StampaQuotidiana ,
Fu
nel
settembre
del
1943
che
Leo
Longanesi
perse
la
migliore
occasione
,
presentataglisi
sino
ad
allora
,
di
liberare
il
mondo
dalla
sua
piccola
,
ma
ingombrante
presenza
.
I
tedeschi
avendo
occupato
Roma
,
dove
in
quel
momento
abitava
,
e
avendo
affidato
la
polizia
a
certe
bande
di
fanatici
neofascisti
,
Longanesi
decise
di
attraversare
le
linee
e
di
cercare
rifugio
nel
Sud
già
liberato
.
Operazione
non
facile
e
di
dubbi
risultati
,
anche
se
fosse
riuscita
.
Perché
se
Leo
aveva
molto
da
temere
dai
fanatici
neofascisti
di
Roma
,
non
meno
aveva
da
temere
dai
fanatici
antifascisti
di
Bari
e
di
Napoli
.
Per
i
primi
,
egli
era
l
'
ispiratore
di
tutti
i
movimenti
di
fronda
sviluppatisi
in
seno
al
partito
e
al
regime
;
per
i
secondi
,
egli
era
il
grande
orchestratore
di
tutti
i
motivi
e
slogan
,
sui
quali
si
era
basata
la
propaganda
del
ventennio
.
Comunque
,
poiché
quelli
uccidevano
,
mentre
questi
mettevano
soltanto
in
galera
,
Longanesi
decise
di
tentare
la
sorte
e
,
raggiunto
in
treno
l
'
Abruzzo
,
proseguì
a
piedi
sino
a
una
località
che
,
pur
senza
più
appartenere
all
'
Italia
occupata
,
non
apparteneva
nemmeno
ancora
a
quella
liberata
e
che
quindi
era
sottoposta
alle
bombe
degli
uni
e
degli
altri
.
In
quel
grandinio
di
proiettili
,
Leo
,
senza
più
altra
bussola
che
il
proprio
istinto
,
si
mise
a
scappare
come
un
topo
saltando
da
un
filare
di
viti
a
uno
di
ulivi
,
finché
gli
parve
di
aver
trovato
rifugio
sotto
uno
sbrecciato
muraglione
,
ultimo
resto
di
una
casa
crollata
.
Accucciatosi
lì
mentre
le
granate
sibilavano
tutt
'
intorno
,
risalì
con
gli
occhi
,
per
assicurarsi
della
sua
consistenza
,
lungo
quel
riparo
di
pietra
e
di
calcina
,
finché
essi
si
posarono
su
una
scritta
in
catrame
che
,
lassù
in
alto
,
aveva
resistito
anche
all
'
artiglieria
:
«
Il
Duce
ha
sempre
ragione
»
.
Leo
impallidì
.
Quella
frase
l
'
aveva
coniata
lui
quindici
anni
prima
,
e
c
'
era
quindi
alcunché
di
logico
,
o
almeno
di
intonato
alla
Nemesi
,
che
essa
,
seppellendolo
,
gli
facesse
da
lapide
ed
epitaffio
.
Ma
Dio
,
come
ama
i
peccatori
pentiti
,
così
ha
un
debole
per
i
fascisti
ravveduti
.
E
Leo
poté
cavarsela
anche
quella
volta
,
con
gran
disturbo
di
tutti
,
e
specialmente
dei
suoi
amici
che
,
senza
di
lui
,
avrebbero
una
vita
molto
più
facile
e
meno
degna
di
esser
vissuta
.
Non
vidi
Leo
a
Napoli
perché
in
quello
stesso
periodo
,
e
per
ragioni
del
tutto
analoghe
,
io
,
dopo
un
doveroso
soggiorno
a
San
Vittore
,
mi
trovavo
in
Svizzera
;
ma
ne
ebbi
notizia
da
certi
ambienti
monarchici
che
là
frequentavo
,
riuniti
intorno
alla
principessa
Maria
José
,
e
che
erano
in
contatto
con
quelli
del
Sud
,
riuniti
intorno
al
principe
Umberto
,
fra
i
quali
Longanesi
,
appena
giunto
a
Bari
,
aveva
seminato
lo
sgomento
e
lo
scompiglio
.
All
'
ufficiale
dell
'
Intelligence
Service
che
lo
aveva
interrogato
,
egli
aveva
risposto
di
essere
sempre
stato
fascista
,
di
esserlo
ancora
e
di
considerare
tutti
i
capi
dell
'
antifascismo
come
un
branco
di
sciocchi
,
che
Mussolini
aveva
commesso
il
grave
errore
di
lasciar
sopravvivere
.
Dopo
simili
dichiarazioni
,
si
pensò
che
lo
avrebbero
internato
.
Non
lo
internarono
,
anzi
,
lo
mandarono
a
parlare
alla
radio
con
Soldati
e
Steno
:
e
fu
uno
dei
pochi
atti
intelligenti
che
i
liberatori
compirono
.
Ma
era
diventato
impossibile
servirsi
di
lui
per
la
propaganda
monarchica
.
Gli
furono
chiesti
soltanto
dei
pareri
.
Egli
diede
quello
di
mandare
il
principe
al
fronte
anche
contro
la
volontà
di
suo
padre
e
degli
Alleati
e
di
fargli
sparare
da
qualcuno
una
revolverata
in
una
gamba
in
modo
che
si
rendesse
obbligatoria
l
'
amputazione
«
sopra
il
ginocchio
.
Sopra
,
mi
raccomando
;
non
sotto
»
.
Poi
Umberto
avrebbe
risalito
l
'
Italia
mostrandosi
in
tutte
le
città
e
paesi
e
villaggi
e
campagne
appoggiato
alle
stampelle
«
col
pantalone
della
gamba
mutilata
chiuso
sul
moncone
da
uno
spillobalia
.
Balia
,
mi
raccomando
»
,
mentre
la
principessa
,
dopo
una
congrua
cura
dimagrante
,
avrebbe
dovuto
esser
ritratta
in
una
fotografia
,
da
riprodurre
in
milioni
di
esemplari
,
poveramente
vestita
,
col
volto
dolente
e
i
bambini
in
collo
.
«
E
niente
dramma
,
eh
?
Solo
melodramma
,
mi
raccomando
!
»
Quando
Milano
fu
liberata
,
telegrafai
a
Longanesi
di
raggiungermici
.
«
Sei
sicuro
che
non
m
'
impiccheranno
?
»
,
mi
chiese
.
Gli
risposi
che
a
Milano
nessuno
lo
conosceva
e
che
il
vento
del
nord
continuava
a
soffiare
solo
in
bocca
a
Pietro
Nenni
.
Egli
venne
,
ma
,
non
so
come
,
qualcuno
lo
vide
appena
sceso
dal
treno
,
e
ne
informò
il
giornale
del
partito
d
'
azione
,
il
cui
direttore
(
che
di
lì
a
tre
anni
doveva
presentarsi
all
'
editore
Longanesi
in
veste
di
giovane
autore
,
per
supplicarlo
di
pubblicargli
un
libro
)
diede
incarico
a
qualcuno
di
scrivere
un
trafiletto
contro
il
reprobo
.
Il
trafiletto
comparve
l
'
indomani
.
Era
anonimo
;
ma
,
appena
lettolo
,
Leo
ne
riconobbe
l
'
autore
,
suo
vecchio
amico
.
Non
disse
nulla
,
sebbene
a
quei
tempi
essere
additati
al
furore
di
una
folla
,
che
più
ammazzava
e
più
credeva
di
mondarsi
del
delitto
di
essere
stata
vibrantemente
fascista
,
fosse
pericoloso
.
Ma
un
paio
di
giorni
dopo
,
mentre
mi
trovavo
con
Longanesi
in
un
elegante
caffè
di
Montenapoleone
,
il
trafilettista
comparve
e
,
vedendomi
senza
accorgersi
contemporaneamente
della
presenza
di
Leo
,
mi
venne
incontro
a
mano
tesa
e
,
dopo
aver
stretto
quella
mia
,
la
porse
,
sia
pure
con
un
certo
imbarazzo
,
anche
a
lui
.
Longanesi
lo
fissò
un
attimo
;
poi
,
con
l
'
agilità
di
un
misirizzi
,
balzato
in
piedi
su
un
tavolo
in
mezzo
alla
folla
degli
avventori
,
che
italianamente
celebravano
l
'
avvenuta
liberazione
con
gran
bicchieri
di
panna
montata
alla
faccia
del
defunto
Mussolini
che
tirannicamente
aveva
loro
impedito
di
mangiarla
in
pubblico
(
ma
non
in
privato
)
sino
a
quel
giorno
,
urlò
,
additando
il
suo
accusatore
:
«
Prendetelo
!
È
un
antifascista
!...»
.
E
l
'
antifascista
,
senza
riflettere
che
in
quel
luglio
del
1945
era
per
lo
meno
prematuro
additare
come
tale
qualcuno
al
linciaggio
,
se
la
diede
a
gambe
.
Leo
Longanesi
trascorre
la
sua
vita
ad
aver
torto
oggi
per
il
gusto
di
aver
avuto
ragione
domani
.
Ma
quando
domani
è
diventato
oggi
,
egli
si
dimentica
di
aver
avuto
ragione
ieri
,
e
anzi
quasi
se
ne
vergogna
.
«
Io
,
antifascista
!
?
»
,
protestava
al
tempo
in
cui
il
CNL
imperversava
.
«
Vorrai
scherzare
!
Ho
i
documenti
in
regola
,
io
:
squadrista
,
marcia
su
Roma
,
direttore
dell
'
"
Assalto
"
di
Bologna
...
»
,
e
sembrava
che
stesse
compilando
un
curriculum
vitae
ad
uso
del
Minculpop
,
con
la
stessa
foga
con
cui
,
al
tempo
del
Minculpop
,
proclamava
:
«
Fascista
,
io
!
?
...
Vorrai
scherzare
!
...
Cacciato
via
come
"
deviazionista
"
Ball
'
"
Assalto
"
di
Bologna
,
direttore
di
tutti
i
giornali
più
soppressi
d
'Italia...»,
e
sembrava
che
stesse
redigendo
(
nel
1937
)
un
curriculum
vitae
ad
uso
del
CNL
.
In
una
borghesia
che
avesse
la
coscienza
e
il
coraggio
di
se
stessa
,
Longanesi
occuperebbe
il
posto
che
in
seno
a
quella
inglese
occupò
Bernard
Shaw
e
in
quella
francese
Gavarni
:
poiché
egli
riassume
in
sé
il
genio
panflettistico
del
primo
e
quello
caricaturale
del
secondo
.
Poche
cose
,
come
l
'
incapacità
di
sopportare
lo
specchio
deformante
in
cui
Longanesi
l
'
obbliga
ad
ogni
passo
a
rimirarsi
,
denunziano
la
pochezza
e
la
fralezza
della
borghesia
italiana
,
che
,
come
Mussolini
suo
naturale
interprete
e
rappresentante
,
vede
in
ogni
critica
un
atteggiamento
di
ostilità
.
«
Lo
hanno
riprodotto
sull
'
"
Avanti
!
"
»
,
dissero
certi
industriali
lombardi
,
quando
Leo
ebbe
pubblicato
il
suo
terzo
libro
:
Il
destino
ha
cambiato
cavallo
,
con
lo
stesso
accento
di
sgomento
con
cui
vent
'
anni
fa
si
diceva
di
un
autore
:
«
La
"
Pravda
"
ha
parlato
bene
di
un
suo
racconto
!
»
.
E
un
signore
si
scusò
di
averlo
frequentato
,
con
queste
parole
:
«
Credevamo
che
fosse
un
amico
e
che
servisse
la
"causa"...»
.
Pur
con
tutta
la
sua
intelligenza
,
che
di
rado
gli
consente
di
sbagliare
un
pronostico
,
Longanesi
non
si
aspettava
quella
reazione
e
,
di
ritorno
da
Parigi
,
lo
trovai
avvilito
e
mortificato
,
a
rigirarsi
in
mano
le
lettere
di
protesta
giuntegli
da
ogni
parte
nel
covo
di
via
Borghetto
,
sede
della
sua
casa
editrice
.
«
Be
'
?
»
,
dissi
.
«
Non
lo
prevedevi
?
»
«
Io
no
!
»
«
Ma
come
!
?
Tu
denunzi
i
difetti
della
borghesia
italiana
,
eppoi
ti
arrabbi
perché
la
borghesia
italiana
mostra
di
avere
effettivamente
i
difetti
che
tu
hai
denunziato
!
»
Longanesi
mi
fissò
un
attimo
.
«
Cosa
c
'
entra
?
»
,
proruppe
poi
.
«
Anche
di
te
dico
solitamente
che
sei
un
cretino
.
Ma
quando
poi
fai
il
cretino
davvero
...
e
ti
succede
spesso
...
mi
arrabbio
.
Perché
cosa
ci
sto
a
fare
,
io
,
se
non
a
impedirti
di
essere
cretino
dicendoti
che
lo
sei
?
»
Longanesi
«
serve
la
causa
»
a
modo
suo
,
sparando
addosso
ai
suoi
compagni
di
trincea
ogni
volta
che
questi
accennano
a
sporgere
pericolosamente
la
testa
oltre
i
sacchetti
di
rena
che
li
proteggono
.
Lo
fa
da
vent
'
anni
,
infaticabilmente
,
rischiando
un
processo
per
tradimento
a
ogni
schioppettata
che
tira
,
giurandosi
che
non
lo
farà
più
«
per
questo
branco
d
'
imbecilli
che
non
ne
valgono
la
pena
»
,
e
ricominciando
l
'
indomani
al
tavolo
del
caffè
,
in
trattoria
,
con
la
penna
e
la
matita
,
dietro
la
sua
scrivania
di
editore
,
denigrando
tutto
ciò
che
ama
,
ammirando
tutto
ciò
che
detesta
,
contraddicendosi
ogni
cinque
minuti
e
riuscendo
ad
aver
sempre
ragione
.
Eccolo
lì
,
nel
suo
pittoresco
disordine
di
via
Borghetto
.
Sta
studiando
la
copertina
per
un
libro
tedesco
,
di
cui
ha
acquistato
i
diritti
.
«
Un
capolavoro
!
»
,
mi
assicura
.
«
Un
tale
capolavoro
che
,
quando
penso
che
poi
andrà
a
finire
in
mano
ai
lettori
italiani
,
quasi
quasi
mi
vien
voglia
di
rinunziare
alla
pubblicazione
!
»
Non
gli
chiedo
di
cosa
tratta
per
non
metterlo
in
imbarazzo
:
Leo
quel
«
capolavoro
»
non
lo
ha
letto
,
anche
perché
non
sa
il
tedesco
;
ne
ha
soltanto
guardato
la
rilegatura
,
la
stampa
e
le
illustrazioni
.
Di
altro
non
ha
bisogno
,
questo
curioso
mago
che
di
tutti
gli
autori
contemporanei
ha
un
'
idea
tanto
più
precisa
quanto
meno
ne
ha
sfogliato
le
opere
.
«
Bella
,
bella
!
»
,
disse
una
volta
a
Moravia
che
gli
portava
una
novella
per
il
settimanale
«
Omnibus
»
di
cui
Leo
era
direttore
.
«
Bellissima
!
»
«
Come
fai
a
dirlo
»
,
fece
Moravia
,
«
se
ancora
non
l
'
hai
letta
?
»
«
Infatti
,
se
l
'
avessi
letta
,
forse
non
lo
direi
!
»
E
,
appena
l
'
autore
fu
uscito
,
mi
gettò
il
manoscritto
,
senza
guardarlo
,
con
questo
strano
ordine
:
«
Prendi
il
primo
capoverso
e
portalo
in
fondo
al
racconto
.
E
al
suo
posto
metti
l
'
ultimo
»
.
Furibondo
,
Moravia
,
quando
vide
stampata
la
sua
novella
a
quel
modo
,
irruppe
in
redazione
armato
di
un
randello
,
e
ne
seguì
una
rissa
.
Ma
aveva
torto
perché
,
così
invertita
,
la
narrazione
era
una
delle
sue
più
belle
.
«
I
tuoi
racconti
»
,
gridava
Longanesi
,
«
sono
come
quelle
buone
stoffe
inglesi
il
cui
rovescio
vale
più
del
dritto
!
»
E
mai
di
Moravia
era
stata
detta
una
cosa
più
giusta
e
in
fondo
più
lusinghiera
.
Ora
,
per
fare
la
copertina
di
quel
libro
che
non
conosce
e
che
sarà
,
come
al
solito
,
geniale
e
pertinente
,
Leo
non
ha
,
sull
'
ingombro
tavolo
della
scrivania
,
che
un
mozzicone
di
matita
,
una
vecchia
lama
da
barba
per
temperarlo
,
una
gomma
consunta
,
un
vasetto
di
colla
da
calzolaio
e
un
paio
di
forbici
arrugginite
.
È
curioso
vedere
colui
che
è
uno
dei
tre
o
quattro
più
grandi
editori
italiani
,
impegnato
in
questa
modesta
bisogna
d
'
artigiano
,
vivente
antitesi
della
ministeriale
impersonalità
di
cui
amano
circondarsi
i
suoi
rivali
con
i
loro
uffici
razionali
,
le
loro
piramidali
gerarchie
,
gli
eserciti
di
segretari
e
dattilografe
.
Quella
di
Longanesi
,
anche
se
un
giorno
egli
arriverà
a
schiacciare
la
concorrenza
e
a
monopolizzare
il
mercato
,
non
sarà
mai
niente
di
più
che
,
la
«
bottega
»
di
un
«
maestro
»
artigiano
incapace
di
staccarsi
dal
proprio
lavoro
manuale
per
spaziare
sui
vasti
orizzonti
della
grande
impresa
industriale
.
Perché
il
sogno
di
Leo
è
un
mondo
di
«
cose
fatte
in
casa
»
,
come
le
fettuccine
che
sua
madre
gli
prepara
quando
,
tre
o
quattro
volte
l
'
anno
,
torna
a
Imola
,
che
è
in
fondo
la
vera
Italia
come
lui
la
concepisce
,
in
Milano
non
vedendone
,
con
i
suoi
grattacieli
,
con
la
sua
sete
di
«
moderno
»
,
con
le
sue
industrie
senza
materie
prime
,
che
una
paradossale
caricatura
,
contro
cui
egli
è
in
guerra
non
da
quando
ha
pubblicato
Il
destino
ha
cambiato
cavallo
,
come
credono
i
suoi
nemici
attuali
,
che
lo
accusano
di
tradimento
,
ma
da
sempre
,
da
molto
prima
che
essi
lo
invitassero
a
pranzo
ritenendolo
servitore
della
causa
.
«
Dammi
un
'
idea
!
»
,
disse
.
«
Che
idea
?
»
«
Un
'
idea
per
la
copertina
...
»
E
che
idea
vuol
da
me
quest
'
uomo
che
d
'
idee
ne
ha
sempre
date
a
tutti
noi
?
«
Perché
questo
»
,
continua
,
«
non
è
mica
un
libro
pieno
di
caccole
come
quelli
che
scrivono
i
nostri
autori
...
C
'
è
qui
dentro
tutta
l
'
Austria
,
tutta
Vienna
...
Che
città
,
Vienna
,
eh
?
»
«
Quante
volte
ci
sei
stato
?
»
«
Mai
.
Ma
l
'
altra
sera
al
cinematografo
ne
ho
visto
le
fogne
nel
Terzo
uomo
.
Quelle
son
fogne
,
caro
mio
!
...
Una
città
che
ha
quelle
fogne
lì
...
»
E
si
mette
a
descrivermela
nei
suoi
angoli
barocchi
,
nei
suoi
palazzotti
metternicchiani
,
nella
asimmetria
delle
sue
piazze
,
nella
irrazionalità
delle
sue
straducole
.
E
io
,
che
ci
sono
stato
venti
volte
,
non
saprei
rappresentarla
con
altrettanto
icastica
evidenza
.
«
Insomma
,
questa
idea
me
la
dai
o
non
me
la
dai
?
...
Ecco
,
non
ne
hai
,
come
al
solito
.
Perché
tu
di
idee
non
ne
hai
mai
.
Te
ne
rendi
conto
?
Tu
sei
uno
degli
uomini
più
poveri
di
idee
che
esistano
al
mondo
.
Passi
per
un
grande
giornalista
perché
viviamo
in
un
Paese
di
disgraziati
dove
ci
dividiamo
le
parti
così
:
io
grande
editore
,
tu
grande
giornalista
,
quell
'
altro
grande
siderurgico
,
quell
'
altro
ancora
grande
banchiere
,
eppoi
ci
teniamo
tutti
appoggiati
l
'
uno
all
'
altro
,
altrimenti
queste
grandezze
rotolano
per
terra
...
Ecco
,
vedi
,
per
esempio
:
io
giro
questa
chiavetta
e
si
fa
la
luce
.
Succede
ogni
sera
.
Eppure
,
ogni
sera
mi
sembra
un
miracolo
...
Mi
sembra
un
miracolo
che
ci
sia
qualcosa
come
l
'
elettricità
che
funziona
in
Italia
...
Io
lo
vedo
dalla
carta
igienica
...
Hai
mai
palpato
fra
le
dita
la
carta
igienica
nazionale
?
Ma
è
una
carta
che
in
un
altro
Paese
nemmeno
le
scimmie
ci
si
pulirebbero
il
sedere
...
Insomma
,
non
hai
,
tanto
per
cambiare
,
idee
,
e
me
ne
occorre
una
...
Un
'
idea
!
»
Ha
lo
stesso
gesto
di
quando
,
nel
1936
,
trovatosi
,
come
direttore
di
«
Omnibus
»
,
di
fronte
alla
notizia
dell
'
avvenuto
ingresso
di
Badoglio
in
Addis
Abeba
,
dopo
avere
per
sette
mesi
pronosticato
la
sua
imminente
inevitabile
sconfitta
,
cercava
un
'
ispirazione
per
darne
sul
suo
giornale
un
annunzio
che
,
senza
dispiacere
al
Duce
,
si
sottraesse
alla
retorica
d
'
obbligo
,
che
sembrava
inevitabile
in
quel
momento
.
Era
venuto
a
cercarla
al
bordello
,
luogo
che
egli
preferiva
per
le
sue
meditazioni
,
come
Toulouse
-
Lautrec
lo
preferiva
per
il
suo
pennello
,
e
l
'
impresa
sembrava
disperata
.
Finalmente
la
«
trovata
»
gli
venne
.
Si
precipitò
al
ministero
a
fare
incetta
di
tutti
i
telegrammi
Reuter
che
avevano
contrappuntato
di
immaginarie
disfatte
l
'
avanzata
delle
nostre
truppe
,
e
li
pubblicò
uno
di
fila
all
'
altro
:
«8
novembre
:
Quarantamila
italiani
circondati
a
Macallè
...
»
;
«7
dicembre
:
L
'
intera
armata
di
De
Bono
in
rotta
verso
l
'Asinara...»;
«27
febbraio
:
Graziani
in
fuga
con
le
sue
camicie
nere
...
»
.
E
a
chiusura
di
questa
iliade
di
guai
,
l
'
annunzio
di
Badoglio
:
«9
maggio
:
Oggi
,
alla
testa
delle
truppe
vittoriose
,
sono
entrato
in
Addis
Abeba
...
»
.
Così
Longanesi
riuscì
a
commemorare
l
'
avvenimento
senza
retorica
con
uno
sberleffo
agl
'
inglesi
per
risparmiarsi
un
'
esaltazione
di
Mussolini
,
e
assicurò
al
suo
pericolante
giornale
altri
sei
mesi
di
vita
.
Nel
temperare
la
matita
con
la
sua
vecchia
lama
da
barba
,
si
fa
un
taglio
al
polpastrello
e
se
lo
caccia
in
bocca
per
succhiarne
il
sangue
che
zampilla
.
«
Signorina
!
»
,
chiama
.
«
Ma
è
possibile
che
non
abbiamo
,
in
tutto
l
'
ufficio
,
un
temperalapis
?
»
«
Lei
mi
ha
detto
di
non
comprarlo
!
»
,
ribatte
la
ragazza
.
«
Perché
?
Quanto
costa
?
»
«
Cinquanta
lire
.
»
«
Cinquanta
lire
un
temperalapis
!
?
...
Non
lo
voglio
!
...
Anche
perché
non
funziona
...
Son
sicuro
che
non
funziona
!
...
Non
funziona
nulla
,
in
questo
Paese
...
Scriva
al
nostro
corrispondente
di
Francoforte
che
ce
ne
mandi
uno
di
là
,
tedesco
.
Anche
se
costa
un
milione
...
»
E
a
me
:
«
Hai
visto
che
temperalapis
fanno
i
tedeschi
?
Belli
,
con
la
maniglietta
e
il
cappuccio
da
usare
anche
come
custodia
,
e
le
lamette
di
ricambio
...
Io
,
cosa
sia
la
Germania
,
lo
capisco
dai
temperalapis
...
Pensa
,
se
vinceva
la
guerra
,
avevamo
tutti
dei
temperalapis
così
...
»
.
Invitati
stasera
ambedue
dai
nostri
amici
Gomez
,
mi
domando
con
angoscia
di
che
umore
sarà
Leo
che
,
quando
è
in
vena
,
monopolizza
la
conversazione
e
la
tiene
per
ore
sul
filo
dei
più
smaglianti
paradossi
;
ma
,
quando
gli
gira
male
,
paralizza
un
salotto
e
lo
raggela
.
Semisdraiato
su
un
divano
,
con
un
bicchiere
e
una
bottiglia
di
cognac
che
al
termine
della
serata
avrà
scolato
fino
all
'
ultima
goccia
,
senza
mostrare
la
minima
alterazione
,
ascolta
per
un
pezzo
,
cupo
e
imbronciato
,
il
monologo
di
un
conte
che
fa
l
'
antiquario
,
molto
intelligente
d
'
altronde
e
abbastanza
spregiudicato
per
piacere
a
Longanesi
.
Ma
Leo
sorveglia
sua
moglie
Maria
,
che
si
è
accaparrata
anch
'
essa
una
bottiglia
di
cognac
,
e
ogni
tanto
l
'
ammonisce
avventandole
una
pedata
negli
stinchi
:
«
Non
bere
,
cretinal
...
»
.
Ma
Maria
ci
ride
sopra
e
beve
ugualmente
.
«
Ecco
»
,
dice
Leo
,
«
fa
sempre
così
,
e
poi
si
sbronza
.
Deve
far
onore
alle
tradizioni
di
famiglia
perché
la
sua
nonna
,
a
Bologna
,
la
chiamavano
"
la
petroliera
"
ed
era
l
'
amante
di
Andrea
Costa
...
Disgraziata
!
...
Non
difendere
la
tua
famiglia
,
altrimenti
...
Guarda
...
Attacco
a
parlare
io
e
smetto
fra
due
giorni
...
Quel
somaro
di
tuo
padre
...
»
.
Maria
continua
a
ridere
e
a
bere
,
sebbene
«
quel
somaro
»
sia
il
pittore
Spadini
,
e
Leo
ripiomba
nel
suo
cupo
malumore
,
mentre
il
conte
riallaccia
alla
meglio
il
filo
del
discorso
,
che
è
un
discorso
serissimo
sugli
arredamenti
delle
vecchie
case
milanesi
del
Settecento
:
c
'
è
dentro
gusto
,
cultura
,
intelligenza
,
competenza
,
e
tutti
lo
ascoltiamo
con
interesse
,
quando
la
voce
di
Maria
lo
interrompe
in
tono
lugubre
:
«
Conte
,
le
si
vedono
i
polpacci
...
»
.
Il
conte
resta
un
attimo
interdetto
,
tutti
siamo
rimasti
senza
fiato
,
Leo
si
alza
e
con
un
eloquente
:
«
Lo
vedete
?
»
,
va
a
strappare
il
bicchiere
di
mano
a
Maria
.
Il
conte
per
fortuna
è
uomo
abbastanza
di
spirito
e
risponde
con
gaia
pertinenza
.
Ma
Leo
,
ormai
,
è
partito
lancia
in
resta
contro
tutti
:
«
Piantatela
con
questo
gigione
di
Toscanini
...
Non
è
che
il
Gondrand
della
musica
...
»
.
«
Il
partito
liberale
italiano
non
è
dominato
dal
pensiero
di
Benedetto
Croce
,
ma
soltanto
dalle
sue
pecore
...
»
«
Un
idiota
è
un
idiota
,
due
idioti
son
due
idioti
,
ma
centomila
idioti
sono
una
forza
storica
...
»
«
Al
posto
dello
stemma
,
sulla
bandiera
italiana
,
ci
dovrebb
'
essere
una
scritta
:
"
Ho
famiglia
"...»
Al
momento
di
uscire
,
il
conte
invita
Leo
e
me
a
pranzo
per
domani
sera
a
casa
sua
.
Poi
noi
due
ci
avviamo
verso
il
centro
seguendo
il
gruppo
degli
altri
invitati
che
ci
precede
.
Avanziamo
in
silenzio
per
dieci
minuti
,
poi
Leo
si
ferma
di
botto
e
mi
fa
:
«
Che
noia
!
»
.
«
Che
noia
cosa
?
»
,
chiedo
io
.
«
Tutto
!
...
La
vita
che
meniamo
,
la
gente
che
frequentiamo
,
le
mogli
che
abbiamo
,
il
mestiere
che
facciamo
...
»
«
E
quale
altro
vorresti
fare
?
»
Leo
mi
afferra
il
braccio
,
mi
si
stringe
addosso
e
con
voce
sommessa
e
concitata
:
«
Be
'
,
lo
vuoi
sapere
?
»
,
dice
.
«
Io
vorrei
essere
un
generale
...
Un
generale
alto
un
metro
e
novanta
,
col
monocolo
,
cattivissimo
,
e
dirigere
battaglie
dalla
mattina
alla
sera
facendoci
morire
un
sacco
di
gente
,
compresi
i
miei
soldati
.
E
se
questi
soldati
,
poi
,
fossero
italiani
,
vorrei
che
ci
morissero
tutti
,
li
spingerei
sotto
le
cannonate
a
calci
nel
sedere
...
»
Si
arresta
di
botto
vedendo
Maria
,
davanti
a
noi
,
aprire
la
borsetta
,
cavarne
cento
lire
e
consegnarle
in
elemosina
a
un
mendicante
.
Si
avventa
su
di
lei
,
le
strappa
il
portafogli
di
mano
senza
dir
nulla
,
e
torna
verso
di
me
.
Poi
,
passando
a
sua
volta
davanti
al
medesimo
mendicante
,
si
fruga
macchinalmente
in
tasca
,
ne
estrae
altre
cento
lire
e
a
sua
volta
le
consegna
al
disgraziato
.
«
Come
si
chiama
quel
conte
di
poco
fa
?
»
,
mi
chiede
a
un
tratto
.
Glielo
dico
.
«
Accidenti
!
»
,
fa
lui
.
«
Che
bel
nome
!
...
È
simpatico
,
anche
!
...
Mi
è
caduto
alla
fine
,
quando
ci
ha
invitato
a
pranzo
,
perché
,
francamente
,
se
io
portassi
un
nome
e
un
titolo
come
il
suo
,
la
gente
come
te
e
come
me
in
casa
mia
non
la
farei
entrare
nemmeno
dalla
porta
di
cucina
.
A
degl
'
intellettuali
un
aristocratico
vero
non
dovrebbe
offrire
il
pollo
arrosto
.
Bastano
gli
avanzi
...
»
.
StampaQuotidiana ,
La
frode
del
4
per
mille
è
stata
bloccata
:
ma
,
frattanto
,
ha
riportato
l
'
attenzione
del
pubblico
sul
problema
del
finanziamento
ai
partiti
.
I
contribuenti
non
sembrano
entusiasti
di
devolvere
una
parte
di
quanto
versato
in
imposte
a
questo
scopo
(
gestito
con
criteri
automatici
)
,
anche
se
non
ci
rimettono
nulla
.
Ancor
meno
entusiasti
forse
sarebbero
,
se
si
rendessero
conto
che
c
'
è
un
'
altra
via
,
più
subdola
,
attraverso
cui
finanziano
i
partiti
:
la
retribuzione
ai
parlamentari
di
ogni
ordine
e
grado
.
Di
fatto
,
consiglieri
regionali
,
deputati
e
senatori
,
parlamentari
europei
sono
pagati
dall
'
erario
,
ma
svolgono
per
i
partiti
compiti
che
costerebbero
moltissimo
se
dovessero
essere
retribuiti
a
professionisti
ad
hoc
.
Un
po
'
di
lavoro
dei
membri
dei
corpi
elettivi
è
svolto
nelle
commissioni
(
a
parte
chi
lavora
a
tempo
pieno
per
il
governo
o
la
giunta
)
;
ma
l
'
attività
più
intensa
è
svolta
a
favore
del
partito
,
e
vale
assai
più
della
modesta
percentuale
sugli
emolumenti
,
che
l
'
eletto
versa
in
denaro
.
Difficilmente
uno
impegna
una
sua
specifica
competenza
nell
'
elaborare
le
leggi
:
quasi
sempre
si
limita
a
votarle
,
seguendo
le
indicazioni
del
capogruppo
.
Quando
non
lo
fa
,
è
perché
c
'
è
stato
un
equivoco
:
o
,
peggio
,
perché
è
indisciplinato
e
segue
le
indicazioni
di
qualcun
altro
.
Sotto
questo
riguardo
,
la
pratica
dei
"
pianisti
"
si
potrebbe
generalizzare
:
ad
ogni
elezione
basterebbe
assegnare
a
ciascun
partito
un
peso
proporzionale
ai
voti
ricevuti
,
e
poi
far
premere
il
tasto
da
un
solo
incaricato
.
L
'
eloquenza
parlamentare
ne
soffrirebbe
,
ma
si
otterrebbe
un
'
economia
e
si
avrebbe
,
fra
l
'
altro
,
il
vantaggio
di
evitare
ribaltoni
.
I
partiti
,
tuttavia
,
ci
perderebbero
:
verrebbe
loro
mancare
la
collaborazione
di
persone
preziose
per
l
'
elaborazione
della
linea
politica
.
Infatti
,
mentre
le
aule
sono
spesso
deserte
o
quasi
,
i
parlamentari
si
lamentano
di
condurre
una
vita
faticosa
,
impegnati
dal
mattino
alla
sera
in
riunioni
interminabili
,
al
cui
risultato
non
hanno
interesse
.
Peggio
:
se
lo
hanno
,
non
riescono
a
farlo
prevalere
.
Per
questo
la
maggioranza
di
loro
-
di
cui
il
pubblico
non
conosce
neppure
il
nome
-
viene
qualificata
con
la
qualifica
di
"
peones
"
.
Ma
lo
Stato
spende
per
loro
e
per
chi
li
aiuta
somme
ingenti
,
e
dà
l
'
impressione
che
siano
dei
privilegiati
sociali
.
Con
ciò
non
voglio
esprimere
alcun
giudizio
morale
o
tecnico
negativo
:
dico
soltanto
che
buona
parte
di
ciò
che
lo
Stato
o
le
regioni
spendono
per
i
parlamentari
va
considerata
come
una
forma
di
finanziamento
ai
partiti
.
Del
resto
,
in
certo
senso
dovuta
,
se
la
politica
si
elabora
in
sede
di
partito
e
non
di
assemblea
.
I
propositi
di
ridurre
il
numero
di
parlamentari
sono
accolti
,
perciò
,
con
sfavore
,
non
solo
da
chi
ambisce
a
quelle
funzioni
,
ma
soprattutto
da
chi
ha
la
responsabilità
di
un
partito
e
si
domanda
(
con
angoscia
crescente
dopo
tangentopoli
)
con
quali
mezzi
e
con
quali
aiuti
vi
farà
fronte
.
L
'
obiettivo
dei
partiti
tocca
il
tema
cruciale
del
loro
rapporto
con
la
democrazia
,
la
cui
degenerazione
è
espressa
con
una
crasi
linguisticamente
scorretta
,
ma
appunto
perciò
appropriata
:
partitocrazia
.
Se
la
politica
è
elaborata
all
'
interno
dei
partiti
,
anziché
nelle
sue
sedi
istituzionali
,
è
naturale
che
i
partiti
la
trattino
come
cosa
loro
e
pretendano
di
esserne
pagati
.
Però
,
visto
che
la
Costituzione
tratta
i
partiti
come
enti
privati
,
meglio
sarebbe
se
li
gestissero
i
privati
con
fondi
privati
,
e
con
quella
"
trasparenza
"
che
è
bene
tener
ferma
,
ma
su
cui
è
il
caso
di
non
far
troppo
conto
,
viste
le
stravaganze
cui
dà
luogo
(
pur
in
società
così
diverse
tra
loro
come
l
'
americana
e
la
russa
)
quando
la
si
pretende
perfetta
.
Basta
che
non
si
esageri
:
ossia
che
gli
eletti
non
credano
che
i
loro
doveri
pubblici
siano
sostituibili
del
tutto
con
compiti
privati
.
Ora
,
tra
sei
mesi
,
i
partiti
avranno
una
ghiotta
occasione
per
concorrere
a
questa
forma
di
finanziamento
:
le
elezioni
europee
.
Strasburgo
è
meno
assorbente
di
Roma
,
e
non
ha
la
facoltà
neppur
formale
di
prendere
decisioni
operative
.
Perciò
è
giusto
che
i
parlamentari
europei
lavorino
più
degli
altri
per
il
partito
,
senza
il
quale
,
tra
l
'
altro
,
avrebbero
molta
più
difficoltà
a
farsi
eleggere
.
Ma
appunto
perciò
è
convenienza
dei
partiti
scegliere
candidati
affidabili
e
forniti
di
prestigio
.
Evitando
,
inoltre
,
di
accollare
più
mansioni
parlamentari
a
uno
stesso
soggetto
:
sia
perché
il
titolare
di
più
mandati
contemporanei
non
avrebbe
modo
di
dedicarsi
al
partito
senza
trascurare
del
tutto
i
suoi
doveri
pubblici
,
sia
perché
,
in
quel
caso
,
in
luogo
di
due
parlamentari
da
utilizzare
il
partito
ne
avrebbe
uno
solo
.
StampaQuotidiana ,
Blow
up
,
presentato
stasera
al
festival
di
Cannes
sotto
bandiera
inglese
,
e
accolto
con
grandi
applausi
,
non
è
il
miglior
film
di
Antonioni
,
e
Dio
vi
guardi
dal
dar
retta
a
chi
lo
considera
il
più
bel
film
di
tutti
i
tempi
.
Ma
c
'
interessa
come
un
forte
contravveleno
espresso
dal
seno
stesso
della
civiltà
dell
'
immagine
.
L
'
idea
-
guida
del
film
,
se
si
possono
chiedere
idee
ad
Antonioni
,
anziché
sensazioni
e
atmosfere
,
ha
qualche
secolo
:
le
cose
che
vediamo
con
gli
occhi
sono
davvero
tutta
la
realtà
,
oppure
ciò
che
colpisce
il
nervo
ottico
(
e
,
per
delega
,
l
'
obiettivo
fotografico
)
è
soltanto
un
aspetto
del
reale
?
R
chiaro
che
Antonioni
non
ha
la
presunzione
di
rispondere
a
questi
antichi
interrogativi
.
Blow
up
si
contenta
di
dirci
che
oggi
essi
si
ripresentano
con
urgenza
perché
c
'
è
tutta
una
zona
della
società
che
tende
a
identificare
la
realtà
col
segno
concreto
da
essa
lasciato
;
e
fa
l
'
esempio
di
un
delitto
,
che
può
anche
sembrare
non
avvenuto
se
non
restano
prove
.
Chi
credesse
d
'
esserne
stato
testimone
involontario
,
e
d
'
averlo
fotografato
,
potrebbe
convincersi
che
è
stata
un
'
illusione
ottica
,
se
poi
gli
fossero
sottratte
le
prove
fotografiche
e
scomparisse
il
corpo
del
reato
.
Costui
,
allora
,
sarebbe
il
simbolo
dell
'
uomo
contemporaneo
,
che
di
fronte
alla
difficoltà
di
conoscere
il
vero
filigranato
dentro
il
visibile
accoglie
il
gioco
della
vita
come
una
finzione
e
annulla
nell
'
automatismo
dei
gesti
(
come
il
fotografo
negli
scatti
frenetici
delle
sue
macchine
)
l
'
angoscia
per
l
'
inconoscibile
problematicità
del
reale
.
Per
dare
evidenza
a
una
metafora
in
cui
si
esprime
,
ambiguamente
,
lo
sdegno
e
l
'
attrazione
che
Antonioni
prova
nei
confronti
della
civiltà
moderna
,
Blow
up
è
ambientato
fra
quei
fotografi
alla
moda
che
con
gli
isterici
clic
dei
loro
obiettivi
credono
di
sopperire
alla
propria
passività
sentimentale
,
e
in
quell
'
happening
che
è
la
Swinging
London
,
la
Londra
dei
giovani
che
tentano
di
vincere
la
noia
con
la
marijuana
e
gli
allucinogeni
,
scatenati
nei
balli
,
nei
riti
pop
e
op
,
anime
vuote
e
sessi
interscambiabili
.
Thomas
,
il
protagonista
,
è
appunto
uno
di
loro
:
un
fotografo
di
successo
,
specializzato
in
istantanee
di
cronaca
e
in
ritratti
di
cover
-
girls
,
sempre
affamato
di
soldi
,
benché
possa
già
permettersi
la
Rolls
Royce
,
e
tanto
concitato
nel
lavoro
,
di
modi
bruschi
con
le
sue
modelle
,
quanto
privo
d
'
autentica
energia
spirituale
.
Gli
accade
,
seguendo
una
coppia
in
un
parco
,
di
fotografare
un
abbraccio
.
La
donna
se
ne
accorge
,
e
più
tardi
lo
rincorre
nello
studio
implorandolo
di
darle
il
rotolino
:
offre
se
stessa
,
pur
di
riaverlo
.
Thomas
finge
di
accettare
;
le
consegna
un
rotolino
simile
a
quello
incriminato
,
e
si
disporrebbe
,
senza
entusiasmo
,
a
godersi
la
ragazza
,
se
in
quel
momento
non
suonassero
alla
porta
:
è
in
arrivo
un
'
elica
di
aereo
,
che
"
Thomas
ha
acquistato
da
un
antiquario
per
dare
un
tocco
bizzarro
all
'
arredamento
del
suo
studio
.
Partita
la
donna
,
ingrandisce
le
fotografie
prese
al
parco
(
blow
up
vuol
dire
appunto
ingrandimento
)
,
e
s
'
accorge
che
quanto
non
avevano
visto
i
suoi
occhi
è
stato
registrato
dalla
macchina
:
sulla
pellicola
,
ingrandendo
progressivamente
i
particolari
,
appaiono
infatti
un
volto
nascosto
nei
cespugli
,
un
'
arma
e
un
corpo
riverso
.
Tutto
fa
pensare
che
la
donna
abbia
attirato
la
vittima
in
un
trabocchetto
.
Thomas
comincia
a
chiedersi
cosa
fare
quando
arrivano
due
grulline
che
già
in
mattinata
gli
avevano
bussato
alla
porta
,
nella
speranza
di
essere
assunte
come
modelle
.
In
altri
tempi
sarebbero
state
due
esempi
di
adolescenza
traviata
:
ora
rappresentano
la
gioventù
londinese
attratta
dai
facili
successi
.
Scherzando
,
si
spogliano
a
vicenda
:
è
una
distrazione
accolta
da
Thomas
con
allegria
,
in
un
fracasso
che
cancella
ogni
piacere
erotico
.
E
dopo
l
'
uso
le
caccia
:
il
pensiero
dominante
lo
richiama
verso
il
parco
.
Il
sospetto
era
fondato
:
un
cadavere
è
ancora
sotto
l
'
albero
.
Stordito
,
Thomas
vorrebbe
chiedere
consiglio
a
un
amico
pittore
,
ma
questi
è
occupato
in
intime
faccende
.
Tornato
a
casa
,
nuova
sorpresa
:
tutte
le
foto
gli
sono
state
rubate
,
meno
una
,
la
quale
però
,
isolata
dalle
altre
,
più
che
costituire
una
prova
assomiglia
a
una
pittura
astratta
.
Allora
scende
per
strada
.
Intravede
la
donna
del
delitto
,
e
rincorrendola
s
'
intrufola
in
un
night
dove
un
chitarrista
beat
calpesta
il
proprio
strumento
e
ne
distribuisce
gli
avanzi
alla
platea
urlante
.
La
donna
è
scomparsa
.
In
cerca
d
'
un
amico
,
Thomas
arriva
ad
un
cocktail
,
che
in
altri
tempi
si
sarebbe
detto
un
'
orgia
di
viziosi
,
ed
ora
rappresenta
la
«
dolce
vita
»
londinese
.
All
'
alba
,
torna
nel
parco
per
fotografare
il
cadavere
,
ma
questo
è
scomparso
.
Privo
ormai
d
'
ogni
prova
,
Thomas
può
dubitare
d
'
essere
rimasto
vittima
,
lui
stesso
,
di
un
'
allucinazione
.
Quando
arriva
un
gruppo
di
giovani
mascherati
da
clowns
,
che
fingono
,
senza
palla
e
racchette
,
un
incontro
di
tennis
,
sta
al
gioco
:
il
dinamismo
della
partita
mimata
forse
vince
ogni
dubbio
dell
'
anima
o
del
pensiero
.
A
rigore
,
il
film
non
dice
che
la
scena
finale
sia
la
presa
di
coscienza
della
necessità
della
finzione
,
con
relativo
auto
-
commiserarsi
:
Blow
up
,
più
d
'
ogni
altro
film
di
Antonioni
,
non
contiene
una
tesi
.
C
'
è
chi
interpreta
Thomas
come
un
esempio
virtuoso
di
perenne
disponibilità
all
'
azione
,
e
c
'
è
chi
lo
considera
,
per
questo
,
un
emblema
della
solitudine
cui
può
condurre
il
pallore
dei
sentimenti
.
Un
fatto
è
certo
:
che
Thomas
,
mostrando
totale
sfiducia
nell
'
ordine
civile
in
cui
vive
,
non
si
rivolge
subito
alla
polizia
,
né
alla
fine
del
film
ha
più
motivi
di
pace
interiore
di
quanti
ne
avesse
all
'
inizio
:
semmai
ne
esce
desolato
,
versione
maschile
di
tante
infelici
eroine
di
Antonioni
.
È
per
questa
strada
che
forse
si
può
cogliere
l
'
antica
malinconia
di
Antonioni
,
il
quale
ha
ormai
superato
anche
l
'
angoscia
,
toccando
la
suprema
solitudine
.
Ma
quando
impareremo
a
smettere
di
cercare
,
in
Antonioni
,
la
morale
della
favola
?
Teniamoci
al
film
.
Un
giudizio
sia
pur
frettoloso
dovrebbe
cominciare
col
rilievo
che
Antonioni
,
per
rappresentare
la
Londra
di
oggi
,
ha
avviato
il
suo
Thomas
su
un
itinerario
molto
simile
a
quello
che
Fellini
fece
compiere
al
protagonista
della
Dolce
vita
per
scoprire
la
Roma
di
ieri
;
né
con
frutti
molto
più
nuovi
di
certi
'
documentari
sociologici
.
E
questa
non
è
l
'
unica
eco
di
Fellini
che
dispiace
in
Blow
up
:
è
difficile
che
in
un
film
possano
apparire
ancora
dei
clowns
senza
che
si
pensi
almeno
ad
Otto
e
mezzo
.
La
parentela
,
è
ovvio
,
si
ferma
qui
,
ma
non
è
senza
significato
che
Antonioni
difetti
d
'
originalità
nella
struttura
narrativa
quando
poi
gli
si
accompagna
quella
rappresentazione
piuttosto
convenzionale
del
night
e
del
cocktail
.
Tipico
di
Antonioni
è
invece
lo
sforzo
di
puntare
il
grosso
della
scommessa
sul
personaggio
di
centro
.
È
da
dire
che
Thomas
solo
talvolta
è
a
fuoco
.
Descritto
con
tinte
efficaci
finché
è
in
movimento
,
tutto
scatti
nevrotici
(
in
una
bella
scena
iniziale
esce
stremato
da
una
serie
di
convulse
riprese
fotografiche
:
il
suo
surrogato
dell
'
amplesso
)
,
finché
comanda
a
bacchetta
le
sue
modelle
e
si
sfrena
nello
scherzo
,
Thomas
poi
s
'
annebbia
quando
comincia
a
scervellarsi
sulle
foto
del
delitto
,
e
passa
ore
a
contemplarle
,
a
confrontarle
,
ad
appuntarle
sulla
parete
.
Non
si
sa
bene
cosa
gli
passi
per
la
mente
,
di
che
ordine
siano
le
sue
sensazioni
.
È
l
'
oggettivazione
di
un
torpore
che
se
nella
prima
parte
è
interrotto
dalla
precipite
parentesi
dei
giochi
amorosi
alla
lunga
si
riflette
nel
film
,
guidato
da
un
ritmo
lento
che
affloscia
il
suspense
.
Passato
dal
cinema
intellettuale
al
thriller
,
Anto
,
nioni
sembra
aver
portato
con
sé
il
vizio
dei
tempi
lunghi
,
dei
silenzi
poco
espressivi
,
il
rifiuto
di
quel
gusto
per
l
'
ellissi
in
cui
invece
si
esprime
il
meglio
del
cinema
moderno
.
Ma
all
'
interno
d
'
una
cornice
un
po
'
annosa
e
opaca
,
Blow
up
ha
dei
gruppi
di
sequenze
riuscite
:
sono
,
all
'
inizio
,
tutte
quelle
del
rituale
cui
sono
sottoposte
le
modelle
fotografiche
;
le
visite
al
negozio
dell
'
antiquario
;
lo
svogliato
rapporto
con
la
donna
venuta
a
riprendere
il
rotolino
;
la
liturgia
della
camera
oscura
;
la
zuffa
giocosa
con
le
ragazzine
(
una
data
nella
storia
del
cinema
:
un
nudo
femminile
non
depilato
,
chissà
se
ce
n
'
era
bisogno
)
e
l
'
enigmatico
finale
,
sul
quale
il
pubblico
si
scervellerà
:
tutte
scene
che
confermano
certe
bravure
di
Antonioni
,
ma
anche
,
inserite
nel
tessuto
del
film
,
la
sua
difficoltà
di
sciogliere
in
fluente
,
spontaneo
racconto
acute
intuizioni
.
Ispirato
a
una
novella
dell
'
argentino
Cortazar
,
il
film
ha
del
resto
qualche
imbarazzo
già
nella
sceneggiatura
,
di
Antonioni
e
Tonino
Guerra
;
più
volte
si
ha
la
sensazione
che
certi
personaggi
siano
stati
inventati
per
mettere
sangue
in
una
materia
anemica
anziché
per
vera
necessità
narrativa
.
Considerando
la
vivace
scenografia
dello
studio
,
i
bei
colori
di
Di
Palma
,
le
eleganti
toilettes
delle
modelle
,
i
globi
oculari
dell
'
interprete
(
nuovo
arrivato
)
David
Hemmings
,
veri
obiettivi
fotografici
protesi
sul
mondo
,
e
la
partecipazione
,
però
non
determinante
,
di
Vanessa
Redgrave
,
di
Sarah
Miles
e
dell
'
indossatrice
Veruschka
,
il
film
dà
nell
'
insieme
un
'
impressione
di
languore
.
Come
di
un
fiore
che
non
abbia
avuto
la
forza
di
aprirsi
,
e
tuttavia
serbi
un
'
ombra
di
profumo
.
StampaQuotidiana ,
Wim
Wenders
compie
nel
1995
cinquant
'
anni
.
S
'
è
sposato
nel
1993
per
la
terza
volta
con
Donata
Schmidt
,
assistente
operatore
che
in
Lisbon
Story
ha
fatto
la
segretaria
di
edizione
,
ragazza
cattolica
religiosissima
.
Va
diventando
sempre
più
religioso
.
La
bellezza
,
le
emozioni
,
lo
spaesamento
e
la
malinconia
dei
suoi
film
,
il
suo
stile
cristallizzato
e
seducente
,
la
sua
capacità
di
fondere
romanticismo
tedesco
e
road
movie
americano
,
di
mescolare
poesia
,
umorismo
e
profondità
,
di
guardare
il
mondo
con
il
distacco
dell
'
investigatore
e
l
'
avidità
dell
'
innamorato
,
gli
hanno
conquistato
un
gran
pubblico
internazionale
soprattutto
di
ragazzi
.
Adesso
è
un
poco
cambiato
:
resta
uno
dei
rari
registi
che
rifletta
e
teorizzi
sul
proprio
mestiere
e
sull
'
arte
del
vedere
,
sulle
immagini
e
su
come
esse
vengano
create
e
consumate
nelle
società
contemporanee
,
ma
questi
pensieri
assumono
spesso
il
tono
didattico
,
ansioso
e
sentenzioso
,
d
'
una
crisi
espressiva
.
A
questo
punto
il
produttore
portoghese
Paulo
Branco
propone
a
Wenders
un
film
su
Lisbona
,
finanziato
anche
dall
'
amministrazione
della
città
meravigliosa
.
Lui
accetta
.
Anziché
un
documentario
,
fa
una
parabola
autoindulgente
di
quasi
due
ore
,
in
parte
bella
,
in
parte
lambiccata
,
sfilacciata
e
pesante
:
sulla
situazione
del
cinema
che
compie
cent
'
anni
e
sulla
nostalgia
per
la
cine
-
innocenza
perduta
;
sullo
stato
delle
immagini
tanto
amate
ma
adesso
tanto
spesso
prostituite
e
orribili
;
sui
generi
della
narrazione
per
immagini
(
road
movie
,
documentario
,
poliziesco
,
musicale
,
farsesco
,
diaristico
)
e
sui
suoi
linguaggi
(
muto
,
sonoro
,
bianco
e
nero
,
colore
,
video
)
;
sulle
nuove
generazioni
e
sull
'
elettronica
che
trasforma
anche
i
bambini
in
cineasti
.
Non
è
un
film
difficile
:
si
può
conoscerlo
meglio
anche
leggendone
la
sceneggiatura
pubblicata
da
Ubulibri
a
cura
di
Mario
Sesti
.
I
concetti
danno
corpo
a
una
storia
.
Richiamato
con
urgenza
dall
'
amico
regista
Friedrich
Monroe
(
stesso
nome
e
stesso
interprete
,
Patrick
Bauchau
,
di
Lo
stato
delle
cose
)
,
il
tecnico
del
suono
Philip
Winter
(
stesso
nome
e
stesso
interprete
,
Rúdiger
Vogler
,
di
Fino
alla
fine
del
mondo
e
Così
lontano
,
così
vicino
)
si
mette
in
macchina
,
arriva
a
Lisbona
;
l
'
amico
è
scomparso
,
restano
la
città
bellissima
e
i
suoi
suoni
da
vedere
e
registrare
,
gangsters
e
bambini
da
incontrare
,
una
cantante
affascinante
da
amare
sinché
il
regista
non
riappare
.
Citazioni
di
Pessoa
,
epifania
aggraziata
e
spiritosa
di
Manoel
de
Oliveira
.
Lisbon
Story
si
apre
e
si
chiude
con
un
saluto
a
Fellini
che
se
n
'
è
andato
,
«
Ciao
Federico
»
:
può
essere
l
'
espressione
d
'
un
rimpianto
o
un
'
allusione
al
protofilm
di
crisi
d
'
un
regista
,
8
e
1/2
.
Speriamo
che
non
sia
un
addio
al
cinema
.
StampaQuotidiana ,
Marco
Bellocchio
,
l
'
autore
dei
Pugni
in
tasca
,
l
'
enfant
terrible
del
cinema
italiano
,
e
anche
l
'
autore
più
giovane
(
anni
28
)
venuto
quest
'
anno
alla
ribalta
di
Venezia
,
spara
,
con
La
Cina
è
vicina
,
un
'
altra
raffica
a
raggera
.
I
bersagli
coprono
un
ampio
semicerchio
della
vita
italiana
:
i
socialisti
,
i
preti
,
la
nobiltà
di
provincia
,
e
anche
quei
gruppi
di
giovanissimi
infatuati
di
Mao
.
Sicché
va
subito
detto
che
il
film
,
all
'
inverso
del
titolo
,
preso
in
prestito
da
un
libro
di
Enrico
Emanuelli
,
non
è
una
minaccia
o
una
speranza
,
ma
soltanto
un
pretesto
per
meglio
collocare
il
racconto
ai
nostri
giorni
.
Non
tocca
a
noi
dire
se
la
realtà
giustifica
tanti
sarcasmi
;
forse
essa
esprime
un
processo
di
maturazione
che
merita
soltanto
il
disprezzo
di
chi
si
arrocchi
su
astratte
posizioni
di
principio
.
Ed
è
probabile
che
coinvolgere
nell
'
ironia
,
insieme
ai
preti
e
alla
piccola
nobiltà
di
provincia
,
anche
la
classe
proletaria
e
i
giovanissimi
infatuati
di
Mao
derivi
appunto
da
un
anarchico
moralismo
vicino
al
qualunquismo
di
chi
nasconde
nella
nausea
della
politica
la
paura
della
storia
.
Tuttavia
resta
il
fatto
che
Bellocchio
,
come
narratore
satirico
,
ha
mano
sicura
e
unghia
arrotata
.
Egli
sa
metter
su
uno
spettacolo
che
sebbene
irriti
un
poco
per
certo
suo
tono
goliardico
,
spesso
diverte
per
la
vena
umoristica
e
la
vivacità
del
racconto
.
Siamo
a
Imola
.
Una
famiglia
patrizia
(
conserva
sottovetro
la
scarpa
di
un
papa
)
è
composta
di
due
fratelli
e
una
sorella
:
il
maggiore
,
Vittorio
,
professore
di
liceo
,
iscritto
al
partito
socialista
;
Elena
,
sui
trent
'
anni
,
che
amministra
il
patrimonio
e
Camillo
,
convittore
in
un
collegio
di
preti
,
il
«
cinese
»
che
in
chiesa
serve
messa
.
Vittorio
ha
una
segretaria
,
Giovanna
,
fidanzata
con
Carlo
,
un
giovane
esponente
della
sezione
socialista
,
ambedue
d
'
estrazione
proletaria
.
Si
avvicinano
le
elezioni
comunali
,
e
il
partito
,
anziché
a
Carlo
,
offre
a
Vittorio
di
essere
candidato
.
Questi
accetta
,
e
chiama
Carlo
in
casa
,
perché
lo
assista
nella
campagna
elettorale
.
Mentre
Camillo
è
disgustato
che
il
fratello
maggiore
si
sia
messo
dalla
parte
del
governo
,
Giovanna
prima
piange
la
sfortuna
del
fidanzato
,
poi
ne
lamenta
l
'
arrivismo
e
il
servilismo
.
Carlo
invece
ha
compreso
che
affiancarsi
al
compagno
conte
è
un
modo
per
spartire
la
torta
,
ripetendo
su
scala
familiare
il
processo
realizzatosi
al
vertice
del
partito
.
Si
butta
su
Elena
,
già
avvezza
a
facili
amori
,
e
senza
fatica
la
conquista
.
Per
rivalsa
,
Giovanna
si
dà
a
Vittorio
,
che
intanto
ha
cominciato
a
far
comizi
e
a
sollecitare
voti
di
preferenza
da
parenti
.
Quando
Elena
aspetta
un
bambino
,
va
su
tutte
le
furie
:
essa
ha
capito
che
Carlo
,
pensando
ai
soldi
,
vuoi
costringerla
a
sposarlo
,
e
perciò
cerca
d
'
interrompere
la
maternità
.
Ma
Carlo
,
con
l
'
aiuto
di
Giovanna
,
manda
all
'
aria
il
progetto
della
donna
.
E
Giovanna
,
in
cambio
,
ottiene
a
sua
volta
d
'
avere
un
figlio
da
lui
,
che
Vittorio
dovrà
prendere
per
proprio
.
Il
groviglio
si
scioglie
con
un
doppio
matrimonio
:
fra
Carlo
ed
Elena
e
Giovanna
e
Vittorio
.
I
«
signori
»
sono
stati
messi
in
trappola
,
e
i
due
figli
del
popolo
hanno
fatto
un
balzo
avanti
verso
il
benessere
borghese
.
L
'
unico
rimasto
estraneo
al
mercato
è
Camillo
,
che
continuando
a
carezzare
i
sogni
rivoluzionari
è
andato
di
notte
a
scrivere
sui
muri
che
la
Cina
è
vicina
,
ha
messo
una
bomba
nella
sede
socialista
,
e
sguinzagliato
cani
e
gatti
a
un
comizio
del
fratello
maggiore
.
Che
egli
non
rappresenti
un
'
alternativa
concreta
alla
politica
del
.
centro
-
sinistra
,
ma
soltanto
uno
stadio
infantile
dell
'
ideologia
progressista
,
il
film
l
'
ha
detto
fin
dall
'
inizio
,
quando
il
collegiale
teorizzava
la
possibilità
di
certe
esperienze
erotiche
su
una
ragazza
-
cavia
.
Debole
,
e
quasi
inesistente
,
sul
piano
della
polemica
politica
,
perché
la
tesi
di
Bellocchio
rivela
un
moralismo
astratto
,
se
non
il
qualunquismo
delle
estreme
,
La
Cina
è
vicina
è
un
film
nato
sulla
scia
di
quelle
satire
di
costume
,
esercitate
soprattutto
nei
confronti
della
vita
di
provincia
,
che
prima
in
America
e
poi
con
Pietro
Germi
hanno
divertito
il
pubblico
cospargendo
lo
schermo
di
vetriolo
.
Pur
confermando
la
vena
umoristica
che
,
maturata
in
sarcasmo
,
serpeggiava
nei
Pugni
in
tasca
,
Bellocchio
ha
messo
molta
acqua
nel
suo
vino
.
Integratosi
nell
'
industria
cinematografica
,
tenendo
d
'
occhio
realisticamente
il
mercato
,
e
impegnandosi
a
consegnare
un
prodotto
che
non
avrebbe
avuto
noie
con
la
censura
,
egli
si
è
limitato
,
col
secondo
film
,
a
mobilitare
la
propria
vena
beffarda
per
una
pittura
impietosa
di
certe
zone
tipiche
della
società
italiana
.
Ha
raggiunto
lo
scopo
,
grazie
alla
vivacità
del
suo
ingegno
e
del
suo
temperamento
di
narratore
.
Se
La
Cina
è
vicina
,
infatti
,
delude
come
opera
di
provocazione
intellettuale
,
si
raccomanda
a
un
pubblico
che
voglia
soprattutto
divertirsi
.
Meno
docile
di
Germi
,
ma
ormai
più
graffiante
,
Bellocchio
allinea
e
incastra
caratteri
e
situazioni
con
uno
spirito
derisorio
che
manda
in
brodo
di
giuggiole
chi
gode
nel
sentir
parlare
male
del
prossimo
.
Qui
nessuno
si
salva
.
Vittorio
è
ben
dipinto
come
un
ambizioso
pavido
e
apprensivo
;
Elena
come
una
donna
di
sensi
caldi
,
autoritaria
e
altezzosa
;
Camillo
come
un
inibito
che
ha
trasferito
nell
'
adorazione
di
Mao
la
spinta
religiosa
impostagli
in
collegio
;
Carlo
e
Giovanna
come
due
arrampicatori
disposti
a
tutto
.
Che
Bellocchio
sappia
strappare
non
più
soltanto
acidi
sorrisi
ma
risate
di
cuore
,
inserendo
persino
elementi
da
pochade
nel
suo
universo
grottesco
,
il
film
mostra
spesso
.
Basta
citare
la
riunione
della
microcellula
maoista
in
cucina
,
certi
«
pulcini
di
Maria
»
che
vanno
a
cantare
inni
religiosi
al
capezzale
di
un
vecchio
prete
soltanto
perché
sperano
di
ricevere
caramelle
e
sigarette
,
il
primo
comizio
di
Vittorio
,
in
una
piazza
di
paese
semideserta
(
finirà
con
l
'
auto
fracassata
)
,
le
sue
avances
a
Giovanna
perché
gli
apra
le
braccia
(
arriva
persino
a
offrirle
in
regalo
un
barometro
)
,
la
paura
dei
socialisti
alla
notizia
che
i
«
cinesi
»
stanno
per
far
saltare
la
sede
,
il
chirurgo
che
doveva
operare
Elena
,
lo
scompiglio
provocato
dai
cani
-
lupo
sciolti
da
Camillo
mentre
Vittorio
espone
ai
compagni
la
propria
autodifesa
,
e
quel
bel
finale
in
cui
le
due
donne
fanno
insieme
esercizi
di
preparazione
al
parto
.
Tutte
scene
in
cui
si
apprezza
la
sicurezza
del
ritmo
e
l
'
essenzialità
d
'
uno
stile
che
rabbiosamente
mira
sempre
al
sodo
.
Virtù
che
Bellocchio
non
ha
perso
,
e
ora
è
messa
al
servizio
di
un
umorismo
tagliente
,
di
un
razionalismo
ai
limiti
del
cinismo
che
esclude
qualsiasi
sentimentalismo
.
Come
è
un
film
politico
soltanto
nella
cornice
,
così
La
Cina
è
vicina
non
è
un
film
poetico
.
Se
mai
didascalico
,
nel
suo
rifiuto
d
'
ogni
ghirigoro
.
Ma
la
secchezza
di
questo
nuovo
ritratto
dell
'
Italia
dialettale
,
interpretato
con
molto
impegno
da
Glauco
Mauri
,
Elda
Tattoli
,
Paolo
Graziosi
,
Daniela
Surina
e
Pierluigi
Aprà
,
dà
talvolta
al
film
la
lucidità
d
'
una
lama
.
Non
sono
molti
i
registi
che
mentre
feriscono
fanno
ridere
le
loro
vittime
.
Si
capisce
perché
Bellocchio
,
che
considera
Luchino
Visconti
il
regista
più
senile
di
tutta
la
vecchia
guardia
,
veneri
Buñuel
e
la
sua
vena
di
sadismo
.
Ma
è
per
lo
meno
curioso
che
mentre
il
cinema
nuovo
va
verso
forme
di
racconto
sempre
più
aperte
,
Bellocchio
si
chiuda
in
rigide
strutture
.
Diciamo
che
pensa
allo
spettatore
,
e
vuole
andare
per
le
corte
.
StampaQuotidiana ,
Prêt
-
à
-
porter
,
scritto
,
prodotto
e
diretto
da
Robert
Altman
,
non
è
bello
né
brutto
:
è
glamour
.
È
divertente
.
È
il
sogno
dei
Vip
-
maniaci
e
dei
giornali
fatto
film
.
È
due
ore
e
dieci
minuti
di
sfilate
di
moda
e
di
modelle
a
Parigi
,
di
facce
famose
,
abiti
importabili
,
isterismi
eleganti
,
amori
comici
,
modesti
cinismi
,
chiacchiere
,
atrocità
,
rivalità
lussuose
,
chiasso
,
cretinate
,
gioielli
,
shopping
compulsivo
,
odii
stupidi
.
Dolce
vita
anni
Novanta
,
Beautiful
a
Parigi
,
commedia
umana
,
irrisione
del
consumismo
,
analisi
dell
'
apparenza
scambiata
per
sostanza
,
condanna
dei
media
frenetici
,
esaltazione
del
corpo
,
parodia
del
vuoto
contemporaneo
,
voyeurismo
critico
?
Non
esageriamo
.
I
significati
sono
pochi
e
ovvii
:
non
s
'
aspettava
certo
Altman
per
deplorare
la
vanità
delle
vanità
né
per
predicare
un
ritorno
alla
sobrietà
ragionevole
.
Le
macchiette
sono
molte
.
I
momenti
pubblicitari
sono
più
che
un
sospetto
.
La
satira
è
impossibile
,
o
zoppa
:
come
prendere
in
giro
lo
spettacolo
parigino
,
già
in
sé
volutamente
autocaricaturale
,
delle
sfilate
di
moda
?
Ma
il
film
un
po
'
stancante
nell
'
insieme
è
ricco
,
brillante
:
una
farsa
con
mille
cose
da
guardare
e
tanti
visi
da
riconoscere
,
un
divertimento
,
una
vacanza
.
Lo
stile
di
Altman
è
come
sempre
frammentato
(
a
volte
sfilacciato
)
.
La
narrazione
orizzontale
destrutturata
,
complessa
e
sinuosa
,
segue
coralmente
numerosi
personaggi
in
varie
storie
intrecciate
:
niente
psicologie
,
soltanto
comportamenti
.
All
'
inizio
Marcello
Mastroianni
in
colbacco
contempla
il
profumo
Poison
(
Veleno
)
nella
vetrina
d
'
un
negozio
Dior
,
entra
,
compra
due
bruttissime
cravatte
identiche
:
ma
siamo
a
Mosca
,
sulla
Piazza
Rossa
.
Dal
Cremlino
alla
Tour
Eiffel
:
Mastroianni
,
italiano
divenuto
sarto
in
Russia
,
misterioso
ladro
di
valige
e
di
vestiti
altrui
,
è
un
personaggio
-
guida
attraverso
l
'
ambiente
tossico
delle
sfilate
parigine
.
Lui
siede
nella
limousine
nera
accanto
a
Jean
-
Pierre
Cassel
,
autorità
della
moda
che
si
strozza
mangiando
un
tramezzino
,
che
viene
creduto
vittima
d
'
assassinio
dai
poliziotti
Michel
Blanc
e
Jean
Rochefort
,
che
non
viene
pianto
dalla
moglie
Sophia
Loren
e
viene
rimpianto
dall
'
amante
stilista
Anouk
Aimée
:
quest
'
ultima
ha
i
suoi
guai
,
senza
dirle
nulla
il
figlio
Rupert
Everett
(
sposato
con
una
modella
nera
e
amante
della
sorella
gemella
della
moglie
)
ha
venduto
l
'
azienda
al
miliardario
texano
fabbricante
di
stivali
Lyle
Lovett
.
È
Mastroianni
a
rincontrare
Sophia
Loren
,
che
trentacinque
anni
prima
era
sua
moglie
e
che
gli
ripete
un
antico
spogliarello
(
alla
seconda
calza
nera
,
lui
s
'
addormenta
russando
)
.
È
Chiara
Mastroianni
l
'
assistente
del
secondo
personaggio
-
guida
,
la
giornalista
televisiva
Kim
Basinger
,
bionda
,
scema
e
bella
,
le
cui
interviste
permettono
d
'
incontrare
Cher
e
Belafonte
,
Lauren
Bacall
e
Stephen
Rea
,
tanti
stilisti
.
Intanto
il
compratore
di
Chicago
Danny
Aiello
e
la
sua
donna
Teri
Garr
s
'
abbandonano
alle
proprie
perversioni
:
lei
acquista
intere
boutiques
,
lui
si
veste
da
donna
in
tailleur
Chanel
rosa
.
Intanto
i
giornalisti
Julia
Roberts
e
Tim
Robbins
,
rimasti
senza
valigie
,
si
chiudono
nell
'
unica
camera
d
'
albergo
disponibile
e
fanno
l
'
amore
,
sospendendo
brevemente
solo
per
scrivere
articoli
copiati
dal
telegiornale
.
Nel
frattempo
...
La
storia
infinita
termina
con
una
sfilata
di
modelle
nude
.
Se
l
'
immagine
volesse
simboleggiare
una
condanna
degli
orpelli
,
una
scelta
di
rigore
,
sarebbe
tardiva
,
illusoria
:
da
un
pezzo
a
Parigi
le
modelle
sfilano
nude
,
e
nessuno
rinuncia
a
nulla
.
StampaQuotidiana ,
Un
film
inconsueto
,
bello
e
strano
,
sulla
faccia
triste
dell
'
America
e
sulla
fatica
di
vivere
.
Con
le
due
giovani
star
hollywoodiane
più
inquietanti
ed
eleganti
:
Johnny
Depp
,
Juliette
Lewis
.
Con
due
presenze
impressionanti
:
una
donna
enormemente
obesa
,
250
chili
,
che
da
sette
anni
non
esce
di
casa
,
che
dal
giorno
in
cui
suo
marito
scese
in
cantina
e
senza
dire
una
parola
s
'
impiccò
,
siede
immobile
su
un
divano
sfondato
mangiando
come
un
orco
,
fumando
,
guardando
la
tv
,
e
che
alla
fine
s
'
uccide
nel
modo
più
semplice
,
salendo
le
scale
e
facendosi
scoppiare
il
cuore
per
la
fatica
di
trascinare
l
'
immenso
corpo
;
un
diciottenne
ritardato
mentale
,
vivace
,
spericolato
e
ciarliero
come
un
bambino
piccolo
,
al
quale
bisogna
sempre
star
dietro
perché
non
combini
guai
.
Insieme
con
due
ragazze
pazienti
,
sono
questi
la
madre
e
i
fratelli
,
è
questa
la
famiglia
a
capo
della
quale
si
ritrova
Johnny
Depp
,
commesso
in
un
negozio
d
'
alimentari
d
'
un
paese
della
grande
America
rurale
piatta
(
«
descriverla
è
come
ballare
senza
musica
»
)
dove
le
uniche
fortunate
sono
le
automobili
sulla
strada
provinciale
:
«
Fanno
la
sola
cosa
che
c
'
è
da
fare
:
passano
e
se
ne
vanno
»
.
Il
film
magnificamente
recitato
,
tratto
da
un
romanzo
di
Peter
Hedges
,
racconta
benissimo
la
vita
aspra
del
giovane
uomo
:
doveri
,
pensieri
,
affanni
(
«
Devo
andare
»
è
il
suo
slogan
)
,
desolazione
,
esasperazione
,
mutilazione
dell
'
esistenza
,
fatica
,
obblighi
,
sogni
spezzati
,
ma
anche
affetti
autentici
,
momenti
d
'
allegria
e
di
festa
,
baci
d
'
amore
scambiati
in
fretta
(
«
Devo
andare
,
adesso
»
)
.
Alla
morte
della
madre
,
per
evitare
la
volgare
curiosità
altrui
verso
«
il
fenomeno
da
baraccone
»
,
i
figli
ne
inceneriscono
lo
sterminato
cadavere
dando
fuoco
alla
casa
,
bruciando
anche
tutto
il
passato
,
concedendosi
forse
una
possibilità
di
ricominciare
.
Lo
stile
,
il
sentimento
della
realtà
non
avvelenato
dall
'
assenza
di
speranza
,
la
sottigliezza
psicologica
unita
alla
semplicità
ironica
sono
le
caratteristiche
rare
di
Lasse
Hallström
.
Il
regista
svedese
cinquantenne
di
La
mia
vita
a
quattro
zampe
(
1985
)
,
trasferitosi
negli
Stati
Uniti
dopo
il
successo
mondiale
di
quel
film
,
autore
d
'
un
primo
film
americano
mai
uscito
in
Italia
,
Ancora
una
volta
con
Richard
Dreyfuss
e
Holly
Hunter
,
ha
molta
originalità
,
una
gran
qualità
di
narratore
realista
,
affettuoso
,
profondo
e
divertito
.
StampaQuotidiana ,
«
Sostiene
Pereira
»
è
l
'
intercalare
-
chiave
del
romanzo
di
Antonio
Tabucchi
pubblicato
da
Feltrinelli
dal
quale
il
film
è
tratto
:
il
narratore
riferisce
,
prendendo
un
poco
le
distanze
,
quanto
si
suppone
gli
sia
stato
raccontato
dal
protagonista
dottor
Pereira
,
anziano
redattore
della
pagina
culturale
del
quotidiano
portoghese
«
Lisboa
»
nel
1938
.
«
Sostiene
Pereira
»
è
l
'
espressione
che
ritma
i
capitoli
,
scandendo
la
vicenda
del
giornalista
cattolico
invecchiato
,
vedovo
e
solo
,
assediato
dal
pensiero
della
morte
,
amoroso
traduttore
di
narrativa
francese
e
amante
della
cultura
(
«
IO
credevo
che
la
letteratura
fosse
la
cosa
più
importante
»
)
,
uomo
onesto
ma
atono
che
rimane
estraneo
al
dramma
collettivo
dei
fascismi
europei
anni
Trenta
.
L
'
incontro
con
due
giovani
militanti
antifascisti
quasi
costringe
Pereira
a
guardare
la
realtà
di
violenza
,
di
repressione
e
di
censura
dello
«
Stato
nuovo
»
,
senza
più
Costituzione
né
libertà
,
del
dittatore
portoghese
Salazar
;
dapprima
resiste
(
«
Io
non
parteggio
,
non
voglio
guai
,
non
sono
dei
vostri
né
dei
loro
»
)
,
poi
acquista
coscienza
e
approda
concretamente
alla
consapevolezza
del
dovere
di
ciascuno
di
reagire
,
di
combattere
.
Più
che
un
dovere
,
una
necessità
di
sopravvivenza
.
Che
il
conflitto
riguardi
in
realtà
la
vita
della
libertà
contro
la
morte
dell
'
oppressione
è
testimoniato
da
una
mutazione
anche
fisica
del
protagonista
Marcello
Mastroianni
:
se
nella
passività
distratta
Pereira
risultava
vecchio
,
grasso
,
ansimante
,
assente
,
torpido
,
spaventato
dall
'
idea
della
fine
come
dalla
prospettiva
della
resurrezione
della
sua
troppa
carne
,
nella
reattività
fattiva
dimagrisce
,
smette
di
portare
giacca
e
cappello
,
con
passo
elastico
s
'
incammina
tra
la
gente
verso
un
'
altra
vita
.
Facile
?
Facile
.
Il
film
fedele
al
romanzo
,
dai
contenuti
alti
e
nobili
,
con
un
bravo
attore
,
benissimo
prodotto
(
ambientazione
,
costumi
,
luoghi
sono
impeccabili
)
non
arriva
a
darsi
uno
stile
cinematografico
equivalente
allo
stile
romanzesco
di
Tabucchi
,
ricorre
a
caratterizzazioni
o
a
espedienti
narrativi
primari
,
rimane
a
volte
inerte
.
Se
si
ricorda
Umberto
D
.
di
De
Sica
,
protofilm
sulla
presa
di
coscienza
d
'
un
vecchio
intellettuale
solitario
,
l
'
interpretazione
a
tratti
imbarazzata
di
Mastroianni
non
regge
il
confronto
.
Se
Sostiene
Pereira
è
illustrativo
,
didattico
,
scolastico
,
insegna
cose
essenziali
:
come
riconoscere
un
regime
dittatoriale
che
non
s
'
instaura
con
colpi
di
Stato
violenti
ma
s
'
insinua
sotto
l
'
apparenza
della
normalità
,
come
identificare
certi
meccanismi
autoritari
di
cui
i
cittadini
distratti
possono
non
accorgersi
e
una
autocensura
peggiore
della
censura
,
come
accettare
le
responsabilità
che
ognuno
porta
nella
perdita
della
libertà
.
StampaQuotidiana ,
Mel
Brooks
,
Whoopi
Goldberg
,
Daryl
Hannah
e
persino
il
miliardario
Donald
Trump
nella
parte
d
'
un
miliardario
compaiono
in
questo
film
per
bambini
piccoli
e
per
adulti
sofisticati
,
rifacimento
d
'
un
vecchio
classico
americano
di
gran
successo
.
Fu
Hal
Roach
,
il
produttore
dei
film
di
Harold
Llyod
e
di
Stanlio
e
011io
,
a
ideare
prima
del
cinema
sonoro
una
serie
di
brevi
slapstick
comedies
infantili
,
avventure
comiche
di
bambini
piccoli
cresciuti
sulla
strada
come
Il
monello
di
Chaplin
,
dirette
perlopiù
da
Robert
McGowan
,
chiamate
originariamente
Our
Gang
(
La
nostra
banda
)
.
Nate
a
metà
degli
anni
Venti
,
rimasero
popolari
anche
nei
Trenta
e
nei
Quaranta
;
nei
Cinquanta
rivissero
per
qualche
tempo
alla
tv
.
Ora
la
regista
cinquantenne
Penelope
Spheeris
le
rivisita
con
grazia
e
divertimento
,
con
una
intenerita
nostalgia
che
ha
forse
a
che
fare
con
la
propria
infanzia
terribile
:
figlia
del
proprietario
d
'
un
circo
itinerante
ex
campione
olimpionico
di
lotta
libera
,
aveva
sette
anni
quando
il
padre
fu
ucciso
a
coltellate
in
una
rissa
,
lasciando
i
quattro
figli
soli
con
la
madre
alcolizzata
appassionata
di
matrimoni
(
si
sposò
nove
volte
)
.
Gli
svelti
bambini
fra
i
quattro
e
i
nove
anni
sono
associati
in
un
Club
degli
Odiatori
di
Femmine
;
scoprono
con
raccapriccio
che
uno
di
loro
s
'
è
innamorato
della
seducente
bambina
Darla
e
non
può
fare
a
meno
di
corteggiarla
rivaleggiando
con
un
coetaneo
figlio
di
miliardario
(
«
Le
femmine
sono
come
le
brutte
canzoni
,
una
volta
che
ti
sono
entrate
in
testa
non
ne
escono
più
»
)
;
puniscono
il
traditore
,
ma
alla
fine
si
riconciliano
con
le
bambine
;
sono
in
conflitto
con
due
teppisti
di
undici
anni
durante
l
'
avventurosa
gara
di
go
-
kart
che
è
una
delle
competizioni
della
locale
fiera
annuale
.
Non
sono
piccoli
che
scimmiottano
i
grandi
ma
neppure
sono
bambini
realistici
,
risultano
più
autonomi
,
pragmatici
ed
energici
dei
veri
quattrenni
o
cinquenni
:
dall
'
anomalia
nasce
la
comicità
delle
loro
peripezie
spiritose
,
mentre
dalla
buona
realizzazione
nasce
l
'
elegante
piacevolezza
del
film
.
StampaQuotidiana ,
Thriller
convenzionale
e
interessante
,
ispirato
al
best
-
seller
americano
Crisis
in
a
Hot
Zone
nel
quale
Richard
Preston
,
cronista
scientifico
del
«
New
Yorker
»
,
riferiva
nel
1993
sull
'
apparizione
d
'
un
nuovo
virus
sconosciuto
arrivato
dalle
Filippine
contro
il
quale
s
'
era
trovata
a
combattere
nel
1989
una
coppia
di
virologi
dell
'
esercito
,
Gerard
e
Nancy
Jaax
.
Il
pericolo
d
'
un
virus
misterioso
venuto
da
Paesi
esotici
condensa
tanti
elementi
contemporanei
:
la
paura
de11'Aíds
,
naturalmente
,
ma
anche
la
pulsione
di
morte
,
l
'
interesse
collettivo
per
la
scienza
salvifica
o
mortifera
,
il
bisogno
spettacolare
d
'
inventarsi
nuovi
nemici
magari
interni
dopo
la
fine
del
comunismo
(
non
tutti
i
film
d
'
azione
possono
avere
come
avversari
i
narcotrafficanti
o
la
Cia
)
.
Il
film
Hollywood
contro
Virus
racconta
,
con
un
inizio
identico
a
quello
di
Aracnofobia
,
la
vicenda
d
'
un
virus
portato
dallo
Zaire
che
uccide
velocemente
e
velocemente
si
propaga
in
una
cittadina
californiana
.
A
fronteggiarlo
è
chiamato
l
'
esercito
,
nelle
sue
varianti
cattiva
,
semicattiva
e
buona
:
il
generale
cattivo
Donald
Sutherland
intende
risolvere
l
'
angoscioso
problema
con
l
'
Operazione
Tabula
Rasa
,
distruggendo
radicalmente
l
'
intera
cittadina
e
sopprimendone
i
duemilaseicento
abitanti
,
anche
per
coprire
vecchi
segreti
e
magagne
;
il
generale
meno
cattivo
Morgan
Freeman
non
è
d
'
accordo
,
ma
rispetta
le
gerarchie
e
sino
a
un
certo
punto
obbedisce
agli
ordini
ricevuti
;
lo
scienziato
militare
Dustín
Hoffman
vuoi
salvare
la
vita
al
maggior
numero
possibile
di
malati
ricercando
il
portatore
sano
del
virus
per
ricavarne
l
'
antidoto
,
e
a
questo
scopo
non
esita
a
disobbedire
agli
ordini
.
Un
dilemma
morale
(
quando
l
'
obbedienza
diventa
massacro
,
violarla
non
è
un
dovere
?
)
,
allarmanti
allusioni
all
'
uso
delle
armi
biologiche
da
parte
dell
'
esercito
americano
nel
passato
e
nel
presente
,
un
conflitto
coniugale
(
il
protagonista
e
la
scienziata
sua
moglie
sono
separati
,
ritrovano
armonia
nella
battaglia
comune
)
,
paesaggi
esotici
,
fantastiche
riprese
aeree
e
la
fotografia
perfetta
di
Michael
Ballhaus
si
uniscono
alla
tensione
del
thriller
catastrofico
-
sanitario
:
Hoffman
è
così
energico
ed
efficace
che
sembra
persino
alto
.