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Il vero liberalismo è gioia di vivere. ( Ricossa Sergio , 1997 )
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Non è per riprendere la stucchevole questione della cultura di destra ( esiste , non esiste , è robusta , è gracile ) , ma sarebbe un peccato lasciar trascorrere il trentennale della morte di Bruno Leoni senza ricordare questo sincero e combattivo liberale , che diede colpi tremendi alla spocchiosa cultura di sinistra . E come reagirono i suoi avversari ? Al modo solito di quando non hanno buone carte in mano : ignorandolo , rifiutandosi di giocare la partita . Dal 1700 al 1900 la rivoluzione industriale portò all ' " economicizzazione della società " . L ' economia divenne di massa mentre nel mondo agricolo pre - industriale era solo per pochi , borghesi , il grosso della società disperso in campagna . La novità fu che in poco tempo il capitale divenne il tema centrale nella vita della maggioranza degli individui , ben definito da Karl Marx come avvento dell ' " uomo economico " . Questi era tale perché non produceva più direttamente i propri mezzi di sostentamento attraverso la manipolazione diretta dei frutti della terra , ma doveva procurarseli attraverso la mediazione di un salario . Infatti i problemi della nuova relazione tra politica ed economia riguardò il cambiamento del modello di società in relazione alla transizione delle maggioranze sociali da un ' economia con poco denaro a una che ne richiedeva molto di più . Questi furono , essenzialmente , due . Il primo riguardò la creazione tecnica di più moneta per reggere la nuova domanda di capitalizzazione da parte delle masse industrializzate . Il secondo fu quello del come " socializzare l ' economia nel momento in cui la società era stata economicizzata " . Tradotta , la questione fu : come creare un accesso di massa al capitale ? La politica generò due soluzioni antagoniste : a ) socializzare l ' economia come rivendicazione sindacale ( il laburismo e il socialismo ) o come modello di creazione politica di capitale per le masse ( nazionalsocialismi , tipo il fascismo , nazismo , peronismo ) fino all ' estremo dell ' economia senza il denaro ( il comunismo ) o , più recentemente , del denaro per diritto , cioè lo statalismo ; b ) lasciare il più possibile libera l ' economia come modo per permettere a ciascuno di trovare la propria posizione in essa ( il liberismo ) . Dove siamo arrivati , dopo tre secoli , nella soluzione di questi problemi ? Il primo è abbastanza vicino ad una soluzione . Il secondo è ancora irrisolto . La soluzione del problema di come aumentare la quantità di capitale fu trovata nel rendere protagonista lo Stato nel processo di regolazione e creazione delle masse monetarie . Dopo molte prove ed errori , oggi abbiamo un sistema di politica monetaria che è in grado di alimentare il " capitalismo di massa " . Ma il modello politico per ottenerlo in forma compiuta ancora non esiste . Tutte le forme di statalismo , cioè di controllo politico e " dirigista " dell ' economia , sono vistosamente fallite . E il motivo , pur nella diversità dei modelli , è uno solo : per distribuire artificialmente ricchezza se ne deprime la creazione . Ogni modello statosocialista , infatti , è in crisi . È ormai certo che lo statalismo sia un ramo secco , scommessa fallita , dell ' albero delle possibili soluzioni al problema della socializzazione dell ' economia . Il liberalismo si è dimostrato migliore perché metodo potentissimo di creazione della ricchezza . Resta , tuttavia , debole nella diffusione sociale della stessa . Il primo risultato dell ' esplorazione storica porta alla conclusione che è più razionale tentare di socializzare il liberismo , perché modello che funziona sul lato più importante dell ' economia - cioè quello della creazione della ricchezza - che non tentare di rendere più liberale lo statosocialismo , modello geneticamente più sbagliato . Si riforma qualcosa che ha gambe buone , non quello che comunque non sta in piedi . Detto questo , la nuova missione del " neoliberismo " è quella di individuare quale via possa rendere più sociale il modello liberista classico ed evitare il rischio di spaccatura della società tra molto ricchi e molto poveri . Secondo me la soluzione è quella di rielaborare il concetto di " capitale " . La socializzazione dell ' economia è stata sempre trattata come distribuzione diretta di denaro e di garanzie mediate da una burocrazia costosa ed inefficiente . L ' errore è questo perché diventa sottrazione allo sviluppo . Se , invece , si investisse su ciascun individuo per migliorarne le capacità competitive su un mercato reso libero al massimo ( formazione continua , supporto ai percorsi lavorativi nell ' ambito di un sistema economico deregolamentato che favorisce la creazione di impresa ) avremmo con meno spesa di denaro un enorme aumento dello sviluppo e , in particolare , una capitalizzazione di massa con minore probabilità di squilibrio sociale . In sintesi , il neoliberismo deve sostituire le vecchie garanzie redristibutive di socializzazione dell ' economia con delle nuove basate sulla costruzione del " capitale umano " . Dare concretezza a questa strategia è il compito dei riformatori neoliberisti . Il farlo è urgente perché chi vuole riformare lo Stato sociale a partire dalla difesa di un modello geneticamente sbagliato sicuramente fallirà . E in Italia , francamente , fa perfino male al cuore vedere tanti pomposi riformatori di sinistra che non si accorgono di essere prigionieri di una palude della storia , un fiume finito nel nulla . Forza , colleghi neoliberisti , diamo alla politica la teoria del nuovo liberismo che serve e che può funzionare . Sappiamo farla . E diamoci anche un ' ambizione . In tutti i Paesi del mondo avanzato il problema è proprio di come trovare un liberismo più sociale . Rilanciamo il pensiero italiano competendo per essere i primi a trovare e sperimentare la soluzione che finalmente la storia mostra con più chiarezza , dopo tanti esperimenti ed errori .
Il servo (The Servant) di Joseph Losey ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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Non aveva torto il regista Joseph Losey a sperare che Venezia gli restituisse , con Il servo , un po ' di quel prestigio che Eva , non per tutta sua colpa , gli aveva tolto . Il suo ultimo film , infatti , presentato oggi sotto bandiera inglese , mostra che quando la mano e l ' occhio di Losey seguono da vicino l ' elaborazione di un ' opera cinematografica , il prodotto potrà essere più o meno gradevole a seconda del nostro gusto , ma innegabile la personalità del regista . Anche Il servo si muove nell ' aura decadentistica che piace a questo esegeta delle degradazioni morali e fisiche , e ha perciò sequenze incresciose , ma tutta la prima parte del film , nel quale si delineano i caratteri e le situazioni , ha squisitezze che non sono ancora estetizzanti ma soltanto un fine arabesco psicologico tracciato intorno a personaggi e ad ambienti che covano i germi della dissoluzione . Siamo a Londra , dove Tony , un « giovin signore » , tornato dall ' Africa , prende possesso di un appartamento . Poiché vive solo , cerca un cameriere , e la scelta cade su Barrett , più maturo di anni , servizievole e premuroso , ma fin dal principio ambiguo e ficcanaso . Qualità che non piacciono a Susan , fidanzata di Tony , la quale cerca di convincerlo a licenziarlo , quasi indovinando il pauroso ascendente che il servo sta per avere sul padrone . Convintosi della debolezza di Tony , Barrett comincia a mettere in atto un piano perverso inducendo il padrone ad assumere , come cameriera , quella che egli presenta come la propria sorella , e invece è l ' amante : Vera , una sgualdrina che ben presto seduce Tony , lo allontana da Susan e lo riduce uno straccio . Rientrati improvvisamente a casa durante un week - end , Tony e Susan scoprono i due servi nella camera del padrone , ma quando Tony va per cacciarli ha la rivelazione che essi non sono fratello e sorella , bensì due compari vissuti sinora alle sue spalle , e che ora , irridendolo e saccheggiandolo , se ne vanno di propria volontà . Avvilito , già quasi distrutto dall ' umiliazione inflittagli da questa coppia plebea , Tony comincia a bere : è il primo gradino di una degradazione che lo indurrà , più tardi , a riassumere il servo , e a stringersi a lui in un ' amicizia particolare . Ormai Barrett non è soltanto il padrone di casa , arrogante e violento , ma il dominatore di Tony , il quale gli ubbidisce come un fantoccio , e si lascia convincere a riprendere con loro Vera . L ' appartamento , nel quale Barrett invita persino donne di strada , è ormai una sentina di vizi . Nemmeno Susan , venuta per tentare di salvare Tony , resiste al fascino dell ' abietto servo . Ma se la giovane riuscirà a sfuggire alla trappola , Tony è ormai ridotto alla stregua di un animale che si trascina nell ' immondizia . Il tempo si è fermato : non c ' è più speranza per lui . Chi ebbe la sventura di vedere Eva troverà molti punti di contatto fra il precedente film di Losey ( il quale , per la verità , lo ha sconfessato , attribuendone i vizi alle manipolazioni del produttore ) e Il servo . Al regista , infatti , sono care queste vicende abiette : e non tanto , si direbbe , per ragioni moralistiche , quanto per la loro potenzialità figurativa , perché gli consentono di creare un universo di simboli in cui ogni oggetto sprigiona una forza malsana : quasi l ' ombra diabolica che è contenuta in ogni aspetto della realtà . In Il servo si vede bene cosa intende Losey quando , parlando dell ' influenza che Brecht ha avuto su di lui , afferma di mirare alla ricostruzione della realtà attraverso una scelta di simboli - realtà , di caricare di significato premonitore ogni gesto , e persino la linea degli oggetti e il rapporto fra gli attori e la macchina da presa . In questo film l ' abiezione del soggetto ( Harold Pinter , uno degli « arrabbiati » inglesi , ha tratto la sceneggiatura da un racconto di Robín Maugham ) è in qualche misura riscattata dall ' emozione logica che suscita nello spettatore . Tuttavia non completamente : è indubitabile che certi effetti , soprattutto nella parte dedicata alla descrizione dell ' animalità raggiunta da Tony , derivano da un gusto intellettualistico dello spettacolo ; il grande uso che Losey continua a fare degli specchi denuncia le vere radici di un regista che si affanna a predicare la semplicità ma razzola spesso nella violenza ottica . In Il servo , ad esempio , l ' approfondimento dei trapassi psicologici , soprattutto la spiegazione dei moventi della degradazione di Tony , sono largamente sacrificati ai valori visivi ; è in questi tutto il fascino , ma anche il grave limite , del film . Del quale insomma si apprezza molto l ' ambientazione tanto raffinata che introduce alla dissoluzione , la bravura con cui è ritratta la nequizia di Barrett e la debolezza di Tony , talune sequenze come quella , in cucina , di Tony tentato da Vera , e quella degli amanti sorpresi , e , ovunque , la recitazione di Dirk Bogarde , James Fox , Sarah Miles , ma che non riesce completamente a farci vincere il ribrezzo : come sempre quando il male è contemplato con fredda intelligenza . Se il film ciò nonostante impressiona e resta nella memoria è per l ' aspra e gelida forza consegnata agli occhi .
StampaQuotidiana ,
La svolta socialista in Europa ha rivelato già tutti i suoi limiti . È bastato poco tempo per capire che la sinistra , giunta la potere in Francia , in Germania e in Italia , ha abbandonato solo a parole la sua inveterata vocazione allo statalismo e a un soffocante controllo della società . Rispetto a quella tendenza generale , si distingue , in parte , soltanto il laburista Tony Blair , unicamente perché egli dimostra di avere assimilato interamente la lezione della Thatcher . La maggior parte dei commentatori , tuttavia , ha creduto di spiegare il successo ottenuto dalle sinistre in Europa con la capacità di fornire una risposta più conveniente , rispetto a quella liberale , alle inquietudini di una società insicura di fronte ai processi di globalizzazione economica . Si è finito per dare eccessivo credito alle parole d ' ordine lanciate dalle forze socialiste , il nuovo laburismo di Blair , il nuovo centro di Schroeder , l ' Ulivo di prodi , fondate sulla promessa di una maggiore libertà di iniziativa economica capace però di conservare le conquiste più importanti dello Stato sociale . L ' immagine di una sinistra in grado di tenere insieme l ' esigenza di un maggiore sviluppo economico e l ' attenzione verso i problemi sociali è stata vincente . Soprattutto perché le proposte degli avversari sono state sistematicamente bollate con il marchio del liberismo più sfrenato , agitando il pericolo che a prevalere fossero gli istinti selvaggi del capitalismo rispetto alle esigenze primarie di socialità e di solidarietà . È chiaro che se lo scontro fra destra e sinistra viene posto in questi termini , la scelta non può che cadere a favore della sinistra . Ma la disillusione di molti intellettuali nei confronti dell ' esperienza di governo offerta dalle sinistre è stata molto rapida . Sono emersi i perduranti caratteri ideologici , l ' impreparazione , la disinvoltura , perfino l ' ipocrisia della sinistra . La realtà , che si è voluto ignorare , è riemersa prepotentemente . Così come la comoda contrapposizione fra un socialismo rinnovato e un consunto liberismo ha dimostrato di essere una semplice mistificazione , buona soltanto per alimentare la propaganda della sinistra . In realtà , gli avvenimenti di queste ultime settimane confermano che in Europa la vera linea di demarcazione passa tra una sinistra ancora intrisa di statalismo e schiacciata dal peso insostenibile dell ' ideologia , e una destra non più conservatrice , bensì protesa nel futuro e decisa a far prevalere i principi di libertà e il primato della società civile rispetto alle pretese invadenti dello Stato e degli apparati politici . In Italia chi ha affermato prima questi principi , non del liberismo , ma della libertà in tutte le sue forme , molteplici e vitali , in opposizione al trionfante ritorno della cultura comunista , è stato il leader di Forza Italia , Silvio Berlusconi . C ' è voluto non un politico , ma un imprenditore per ricordarsi che la libertà non è graziosamente " concessa " dallo Stato , perché essa viene prima dello Stato . La libertà è un diritto naturale , che ci appartiene in quanto esseri umani e che semmai fonda lo Stato . Da questa concezione scaturisce anche il federalismo e il principio della sussidiarietà , cioè l ' affermazione dell ' autonomia della società e della persona rispetto al centralismo burocratico dello Stato e dei partiti . Esattamente il contrario di ciò che sostiene la sinistra , e cioè la rivendicazione del primato della politica e dello Stato , inteso come una forma superiore di moralità . La ragione per la quale la sinistra italiana non è riuscita a liquidare Silvio Berlusconi , neppure attraverso una formidabile persecuzione giudiziaria , risiede nel fatto che egli ha dato vita a un movimento di massa , forte di passioni e di valori profondamente radicati dell ' idea della libertà . Il fondatore di Forza Italia ha resistito e resiste ad un attacco concentrico di tutti i poteri forti , perché è riuscito a fondare una nuova religione della libertà e rende possibile un nuovo modo di fare politica che sia espressione più alta della società civile . Una politica che non pretende di regolare e assoggettare ogni aspetto della società civile , ma si proponga di svilupparla nel segno della libertà e di una maggiore civiltà .
Le mani sulla città di Francesco Rosi ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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L ' anno scorso , dopo Cannes , Francesco Rosi ebbe a dichiarare di non aver alcuna fiducia nei festival . « Vorrei - aggiunse - che i miei film non venissero mai accettati » . dunque un ben strano destino , il suo , di andare , con ogni film fatto dopo il 1957 , a tutti i festival , e di non tornare mai a mani vuote . Nel '58 , a Venezia , divise con Malle il « Leone d ' oro » per La sfida ; nel '60 , a San Sebastiano , vinse con I magliari ; nel '62 , a Berlino , con Salvatore Giuliano . E quest ' anno , a Venezia , pone una serissima candidatura al massimo premio con Le mani sulla città . Un film che sopravanza Salvatore Giuliano , e pone Rosi fra i maggiori talenti cinematografici della nostra generazione di mezzo . Benché non ci sia chiaro del tutto cosa Rosi potrà darci in futuro . Nel suo fondo si combattono due forze , in certo modo ancora oscure : a seconda di quale maturerà meglio avremo forse o un moralista schierato su precise posizioni ideologiche , tali da indurlo a un cinema di ispirazione politica in cui l ' impegno della denuncia rischierà di forzare il suo ingegno verso una poetica etico - civile , oppure il campione di un cinema intellettualistico , per il quale la problematica morale sia la risorsa spettacolarmente più efficace fornita da una concezione tutta razionalistica dell ' arte . Le mani sulla città è un film sugli speculatori edilizi , a Napoli , oggi , e sulle collusioni fra l ' industria e la politica ( con un graffio , sul finire , alla Chiesa ) . L ' opera è riuscita perché , in un argomento che ottiene quotidiane conferme , le due spinte che muovono Rosi hanno coinciso : la descrizione di quei soprusi ci interessa , sin quasi a chiudere in una morsa la nostra attenzione logica , perché vi si specchia una gran macchia della vita pubblica italiana contemporanea . Ma se domani non fosse così ( e dopo la camorra dei mercati ortofrutticoli , gli imbroglioni italiani in Germania , i mafiosi siciliani , i gangsters delle aree fabbricabili , potrà darsi che Rosi senta il bisogno di variare la sua tematica ) , c ' è il pericolo del manierismo : di una perenne requisitoria o di una assunzione di tutti i valori emotivi nell ' incontro e nello scontro delle intelligenze . Non ipotechiamo il futuro : si è detto che in Le mani sulla città le corde di Rosi suonano all ' unisono , tese parallelamente a mettere alla gogna politicanti e approfittatori e a seguire e inchiodare un processo mentale reso drammatico dal conflitto fra due idee - guida della storia : la chiarezza dell ' onestà e le ombre del « particulare » . Non c ' è bisogno di scomodare Machiavelli e Guicciardini per ricordare come il fossato fra morale e politica , fra coscienza e ragion di Stato , possa essere colmato o approfondito : Rosi sa bene che questo tema è , e sarà , eterno . Ma quando egli afferma , come ha ripetuto alla conferenza - stampa di stamane , che la speculazione edilizia è stata per lui un pretesto d ' attualità per raccontare un dibattito di idee e di moralità , rinasce appunto il dubbio che al regista , come già si vide in Salvatore Giuliano , l ' individuazione delle componenti psicologiche , morali e razionali dei caratteri , e il loro legarsi e scontrarsi , stia più a cuore del loro contenuto . Nella storia del cinema sono stati numerosi casi come questi . Senza risalire ai registi americani degli anni Trenta , che denunciavano le collusioni fra politica e malavita senza riuscire a nascondere la loro simpatia per il fascino intellettuale suscitato dall ' urto di quelle forze , basterà ricordare film come Tempesta a Washington e Il processo di Verona , i cui registi ci hanno offerto buoni « spaccati » sulla drammaticità della dialettica delle idee , prima ancora che sull ' ambiente storico preso di mira . Ma Le mani sulla città , ripetiamo , è inscindibile : sta qui la sua forza . Nel suo protagonista , l ' impresario edile Nottola che vuoi divenire assessore comunale , il problema morale si presenta in termini razionali : soltanto in quanto egli può avere in mano il potere politico può sperare di inserire se stesso in un sistema corrotto , cioè identificare il , male con l ' errore . Al di là di una sin troppo facile denuncia politica , contro la classe dirigente italiana appoggiata al centro e di destra , il film ' ha un grande rilievo appunto per la tragica statura del protagonista , il quale difende se stesso con tutte le armi , il denaro , i ceri alla Madonna , il sacrificio del figlio , il tradimento degli amici di partito , e finalmente trionfa perché la corruzione e la debolezza degli altri gli hanno spianato la strada . Di Le mani sulla città si parlerà molto , in Italia , perché è un film d ' opinione socialista , con una mano tesa verso la sinistra democristiana , quindi di moda , e che tocca interessi molto precisi ( l ' associazione costruttori di Roma ha già elevato proteste ) ; ma se qualcuno vorrà fare lo sforzo di guardare soprattutto alle sue qualità cinematografiche , dovrà apprezzare il vigore e l ' essenzialità con cui Rosi imposta i caratteri e le situazioni , li giustappone a una Napoli da una parte affollata di masse lacere e questuanti , dall ' altra chiusa nel breve cerchio di un club mondano o di una vecchia casa signorile , Nel mezzo , isolato fra i suoi mobili razionali e luci fredde , sta Nottola : non si sa nulla della sua vita privata , basta il suo accanimento , l ' astuzia , la spietatezza , e il suo terrore di pensarsi sconfitto , a farlo giganteggiare . Ciò che lo arrovella , si è detto , è il desiderio , anzi il bisogno di divenire , da consigliere , assessore . Le elezioni comunali sono imminenti : se riuscirà , potrà controllare tutti gli appalti relativi a un appezzamento di terreno , comprato in combutta con altri membri del suo partito , sul quale vuole costruire un intero quartiere ( il terreno , se . la giunta sarà sua complice , darà un profitto del cinquemila per cento ) . Mentre prepara questo piano , crolla la parete d ' uno stabile attiguo a quello ché la sua impresa , diretta dal figlio , sta costruendo in un vicolo . Ci sono morti e feriti , e l ' opposizione di sinistra chiede , in Comune , un ' inchiesta , che accerta subito le collusioni fra costruttori e maggioranza . Per evitare di restare inattivo , Nottola riesce a ottenere che tutte le case del vicolo vengano dichiarate pericolanti ; sfrattata la popolazione , egli continua a costruire e ad arricchirsi . Soltanto quando , crescendo le pressioni dell ' opposizione , lo scandalo minaccia di indebolire la maggioranza , il partito di destra che ha in mano il governo locale chiede a Nottola , se vuoi continuare a fare il costruttore , di non presentarsi alle elezioni . Indifferente al ricatto , egli induce il figlio a costituirsi , si trasferisce nel partito di centro , e finalmente riesce a essere eletto . Il nuovo sindaco , « nell ' interesse di tutti » , fa sì che l ' assessore Nottola e la destra dimentichino i rancori personali : una nuova maggioranza si è così formata per continuare i vecchi intrallazzi . Ma in consiglio comunale la sinistra non è più sola nel denunciare il pateracchio : ora anche l ' ala sinistra del partito di centro accusa il Nottola . Invano , ché ormai l ' assessore e i suoi compari hanno via libera per la costruzione del nuovo quartiere : la benedizione della prima pietra verrà a darla personalmente l ' arcivescovo , È la prima volta che un film è buono nonostante una così attuale - e ovviamente tendenziosa - polemica politica ( « I personaggi e i fatti sono immaginari - ci avverte una didascalia - ma autentica è la realtà sociale e ambientale che li produce » ) . Lo si deve alla penetrazione realistica con cui lo stile critico di Rosi dichiara la sua passione morale e la sua lucidità razionale , alla fotografia di Di Venanzo , alla robusta musica di Piccioni , all ' ottima recitazione di Rod Steiger , che ancora una volta dà fortissimo risalto alla livida figura di un uomo d ' affari che si comporta da bandito , e di Salvo Randone incisivo come sempre , e di Guido Alberti , ormai un vero attore . Nel cast non ci sono donne ( l ' unica che ha una particina , è anzi una grave caduta di gusto , un soprassalto di demagogia ) , e ciò riafferma che il soggetto di Rosi e La Capria ( alla sceneggiatura hanno collaborato anche Enzo Provenzale ed Enzo Forcella ) è tutto teso a significare la drammaticità insita nella sua forte dialettica logica e morale . Essa ha trovato in Rosi un regista il quale con inquadrature sicure e un secco montaggio che assicura un serrato dinamismo narrativo la esprime prevalentemente nei dialoghi fra gli uomini politici e nelle agitate riunioni del consiglio comunale , con tête à tête che sono sfide , ricatti , e compromessi dettati dall ' opportunismo più abietto . Ma anche le scene di popolo sono eccellenti : da quella del crollo a quella della zuffa , nel vicolo , fra napoletani e polizia . Insomma , il « Leone d ' oro » di Venezia , che già aveva cominciato a ruggire , oggi scuote le sbarre .
StampaQuotidiana ,
Prodi è proprio un genio . In questo mese è riuscito a concentrare l ' attenzione dei media , degli analisti , della politica ( di maggioranza come di opposizione ) su una finanziaria finta , che non c ' è , distogliendo così l ' attenzione dalla finanziaria vera , che è ben nascosta , e che continua a operare indisturbata e disastrosa lontana dalle luci della ribalta . E allora , come nei buoni romanzi d ' appendice , facciamo qualche passo indietro per poter capire meglio l ' arcano . Introdotta nel nostro ordinamento contabile nel 1978 , la legge finanziaria non è altro che un complesso di disposizioni tendenti a consentire la realizzazione della manovra di bilancio . In altre parole , sulla base di previsioni macroeconomiche in termini di tassi di crescita ( interni e esterni ) , tassi di interesse , evoluzione della bilancia commerciale ... , e sulla base di tendenziali di spesa pubblica , a legislazione vigente , le autorità di governo individuano i relativi saldi di finanza pubblica come fabbisogno netto da finanziare e li confrontano con quelli programmatici . Se , come è sempre successo fino a oggi , si determina un divario , ecco allora che la finanziaria mette in atto la cosiddetta " manovra correttiva " , fatta di tagli ( alla spesa ) e tasse ( per nuove entrate ) così da raggiungere gli obiettivi voluti . Da qui le finanziarie tutte sangue , sudore e lacrime sperimentate in tutti questi anni Novanta : bisognava centrare i parametri di Maastricht , raggiungere il 3% del rapporto deficit - Pil , entrare nella moneta unica , con manovre dell ' ordine medio di 50-60mila miliardi ( con punte anche di 90-100mila ) per tutto il periodo . C ' è da dire anche che quasi mai le manovre predisposte dal governo a settembre di ciascun anno , e approvate successivamente dal Parlamento , centravano l ' obiettivo : normalmente si dichiarava 100 , si raggiungeva la massimo 50 , cosicché a marzo - aprile bisognava nuovamente mettere mano ai conti . Con prodi , tranne il primo anno di incertezze e sbandamenti ( ricordiamo tutti il raddoppio della manovra realizzato a distanza di pochi mesi , con successive stangate correttive ) , la musica cambia . Grazie a un pauroso aumento strutturale della pressione fiscale di oltre 4 punti , e a una altrettanto ferrea normativa di controllo dei tiraggi di tesoreria in tema di investimenti , gli obiettivi programmatici non solo vengono rispettati al 100 per cento , ma si riesce anche a fare di più , compensando cioè con il blocco della cassa anche i fallimenti prevedibili di contenimento della spesa corrente , come quella sui dipendenti pubblici . In questo modo si raggiunge il famoso 3% ( anzi , il 2,7% ) che ci apre le porte della moneta unica , attraverso la realizzazione di un avanzo primario ( la differenza , cioè , tra entrate correnti e uscite correnti ) da brivido , di quasi il 7% del Pil ( una cifra attorno ai 130mila miliardi ) . Altissime tasse , pochissima spesa per investimenti , nessun taglio alla spesa corrente , enormi avanzi primari : questo è il modello messo a punto da Prodi e dalla sua maggioranza in questi due anni di governo attraverso un " patto sociale implicito " tra sinistra - centro e Cgil - Cisl - Uil che prevedeva e tuttora prevede nessun taglio alle pensioni ( che pesano per un terzo dell ' intera spesa pubblica ) ; nessun taglio a salari e stipendi pubblici ( un altro terzo sempre del totale della spesa pubblica ) ; blocco degli investimenti e delle altre spese in conto capitale , già ridotti ai minimi termini ( che pesano solo il 3% della spesa pubblica ) ; qualche modesta riduzione nell ' acquisto di beni e servizi ( il 15-16% sempre della spesa pubblica ) ; riduzione , via tassi di interesse , dell ' onere del servizio del debito ( che pesa , anch ' esso , un 15% ) . È chiaro , a questo punto , che con una finanza pubblica di fatto blindata tanto sul lato delle entrate ( una pressione che , ricordiamolo , tutto compreso arriva al 48% del Pil ) , quanto sul lato delle uscite ( un po ' sopra il 50% sempre del Pil ) , raggiungere i deficit previsti dal patto di stabilità è un gioco da ragazzi ( 50,5%-48%=2,5% ) , senza bisogno alcuno di ulteriori manovre correttiva . L ' avanzo primario infatti , che continua a formarsi automaticamente , in ragione della differenza positiva , per un ammontare di 5-6 punti del Pil , tra nuove entrate e nuove spese , ovviamente al netto degli interessi , consentirà tanto l ' azzeramento del deficit , quanto la riduzione del debito . E così i 13.500 miliardi di manovra su cui si sta ingaglioffendo la maggioranza , e su cui verrà presa in giro l ' opposizione , e su cui si dilanierà il parlamento , non sono infatti altro che un diversivo , fatto di partite di giro ( come sulle tasse ) ; di rimodulazioni di spesa , come per gli incentivi sull ' occupazione ; di finti tagli ; nonché di vecchi stanziamenti interni e comunitari in tema di investimenti infrastrutturali al Sud . Andrebbe tutto bene se " il patto sociale implicito " messo a punto da Prodi e compagni fosse in grado di portare sviluppo e occupazione e non solo apparente risanamento contabile . La realtà , purtroppo , parla da sola : con un ' abnorme pressione fiscale , con nessun taglio alla spesa corrente , con il blocco dei già miseri investimenti si azzera sì il deficit , si dimezza sì il debito , ma a costo di un ' economia anoressica , incapace di sviluppo e modernizzazione , con disoccupazione crescente . E a ben poco serviranno i dividendi da minor servizio del debito distribuiti in mille rivoli per catturare il consenso di una maggioranza sempre più riottosa : altro che finanziaria che distribuisce risorse , questa è una finanziaria - spettacolo , fatta di niente , buona solo per prendere in giro gli italiani e , alla fine , per non far perdere la faccia a Bertinotti . La finanziaria vera , quella che fa male al Paese , è già scritta da tempo , e da tempo operante con tutte le sue leggi e le sue deleghe , con l ' accordo tanto del sindacato confederale , che oggi protesta solo per salvarsi l ' anima , quanto di Rifondazione . Quello che abbiamo e avremo di fronte nei prossimi giorni e mesi è solo un geniale teatrino che serve a Prodi per nascondere il fallimento della sua politica economica e per tirare a campare , nella vana speranza che un ' improbabile ripresa internazionale gli tolga le castagne dal fuoco .
StampaQuotidiana ,
Th.E. Lawrence avrebbe oggi settantacinque anni , se un incidente motociclistico non l ' avesse stroncato nel 1935 . Dunque è un nostro contemporaneo , e in lui vediamo , sublimati , miti che la nostra età ha ereditato dal romanticismo : quelli della libertà , dell ' evasione nell ' Oriente favoloso , del superuomo . Ma insieme è il simbolo di una generazione che ha assistito al crollo degli ideali perché essi non erano sorretti da un ' impalcatura razionale , erano uno slancio mistico e spesso mistificatore , con una forte componente divistica e bastava una crepa nello spirito , una improvvisa deviazione nell ' umore , per trasformare un uomo d ' azione , un amante del rischio , in un vinto frustrato . L ' amicizia fra Lawrence e Italo Balbo può aiutare il pubblico italiano a capire questo inglese complesso , che credette , negli anni della prima guerra mondiale , di essere stato chiamato dal destino a combattere , con la volontà e il coraggio , per l ' unità e l ' indipendenza degli arabi , e si pensò demiurgo del Medio Oriente , fiamma di libertà per popoli da secoli oppressi dai turchi , e invulnerabile Taumaturgo del deserto . E cocentissima sentì l ' umiliazione , quando crudamente avvertì le proprie dimensioni di uomo , oggetto d ' immondo desiderio , e perduta la fede nella propria integrità capì di essere stato fatalistico strumento d ' una frode politica . Ché gli alleati volevano , né più né meno , prendere il posto dei turchi , e gli arabi erano troppo divisi in tribù per sperare di cementarli in nazione . A Lawrence il produttore Sam Spiegel , il regista David Lean , lo sceneggiatore Robert Bolt dedicano ora una biografia cinematografica , ma limitata al capitolo più popolare , appunto 80gli anni fra il 1916 e il 1918 : da quando il tenente Lawrence , malvisto dai superiori per la sua indisciplina e la sua cultura ( incauto , cita Temistocle ) riceve al Cairo l ' incarico di mettersi in contatto col principe Feisal , a quando , sposata la causa degli arabi , vestito dei loro abiti , trasformato il nome in El Orens , succhiatane l ' astuzia e la crudeltà , conquistate Akaba e Damasco con infinite peripezie che lo eguagliano a Mosè , torna , colonnello ma affranto , in Inghilterra . Ben s ' intende che il film avrebbe potuto cominciare di qui , o almeno arrivare sino a Versailles , dove Lawrence si batté perché gli alleati tenessero fede agli impegni che egli , a nome dell ' Inghilterra , aveva preso con gli arabi : e non essendovi riuscito sentì crescere tanto il rimorso e la vergogna da rinunciare al grado , e poi al nome e ai diritti d ' autore su I sette pilastri della saggezza , il libro nel quale raccontò il suo grande sogno . Ma così facendo il film avrebbe preso tutti i caratteri della biografia psicologica ( e l ' opportunità politica sconsigliava di riaprire certe piaghe ) : meglio sfruttare le grandi risorse spettacolari offerte dalla guerriglia nel deserto , dare al film il timbro dell ' avventura , vestire l ' epopea di Lawrence con l ' abito del western . Dopotutto David Lean , con Il ponte sul fiume Kwai , aveva ottenuto un immenso successo commerciale . Bene ; ma se Sam Spiegel , un produttore che non lascia mano libera al regista , è un americano che crede fermamente nel cinema d ' azione , David Lean è un inglese che nonostante la conversione allo schermo gigante ha alle spalle , per non dir altro , Breve incontro , un delizioso ricamo intimista , e Robert Bolt è il giovane drammaturgo che prima di debuttare come sceneggiatore cinematografico ha affrontato l ' inquietante figura di Tommaso Moro , l ' utopista del Cinquecento . Che i tre potessero andare molto d ' accordo era improbabile : di qui l ' ambiguità del film , ma di qui , anche , lo sforzo compiuto da David Lean , che si vede , e del quale si ammira la sincerità . Detto in due parole , Lawrence d ' Arabia ha molte eleganze formali , molta efficacia visiva , ma non sa raccontarci con sicurezza la figura del protagonista . Per un fenomeno non infrequente , è accaduto che l ' ambiguità del personaggio si è riflessa sulla sceneggiatura , che le sue reticenze hanno intorbidito la limpidità del racconto . Era un alibi degli ermetici dire che per esprimere la notte dell ' anima occorresse far ricorso all ' oscurità . Per quanto complessa la personalità di Lawrence chiede , postata sullo schermo , di essere in qualche modo spiegata al popolo . È dif idile discutere una interpretazione che , col pretesto della pluralità delle componenti psicologiche del carattere di Lawrence , compie assaggi in varie direzioni , ma non ha il coraggio di proporre una scelta precisa . Sull ' esempio di Ross , il dramma di Terence Rattigan , anche Bolt vuoi far leva sulla psicanalisi per spiegare la tragedia di Lawrence e insinua che egli fu quello che fu perché , figlio d ' un baronetto , cercò altrove il prestigio sociale negatogli dalla sua qualità di illegittimo ; e lascia intendere che il trauma subìto da Lawrence quando cadde nelle mani del bey turco gli confermò le sue tendenze particolari , e lo sconvolse fino a cercare nel sanguinoso carnaio , in una guardia del corpo composta di assassini e ladroni , la voluttà del male . Ma Bolt imbocca questa strada con timidezza , e la interseca con altri cammini : la crisi della volontà , la delusione dell ' inglese alfiere di libertà , il dramma del dubbio intellettuale , il terrore di essere stato una pedina , l ' amarezza dell ' uomo civile impotente di fronte alla barbarie . Risultato , un labirinto nel quale Lawrence appare un affannato nevrotico ; lasciando Damasco gli si consiglia una buona clinica londinese . Consapevole di questa debolezza strutturale , David Lean ha tentato di rimediarvi facendo di Lawrence un eroe fortemente condizionato dall ' ambiente , prima esaltato dalle immense , carnali curve di sabbia , poi depresso dal sacrificio di vite umane che la sua impresa chiedeva e dalle miserie illuminate dal sole di fuoco , infine conquistato dall ' esempio di ferocia propostogli dai predoni del deserto : alzando , cioè , il tono di tutto il film in una simbiosi grandiosa fra paesaggio e carattere . E l ' asino ricasca , perché Spiegel e Lean scelgono un attore che non soltanto viene dal teatro , ma proprio da Shakespeare . Invitata a correre , la lepre O ' Toole che fa ? Confonde Lawrence con Amleto : ma un Amleto nevropatico , distruttore di se stesso . È un bel ragazzo , questo occhi - ceruleo Peter O ' Toole , e ha quel tanto di mollezza femminile che si confà al personaggio , ( nessuna donna , nel film : a maggior ragione egli svolge un ruolo che copre lo spazio lasciato vuoto dalla star ) , ma non ha maturità sufficiente a colmare con la recitazione i dislivelli della sceneggiatura : per timore di non farsi capire butta fuori tutto , e al rovello intimo di Lawrence sostituisce o un imbambolamento da fanciulla o un ' esagitazione muscolare . Di gran lunga migliori le interpretazioni di Alec Guinness , di Anthony Quinn , di Jack Hawkins , benché tutte un po ' di maniera . La palma della recitazione va a Ornar Sharif , e subito dopo all ' ottimo Claude Rains . E tuttavia Lawrence d ' Arabia è un film da vedere . Bellissima è , spesso , la fotografia , morbida la tavolozza che accoglie tutte le variazioni cromatiche del deserto , suggestivi í rapporti di volume e colore fra i cammelli , i beduini , e i piani infiniti , l ' ondosità delle dune , di sicuro effetto le marce , le stragi , gli assalti al treno , esaltante la musica . Tecnicamente il film è girato con molto gusto e intelligenza : Lean e il suo operatore cadono in ingenui trabocchetti ( quel sole dipinto sul cartone ! ) , ma nella maggior parte dei casi hanno grande sensibilità per l ' inquadratura panoramica e il dettaglio . Il film ha perciò pagine emotive , ed è figurativamente degnissimo , soprattutto nella prima parte , di disteso racconto . Traballa nel traliccio psicologico , tutto affollato nella seconda , elude il sottofondo storico e politico assumendo il protagonista in un mito del quale poi non ci dà chiare ragioni , ma le tre ore e mezzo che promette non sono sprecate .. Benché per lealtà si debba aggiungere che Sam Spiegel aveva detto : « Vorrei che nessuno spettatore si distraesse per accendere una sigaretta » , e noi quattro , forse cinque , ne abbiamo fumate . Che viziaccio . '
Contrordine compagni. ( Brunetta Renato , 1999 )
StampaQuotidiana ,
Non è certamente una grande scoperta dire che non esiste una sinistra europea con valori e strategie comuni . Tali e tante sono le origini , le diversità , le esperienze di governo e di opposizione , le alleanze : laburisti inglesi , socialisti italiani , socialisti francesi o tedeschi , come spagnoli o scandinavi e greci sono sempre stati diversi ieri , e ancor più lo sono oggi , soprattutto con l ' inserimento frettoloso nella grande famiglia dell ' Internazionale socialista di tanti post - comunisti , convertiti dell ' ultima ora , prima o dopo il crollo del Muro di Berlino . Fin dal dopoguerra , ciascun governo europeo d ' ispirazione o di consenso socialdemocratico finiva con l ' interpretare in chiave autarchica , nazionale , tanto le politiche sociali , quanto le più generali strategie di politica economica . In altri termini ciascun Paese sceglieva il mix di occupazione , disoccupazione , Welfare che più riteneva compatibile con la propria struttura economica e con il proprio equilibrio sociale . Con deficit e debito a fare da grandi ammortizzatori dei conflitti distributivi conseguenti . Se i conti non tornavano , svalutazione e inflazione mettevano le cose a posto . Ed è così che le tante sinistre europee , al governo da sole , o alleate soprattutto con i partiti d ' ispirazione cattolica , hanno ricostruito l ' Europa , più preoccupate della distribuzione della ricchezza che dell ' effettiva produzione della stessa . È questa l ' Europa del consenso socialdemocratico ( anche se non tutta socialdemocratica ) che decide a Maastricht nel febbraio del '92 di avviare il processo di convergenza su deficit , debito , inflazione e tassi d ' interesse . È questa l ' Europa che con il socialista Delors tenta nel dicembre '93 , con il suo libro bianco , di compensare con un piano d ' intervento di derivazione neo - keynesiana gli effetti negativi della convergenza monetaria sulle variabili reali , prima fra tutte l ' occupazione . Ma , mentre il processo di convergenza sulle variabili finanziarie avanza fino alla nascita della moneta unica , del piano Delors su investimenti e occupazione si perdono quasi subito le tracce , in quanto produttore d ' inflazione e deficit . E arriviamo al primo gennaio '99 , anno in cui si apre la terza e ultima fase dell ' unione monetaria : l ' euro , dopo una prima breve euforia , si caratterizza per un ' estrema debolezza rispetto al dollaro , e la disoccupazione rimane alta , insopportabile . Ora , al di là dei proclami altisonanti , come quelli contenuti nei " 21 punti " per il XXI secolo del manifesto elettorale del Partito socialista europeo ( di un mese fa ) , o quelli lanciati a Milano in questi giorni per un patto europeo per l ' occupazione , di novità in giro se ne vedono ben poche , e quelle poche , inquietanti : come la marcia indietro tedesca sul bilancio , e come la proposta , sempre tedesca , volta all ' introduzione di un salario , un fisco , un Welfare europeo , allo scopo di evitare pericolose ( per i tedeschi ) forme di concorrenza tra i Paesi . La convergenza nel Welfare , nel mercato del lavoro , nelle politiche fiscali , in presenza di moneta unica e di un bilancio federale di entità risibile , del tutto incapace , quindi , di reali politiche ridistributive , rischia di trasformarsi in un insopportabile fattore di discriminazione ed emarginazione dei partner dell ' euro meno sviluppati e meno efficienti , imponendo , di fatto , i costi e le regole dei Paesi più forti ( a più alta produttività ) ai Paesi più deboli ( a produttività più bassa ) . Fin qui le idee , poche e ben confuse dei socialisti continentali , con il solo Blair a predicare la bontà del modello americano . Ma ecco che , a conclusione del lugubre congresso Pse di Milano , l ' ineffabile ministro delle Finanze tedesco Lafontaine se ne esce con un ' altra delle sue : " Per il rilancio della crescita e la lotta contro la disoccupazione , l ' Europa segua l ' esempio americano " . Esattamente il contrario di quanto hanno detto sino a oggi i socialisti continentali francesi ( con le loro 35 ore ) ; italiani ( con la loro concertazione ) e tedeschi ( con il loro egemonismo egoista ) . Insomma , siamo di fronte al più classico ( e meno prevedibile ) " contrordine compagni " , in contraddizione totale con quanto sta avvenendo all ' interno delle diplomazie comunitarie in tema di Agenda-2000 e in preparazione del vertice di Colonia alla fine del semestre di presidenza tedesco dell ' Unione . Ora , delle due l ' una : o Lafontaine fa sul serio , a allora dobbiamo prepararci a una vera rivoluzione culturale dagli esiti imprevedibili per la stessa costruzione europea ; oppure ( come è più probabile ) ha solo scherzato , in cerca di facili stupori , e allora prepariamoci a vedere la disoccupazione toccare i 20 milioni di unità , con buona pace della stessa coesione sociale nel Vecchio continente .
Giovannino Guareschi ( Montanelli Indro , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Giovanni Guareschi ha compiuto , nella sua vita , molte imprese coraggiose . Ma nessuna il coraggio glielo impegnò così a fondo come quella di venire , una quindicina di anni orsono , a Milano . Milano , Giovannino Guareschi l ' ha « scoperta » in un libro ormai famoso , che molti lettori , probabilmente , hanno considerato soltanto umoristico . Non lo è , come non lo sono tutti gli altri suoi libri , in cui l ' umorismo c ' entra solo come condimento , o meglio come il velo sotto cui il pudore impone a quest ' uomo timido e scontroso di nascondere il suo pathos . Egli collaborava a un settimanale ambrosiano , mi pare il « Secolo illustrato » , ma senza muoversi dal suo cascinale presso Busseto . E , a vent ' anni , l ' unica città che aveva visitato era Parma , la quale già gl ' incuteva sgomento . Rizzoli notò i suoi disegni e gli offrì un contratto a settecento lire al mese , che per quei tempi erano quasi l ' agiatezza . Giovannino per lettera accettò ringraziando ; ma , quando si trattò di prendere il treno e d ' inurbarsi , non ne fece di nulla . Di lì a poco venne richiamato alle armi , e fu sotto una tenda di soldato , sull ' Appennino , che Rizzoli junior , Andrea , lo scovò e gli rinnovò la proposta per il giorno in cui fosse stato congedato . Guareschi stavolta tenne la parola e una bella sera si presentò nell ' ufficio del suo editore , in piazza Carlo Erba . S ' era d ' inverno e Giovannino si teneva chiotto dentro un pastrano che la sua fidanzata gli aveva ricavato dalla mantellina militare . Ma non era soltanto il freddo che gli soffondeva sul viso un ' espressione di scoramento . Era Milano che gli aveva fatto e seguitava a fargli una paura birbona . C ' era arrivato sul far della sera , e la plumbea , solenne , sferragliante stazione , le luci che cominciavano a solcare la nebbia grigia , lo zigzagare dei tassì e dei tram , il flusso dei pedoni sui marciapiedi , lo scostante e insocievole sussiego dei metropolitani , lo avevano stordito . No , non c ' è nulla di scherzoso né di retorico nella Scoperta di Milano che Guareschi ha descritto . Per non restare solo in quella giungla irta di grattacieli che lo atterriva , egli chiamò subito Margherita al suo fianco e la sposò . Margherita era delle sue parti , sapeva stare in cucina come solo dalle sue parti ci si sa stare , parlava il suo dialetto , gli era necessaria a ricrearsi in casa un ' oasi emiliana con le sue brave tagliatelle . Soltanto li Guareschi ha continuato a sentirsi per tutti quegli anni Guareschi . Anche il « Candido » lo ha fatto e séguita a farlo in casa , proprio come le tagliatelle , e anche per questo è così saporoso . In piazza Carlo Erba ci andava e ci va di rado . E , quanto al centro , San Babila e Duomo , si possono contare sulle dita coloro che ce lo hanno visto . Dopo oltre tre lustri di vita milanese , Giovannino non ha mai messo piede alla Scala né al cinematografo Manzoni . Ha sentito dire che sono « locali di lusso » e ciò lo spaventa . Ora , poi , ha realizzato finalmente il suo sogno : è tornato a vivere in quel di Busseto , e a Milano ci viene per due giorni della settimana soltanto a comporre il giornale . In quarantott ' ore fa quello che a nessun altro riuscirebbe di fare in una settimana , masticando , in un indescrivibile disordine , dozzine di pasticche di simpamina , trangugiando decine di tazze di caffè , fumando centinaia di sigarette americane ; poi riprende la sua macchina a nafta , di cui è fiero come se l ' avesse inventata lui , e torna nella sua Bassa , morto di sonno e di stanchezza , ma felice alla prospettiva dei cinque giorni che potrà trascorrervi in pace . La Bassa di Busseto è una strana repubblica , che ha poco a che fare con quella italiana e di cui Guareschi è , senza nessuno scrupolo costituzionale , il re . Un re al di sopra dei partiti , come tutti i veri re , e infatti è da lui che vengono , a chiedere consiglio e aiuto , anche i comunisti . Non prese , il loro capo , parte attiva come comparsa nel film Don Camillo , che non è precisamente d ' intonazione marxista ? Un fiduciario di Togliatti fu spedito d ' urgenza sul posto per svolgere un ' inchiesta su quel flagrante caso di deviazionismo . Ma i « compagni » locali ne ascoltarono le rampogne a bocca aperta . Cosa c ' entrava Stalin in tutta quella faccenda ? A Busseto , Stalin è Guareschi , che d ' altronde gli somiglia . Perché a Busseto Guareschi è tutto : il re per i monarchici , il papa per i preti e Stalin per i comunisti . Giovannino è l ' unico profeta in patria che registri la nostra storia nazionale , la quale non registra che profeti emigrati . Egli dirime i litigi fra Peppone e Don Camillo , amministra la giustizia sotto l ' albero di fico , cammina seguito da un codazzo di gente in cui c ' è di tutto : comunisti e conservatori , ricchi e poveri , miscredenti e baciapile . La reggia in cui vive questo incredibile monarca è un cascinale contadino , circondato da un lungo portico , che le lampade al neon illuminano clamorosamente di giorno e di notte . « È orribile , lo so , sembra un bar , ma io voglio la luce , ne voglio a torrenti ... » . È una rivalsa contro il buio che gli angosciò tutta la fanciullezza di scolaro , trascorsa in una cieca cucina , dove sua madre sgonnellava tra i fornelli , nelle ore che le lasciava libere il suo mestiere di maestra elementare . Giovannino si rovinava gli occhi a copiare il compito , seduto dinanzi a un tavolinetto di marmo bianco , e ora di quei tempi difficili e duri , di quelle ore grigie , immobili e pesanti vuoi scacciare perfino il ricordo con uno scialo di lampade . Sulla scrivania ne ha tre , disposte in modo che convergano i loro fuochi sul foglio infilato nella macchina da scrivere . Altre due gli sbucano dal pavimento sotto la sedia , e lui non le vede naturalmente perché le copre col sedere ( che è di dimensioni tutt ' altro che modeste ) , ma non importa : il buio non deve contaminargli nemmeno quelle parti li . Il tutto è complicato dal fatto che Guareschi la sua scrivania non la tiene fissa nella stanza ; la sposta secondo il sole perché di giorno vuole anche la luce di quello , oltre che dell ' elettricità ; e quindi è tutto un intrico , pericolosissimo per il visitatore , di fili , d ' interruttori , di prese di corrente . È un impianto complicatissimo e geniale , che Giovannino ha studiato e realizzato di persona , perché la « pace » di cui lui viene a godere per cinque giorni della settimana nella sua repubblica della Bassa consiste in realtà in una serie di lavori forzati manuali cui egli si dedica con sacerdotale zelo e , crede lui , con ineguagliabile competenza . Probabilmente i lettori immaginano che Guareschi , l ' uomo che compila quasi da solo un giornale di cinquanta pagine alla settimana , testo e disegni , e pubblica due libri l ' anno , trascorra la sua giornata a scrivere e a pensare . Neanche per idea . Egli la inizia alle cinque del mattino con la zappa , e ne impiega tutto il resto in discussioni e lavori di elettrotecnica , falegnameria e muratura . Si è costruito da solo il garage , per esempio . È vero che , una volta ultimato , risultò che la macchina non c ' entrava , e bisognò chiamare un muratore vero per disfare e rifare tutto . Non è lui che me lo ha detto , ma me lo hanno raccontato sul posto , e ora Dio mi salvi dai furori di Giovannino , che qualunque altra indiscrezione sul suo conto me l ' avrebbe perdonata , ma questa temo che me la farà pagar cara . E il letto ? Anche quello se lo è costruito da sé , a furia di pialla e sega , dopo lunghissimi conciliaboli con uno del mestiere ; e , a cose fatte , gli è venuto a costare tre volte più di quanto lo avrebbe pagato in un negozio . « Ma la soddisfazione di dormire in un letto che ti sei costruito con le tue mani » , dice Giovannino asciugandosi il sudore dalla fronte e lisciandosi i baffoni , « dove la metti ? Parola d ' onore , ve ' : è l ' unico letto in cui non soffro d ' insonnia . Tutti gli altri ... » Tutti gli altri sono poi quello di Milano , dove lui si corica , le sole due notti della settimana che trascorre in città , con lo stomaco pieno di caffè e di simpamina . Sfido che ci soffre l ' insonnia ! Ma è inutile farglielo osservare . Il suo entusiasmo per la roba fatta in casa , tagliatelle , giornale , libri e mobili , è pari soltanto alla sua diffidenza per la roba che si compra fuori . Una volta si mise a studiare seriamente come si fabbricano i fiammiferi . Voleva farsi da sé anche quelli , e si diede a consultare manuali di chimica per indagare le combinazioni di zolfo e di fosforo . Non parlava d ' altro . E fu quello il momento di più gran pericolo che abbiano corso il cascinale di Busseto , pieno zeppo di materiali infiammabili , e l ' incolumità dei suoi abitatori . « Perché non vieni a trovarmi dalle mie parti ? » , mi urlò l ' altro giorno , quando andai a trovarlo alla redazione di piazza Carlo Erba . Era stravolto di stanchezza , al termine di una delle sue solite inumane fatiche ebdomadarie , e correva su per le scale stringendo al petto i fogli che aveva riempito di parole e disegni , fra gli appelli disperati dei tipografi in ritardo per la composizione . « Vengo ragazzi , vengo ! » , e fece per correre via , ma si trovò a faccia a faccia con Bianchi , il capomastro della casa Rizzoli , e si fermò di colpo . Bianchi è la sua vera grande passione , il suo amico più intimo e più caro , quello con cui trascorre la maggior parte della sua giornata a dibattere complicati problemi di cementi , tubature , scavi e travi . « Ehi , vieni qui ! » , gridò abbracciandolo . « Sai cosa m ' è successo stanotte ? » E non ci fu più verso di smuoverlo per mezz ' ora , dovette correre Minardi , il caporedattore , a strappargli di mano il materiale , che in tipografia altrimenti non ci sarebbe arrivato più . Era successo questo , a Guareschi che , messosi la sera prima finalmente al lavoro con lo stomaco pieno di qualche dozzina di pasticche di simpamina e di decine di tazze di caffè , non gli era riuscito di mettere insieme né una vignetta né una frase , ossessionato com ' era dall ' idea di uno scarico che gli s ' era intasato il giorno prima nel bagno . Era in parola con un trombaio che aveva promesso di venire a rimediare il giorno dopo . Ma l ' idea di quel tubo otturato non gli consentiva di formularne altre nel cervello , gli paralizzava la mano , la matita e la penna ; sicché alle quattro del mattino era ancora lì a gingillarsi , avvilito e in orgasmo . Allora aveva preso un piccone , era sceso in cantina , e si era dato a ricercare il guasto . Lo aveva trovato alla fine , ma solo dopo aver demolito una intera parete . Però solo dopo quest ' accurata opera di distruzione aveva potuto concentrarsi sulla preparazione del giornale e portarla in fondo ; e adesso era contento e soddisfatto come se , invece di demolire , avesse costruito qualcosa , e solo lo preoccupavano alcuni particolari « tecnici » di cui voleva discutere col fido Bianchi . Li discusse infatti , per una buona ora , insensibile alle invocazioni di aiuto di Minardi e dei tipografi nonché alla nostra attesa . Solo quando ebbe finito , si riavvicinò a noi per dirci come e quando avremmo dovuto raggiungerlo a Busseto . « Facciamo giovedì . Con quale macchina vieni ? Vieni con quella di Mimmo Carraro ... » É una macchina americana , di figura , dalle parti sue non ne hanno mai viste di eguali e lui ci tiene che ci presentiamo a chiedere di lui a bordo di un simile veicolo . « Voi arrivate » , suggerisce , « a tutta velocità e sonando il clacson , sonatelo forte , in mezzo al Paese , e lì urlate : " Dove sta Giovanni Guareschi ? " . Ma urlatelo a gran voce , che lo sentano tutti ... » E si lisciava i baffoni , pregustando la scena . Ora che abbiamo seguito i suoi consigli , eccoci di fronte alla reggia di sua maestà il re della Bassa , illuminata che sembra il Vesuvio in eruzione nonostante l ' ora di pieno meriggio , col monarca in persona sulla soglia del portico che , con un aratro in mano , sembra in posa per farsi monumentare da uno scultore del tempo littorio . Oltre i vetri della finestra si vede , in cucina , Margherita intesa ad arrotolare col matterello le fettuccine del pantagruelico pranzo che ci aspetta , mentre la porta aperta del garage , adesso che un muratore vero l ' ha rifatto , lascia intravedere le due automobili , le motociclette e le quattro biciclette di cui Guareschi , da buon emiliano innamorato di « tecnica » e di « meccanica » , si gloria . Irraggia gioia e buon umore . Giovannino , il quale non sa essere felice che nella sua terra , in mezzo a quella sua gente e a quelle sue cose fatte in casa . « Tutto è fatto in casa , qui ! » , esclama con orgoglio , un orgoglio certo più grande di quello che gl ' ispira il fenomenale successo di Don Camillo e l ' incondizionato plauso che la critica di tutto il mondo , meno quella italiana , s ' intende , ha tributato al suo talento e , più ancora , al suo temperamento di scrittore in un ' età in cui di talento ce n ' è poco e di temperamento punto . « Tutto fatto in casa , ragazzi , con le mie mani : muri , mobili , impianto elettrico , fornelli , sedie ... Accomodatevi , accomodatevi ... » Mimmo Carraro ed io , smilzi e leggeri , eseguiamo . Ma quando è il turno di Andrea , che è un po ' più pesante , non so come , di colpo lo vediamo ruzzolare per terra in un groviglio di assi , di chiodi e di viti . Giovannino lo guarda mortificato , ma nemmeno per un momento lo sfiora la tentazione di porgere aiuto al suo editore . Il problema che lo angoscia in questo istante è , lo si vede benissimo , solo quello di sviscerare la ragione " tecnica " che ha provocato la catastrofe di quel pezzo di mobilia " fatta in casa " . E se ne rigira fra le mani i resti con l ' espressione avvilita di un bambino che si veda andare in pezzi un balocco ritenuto infrangibile .
L'anomalia non è lui ( Feltri Vittorio , 1994 )
StampaQuotidiana ,
È successo quello che non poteva non succedere : Silvio Berlusconi , l ' uomo delle televisioni commerciali e dell ' editoria , ha deciso di cambiare mestiere . Già , perché la politica è sempre stata un mestiere , lo è ancora e speriamo che presto non lo sia più . Il capo della Fininvest lo andava dicendo da tempo , almeno sei mesi : « Prima o poi mi toccherà di scendere personalmente in campo » . E lo diceva col tono di uno che , suo malgrado , senza entusiasmo e qualche rammarico , deve abbandonare le abituali occupazioni per andare in soccorso a dei parenti un po ' sciocchi ficcatisi nei guai . Il tono era scocciato , ma dissimulava una certezza : che quei parenti sciocchi o li salvava lui o non li salvava nessuno . Non sappiamo se sarà così . Ma sappiamo che Berlusconi è fermamente convinto che così sarà . Perciò non abbiamo mai dubitato , neanche quando nicchiava , chiedeva consigli a destra e a sinistra ( anzi , no : a sinistra mai ) , cercava conferme e sollecitava incitamenti a buttarsi ; non abbiamo mai dubitato che , alla fine , il Cavaliere ( come lo definiscono pieni di deferenza quelli del suo giro ) avrebbe accantonato ogni indugio , ogni prudenza e si sarebbe lanciato spavaldamente nella più folle corsa che una persona con tutti i fili attaccati possa correre : quella elettorale . Farà bene Berlusconi a partecipare alla competizione ? Farà male ? Ad ascoltare i suoi amici , i più sinceri , quelli che gli vogliono bene disinteressatamente , egli sta per commettere l ' errore più grosso della sua vita . E aggiungono che solo un matto accetta il rischio di perdere un impero , quale il suo è , per tentare di conquistare una repubblichetta squalificata e sull ' orlo del fallimento . Ad ascoltare i nemici , poi , la sua sfida al sacrario della politica , nel quale finora sono stati ammessi solamente gli addetti ai lavori , i sacerdoti delle tessere ; ad ascoltare loro , soprattutto a leggere i loro giornali , Silvio non solo è un pazzo accecato dal potere , ma addirittura un baro che siede al tavolo della politica con tre reti televisive e un gruppo editoriale nei polsini . Se infine si considera la campagna di stampa , feroce e disordinata , che si è scatenata contro il Berlusconi fondatore di Forza Italia e candidato leader di partito ; una campagna di stampa che lo ha dipinto come il pericolo pubblico numero uno ; se si considera tutto questo - e molto abbiamo taciuto per brevità - , la risoluzione del principe di Arcore appare come un suicidio eccessivamente macchinoso per essere apprezzato persino da chi lo desidera . Ma proprio perché tutto concorre a dargli torto - torto marcio - noi pensiamo che abbia ragione Berlusconi . Ha contro amici e nemici . Ha contro il Palazzo . Ha contro i professori del manuale Cencelli . Ha contro i colleghi . Ha contro i giornali ( anche i suoi ) . Ha contro le TV ( anche le sue ) . Ha contro mezzo mondo . Soltanto mezzo , però . E lui che è un calcolatore , come calcolatori sono tutti quelli che hanno dimestichezza con il successo , punta proprio su questo : l ' altro mezzo mondo che contro non gli è . È il mondo della gente comune , che non fa opinione , ma ne ha una precisa benché non la esprima se non sulla scheda ; il mondo degli imprenditori , piccoli e grandi , che non sono rappresentati dalla Confindustria ; il mondo dei cittadini che lavorano onestamente e pagano le tasse anche sapendo di pagarne troppe e ingiustamente ; i cittadini che rispettano i semafori e i divieti di sosta , che non si esibiscono in corteo , che non frequentano le piazze di Santoro , che mantengono la famiglia e non si fanno assistere da uno Stato che saccheggia le buste paga e non dà nulla in cambio , se non la pensione a chi non la merita , ospedali e scuole che non funzionano , una burocrazia arrogante e crudele . Questo mezzo mondo potrebbe dare la vittoria al matto . Che sarebbe poi la vittoria - o la rivincita - delle classi medie che credono in una grande coalizione moderata , in un grande partito nel quale collaborino , con Forza Italia , la Lega , gli ex democristiani ( non di sinistra ) , i liberali sopravvissuti al flagello di Altissimo e De Lorenzo , le truppe di Fini addomesticate sotto il tendone di Alleanza Nazionale . L ' anomalia non è Berlusconi in politica . L ' anomalia è che per costituire un polo antitetico a quello di sinistra , ci sia bisogno di lui . Ma anche questo Paese , che abbiamo ereditato dai signori delle segreterie , è un ' anomalia .
Sedotta e abbandonata di Pietro Germi ( Grazzini Giovanni , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Con Sedotta e abbandonata gli affezionati spettatori di Divorzio all ' italiana si ritrovano in una Sicilia dominata da un grottesco senso dell ' onore , nuovamente si muovono in un clima cupo e afoso con bagliori terrificanti , in cui scoppiano feroci contrasti familiari , e per la seconda volta s ' imbattono in una Stefania Sandrelli concupita da un focoso isolano . Simile la cornice , analogo il desiderio del regista , Pietro Germi , di accusare , raccontando una storia inventata , l ' ipocrisia dei costumi locali e della legislazione italiana , i due film restano tuttavia ben lontani l ' uno dall ' altro . Quanto c ' era , nel primo , di elegante ironia , in Sedotta e abbandonata è divenuto più vivace ma crudo sarcasmo , e quanto in Divorzio all ' italiana era caustico ricamo , qui è spesso pesante e quasi iroso cipiglio . Si ha l ' impressione che Germi , calcando la mano in una pittura d ' ambiente che d ' altronde amalgama toni di diversissima provenienza culturale , da Goya a Buñuel , senza passare attraverso il realismo di Verga e il rigore intellettuale di Pirandello , si stia inventando una Sicilia su misura , quasi un pretesto per una verifica storica del suo gusto di cogliere situazioni umane in cui il tragico e il comico si alleano . Dio ci guardi dal negare che molti siciliani concepiscono l ' onore come un astratto valore formale , e che in un caso come quello raccontato dal film eviterebbero di riparare con l ' ipocrisia d ' un matrimonio forzoso all ' offesa recata a un pregiudizio : è probabile però che in Sedotta e abbandonata ci sia per soprammercato un astio che discende dal dispetto di veder sopravvivere , nel mondo di oggi , queste zone depresse della morale e del costume , e nel contempo una voluttà derisoria nata dal compiacimento di aver individuato un luogo che offre tante risorse di spettacolo beffardo . In casi simili lo sdegno di Germi moralista si azzuffa col piacere di Germi regista , e ne esce un ' opera arrabbiata e in fondo crudele e improbabile . Questa contraddizione è denunciata , nel film , dalla variabilità dello stile , ma soprattutto dalla caduta in quel genere della commedia paesana , ai limiti col vernacolo , che per il troppo colore rinunzia alla finezza del disegno psicologico . Se fate un confronto fra il barone Cefalù e il protagonista di Sedotta e abbandonata , questo grasso , iracondo imprenditore della provincia siciliana al quale è stata violata una figlia , e che non si darà pace finché i due , pur odiandosi , non si saranno sposati , misurate tutta la diversità di stoffa dei due film : l ' uno saldamente ancorato all ' interpretazione squisita di un Mastroianni , l ' altro affidato all ' esperienza di un Saro Urzì , attore valoroso ma irrimediabilmente caratterista . Da questa scelta , e forse dall ' intervento , in sede di sceneggiatura , di Age e Scarpelli , i quali devono avere affollato l ' originario soggetto di Germi e Vincenzoni di episodi collaterali e scenette di dubbio umorismo , derivano tutti i guai del film : la galleria di macchiette , il gioco delle scene e delle controscene , la forzatura comica , l ' insabbiarsi di quella nota tragica che di quando in quando riaffiora , e allora appartiene al Germi migliore , ma cui più spesso si sostituisce una concitata orchestrazione di motivi già largamente scontati dall ' immensa pubblicistica sui costumi siciliani . Della trama basti ricordare , per sommi capi , la linea centrale : la violenza subita da Agnese , studentessa sedicenne , da parte di Peppino , fidanzato d ' una sua sorella , Matilde ; la scoperta dell ' infamia da parte del padre di lei , il rifiuto di Peppino di sposare Agnese perché gli ha ceduto , le chiacchiere della cittadina , le furie del genitore offeso , che architetta un finto rapimento per giustificare agli occhi della gente le nozze . Rifiuto , questa volta , di Agnese , ma finale cedimento dei due giovani ai sacri principi dell ' onore familiare . Il padre muore di crepacuore , ma il giorno stesso dello sposalizio , e perciò chiude gli occhi soddisfatto ; la Matilde defraudata di due fidanzati ( oltre Peppino ha perduto anche un nobile spiantato che il padre le aveva messo attorno ) si fa monaca ; i parenti e gli amici si consolano con i cannoli . Questo il succo della storia , che però si disperde in un gran numero di svolte , alcune indubbiamente intelligenti e raccontate col nerbo e l ' estro del Germi più forte e denso , altre risapute : insomma in una disuguaglianza di livelli stilistici e narrativi che fa maggiormente avvertire lo scarso amalgama dell ' impasto , e rimpiangere la stringatezza d ' un altro film di Germi girato , come questo , a Sciacca : In nome della legge . Fra i molti attori Stefania Sandrelli è un ' Agnese tutta in nero , che talvolta riesce a farci intuire il suo chiuso dolore ; il debuttante Aldo Puglisi è un seduttore anche troppo impacciato ; Leopoldo Trieste ha una mimica efficacissima : su tutti gli altri si riverbera l ' equivoco di una recitazione che toglie in verosimiglianza quanto eccede nei tratti farseschi .