , stenti , angustiosi , tutti allo stesso tempo e allo stesso modo , vi assicuro che fan pur venire a qualche alberetto stravagante la voglia di morire e d ' apparir così , un bel giorno , fiorito per burla , di bianche lumachelle . Se non che , la stravaganza è anch ' essa contagiosa . E ahimè , sono tanti ormai gli alberetti che si sono messi a fiorir così di lumachelle ! Tanti , che quasi non se ne può più .
IRONIA ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Seguito , se non vi dispiace , a parlare del " grottesco " , ma questa volta seriamente . È chiaro che , componendo un grottesco , nessun autore crede alla realtà in sé delle cose che rappresenta . Ma bisogna bene intenderci prima di tutto , sul non credere dell ' autore in genere ( non solo , dunque , di chi componga grotteschi ) alla realtà del mondo da lui comunque rappresentato . Si potrebbe dire , intanto , che non solamente per l ' artista , ma non esiste per nessuno una rappresentazione , sia creata dall ' arte , o sia comunque quella che tutti ci facciamo di noi stessi e degli altri e della vita , che si possa credere una realtà . Sono in fondo una medesima illusione quella dell ' arte e quella che , comunemente , a noi tutti viene dai nostri sensi . Pur non di meno , noi chiamiamo vera quella dei nostri sensi , e finta quella dell ' arte . Tra l ' una e l ' altra illusione non è affatto , però , questione di realtà , bensì di volontà , e solo in quanto la finzione dell ' arte è voluta , voluta non nel senso che sia procacciata con la volontà per un fine estraneo a sé stessa ; ma voluta per sé e per sé amata , disinteressatamente ; mentre quella dei sensi non sta a noi volerla o non volerla : si ha , come e in quanto si hanno i sensi . E quella è libera ; e questa no . E l ' una finzione è dunque immagine o forma di sensazioni , mentre l ' altra , quella dell ' arte , è creazione di forma . Il fatto estetico , effettivamente , comincia sol quando una rappresentazione acquisti in noi per sé stessa una volontà , cioè quando essa in sé e per sé stessa si voglia , provocando per questo solo fatto che si vuole , il movimento ( tecnica ) atto ad effettuarla fuori di noi . Se la rappresentazione non ha in sé questa volontà , che è il movimento stesso dell ' immagine , essa è soltanto un fatto psichico comune ; l ' immagine non voluta per sé stessa ; fatto spirituale - meccanico , in quanto non sta a noi volerla o non volerla ; ma che si ha in quanto risponde in noi a una sensazione . Abbiamo tutti , più o meno , una volontà che provoca in noi quei movimenti atti a creare la nostra propria vita . Questa creazione , che ciascuno fa a sé stesso della propria vita , ha bisogno anch ' essa , in maggiore o minor grado , di tutte le funzioni e attività dello spirito , cioè d ' intelletto e di fantasia , oltre che di volontà ; e chi più ne ha e più ne mette in opera , riesce a creare a sé stesso una più alta e vasta e forte vita . La differenza tra questa creazione e quella dell ' arte è solo in questo ( che fa appunto comunissima l ' una e non comune l ' altra ) ; che quella è interessata e questa disinteressata , il che vuoi dire che l ' una ha un fine di pratica utilità , l ' altra non ha alcun fine che in sé stessa ; l ' una è voluta per qualche cosa ; l ' altra si vuole per sé . E una prova di questo si può avere nella frase che ciascuno di noi suoi ripetere ogni qual volta , per disgrazia , contro ogni nostra aspettativa , il proprio fine pratico , i proprii interessi siano stati frustrati : Ho lavorato per amore dell ' arte ! E il tono con cui si ripete questa frase ci spiega la ragione per cui la maggioranza degli uomini , che lavorano per fini di pratica utilità e non intendono la volontà disinteressata , suoi chiamare matti i poeti , quelli cioè in cui la rappresentazione si vuole per sé stessa senz ' altro fine che in sé medesima , e tale essi la vogliono , quale essa si vuole . Ora una rappresentazione può in noi volersi anche ironicamente , vale a dire non soltanto cosciente in sé della sua irrealità , ma che tale anche si mostri agli altri di fuori . Perché c ' è , oltre all ' ironia così detta retorica , che consiste in una contradizione verbale tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso , un ' altra ironia : quella filosofica , dedotta dai romantici tedeschi direttamente dall ' idealismo soggettivo del Fichte , ma che ha in fondo le sue origini in tutto il movimento idealistico germanico post - kantiano . Hegel spiegava che l ' io , sola realtà vera , può sorridere della vana parvenza dell ' universo : come la pone , può anche annullarla ; può non prender sul serio le proprie creazioni . Onde appunto l ' ironia : cioè quella forza secondo il Tieck che permette al poeta di dominar la materia che tratta : materia che si riduce per essa secondo Federico Schlegel a una perpetua parodia , a una farsa trascendentale . Ecco una bella definizione antica di molti dei più significativi grotteschi moderni : farse trascendentali ; se non fosse che la parola " farsa " , per l ' uso volgare che se n ' è fatto , appropriandola a sciocchi componimenti di grossolana ilarità , non ostante quella specificazione di " trascendentale " , potrebbe indurre gl ' ignoranti ( e non dico i maligni ) a fraintendere . A non intendere , cioè , che sissignori anche una tragedia , quando si sia superato col riso il tragico attraverso il tragico stesso , scoprendo tutto il ridicolo del serio , e perciò anche il serio del ridicolo , può diventare una farsa . Una farsa che includa nella medesima rappresentazione della tragedia la parodia e la caricatura di essa , ma non come elementi soprammessi , bensì come projezione d ' ombra del suo stesso corpo , goffe ombre d ' ogni gesto tragico . O quando si sia arrivati a comprendere che , essendo assolutamente arbitraria ogni nostra conclusione , e inevitabilmente illusoria , quantunque necessaria , ogni costruzione che ci facciamo della così detta realtà arbitrio per arbitrio e irreale per irreale spogliando d ' ogni fittizia apparenza di verità la favola , si rappresenta nella sua meccanicità essenziale l ' arbitrio di quella conclusione , e nella sua frode palese quell ' illusione , per modo che appaja quel che in fondo e purtroppo è : un giuoco , ma voluto e sentito e rappresentato come tale . Veramente , tra quella che suol chiamarsi ironia retorica e questa filosofica una certa parentela si può scoprire . La differenza tra l ' una e l ' altra è , che in quella non bisogna prender sul serio ciò che si dice , e in questa ciò che si fa . Ma badiamo : non prender sul serio ciò che si fa , non vuoi mica dire non prender l ' arte sul serio . « Chi fa un lavoro comico osservò una volta giustamente il De Sanctis non è esentato dalle condizioni serie dell ' arte » . Anzi , tanto più deve attenersi ad esse . E poneva due casi il De Sanctis : quello di chi dice sciocchezze con intenzione comica e fa ridere non di lui ma di quel che dice , e quello di chi all ' incontro dice sciocchezze per sciocchezze e fa ridere di lui e non di ciò che ha detto . Non giurerei che nessuno di quanti oggi scrivon grotteschi non sia in questo secondo caso .
Alberto Savinio ( Vergani Orio , 1953 )
StampaQuotidiana ,
Senza soffrire , nello spazio di una notte , Alberto Savinio si staccò dalla vita . Già un anno prima aveva avuto un duro ammonimento del male . Invece di riposarsi , ogni mattina dipingeva , ogni pomeriggio componeva musica , ogni sera scriveva . Pittore , musicista , scrittore , era andato così sempre nella vita emigrando da un nome all ' altro , da uno pseudonimo ad un altro pseudonimo , di arte in arte , di città in città , dall ' uno all ' altro continente della cultura e tanto e tanto avrebbe viaggiato nella sempre rinnovata geografia dello spirito . Alla mobilità del suo spirito , alla sempre rinnovata freschezza dei suoi interessi , al suo inquieto , estroso , ammiccante scandagliare fra i mondi dell ' immaginazione e fra quelli della cultura , corrispondeva un fisico da sedentario , da uomo di scrivania e di biblioteca , dall ' occhio assorto , dal gesto breve . Aveva viaggiato molto : ma tutta la sua arte era orientata sugli itinerari di quei viaggi che De Maistre chiamò autour de ma chambre . Il nome di « magia » è stato adoperato troppo , a proposito di certi aspetti dell ' arte moderna ; ma la camera nella quale idealmente dimorava Savinio meritava di esser definita come magica : di una magia senza ombre , senza polvere , senza mostri , fatta tutta di riflessi di cristallo messi a specchiare tempi lontani e nitidi presentimenti . Alberto Savinio - figlio di un ingegnere De Chirico che si era trasferito in Grecia , alla fine del secolo scorso , per costruire , se non sbaglio , il tronco della linea ferroviaria che collega il percorso dell ' Orient - Express con Atene - era nato ad Atene e il greco moderno era stato la lingua della sua infanzia . Tra i suoi progetti , mentre l ' età matura era raggiunta , c ' era stato quello di fare , nel 1951 , un viaggio in Grecia per ritornare , dopo più di mezzo secolo , sui luoghi dell ' infanzia . Il progetto non fu realizzato : la Grecia rimase , per Alberto , la lontana meravigliosa piattaforma dei ricordi di una infanzia contesa dall ' obbligatoria saggezza di un ragazzo che aveva il padre ammalato - il vecchio ingegnere era stato inchiodato in una poltrona da una paralisi - e che doveva scoprire il mondo delle favole , prima che nelle novellette dei fratelli Grimm o nei romanzi di Verne , nei racconti omerici . Non si vive impunemente ad Atene , andando a giocare da bambini sulle gradinate del teatro sotto all ' Acropoli o all ' ombra delle colonne del Partenone . La mitologia accompagnò per tutta la vita Savinio con la sua presenza e con la sua voce magica e solenne . Il Tempo , per Savinio , si chiamò sempre Cronos e la Sorte si chiamò Moira . Il sentimento metafisico di Giorgio De Chirico e quello surrealista di suo fratello Andrea che doveva emigrare a vent ' anni verso il nuovo nome di Alberto Savinio avevano come sfondo i miti o i riflessi di un ' Ellade dai silenziosi o inquietanti incantesimi . Nessuno dei due figli seguì la vocazione paterna , che era stata , come lo fu per molti solidi spiriti dell ' Ottocento , quella del costruttore . Nessuna opposizione venne fatta alle loro aspirazioni di artisti , per la protezione della madre che a Savinio doveva sembrare più tardi come un nume della Maternità . Io ricordo con quale placida eroica fermezza la madre di Giorgio De Chirico - carica di strani gioielli e vestita con abiti di austera dignità che sembravano quasi un costume , quasi una « divisa da madre » , seduta a vigilare fra i quadri della prima mostra della pittura metafisica di suo figlio Giorgio - ascoltava indifferente i visitatori ridere e sghignazzare davanti alle Muse inquietanti e ai Dioscuri che alla folla , nel 1917 , parevano l ' opera pittorica di un pazzo . Egualmente coraggiosa la madre era stata nell ' assistere l ' attività del figlio minore che si sentiva destinato alla musica , e , naturalmente , ad una musica tutt ' altro che facile . La signora De Chirico , con i suoi strani gioielli e con i suoi austeri abiti da pitonessa , era sempre in viaggio per vegliare su l ' uno o su l ' altro figlio : due ragazzi , due giovanetti privi , come si dice , di ogni senso pratico , portati qua e là nel mondo dell ' arte di prima della guerra per studiare pittura a Monaco nell ' aura di Boeklin o musica con Max Reger . Pianista di potenza quasi diabolica , talvolta Savino , nelle notti di Parigi o in quelle di Monaco , suonava sino a farsi sanguinare le dita , e la madre , vedendo le macchie di sangue sugli avori della tastiera , pensava , nel suo assorto silenzio : « Quel sangue è mio » . Musicista Alberto Savinio fu sino al 1915 , e cioè sino all ' età di ventiquattro anni , e tornò ad esserlo , per un rapido saggio , nel 1925 . Poi il silenzio musicale durò , per il pubblico , vent ' anni . Era diventato , intanto , scrittore , per aver conosciuto Guillaume Apollinaire : scrittore in lingua francese , come avrebbe potuto esserlo in greco e in tedesco , nell ' estremo tramonto di quegli anni antecedenti alla prima guerra mondiale che furono chiamati gli anni della belle époque ma durante i quali maturavano i germi creativi dell ' arte rivoluzionaria che prendeva il nome di cubismo , di futurismo , di dadaismo . Al futurismo , in ogni modo , Savinio non fu vicino : le origini della sua arte e del suo pensiero erano inserite in un ordine e in una meditazione di valore troppo spirituale , come il pensiero e l ' arte ellenici , perché egli si lasciasse abbagliare dalle formule di quell ' avanguardismo alla Jules Verne che era il futurismo di Marinetti , le cui formule estetiche del simultaneismo e del dinamismo nascevano , più che altro , da una ingenua fiducia nello scientificismo . Il futurismo credeva all ' energia come ad un fatto dinamico , muscolare , palesemente esplosivo : credeva nella deflagrazione , e non nell ' energia della meditazione . Savinio era uomo di letture profonde : era difficile convincerlo di mettersi in testa , come un casco , l ' imbuto di alluminio con il quale Marinetti intendeva coronare i poeti . Questo spiega perché egli si fosse subito , appena tornato agli studi al termine della guerra , schierato con gli scrittori della « Ronda » e perché non abbia mai desiderato di affermare , quando il surrealismo diventò una « scuola » , la paternità che gli spettava di tante invenzioni , scoperte , esplorazioni dell ' estetica surrealista in letteratura e in pittura . Scrittore italiano doveva diventare dunque nel 1916 , un anno dopo , rientrando in Italia per il servizio militare : e pittore doveva diventare , quasi da un ' ora all ' altra , solamente nel 1927 , emigrando nuovamente a Parigi . Sembrò che dimenticasse di essere stato uno degli scrittori più singolari e una delle intelligenze più inquietanti nel gruppo della « Ronda » . Per quasi dieci anni , fu solamente pittore . La lingua della sua vita quotidiana era diventato nuovamente il francese . Il suo linguaggio pittorico fu quello surrealista : e coglieva ogni possibilità per affermare di essere un pittore « al di là della pittura » . In un ' altra occasione ebbe a scrivere : « Le opere di Dürer , di Boeklin , di Giorgio De Chirico , mie , nascono prima di tutto come cose pensate . Portarle a una forma o dipinta o scritta è una traduzione ; una operazione " a scelta " . Io ho chiaramente sentito , ho chiaramente capito che quando la ragione d ' arte di un artista è più profonda , e dunque " precede " la ragione singola di ciascun ' arte , quando l ' artista , in una parola , è una " centrale creativa " , è stupido , è disonesto , è immorale chiudersi dentro ad una singola arte , asservirsi alle sue ragioni particolari e alle sue ragioni speciali . E ho avuto il coraggio di mettermi di là dalle arti , sopra le arti ... » . Quando , nel 1927 , un mercante d ' arte parigino , senza aver mai visto un quadro di Savinio , lo invitò a dipingere , gli trovò uno studio a Parigi , e gli assicurò uno stipendio iniziale , quel tale , probabilmente , intendeva creare « un caso » o un « doppio » di De Chirico , o mettere d ' accordo , su una piattaforma di puro intelletto , tutte le varie vocazioni di Savinio e trasferirle in una bizzarra sede pittorica . Probabilmente non sapeva che , così facendo , mentre De Chirico si preparava a rinnegare quasi la sua stessa pittura metafisica , Savinio avrebbe messo al mondo una prima esemplificazione del surrealismo . Il ricordo di Savinio non appartiene solamente alla storia dell ' intelligenza italiana delle ultime due generazioni : esso appartiene alla storia dell ' intelligenza europea . L ' apparente divagare di arte in arte fu , effettivamente , un continuo esplorare mondi espressivi nuovi nella luce di una intelligenza dalla intatta lucentezza : il suo emigrare continuo fu un approdare e conquistare continuo : nessun continente dell ' arte poté considerarlo mai uno spaesato . Le sue capacità tecniche , anche quando potevano sembrare acerbe , erano al servizio di un ' unità spirituale per la quale il pittore , lo scrittore , il diarista , il narratore di strane favole , lo psicologo , il musicista e lo scenografo avevano una assoluta coerenza di ispirazione .
MARGUTTE ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Ci vuol pure un bel coraggio a riprendere in mano e a riporsi sotto gli occhi certi libri , che furono in altri tempi serena delizia del nostro spirito , quando il mondo era a pochi pur questo , ma a tutti pareva un altro . Oggi , mentre in terra di Francia è tuttavia sospesa la gigantesca battaglia che dovrà decidere dei nuovi destini del mondo , rileggere ad esempio , in ottava rima , la parodia di un ' altra guerra di Francia : quella strepitosa di Carlo Magno e dei suoi paladini , quale a mano a mano nei cantari grottescamente serii dei cantastorie di piazza s ' era venuta camuffando . Aveva la corte borghese di Lorenzo de ' Medici il gusto di siffatte parodie . E Dio sa con che cuore il suo cortegiano , che aveva " di ridere gran voglia " , ma a un suo melanconico modo fuor d ' ogni grazia divina , dico Luigi Pulci , Dio sa con che cuore in presenza di quella pia donna che fu Lucrezia Tornabuoni , si faceva la croce principiando a modo di quei cantastorie ogni nuovo canto del suo Morgante . E Roncisvalle pareva un tegame Dove fusse di sangue un gran mortito ... Ma pure in quei tempi , a prestarci un po ' d ' attenzione anche di tra il folle tripudio di quei grassi carnasciali fiorentini , venivano in piazza certe crude verità tragicamente mascherate in mezzo ad altre maschere più sconce che gaje . E non fu mai veramente senza profitto in ogni tempo il riaccostarsi anche per poco ai poeti maggiori e più vivi di nostra gente , e specie a quelli che più pajono trattar col riso la materia della loro poesia . Tutt ' a un tratto , di tra il riso , quando meno ce l ' aspettiamo , questi burloni pongono innanzi al nostro innocente e ozioso diletto certi specchi , che l ' espressione del piacer nostro improvvisamente si rassega in una smorfia dolente e sguajata , e di subito il riso ci si cangia in veleno . Ma come ! Ci pareva d ' esser tanto lontani dalla serietà ! ci pareva che il poeta scherzasse così svagato e alieno ! E intanto ... Oh guarda ! Ma sicuro , questo Morgante ... questo Margutte ... Come non ci avevamo pensato ? Ma sono proprio le due facce del popolo ! La faccia buona e la faccia trista : il grosso buon popolo , credulone e badiale , generoso e forte , che si converte senza starci a pensar due volte a ogni buona causa e s ' arma come può , anche d ' un battaglio di campana , e si gitta tutto alla buona impresa ; e il popolo che perde ogni fede e a un certo punto s ' arresta e s ' intozza e s ' ingaglioffa , abbandonandosi tutto ai suoi più bassi istinti : Il mio nome è Margutte , Ed ebbi voglia anch ' io d ' esser gigante , Poi mi pentii quando a mezzo fui giunto : Vedi che sette braccia sono appunto . A mezzo ? Quando ? Eh , quando ... Lo sappiamo bene noi adesso il quando , il come , il dove , il nostro popolo che si era partito per diventar gigante , armato improvvisamente della sua fede e della coscienza di tutti i suoi più sacri diritti , minacciò di fare il groppo a sette braccia appunto come Margutte . Fu un attimo di follia , uno smarrimento , ed è proprio inutile parlare a Luigi Pulci adesso di Caporetto ; tanto più che è certo ormai che Margutte non prevarrà . Ma non invano per tant ' anni s ' insegna al popolo che il tabernacolo ov ' è custodito il vera Dio da adorare è la pancia , e che son tutte superstizioni e trappole tese dai lupi agli agnelli le idealità finora ritenute sante . Il popolo fa presto a imparare : Io non credo più al nero ch ' all ' azzurro Ma nel cappone , o lesso , o vuogli arrosto , E credo alcuna volta anche nel burro : Nella cervogia e quando io n ' ho nel mosto , E molto più nell ' aspro che il mangurro ; Ma sopra tutto nel buon vino ho fede E credo che sia salvo chi gli crede . E a snocciolarti il rosario dei fegatelli : Del fegatel non ti dico niente : Vuoi cinque parti : fa ch ' alla man tenga ... E così fu che tutt ' a un tratto il buon Morgante , quando ben undici vittorie gli davano il diritto d ' aspettarsi l ' ultima che gli desse il premio di tutte , se lo vide venir « di lungi per ispicchio » , Margutte , quella volta . Sobbalzò tutto il buon gigante , allora , e Dette del capo del battaglio un picchio In terra e disse : Costui non conosco ! Ma sì che si conosceva , per dir la verità ; e ben poco , ahimè , s ' era fatto per scacciarlo di là , dove così anche per ispicchio s ' era insinuato . Ma queste ormai sono inutili recriminazioni . Non lo abbiamo fatto prevalere , Margutte , che se Dio vuole , dopo questa gran prova , non prevarrà mai più . Che se per disgrazia poi , non più certo durante la guerra , ma dopo , dovesse inopinatamente prevalere , io dico che non c ' è da disperare . Perché i giganti come Margutte , che giunti a mezzo si pentono , nati tra mitere e tra gogne , Come tra '1 bue e l ' asin nacque Cristo ; nati tra i capestri e tra le scope , c ' è questo di buono , che basta poco , la vista degli sciocchi lezii d ' una scimmia che si metta e si cavi un pajo di stivali , a farli non già per modo di dire , ma realmente crepare dalle risa . E scimmie , per la salute nostra , non mancano oggi in Italia , e possiamo confidare che non ne mancheranno neanche domani . Ne conosciamo tante ! Grosse scimmie politiche , uranghi e scimpanzè , che davvero non hanno fatto mai altro che offrir lo spasso di calzarseli a tempesta , certi stivali , per esser pronti all ' occasione , e di buttarli via subito , come l ' occasione veniva a mancare , salvo a ricalzarseli domani ! Che spettacolo di leva e metti , durante le angosciose vicende di questa lunga guerra , in quel grosso gabbione di Montecitorio ! Margutte n ' è già crepato dalle risa . E io vi dico che non uno solo , ma cento ne sarebbero crepati , non per lo spettacolo offerto da questo o da quel gruppo di scimmioni , ma cento Margutte per uno scimmione solo . Per quello che dentro il gabbione l ' ha voluta sempre , e poi , fuori , a quattr ' occhi , non l ' ha voluta mai ; per quello che , viceversa , dentro il gabbione non l ' ha voluta mai , perché , Dio mio , questo stivale che è l ' Italia , questi stivali che sono le patrie , è tempo di buttarli via , per camminare tutti fratelli scalzi per le vie del mondo , che è uno di tutti senza confini ; e che all ' ultimo , ecco qua , sissignori , ha dovuto calzarselo anche lui , questo povero stivale che è l ' Italia , poiché i fratelli di Germania e d ' Austria , i fratelli bulgari e turchi non l ' hanno mica buttati via i loro grossi scarponi ben chiodati e imbullettati , e son qua , dentro casa nostra , tutti ancora ostinati a schiacciare i piedi a chi voleva restare a piedi nudi . Caro grosso amletico barbuto scimmione ! Il buon popolo Morgante t ' ha battuto le mani , e a Margutte , vedi ? è bastato l ' insolito gesto improvviso di vederlo calzare anche a te , questo vecchio stivale d ' Italia : è crepato . Fa ' che non rinasca per te , domani . Ma se pur dovesse rinascere , ripeto , non disperiamo ! Può ben Margutte , finito lo spettacolo di Montecitorio , crepar dalle risa per altre scimmie e per altri spettacoli . Vi dico che non ne mancano e che non ne mancheranno . Quanti cari scimmiotti , quante care scimmiette , ad esempio , in letteratura ! E anche qui gruppi e gruppetti , raccolte e raccoltine di scimmiottini nuovi , che han trovato , o credono di aver trovato , una nuova maniera di smorfie , una nuova maniera di muovere a balziculi verso la gloria di un ' arte nuova , che dev ' essere in tutto e per tutto loro particolar fatica . Ora si spulciano coi denti tra foro a vicenda ; ma ahimè , han così poco sangue , che non bastano neanche a nutrire le loro pulci ; e spoglie esangui di pulci , che a schiacciarle su un ' unghia non farebbero neanche botto , si cavan dunque dalle loro secche testoline , con le due mani davanti e coi denti , coi denti , affannosamente . E altri scimmiottini , più vivaci e impudenti , eccoli là in fila agli anelli volanti ; e altri più timidi e irrequieti , eccoli qua a sfregolarsi alle sbarre delle gabbiole della loro impotenza , innanzi alle balie e alle ragazzine , e a piscicchiare poi in un angolo , in schizzetti disperati , gli spasimi delle loro velleità insoddisfatte . E guardate questo cercopiteco , che doveva nascer prete , con che aria e con che passo cerca d ' accostarsi e di entrare in quelle gabbiole . Ma nessuno lo vuole . Peccato ! Le saprebbe cercar così bene , lui , le pulci , di quelle che fanno il botto ! Ne ha trovate già due o tre di buon sangue rigeneratore , in capo a qualche scimmiotto maligno , di questi nuovi che nessuno ancora conosce . Voi credete che Margutte , così tutto intento com ' è alla pancia e voglioso di grossi bocconi , non potrà mai accorgersi , per quanto aguzzi gli occhi porcini , di questi così piccoli e magri scimmiottini della nuova letteratura ? Io vi dico ancora una volta di non disperare , perché qualche scimmiotto un po ' più grosso c ' è pure che fa tutte le buffonerie possibili e immaginabili per mettersi in mostra ; mangia morti e vivi , come se fossero mele , e ve li risputa a pezzi in faccia ; morde , quand ' altro non può , anche a sé stesso la coda ; ed ha un così svergognato coraggio di mettersi a fare innanzi al pubblico tutte le sue porcherie , che non è possibile Margutte oggi o domani non lo scopra .
Scala ( Vergani Orio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
La sala non è al buio . Sei grandi lampade pendono sull ' orchestra , e la loro luce arriva , degradando , sino in fondo alla sala . Ricordo questa sala distrutta , aperta alla neve , alla pioggia , al vento : e il color nero delle grandi travi carbonizzate : le finestre dei palchetti vuote sulla vasta voragine muta . Ricordo , di quei giorni , di quei funesti inverni , il silenzio di Milano nelle piazze e nelle vie intorno : i passanti rari , i volti chini , le guance pallide : la città macilenta , quasi senza voce , vuota di ragazzi : Io stillicidio dell ' acqua in questo grande cortile da tragedia shakespeariana nel quintuplo giro dei palchi : le porpore stinte : i carboni e la cenere mescolati ai cristalli : l ' oro infamato dal fango . Nel nome di Toscanini , e cioè nel nome della musica italiana , la sala è stata la prima a risorgere . È lì , ancora , oggi come tanti anni fa - come cinquantaquattro anni fa , quando il Maestro salì sul podio per la prima volta a dirigere i Maestri cantori - Toscanini è saldo ; tiene le redini dei poemi musicali in pugno , come gli antichi aurighi nel bronzo greco . È entrato per la prova generale , e , come lui vuole , nessuno ha applaudito . È passato dietro alla prima fila dei violini , è sul podio , volta le spalle alla platea : davanti non ha il leggio : e bisogna indovinare il raccoglimento , la profondità , la fissità , la mobilità del suo sguardo che , adesso , spazia solamente sulle misure della musica . Io , più fortunato o più indiscreto degli altri , sono andato avanti , in un angolo della quarta fila , e ho , dietro a me , un grande spazio vuoto . Oltre che sentire , oggi voglio « vedere » Toscanini . Non voglio ripetere la frase di Emilio Zola che , quando fu a Roma per scrivere Roma , dopo aver visto il Pontefice tornò in albergo e , seduto a tavola , disse alla moglie , soddisfatto : J ' ai mon Papa ... Ma , di « tre quarti » , ho il « mio » Toscanini . Vedo i suoi capelli bianchi , argentei , folti e mossi sulla nuca . Trovo un ricordo antico , uno dei più lontani ricordi d ' infanzia : il ricordo di un bambino accompagnato per mano a vedere San Petronio , a Bologna . Mi sembra di sentire ancora la stretta improvvisa alla mia mano di bambino . Mi dice la voce di un caro vecchio rotta dall ' emozione : « Guarda là ! ... Guarda là !...» Aiutano qualcuno a salire su una carrozzella : non vedo bene , e non capisco perché mi si inviti , con così brusca commozione , a guardare . La voce vicina a me dice : «Carducci...» . La carrozzella si muove con il suo passeggero che ha in testa , mi sembra , un corto tubino . Di quel passeggero non vedo che i capelli bianchi , argentei , folti e mossi sulla nuca . È un momento , e la carrozzella scompare . Ho visto í capelli bianchi di Carducci . Guardo , adesso , e li trovo simili a quelli del poeta , i capelli bianchi del Maestro . Ogni tanto egli china il capo , quasi toccando con il mento il petto . Vedo , di scorcio , la « rupe » della fronte , sfiorata dalla luce ; il modellato delle tempie e dello zigomo , in ombra . Non esiste più un Vincenzo Gemito per scolpire , così , di Toscanini un ritratto come quello di Verdi . Penso ai capelli bianchi di Verdi . Toscanini non è un uomo vecchio : non sarà mai un uomo vecchio : è un uomo « antico » , modellato in qualcosa di incorrotto e senza tempo , come si può pensare che , anche giovani , fossero taluni geni rupestri , come Michelangelo ; uomini fatti per vivere fra le rocce , come le aquile . Chi ha mai pensato di contare gli anni di un ' aquila ? Le aquile non vedono incanutire le loro penne . Hanno gli anni del loro volo . La sala tace . Mille , millecinquecento persone sono state « segretamente » ammesse ad ascoltare la prova . Il Maestro non ha negato questo dono . Gli basta che la gente taccia . Laggiù , lassù , intorno , nei nidi dei palchi , nelle logge delle gallerie c ' è un pubblico che amo . Se fra cent ' anni un regista comporrà un film dedicato a Toscanini e alla sua vita , non dimentichi questa scena e queste « masse » . Ci sono gli intenditori , i musicologi , i musicisti , i « toscaniniani » . Mi permetto di consigliare il regista a non dar loro importanza , in questa scena . Si ricordi , invece : dei ragazzi e dei vecchi : chiami a raccolta , per il suo film , a voler rifar la scena d ' oggi , molti ragazzi e molti vecchi : gente che domani non troverebbe posto , vecchi che , a insinuarsi nel « tutto esaurito » di un grande concerto , « non si fidano » , perché hanno il peso degli anni , gli acciacchi , la difficoltà di sedere e di respirare tra la folla , il pudore di mostrarsi , tra la folla , presi dalla commozione e forse , dalle lagrime per l ' onda dei ricordi . Gente più che anziana : una toccante visione : gli ottant ' anni non si contano : le novantenni , che si sono messe in ghingheri e sono venute avanti sostenute dalle figlie e dalle nipoti , non si contano . Occhi e cuori che ridanno la scalata al tempo , che passano a guado la fiumana dei ricordi di mezzo secolo , ai tempi delle prime di Otello - mi hanno detto - ai tempi in cui si combatteva « contro » la musica di Wagner . Vecchie , canute , tremolanti signore alle quali , cinquantaquattro anni fa , il giovane maestro di Parma ha insegnato che non era giusto sospirare solamente per i tenori , ma che si poteva sospirare per Sigfrido e riconoscersi nel lamento amoroso di Isotta . Sono venute fuori dalle loro case pomeridiane , ringraziando la giornata mite : trattengono i colpi di tosse . Nell ' ombra dei palchi asciugano una lagrima del 1898 . Regista : non dimenticare i ragazzi . Ce ne sono di quindici , di diciotto anni ; ma , stranamente , hanno quasi tutti un viso , una compunzione , una espressione da attesa di prima comunione o di cresima . Hanno diciotto anni : ma Toscanini ha la virtù di riportarli all ' emozione delle favole , delle fate e dei maghi . Straordinario nonno , Toscanini : i ragazzi sembrano , nella penombra della sala color di porpora , seduti al focolare . Regista , non dimenticare che quest ' ora non è « mondana » : ma , affollata di vecchie nonne e bisnonne e di nipoti e pronipoti , dà alla sala scaligera il colore , il mormorio , la fiducia proprio dei vecchi focolari . Una mano guida la straordinaria favola . È la destra che ne distribuisce i personaggi e i sentimenti , l ' onda dell ' amore , dei dolori , del compianto , della stupefazione : che fa entrare le voci dei lunghicriniti eroi , sorregge pilastri , cupole , cieli , cattedrali arboree , rocce , e chiama le nuvole , e accende le stelle , e volge il corso delle comete : è la sinistra che fa passare sui volti e sulle cose il soffio tiepido o arroventato della vita , e dice al canto : « Ama ! » , e dice al canto : « Fremi ! » . Romantiche mani che nei coni di luce si illuminano : pronte al gesto del dominio e all ' impeto squassante , come , per prendere la tragedia per la gola e dirle : « Piegati : sei mia ... » : pronte alla carezza più sottile , come se insegnassero ai suoni più gracili ad alzare le palpebre fiduciose e a mostrare i loro sguardi di bambini : pronte all ' eloquenza concitata , pronte a dividere il Creato in due ; da una parte la luce , dall ' altra l ' ombra : pronte a riportare leopardianamente la quiete dopo la tempesta , e a dividere fronda da fronda nella foresta stillante di perle per scoprire il nido degli usignoli . Mani che implorano : mani che comandano : e il gesto ha l ' imperio di quello con il quale Padre Cristoforo fece tremare il cuore del malvagio . Mani che insegnano il sospiro e la preghiera , il gesto delle supplici e quello della consolazione : e aprono le porte di bronzo attraverso il cui spiraglio si indovina l ' aldilà . Si muovono , come quelle di un magico tessitore , sul telaio dove si tessono i sogni : come penso si muovessero quelle di Tolstoj quando faceva scendere l ' amore nel cuore di Natascia , o quelle , forti , di Wagner , quando batteva sull ' incudine l ' acciaio della spada .
GIOVANNI CENA ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Volle concludere in bontà . A un certo punto non scrisse più , ma visse la sua poesia . La visse , non forse perché non poteva più scriverla , ma perché l ' animo con cui l ' aveva scritta , a poco a poco , dalla sua stessa espressione e dai modi conclusivi del suo esprimersi doveva esser condotto a stimare men superfluo , ormai , e più naturale dare esempio di vita alla sua voce , prova di fatto alla sua parola , spogliandosi dell ' ultimo interesse della bellezza per entrare nell ' assoluto disinteresse della bontà . Il nucleo chiuso della sua dura e travagliosa individualità artistica , pur senza aprirsi , pur senza allargarsi , s ' era a mano a mano stemperato di quegli egoismi personali , che avrebbero potuto dare ancora valore espressivo e rilievi caratteristici alla sua poesia : non era più un dolore , era il dolore ; non era più una vita , era la vita ; e quello stesso amore , mal posto , era ai suoi occhi buoni l ' amore , il premio dolce e supremo . L ' ultimo suo libro Homo è tutto composto infatti di ultime e nude parole per lui essenziali , nella forma poetica più essenziale : il sonetto : cento sonetti che han l ' aria di cento iscrizioni lapidarie su cose e sentimenti eterni : la vita , la morte , il mistero , la natura , l ' umanità . Non gli restava più , oramai , che ritornare con le parole che aveva dette a coloro dai quali era uscito : ai contadini , per insegnar loro a scriverle e anche a viverle , com ' egli le aveva scritte e vissute , le parole che aveva dette . Ed ha veramente il valore di sacra fatica , che ha una goccia di sudore su la fronte d ' un contadino , ognuno dei quattordici versi di quei cento sonetti : fatica feconda e fecondatrice . Parecchi di essi attingono una bellezza assoluta e imperitura .