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BILANCIO DELLO STATO ( PARETO VILFREDO , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Poiché l ' uso vuole che ci sia un bilancio della Stato e una relazione su di esso , abbiamo quello e questa . Essi riferiscono le entrate e le spese in una certa unità che dicesi lira . Che mai sarà , di preciso o almeno con discreta approssimazione , non si sa , poiché tace l ' Oracolo di Delfo ed è morta M.me de Thèbes . Sei o sette anni fa , questa lira non era molto lontana dalla pari coll ' oro ; poi si è data a vita selvaggia ; fa salti da capriolo . Se si paragona al franco svizzero , che è più fermo , ma non fermissimo , si trova che mentre scrivo questo articolo ( 15 febbraio ) 100 lire valgono 33,47 franchi svizzeri , mentre il 15 febbraio 1919 , valevano circa 76 franchi ; dunque il prezzo della lira , in franchi svizzeri , è scemato di metà almeno in un sol anno , che è anno di pace e non di guerra . È quindi lecito porre il quesito : scemerà ancora , in analoga proporzione , o crescerà , da oggi al febbraio 1921; e , secondo che scemerà , o crescerà , che ne sarà di quel bel bilancio espresso in lire ? Per trovare alcunché di meno fluttuante , sarebbe bene di potere paragonare la lira carta alla lira oro ; ma per ciò occorre almeno un mercato libero dell ' oro : c ' è a Londra , ma non c ' era nel febbraio 1919 . Per altro , lo essere quasi solo in Europa fa sì che i suoi prezzi non sono quelli che si avrebbero se dovunque libero fosse , il commercio dell ' oro , libera l ' esportazione della moneta aurea . Aggiungasi che neppure il « valore » dell ' oro è stabile . Infine , poiché non possiamo avere di meglio , contentiamoci del poco che possiamo ricavare dalle notizie dei mercati dei cambi . Intanto , il film dei cambi gira tanto rapido , che ciò che è vero oggi non lo è più domani . Le variazioni che durano breve tempo , non operano sul bilancio , quelle che durano a lungo lo possono mutare notevolmente . A Londra , nella prima metà di febbraio , l ' oncia di oro puro è giunta al prezzo di 12o scellini ; il che dà , per la sterlina carta , il prezzo di franchi oro 17 mentre la parità è di franchi oro 25,22 . A Ginevra , il 14 febbraio , la sterlina carta era quotata franchi svizzeri 20,69 . Da ciò si deduce che il franco svizzero vale franchi oro 0,86 . In altro modo si possono avere quei valori . L ' 11 febbraio , a Londra , la sterlina carta era quotata dollari 3,37 mentre la parità è di dollari 4,867 . La sterlina varrebbe dunque franchi oro 17,46 . A Ginevra , il 14 febbraio , il dollaro era quotato franchi svizzeri 6,03 e la sua parità è di franchi oro 5,18 . Dunque il franco svizzero varrebbe franchi oro 0,86 . Le differenze di tali valori coi precedenti sono piccole e quindi trascurabili . Di sfuggita . Pochi giorni or sono si poteva leggere in un giornale italiano che il franco svizzero era alla pari con l ' oro . È proprio vero che un bel tacere non fu mai scritto . Non mi fermo qui sulla variabilità del « valore » dell ' oro ; i lettori di questo giornale ne avranno veduto alcun cenno nell ' articolo mio riprodotto nel n . 31 . Paragonando dunque la lira italiana al franco svizzero , faremo , circa il valore effettivo , due errori ; cioè uno avente origine dal non essere il franco svizzero pari all ' oro , l ' altro dal non essere il presente « valore » dell ' oro pari a quello che aveva nel tempo che precedette la guerra . Veniamo ai particolari . Dice la relazione dell ' onorevole Bonomi che l ' onere pel bilancio degli interessi dei debiti è di circa 4,5 miliardi di lire ; ma che è tale onere , valutato in beni economici ? Se si paragona la lira al franco svizzero , quest ' onere sarebbe oggi solo di 1,55 miliardi , e sarebbe minore paragonata la lira all ' oro , minore ancora tenuto conto che il « valore » dell ' oro è scemato . Come feci notare in un articolo pubblicato nel 1916 dalla « Rivista di scienza bancaria » , si poteva agevolmente prevedere che parecchi Stati , per sottrarsi all ' obbligo del pagamento reale dei loro debiti , pur fingendo di ciò fare , li avrebbero pagati con moneta deprezzata . Tali previsioni fecero scandalo e suscitarono sdegni , ma i fatti mostrano che si sono avverate e che seguitano ad avverarsi ogni giorno . Nell ' ipotesi , per dir vero assurda , che , nel 1920-21 , la lira tornasse alla pari col franco svizzero meglio ancora col franco oro l ' onere tornerebbe ad essere di 4,5 miliardi , ma effettivi , non più solo nominali . Nell ' ipotesi speriamo egualmente fallace che la lira seguisse il cattivo esempio del marco e decadesse sino a 0,06 franchi svizzeri , gli interessi , in lire , del debito sarebbero solo 270 milioni di franchi effettivi . Tra questi limiti estremi , di miliardi 4,5 e di 0,270 , quale sarà l ' onere effettivo del bilancio ? E se non si sa , che significa il bilancio ? Tutto ciò andrebbe bene se l ' onere dei prestiti fosse solo in lire , con pagamenti all ' interno ; se in parte è in altre monete , pagabile all ' estero , occorre tenere conto del cambio di queste monete , e navighiamo più che mai su di un mare incognito . Pei privati , il fenomeno è l ' inverso di quello ora notato pel governo . Coloro che hanno sottoscritto ad un prestito che dà 5,71 per cento d ' interesse avranno impiegato il loro capitale precisamente a quest ' interesse . Se il valore della lira non varia , lo avranno impiegato al 17,30 per cento , se la lira diventa alla pari con l ' oro all'1,04 per cento , se la lira decade sino a 6 centesimi oro , ad un saggio intermedio , se la lira si fissa ad un saggio intermedio . Ma quale sarà tal saggio ? Indovinalo grillo ! Analoghe osservazioni si possono fare per le imposte . Se la lira tornasse alla pari con l ' oro sarebbe impossibile che i contribuenti seguitassero a pagare la stessa somma , in lire , che pagano oggi . Se decadesse sino a 6 centesimi , pagherebbero agevolmente molto più . Incertissime sono pure le altre spese del bilancio . L ' onorevole Bonomi giustamente osserva : « I residui 5 miliardi e mezzo di entrate sono però insidiati ora da una spesa che minaccia di travolgere la nostra finanza se i ripari non sono pronti ed efficaci . Le spese per il personale si sono accresciute in misura così allarmante da venire subito dopo quelle sì cospicue degli oneri del debito » . Certo , ci vorrebbero « ripari » , ma dove si troveranno ? Non nel Parlamento ; il recente sciopero dei ferrovieri , al quale è probabile che facciano seguito altri simili , è segno non trascurabile che del Parlamento si può fare a meno per impegnare la finanza pubblica . Nessuno può dire ciò che sta per accadere né che intensità acquisteranno le forze operanti per fare variare il bilancio . Al presente , vediamo sgretolarsi lo Stato e crescere l ' anarchia : ognuno procura di ricavare quanto più può dal bilancio , e scema ognora la resistenza a tali imprese . Sino a che punto si spingeranno ? Se a ciò non si può rispondere neppure si può conoscere il futuro della finanza . Si può opporre che simili incertezze ci sono per tutti i bilanci , in ogni tempo . Verissimo ; ma , nello stato normale , le differenze sono lievi e quindi trascurabili . Oggi vediamo seguire repentini e gravi movimenti , i quali non accennano per niente a cessare : le differenze sono grandi , ed esse , più che una sterile contabilità formale , danno la realtà del bilancio .
Il giudizio estetico ( Montale Eugenio , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Una quarantina d ' anni fa , in un suo dotto e bizzarro libro che non credo abbia destato molte discussioni : La scepsi estetica , il filosofo Giuseppe Rensi si sforzava di dimostrare che il giudizio estetico è sempre soggettivo e non può aspirare all ' assolutezza . Secondo il Rensi , di uno che avesse preferito , supponiamo , Parzanese a Dante , Franz Lehár a Beethoven in nessun modo poteva dirsi che fosse nel falso . Nel mondo dell ' estetica non c ' era verità e errore , ma solo il gusto individuale , sempre vero e inconfutabile . La tesi non fu presa molto sul serio . Teneva allora il campo la filosofia idealistica , per la quale l ' individuo era qualcosa come un felice inganno , una illusione ; e ben pochi si arrischiavano a mettere in dubbio l ' assolutezza del giudizio estetico . Anche in questo settore o spicchio della vita individuale l ' individuo era battuto a favore del super - individuo : lo Spirito Universale . Nemmeno mezzo secolo è passato , e già i filosofi sembrano correre altre vie . Due mesi or sono , a Venezia , in un « simposio di estetica » , l ' insigne storico della filosofia medievale Étienne Gilson affermò che la ragione umana non riesce neppure a sfiorare l ' intimo processo della creazione artistica . La ragione , secondo Gilson , coglie l ' opera d ' arte quand ' esca è fatta , quando è diventata un oggetto , non può coglierla nel suo divenire . Il linguaggio dell ' artista e il linguaggio del critico non sono omogenei . Se lo fossero , il critico dell ' arte pittorica si esprimerebbe dipingendo ; il critico dell ' arte musicale si esprimerebbe scrivendo altra musica ; il che non avviene . L ' arte è dunque creazione di oggetti che prima non esistevano , non è linguaggio o almeno non è linguaggio razionale : mentre la critica , che ha per suo strumento il linguaggio , non è che ricognizione di oggetti già fatti . Caduto il principio dell ' imitazione del vero nelle arti che furono dette figurali o plastiche ( nessuno dei molti intervenuti sembrò porre in dubbio la necessità di questa caduta ) , ne consegue che non può darsi critica razionale dei prodotti di queste arti . L ' arte d ' oggi , in gran parte delle sue manifestazioni , non è dunque giudicabile in alcun modo ; anzi l ' arte non fu giudicabile mai , perché l ' antica critica fondata sul principio della mimesi , dell ' imitazione , non compiva che l ' inventario di una più o meno felice adeguazione al vero , ma restava muta dinanzi all ' ineffabilità dell ' arte . A riprova delle sue idee il Gilson portava il fatto che nel mondo delle arti non ha validità il principio di contraddizione . La scienza evolve , una tesi dimostrata vera elimina la tesi contraria . In arte , di due tesi opposte non avviene che una elida l ' altra . Non potrete mai dimostrare che una canzonetta di Modugno sia inferiore all ' Odissea ; potrete dire che sono due cose diverse . ( Naturalmente , non mi valgo sempre degli stessi termini del Gilson : che non cita Modugno e definisce la figuratività come imagerie ; ma il senso non varia . ) La prima e vera obiezione che potrebbe farsi è che esiste un ' arte : la poesia , la quale si serve della parola e possiede dunque uno strumento omogeneo a quello della critica . Ma il Gilson ha previsto l ' obiezione e ha tentato di smontarla . In realtà , a suo avviso anche la critica della poesia si fonda sull ' apprezzamento della imagerie , cioè sull ' involucro che fa di una poesia un oggetto , ma non coglie il moto irrazionale che sceglie la parola ( quella parola e non un ' altra ) come materia . La critica letteraria si risolve perciò in una storia di contenuti , o tutt ' al più in un ' indicazione di « luoghi » più o meno suggestivi . Il più e il meglio le sfugge : anche la poesia non conosce evoluzione ed evade dal tempo . E a questo punto è opportuno notare quanto il Gilson sia vicino , almeno qui , al pensiero del Croce , che potrebbe sembrare toto coelo diverso . Anche per l ' idealismo crociano non si dà storia della poesia , ma storia di poeti ; anzi qualcuno , portando quel pensiero alle ultime conseguenze , crede che si dia solo storia delle singole opere di poesia , essendo il poeta stesso , come unico autore di opere diverse , un ' astrazione . Come si vede , filosofi di opposte tendenze possono , per diverse vie , proporre la medesima distruzione dell ' individuo . Non so se la tesi del Gilson abbia destato obiezioni . A Venezia tutti sembravano convinti che la distruzione dell ' imagerie nelle arti visive e della tonalità naturale ( ammesso che essa esista ) nella musica sia ormai conquista della quale non può farsi a meno . L ' unica risposta da me letta porta la firma di uno storico dell ' arte medievale , Sergio Bettini , ed è apparsa sulla rivista della Biennale veneziana ( « La Biennale » , gennaio - marzo 1958 ) . Il Bettini non contraddice del tutto il Gilson , ma propone alcune rettifiche o vie d ' uscita . Pensiamo , egli dice , all ' architettura , che Aristotile , e non lui solo , escludeva dal novero delle arti appunto perché essa non si propone l ' imitazione del vero . Oggi tutte le opere d ' arte dovranno essere « lette » come opere architettoniche , prescindendo definitivamente dall ' imagerie che può formarne il pretesto . Se è arte l ' architettura ( e nessuno osa più negarlo ) , se noi possiamo leggerne le opere anche senza tener conto della loro destinazione pratica , così potremo leggere come opere architettoniche anche le più strane pitture tachistes o informali : o anche , aggiungiamo noi , le più strazianti musiche elettroniche . Ma è una lettura , riconosce il Bettini , estremamente difficile , alla quale noi non siamo ancora addestrati . A suo avviso , nell ' arte che ha rinunziato alla mimesi , solo un capello divide il capolavoro dall ' aborto . Compito del critico è di cogliere questa differenza infinitesimale e di indicarla ; ma con quali parole ? Forse solo con una interiezione , un mugolio . Sostanzialmente il Bettini sembra d ' accordo col Gilson nel ritenere che dell ' arte moderna ( e forse d ' ogni arte ) non può farsi utile discorso . II critico d ' oggi non può essere che un rabdomante che con la sua bacchetta tocca qui e tocca là ; ma non ha nessun monopolio del vero . Si può pensare diversamente da lui senza essere imputati di falsità . E qui si torna alle idee del troppo dileggiato ( allora ) Giuseppe Rensi . Un tempo il corso e ricorso delle stesse idee avveniva lentamente , nel giro di secoli . Oggi s ' è fatto rapidissimo . Torniamo un passo addietro . Non dovete credere che questo universale relativismo porti l ' accademico di Francia Étienne Gilson a un pessimismo assoluto . Se la ragione umana ha dei limiti , l ' uomo deve lavorare e agire con gli strumenti di cui dispone . E il Gilson , trasferendosi inopinatamente sul piano dell ' empiria , pensa che studiando le correnti e le modificazioni del gusto individuale si possa disporre le opere d ' arte nel tempo e si possa classificarle secondo criteri di probabile validità estetica . È vero : su un piano strettamente teorico sarà sempre impossibile confutare chi preferisca le sculture di fil di ferro esposte a Venezia alle opere di Michelangelo : chi anteponga alla Gioconda un paio ( stracciato ) di calze di nylon debitamente esposte in cornice . Ma esiste pure , di epoca in epoca , un consenso delle maggioranze , un certo numero di indicazioni collettive che non possiamo trascurare . Si trasformi dunque l ' indagine estetica in uno studio statistico dei gusti e delle « mode » : si fondino a tale intento istituti di ricerca ad hoc ; e forse si potrà individuare qualche norma utile agli artisti e ai profani « consumatori » d ' arte . Ma potranno simili norme sfuggire alle accuse di soggettività che si muovono al giudizio dei singoli ? In verità , questa parte del discorso del Gilson , del resto appena abbozzata , ci sembra singolarmente campata nelle nuvole . Oggi la pietra d ' inciampo delle speculazioni estetiche non è più data dall ' architettura , ma dalla poesia , dall ' arte della parola . La poesia , che per metà è discorso e per metà è altra cosa , è orinai un ' intrusa in considerazioni di questo genere . Lo è , d ' altronde , sempre stata : fin da quando si è parlato della poesia e « delle arti » , unificando e insieme distinguendo . Non è mai avvenuto , nemmeno nelle punte estreme del surrealismo , che un poeta , uno scrittore , rinunciasse del tutto alla raffigurazione , all ' imagerie . Ammettiamo pure che le manifestazioni non figurali delle arti visive abbiano avuto il merito ( o l ' effetto ) di porre in crisi l ' arte figurativa , l ' abbiano resa più che mai difficile : e ammettiamo altresì che da almeno cent ' anni , per la suggestione che le viene dalle altre arti , la poesia stessa si sia fatta sempre meno mimetica , meno rappresentativa . Resta pur sempre la speranza che l ' arte della parola , arte inguaribilmente semantica , presto o tardi faccia sentire il suo contraccolpo anche sulle arti che pretendono di essersi affrancate da ogni obbligo verso l ' identificazione e la rappresentazione del vero .
IL DOVERE DEL VIVERE SOBRIO ( EINAUDI LUIGI , 1915 )
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Ora che la guerra è cominciata , diventa concreto il problema , che , già presente agli italiani , non ancora doveva essere risoluto senza indugio : come ci dobbiamo comportare nelle faccende ordinarie della nostra vita materiale ed economica ? Una formula ebbe grande voga in Inghilterra nei primi otto o nove mesi della guerra : operate e vivete come se la guerra non fosse ; attendete tranquillamente ai lavori vostri e continuate serenamente nel vostro genere ordinario di vita e di spese , senza preoccuparvi della guerra . In tal modo voi servirete il vostro paese ; il quale ha d ' uopo che il meccanismo della vita economica funzioni regolarmente e senza scosse , che la terra seguiti a fruttificare , che le industrie lavorino in pieno , che il traffico segua le sue vie , e che il popolo non sia malcontento per la disoccupazione . L ' esperienza dei primi nove mesi di guerra ha dimostrato che la formula , sebbene contenesse una parte di verità , non era compiuta e poteva diventare pericolosa . Nell ' Inghilterra stessa , l ' opinione pubblica ha dovuto persuadersi che la vita ordinaria della popolazione doveva mutare per adattarsi alle necessità urgenti e pressanti della guerra ; e che un non piccolo coefficiente di vittoria stava appunto nella capacità del popolo di adattarsi alle mutate condizioni ed esigenze della vita in tempo di guerra . Sì , fa d ' uopo che ognuno , il quale non sia chiamato sotto le armi , continui a lavorare nel suo mestiere e nella sua professione ; e questo è certo il miglior modo per servire il paese . Gli industriali , i commercianti , i professionisti , gli agricoltori che attenderanno con la consueta cura ai propri lavori e negozi , contribuiranno a far funzionare senza scosse il meccanismo della vita del paese ; e daranno opera alla vittoria ; meglio che non abbandonando il proprio mestiere ed offrendo la propria collaborazione a servizi bellici , od ausiliari , a cui possono essere disadatti . Lavorare come prima tanto meglio si può , in quanto il governo , fin dal primo momento , ha veduto che importava dare opera a promuovere il proseguimento regolare della vita economica . Niente moratoria , la quale avrebbe perturbato grandemente gli affari e gettato il seme del dubbio e dell ' incertezza ; bensì larghe anticipazioni a banche ed a consorzi per consentire loro di effettuare rimborsi e di concedere prestiti su titoli e su merci . Rassicurati e fiduciosi , gli industriali , i commercianti e gli agricoltori , non debbono sostare neppure un giorno dalle consuete faccende e dai lavori ordinari . Ma lavorare come prima non basta . Bisogna lavorare meglio e più di prima . In un momento in cui milioni di uomini robusti e giovani sono chiamati a difendere il paese , occorre che il vuoto lasciato dalla loro chiamata sotto le bandiere non sia avvertito . I comitati di preparazione che sono sorti in tante città e si stanno costituendo nelle campagne fanno e faranno opera benemerita se contribuiranno a far penetrare nella mente e nel cuore di tutti gli italiani il convincimento che ognuno deve lavorare meglio e più di prima . Ognuno stia al suo posto ; ma dia opera con raddoppiato zelo al lavoro di tutti i giorni . Il contadino sappia che se , coll ' aiuto delle donne , dei ragazzi , dei vecchi di casa sua , riuscirà , in assenza del figlio soldato , a portare in salvo il fieno e le messi , a curare le viti , ad allevare il bestiame , egli si sarà reso benemerito della patria . L ' impiegato pensi che le pratiche d ' ufficio debbono ora essere definite ancor più rapidamente di prima , sebbene parecchi suoi colleghi siano stati richiamati . Volendo , è sempre possibile far in modo che il lavoro sia sbrigato : si viene più presto in ufficio , si va via più tardi e non si pensa ad altro che al lavoro che deve essere fatto . Né si chiedano compensi per ore straordinarie . L ' operaio sappia che il successo della nobile e dura impresa nazionale dipende anche dalla diligenza del suo lavoro , dall ' essere egli pronto a sacrificare ogni svago , e talvolta a rinunciare alla domenica , pur che il lavoro si faccia . Lavorare come prima non sempre però è possibile . Vi sono industrie , di cui lo smercio diminuisce o cessa in tempo di guerra . Sono le industrie di lusso , quelle le quali lavorano per le cose non indispensabili all ' esistenza . Sarebbe strano che lo stato , mentre deve rivolgere i suoi sforzi più intensi alla condotta della guerra , disperdesse i suoi mezzi finanziari nella medesima quantità , ad esempio , di lavori pubblici di prima . Gli operai e gli industriali addetti a questi lavori chieggano che sia fatto ogni sforzo affinché sia impedita la loro disoccupazione ; ma si rassegnino a mutare genere e località di lavoro . I servizi ausiliari della guerra , le officine di armamento e di riparazione , le fabbriche di forniture militari avranno tali urgenze di lavoro che i disoccupati potranno facilmente trovar lavoro . Occorre che essi si adattino a compiere quei lavori che sono necessari e non si agitino per ottenere la prosecuzione di opere utilissime in tempo di pace , ma prorogabili in tempo di guerra . La guerra ha messo forzatamente in vacanze molti professori e ridurrà molto il lavoro dei professionisti . Già si sono costituiti comitati di questi « intellettuali » per avvisare ai mezzi di scrivere opuscoli , fogli volanti , di tenere letture e fare propaganda per innalzare il tono e lo spirito di sacrificio del paese . Molte cose utili si possono fare in questo campo , purché non si faccia della rettorica : spiegare ai soldati perché essi sono chiamati a combattere , quali sono le regole igieniche che devono osservare per non cadere vittime di malattie evitabili , organizzare invii di giornali e di libri ai soldati nelle trincee . L ' esperienza fatta da ambe le parti nelle trincee di Francia e del Belgio ha dimostrato che i soldati sono avidissimi di letture e di quanto possa ricordare loro i parenti , gli amici ed i cittadini della patria per cui combattono . Sì , fa d ' uopo che ognuno continui a spendere quanto spendeva prima . Ma non come prima . Sarebbe un delitto verso la patria . Non forse la guerra ha dimostrato la necessità di sopprimere o di ridurre al minimo il consumo di bevande alcooliche ? A tacer della Russia , che ha dato al mondo il magnifico esempio di un governo il quale rinuncia ad un ' entrata netta di forse 1 miliardo e 800 milioni di lire , pur di sopprimere il flagello dell ' alcoolismo ; dappertutto , in Germania , in Francia , in Inghilterra i governi hanno fatto sforzi perseveranti per ridurre il consumo delle bevande alcooliche . E come delle bevande , così sarebbe necessario ridurre il consumo di tutto ciò che non è necessario per l ' esistenza . Ognuno giudichi e valuti per conto suo le necessità della vita . Ma chi spendeva 100 , rifletta che egli ha il dovere di ridurre la spesa , quando lo possa fare senza detrimento della sua salute fisica , a 90 ad 80 a 70 per consacrare il risparmio a spese pubbliche . La spesa più urgente che oggi ogni cittadino consapevole deve fare è quella dell ' imposta . Pagare puntualmente le imposte dovute vuol dire soddisfare oggi ad una spesa altrettanto urgente come quella del pane o della minestra e certamente più urgente di quella da farsi per un vestito nuovo , od una scampagnata domenicale o per la villeggiatura . Chi può , rinunci quest ' anno alla villeggiatura ; e si dia dattorno per fare qualche cosa lungo i mesi estivi . Talvolta , il modo migliore di rendersi utile sarà di attendere alla sorveglianza dei lavori di campagna , quando fattori e contadini siano sotto le armi . In tal caso , quando la collaborazione agricola sia una cosa seria , anche la villeggiatura potrà moralmente essere spiegata . Altrimenti sarebbe una spesa deplorevole e dannosa . Tutto il margine di risparmio ottenuto sulle spese sia dato allo stato . Le guerre costano ; e costerà gravi sacrifici di uomini e di denari anche questa nostra guerra per la liberazione d ' Italia . Un prestito sarà necessario per somma grandiosa . Tutti devono sottoscrivere , anche con piccole quote ; e tutti devono fare ogni sforzo affinché nella spesa dell ' anno entri l ' acquisto di qualche cartella del nuovo prestito nazionale . Nel suo ultimo discorso sul bilancio , il signor Lloyd George disse che quest ' anno gli inglesi devono risparmiare il doppio degli anni scorsi : 800 milioni di lire sterline invece di 400; 20 miliardi invece di 10 miliardi di lire italiane . Così dovrà avvenire , mutate le cifre , anche in Italia . Resecate le altre spese ; ma tenetevi pronti a dare allo stato quanto più potrete ! È in gioco la ragione più alta della nostra vita , e della vita dei nostri figli e nepoti ; ed in confronto a ciò , appaiono ben piccola cosa le rinunce a qualche godimento materiale od intellettuale ! Né si tema , così operando , di favorire la disoccupazione . Senza volere fare discussioni troppo precise e minute , è chiaro che tutto ciò che noi forniremo allo stato a titolo di imposta o di prestito si convertirà immediatamente in domanda di merci e di prodotti utili all ' esercito e quindi in domanda di lavoro . Dopo , ritorneremo ad impiegare i nostri mezzi , gli uni nello spendere , gli altri nel migliorare terre o fabbricare case . Per ora , tutti gli italiani debbono rinunciare a qualunque altra meta che non sia la difesa della patria comune . Così hanno fatto , è d ' uopo dirlo anche ora , i tedeschi ; e ciò ridonda a loro grande onore . Così dobbiamo fare pure noi , se vogliamo dimostrare al mondo che la nostra causa è giusta . Una meta così alta , come il compimento della unità d ' Italia , non si tocca senza dolore e sacrificio . Affrontiamoli con cuore saldo e coi nervi tranquilli ; e la meta sarà raggiunta . Se avremo fiducia in noi stessi , la battaglia sarà vinta ; e sia fiducia senza jattanza , austera e piena .
Gente in fuga ( Montale Eugenio , 1953 )
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Non so se molti fra coloro che hanno scritto saggi o tesi di laurea sul Carducci si siano dati la pena di visitare l ' umile , quasi inabitabile casa di Valdicastello in cui il poeta nacque , nel 1835 . Di là all ' università il volo fu breve : a venticinque anni il Carducci era già in cattedra . Viaggi veri e propri il poeta non compì mai ; non vide mai Parigi , meta immancabile di ogni intellettuale moderno . Le vie di comunicazione , in quel tempo , non dovevano esser molto diverse da quelle che permisero all ' Alfieri di trasferirsi da Asti a Firenze . Non esistevano radio , cinema , giornali illustrati , edizioni « della notte » ; le lingue straniere bisognava studiarsele da sé , a lume di candela . Il ritmo della vira era sicuramente au ralenti . Probabilmente anche le stagioni avevano un altro peso e un altro senso . Aggiungete a queste condizioni di vita la natura stessa della terra di Toscana , satura di storia e di civiltà , e i buoni studi umanistici condotti sotto la guida dei preti d ' allora ; e avrete tutti gli addendi che sommati insieme ( non dimenticando il talento individuale ) potevano portare al risultato ultimo : una poesia insieme culturale e ingenua . Una poesia , in ogni modo , che par fatta apposta per permettere alla critica di tirar fuori i ferri del mestiere . Quando di un artista si sa tutto o quasi tutto : vita , opere , amicizie , ambiente ; quando insomma è relativamente facile fare un salto indietro e ripercorrere le tracce di una vita che ha lasciato reliquie numerose e ancora recenti ; allora è fatica abbastanza agevole quella che ci propongono i critici storicisti , di rifarci mentalmente contemporanei di un uomo che non esiste più ; e di ripensare un ' opera alla stregua delle premesse che l ' hanno resa non solo possibile ma necessaria e irripetibile . L ' impresa che ho rudimentalmente descritto ( e che consiste nello « storicizzare » un ' opera e un autore ) diventa quanto mai ardua nei casi in cui opere e uomini si allontanino nel tempo e nello spazio . Dalla storia si passa , qui , nella metastoria . Si lavora su qualcosa che è esistito ma che , strada facendo , si è arricchito d ' incrostazioni d ' ogni genere ; rimuovendo le quali ( fosse possibile ) l ' oggetto in esame diverrebbe non già più chiaro ma presumibilmente oscurissimo . Non allontaniamoci troppo : Medio Evo e Rinascimento ( pochi secoli , un batter d ' occhio nella vita dell ' umanità ) sono già termini in discussione , origini di dibattiti e di ipotesi inconciliabili ; e se dietro a queste etichette passiamo alle opere ( opere controverse , inattribuite o inattribuibili , opere scomparse o falsificate , opere gergali di cui abbiamo perduto la chiave , manufatti di cui non sapremo mai se si tratti di arte o di industria , ecc . ) ci convinceremo di quanto sia breve il raggio d ' illuminazione che è consentito all ' indagine storica . L ' Ottocento è il paradiso di tale indagine : tempo di crescenza , diverso di decennio in decennio , tempo vicino a noi , pienamente comprensibile e ricostruibile . Ma se questa crescenza un giorno finisse ? Se la velocità della vita moderna ingenerasse secoli e secoli di apparente stasi ? Suppongo che una macchina lanciatissima dia quasi il senso di esser ferma ; ed è possibile immaginare un ' umanità futura in cui il progresso , sceso per li rami a particolari minutissimi , sembri in qualche modo immobile , non più in divenire . È possibile pensare un tempo in cui non solo da un decennio all ' altro ma da un secolo all ' altro non avvengano più mutazioni apparenti , e in cui il figlio sembri eguale al padre e al nonno . Anche in un simile caso si avrà la trasformazione della storia in metastoria : e la professione di critico ( storico ) di arte o di letteratura non sarà delle più invidiabili . L ' uomo che nasce oggi non può più permettersi il lusso - o la perdita di tempo - che fu concesso a un Carducci . A vent ' anni non sa nulla ma in certo modo sa tutto , ha vissuto esperienze che farebbero strabiliare i nostri antenati . Ma le ha vissute svuotandole , rendendole inutili . Rendersene conto , strabiliarne vorrebbe dire essere per metà antichi e per metà moderni , e il risultato non potrebbe essere che la pazzia . È probabile che lo stato di collasso nervoso in cui vivono giovani e vecchi del nostro inoltrato Novecento sia il prodotto di un inadattamento , di uno scompenso . L ' uomo nuovo nasce , per eredità , ancora troppo vecchio per poter sopportare il nuovo mondo ; le attuali condizioni di vita non hanno ancora fatto tabula rasa del passato , si corre troppo ma si sta ancora troppo fermi . L ' uomo nuovo è , in altre parole , tuttora in fase sperimentale . O decide di tornare indietro ( cosa forse impossibile ) o deve correre di più , per avere il beneficio di un ' apparente stasi : quella dell ' ultravelocità . Correre di più vuol dire alleggerire il bagaglio della propria cultura , gettar via la zavorra dei propri legami col mondo antico . Vuol dire diventare un essere di cui non abbiamo la più vaga nozione . Qui mi fermo perché sento di essere in errore . Mi basta guardare oltre i cancelli della pineta da cui scrivo per convincermi che già esistono numerosi campioni di un ' umanità divisa fra lavoro e loisirs , fra lavoro più o meno meccanicizzato e ozi più o meno pianificati , non forse ingrati ma infecondi . Oggi come ieri l ' uomo lavora e si diverte ; ma il lavoro è quello che compie la parte di un ingranaggio e gli ozi sono laboriosi , faticosi e talvolta abbrutenti . Sono in ozio gli uomini e le donne che vedo sbarcare da macchine di lusso dinanzi alla « Grande Chaumière » che monopolizza i divertimenti di qui ? Donne dalle pettinature faraoniche e dai calzoncini attillati , a tubo , fino a metà del polpaccio ; uomini che hanno brache cascanti e maglie arrotolate e annodate sul ventre si avviano a finire nel can - can una giornata di canasta e di bridge . Non sono pochi , sono milioni in tutto il mondo , sono in qualche modo la parte più progredita dell ' umanità . Certo il progresso ad essi deve moltissimo . Non è gente in ozio questa : è gente veloce , in fuga dal tempo , dalle responsabilità e dalla storia . È gente che smesso il lavoro non può restare in compagnia di se stessa ed ha bisogno - in qualsiasi modo - di « far qualcosa » per riempire il vuoto dal quale deve difendersi . Non sono villeggianti , in una villa morirebbero di noia , in uno di questi orti non saprebbero accorgersi del lavoro che i ragni , i beccafichi e le cetonie compiono sulla più zuccherina frutta del mondo , sulla pesca noce , sull ' uva erbarola e sui grappoli dell ' aleatico . Sono estivants , gente che cerca la città e « fa città » dovunque arriva . Ed ora sono giunti in Versilia che fino a pochi anni fa ne era immune . Li accoglie qui un collare di perle , la delicata illuminazione notturna che dal Cinquale a Fiumetto distingue questa spiaggia dalle altre ; ed è tutto , perché all ' alba essi non sentono certo il ronzio dei maggiolini sulle zinnie , lo schiocco dei superstiti merli delle pinete . Le loro camere si aprono sull ' asfalto e quando scendono sulla spiaggia ( quasi asfaltata ) coi loro costumi a due pezzi , mezzogiorno è suonato e sulle loro teste non passa che un aeroplano che sparge manifestini e piccoli paracadute réclame . Il giorno che tutti avranno lavoro e loisirs a sufficienza e siano scomparsi quegli improduttivi otia che permettevano la maturazione della grande poesia non è detto che anche l ' arte venga meno sulla faccia della terra . Una totale trasformazione dell ' uomo in macchina non è immaginabile . Ma si accentuerà nell ' arte futura quel carattere preistorico che già colpisce nelle odierne manifestazioni . Avremo « pezzi » d ' arte pura , e perciò assolutamente inspiegabile ; pezzi da mettersi accanto ai migliori dell ' arte sumera , egiziana , maya , ecc . ; e che nessuno vorrà affaticarsi a porre in rapporto con una figura , con una personalità d ' autore ; pezzi o , se si vuole , opere che non sarà possibile inserire in una storia individuale . Ridotta a bocconi anche la poesia figurerà nel museo immaginario di domani . E forse allora nessuno ricorderà che un grande filosofo umanista - il nostro Croce - non ammise che possa darsi storia della poesia . O solo qualche erudito ne saprà qualcosa e vedrà in questa teoria uno dei più singolari aspetti della lotta del nostro tempo contro il Tempo .
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Gli ultimi , come i precedenti , provvedimenti finanziari hanno avuto in generale una buona stampa e soltanto qua e là si sono elevate alcune voci contro l ' errore che avrebbe commesso il governo , tassando con eccessiva mitezza gli extraprofitti degli industriali e con grande durezza il sale del povero . A questo punto conviene che si metta ben chiaro il problema . Premetto che faccio astrazione dalle imposte che si dovrebbero mettere per motivi « morali » , per ossequio alle « nuove » idee « sociali » e via dicendo . Tutte queste , finanziariamente , sono pure « parole » gettate al vento . Da esse non si cava fuori una lira e neppure un soldo . Il problema finanziario che si deve risolvere dai paesi belligeranti è il seguente : come ottenere nuove entrate per somme variabili , nell ' ipotesi che la guerra finisca entro il 1916 , da forse 700 milioni di lire ( ed è probabilmente il caso dell ' Italia , compresi i maggiori tributi già stabiliti , il cui reddito complessivamente si può valutare in 260 milioni ) a 34 miliardi di lire all ' anno , come è il caso dei maggiori tra i paesi in lotta ? E , badisi , devono essere centinaia di milioni e miliardi di lire effettive , non di « parole » . Non deve trattarsi di imposte del genere di quelle « morali » , « democratiche » , « sociali » , che il signor Lloyd George fece approvare col famoso bilancio del 1909 , che fu l ' origine della rovina della Camera dei lordi , ed il cui unico costrutto sino al 31 marzo 1914 fu di aver costato circa 55 milioni di lire italiane e di aver reso poco più di 15 milioni di lire . No ; da questo genere di imposte nessun aiuto sostanziale può venire ai tesori affamati . Né si può sperare somme sostanzialmente apprezzabili dalle imposte sui profitti di guerra che a gara vanno sorgendo in Inghilterra , Francia , Italia , Germania . Ho già spiegato come il frutto più sostanziale che si può sperare da questa imposta in Italia non sia un suo provento reale vero e proprio , ma la possibilità di benefici duraturi derivanti da alcune apparentemente piccole riforme , che accortamente l ' on . Daneo colse l ' occasione presente di introdurre nell ' organismo della ordinaria imposta di ricchezza mobile . L ' imposta sui profitti di guerra la possiamo concepire costrutta in tre sole maniere : I ) Quella proposta dal comm . Bocca , presidente della Camera di commercio di Torino , di una percentuale ad esempio del 5% , sull ' ammontare lordo delle forniture fatte allo stato . Ignoro se il metodo possa andar bene per l ' industria del cuoio , di cui il Bocca è cospicuo rappresentante . Ma è cosa certissima che il metodo da lui proposto è : sperequato perché vi sono forniture su cui si guadagna il 10 , il 15 od il 20% e su cui l ' imposta del 5% potrebbe essere pagata , e vi sono forniture in cui il margine di guadagno è inferiore al 5% , e può ridursi pur con molto lucro del fornitore al 0,50% . Come pagare in tal caso un balzello del 5% ? Ed è metodo altresì di impossibile applicazione ai guadagni non derivanti da forniture fatte allo stato ; e quindi è metodo che imbroglierebbe stranamente i conti , perché imporrebbe , per ogni azienda , la tenuta di due contabilità , una per le forniture e l ' altra per gli altri guadagni . Cosa impossibile e che metterebbe la finanza di fronte a problemi inesplicabili ed insormontabili . Finalmente , fa d ' uopo notare che una imposta di questo genere esisteva già , sotto il nome di diritto di registro dell'1,35% sul valore dei contratti conchiusi dallo stato . Fu abolita , in seguito alle lagnanze dei fornitori , con la legge ° aprile 1915; ma è stata ripristinata con l ' allegato 5° agli ultimissimi provvedimenti finanziari . Questa tassa era e rimane dell'I,35% del valore della fornitura . Che non è piccola cosa e va in aggiunta all ' imposta sugli extraprofitti di guerra . Mi sia lecito però osservare che il solo effetto suo era prima di indurre gli industriali ad aumentare , arrotondando la cifra , del 2% i preventivi delle forniture . Auguriamoci , pur con molto scetticismo , come farebbero a pagare quelli che guadagnano meno dell'1,35% ? che ciò non abbia più ad accadere in avvenire , e che non si tratti di una pura partita di giro . 2 ) Quella proposta da taluni i quali vorrebbero che l ' imposta assorbisse il 100% dei profitti di guerra , in guisa che , dopo la guerra , nessun italiano dovesse essere più ricco di prima . Io non giudico il concetto dal punto di vista politico - sociale . Ed ammetto volentieri che questa imposta del 100% sarebbe efficace e reale . I contribuenti , salvo la frode , non avrebbero alcun mezzo per sfuggirvi . Ma a che prezzo ? Finché gli uomini sono fatti nel modo che tutti conosciamo , e che non è in potere di alcuno di mutare , un ' imposta siffatta avrebbe un unico effetto : di togliere ogni stimolo agli industriali di produrre un paio di scarpe , un metro di stoffa , un pacco di munizioni di più di quello che producevano prima della guerra . Ottenuto il guadagno di prima , nessuno avrebbe interesse ad andare più in là . Nessuna imposta sarebbe , più di questa , utile al nemico . Chi avanzò una tesi simile certamente non pose mente a questa logica conseguenza della sua proposta . Ma sarebbe conseguenza certa , ineluttabile . 3 ) Quella attuata dal ministro Daneo ; forse con qualche maggiore gravezza di aliquote . Di essa questo si può dire di probabilmente sicuro : che quanto più cresce la gravezza delle aliquote , tanto minore è il provento netto ottenuto dal tesoro . Una imposta tenue può darsi cada solo sulla porzione dei profitti aventi carattere di monopolio e quindi può darsi rimanga sui colpiti e da essi non possa essere trasferita sul cliente , che nel caso nostro è il ministero della guerra . Quanto più invece cresce l ' aliquota , tanto più è probabile che essa cada anche sulla quota normale dei profitti ( di guerra bensì , ma normali , dato l ' aumentato saggio di interesse e di rischio ) e che li colpisca in modo speciale di fronte agli altri profitti . Qui non è il luogo di ripetere i lunghi discorsi che in proposito si possono leggere nei libri degli economisti ; basti dire che i due caratteri , della gravezza su profitti non di monopolio , e delle specialità sono , tra tutti , i caratteri che maggiormente facilitano la traslazione dell ' imposta sul cliente , ossia sullo stato . Se il ministro Daneo non voleva creare una imposta - comparsa , se voleva evitare di istituire una partita di giro , doveva necessariamente tenersi moderato nelle aliquote . Le quali del resto , giungendo al 41,50% paiono alte ; ed in quanto sono alte poco renderanno sul serio al fisco . Il reddito vero , netto , sostanziale si avrà sovratutto dalla revisione straordinaria dell ' imposta di ricchezza mobile e dall ' applicazione dell ' aliquota ordinaria dell'11,50% . Affermano ancora i critici che il governo ha fatto male ad aumentare di 10 centesimi al chilogrammo il prezzo del sale . Ciò è anti - democratico . Io non so che cosa significhi questa parola in materia di imposte ; ma posso andare d ' accordo con i critici nel ritenere che trattasi di imposta condannabile , perché grava in modo sperequato sui contribuenti , a parità di reddito . Dopo aver fatto questa dichiarazione , debbo subito aggiungere che la colpa dell ' aumento del prezzo del sale non è del governo ; ma di quei numerosissimi quasi tutti industriali , commercianti , proprietari agricoli , fittavoli che trascurano di denunciare nome e cognome e salario di quei loro dipendenti impiegati , operai , lavoratori in genere che guadagnano almeno lire 3,50 al giorno ; è di quei lavoratori che , avendone essi direttamente in altri casi per legge l ' obbligo , non fanno la dichiarazione dovuta . È di quei contribuenti in genere che , trovandosi più in su della scala sociale , imitano col silenzio o col parziale occultamento l ' esempio di coloro che si trovano più in giù . Non giova declamare contro i ricchi ed invocare il 30 , 11 40 , il 50% e più contro i loro redditi . Nessuno stato è mai vissuto contro le sole imposte sui ricchi . È utile che i ricchi paghino di persona e di denaro : e paghino più degli altri . Ma non bisogna farsi illusioni . Le imposte sui ricchi possono rendere , anche se seriamente e correttamente accertate e pagate , le unità e le decine di milioni . Ora occorrono invece le centinaia di milioni . E , come dice il signor T . Gibson Bowles , forse il migliore conoscitore e critico del bilancio inglese , nell ' ultimo numero della « Candid Quarterly Review » : « Ogni cancelliere dello scacchiere , il quale abbia saputo qualche cosa del suo mestiere , seppe bene che , se egli doveva riempire la rete della sua imposta sul reddito , doveva fare la maglia abbastanza piccola da poter pescare i molto piccoli , al pari dei pochi grossi pesci » . Finché in Italia i pesci grossi cercheranno , quando vi riescono , di sottrarre agli accertamenti parte dei loro redditi ; fino a quando i pesci medi imiteranno , con discreto successo , il loro esempio ; e fino a quando i pesci piccoli rimarranno quasi completamente fuori delle maglie della rete dell ' imposta di ricchezza mobile ; fino a che tutto ciò non sarà cambiato , il ministro del tesoro , che ha bisogno di denari contanti e non di parole , dovrà raccomandarsi al ministro delle finanze affinché questi applichi o cresca imposte produttive . Abbiamo avuto ora l ' imposta sul sale : ma , se i contribuenti non si emendano necessariamente vedremo imposte anche peggiori . La salute sta in noi , non nei governi . Se i contribuenti chiedessero : 1 ) l ' obbligatorietà della dichiarazione giurata di tutto il complesso e delle singole partite del proprio reddito : con penalità di multe e reclusione comminate ed eseguite a carico degli spergiuri ; e con la maggiore pena del disprezzo dell ' opinione pubblica verso i frodatori ; 2 ) l ' obbligatorietà per tutti i contribuenti non analfabeti della tenuta dei libri di entrata ed uscita ; ed inoltre dei libri - giornale per tutti i commercianti , industriali e professionisti ; con severe penalità per i contravventori , e con opportune garanzie di segreto per coloro a cui recasse danno far conoscere al pubblico i fatti ed i redditi propri ; 3 ) la abolizione delle attuali commissioni delle imposte dirette , presiedute e composte di delegati dei prefetti , dei consigli provinciali e comunali , ossia composte di persone soggette ad ogni influenza politica e controllate da poverelli agenti delle imposte , mobili quali frasche al vento , trasferibili da luogo a luogo , promovibili senza regole fisse ; 4 ) la sostituzione ad esse di nuove commissioni , di cui la figura centrale e dominante fosse il presidente , funzionario finanziario , arrivato al più alto grado della sua carriera , nominato per un periodo fisso di tempo , inamovibile ed impromovibile , salvoché per cooptazione in una suprema magistratura finanziaria centrale ; ed incaricato , con alto stipendio , della unica e stabile mansione di controllare gli accertamenti e decidere sulle controversie relative . Se i contribuenti comprendessero tutto questo ed altro , che per brevità per ora tralascio , non farebbe d ' uopo , per pigliare nella rete i piccoli , alzare il prezzo del sale e per colpire gli agiati ed i ricchi , istituire i centesimi di guerra e le imposte sugli extraprofitti ? Basterebbero le tre « vecchie » come in Francia chiamano le imposte affini alle tre nostre sui terreni , sui fabbricati e sulla ricchezza mobile a procurare all ' erario somme cospicue e crescenti . E si potrebbero istituire quelle due imposte , complementari alle già esistenti imposte sul reddito , la progressiva sul reddito globale e la patrimoniale , che oggi , allo stato attuale degli accertamenti , sarebbero ben poco interessanti dal punto di vista finanziario ; ma domani potrebbero diventare il perno di una feconda trasformazione dei nostri ordini tributari .
Una vera orgia di modernismo ( Montale Eugenio , 1960 )
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Venezia , 12 settembre - Si è inaugurato ieri sera nella sala dello Scrutinio nel Palazzo Ducale il XXIII Festival internazionale di musica contemporanea . I concerti in programma saranno quindici , le orchestre quattro : due italiane ( della Fenice e della Rni di Torino ) e due straniere ( i complessi della Radiodiffusione - Televisione francese e della Kölner Rundfunk ) . Direttori d ' orchestra Maazel , Sanzogno , Ehrling , Craft , Stravinskij , Cattini , Cluytens , Dutilleux , Maderna , Rossi , Albert . Sedici saranno le novità assolute e tredici le prime esecuzioni per l ' Italia . Musiche sinfoniche e musiche da camera si alterneranno ; non mancherà uno spettacolo di danza e sarà presente la musica elettronica . A parte la serata dedicata a Schumann e un concerto con classici francesi dell ' Ottocento , si avrà quindi una vera orgia di modernismo musicale . Come il lettore noterà manca quest ' anno uno di quegli spettacoli operistici che soli richiamavano il pubblico ( La carriera del libertino di Stravinskij nacque qui alla Fenice ) e che quasi da soli esaurivano le magre risorse finanziarie del festival . È forse inutile rammaricarsene . Quanto alla lamentata ( da parte dei vecchi musicisti ) tendenziosità del programma , quasi esclusivamente ultramoderno , si può osservare che non è colpa di Mario Labroca , direttore del festival , se oggi la musica di forme e spiriti tradizionali attraversa una crisi di stanchezza . Non è colpa di nessuno se ai giorni nostri il vento soffia in una sola direzione . E il discorso probabilmente può valere anche per la Biennale veneziana , patrona del festival . Resta inteso che qui a Venezia le manifestazioni musicali successive alla Mostra del cinema avvengono un poco in una scatola chiusa e spesso interessano soltanto gli autori e i loro amici . In larga misura si ascolteranno musiche sperimentali che non pretendono di avere successo , e che anzi sarebbero desiderose di ottenere un effetto di choc e di fare scandalo . Il guaio è che scandali non ne avvengono più ; l ' orecchio degli ascoltatori si è abituato a ogni genere di dissonanze e le ricerche del « totale cromatico » sono ben lungi dal dare il talento a chi ne è scarsamente provvisto . Nulla di troppo moderno , in ogni modo , nel concerto di ieri sera dedicato alla commemorazione di Gustav Mahler , un compositore che ebbe larghi successi come direttore d ' orchestra , ma non altrettanto come autore di musiche proprie . La reputazione del Mahler - morto nel 1911 appena cinquantenne - è piuttosto postuma . I suoi estimatori citano per lui Nietzsche e Kierkegaard e lo vedono come un uomo di rottura che , esasperando il sistema tonale e mostrandone i limiti , introduce direttamente all ' espressionismo dei viennesi . Ma in verità l ' espressionismo non nasce con Berg e Webern e quello di Mahler è ancora gonfio di romanticismo ottocentesco . Le musiche che abbiamo ascoltato ieri sera - non nuove per l ' Italia e anzi assai note anche attraverso registrazioni - ci danno una diversa misura del suo temperamento . La Prima sinfonia scritta tra il 1885 e il 1888 e ispirata al Titano di Jean - Paul Richter è largamente occupata da un ossessivo mimetismo naturalistico . Ascoltandola senza tener conto della traccia offerta dal libretto ne riconosciamo il carattere composito , indifferenziato , monotono malgrado la ricchezza timbrica e armonica . Il Mahler , tipico esponente del gusto liberty tedesco , ha sempre qualcosa da cincischiare , da aggiungere e da postillare , e potrebbe così continuare all ' in finito . Folclore , sentimentalismo , profetici slanci e una perpetua atmosfera di epifania che non illude nessuno ( perché noi sappiamo che non accadrà nulla di notevole ) sono anche gli elementi del Canto della Terra per contralto , tenore e orchestra ( 1908 ) eseguito nella seconda parte del programma . In fondo Mahler aveva molti doni , qui più presenti che mai ; è dubbio però che avesse « il dono » , quello che conta . Ma andate a dirlo ai suoi ammiratori ! Esecuzione buona da parte dell ' orchestra della Fenice diretta da Lorin Maazel . Il tenore era Richard Lewis , il contralto Kerstin Meyer . Applausi calorosi , pubblico abbastanza folto .
E LE RIVENDICAZIONI ECONOMICHE? ( EINAUDI LUIGI , 1919 )
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Il ministro Crespi è stato nominato membro del Consiglio supremo degli approvvigionamenti che risiede a Parigi per regolare la distribuzione delle derrate alimentari e delle materie prime tra le nazioni alleate , neutre e nemiche . A lui è stato affidato pure il compito di dirigere la preparazione e il coordinamento degli studi e degli interessi d ' ordine economico per la conferenza della pace . Accanto ai delegati politici era necessario ci fosse il delegato economico , essendo necessario che l ' opinione pubblica cominci ad interessarsi seriamente alla discussione dei problemi economici , i quali dovranno esser risoluti alla conferenza di Parigi . Molto si scrive e più si discorre delle rivendicazioni politiche che l ' Italia dovrà far sue attorno al tavolo della conferenza ; e si è in ansia sul meno e sul più che l ' on . Sonnino ed i suoi colleghi chiederanno ed insisteranno per ottenere . Ma chi parla delle rivendicazioni economiche o finanziarie che l ' Italia dovrà presentare a Parigi ? Chi si interessa di sapere in qual senso e in qual misura i destini materiali del nostro paese saranno determinati dalle decisioni parigine ? Eppure di sei punti , che sui quattordici del celebre discorso di Wilson dell'8 gennaio 1918 avevano carattere generale diplomazia pubblica , libertà dei mari , uguaglianza di trattamento nelle convenzioni commerciali , riduzione degli armamenti , governo e ripartizione delle colonie , società delle nazioni parecchi hanno un carattere nettamente economico ; il che fa vedere il gran peso che alla soluzione di questi problemi dà il presidente degli Stati uniti . I nostri uomini di governo dànno ad essi un ugual peso ? Quale è la preparazione di studi , di dati , di documenti probanti e seri con cui i delegati italiani si sono avviati alla conferenza , sì da affidare il paese che le sue ragioni saranno efficacemente sostenute ? Confidiamo che quegli studi siano stati intrapresi e condotti a termine per tempo . Il ministro Stringher , che è stato fino a ieri a capo del maggior osservatorio economico esistente nel nostro paese , la Banca d ' Italia , che ha scritto relazioni , le quali sono fra le cose più informative che si abbiano sull ' economia di guerra in Italia , ed è studioso serio , osservatore sagace , non facile a lasciarsi trascinare , e cauto nell ' assumere impegni od avanzare pretese , ha le qualità e i mezzi necessari per sostenere le ragioni dell ' Italia in merito alla pace economica , con competenza , moderazione e fermezza . Sono le qualità , le quali giovano maggiormente quando si ha da fare con uomini , che non si lasciano fuorviare dalle esagerazioni , ma hanno il dovere di consentire alle richieste seriamente documentate e fermamente sostenute . L ' Italia ha parecchie richieste da presentare , serie , anzi di una grande gravità e urgenza per il nostro assestamento economico e finanziario . Dal loro esito dipendono in gran parte la ripresa economica del paese , la sua pace sociale , la sua capacità a partecipare con frutto alla risorta vita internazionale . L ' Italia ha diritto di partecipare agl ' indennizzi che dovranno esser pagati dagli imperi centrali . Anche se calcolati entro i limiti della risposta dell ' intesa al presidente Wilson , la quale servì di base all ' armistizio con la Germania , si tratterà pur sempre di decine di miliardi d ' indennizzo per danni arrecati dal nemico alle cose e alle persone . L ' Italia , che ebbe alcune sue belle provincie soggette ai danni dell ' invasione e molti danni subì a causa delle operazioni di guerra , ha diritto di partecipare a questi indennizzi . Ma chi ce li pagherà ? I nuovi stati che hanno preso la successione dell ' Impero austro - ungarico , di cui alcuni sono divenuti nostri amici ed altri saranno probabilmente insolventi ? La guerra fu condotta per causa comune . Unico fu lo sforzo , e unica deve essere la responsabilità dei nemici verso di noi . Ecco un gravissimo problema che importa sia bene impostato e la cui soluzione più giusta , che è anche quella più favorevole a noi , deve essere vigorosamente sostenuta dal nostro delegato economico . Le spese di guerra non sono giunte alle cifre fantastiche , superiori all ' ammontare della ricchezza nazionale , che alcuni farneticano ; ma è pur certo che i debiti da cui l ' Italia è gravata in conseguenza della guerra , giungono ad altezze quali proporzionalmente non si hanno in nessun altro dei grandi paesi belligeranti dell ' intesa . Se altri trova duro di dover sottostare a debiti bellici uguali al quinto o al quarto o al terzo della ricchezza privata dell ' anteguerra , che dire di noi che , senza contare i vecchi debiti , già ora dobbiamo guardare ad un debito nuovo indubbiamente molto alto in confronto alla ricchezza nostra , quale poteva essere con larghezza calcolata nel 1914 ? Non si impone una perequazione ? La fronte unica finanziaria , rimarrà una frase priva di contenuto ? La proposta del deputato francese Stern , od altra simile , di creazione di un debito internazionale il cui servizio sia poi ripartito in ragione della ricchezza dei vari stati alleati e associati , entrerà nella realtà ? Cadranno nel vuoto le proposte di passar la spugna sui prestiti di guerra fatti agli alleati , che ci vengono da autorevoli voci inglesi e nordamericane ? Tutto dipende dalla vigoria con cui se ne faranno propugnatori i delegati italiani e francesi . Né gli italiani debbono farsi trascinare a rimorchio dai francesi ; ma porre essi il problema , come ce ne dà diritto la grandezza dei sacrifici finanziari sostenuti . Per la ripresa economica l ' Italia ha bisogno urgente di approvvigionamenti cospicui , ed occorre che i privati possano comperare largamente , senza le pastoie dei vincoli governativi ; ma occorre altresì che il governo s ' intenda con gli Stati uniti e con l ' Inghilterra affinché gli acquisti , che debbono essere copiosi e rapidi , non disorganizzino i cambi , perturbando per un altro verso la vita del paese . Non si dice che l ' acquisto venga fatto dai privati e il pagamento dallo stato ; ma che i delegati italiani sappiano ottenere facilitazioni per i pagamenti , sicché il livello attuale dei cambi , mantenuto artificiosamente basso dalla politica suicida di non lasciar comprar nulla , non sia mutato in peggio . Tutti gli stati avranno il proprio fardello di imposte da sopportare . Anche noi . E siamo disposti a pagare . Ma si è a sufficienza ponderato il problema di coloro che non vorranno pagare e andranno alla ricerca dei paesi a tassazione minima ? Non urge che i nostri delegati pongano le fondamenta di accordi internazionali per l ' accertamento dei redditi , per le denuncie in caso di successione , per i titoli al portatore , i quali giovino a diminuire i pericoli di evasione ? Su nessuno di questi punti noi incontreremo ostacoli insormontabili ; bene spesso avremo il consenso di altri stati che hanno i medesimi nostri interessi , e sempre la benevolenza di quelli che debbono riconoscere il nostro diritto ad un aiuto . Ma nulla si fa senza sforzo , senza interessamento vivo , senza solerte preparazione .
«L'uomo malcontento» di C. Malipiero ( Montale Eugenio , 1960 )
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Venezia , 13 settembre - La più attesa delle « novità assolute » eseguite iersera nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale era di Gian Francesco Malipiero : un concerto di concerti , ovvero L ' uomo malcontento per violino concertante e orchestra , solisti Scipio Colombo , baritono , e Franco Gulli , violino . Si tratta di una di quelle « rappresentazioni da concerto » di cui l ' illustre maestro ci ha dato già prove . Stavolta egli ha scelto tre ottave del Poliziano , alcuni versi dal Transito e Testamento di Carnovale di un ignoto del secolo XVI e un brano dell ' Ipocrito di Pietro Aretino . Il filo che unisce questi brani è il sentimento di amara scontentezza che investe la condizione umana quand ' essa giunge al tramonto . Malipiero vi ha profuso ancora una volta le qualità che fanno di lui un modello di coerenza e di deliberata inattualità . Sfrondata dalla parte solistica del violino , soporifera , c da quella vocale , di una scrittura impossibile , resta abbastanza viva la cornice sonora , arcaizzante , come al solito , ma non priva di ingegnosi episodi . Assisteva l ' autore , festeggiato . All ' inizio del programma una Piccola musica di Natale per piccola orchestra e pianoforte , di Niccolò Castiglioni , pianista lo stesso autore ( il titolo , per semplificare le cose , è in tedesco ) . Castiglioni intende , e lo dice nel programma , eliminare dal suono ogni piacere sensoriale : il suo « è un bisogno di tutelare l ' aristocrazia del pudore dal grossolano ricatto di una pseudo - civiltà mercantile » ( la sola , aggiungiamo noi , che paga e rende possibili i festival musicali ) . Nella breve composizione ( undici minuti ) rari suoni vetrini , felpati o frullati hanno la funzione di un filo spinato che delimiti larghe zone di silenzio . L ' aristocrazia del pudore risulta effettivamente tutelata dal giovane e sensibile autore . Cesare Brero ha invece musicato Er testamento de Meo del Cacchio di Trilussa : voce di baritono e quattordici istrumenti , più la percussione . L ' accorato e fine strumentale ci ha fatto dimenticare la parte vocale , arida , difficile e di scarso interesse . Chiudeva la serata la Sinfonia op. 35 di Luigi Cortese , composizione in tre tempi che intende essere « una dichiarazione di fiducia nella vitalità della forma tonata » . Tutto ciò servirebbe a poco se in realtà il Cortese non avesse scritto , come ha scritto , una musica vigorosa e tematicamente chiara , che si segue con attenzione e dimostra una maestria non soltanto tecnica . Queste « novità assolute » , egregiamente eseguite dall ' orchestra della Fenice , diretta da Nino Sanzogno , sono state ascoltate da un pubblico non molto folto ma rassegnato e plaudente . Tutti gli autori sono apparsi più volte alla ribalta . Si sono fatti onore il violinista Gulli e il baritono Colombo , quest ' ultimo un vero martire .
LA QUESTIONE PRELIMINARE. ( EINAUDI LUIGI , 1919 )
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Le sedute del congresso di Parigi presentano ai nostri occhi uno spettacolo non si sa se più appassionante o più grandioso . Ardui problemi coloniali e territoriali , questioni di confini , creazioni di repubbliche e di regni nuovi vengono dibattuti dinanzi ad un areopago mondiale , in cui seggono , arbitre definitive , due potenze delle quali una non è affatto interessata nella ripartizione delle spoglie della guerra ; e l ' altra lo è mediocremente . Non vi sono interessati gli Stati uniti , i quali nulla chieggono per sé e vogliono giustizia per tutti ; ed i fatti provano come sia giunto oramai al culmine quel movimento di idee , il quale iniziatosi col celebre rapporto indirizzato il 31 gennaio 1839 da Lord Durham alla giovinetta regina Vittoria sugli affari del Canada , ha condotto alla indipendenza praticamente assoluta delle grandi colonie inglesi dalla madrepatria . Talché si può contemplare senza meraviglia , perché logica conseguenza di uno sviluppo storico unico forse al mondo , ma effettivo e stupendo , il fatto di stati facenti parte della costellazione delle comunità anglo - sassoni , i quali vorrebbero annettersi colonie tedesche , ma ne sono impediti dalla madrepatria , associata agli Stati uniti nel proclamare invece spassionatamente l ' appartenenza alla Società delle nazioni . Un nuovo mondo si crea , un nuovo ordine di cose nasce . Per iniziativa dei popoli anglo - sassoni , nei cui domini si sono compiute esperienze fecondissime di creazione di stati nuovi , di trasformazione di territori abitati da barbari e da sparsi coloni in stati sovrani , si tenta la estensione a tutto il globo del medesimo principio , il quale informa di sé la confederazione americana e la comunità britannica delle nazioni . Noi siamo pronti ad accogliere con fede , con speranza viva il nuovo ordine di cose . Anche quando esso , instaurandosi , necessariamente viene a toccare interessi nostri gelosissimi ; anche quando fa d ' uopo rassegnarci a lasciar discutere dei confini nostri , dei nostri monti , dei nostri fiumi , del sangue nostro da potenze marittime ed extraeuropee , la cui politica tradizionale è stata ed è ancora quella delle mani nette da ogni impegno nel torbido groviglio delle lotte nazionali della martoriata Europa continentale . Si sono , alfine , questi isolani e questi trasmarini decisi ad intervenire nelle nostre contese , a segnare il confine giusto tra romeni e serbi , tra polacchi e czecoslovacchi ; partecipano alle commissioni d ' inchiesta sulle faccende più gelose dei vecchi e nuovi stati ; si apparecchiano forse a dire una parola decisiva sulle aspirazioni della Francia sul Reno , sulle rivendicazioni sacrosante dell ' Italia a riunire in un corpo solo le sparse membra della sua famiglia ? Noi siamo pronti a riconoscere che il loro intervento è promettitore d ' un più felice avvenire all ' umanità . Non solo è giusto perché la flotta inglese serbò intatto , durante la guerra , il dominio dei mari come ai tempi di Nelson , costringendo le navi corsare nemiche a rintanarsi nei loro porti , combattendo pertinacemente la minaccia sottomarina , consentendo il vettovagliamento degli eserciti e delle popolazioni ; perché l ' esercito inglese , trasformato da « piccolo spregevole » manipolo in un colossale organismo modernissimo , sostenne la sua parte tremenda dell ' urto germanico ; perché gli Stati uniti ci fornirono armi , munizioni , ferro , carbone , viveri e mandarono in Europa quegli ultimi milioni di uomini , la cui presenza ed il cui timore crescente diede il tracollo alle ultime speranze del nemico . È necessario , come auspicio e come garanzia . È giusto , è necessario , perché solo la contemplazione di un vecchio stato come quello britannico , retto un tempo a forma di governo centrale dominatore su popoli soggetti , il quale , persuaso del pericolo mortale delle vecchie forme politiche , ne fa gitto e da ottant ' anni in qua ogni giorno meglio scopre ed attua nuove forme di governo ed ha già saputo far sorgere , attorno alla madrepatria , tre grandi federazioni e due stati indipendenti , liberi da ogni vincolo di tributo o di servizio personale , eppure accorrenti volonterosamente alla difesa della causa comune nell ' ora del pericolo ; perché solo la visione meravigliosa delle tredici antiche colonie nordamericane , le quali si estendono , per filiazione , su un intiero continente e dal deserto fanno sorgere 46 stati sovrani e 4 territori , autonomi eppure uniti , in cui vivono concordi bianchi e negri , discendenti dei primi coloni olandesi e successivi immigranti anglo - sassoni , da cui vennero in Europa per combattere soldati italiani e slavi , tedeschi e russi , inspirati tutti dall ' uguale desiderio di lotta contro il male e la prepotenza ci possono far sperare che un uguale ordine di cose politiche possa instaurarsi in Europa . Perciò noi accettiamo che gli anglo - sassoni delle due famiglie britannica e nordamericana intervengano nelle cose nostre . Ne ascolteremo con riconoscenza i consigli , ben sapendo che saranno consigli di bene . Non dimentichino però essi che il loro intervento fu anche determinato dall ' interesse proprio e mira a fini comuni . L ' Inghilterra , accorrendo in difesa del Belgio e della Francia , difese le coste della Manica , salvò la propria esistenza come nazione libera , tutelò le sue venture generazioni dal tremare sotto i colpi del cannone tedesco . Gli Stati uniti videro che se non schiacciavano sin dall ' inizio il sorgente impero militare medio - europeo , questo avrebbe in un momento successivo preteso al dominio universale . Oggi essi mirano a costruire la nuova città . Se si arrogano il diritto di decidere dell ' assegnazione di colonie e di territori poco inciviliti , se dànno opera a sbrogliare la matassa dell ' Europa media e dei Balcani , se subordinano al proprio consenso la determinazione dei confini francesi ed italiani , tutto ciò fanno perché è nell ' interesse loro che si formi un ' Europa pacificata , in cui le nazioni tutte libere ed indipendenti , quanto più è praticamente possibile nei loro chiusi territori , possano , senza ricordi di odio ed aspirazioni di rivincita , collaborare all ' opera comune della civiltà . Vogliono i due rami della famiglia anglo - sassone assicurarsi contro il rischio ricorrente di un impero militare , il quale minacci la loro esistenza e li distolga dalle opere di pace . Ed han ragione ; e nessuno più degli italiani , soggetti al medesimo rischio mortale , ha interesse di plaudire all ' opera sapiente e provvida . Ma nessun edificio sorge saldo , il quale non sia costruito sul granitico fondamento della giustizia distributiva . Contro ai vantaggi incommensurabili della distruzione dell ' impero militare tedesco e della costruzione della Società delle nazioni libere ed uguali , stanno costi terribili , in uomini e in denaro . Comune è l ' onore ed il vantaggio . Si è pensato abbastanza che comuni debbono essere i costi ? Purtroppo Francia ed Italia non potranno mai ricevere un compenso per i milioni di uomini giovani e fiorenti che esse hanno offerto in olocausto alla causa comune . Esse si sono dissanguate a dismisura più degli altri grandi stati che ora dirigono l ' areopago delle nazioni . Di ciò Francia ed Italia non si lagnano . Era la loro sorte fatale di sentinelle avanzate della volontà di vivere o morir liberi contro chi pretendeva al dominio universale . Vi sono però i costi valutabili in denaro , di ricchezze sperdute , di terre e case distrutte , di sacrifici eroicamente sopportati , di centinaia di miliardi di debito incontrato per la causa comune . La perequazione , il conguaglio dei costi si impongono come un preliminare necessario innanzi di raccogliere i frutti che solo da quel sacrificio sono stati resi possibili . Nelle sedute del congresso di Parigi si è parlato di molte cose ; ma finora non abbiamo visto , con stupore grande , che sia stato affrontato il problema della ripartizione fra gli alleati del costo della guerra . Eppure questo è il punto preliminare che deve essere risoluto . I particolari delle applicazioni potranno essere rinviati alle commissioni tecniche , È un particolare tecnico anche la ripartizione delle indennità da pagarsi dal nemico . Un particolare incerto ed aleatorio , su cui non è possibile prudentemente fare a fidanza . Il punto essenziale è di affermare il principio che , poiché comune è la causa , poiché comuni sono i benefici che si ritrarranno dalla distruzione del sogno tedesco di egemonia e dalla ricostruzione del mondo , così comuni debbono essere i costi , le fort portant le faible . Chi ha speso molto , ma , per la sua ricchezza , è di gran lunga più capace di sopportare i pesi dei suoi debiti ; chi ha speso poco ed è dovizioso , come può dar consigli e richiedere rinuncie a chi ha speso , in proporzione ai suoi mezzi , smisuratamente di più ? Il costo della guerra , qualunque siano le modalità tecniche di attuazione , deve idealmente essere assunto dalla Società delle nazioni . È l ' apporto che i vari paesi fanno al sodalizio che li unisce ; né sarebbe una società equa quella in cui alcuni soci potessero camminare spediti e liberi , mentre gli altri dovrebbero andar curvi sotto il peso immane . Fermato il principio della società dei costi , si potrà procedere innanzi nella ripartizione degli uffici a cui nella società rinnovata delle nazioni ogni stato dovrà provvedere e dei territori a cui dovranno estendersi i suoi compiti . Come fermare tal punto , se gli stati contraenti non sanno di qual forza economica potranno disporre , di qual margine di bilancio potranno avvantaggiarsi per la ricostruzione delle terre invase o redente e per la civilizzazione dei territori coloniali ricevuti in custodia dall ' ente superiore ? Si vuole che gli stati amministrino le colonie nell ' interesse dei popoli ivi abitanti . Così deve essere . Non Wilson ha inventato questo principio , ché egli lo trasse dallo spirito della rivoluzione americana e dalla pratica costante dell ' Inghilterra dopo il rapporto di Lord Durham . Ma se si vuole applicare quel principio , bisogna essere preparati a sopportare sacrifici a pro delle colonie , senza alcun utile diretto compensativo . Anche la conseguenza è logica ed è giusta . Ma come potrebbero Francia ed Italia , sovraccariche di debiti incontrati per la salvezza propria ed altrui , sobbarcarsi ad un ' opera di civiltà magnifica , l ' unica possibile e veramente a lungo andare remuneratrice , ma negli inizi costosissima ? Moralmente , politicamente ed economicamente è dovere degli uomini i quali dirigono i lavori della conferenza di Parigi di affrontare subito il problema preliminare della ripartizione solidaria dei costi della guerra . Occorre una pronta affermazione di principio . Fatta questa , la conferenza potrà procedere senza che dubbi angoscianti turbino la mente di alcuno degli statisti in essa convenuti . E potranno essere prese , intorno ai singoli problemi della ricostruzione , deliberazioni più serene e più umane .
Un concerto dedicato ai francesi ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 15 settembre - Il concerto di ieri sera , che si è tenuto come i precedenti nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale , è l ' unico di questo festival che non sia dedicato esclusivamente alla musica contemporanea . Vi abbiamo ascoltato , infatti , una sinfonia di Berlioz , Il corsaro , che risale al 1845; la ben nota Sinfonia n . 1 in do maggiore di Bizet ( 1855 ) ; e una Suite provençale del Milhaud , che crediamo non nuova per l ' Italia . Di nuovo c ' era solo la Prima sinfonia di Henri Dutilleux , compositore abbastanza giovane , già prix de Rome e ora caposervizio delle trasmissioni musicali alla radiodiffusione francese . Il maggiore elemento d ' interesse era dato dal fatto che queste musiche erano eseguite dall ' Orchestra nazionale della Radiodiffusione - Televisione francese , una delle più perfette compagini orchestrali attualmente esistenti , e che il direttore era André Cluytens , già applaudito dai milanesi come eccellente interprete del Parsifal alla Scala . Ancora una volta l ' illustre direttore fiammingo ha confermato le sue qualità di autentico dominatore dell ' orchestra , la sicurezza e la sobrietà del suo gusto , la capacità di far rivivere musiche di stile assai diverso rispettandone il carattere e non sopraffacendole . Né Berlioz , né il Bizet della Sinfonia in ( lo maggiore e nemmeno il quasi folcloristico impressionismo del Milhaud potevano offrire serie difficoltà a lui e alla sua orchestra . Forse più difficile la musica liberamente atonale del Dutilleux . Il programma ci dice che essa dovrebbe rappresentare un sogno o un incubo sospeso tra due evanescenze . Forse l ' incubo fu dell ' autore , ma all ' ascoltazione questa musica disordinata , sconquassata , inutilmente fragorosa non produce che noia e fastidio . Non si comprende perché sia stata eseguita al festival : forse la posizione occupata dal Dutilleux alla Radiodiffusione francese spiega tutto . Certo , se si doveva scegliere tra l ' Ottocento e il Novecento di Francia , si sarebbe potuto presentare un programma assai più interessante . Ciò sia detto senza negare il merito delle vigorose , popolaresche gighe e trescone che formano il tessuto della Suite provençale .