StampaQuotidiana ,
Soltanto
quando
si
sia
arrivati
alla
fine
,
e
meglio
ancora
si
siano
lasciati
passare
parecchi
giorni
dopo
la
lettura
,
si
comprende
con
una
chiarezza
che
dà
l
'
impressione
di
cose
vedute
e
vissute
realmente
,
che
non
a
uno
a
uno
i
particolari
inesauribili
,
quasi
momentanei
,
con
tutte
le
variabilità
accidentali
o
illogiche
,
determinate
o
da
moti
istintivi
o
da
cangiamenti
istintivi
di
immagini
,
di
pensieri
,
di
sentimenti
,
d
'
umori
,
di
desiderii
,
per
segreti
richiami
e
incoercibili
analogie
,
non
solo
nel
riposto
animo
dei
personaggi
,
ma
tra
l
'
animo
di
questi
personaggi
e
i
casi
estranei
e
gli
aspetti
naturali
;
si
comprende
,
dicevo
,
che
non
i
particolari
a
uno
a
uno
si
sono
forzati
,
come
pareva
leggendo
,
a
metter
su
l
'
insieme
di
questo
romanzo
di
Federigo
Tozzi
Con
gli
occhi
chiusi
(
Milano
,
Fratelli
Treves
editori
,
1919
)
;
ma
,
cosa
veramente
mirabile
,
la
comprensione
radicale
,
il
totale
dominio
,
il
possesso
pieno
e
assoluto
di
questi
personaggi
e
del
loro
animo
,
dei
loro
casi
,
di
tutto
ciò
che
è
in
loro
e
attorno
a
loro
,
per
immediato
irradiamento
delle
loro
più
minute
sensazioni
e
impressioni
,
in
una
parola
,
l
'
insieme
ha
realmente
creato
per
suscitazione
spontanea
di
una
continua
,
attenta
,
vigile
momentaneità
creativa
tutta
quella
copia
inesauribile
di
particolari
vivi
,
che
in
prima
ci
era
parso
conducessero
come
a
caso
e
senza
determinate
vicende
la
sua
rappresentazione
.
Quando
s
'
è
finito
di
leggere
,
e
,
meglio
,
parecchi
giorni
dopo
la
lettura
,
Domenico
Rosi
,
l
'
oste
del
Pesce
azzurro
di
Siena
,
col
suo
podere
di
Poggio
a
'
Meli
,
Anna
sua
moglie
e
il
figlio
Pietro
,
Ghisola
Giacco
e
Masa
,
gli
assalariati
del
podere
,
gli
avventori
della
trattoria
di
Siena
,
e
quel
podere
e
quella
trattoria
,
uomini
e
cose
,
vicende
e
paesaggi
,
tutto
insomma
,
acquista
davanti
a
noi
una
tal
consistenza
di
realtà
,
che
veramente
ci
stupisce
,
perché
non
riusciamo
più
a
renderci
conto
,
come
davanti
alla
vita
stessa
,
quali
di
quei
tanti
particolari
che
parean
momentanei
e
casuali
,
quali
di
quelle
tante
notazioni
minute
,
che
parevano
incidentali
od
accidentali
,
e
anche
talvolta
svagate
,
abbiano
potuto
darcela
,
e
come
,
e
quando
,
così
perfetta
e
solida
,
così
intera
e
finita
,
tutta
quella
consistenza
di
realtà
.
Si
penserebbe
al
procedimento
di
certi
pittori
che
con
un
turbinio
di
punteggiature
,
in
cui
,
a
guardar
davvicino
sembra
che
ogni
tratto
,
ogni
linea
si
perda
,
riescono
poi
a
dare
a
distanza
con
insospettati
rilievi
d
'
ombra
e
giuochi
di
luce
una
inattesa
costruzione
di
forme
,
se
il
paragone
non
fosse
reso
fastidioso
e
inaccettabile
dall
'
assenza
,
qua
,
d
'
ogni
evidente
e
minuzioso
sforzo
di
tecnica
,
dalla
fluidità
continua
,
lieve
e
senza
ambagi
,
d
'
una
piena
e
felice
natività
espressiva
,
da
una
vena
di
lingua
viva
che
scorre
da
per
tutto
e
rinfresca
e
s
'
addentra
permanendo
a
toccar
con
la
parola
,
senza
che
si
veda
come
,
perché
lì
,
ogni
volta
,
la
parola
è
la
cosa
stessa
,
non
più
detta
,
ma
viva
.
Non
è
questo
.
È
ciò
che
in
principio
ho
notato
come
una
cosa
veramente
mirabile
;
la
comprensione
radicale
,
il
possesso
pieno
ed
assoluto
che
il
Tozzi
ha
di
quel
suo
mondo
da
esprimere
,
che
gli
ha
permesso
d
'
esprimerlo
quasi
col
procedimento
stesso
della
vita
,
in
cui
tutto
,
quando
si
stia
dentro
,
non
si
guardi
da
fuori
e
da
lontano
,
par
che
vada
a
caso
e
che
si
svolga
per
eventi
accidentali
,
giorno
per
giorno
,
oggi
così
e
domani
chi
sa
come
...
Si
direbbe
naturalismo
:
ma
non
è
neanche
questo
;
perché
qui
tutto
,
invece
,
è
atto
e
movimento
lirico
.
Quel
che
pare
naturalismo
è
invece
scrupolosa
lealtà
da
parte
dello
scrittore
,
il
suo
bisogno
ansioso
e
urgente
d
'
una
controllata
aderenza
dell
'
espressione
al
sentimento
suscitato
in
lui
dalle
cose
vedute
o
immaginate
in
questo
o
in
quel
luogo
,
in
questa
e
in
quell
'
ora
,
nella
tale
stagione
,
e
così
o
così
;
tutto
per
esser
poi
mosso
con
intera
padronanza
,
come
l
'
animo
dei
personaggi
,
e
anzi
,
nell
'
animo
stesso
dei
personaggi
,
allo
stesso
modo
,
con
la
più
naturale
variabilità
di
luci
e
di
colori
,
cosicché
nulla
posi
descritto
,
ma
viva
e
respiri
e
svarii
con
tutte
le
sue
mutevoli
precisioni
anche
il
paesaggio
.
E
come
non
posa
mai
descritto
il
paesaggio
,
così
non
si
sofferma
mai
raccontata
la
passione
di
Pietro
Rosi
per
Ghisola
,
né
mai
si
fissano
delineati
i
caratteri
e
le
figure
di
questi
e
degli
altri
personaggi
,
che
nell
'
instabile
rappresentazione
momentanea
ci
si
muovono
davanti
,
coi
loro
pensieri
subitanei
,
i
loro
capricci
,
le
loro
smanie
,
e
sofferenze
e
aspirazioni
e
illusioni
e
scontentezze
e
disinganni
,
ciascuno
con
tutte
le
sue
possibilità
d
'
essere
,
così
nel
bene
come
nel
male
,
soggetti
,
non
a
un
preconcetto
disegno
del
loro
autore
,
ma
quasi
a
ogni
possibile
evenienza
della
loro
sorte
;
e
noi
li
seguiamo
con
ansia
,
non
sapendo
mai
,
non
potendo
mai
prevedere
che
cosa
debba
o
possa
esser
di
loro
tra
poco
,
perché
se
i
casi
che
a
volta
a
volta
capitano
ad
essi
non
fossero
questi
,
ma
altri
,
essi
avrebbero
pure
in
sé
,
ben
note
a
noi
,
tutte
le
possibilità
d
'
una
diversa
vita
e
d
'
un
diverso
destino
.
Quella
Ghisola
,
così
viva
tutta
,
che
si
perde
,
e
quel
suo
Pietro
che
non
vede
,
sempre
vagante
in
cerca
di
sé
stesso
...
Ma
perché
così
?
ci
domandiamo
,
pur
sapendo
e
sentendo
che
così
è
giusto
,
e
che
è
soltanto
una
nostra
pena
per
loro
che
li
vorrebbe
altrimenti
.
È
così
.
E
non
perché
questo
sia
un
romanzo
della
loro
vita
;
ma
perché
la
loro
vita
è
in
questo
romanzo
,
così
.
E
il
romanzo
di
Federigo
Tozzi
,
per
questo
loro
modo
d
'
essere
,
che
è
poi
il
vero
modo
d
'
essere
,
appar
tutto
nuovo
e
una
cosa
veramente
viva
.
StampaQuotidiana ,
Chiuso
in
Italia
,
con
i
primi
anni
del
secolo
,
il
tempo
della
poesia
dei
«
grandi
professori
»
,
dei
dotti
rimatori
,
dei
vati
dalle
pupille
fiammeggianti
o
dal
cuore
di
«
fanciulloni
»
,
spenti
gli
ultimi
echi
delle
odi
civili
,
condannata
o
quasi
la
qualità
oratoria
dei
carmi
,
il
nostro
,
con
ogni
probabilità
apparirà
ai
posteri
come
il
tempo
dei
poeti
autodidatti
.
I
bassorilievi
con
le
immagini
delle
Muse
sono
scomparse
dagli
studi
dei
poeti
.
Cerchiamo
entro
al
fondo
dell
'
esperienza
culturale
nelle
stagioni
giovanili
di
quelli
che
sono
i
poeti
d
'
oggi
.
Troviamo
ingegneri
o
studenti
di
ingegneria
,
matematici
(
come
lo
fu
Valéry
)
,
giovanotti
che
ad
un
certo
momento
chiedono
il
pane
al
mestiere
di
antiquari
,
correttori
di
bozze
,
segretari
di
sindacati
,
se
non
sbaglio
,
dei
selciaroli
romani
-
parlo
di
Cardarelli
-
interpreti
e
traduttori
in
un
Ministero
degli
Esteri
,
come
Ungaretti
.
Verso
la
fine
dell
'
Ottocento
era
di
moda
compilare
dei
volumi
con
il
titolo
Il
primo
passo
,
nei
quali
gli
scrittori
raccontavano
per
quale
timido
o
fortunato
sentiero
fossero
giunti
ad
aprire
un
primo
spiraglio
nell
'
uscio
della
gloria
.
Anche
l
'
Italia
ha
avuto
i
suoi
giovani
poeti
infelici
,
i
suoi
poètes
maudits
o
addirittura
folli
e
vagabondi
come
Campana
:
ragazzi
che
aspiravano
a
diventare
attori
come
Palazzeschi
e
Moretti
,
giovani
condannati
dalla
tisi
come
Gozzano
:
e
anche
giovani
poeti
suicidi
,
o
,
al
tempo
del
primo
Futurismo
,
versoliberisti
che
,
otto
ore
al
giorno
,
sbrigavano
pratiche
al
Fondo
Culti
,
dietro
la
romana
Villa
Aldobrandini
.
Il
futurismo
,
che
arruolò
tanta
«
nuova
accademia
»
ebbe
poeti
maestri
di
scienze
tragiche
e
gelide
,
come
la
chirurgia
.
Altri
poeti
vissero
per
decine
d
'
anni
sepolti
in
una
biblioteca
o
in
una
libreria
«
circolante
»
.
Più
tardi
i
poeti
trovarono
il
loro
pane
nei
giornali
,
scrivendo
note
di
cronaca
nera
,
o
nel
mondo
del
rotocalco
,
componendo
in
righe
di
esatta
misura
didascalie
per
fotografie
di
moda
,
o
in
case
editrici
,
con
le
scrivanie
cintate
da
barricate
di
manoscritti
.
Ora
che
il
lauro
del
Premio
Nobel
corona
l
'
opera
di
Salvatore
Quasimodo
-
primo
poeta
nostro
che
venga
a
collocare
il
suo
nome
accanto
a
quello
di
Giosuè
Carducci
,
Nobel
del
1906
-
verranno
probabilmente
scritte
lunghe
pagine
sulla
storia
della
sua
vita
.
La
poesia
di
Quasimodo
non
ha
i
caratteri
autobiografici
che
usarono
nel
tempo
passato
:
sarà
difficile
raccogliere
le
citazioni
per
una
,
come
dice
una
collana
francese
,
vie
par
lui
même
.
La
sua
lirica
non
è
fatta
di
«
confessioni
e
ricordi
»
;
non
ha
,
ci
sembra
,
sfondi
di
paesaggi
e
di
ambienti
familiari
:
né
riflessi
identificabili
di
emozioni
sentimentali
.
La
vita
di
Quasimodo
-
uomo
dal
volto
sottilmente
altero
:
la
sua
«
maschera
»
è
stata
acutamente
studiata
per
busti
modellati
dal
suo
conterraneo
Francesco
Messina
e
da
Manzù
-
può
sostanzialmente
apparire
incolore
.
Il
futuro
poeta
-
molti
pensano
che
sia
siracusano
,
venuto
al
mondo
vicino
alle
fonti
della
Ninfa
Aretusa
-
nasce
a
Modica
,
nel
retroterra
agrario
di
quella
che
fu
la
Magna
Grecia
mediterranea
.
Vive
la
fanciullezza
in
una
piccola
stazione
ferroviaria
della
Sicilia
,
col
padre
che
spera
di
fare
di
lui
,
quando
sarà
uomo
,
un
ingegnere
.
Letture
infantili
di
grandi
poeti
:
studi
tecnici
e
scientifici
a
Messina
.
Dopo
due
anni
di
ingegneria
,
non
può
continuare
l
'
università
e
si
adatta
a
lavorare
da
geometra
:
campa
con
un
po
'
di
lavoro
avventizio
come
disegnatore
nello
studio
di
un
ingegnere
;
si
impiega
come
commesso
in
un
grande
«
emporio
»
milanese
;
riprende
la
sua
attività
di
geometra
per
quella
carriera
che
in
Francia
si
chiama
dei
ponts
et
chaussées
.
I
ricordi
più
antichi
della
figura
di
Quasimodo
-
che
ha
già
presentato
qualche
lirica
in
«
Solaria
»
e
per
il
quale
il
«
rondismo
»
appartiene
ad
una
generazione
che
ha
già
definito
e
concluso
il
proprio
ciclo
-
si
inquadrano
nel
mondo
milanese
après
1930
.
Egli
rappresenta
la
generazione
dei
giovani
emigranti
intellettuali
che
sono
«
piovuti
»
a
Milano
senza
precise
idee
su
quelle
che
potrà
essere
il
loro
lavoro
,
senza
precisabili
titoli
di
studio
,
senza
grosse
aderenze
nel
mondo
editoriale
che
non
vuole
poesia
e
cerca
ancora
gli
eredi
di
Da
Verona
.
Ecco
-
probabilmente
abitano
in
modestissime
camere
ammobiliate
-
un
tavolo
al
Savini
:
ma
assai
in
disparte
da
quelli
dei
giornalisti
famosi
,
delle
attrici
,
degli
autori
drammatici
:
distanti
anche
dal
tavolo
dove
siedono
i
pittori
del
gruppo
del
Novecento
.
È
il
tavolo
,
per
citare
qualche
nome
,
di
Francesco
Messina
,
di
Cesare
Zavattini
,
di
Raffaele
Carrieri
,
del
giovane
ingegnere
e
poeta
Leonardo
Sinisgalli
,
del
poeta
Orazio
Napoli
,
del
giovane
novelliere
toscano
Arturo
Tofanelli
,
del
pittore
Domenico
Cantatore
.
Gli
italiani
fanno
della
storia
e
della
critica
letteraria
di
toni
cogitabondi
.
Dall
'
aneddotica
,
dalla
cronaca
,
dal
diarismo
ci
si
tiene
al
largo
.
La
vita
della
Milano
di
quegli
anni
-
eppure
fu
la
città
del
Futurismo
,
della
Pittura
Metafisica
,
del
«
Novecento
»
,
dell
'
Ermetismo
-
non
ha
avuto
il
suo
André
Salmon
,
come
lo
ha
avuto
Parigi
.
Uomo
segretamente
inquieto
sotto
una
maschera
di
apparente
mutismo
,
Quasimodo
-
poeta
dal
nome
subito
indimenticabile
,
almeno
per
chi
abbia
letto
Notre
-
Dame
di
Victor
Hugo
-
sta
al
centro
di
quel
mondo
senza
riti
o
premi
letterari
.
Il
cenacolo
finirà
,
con
gli
anni
,
a
disperdersi
per
varie
vie
.
Adesso
,
inserito
nella
storia
letteraria
dal
Nobel
assegnato
a
quello
che
era
allora
il
geometra
di
Modica
,
esso
assume
una
sua
precisa
fisionomia
:
è
il
Cenacolo
di
Quasimodo
.
Erano
i
tempi
del
volume
di
liriche
Oboe
sommerso
,
di
sapore
,
mi
sembra
,
un
po
'
alla
Debussy
.
Quasimodo
diventa
un
portabandiera
dell
'
Ermetismo
.
I
suoi
primi
critici
sono
Montale
,
Giansiro
Ferrata
,
Vittorini
,
cui
seguono
Solmi
,
Anceschi
,
Bo
,
Vigorelli
.
Lo
definiscono
il
poeta
dalla
«
voce
assorta
»
che
modula
gli
echi
di
una
accorata
mitologia
decantata
dalle
scorie
di
qualunque
scolasticismo
.
In
breve
giro
d
'
anni
,
alcuni
suoi
versi
(
Ed
è
subito
sera
)
diventano
famosi
.
La
nonna
di
Quasimodo
ha
origini
greche
:
il
nipote
pensa
all
'
Ellade
come
ad
una
patria
perduta
,
e
al
mondo
come
il
misterioso
luogo
in
cui
tutti
cerchiamo
una
nostra
patria
,
e
cioè
la
fonte
di
tutte
le
nostre
origini
e
lo
schermo
di
tutte
le
nostre
speranze
.
Senza
singhiozzi
romantici
,
senza
«
fatti
personali
»
,
senza
autobiografiche
confessioni
desolate
,
vorrei
dire
che
Quasimodo
appare
ispirato
da
una
Musa
con
le
palpebre
mestamente
socchiuse
.
Idealmente
,
egli
è
riapprodato
al
sogno
delle
sue
antichissime
origini
ancestrali
,
attraverso
lo
studio
della
poesia
ellenica
,
al
quale
l
'
autodidatta
ha
potuto
dedicarsi
solo
alle
soglie
dell
'
età
matura
,
come
un
premio
della
giovinezza
povera
,
affaticata
,
oscuramente
laboriosa
.
Vicino
ormai
ai
sessant
'
anni
,
salvato
dalla
durissima
minaccia
di
una
malattia
che
stava
per
spezzare
il
suo
cuore
,
simile
in
tante
fasi
della
sua
vita
ad
un
«
ulisside
della
speranza
»
,
egli
parla
,
in
una
lirica
,
di
un
compagno
di
fanciullezza
,
nel
cui
volto
,
però
,
ci
pare
egli
guardi
se
stesso
come
in
uno
specchio
:
e
quel
fanciullo
io
amavo
/
sopra
gli
altri
;
destro
/
nel
gioco
della
lippa
e
delle
piastre
/
e
tacito
sempre
e
senza
riso
.
StampaQuotidiana ,
I
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
sdegnano
d
'
esser
tenuti
in
conto
di
letterati
,
perché
dicono
e
sostengono
che
il
teatro
è
teatro
e
non
è
letteratura
.
Non
vogliamo
malignare
fino
al
punto
di
credere
che
la
ragione
di
questo
loro
sdegno
abbia
in
gran
parte
radice
nella
serietà
dei
loro
guadagni
di
fronte
all
'
irrisorio
scherzo
dei
meschini
compensi
di
quei
poveri
illusi
che
sono
i
letterati
puri
.
Certo
essi
hanno
regolata
da
parte
loro
l
'
azienda
del
teatro
come
un
qualunque
istituto
commerciale
,
che
si
difende
da
altri
istituti
ugualmente
commerciali
,
interessati
da
un
'
altra
parte
nella
stessa
azienda
:
quello
dei
capocomici
e
quello
dei
proprietarii
e
gerenti
dei
teatri
:
norme
per
la
cessione
a
questa
o
a
quella
compagnia
della
loro
produzione
;
assegnazione
di
"
piazze
"
;
percentuale
su
gl
'
incassi
fissata
avanti
,
tanto
per
la
prima
rappresentazione
,
tanto
per
la
seconda
,
tanto
per
le
altre
seguenti
,
della
cui
riscossione
è
incaricata
la
Società
degli
Autori
di
Milano
,
la
quale
alla
fine
d
'
ogni
trimestre
manda
ai
soci
un
rendiconto
dei
proventi
,
che
per
dir
la
verità
per
quanto
male
vada
un
dramma
o
una
commedia
superano
sempre
di
molto
quelli
che
ogni
altro
scrittore
o
di
novelle
o
di
romanzi
(
non
parliamo
per
carità
dei
poeti
!
)
ricava
dalla
vendita
dei
suoi
libri
.
Non
c
'
è
dubbio
che
tutto
questo
non
ha
niente
da
vedere
con
la
letteratura
.
Possiamo
anche
concedere
che
veramente
il
loro
teatro
,
com
'
essi
vogliono
,
cioè
quella
loro
produzione
più
o
meno
abbondante
di
drammi
e
di
commedie
lanciata
sul
mercato
teatrale
,
non
è
letteratura
.
Resta
però
da
vedere
non
essendo
letteratura
come
e
sotto
qual
nuova
specie
debbano
essere
considerati
quei
loro
drammi
e
quelle
loro
commedie
,
quando
da
copioni
diventano
libri
,
quando
dalla
buca
del
suggeritore
passano
nella
vetrina
d
'
un
librajo
,
non
più
scritti
a
macchina
ma
stampati
da
un
editore
,
quando
dai
lauti
proventi
che
la
voce
e
il
gesto
degli
attori
han
procacciato
loro
dalle
tavole
d
'
un
palcoscenico
,
scendono
a
pietosamente
mendicare
le
tre
lirette
,
prezzo
di
copertina
,
tra
quegli
altri
mendicanti
esposti
alla
carità
pubblica
,
che
sono
i
volumi
di
novelle
e
i
romanzi
dei
poveri
letterati
puri
.
Ma
lasciamo
una
buona
volta
tutta
questa
contabilità
,
e
veniamo
a
noi
.
Qua
c
'
è
un
grosso
malinteso
da
chiarire
.
E
il
malinteso
consiste
appunto
nella
parola
letteratura
.
I
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
scrivono
male
,
non
solo
perché
non
sanno
o
non
si
sono
mai
curati
di
scriver
bene
,
ma
perché
credono
in
coscienza
che
lo
scriver
bene
a
teatro
,
sia
da
letterati
,
e
che
bisogni
invece
scrivere
in
quel
certo
modo
parlato
come
scrivon
loro
,
che
non
sappia
di
letteratura
,
perché
i
personaggi
dei
loro
drammi
e
delle
loro
commedie
dicono
non
essendo
letterati
,
non
possono
parlare
sulla
scena
come
tali
,
cioè
bene
;
debbono
parlar
come
si
parla
,
senza
letteratura
.
Così
dicendo
,
non
sospettano
neppur
lontanamente
ch
'
essi
confondono
lo
scriver
bene
con
lo
scriver
bello
,
o
piuttosto
,
non
vedono
di
cadere
in
questo
errore
:
che
scriver
bene
significhi
scriver
bello
;
e
non
pensano
che
lo
scriver
bello
di
certi
falsi
letterati
è
,
di
fronte
all
'
estimativa
estetica
,
per
un
eccesso
contrario
,
lo
stesso
vizio
del
loro
scriver
male
:
letteratura
che
non
è
arte
,
vale
a
dire
cattiva
letteratura
tanto
quella
di
chi
scrive
bello
,
quanto
quella
di
chi
scrive
male
,
e
condannabile
perciò
come
tale
,
anche
se
essi
non
vogliono
passar
per
letterati
.
Scriver
bene
un
dramma
o
una
commedia
non
significa
far
parlare
i
personaggi
in
una
forma
letteraria
,
cioè
in
un
linguaggio
non
parlato
e
per
sé
stesso
letterario
.
Questo
è
scriver
bello
.
Bisogna
far
parlare
i
personaggi
come
,
dato
il
loro
carattere
,
date
le
loro
qualità
e
condizioni
,
nei
varii
momenti
dell
'
azione
,
debbono
parlare
.
E
questo
non
vuol
mica
dire
che
ne
risulterà
un
linguaggio
comune
e
non
letterario
.
Che
significa
"
non
letterario
"
se
s
'
intende
far
opera
d
'
arte
?
Il
linguaggio
non
sarà
mai
comune
;
perché
sarà
proprio
a
quel
dato
personaggio
in
quella
data
scena
,
proprio
del
suo
carattere
,
della
sua
passione
o
del
suo
giuoco
.
E
se
i
personaggi
parleranno
ciascuno
in
questo
lor
proprio
modo
,
e
non
secondo
la
sciatteria
volgare
d
'
un
linguaggio
impreciso
,
approssimativo
,
che
denoterà
soltanto
la
incapacità
dell
'
autore
a
trovar
la
giusta
espressione
perché
non
sa
scrivere
,
la
commedia
sarà
scritta
bene
,
e
una
commedia
scritta
bene
,
se
anche
ben
concepita
e
ben
condotta
,
è
opera
d
'
arte
letteraria
come
un
bel
romanzo
o
una
bella
novella
o
una
bella
lirica
.
La
verità
è
che
i
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
son
tutti
rimasti
fermi
a
quella
beata
poetica
del
naturalismo
,
che
confuse
il
fatto
fisico
,
il
fatto
psichico
e
il
fatto
estetico
in
tale
graziosa
maniera
,
che
al
fatto
estetico
venne
a
dare
(
almeno
teoreticamente
,
poiché
in
pratica
non
era
possibile
)
quel
carattere
di
necessità
meccanica
e
quella
fissità
che
sono
proprie
del
fatto
fisico
.
Ora
bisogna
porsi
bene
in
mente
che
l
'
arte
,
in
qualunque
sua
forma
(
dico
l
'
arte
letteraria
,
di
cui
la
drammatica
è
una
delle
tante
forme
)
non
è
imitazione
o
riproduzione
,
ma
creazione
.
La
questione
del
linguaggio
,
dunque
se
e
come
debba
esser
parlato
;
la
pretesa
difficoltà
di
trovare
in
Italia
una
lingua
veramente
parlata
in
tutta
la
nazione
,
e
l
'
altra
questione
d
'
una
vita
nazionale
veramente
italiana
che
manca
per
dar
materia
e
carattere
a
un
teatro
che
si
possa
dire
italiano
,
come
se
appunto
natura
e
ufficio
dell
'
arte
fosse
la
riproduzione
necessaria
di
questa
vita
,
che
ciascuno
possa
riconoscere
per
dati
e
fatti
esteriori
;
e
tutte
quelle
altre
angustiose
quisquilie
e
vane
superstizioni
della
così
detta
tecnica
,
che
dovrebbe
rispecchiare
(
sempre
in
teoria
,
poiché
in
pratica
non
è
possibile
)
l
'
azione
come
ce
la
vediamo
svolgere
sotto
gli
occhi
nella
realtà
quotidiana
;
tutto
questo
è
tormento
accattato
di
martiri
volontarii
d
'
un
sistema
assurdo
,
d
'
una
aberrata
poetica
,
per
fortuna
da
un
gran
pezzo
ormai
superata
,
ma
a
cui
,
ripeto
,
dimostrano
d
'
esser
rimasti
fermi
i
signori
professionisti
del
teatro
.
Non
si
tratta
d
'
imitare
o
di
riprodurre
la
vita
;
e
questo
,
per
la
semplicissima
ragione
che
non
c
'
è
una
vita
che
stia
come
una
realtà
per
sé
,
da
riprodurre
con
caratteri
suoi
proprii
:
la
vita
è
flusso
continuo
e
indistinto
e
non
ha
altra
forma
all
'
infuori
di
quella
che
a
volta
a
volta
le
diamo
noi
,
infinitamente
varia
e
continuamente
mutevole
.
Ciascuno
in
realtà
crea
a
sé
stesso
la
propria
vita
:
ma
questa
creazione
,
purtroppo
,
non
è
mai
libera
,
non
solo
perché
soggetta
a
tutte
le
necessità
naturali
e
sociali
che
limitano
le
cose
,
gli
uomini
e
le
loro
azioni
e
li
deformano
e
li
contrariano
fino
a
farli
fallire
e
cader
miseramente
;
non
è
mai
libera
anche
perché
,
nella
creazione
della
nostra
vita
,
la
nostra
volontà
tende
quasi
sempre
,
per
non
dir
proprio
sempre
,
a
fini
di
pratica
utilità
,
il
raggiungimento
di
una
condizione
sociale
,
ecc
.
,
che
inducono
ad
azioni
interessate
e
costringono
a
rinunzie
o
a
doveri
,
che
sono
naturalmente
limitazioni
di
libertà
.
Soltanto
l
'
arte
,
quando
è
vera
arte
,
crea
liberamente
:
crea
,
cioè
,
una
realtà
che
ha
solamente
in
sé
stessa
le
sue
necessità
,
le
sue
leggi
,
il
suo
fine
,
poiché
la
volontà
non
agisce
più
fuori
,
a
vincere
tutti
gli
ostacoli
che
si
oppongono
a
quei
fini
di
pratica
utilità
a
cui
tendiamo
nell
'
altra
creazione
interessata
,
voglio
dire
in
quella
che
tutti
ci
sforziamo
di
fare
,
quotidianamente
,
della
nostra
vita
,
così
come
possiamo
;
ma
agisce
interiormente
,
nella
vita
a
cui
intendiamo
dar
forma
,
e
di
questa
forma
appunto
,
ancora
dentro
di
noi
,
ma
già
viva
per
sé
stessa
e
dunque
quasi
del
tutto
ormai
indipendente
da
noi
,
diviene
il
movimento
.
E
questa
è
la
vera
e
l
'
unica
tecnica
:
la
volontà
intesa
come
libero
,
spontaneo
e
immediato
movimento
della
forma
,
quando
cioè
non
siamo
più
noi
a
voler
questa
forma
così
o
così
,
per
un
nostro
fine
;
ma
è
lei
,
assolutamente
libera
,
poiché
non
ha
altro
fine
che
in
sé
stessa
,
lei
che
si
vuole
,
lei
che
provoca
in
sé
e
in
noi
gli
atti
capaci
di
effettuarla
fuori
in
un
corpo
:
statua
,
quadro
,
libro
;
e
allora
soltanto
il
fatto
estetico
è
compiuto
.
Fuori
,
ordinariamente
,
le
azioni
che
mettono
in
rilievo
un
carattere
si
stagliano
su
un
fondo
di
contingenze
senza
valore
,
di
particolari
comuni
a
tutti
.
Volgari
ostacoli
impreveduti
,
improvvisi
,
deviano
le
azioni
,
deturpano
i
caratteri
;
piccole
miserie
accidentali
spesso
li
sminuiscono
.
L
'
arte
libera
le
cose
,
gli
uomini
e
le
loro
azioni
da
queste
contingenze
senza
valore
,
da
questi
particolari
comuni
,
da
questi
volgari
ostacoli
,
da
queste
accidentali
miserie
:
in
un
certo
senso
,
li
astrae
:
cioè
,
rigetta
,
senza
neppur
badarvi
,
tutto
ciò
che
contraria
la
concezione
dell
'
artista
e
aggruppa
invece
tutto
ciò
che
,
in
accordo
con
essa
,
le
dà
più
forza
e
più
ricchezza
.
Crea
così
un
'
opera
che
non
è
,
come
la
natura
,
senz
'
ordine
(
almeno
apparente
)
e
irta
di
contradizioni
,
ma
quasi
un
piccolo
mondo
in
cui
tutti
gli
elementi
si
tendono
a
vicenda
e
a
vicenda
cooperano
.
In
questo
senso
appunto
l
'
artista
idealizza
.
Non
già
che
egli
rappresenti
tipi
o
dipinga
idee
:
semplifica
e
concentra
.
L
'
idea
che
egli
ha
dei
suoi
personaggi
,
il
sentimento
che
spira
da
essi
evocano
le
immagini
espressive
,
le
aggruppano
e
le
combinano
.
I
particolari
inutili
spariscono
;
tutto
ciò
che
è
imposto
dalla
logica
vivente
del
carattere
è
riunito
,
concentrato
nell
'
unità
d
'
un
essere
,
diciamo
così
,
meno
reale
e
tuttavia
più
vero
.
Ma
ecco
ora
in
che
consiste
la
soggezione
inovviabile
del
teatro
,
rispetto
all
'
opera
d
'
arte
che
ha
già
avuto
la
sua
espressione
definitiva
,
unica
,
nelle
pagine
dello
scrittore
.
Questa
che
è
già
espressione
,
questa
che
è
già
forma
,
bisogna
che
diventi
materia
;
una
materia
a
cui
gli
attori
,
secondo
i
loro
mezzi
e
le
loro
capacità
,
debbono
a
lor
volta
dare
forma
.
Perché
l
'
attore
,
se
non
vuole
(
né
può
volerlo
)
che
le
parole
scritte
del
dramma
gli
escano
dalla
bocca
come
da
un
portavoce
o
da
un
fonografo
,
bisogna
che
riconcepisca
,
come
sa
,
il
personaggio
,
lo
concepisca
cioè
a
sua
volta
per
conto
suo
;
bisogna
che
l
'
immagine
già
espressa
torni
ad
organarsi
in
lui
e
tenda
a
divenire
il
movimento
che
la
effettui
e
la
renda
reale
sulla
scena
.
Anche
per
lui
,
insomma
,
l
'
esecuzione
bisogna
che
balzi
viva
dalla
concezione
,
e
soltanto
per
virtù
di
essa
,
per
movimenti
cioè
promossi
dall
'
immagine
stessa
,
viva
e
attiva
,
non
solo
dentro
di
lui
,
ma
divenuta
con
lui
e
in
lui
anima
e
corpo
.
Ora
,
benché
non
nata
nell
'
attore
spontaneamente
,
ma
suscitata
nello
spirito
di
lui
dall
'
espressione
dello
scrittore
,
questa
immagine
può
esser
mai
la
stessa
?
può
non
alterarsi
,
non
modificarsi
passando
da
uno
spirito
a
un
altro
?
Non
sarà
più
la
stessa
.
Sarà
magari
una
immagine
approssimativa
,
più
o
meno
somigliante
;
ma
la
stessa
,
no
.
Quel
dato
personaggio
sulla
scena
dirà
le
stesse
parole
del
dramma
scritto
,
ma
non
sarà
mai
quello
del
poeta
,
perché
l
'
attore
l
'
ha
ricreato
in
sé
,
e
sua
è
l
'
espressione
quantunque
non
siano
sue
le
parole
,
sua
la
voce
,
suo
il
corpo
,
suo
il
gesto
.
L
'
opera
letteraria
è
il
dramma
e
la
commedia
concepita
e
scritta
dal
poeta
:
quella
che
si
vedrà
in
teatro
non
è
e
non
potrà
essere
altro
che
una
traduzione
scenica
.
Tanti
attori
e
tante
traduzioni
,
più
o
meno
fedeli
,
più
o
meno
felici
;
ma
,
come
ogni
traduzione
,
sempre
e
per
forza
inferiori
all
'
originale
.
Perché
,
se
ci
pensiamo
bene
,
l
'
attore
deve
fare
e
fa
per
forza
il
contrario
di
ciò
che
ha
fatto
il
poeta
.
Rende
,
cioè
,
più
reale
e
tuttavia
men
vero
il
personaggio
creato
dal
poeta
,
gli
toglie
tanto
,
cioè
,
di
quella
verità
ideale
,
superiore
,
quanto
più
gli
dà
di
quella
realtà
materiale
,
comune
;
e
lo
fa
men
vero
anche
perché
lo
traduce
nella
materialità
fittizia
e
convenzionale
d
'
un
palcoscenico
.
L
'
attore
insomma
necessariamente
dà
una
consistenza
artefatta
,
in
un
ambiente
posticcio
,
illusorio
,
a
persone
e
ad
azioni
che
hanno
già
avuto
un
'
espressione
di
vita
ideale
,
qual
è
quella
dell
'
arte
e
che
vivono
e
respirano
in
una
realtà
superiore
.
E
allora
?
Hanno
ragione
i
signori
autori
drammatici
,
che
non
vedono
altro
che
il
teatro
,
e
che
dicono
e
sostengono
che
il
teatro
è
teatro
e
non
letteratura
?
Se
per
teatro
deve
intendersi
quel
luogo
dove
si
fanno
rappresentazioni
serali
e
diurne
,
con
degli
attori
,
a
cui
essi
dànno
argomento
e
materia
da
formare
quasi
lì
per
lì
in
scene
d
'
effetto
,
drammatiche
o
comiche
,
sì
.
Ma
in
questo
caso
,
come
posizione
di
fronte
all
'
arte
,
bisogna
che
si
rassegnino
a
stare
nella
stessa
linea
di
quei
facili
fucinatori
di
versi
che
si
prestano
a
fare
le
poesiole
sotto
le
vignette
di
certe
riviste
illustrate
.
Scrivono
,
non
per
il
testo
,
ma
per
la
traduzione
.
E
veramente
,
allora
,
non
ha
bisogno
affatto
di
letteratura
il
loro
teatro
.
Materia
per
gli
attori
;
a
cui
gli
attori
daranno
vita
e
consistenza
sulla
scena
.
Qualche
cosa
,
insomma
,
come
gli
scenarii
della
commedia
dell
'
arte
.
Ma
per
noi
il
teatro
vuol
essere
un
'
altra
cosa
.
StampaQuotidiana ,
Malato
da
molti
anni
,
Umberto
Saba
,
forse
,
soffriva
soprattutto
di
melanconia
e
di
una
complessa
angoscia
che
doveva
in
gran
parte
risalire
al
trauma
di
cui
aveva
duramente
sofferto
durante
il
lungo
periodo
delle
persecuzioni
razziali
.
Il
problema
del
«
sangue
»
,
come
quello
della
religione
,
era
stato
presente
nella
sua
vita
fin
da
quando
il
padre
suo
aveva
abbandonato
la
moglie
ebrea
,
lasciandola
sola
e
in
povertà
con
un
bambino
gracile
e
pallido
.
Il
seme
di
una
cupa
ingiustizia
lo
aveva
accompagnato
fin
dall
'
infanzia
.
Nato
cattolico
,
aveva
voluto
dichiararsi
spiritualmente
ebraico
,
scegliendo
fra
quello
paterno
e
quello
materno
,
quest
'
ultimo
sangue
;
e
si
era
iscritto
alla
comunità
israelita
.
Al
tempo
delle
leggi
razziali
,
non
aveva
ancora
sessant
'
anni
,
ma
era
stanco
,
pallido
,
esangue
sino
a
sembrare
quasi
cereo
.
Egli
fu
considerato
un
«
ebreo
volontario
»
.
Per
questo
,
la
sua
«
posizione
»
si
presentava
gravissima
.
Saba
non
era
certamente
un
uomo
preparato
a
lottare
se
non
per
problemi
puramente
spirituali
.
Aveva
amato
l
'
Italia
con
un
amore
che
l
'
aveva
condotto
a
lasciare
Trieste
nel
1914
e
ad
arruolarsi
volontario
con
gli
altri
irredenti
.
Poi
si
era
ritirato
nella
città
amata
e
finalmente
liberata
.
Non
aveva
la
possibilità
di
una
professione
precisa
:
aveva
pubblicato
,
nelle
edizioni
della
«
Voce
»
due
piccole
raccolte
di
versi
che
non
gli
avevano
dato
diritti
d
'
autore
se
non
per
acquistare
qualche
pacchetto
di
sigarette
.
Non
poteva
vivere
con
il
semplice
pane
della
buona
stima
letteraria
fruttata
da
quei
versi
.
Nel
191.9
,
lasciato
a
casa
il
«
grigioverde
»
,
passeggiando
per
le
vie
di
Trieste
,
si
fermò
davanti
ad
una
libreria
antiquaria
in
strada
San
Nicolò
.
Dopo
qualche
giorno
il
padrone
della
bottega
lo
osservò
:
fattosi
sulla
soglia
della
bottega
,
attaccò
discorso
e
gli
confidò
,
che
non
solo
i
volumi
,
ma
l
'
intero
«
commercio
»
era
in
vendita
.
Da
quel
colloquio
nacque
il
Saba
libraio
antiquario
.
I
suoi
contatti
con
il
mondo
sarebbero
stati
rarissimi
-
Saba
aveva
troppi
«
complessi
»
per
noti
esser
destinato
all
'
esistenza
del
deraciné
:
solo
nelle
quattro
stanze
di
casa
,
con
la
moglie
e
con
la
figlia
,
la
sua
«
pianticella
»
fioriva
serena
-
se
ogni
tanto
le
necessità
del
commercio
librario
non
lo
avessero
costretto
a
prendere
un
treno
per
recarsi
a
Milano
o
a
Firenze
per
qualche
acquisto
.
Allora
Saba
appariva
-
ma
non
andava
a
cercare
nessuno
:
bisognava
incontrarlo
per
caso
-
nelle
città
dove
la
vita
letteraria
era
più
intensa
.
Camminava
rasente
ai
muri
,
con
un
berretto
da
ciclista
in
capo
,
sulla
testa
calva
,
e
con
il
collo
avvolto
in
uno
scialle
.
Era
difficile
portarlo
a
discorrere
di
letteratura
o
a
esprimere
giudizi
.
Parlava
con
una
voce
di
testa
,
quasi
da
sonnambulo
,
piegata
talvolta
in
un
modulo
che
pareva
beffardo
,
ma
più
spesso
resa
soffocata
da
una
intonazione
affettuosa
.
Sapeva
che
gli
amici
della
sua
poesia
erano
pochi
;
e
non
cercava
di
aumentarli
.
La
sua
Trieste
era
quella
di
Silvio
Benco
,
di
Slataper
,
di
Svevo
:
città
di
alti
fervori
letterari
ad
un
incrocio
di
razze
e
di
lingue
.
Saba
avrebbe
potuto
assimilare
facilmente
i
profumi
e
i
sapori
del
linguaggio
poetico
più
moderno
:
ma
come
non
era
appartenuto
al
gruppo
della
«
Ronda
»
,
così
non
seguì
gli
ermetici
.
Il
suo
affetto
e
la
sua
consanguineità
erano
tutti
per
il
tempo
dello
«
Stil
nuovo
»
:
Petrarca
lo
aveva
affascinato
sin
dall
'
adolescenza
:
e
il
risultato
di
questi
affetti
si
era
già
definito
al
tempo
dei
volumetti
intitolati
Poesie
e
Coi
miei
occhi
o
di
vari
anni
prima
della
guerra
del
'15
.
Saba
era
rimasto
assolutamente
indifferente
alla
tentazione
del
Futurismo
,
così
come
era
stato
lontano
dal
dannunzianesimo
e
dal
sospiro
dei
crepuscolari
.
La
solitudine
nella
quale
amava
vivere
salvò
la
schiettezza
e
il
metallo
di
quell
'
alta
melanconia
lirica
che
ispira
il
Canzoniere
,
animato
da
temi
che
potevano
sembrare
a
volte
aspri
,
a
volte
dimessi
e
a
volte
quasi
freudianamente
inquietanti
.
Fu
poeta
d
'
amore
,
ma
di
un
amore
umbratile
,
del
.
tutto
chiuso
nella
storia
di
una
fedeltà
familiare
.
Venne
nella
sua
vita
di
uomo
non
lontano
dai
sessant
'
anni
la
tragedia
delle
persecuzioni
.
Si
rifugiò
a
Parigi
;
ma
la
nostalgia
dell
'
Italia
era
troppo
grande
.
Non
potendo
farsi
vedere
a
Trieste
,
cercò
un
riparo
a
Firenze
:
costretto
a
vagare
intimorito
da
un
nascondiglio
all
'
altro
.
Questo
affanno
e
questi
incubi
stremarono
le
sue
forze
.
Sfuggì
alla
deportazione
e
alla
morte
:
ma
nell
'
ora
della
salvezza
quello
che
si
risvegliò
ad
una
nuova
vita
era
ormai
un
uomo
distrutto
,
costretto
a
lunghissimi
riposi
,
quasi
oramai
assente
da
ogni
interesse
umano
,
se
non
al
segreto
profondo
del
cuore
avvilito
e
umiliato
dallo
spettacolo
di
crudeltà
ai
cui
limiti
sanguinosi
aveva
dovuto
vivere
.
Adesso
,
di
lui
,
resta
il
Canzoniere
,
con
il
suo
alto
carico
di
fervori
,
di
melanconie
,
di
introspezioni
,
con
i
suoi
non
corrotti
incantesimi
verbali
,
con
certe
sue
musiche
che
paiono
luci
diafane
in
lento
trascolorare
.
Che
di
un
poeta
si
possa
dire
che
la
sua
opera
«
resta
»
,
questo
è
il
massimo
approdo
.
Egli
-
all
'
anagrafe
era
Umberto
Poli
-
aveva
scelto
per
nome
di
poeta
quello
di
Saba
che
in
ebraico
vuol
dire
«
pane
»
.
Era
come
promettersi
,
con
animo
dolente
,
alla
comunione
con
gli
uomini
.
StampaQuotidiana ,
Dietro
il
cancellino
d
'
un
orto
,
due
alberetti
di
mandorlo
.
D
'
inverno
,
parevano
morti
.
Forse
erano
;
forse
no
;
o
uno
sì
e
uno
no
.
Nessuno
poteva
dirlo
,
perché
gli
alberi
che
non
siano
di
verde
perenne
bisogna
aspettar
marzo
per
vedere
quali
sono
morti
e
quali
no
.
A
marzo
si
vide
che
uno
solo
di
quei
due
alberetti
era
vivo
:
quello
dietro
al
pilastrino
più
alto
del
cancello
.
E
fu
una
pena
veder
l
'
altro
rimanere
lì
,
nudo
e
stecchito
,
accanto
a
quello
che
,
nella
chiara
mattina
,
rideva
al
sole
come
d
'
un
brillio
di
farfalle
che
vogliano
e
non
vogliano
posarsi
.
Se
non
che
,
ripassando
dopo
alcuni
giorni
davanti
al
cancellino
di
quell
'
orto
una
sorpresa
.
O
il
dubbio
d
'
aver
forse
sbagliato
la
prima
volta
.
Dei
due
alberetti
non
era
più
fiorito
quello
dietro
il
pilastrino
più
alto
;
ma
l
'
altro
.
Possibile
?
Era
piovuto
,
in
quei
giorni
,
furiosamente
.
Forse
la
furia
della
pioggia
aveva
abbattuto
i
fiori
dell
'
uno
e
svegliato
l
'
altro
dal
sonno
invernale
,
in
cui
s
'
era
troppo
indugiato
?
Ecco
,
sì
;
qualche
bianca
fogliolina
ingiallita
,
superstite
,
esitava
ancora
nei
rami
di
quello
ch
'
era
fiorito
prima
.
La
pioggia
aveva
dunque
distrutto
veramente
la
lieta
,
precoce
fioritura
.
Ma
la
sorpresa
si
rinnovò
più
viva
,
e
accompagnata
da
uno
scoppio
di
risa
,
quando
davvicino
si
poté
vedere
come
e
di
che
era
tutto
fiorito
quell
'
altro
alberetto
dietro
il
cancellino
di
quell
'
orto
chiuso
.
Signori
miei
,
di
bianche
lumachelle
!
Non
erano
fiori
!
Era
no
lumachelle
!
Tutti
i
rami
scontorti
di
quell
'
alberetto
morto
s
'
erano
incrostati
,
rabescati
di
bianche
lumachelle
,
schiumate
or
ora
dalla
terra
grassa
,
dopo
l
'
acquata
tempestosa
.
E
pareva
che
argutamente
,
nell
'
umido
grigiore
frizzante
dell
'
aria
ancora
ben
lontana
dal
rasserenarsi
,
quell
'
alberetto
,
fiorito
così
per
burla
,
dicesse
a
dispetto
dell
'
altro
che
aveva
così
presto
perduto
i
suoi
fiori
:
Eccomi
qua
!
Vedi
?
Io
sì
,
ora
,
e
tu
no
.
Fiorisco
come
posso
.
Una
fioritura
per
cui
senza
dubbio
chi
credesse
di
doverne
ridere
,
bisognava
ci
mettesse
un
po
'
di
buona
volontà
.
Perché
non
era
poi
molto
allegro
fiorir
così
.
Fioritura
finta
,
sì
;
ma
intendiamoci
.
Non
volevano
mica
parer
fiori
veri
tutte
quelle
bianche
lumachelle
;
e
né
fiori
finti
,
come
sarebbe
di
pezza
o
di
carta
o
di
cera
.
No
.
Volevano
parere
quel
che
erano
veramente
:
lumachelle
bianche
,
lì
incrostate
,
in
strani
e
pur
naturali
rabeschi
,
su
quei
rami
scontorti
dell
'
alberetto
morto
.
Oh
morto
,
sì
!
E
non
voleva
mica
dare
a
intendere
che
l
'
albero
fosse
vivo
,
quella
fioritura
di
lumachelle
.
Dava
anzi
a
veder
chiaramente
che
lo
credeva
morto
e
che
non
lo
prendeva
sul
serio
,
facendolo
fiorir
così
.
Rideva
di
sé
stessa
così
evidentemente
,
Dio
mio
,
quella
fioritura
.
La
colpa
era
di
quella
grande
acquata
,
che
prima
di
scaricarsi
aveva
per
tanto
tempo
incavernato
il
cielo
coi
neri
nuvoloni
che
la
contenevano
,
in
una
tetraggine
attonita
e
spaventevole
.
L
'
alberetto
ne
era
morto
.
Quell
'
altro
che
s
'
era
provato
,
in
una
illusione
di
sereno
,
a
fiorire
,
appena
scaricata
la
tempesta
,
aveva
subito
perduto
i
suoi
fiori
.
E
neanche
era
colpa
di
quella
fioritura
di
lumachelle
,
se
i
rami
dell
'
alberetto
,
privi
com
'
erano
di
frondi
illusorie
,
si
mostravano
così
tutti
scontorti
.
Può
la
caduca
illusione
della
primavera
nascondere
lo
scontorcimento
dei
rami
.
I
rami
nudi
non
piaceranno
ma
son
così
per
sé
,
scontorti
.
Del
resto
,
guardate
:
quanto
più
e
come
meglio
sanno
e
possono
s
'
adoperano
anch
'
esse
a
nascondere
la
triste
nudità
dei
rami
,
queste
graziose
lumachelle
.
Non
sono
tutte
gusciaglia
.
Guardate
qui
che
bollichìo
iridescente
,
ora
che
si
mettono
a
far
la
bava
!
Eh
,
i
fiori
,
profumo
;
le
lumachelle
,
bava
.
Ma
fa
pure
un
bel
vedere
,
questa
bava
che
luce
,
or
che
rigonfia
così
tutta
fervida
e
così
tutta
riflessi
e
colorata
,
or
che
risiede
frigida
,
e
vi
spuntano
per
entro
,
uno
più
lungo
e
l
'
altro
meno
,
gli
occhi
della
lumachella
che
fa
le
corna
per
guardare
intorno
,
a
tentoni
,
sorniona
.
Ma
voi
dite
:
I
fiori
veri
!
le
foglioline
vive
!
Lo
so
.
Bisognerebbe
vivere
e
non
pensare
:
dico
,
bearci
dei
fiori
(
quando
ci
sono
)
,
del
loro
profumo
,
e
dell
'
ombra
e
della
freschezza
delle
foglie
(
quando
ci
sono
)
;
e
non
riflettere
che
,
in
fondo
,
via
,
se
vogliamo
,
di
primavera
fiori
e
foglie
sono
molto
comuni
.
Si
dovrebbe
essere
come
quella
pianta
ispida
e
amara
,
che
ha
le
foglie
a
lama
con
la
spina
in
punta
,
la
pianta
che
non
vuole
neanche
esser
verde
,
che
alla
fine
fallisce
e
va
su
,
su
,
aerea
diritta
e
solitaria
,
e
in
cima
lassù
;
da
tutto
quel
suo
desiderio
estremo
d
'
altezza
e
d
'
aria
e
di
sole
esprime
un
fiore
,
un
fiore
unico
,
e
poi
muore
.
Ma
questi
alberetti
,
che
fioriscono
per
famiglie
,
quasi
in
cooperativa
,
stenti
,
angustiosi
,
tutti
allo
stesso
tempo
e
allo
stesso
modo
,
vi
assicuro
che
fan
pur
venire
a
qualche
alberetto
stravagante
la
voglia
di
morire
e
d
'
apparir
così
,
un
bel
giorno
,
fiorito
per
burla
,
di
bianche
lumachelle
.
Se
non
che
,
la
stravaganza
è
anch
'
essa
contagiosa
.
E
ahimè
,
sono
tanti
ormai
gli
alberetti
che
si
sono
messi
a
fiorir
così
di
lumachelle
!
Tanti
,
che
quasi
non
se
ne
può
più
.
IRONIA ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Seguito
,
se
non
vi
dispiace
,
a
parlare
del
"
grottesco
"
,
ma
questa
volta
seriamente
.
È
chiaro
che
,
componendo
un
grottesco
,
nessun
autore
crede
alla
realtà
in
sé
delle
cose
che
rappresenta
.
Ma
bisogna
bene
intenderci
prima
di
tutto
,
sul
non
credere
dell
'
autore
in
genere
(
non
solo
,
dunque
,
di
chi
componga
grotteschi
)
alla
realtà
del
mondo
da
lui
comunque
rappresentato
.
Si
potrebbe
dire
,
intanto
,
che
non
solamente
per
l
'
artista
,
ma
non
esiste
per
nessuno
una
rappresentazione
,
sia
creata
dall
'
arte
,
o
sia
comunque
quella
che
tutti
ci
facciamo
di
noi
stessi
e
degli
altri
e
della
vita
,
che
si
possa
credere
una
realtà
.
Sono
in
fondo
una
medesima
illusione
quella
dell
'
arte
e
quella
che
,
comunemente
,
a
noi
tutti
viene
dai
nostri
sensi
.
Pur
non
di
meno
,
noi
chiamiamo
vera
quella
dei
nostri
sensi
,
e
finta
quella
dell
'
arte
.
Tra
l
'
una
e
l
'
altra
illusione
non
è
affatto
,
però
,
questione
di
realtà
,
bensì
di
volontà
,
e
solo
in
quanto
la
finzione
dell
'
arte
è
voluta
,
voluta
non
nel
senso
che
sia
procacciata
con
la
volontà
per
un
fine
estraneo
a
sé
stessa
;
ma
voluta
per
sé
e
per
sé
amata
,
disinteressatamente
;
mentre
quella
dei
sensi
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
:
si
ha
,
come
e
in
quanto
si
hanno
i
sensi
.
E
quella
è
libera
;
e
questa
no
.
E
l
'
una
finzione
è
dunque
immagine
o
forma
di
sensazioni
,
mentre
l
'
altra
,
quella
dell
'
arte
,
è
creazione
di
forma
.
Il
fatto
estetico
,
effettivamente
,
comincia
sol
quando
una
rappresentazione
acquisti
in
noi
per
sé
stessa
una
volontà
,
cioè
quando
essa
in
sé
e
per
sé
stessa
si
voglia
,
provocando
per
questo
solo
fatto
che
si
vuole
,
il
movimento
(
tecnica
)
atto
ad
effettuarla
fuori
di
noi
.
Se
la
rappresentazione
non
ha
in
sé
questa
volontà
,
che
è
il
movimento
stesso
dell
'
immagine
,
essa
è
soltanto
un
fatto
psichico
comune
;
l
'
immagine
non
voluta
per
sé
stessa
;
fatto
spirituale
-
meccanico
,
in
quanto
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
;
ma
che
si
ha
in
quanto
risponde
in
noi
a
una
sensazione
.
Abbiamo
tutti
,
più
o
meno
,
una
volontà
che
provoca
in
noi
quei
movimenti
atti
a
creare
la
nostra
propria
vita
.
Questa
creazione
,
che
ciascuno
fa
a
sé
stesso
della
propria
vita
,
ha
bisogno
anch
'
essa
,
in
maggiore
o
minor
grado
,
di
tutte
le
funzioni
e
attività
dello
spirito
,
cioè
d
'
intelletto
e
di
fantasia
,
oltre
che
di
volontà
;
e
chi
più
ne
ha
e
più
ne
mette
in
opera
,
riesce
a
creare
a
sé
stesso
una
più
alta
e
vasta
e
forte
vita
.
La
differenza
tra
questa
creazione
e
quella
dell
'
arte
è
solo
in
questo
(
che
fa
appunto
comunissima
l
'
una
e
non
comune
l
'
altra
)
;
che
quella
è
interessata
e
questa
disinteressata
,
il
che
vuoi
dire
che
l
'
una
ha
un
fine
di
pratica
utilità
,
l
'
altra
non
ha
alcun
fine
che
in
sé
stessa
;
l
'
una
è
voluta
per
qualche
cosa
;
l
'
altra
si
vuole
per
sé
.
E
una
prova
di
questo
si
può
avere
nella
frase
che
ciascuno
di
noi
suoi
ripetere
ogni
qual
volta
,
per
disgrazia
,
contro
ogni
nostra
aspettativa
,
il
proprio
fine
pratico
,
i
proprii
interessi
siano
stati
frustrati
:
Ho
lavorato
per
amore
dell
'
arte
!
E
il
tono
con
cui
si
ripete
questa
frase
ci
spiega
la
ragione
per
cui
la
maggioranza
degli
uomini
,
che
lavorano
per
fini
di
pratica
utilità
e
non
intendono
la
volontà
disinteressata
,
suoi
chiamare
matti
i
poeti
,
quelli
cioè
in
cui
la
rappresentazione
si
vuole
per
sé
stessa
senz
'
altro
fine
che
in
sé
medesima
,
e
tale
essi
la
vogliono
,
quale
essa
si
vuole
.
Ora
una
rappresentazione
può
in
noi
volersi
anche
ironicamente
,
vale
a
dire
non
soltanto
cosciente
in
sé
della
sua
irrealità
,
ma
che
tale
anche
si
mostri
agli
altri
di
fuori
.
Perché
c
'
è
,
oltre
all
'
ironia
così
detta
retorica
,
che
consiste
in
una
contradizione
verbale
tra
quel
che
si
dice
e
quel
che
si
vuole
sia
inteso
,
un
'
altra
ironia
:
quella
filosofica
,
dedotta
dai
romantici
tedeschi
direttamente
dall
'
idealismo
soggettivo
del
Fichte
,
ma
che
ha
in
fondo
le
sue
origini
in
tutto
il
movimento
idealistico
germanico
post
-
kantiano
.
Hegel
spiegava
che
l
'
io
,
sola
realtà
vera
,
può
sorridere
della
vana
parvenza
dell
'
universo
:
come
la
pone
,
può
anche
annullarla
;
può
non
prender
sul
serio
le
proprie
creazioni
.
Onde
appunto
l
'
ironia
:
cioè
quella
forza
secondo
il
Tieck
che
permette
al
poeta
di
dominar
la
materia
che
tratta
:
materia
che
si
riduce
per
essa
secondo
Federico
Schlegel
a
una
perpetua
parodia
,
a
una
farsa
trascendentale
.
Ecco
una
bella
definizione
antica
di
molti
dei
più
significativi
grotteschi
moderni
:
farse
trascendentali
;
se
non
fosse
che
la
parola
"
farsa
"
,
per
l
'
uso
volgare
che
se
n
'
è
fatto
,
appropriandola
a
sciocchi
componimenti
di
grossolana
ilarità
,
non
ostante
quella
specificazione
di
"
trascendentale
"
,
potrebbe
indurre
gl
'
ignoranti
(
e
non
dico
i
maligni
)
a
fraintendere
.
A
non
intendere
,
cioè
,
che
sissignori
anche
una
tragedia
,
quando
si
sia
superato
col
riso
il
tragico
attraverso
il
tragico
stesso
,
scoprendo
tutto
il
ridicolo
del
serio
,
e
perciò
anche
il
serio
del
ridicolo
,
può
diventare
una
farsa
.
Una
farsa
che
includa
nella
medesima
rappresentazione
della
tragedia
la
parodia
e
la
caricatura
di
essa
,
ma
non
come
elementi
soprammessi
,
bensì
come
projezione
d
'
ombra
del
suo
stesso
corpo
,
goffe
ombre
d
'
ogni
gesto
tragico
.
O
quando
si
sia
arrivati
a
comprendere
che
,
essendo
assolutamente
arbitraria
ogni
nostra
conclusione
,
e
inevitabilmente
illusoria
,
quantunque
necessaria
,
ogni
costruzione
che
ci
facciamo
della
così
detta
realtà
arbitrio
per
arbitrio
e
irreale
per
irreale
spogliando
d
'
ogni
fittizia
apparenza
di
verità
la
favola
,
si
rappresenta
nella
sua
meccanicità
essenziale
l
'
arbitrio
di
quella
conclusione
,
e
nella
sua
frode
palese
quell
'
illusione
,
per
modo
che
appaja
quel
che
in
fondo
e
purtroppo
è
:
un
giuoco
,
ma
voluto
e
sentito
e
rappresentato
come
tale
.
Veramente
,
tra
quella
che
suol
chiamarsi
ironia
retorica
e
questa
filosofica
una
certa
parentela
si
può
scoprire
.
La
differenza
tra
l
'
una
e
l
'
altra
è
,
che
in
quella
non
bisogna
prender
sul
serio
ciò
che
si
dice
,
e
in
questa
ciò
che
si
fa
.
Ma
badiamo
:
non
prender
sul
serio
ciò
che
si
fa
,
non
vuoi
mica
dire
non
prender
l
'
arte
sul
serio
.
«
Chi
fa
un
lavoro
comico
osservò
una
volta
giustamente
il
De
Sanctis
non
è
esentato
dalle
condizioni
serie
dell
'
arte
»
.
Anzi
,
tanto
più
deve
attenersi
ad
esse
.
E
poneva
due
casi
il
De
Sanctis
:
quello
di
chi
dice
sciocchezze
con
intenzione
comica
e
fa
ridere
non
di
lui
ma
di
quel
che
dice
,
e
quello
di
chi
all
'
incontro
dice
sciocchezze
per
sciocchezze
e
fa
ridere
di
lui
e
non
di
ciò
che
ha
detto
.
Non
giurerei
che
nessuno
di
quanti
oggi
scrivon
grotteschi
non
sia
in
questo
secondo
caso
.
StampaQuotidiana ,
Senza
soffrire
,
nello
spazio
di
una
notte
,
Alberto
Savinio
si
staccò
dalla
vita
.
Già
un
anno
prima
aveva
avuto
un
duro
ammonimento
del
male
.
Invece
di
riposarsi
,
ogni
mattina
dipingeva
,
ogni
pomeriggio
componeva
musica
,
ogni
sera
scriveva
.
Pittore
,
musicista
,
scrittore
,
era
andato
così
sempre
nella
vita
emigrando
da
un
nome
all
'
altro
,
da
uno
pseudonimo
ad
un
altro
pseudonimo
,
di
arte
in
arte
,
di
città
in
città
,
dall
'
uno
all
'
altro
continente
della
cultura
e
tanto
e
tanto
avrebbe
viaggiato
nella
sempre
rinnovata
geografia
dello
spirito
.
Alla
mobilità
del
suo
spirito
,
alla
sempre
rinnovata
freschezza
dei
suoi
interessi
,
al
suo
inquieto
,
estroso
,
ammiccante
scandagliare
fra
i
mondi
dell
'
immaginazione
e
fra
quelli
della
cultura
,
corrispondeva
un
fisico
da
sedentario
,
da
uomo
di
scrivania
e
di
biblioteca
,
dall
'
occhio
assorto
,
dal
gesto
breve
.
Aveva
viaggiato
molto
:
ma
tutta
la
sua
arte
era
orientata
sugli
itinerari
di
quei
viaggi
che
De
Maistre
chiamò
autour
de
ma
chambre
.
Il
nome
di
«
magia
»
è
stato
adoperato
troppo
,
a
proposito
di
certi
aspetti
dell
'
arte
moderna
;
ma
la
camera
nella
quale
idealmente
dimorava
Savinio
meritava
di
esser
definita
come
magica
:
di
una
magia
senza
ombre
,
senza
polvere
,
senza
mostri
,
fatta
tutta
di
riflessi
di
cristallo
messi
a
specchiare
tempi
lontani
e
nitidi
presentimenti
.
Alberto
Savinio
-
figlio
di
un
ingegnere
De
Chirico
che
si
era
trasferito
in
Grecia
,
alla
fine
del
secolo
scorso
,
per
costruire
,
se
non
sbaglio
,
il
tronco
della
linea
ferroviaria
che
collega
il
percorso
dell
'
Orient
-
Express
con
Atene
-
era
nato
ad
Atene
e
il
greco
moderno
era
stato
la
lingua
della
sua
infanzia
.
Tra
i
suoi
progetti
,
mentre
l
'
età
matura
era
raggiunta
,
c
'
era
stato
quello
di
fare
,
nel
1951
,
un
viaggio
in
Grecia
per
ritornare
,
dopo
più
di
mezzo
secolo
,
sui
luoghi
dell
'
infanzia
.
Il
progetto
non
fu
realizzato
:
la
Grecia
rimase
,
per
Alberto
,
la
lontana
meravigliosa
piattaforma
dei
ricordi
di
una
infanzia
contesa
dall
'
obbligatoria
saggezza
di
un
ragazzo
che
aveva
il
padre
ammalato
-
il
vecchio
ingegnere
era
stato
inchiodato
in
una
poltrona
da
una
paralisi
-
e
che
doveva
scoprire
il
mondo
delle
favole
,
prima
che
nelle
novellette
dei
fratelli
Grimm
o
nei
romanzi
di
Verne
,
nei
racconti
omerici
.
Non
si
vive
impunemente
ad
Atene
,
andando
a
giocare
da
bambini
sulle
gradinate
del
teatro
sotto
all
'
Acropoli
o
all
'
ombra
delle
colonne
del
Partenone
.
La
mitologia
accompagnò
per
tutta
la
vita
Savinio
con
la
sua
presenza
e
con
la
sua
voce
magica
e
solenne
.
Il
Tempo
,
per
Savinio
,
si
chiamò
sempre
Cronos
e
la
Sorte
si
chiamò
Moira
.
Il
sentimento
metafisico
di
Giorgio
De
Chirico
e
quello
surrealista
di
suo
fratello
Andrea
che
doveva
emigrare
a
vent
'
anni
verso
il
nuovo
nome
di
Alberto
Savinio
avevano
come
sfondo
i
miti
o
i
riflessi
di
un
'
Ellade
dai
silenziosi
o
inquietanti
incantesimi
.
Nessuno
dei
due
figli
seguì
la
vocazione
paterna
,
che
era
stata
,
come
lo
fu
per
molti
solidi
spiriti
dell
'
Ottocento
,
quella
del
costruttore
.
Nessuna
opposizione
venne
fatta
alle
loro
aspirazioni
di
artisti
,
per
la
protezione
della
madre
che
a
Savinio
doveva
sembrare
più
tardi
come
un
nume
della
Maternità
.
Io
ricordo
con
quale
placida
eroica
fermezza
la
madre
di
Giorgio
De
Chirico
-
carica
di
strani
gioielli
e
vestita
con
abiti
di
austera
dignità
che
sembravano
quasi
un
costume
,
quasi
una
«
divisa
da
madre
»
,
seduta
a
vigilare
fra
i
quadri
della
prima
mostra
della
pittura
metafisica
di
suo
figlio
Giorgio
-
ascoltava
indifferente
i
visitatori
ridere
e
sghignazzare
davanti
alle
Muse
inquietanti
e
ai
Dioscuri
che
alla
folla
,
nel
1917
,
parevano
l
'
opera
pittorica
di
un
pazzo
.
Egualmente
coraggiosa
la
madre
era
stata
nell
'
assistere
l
'
attività
del
figlio
minore
che
si
sentiva
destinato
alla
musica
,
e
,
naturalmente
,
ad
una
musica
tutt
'
altro
che
facile
.
La
signora
De
Chirico
,
con
i
suoi
strani
gioielli
e
con
i
suoi
austeri
abiti
da
pitonessa
,
era
sempre
in
viaggio
per
vegliare
su
l
'
uno
o
su
l
'
altro
figlio
:
due
ragazzi
,
due
giovanetti
privi
,
come
si
dice
,
di
ogni
senso
pratico
,
portati
qua
e
là
nel
mondo
dell
'
arte
di
prima
della
guerra
per
studiare
pittura
a
Monaco
nell
'
aura
di
Boeklin
o
musica
con
Max
Reger
.
Pianista
di
potenza
quasi
diabolica
,
talvolta
Savino
,
nelle
notti
di
Parigi
o
in
quelle
di
Monaco
,
suonava
sino
a
farsi
sanguinare
le
dita
,
e
la
madre
,
vedendo
le
macchie
di
sangue
sugli
avori
della
tastiera
,
pensava
,
nel
suo
assorto
silenzio
:
«
Quel
sangue
è
mio
»
.
Musicista
Alberto
Savinio
fu
sino
al
1915
,
e
cioè
sino
all
'
età
di
ventiquattro
anni
,
e
tornò
ad
esserlo
,
per
un
rapido
saggio
,
nel
1925
.
Poi
il
silenzio
musicale
durò
,
per
il
pubblico
,
vent
'
anni
.
Era
diventato
,
intanto
,
scrittore
,
per
aver
conosciuto
Guillaume
Apollinaire
:
scrittore
in
lingua
francese
,
come
avrebbe
potuto
esserlo
in
greco
e
in
tedesco
,
nell
'
estremo
tramonto
di
quegli
anni
antecedenti
alla
prima
guerra
mondiale
che
furono
chiamati
gli
anni
della
belle
époque
ma
durante
i
quali
maturavano
i
germi
creativi
dell
'
arte
rivoluzionaria
che
prendeva
il
nome
di
cubismo
,
di
futurismo
,
di
dadaismo
.
Al
futurismo
,
in
ogni
modo
,
Savinio
non
fu
vicino
:
le
origini
della
sua
arte
e
del
suo
pensiero
erano
inserite
in
un
ordine
e
in
una
meditazione
di
valore
troppo
spirituale
,
come
il
pensiero
e
l
'
arte
ellenici
,
perché
egli
si
lasciasse
abbagliare
dalle
formule
di
quell
'
avanguardismo
alla
Jules
Verne
che
era
il
futurismo
di
Marinetti
,
le
cui
formule
estetiche
del
simultaneismo
e
del
dinamismo
nascevano
,
più
che
altro
,
da
una
ingenua
fiducia
nello
scientificismo
.
Il
futurismo
credeva
all
'
energia
come
ad
un
fatto
dinamico
,
muscolare
,
palesemente
esplosivo
:
credeva
nella
deflagrazione
,
e
non
nell
'
energia
della
meditazione
.
Savinio
era
uomo
di
letture
profonde
:
era
difficile
convincerlo
di
mettersi
in
testa
,
come
un
casco
,
l
'
imbuto
di
alluminio
con
il
quale
Marinetti
intendeva
coronare
i
poeti
.
Questo
spiega
perché
egli
si
fosse
subito
,
appena
tornato
agli
studi
al
termine
della
guerra
,
schierato
con
gli
scrittori
della
«
Ronda
»
e
perché
non
abbia
mai
desiderato
di
affermare
,
quando
il
surrealismo
diventò
una
«
scuola
»
,
la
paternità
che
gli
spettava
di
tante
invenzioni
,
scoperte
,
esplorazioni
dell
'
estetica
surrealista
in
letteratura
e
in
pittura
.
Scrittore
italiano
doveva
diventare
dunque
nel
1916
,
un
anno
dopo
,
rientrando
in
Italia
per
il
servizio
militare
:
e
pittore
doveva
diventare
,
quasi
da
un
'
ora
all
'
altra
,
solamente
nel
1927
,
emigrando
nuovamente
a
Parigi
.
Sembrò
che
dimenticasse
di
essere
stato
uno
degli
scrittori
più
singolari
e
una
delle
intelligenze
più
inquietanti
nel
gruppo
della
«
Ronda
»
.
Per
quasi
dieci
anni
,
fu
solamente
pittore
.
La
lingua
della
sua
vita
quotidiana
era
diventato
nuovamente
il
francese
.
Il
suo
linguaggio
pittorico
fu
quello
surrealista
:
e
coglieva
ogni
possibilità
per
affermare
di
essere
un
pittore
«
al
di
là
della
pittura
»
.
In
un
'
altra
occasione
ebbe
a
scrivere
:
«
Le
opere
di
Dürer
,
di
Boeklin
,
di
Giorgio
De
Chirico
,
mie
,
nascono
prima
di
tutto
come
cose
pensate
.
Portarle
a
una
forma
o
dipinta
o
scritta
è
una
traduzione
;
una
operazione
"
a
scelta
"
.
Io
ho
chiaramente
sentito
,
ho
chiaramente
capito
che
quando
la
ragione
d
'
arte
di
un
artista
è
più
profonda
,
e
dunque
"
precede
"
la
ragione
singola
di
ciascun
'
arte
,
quando
l
'
artista
,
in
una
parola
,
è
una
"
centrale
creativa
"
,
è
stupido
,
è
disonesto
,
è
immorale
chiudersi
dentro
ad
una
singola
arte
,
asservirsi
alle
sue
ragioni
particolari
e
alle
sue
ragioni
speciali
.
E
ho
avuto
il
coraggio
di
mettermi
di
là
dalle
arti
,
sopra
le
arti
...
»
.
Quando
,
nel
1927
,
un
mercante
d
'
arte
parigino
,
senza
aver
mai
visto
un
quadro
di
Savinio
,
lo
invitò
a
dipingere
,
gli
trovò
uno
studio
a
Parigi
,
e
gli
assicurò
uno
stipendio
iniziale
,
quel
tale
,
probabilmente
,
intendeva
creare
«
un
caso
»
o
un
«
doppio
»
di
De
Chirico
,
o
mettere
d
'
accordo
,
su
una
piattaforma
di
puro
intelletto
,
tutte
le
varie
vocazioni
di
Savinio
e
trasferirle
in
una
bizzarra
sede
pittorica
.
Probabilmente
non
sapeva
che
,
così
facendo
,
mentre
De
Chirico
si
preparava
a
rinnegare
quasi
la
sua
stessa
pittura
metafisica
,
Savinio
avrebbe
messo
al
mondo
una
prima
esemplificazione
del
surrealismo
.
Il
ricordo
di
Savinio
non
appartiene
solamente
alla
storia
dell
'
intelligenza
italiana
delle
ultime
due
generazioni
:
esso
appartiene
alla
storia
dell
'
intelligenza
europea
.
L
'
apparente
divagare
di
arte
in
arte
fu
,
effettivamente
,
un
continuo
esplorare
mondi
espressivi
nuovi
nella
luce
di
una
intelligenza
dalla
intatta
lucentezza
:
il
suo
emigrare
continuo
fu
un
approdare
e
conquistare
continuo
:
nessun
continente
dell
'
arte
poté
considerarlo
mai
uno
spaesato
.
Le
sue
capacità
tecniche
,
anche
quando
potevano
sembrare
acerbe
,
erano
al
servizio
di
un
'
unità
spirituale
per
la
quale
il
pittore
,
lo
scrittore
,
il
diarista
,
il
narratore
di
strane
favole
,
lo
psicologo
,
il
musicista
e
lo
scenografo
avevano
una
assoluta
coerenza
di
ispirazione
.
StampaQuotidiana ,
Ci
vuol
pure
un
bel
coraggio
a
riprendere
in
mano
e
a
riporsi
sotto
gli
occhi
certi
libri
,
che
furono
in
altri
tempi
serena
delizia
del
nostro
spirito
,
quando
il
mondo
era
a
pochi
pur
questo
,
ma
a
tutti
pareva
un
altro
.
Oggi
,
mentre
in
terra
di
Francia
è
tuttavia
sospesa
la
gigantesca
battaglia
che
dovrà
decidere
dei
nuovi
destini
del
mondo
,
rileggere
ad
esempio
,
in
ottava
rima
,
la
parodia
di
un
'
altra
guerra
di
Francia
:
quella
strepitosa
di
Carlo
Magno
e
dei
suoi
paladini
,
quale
a
mano
a
mano
nei
cantari
grottescamente
serii
dei
cantastorie
di
piazza
s
'
era
venuta
camuffando
.
Aveva
la
corte
borghese
di
Lorenzo
de
'
Medici
il
gusto
di
siffatte
parodie
.
E
Dio
sa
con
che
cuore
il
suo
cortegiano
,
che
aveva
"
di
ridere
gran
voglia
"
,
ma
a
un
suo
melanconico
modo
fuor
d
'
ogni
grazia
divina
,
dico
Luigi
Pulci
,
Dio
sa
con
che
cuore
in
presenza
di
quella
pia
donna
che
fu
Lucrezia
Tornabuoni
,
si
faceva
la
croce
principiando
a
modo
di
quei
cantastorie
ogni
nuovo
canto
del
suo
Morgante
.
E
Roncisvalle
pareva
un
tegame
Dove
fusse
di
sangue
un
gran
mortito
...
Ma
pure
in
quei
tempi
,
a
prestarci
un
po
'
d
'
attenzione
anche
di
tra
il
folle
tripudio
di
quei
grassi
carnasciali
fiorentini
,
venivano
in
piazza
certe
crude
verità
tragicamente
mascherate
in
mezzo
ad
altre
maschere
più
sconce
che
gaje
.
E
non
fu
mai
veramente
senza
profitto
in
ogni
tempo
il
riaccostarsi
anche
per
poco
ai
poeti
maggiori
e
più
vivi
di
nostra
gente
,
e
specie
a
quelli
che
più
pajono
trattar
col
riso
la
materia
della
loro
poesia
.
Tutt
'
a
un
tratto
,
di
tra
il
riso
,
quando
meno
ce
l
'
aspettiamo
,
questi
burloni
pongono
innanzi
al
nostro
innocente
e
ozioso
diletto
certi
specchi
,
che
l
'
espressione
del
piacer
nostro
improvvisamente
si
rassega
in
una
smorfia
dolente
e
sguajata
,
e
di
subito
il
riso
ci
si
cangia
in
veleno
.
Ma
come
!
Ci
pareva
d
'
esser
tanto
lontani
dalla
serietà
!
ci
pareva
che
il
poeta
scherzasse
così
svagato
e
alieno
!
E
intanto
...
Oh
guarda
!
Ma
sicuro
,
questo
Morgante
...
questo
Margutte
...
Come
non
ci
avevamo
pensato
?
Ma
sono
proprio
le
due
facce
del
popolo
!
La
faccia
buona
e
la
faccia
trista
:
il
grosso
buon
popolo
,
credulone
e
badiale
,
generoso
e
forte
,
che
si
converte
senza
starci
a
pensar
due
volte
a
ogni
buona
causa
e
s
'
arma
come
può
,
anche
d
'
un
battaglio
di
campana
,
e
si
gitta
tutto
alla
buona
impresa
;
e
il
popolo
che
perde
ogni
fede
e
a
un
certo
punto
s
'
arresta
e
s
'
intozza
e
s
'
ingaglioffa
,
abbandonandosi
tutto
ai
suoi
più
bassi
istinti
:
Il
mio
nome
è
Margutte
,
Ed
ebbi
voglia
anch
'
io
d
'
esser
gigante
,
Poi
mi
pentii
quando
a
mezzo
fui
giunto
:
Vedi
che
sette
braccia
sono
appunto
.
A
mezzo
?
Quando
?
Eh
,
quando
...
Lo
sappiamo
bene
noi
adesso
il
quando
,
il
come
,
il
dove
,
il
nostro
popolo
che
si
era
partito
per
diventar
gigante
,
armato
improvvisamente
della
sua
fede
e
della
coscienza
di
tutti
i
suoi
più
sacri
diritti
,
minacciò
di
fare
il
groppo
a
sette
braccia
appunto
come
Margutte
.
Fu
un
attimo
di
follia
,
uno
smarrimento
,
ed
è
proprio
inutile
parlare
a
Luigi
Pulci
adesso
di
Caporetto
;
tanto
più
che
è
certo
ormai
che
Margutte
non
prevarrà
.
Ma
non
invano
per
tant
'
anni
s
'
insegna
al
popolo
che
il
tabernacolo
ov
'
è
custodito
il
vera
Dio
da
adorare
è
la
pancia
,
e
che
son
tutte
superstizioni
e
trappole
tese
dai
lupi
agli
agnelli
le
idealità
finora
ritenute
sante
.
Il
popolo
fa
presto
a
imparare
:
Io
non
credo
più
al
nero
ch
'
all
'
azzurro
Ma
nel
cappone
,
o
lesso
,
o
vuogli
arrosto
,
E
credo
alcuna
volta
anche
nel
burro
:
Nella
cervogia
e
quando
io
n
'
ho
nel
mosto
,
E
molto
più
nell
'
aspro
che
il
mangurro
;
Ma
sopra
tutto
nel
buon
vino
ho
fede
E
credo
che
sia
salvo
chi
gli
crede
.
E
a
snocciolarti
il
rosario
dei
fegatelli
:
Del
fegatel
non
ti
dico
niente
:
Vuoi
cinque
parti
:
fa
ch
'
alla
man
tenga
...
E
così
fu
che
tutt
'
a
un
tratto
il
buon
Morgante
,
quando
ben
undici
vittorie
gli
davano
il
diritto
d
'
aspettarsi
l
'
ultima
che
gli
desse
il
premio
di
tutte
,
se
lo
vide
venir
«
di
lungi
per
ispicchio
»
,
Margutte
,
quella
volta
.
Sobbalzò
tutto
il
buon
gigante
,
allora
,
e
Dette
del
capo
del
battaglio
un
picchio
In
terra
e
disse
:
Costui
non
conosco
!
Ma
sì
che
si
conosceva
,
per
dir
la
verità
;
e
ben
poco
,
ahimè
,
s
'
era
fatto
per
scacciarlo
di
là
,
dove
così
anche
per
ispicchio
s
'
era
insinuato
.
Ma
queste
ormai
sono
inutili
recriminazioni
.
Non
lo
abbiamo
fatto
prevalere
,
Margutte
,
che
se
Dio
vuole
,
dopo
questa
gran
prova
,
non
prevarrà
mai
più
.
Che
se
per
disgrazia
poi
,
non
più
certo
durante
la
guerra
,
ma
dopo
,
dovesse
inopinatamente
prevalere
,
io
dico
che
non
c
'
è
da
disperare
.
Perché
i
giganti
come
Margutte
,
che
giunti
a
mezzo
si
pentono
,
nati
tra
mitere
e
tra
gogne
,
Come
tra
'1
bue
e
l
'
asin
nacque
Cristo
;
nati
tra
i
capestri
e
tra
le
scope
,
c
'
è
questo
di
buono
,
che
basta
poco
,
la
vista
degli
sciocchi
lezii
d
'
una
scimmia
che
si
metta
e
si
cavi
un
pajo
di
stivali
,
a
farli
non
già
per
modo
di
dire
,
ma
realmente
crepare
dalle
risa
.
E
scimmie
,
per
la
salute
nostra
,
non
mancano
oggi
in
Italia
,
e
possiamo
confidare
che
non
ne
mancheranno
neanche
domani
.
Ne
conosciamo
tante
!
Grosse
scimmie
politiche
,
uranghi
e
scimpanzè
,
che
davvero
non
hanno
fatto
mai
altro
che
offrir
lo
spasso
di
calzarseli
a
tempesta
,
certi
stivali
,
per
esser
pronti
all
'
occasione
,
e
di
buttarli
via
subito
,
come
l
'
occasione
veniva
a
mancare
,
salvo
a
ricalzarseli
domani
!
Che
spettacolo
di
leva
e
metti
,
durante
le
angosciose
vicende
di
questa
lunga
guerra
,
in
quel
grosso
gabbione
di
Montecitorio
!
Margutte
n
'
è
già
crepato
dalle
risa
.
E
io
vi
dico
che
non
uno
solo
,
ma
cento
ne
sarebbero
crepati
,
non
per
lo
spettacolo
offerto
da
questo
o
da
quel
gruppo
di
scimmioni
,
ma
cento
Margutte
per
uno
scimmione
solo
.
Per
quello
che
dentro
il
gabbione
l
'
ha
voluta
sempre
,
e
poi
,
fuori
,
a
quattr
'
occhi
,
non
l
'
ha
voluta
mai
;
per
quello
che
,
viceversa
,
dentro
il
gabbione
non
l
'
ha
voluta
mai
,
perché
,
Dio
mio
,
questo
stivale
che
è
l
'
Italia
,
questi
stivali
che
sono
le
patrie
,
è
tempo
di
buttarli
via
,
per
camminare
tutti
fratelli
scalzi
per
le
vie
del
mondo
,
che
è
uno
di
tutti
senza
confini
;
e
che
all
'
ultimo
,
ecco
qua
,
sissignori
,
ha
dovuto
calzarselo
anche
lui
,
questo
povero
stivale
che
è
l
'
Italia
,
poiché
i
fratelli
di
Germania
e
d
'
Austria
,
i
fratelli
bulgari
e
turchi
non
l
'
hanno
mica
buttati
via
i
loro
grossi
scarponi
ben
chiodati
e
imbullettati
,
e
son
qua
,
dentro
casa
nostra
,
tutti
ancora
ostinati
a
schiacciare
i
piedi
a
chi
voleva
restare
a
piedi
nudi
.
Caro
grosso
amletico
barbuto
scimmione
!
Il
buon
popolo
Morgante
t
'
ha
battuto
le
mani
,
e
a
Margutte
,
vedi
?
è
bastato
l
'
insolito
gesto
improvviso
di
vederlo
calzare
anche
a
te
,
questo
vecchio
stivale
d
'
Italia
:
è
crepato
.
Fa
'
che
non
rinasca
per
te
,
domani
.
Ma
se
pur
dovesse
rinascere
,
ripeto
,
non
disperiamo
!
Può
ben
Margutte
,
finito
lo
spettacolo
di
Montecitorio
,
crepar
dalle
risa
per
altre
scimmie
e
per
altri
spettacoli
.
Vi
dico
che
non
ne
mancano
e
che
non
ne
mancheranno
.
Quanti
cari
scimmiotti
,
quante
care
scimmiette
,
ad
esempio
,
in
letteratura
!
E
anche
qui
gruppi
e
gruppetti
,
raccolte
e
raccoltine
di
scimmiottini
nuovi
,
che
han
trovato
,
o
credono
di
aver
trovato
,
una
nuova
maniera
di
smorfie
,
una
nuova
maniera
di
muovere
a
balziculi
verso
la
gloria
di
un
'
arte
nuova
,
che
dev
'
essere
in
tutto
e
per
tutto
loro
particolar
fatica
.
Ora
si
spulciano
coi
denti
tra
foro
a
vicenda
;
ma
ahimè
,
han
così
poco
sangue
,
che
non
bastano
neanche
a
nutrire
le
loro
pulci
;
e
spoglie
esangui
di
pulci
,
che
a
schiacciarle
su
un
'
unghia
non
farebbero
neanche
botto
,
si
cavan
dunque
dalle
loro
secche
testoline
,
con
le
due
mani
davanti
e
coi
denti
,
coi
denti
,
affannosamente
.
E
altri
scimmiottini
,
più
vivaci
e
impudenti
,
eccoli
là
in
fila
agli
anelli
volanti
;
e
altri
più
timidi
e
irrequieti
,
eccoli
qua
a
sfregolarsi
alle
sbarre
delle
gabbiole
della
loro
impotenza
,
innanzi
alle
balie
e
alle
ragazzine
,
e
a
piscicchiare
poi
in
un
angolo
,
in
schizzetti
disperati
,
gli
spasimi
delle
loro
velleità
insoddisfatte
.
E
guardate
questo
cercopiteco
,
che
doveva
nascer
prete
,
con
che
aria
e
con
che
passo
cerca
d
'
accostarsi
e
di
entrare
in
quelle
gabbiole
.
Ma
nessuno
lo
vuole
.
Peccato
!
Le
saprebbe
cercar
così
bene
,
lui
,
le
pulci
,
di
quelle
che
fanno
il
botto
!
Ne
ha
trovate
già
due
o
tre
di
buon
sangue
rigeneratore
,
in
capo
a
qualche
scimmiotto
maligno
,
di
questi
nuovi
che
nessuno
ancora
conosce
.
Voi
credete
che
Margutte
,
così
tutto
intento
com
'
è
alla
pancia
e
voglioso
di
grossi
bocconi
,
non
potrà
mai
accorgersi
,
per
quanto
aguzzi
gli
occhi
porcini
,
di
questi
così
piccoli
e
magri
scimmiottini
della
nuova
letteratura
?
Io
vi
dico
ancora
una
volta
di
non
disperare
,
perché
qualche
scimmiotto
un
po
'
più
grosso
c
'
è
pure
che
fa
tutte
le
buffonerie
possibili
e
immaginabili
per
mettersi
in
mostra
;
mangia
morti
e
vivi
,
come
se
fossero
mele
,
e
ve
li
risputa
a
pezzi
in
faccia
;
morde
,
quand
'
altro
non
può
,
anche
a
sé
stesso
la
coda
;
ed
ha
un
così
svergognato
coraggio
di
mettersi
a
fare
innanzi
al
pubblico
tutte
le
sue
porcherie
,
che
non
è
possibile
Margutte
oggi
o
domani
non
lo
scopra
.
Scala ( Vergani Orio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
La
sala
non
è
al
buio
.
Sei
grandi
lampade
pendono
sull
'
orchestra
,
e
la
loro
luce
arriva
,
degradando
,
sino
in
fondo
alla
sala
.
Ricordo
questa
sala
distrutta
,
aperta
alla
neve
,
alla
pioggia
,
al
vento
:
e
il
color
nero
delle
grandi
travi
carbonizzate
:
le
finestre
dei
palchetti
vuote
sulla
vasta
voragine
muta
.
Ricordo
,
di
quei
giorni
,
di
quei
funesti
inverni
,
il
silenzio
di
Milano
nelle
piazze
e
nelle
vie
intorno
:
i
passanti
rari
,
i
volti
chini
,
le
guance
pallide
:
la
città
macilenta
,
quasi
senza
voce
,
vuota
di
ragazzi
:
Io
stillicidio
dell
'
acqua
in
questo
grande
cortile
da
tragedia
shakespeariana
nel
quintuplo
giro
dei
palchi
:
le
porpore
stinte
:
i
carboni
e
la
cenere
mescolati
ai
cristalli
:
l
'
oro
infamato
dal
fango
.
Nel
nome
di
Toscanini
,
e
cioè
nel
nome
della
musica
italiana
,
la
sala
è
stata
la
prima
a
risorgere
.
È
lì
,
ancora
,
oggi
come
tanti
anni
fa
-
come
cinquantaquattro
anni
fa
,
quando
il
Maestro
salì
sul
podio
per
la
prima
volta
a
dirigere
i
Maestri
cantori
-
Toscanini
è
saldo
;
tiene
le
redini
dei
poemi
musicali
in
pugno
,
come
gli
antichi
aurighi
nel
bronzo
greco
.
È
entrato
per
la
prova
generale
,
e
,
come
lui
vuole
,
nessuno
ha
applaudito
.
È
passato
dietro
alla
prima
fila
dei
violini
,
è
sul
podio
,
volta
le
spalle
alla
platea
:
davanti
non
ha
il
leggio
:
e
bisogna
indovinare
il
raccoglimento
,
la
profondità
,
la
fissità
,
la
mobilità
del
suo
sguardo
che
,
adesso
,
spazia
solamente
sulle
misure
della
musica
.
Io
,
più
fortunato
o
più
indiscreto
degli
altri
,
sono
andato
avanti
,
in
un
angolo
della
quarta
fila
,
e
ho
,
dietro
a
me
,
un
grande
spazio
vuoto
.
Oltre
che
sentire
,
oggi
voglio
«
vedere
»
Toscanini
.
Non
voglio
ripetere
la
frase
di
Emilio
Zola
che
,
quando
fu
a
Roma
per
scrivere
Roma
,
dopo
aver
visto
il
Pontefice
tornò
in
albergo
e
,
seduto
a
tavola
,
disse
alla
moglie
,
soddisfatto
:
J
'
ai
mon
Papa
...
Ma
,
di
«
tre
quarti
»
,
ho
il
«
mio
»
Toscanini
.
Vedo
i
suoi
capelli
bianchi
,
argentei
,
folti
e
mossi
sulla
nuca
.
Trovo
un
ricordo
antico
,
uno
dei
più
lontani
ricordi
d
'
infanzia
:
il
ricordo
di
un
bambino
accompagnato
per
mano
a
vedere
San
Petronio
,
a
Bologna
.
Mi
sembra
di
sentire
ancora
la
stretta
improvvisa
alla
mia
mano
di
bambino
.
Mi
dice
la
voce
di
un
caro
vecchio
rotta
dall
'
emozione
:
«
Guarda
là
!
...
Guarda
là
!...»
Aiutano
qualcuno
a
salire
su
una
carrozzella
:
non
vedo
bene
,
e
non
capisco
perché
mi
si
inviti
,
con
così
brusca
commozione
,
a
guardare
.
La
voce
vicina
a
me
dice
:
«Carducci...»
.
La
carrozzella
si
muove
con
il
suo
passeggero
che
ha
in
testa
,
mi
sembra
,
un
corto
tubino
.
Di
quel
passeggero
non
vedo
che
i
capelli
bianchi
,
argentei
,
folti
e
mossi
sulla
nuca
.
È
un
momento
,
e
la
carrozzella
scompare
.
Ho
visto
í
capelli
bianchi
di
Carducci
.
Guardo
,
adesso
,
e
li
trovo
simili
a
quelli
del
poeta
,
i
capelli
bianchi
del
Maestro
.
Ogni
tanto
egli
china
il
capo
,
quasi
toccando
con
il
mento
il
petto
.
Vedo
,
di
scorcio
,
la
«
rupe
»
della
fronte
,
sfiorata
dalla
luce
;
il
modellato
delle
tempie
e
dello
zigomo
,
in
ombra
.
Non
esiste
più
un
Vincenzo
Gemito
per
scolpire
,
così
,
di
Toscanini
un
ritratto
come
quello
di
Verdi
.
Penso
ai
capelli
bianchi
di
Verdi
.
Toscanini
non
è
un
uomo
vecchio
:
non
sarà
mai
un
uomo
vecchio
:
è
un
uomo
«
antico
»
,
modellato
in
qualcosa
di
incorrotto
e
senza
tempo
,
come
si
può
pensare
che
,
anche
giovani
,
fossero
taluni
geni
rupestri
,
come
Michelangelo
;
uomini
fatti
per
vivere
fra
le
rocce
,
come
le
aquile
.
Chi
ha
mai
pensato
di
contare
gli
anni
di
un
'
aquila
?
Le
aquile
non
vedono
incanutire
le
loro
penne
.
Hanno
gli
anni
del
loro
volo
.
La
sala
tace
.
Mille
,
millecinquecento
persone
sono
state
«
segretamente
»
ammesse
ad
ascoltare
la
prova
.
Il
Maestro
non
ha
negato
questo
dono
.
Gli
basta
che
la
gente
taccia
.
Laggiù
,
lassù
,
intorno
,
nei
nidi
dei
palchi
,
nelle
logge
delle
gallerie
c
'
è
un
pubblico
che
amo
.
Se
fra
cent
'
anni
un
regista
comporrà
un
film
dedicato
a
Toscanini
e
alla
sua
vita
,
non
dimentichi
questa
scena
e
queste
«
masse
»
.
Ci
sono
gli
intenditori
,
i
musicologi
,
i
musicisti
,
i
«
toscaniniani
»
.
Mi
permetto
di
consigliare
il
regista
a
non
dar
loro
importanza
,
in
questa
scena
.
Si
ricordi
,
invece
:
dei
ragazzi
e
dei
vecchi
:
chiami
a
raccolta
,
per
il
suo
film
,
a
voler
rifar
la
scena
d
'
oggi
,
molti
ragazzi
e
molti
vecchi
:
gente
che
domani
non
troverebbe
posto
,
vecchi
che
,
a
insinuarsi
nel
«
tutto
esaurito
»
di
un
grande
concerto
,
«
non
si
fidano
»
,
perché
hanno
il
peso
degli
anni
,
gli
acciacchi
,
la
difficoltà
di
sedere
e
di
respirare
tra
la
folla
,
il
pudore
di
mostrarsi
,
tra
la
folla
,
presi
dalla
commozione
e
forse
,
dalle
lagrime
per
l
'
onda
dei
ricordi
.
Gente
più
che
anziana
:
una
toccante
visione
:
gli
ottant
'
anni
non
si
contano
:
le
novantenni
,
che
si
sono
messe
in
ghingheri
e
sono
venute
avanti
sostenute
dalle
figlie
e
dalle
nipoti
,
non
si
contano
.
Occhi
e
cuori
che
ridanno
la
scalata
al
tempo
,
che
passano
a
guado
la
fiumana
dei
ricordi
di
mezzo
secolo
,
ai
tempi
delle
prime
di
Otello
-
mi
hanno
detto
-
ai
tempi
in
cui
si
combatteva
«
contro
»
la
musica
di
Wagner
.
Vecchie
,
canute
,
tremolanti
signore
alle
quali
,
cinquantaquattro
anni
fa
,
il
giovane
maestro
di
Parma
ha
insegnato
che
non
era
giusto
sospirare
solamente
per
i
tenori
,
ma
che
si
poteva
sospirare
per
Sigfrido
e
riconoscersi
nel
lamento
amoroso
di
Isotta
.
Sono
venute
fuori
dalle
loro
case
pomeridiane
,
ringraziando
la
giornata
mite
:
trattengono
i
colpi
di
tosse
.
Nell
'
ombra
dei
palchi
asciugano
una
lagrima
del
1898
.
Regista
:
non
dimenticare
i
ragazzi
.
Ce
ne
sono
di
quindici
,
di
diciotto
anni
;
ma
,
stranamente
,
hanno
quasi
tutti
un
viso
,
una
compunzione
,
una
espressione
da
attesa
di
prima
comunione
o
di
cresima
.
Hanno
diciotto
anni
:
ma
Toscanini
ha
la
virtù
di
riportarli
all
'
emozione
delle
favole
,
delle
fate
e
dei
maghi
.
Straordinario
nonno
,
Toscanini
:
i
ragazzi
sembrano
,
nella
penombra
della
sala
color
di
porpora
,
seduti
al
focolare
.
Regista
,
non
dimenticare
che
quest
'
ora
non
è
«
mondana
»
:
ma
,
affollata
di
vecchie
nonne
e
bisnonne
e
di
nipoti
e
pronipoti
,
dà
alla
sala
scaligera
il
colore
,
il
mormorio
,
la
fiducia
proprio
dei
vecchi
focolari
.
Una
mano
guida
la
straordinaria
favola
.
È
la
destra
che
ne
distribuisce
i
personaggi
e
i
sentimenti
,
l
'
onda
dell
'
amore
,
dei
dolori
,
del
compianto
,
della
stupefazione
:
che
fa
entrare
le
voci
dei
lunghicriniti
eroi
,
sorregge
pilastri
,
cupole
,
cieli
,
cattedrali
arboree
,
rocce
,
e
chiama
le
nuvole
,
e
accende
le
stelle
,
e
volge
il
corso
delle
comete
:
è
la
sinistra
che
fa
passare
sui
volti
e
sulle
cose
il
soffio
tiepido
o
arroventato
della
vita
,
e
dice
al
canto
:
«
Ama
!
»
,
e
dice
al
canto
:
«
Fremi
!
»
.
Romantiche
mani
che
nei
coni
di
luce
si
illuminano
:
pronte
al
gesto
del
dominio
e
all
'
impeto
squassante
,
come
,
per
prendere
la
tragedia
per
la
gola
e
dirle
:
«
Piegati
:
sei
mia
...
»
:
pronte
alla
carezza
più
sottile
,
come
se
insegnassero
ai
suoni
più
gracili
ad
alzare
le
palpebre
fiduciose
e
a
mostrare
i
loro
sguardi
di
bambini
:
pronte
all
'
eloquenza
concitata
,
pronte
a
dividere
il
Creato
in
due
;
da
una
parte
la
luce
,
dall
'
altra
l
'
ombra
:
pronte
a
riportare
leopardianamente
la
quiete
dopo
la
tempesta
,
e
a
dividere
fronda
da
fronda
nella
foresta
stillante
di
perle
per
scoprire
il
nido
degli
usignoli
.
Mani
che
implorano
:
mani
che
comandano
:
e
il
gesto
ha
l
'
imperio
di
quello
con
il
quale
Padre
Cristoforo
fece
tremare
il
cuore
del
malvagio
.
Mani
che
insegnano
il
sospiro
e
la
preghiera
,
il
gesto
delle
supplici
e
quello
della
consolazione
:
e
aprono
le
porte
di
bronzo
attraverso
il
cui
spiraglio
si
indovina
l
'
aldilà
.
Si
muovono
,
come
quelle
di
un
magico
tessitore
,
sul
telaio
dove
si
tessono
i
sogni
:
come
penso
si
muovessero
quelle
di
Tolstoj
quando
faceva
scendere
l
'
amore
nel
cuore
di
Natascia
,
o
quelle
,
forti
,
di
Wagner
,
quando
batteva
sull
'
incudine
l
'
acciaio
della
spada
.
StampaQuotidiana ,
Volle
concludere
in
bontà
.
A
un
certo
punto
non
scrisse
più
,
ma
visse
la
sua
poesia
.
La
visse
,
non
forse
perché
non
poteva
più
scriverla
,
ma
perché
l
'
animo
con
cui
l
'
aveva
scritta
,
a
poco
a
poco
,
dalla
sua
stessa
espressione
e
dai
modi
conclusivi
del
suo
esprimersi
doveva
esser
condotto
a
stimare
men
superfluo
,
ormai
,
e
più
naturale
dare
esempio
di
vita
alla
sua
voce
,
prova
di
fatto
alla
sua
parola
,
spogliandosi
dell
'
ultimo
interesse
della
bellezza
per
entrare
nell
'
assoluto
disinteresse
della
bontà
.
Il
nucleo
chiuso
della
sua
dura
e
travagliosa
individualità
artistica
,
pur
senza
aprirsi
,
pur
senza
allargarsi
,
s
'
era
a
mano
a
mano
stemperato
di
quegli
egoismi
personali
,
che
avrebbero
potuto
dare
ancora
valore
espressivo
e
rilievi
caratteristici
alla
sua
poesia
:
non
era
più
un
dolore
,
era
il
dolore
;
non
era
più
una
vita
,
era
la
vita
;
e
quello
stesso
amore
,
mal
posto
,
era
ai
suoi
occhi
buoni
l
'
amore
,
il
premio
dolce
e
supremo
.
L
'
ultimo
suo
libro
Homo
è
tutto
composto
infatti
di
ultime
e
nude
parole
per
lui
essenziali
,
nella
forma
poetica
più
essenziale
:
il
sonetto
:
cento
sonetti
che
han
l
'
aria
di
cento
iscrizioni
lapidarie
su
cose
e
sentimenti
eterni
:
la
vita
,
la
morte
,
il
mistero
,
la
natura
,
l
'
umanità
.
Non
gli
restava
più
,
oramai
,
che
ritornare
con
le
parole
che
aveva
dette
a
coloro
dai
quali
era
uscito
:
ai
contadini
,
per
insegnar
loro
a
scriverle
e
anche
a
viverle
,
com
'
egli
le
aveva
scritte
e
vissute
,
le
parole
che
aveva
dette
.
Ed
ha
veramente
il
valore
di
sacra
fatica
,
che
ha
una
goccia
di
sudore
su
la
fronte
d
'
un
contadino
,
ognuno
dei
quattordici
versi
di
quei
cento
sonetti
:
fatica
feconda
e
fecondatrice
.
Parecchi
di
essi
attingono
una
bellezza
assoluta
e
imperitura
.