Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaQuotidiana"
StampaQuotidiana ,
Nel nostro caprocronaca di ieri abbiamo illustrato un apparecchio , già in uso a Bonn , che consente la gradazione della molestia dei suoni , indicando quindi inequivocabilmente ai vigili urbani i casi da colpire per la difesa dei timpani e del sistema nervoso dei cittadini . Nella stessa giornata di ieri abbiamo appreso dal Vice Sindaco on. Ardizzone , nella sua qualità di Assessore alla Polizia Urbana , che con provvedimento in data tre agosto , reso esecutivo in data 18 agosto , è stato disposto l ' acquisto di due fonometri e la relativa ordinazione è già stata fatta . Non possiamo che dare atto all ' Assessore della solerzia con la quale egli segue i progressi della tecnica nel settore di sua competenza e speriamo che presto i buoni risultati pratici degli apparecchi ne consiglino l ' adozione per la maggiore tranquillità e serenità dei palermitani .
NOTIZIARIO NEL 2000 ( Rodari Gianni , 1962 )
StampaQuotidiana ,
[ Mosca , L ' Italia in 120 vignette , Rizzoli , pp. 145 , lire 2.000 ] . « Perdonatemi il disegno . Io so fare soltanto un uomo , una donna , un bambino , un cavallo , un elefante . Non troverete nemmeno il cavallo e l ' elefante . Soltanto l ' uomo , la donna e il bambino , riuniti e moltiplicati in varie combinazioni . Se le mie vignette valgono qualcosa , è per la battuta » . Così Mosca presenta ( anzi , presentava : il libro è ormai in circolazione da mesi ) una scelta del singolare diario illustrato che tiene da anni sul « Corriere d ' Informazione » . Singolare proprio perché il gusto della battuta gli fa compiere giorno per giorno i più singolari « salti della quaglia » ideologico - politici . È di destra ? Eccovi la battuta sul ministro che « non si dà delle arie , ma delle aree » . È di sinistra ? Eccovi la battuta antisovietica , anticomunista , la frecciata a Moravia , al cinema realista . È cattolico ? Eccovi , a proposito di un cardinale che si occupa di donne in pantaloni : « Ma non ha argomenti più siri ? » . Qualunquismo , allora ? È l ' accusa che facciamo a Mosca nei giorni in cui la sua vignetta non è di nostro gusto . La satira non è gran che tenuta alla coerenza , non ha gli stessi doveri della propaganda . Se esprime umori autentici - individuali o pubblici - il lettore saggio dovrebbe riuscire a gustarla anche quando essa , in qualche modo , lo colpisce . L ' umorista , a un certo punto , ha un solo dovere : quello di non vietarsi la battuta , se è bella , neanche quando essa ( pesata su una bilancia privata ) può fargli perdere un amico . Di recente Mosca ha dedicato una vignetta ai frati di Mazzarino . Ci si vede un confessore che congeda il penitente con la formula : « Io ti ricatto nel nome del Padre ecc . , ecc . » . Probabilmente Mosca va a Messa tutte le domeniche , e di questa vignetta , a suo tempo , dovrà accusarsi in confessione . Però l ' ha fatta . A sfogliarlo senza pregiudizi di parte , il suo album di vignette contiene certo qualcuna delle tessere che domani , ai signori posteri , serviranno a ricostruire il mosaico dell ' Italia d ' oggi .
UN RITRATTO IMPERTINENTE DI FANFANI ( Rodari Gianni , 1966 )
StampaQuotidiana ,
[ Piero Ottone , Fanfani , Longanesi , pp. 194 , lire 400; Adele Cambria , Maria José , Longancsi , pp. 158 , lire 400 ] . Maria José e Fanfani , rispettivamente per opera di Adele Cambria e di Piero Ottone , forniscono il terzo e il quarto volume della collana « Gente famosa » dell ' editore Longanesi ( numero uno Sofia Loren , numero due Umberto ) . L ' accostamento tra « l ' unico uomo di Casa Savoia » e il nostro attuale ministro degli esteri è puramente casuale , s ' intende . Tra l ' altro , le strade dei due personaggi non si sono mai incrociate , nemmeno durante il fascismo , quando Fanfani era un professorino in bilico tra il Vangelo e le corporazioni ed elogiava Mussolini per la conquista dell ' Etiopia e Maria José , principessa di Piemonte , pur essendosi « lasciata tentare dalla vanità dell ' Impero » , come tanti altri , continuava a ricevere Umberto Zanotti Bianco e a proteggere la sua Associazione per il Mezzogiorno . Ambizioni parallele . A voler giocare con i paralleli , si potrebbero mettere a confronto certe ambizioni e il loro fallimento : di Maria José , la velleità di diventare un polo d ' opposizione al regime ; . di l ' anfani , il tentativo di presentarsi come unico erede di De Gasperi ; aspetti decisivi della storia personale dell ' uno e dell ' altra . Ma chi teorizzasse su elementi tanto labili sarebbe un ben debole teorico . Proprio come Fanfani quando teorizza sull ' alternanza al potere di longilinei e di brevilinei . Meglio lasciar parlare i fatti , ciò che i due autori fanno egregiamente , la Cambria forse con uno zinzino di partecipazione femminile al personaggio e con un ' assenza di malignità in lei assolutamente inattesa ma , nel caso , lodevole ; Piero Ottone con maggiore distacco e spesso con una calcolata ironia . Il ritratto di Maria José è quello di una principessa assai ricca e passabilmente moderna ( si vantava di avere un padre socialista ) , finita , grazie o per colpa di un matrimonio quasi fatale , combinato un po ' da tutti quando i due sposi erano ancora bambini , nell ' ambiente gretto e quasi dialettale dei Savoia ; di una straniera innamorata dell ' Italia che viene a contatto cori l ' Italia peggiore , quella del fascismo , in cui lo spirito è sospetto ; di una moglie delusa che , conquistata con l ' esilio « la libertà di essere se stessa » , ha saputo contare per i figli più del padre , mero manichino di convenzioni . Questi quattro figli sono famosi per incidenti di macchina , spogliarelli e amori contrastati : ma le loro abitudini « si inseriscono nella norma dell ' ambiente a cui oggi appartengono : l ' international set , o come si vuole chiamarlo » . ( Quando il libro è stato scritto , il giovane Vittorio Emanuele non aveva ancora compiuto il raid su Napoli che ha fatto drizzare le vertebre ai monarchici italiani e ridere il resto del mondo ) . Il libro è ricco di testimonianze dirette , citazioni del diario di Maria José , aneddoti . Come un leit - motiv ricorre insistente , ad ogni proposito , il richiamo della distinzione che Maria José ha sempre tenuto a fare tra sé e i Savoia : atteggiamento che finisce per parere , e forse è , semplicemente snobistico . E , poi , come se Maria José non volesse ammettere di avere perso anche personalmente la partita . Ma non è lei che va scrivendo i libri sugli antenati di Umberto ? Ecco , forse avrebbe voluto che Umberto avesse la stoffa di un Emanuele Filiberto . Il suo interesse per quelle vecchie storie ha della fantasticheria nostalgica . Una vita fallita cerca il suo compenso il più lontano possibile dal nostro tempo , in un mondo puro e ideale , o in un sogno da giovinetta che non vuol rassegnarsi al tramonto inglorioso del suo principe azzurro . Il Fanfani di Piero Ottone è un ornino attivissimo , di scarsi e deboli principi ( a parte l ' indiscussa onestà personale ) e di grandi ambizioni , una su tutte : quella di trattare da pari a pari con i potenti della terra . Nel suo bagaglio ha un po ' di dilettantismo , un bel po ' di tatticismo , il gusto del potere : per quel che riguarda il petrolio , l ' energia elettrica e la politica estera , più avventurismo che buon senso . Un uomo di cui il paese diffida . Un leader travolto dalle risse interne della Democrazia Cristiana . Dentro questo schema piuttosto facile , o addirittura banale , cronaca , storia e pettegolezzo si muovono con notevole eleganza . Sono colti felicemente i saggi linguistici rivelatori di taluni tipici difetti fanfaniani , per esempio l ' ampollosità : « Non drizzeremo mai la nostra prora verso il mare di Moscovia , né verso bracci più o meno noti che in esso possono in definitiva sboccare » . Fanfani scrittore fa anche di peggio : per dire ( nella « Pieve d ' Italia » ) che era faticoso camminare in discesa , scrive che « le proprie gambe ... in verità dovevano impegnarsi seriamente , più che nell ' azione di moto , in quella di freno del moto » . Conclusioni ragionevoli Rendono miglior giustizia a Fanfani le ultime pagine del libro in cui , abbandonata ogni pretesa di liquidare il personaggio mostrando solo i suoi punti deboli o i suoi errori ( alcuni dei quali , inoltre , sono errori per Ottone e per una certa parte politica e meriteranno un ' analisi più serena ) , gli si riconosce il merito di essere stato , da giovane , « l ' esponente nella democrazia cristiana di una sinistra moderata , che si ispirava in parte a Keynes , in parte a San Francesco » ; di non aver voluto « diventare il portavoce degli interessi costituiti » ; di aver propugnato in anticipo sugli altri la politica di centro - sinistra , eccetera . « Può darsi infine - scrive l ' Ottone - che l ' avvenire ci tenga in serbo il Fanfani migliore » . Insomma , un libro divertente , in parte ingiusto e in parte , com ' è inevitabile , dominato dalle convinzioni politiche dello scrittore .
Il mare non bagna Napoli ( Ortese Anna Maria , 1950 )
StampaQuotidiana ,
Napoli , luglio . - Giorni fa sono state celebrate le nozze di Laura Lauro , figlia del noto armatore , col dott. Dufour , di altrettanto nota famiglia d ' industriali genovesi . La cerimonia si è svolta con grande sfarzo nella basilica di San Francesco di Paola , di fronte all ' ex Palazzo Reale , e si è conclusa con un ricevimento a Villa Lauro , cui hanno partecipato trecento persone , « il più eletto e rappresentativo nostro mondo » , dichiaravano l ' indomani i giornali locali . Villa Lauro , celebre per i suoi saloni come per gli arazzi di Beauvais che fanno parte della raccolta Lauro , si trova in via Crispi , una delle più belle e nitide strade di Napoli , intramezzata da numerosi giardini guardati da cani lupo potenti , che spesso , la notte , si avventano contro i cancelli , invasi dal timore che qualcuno possa attentare ai legittimi beni dei proprietari . Ma gli stessi cani hanno mugolato l ' altro ieri di gioia al passaggio degli sposi , che attraversavano il giardino per raggiungere la macchina che li avrebbe condotti al porto , e hanno trovato che , sotto il dolce e sfolgorante cielo estivo , e vestiti così squisitamente , gli uomini sono veramente un ' altra cosa , e , come annunzia la stampa napoletana , meritano il nome di « eletti » . Cara stampa napoletana ! Questa parola è la sua prediletta , e non osiamo pensare cosa accadrebbe dei compilatori delle liete cronache locali , se improvvisamente dovessero farne a meno ! Comunque , eletti sposi ed eletto parentado sono stati fotografati perfettamente , e al mio ritorno a Napoli ho potuto ammirarli sulla terza pagina di un quotidiano che un operaio seduto nella direttissima davanti a me , teneva aperto fra due mani dalle unghie spezzate : « Gli sposi partiranno per Capri , prima tappa della loro luna di miele ... » . Questa Capri rimane davvero l ' ultimo grido in fatto di divertimenti europei , se si pensa che ci si va persino da Napoli , di gente come i Lauro che ci sarà stata mille volte , d ' inverno come d ' estate . Capivo il silenzio profondo e pieno di chissà che lenti pensieri dell ' operaio . Qui , a Napoli , Capri come il mare e le altre isole , sono distribuite solo in dose minima alla popolazione . Un impiegatuccio del Demanio sarà stato a Capri , per esempio , tre volte nello spazio dei suoi quarant ' anni . L ' impiegata del 4° sportello dell ' Ufficio Raccomandate della Posta Centrale , una volta sola , da bambina , e ora conta 56 anni . In quanto al mare , un vero esercito di bambini , la leva napoletana del '40 , ne ha solamente sentito parlare . Sono i bambini della vecchia Napoli , quella bassa , tra il Reclusorio e i vicoli di Toledo , che si rinnovano come gli scarafaggi e hanno tutti i diritti della polvere . Di solito , vanno al mare quando hanno raggiunto i quindici anni ; scappano con un compagno , prendono una barca . Qualche volta affogano , altre si ammalano di tifo , perché non si convinceranno mai che certe zone marine ricevono i rifiuti della città . Quello che racconta qualcuno , che il mare non bagna Napoli , è esatto . Queste onde famose sono inaccessibili , salvo che per alcune categorie di persone ; per le altre , diletto e rischio , o almeno una enorme stanchezza , sono indivisibili . Costa , costa molto fare i bagni a chi vive in via Tribunali o a Forcella , e non dispone che di duecento lire giornaliere per i suoi vizi . E , di solito , non ci si va , le duecento lire vengono impiegate in altro uso : fiorilli , paste cresciute , un caffè , qualche nazionale ... da consumare in piedi nella friggitoria affocata ... da bere appoggiandosi al banco nella rosticceria ronzante di mosche ... da accendere all ' ombra dei cornicioni e dei bucati , nelle stradine fitte di popolo che dorme , che mangia , che vende , che sogna ... Mille apparecchi radio sono in agguato dentro ciascun basso di una via , altrettanti grammofoni lavorano con una intensità che ha del febbrile a ribadire nella testa della povera gente il concetto : « Napule e niente cchiù » oppure : « chistu mare a Margellina » ... Ho domandato al facchino che mi ha preso la valigia alla stazioncina di Bagnoli come fosse finita la storia dell ' Ilva : « Finita ? » mi ha chiesto a sua volta . « È finito il lavoro , questo sì » . « E i forni ? » « Per ora stanno accesi . Gli operai rimasti stanno vicino ai forni , e li tengono accesi . Questo fanno . Gli altri , a casa , passano il tempo a ricordare i fatti dell 'Ilva.» È un pianto , per Bagnoli , lo so , lo sapevo prima di partire , ma credevo che al mio ritorno qualche cosa sarebbe mutata . « Niente è mutato » mi dice il vecchio posando un momento la valigia per asciugarsi la fronte . « A Napoli non muta mai niente . Volevano diminuire le paghe , questo io penso , perciò hanno licenziato . Poco alla volta intorno all ' Ilva crescerà l 'erba.» Con un fazzoletto rosso e blu , dove sono stampati per lo meno dieci Vesuvi color viola , si asciuga la fronte . « Questa è Napoli nostra » dice . « Tutto può avvenire . La gente è come se fosse morta . È tutta schiacciata . Niente le può fare più male . E poi ha i Santi , le canzoni ... » Mentre parlava , un Santo veniva infatti avanti , sulla via di Bagnoli , preceduto da una piccola banda e seguito da una frotta di ragazzi . Era Antonio di Padova , in cartone , con un ' aureola lucente intorno alla testa e un manto stranissimo sulle spalle ; che si muoveva lentamente , con un lieve riflesso azzurro e rosato , nel vento di mare . Ci fermammo ed aspettammo che passasse : quel manto era composto di biglietti da cinquecento e da mille , rattoppati o fiammanti , e anche da carte da dieci , da cinque , fra cui qualche am - lira . Una meraviglia . « Il mese di giugno è tutto dedicato a sant ' Antonio » mi spiegò il facchino seguitando ad asciugarsi il sudore col suo fazzoletto pieno di Vesuvi . « Il mese di maggio fu per la Madonna . In luglio avremo sant ' Anna ... poi san Gennaro . Fanno un sacco di soldi , e perdonano tutti i peccati . » Pensavo alle coltellate di cui è piena la cronaca dei quattro o cinque quotidiani cittadini , le amanti con la gola tagliata dalle contadine di Agerola o Barra ; quei corpi insanguinati , gli urli nei vichi , i « Maronna ! » e gli « Aiutatemi ! » , e la gente che accorre senza intervenire e commenta estasiata ; poi il tassì , il corpo di guardia dei Pellegrini , il viso annoiato del sanitario di turno : « recisione della carotide » ; pensavo al disoccupato per vocazione o per forza , che continua a mettere il disco Mappatella , lassù al terzo piano , e aggiunge un ' altra voce alla enorme confusione della città . Pensavo alle impiegate della Centrale , curve , tutte pallide e spettinate , sui fasci di bollette , sui registri , sui timbri dietro gli sportelli delle Raccomandate . Pensavo anche a Laura Lauro , chissà perché , e a queste nostre cronache mondane brulicanti di elette signore , fitte di elenchi interminabili di principi , di diplomatici e di industriali che scendono al Vesuvio o s ' imbarcano per Capri e all ' opinione espressa da un avvocato romano sul pullman azzurro diretto a Roma , mentre la radio trasmetteva la cronaca letteraria : « A Napoli , col turismo , voi non ci sapete fare . Uno dei provvedimenti più urgenti consisterebbe nell ' istituire subito un servizio di polizia speciale per la tutela delle vie Caracciolo e Partenope . I vostri mendicanti non debbono farsi vedere per quelle strade , se volete riavere degli stranieri » . E io che rispondevo gentilmente : « Ha perfettamente ragione : DDT o galera » . La sera stessa sono andata a trovare il mio amico C . Era seduto al solito posto sul divano rotto nella sua casa di via Mergellina , e guardandosi le mani simili a rametti spogli pensava all ' artrite . Speravo che avesse dei soldi , così avremmo bevuto del vino , ma non ne aveva . « Sono appena le nove e mezza » mi ha detto , « abbiamo fiducia , aspettiamo ; può darsi che arrivino gli amici . » Questi amici , gruppo di appena tre o quattro persone , fra cui due impiegati , un operaio e un maestro elementare , di solito possiede somme superiori alle cinquanta lire , ma questa volta niente . Una volta entrati , hanno chinato il viso davanti all ' amara delusione espressa da tutto il magrissimo volto di C . ; poi , in silenzio , uno per uno , sono usciti nel giardinetto che fronteggia la via , e si sono seduti sugli scalini . Li abbiamo seguiti , il buon C . ed io , e anche noi ci siamo seduti sugli scalini , e guardavamo una enorme luna rosea , sospesa come un palloncino di gomma sul mare nero di Mergellina , quando a un tratto , sotto quella luna , chi vediamo ? Preceduto dall ' improvviso scoppio di una banda , ripassava quel sant ' Antonio , o un suo fratello , che avevo incontrato la mattina a Bagnoli . La sua testa e il Bambino che reggeva in braccio facevano " ma sì , ma sì " , sotto la lampada stranissima della luna . Il mantello di biglietti di banca da cinquecento e mille lire si muoveva dolcissimamente , come una crosta enorme , alle spalle della statua . Avanti veniva la banda , ululando santi inni . Poi la statua . Dietro la statua un po ' di preti con una mantellina nera piena di stelline di carta dorata , e dei giovanottini in tonaca rossa , uno con un asciugamano al collo , sostenendo qualche stendardo e badando a riappiccicare , di tanto in tanto , i biglietti più piccoli che sembravano male appuntati . Tutti davanti al cancello , in piedi , cercavamo di distrarre C . , il cui volto si era fatto improvvisamente avido , ispirato , pieno di una suggestione terribile , fissando il meraviglioso mantello . E avevamo ragione di temere perché nell ' attimo che il corteo è passato davanti al giardinetto , un braccio lunghissimo , il braccio sospetto di artrite del nostro amico , si è allungato a un tratto fra le sbarre , nel gesto di chi desidera afferrare . Dieci braccia hanno fatto abbassare quello di C . Erano tutti intorno a lui , gli amici teneri , preoccupati , con una punta di rimprovero , oltretutto si vergognavano . E di colpo C . è scoppiato a ridere e diceva : « Ma sì , ma sì » anche lui , « facevo solo per scherzare , s ' intende . Non avrei toccato neppure una lira » . Ma i suoi bellissimi occhi erano diventati ormai irrimediabilmente tristi , lucidi , come per febbre ; e per tutto il resto della sera è rimasto chiuso in un infantile crucciato silenzio . Così sono passate le prime ore del mio soggiorno napoletano . Più tardi , mentre la luna tramontava , sono scoppiati non si sa da che parte , se dal Vomero o da Posillipo , i primi colpi e le luci colorate dei fuochi di artificio . Sembrava la guerra , e sembrava anche la pace , íl triste sonno in cui dorme Napoli .
StampaQuotidiana ,
La morte di massa ha un tanfo dolciastro , quasi speziato , di terra , sudore , pelli e fiori che fermentano . Era fatale che ci prendesse alla gola dopo tre mesi di guerra " pulita " , stellare , televisiva . Ora , è importante che quell ' odore ci si stampi nelle narici . È la sola cosa capace di perforare la nostra incredulità , la rimozione , il rifiuto ; l ' unica breccia nella nostra memoria corta . In mezzo a troppi fotogrammi , è l ' unico messaggio dei sensi ancora capace di dirci che è tutto vero . Ci venne addosso per la prima volta a Vukovar , nel novembre di otto anni fa . Ci aggredì all ' indomani della prima ecatombe europea dopo il 1945 . E richiamò sul Danubio tutti i corvi della pianura . La morte ci insegue da allora , sempre con gli stessi miasmi . Eppure , da allora a ogni fossa che si riapre , abbiamo sempre bisogno di chiedere se davvero è accaduto , di sentirci dire che è un brutto sogno . Forse , nel momento in cui si gettano i fondamenti della Nuova Europa , abbiamo paura di riconoscere in quelle fosse un po ' di noi stessi , i buchi neri di un passato ancestrale che le nostre raffinate diplomazie si ostinano a ritenere sepolto . Dimentichiamo che le tombe di massa fanno parte della nostra memoria profonda , dell ' immaginario e persino del paesaggio di questo nostro continente . L ' Europa cammina , senza saperlo , su montagne di cadaveri . A Verdun o in altri luoghi del fronte occidentale , impercettibili rigonfiamenti indicano ancora i tumuli di caduti senza nome . In Polonia e dintorni , spesso gli unici dislivelli sono segni di morte . Simon Shama , professore di storia alla Columbia University e autore del libro " Paesaggio e memoria " , racconta dei " Kopicc " , montagnole erbose panoramiche , le uniche a sollevarsi sopra la cupa muraglia della più antica foresta d ' Europa , sopra i fiumi , le cicogne , le radure e i comignoli . Dalla Vistola allo Yemen , punteggiano la pianura fino al lontano orizzonte . Gli innamorati che vi si baciano non sanno che sono tumuli anch ' esse , terra portata da lontano a ricordo dei Caduti . In Lituania la topografia della morte di massa è segnata da una miriade di avvallamenti sparsi nei boschi . Dislivelli di pochi centimetri , un metro al massimo . Segnano una delle pagine più dimenticate della " Shoah " . Sotto , sono sepolti migliaia di ebrei . Per anni , raccontano , la terra ha continuato a gonfiarsi , a sfiatare , persino a illuminare la notte di pallidi fuochi . Poi i corpi han trovato pace e la terra ha cominciato a cedere , disegnando il perimetro della mattanza con impressionante fedeltà . " Sono luoghi terribili perché inseriti in una campagna dolcissima " racconta lo scrittore Livio Sirovich che li ha percorsi alla ricerca della famiglia materna . Dice : " Senti come quelle morti , lontane da un contesto cimiteriale , abbiano violentato un equilibrio naturale vecchio di millenni " . Viaggi verso Sud e ti accorgi che la dolce Mitteleuropa , con la sua propaggine balcanica , continua instancabilmente a vomitare morte , a rivelare fosse comuni e a delineare , con esse , la geografia di un mondo multinazionale destinato a implodere all ' infinito , devastato com ' è dai nazionalismi e dalla sua incapacità di approdo a un senso moderno della cittadinanza . " Le fosse comuni , le stragi di oggi , emergono da questo retroterra , sono figlie della logica del sangue e del suolo applicata a un mondo dove ogni confine diventa ingiustizia " , conviene lo storico Giampaolo Valdevit , specialista della Questione Orientale . Una storia infinita , il segno di una maledizione dove il tempo sembra non avere più senso . In queste stesse ore in cui si svelano gli orrori del Kosovo , si spalancano in Slovenia fosse comuni del 1945 , si scoprono presso Maribor i corpi di quindicimila paramilitari anticomunisti jugoslavi in fuga da Tito e a Tito ignominiosamente riconsegnati dagli inglesi . In Bosnia , sulla riva sinistra della Drina , le fosse comuni non ancora richiuse continuano a sbadigliare i loro miasmi come enormi , selvagge sale anatomiche a cielo aperto . E mentre nei sotterranei di Tuzla migliaia di corpi senza nome stanno lì da due anni , allineati dentro sacchi bianchi , nell ' attesa inutile che qualcuno li riconosca e li possa seppellire , gli abissi delle foibe - a cinquant ' anni di distanza dagli eccidi - dividono ancora le memorie di sloveni , croati e italiani , permanendo esse il simbolo dell ' insulto estremo verso la morte dell ' " altro " , ridotto a spazzatura , immondizia da discarica . In una guerra costruita sulla rievocazione dei morti delle guerre precedenti , è fatale che i morti di oggi tornino e diventino a loro volta atto d ' accusa e rivalsa . Come i corpi delle vittime dei croati motivarono dopo mezzo secolo la rivolta serba del '91 contro Zagabria , così oggi i corpi albanesi disseppelliti in Kosovo sembrano togliere ai serbi ogni possibilità di ritorno nella terra dei loro antenati . Quelle fosse comuni dicono che a Belgrado il Campo dei Merli rischia di essere perduto per sempre , che la Gerusalemme serba potrebbe restare in mano straniera in modo assai più definitivo che dopo la sconfitta patita sei secoli fa per mano ottomana . E allora ci si chiede : che senso ha avuto consegnare alla comunità internazionale prove così schiaccianti dell ' abominio ? Cosa c ' è dietro la scelta di questo suicidio di un ' intera reputazione nazionale ? Quale senso della realtà esiste in un apparato politico che tenta di spacciare al suo popolo l ' illusione di una folgorante vittoria al punto da negare persino l ' esistenza dei propri caduti ? Forse , Milosevic sperava che il Mondo - grato del suo ritiro dalle terre del Sud - fingesse di non vedere , come dopo la strage di Srebrenica in Bosnia , vigilia della pace di Dayton . Ma questo non spiega come mai Belgrado oggi occulti i propri morti - che sono sicuramente migliaia - proprio nel momento in cui si scoprono le tombe del " nemico " . Perché i soldati serbi caduti sul campo , contro l ' Uck o sotto le bombe Nato , sono stati sepolti quasi di nascosto ? Quale rapporto con la morte scatta nella testa di un Capo che ha fondato tutto il suo potere sulla mitologia di una sconfitta , quella del Principe Lazar , ucciso secoli fa dai Turchi appunto in Kosovo ? I corpi che escono in queste ore dalla terra dei Balcani pongono l ' ultima domanda : quale delirio , quale smania di autodissoluzione può avere spinto la Serbia in quest ' avventura senza ritorno ?
I Balcani saranno il nostro nuovo Sud ( Caracciolo Lucio , 1999 )
StampaQuotidiana ,
Confessiamolo : avremmo tutti una gran voglia di archiviare questa guerra e tornare alle nostre domestiche occupazioni . L ' entusiasmo un po ' troppo esibito con cui i leader europei hanno salutato l ' accordo di pace tradiva questa umanissima pulsione . Ora , dopo la firma di Kumanovo , si spera di aver finalmente sbrogliato la matassa della crisi . Secondo il copione , nei prossimi giorni dovremmo vedere il ritorno sotto robusta scorta atlantica di qualche migliaio di profughi nelle loro terre devastate . A quel punto festeggeremo la vittoria . Poi i riflettori potranno spegnersi . E ciascuno tornerà a occuparsi delle faccende di casa sua . E chi la casa non ce l ' ha più ? Chi ha perso tutto , anche la speranza , e non ha i soldi per scapparsene nel ricco Occidente ? Chi ha creduto nel nostro slancio umanitario , nella nostra simpatia per gli umiliati e gli offesi d ' Oltre Adriatico ? Abbiamo posto molto alta l ' asticella degli obiettivi bellici . Abbiamo preso un impegno morale con gli albanesi del Kosovo , salvo poi lasciare che venissero deportati . Abbiamo spiegato ai serbi che non ce l ' avevamo con loro , ma con il criminale di guerra che li ha mandati al macello , salvo poi seppellirli sotto bombe non sempre intelligenti e fare la pace con Milosevic . No , non è il momento di voltare pagina . E se proprio non riusciamo a essere all ' altezza delle nostre proclamazioni morali , cerchiamo almeno di non tradire i nostri interessi . Che sono molto chiari : o riusciremo a europeizzare i Balcani , o ne saremo balcanizzati . Dopo tante insensatezze , tanti orrori , osiamo sperare che la guerra sia riuscita a risvegliare nella nostra Europa quel sano istinto di conservazione che ci dovrebbe spingere a impegnare ogni risorsa a disposizione per ricostruire i Balcani . Un ' impresa quasi impossibile ma senza alternative . Il vulcano della guerra ha eruttato dalle viscere di quella terra malata il peggio del suo peggio . Davanti alle nostre coste è affiorato un Mezzogiorno esterno , molto più povero e disperato del nostro . Questo nuovo Sud penderà inevitabilmente verso di noi . Per gli albanesi , ma anche per i serbi , i montenegrini , i macedoni e gli altri popoli ex jugoslavi , noi italiani siamo sempre più " Lamerica " . L ' America , quella vera , non ha nessuna intenzione di imbarcarsi in un nuovo Piano Marshall . Troppo lontani i Balcani per il contribuente di Cleveland o Seattle , troppo forte il risentimento verso noi europei che ogni volta chiamiamo il pompiere americano a spegnere ( ? ) gli incendi di casa nostra . Resta l ' Europa , certo . Vogliamo credere che il piano di ricostruzione dei Balcani sia più di una lista della spesa , che sia orientato a una visione regionale , che non si riduca alla mera emergenza . Vogliamo anche sperare che i nostri partner dell ' Europa centro - settentrionale capiscano di aver sbagliato quando ci lasciarono quasi soli ai tempi dell ' Operazione Alba ( in fondo , la guerra del Kosovo è anche frutto dell ' insensibilità europea per la questione albanese ) . E contiamo su Romano Prodi , che ha dimostrato di essere perfettamente consapevole dei termini del problema . Senza la Conferenza per i Balcani , da lui proposta , non ci sarà nessuna soluzione stabile per il Kosovo né per gli altri focolai di crisi nella regione . Europa o non Europa , l ' Italia resterà comunque in prima linea . Dovremo fronteggiare le conseguenze dell ' ennesimo conflitto balcanico , ci piaccia o meno . Chi pensa di poter nascondere la testa nella sabbia , italicamente aspettando che trascorra la nottata , avrà presto un risveglio molto brusco . Perché questo Mezzogiorno esterno è destinato a saldarsi con il nostro Mezzogiorno , con l ' intera penisola . In senso positivo o in senso distruttivo . Positivo , se l ' Italia e l ' Europa sapranno proiettarsi nei Balcani per guidarne la lenta , dolorosissima ricostruzione . Distruttivo , se ce ne laveremo la mani e ci lasceremo travolgere dai drammi balcanici , cominciando dall ' inevitabile massiccio flusso di profughi e dal consolidarsi dei vincoli criminali fra mafie nostrane e mafie balcaniche . La trasformazione del Kosovo in protettorato internazionale , conseguenza inevitabile della guerra e degli accordi di pace faticosamente negoziati , è condizione necessaria ma tutt ' altro che sufficiente per stabilizzare i Balcani . Per molti anni Oltre Adriatico regneranno ancora miseria , soprusi , oppressione , con le truppe americane , europee e russe nella parte degli sceriffi , ciascuno a suo modo , nel Far West balcanico . In uno stringato inventario delle ferite da ricucire , al primo posto vengono i profughi . Questa guerra ha aggiunto al milione e mezzo di disperati , tra cui cinquecentomila serbi , che ancora non sono rientrati a casa dopo i massacri in Croazia e in Bosnia , un altro milione e quattrocentomila di kosovari fra profughi ( quasi 800 mila , sistemati provvisoriamente nei campi di Macedonia , Albania e Montenegro ) , emigrati all ' estero ( già 72 mila ) e sfollati interni , che si aggirano per i boschi e i villaggi distrutti ( 530 mila ) . Agli albanesi si aggiungono centomila dei duecentomila serbi del Kosovo , costretti ad abbandonare le loro case . Molti seguiranno , specialmente chi si è arruolato nelle squadracce paramilitari e vuole sfuggire alle vendette . Quanto agli albanesi , si presume che solo il 15% dei profughi sarà in grado di rientrare in Kosovo prima dell ' inverno . Nel frattempo , le organizzazioni umanitarie sono alla caccia di 30 mila container mobili in cui far svernare le vittime della pulizia etnica . Le mafie locali hanno già studiato astuti stratagemmi per lucrare sugli aiuti , per cui sarà necessaria la massima fermezza per stroncare le speculazioni sulla pelle dei rifugiati . Peraltro la guerra , oltre ad aggravare la crisi umanitaria che avrebbe dovuto risolvere , lascia completamente impregiudicata la posta in gioco geopolitica . Davvero speriamo che l ' Uck si faccia disarmare ? Davvero immaginiamo che i serbi si rassegnino ad abbandonare il Kosovo ai loro arcinemici albanesi ? Davvero crediamo a un Kosovo " autonomo " , dunque a suo modo integrato nel sistema jugoslavo , magari con gli albanesi che un giorno voteranno per il successore di Milosevic ? Favole . Gli albanesi non accetteranno mai nulla meno dell ' indipendenza e gli estremisti serbi - ancora più inveleniti dalla guerra - ricorreranno al terrorismo pur di impedirlo . A Parigi Milosevic aveva respinto l ' accordo per due ragioni : perché dava alla Nato il permesso di agire in tutta la Jugoslavia ( appendice B , punto 8 ) , trasformandola di fatto in protettorato , e perché prometteva ambiguamente ai kosovari un referendum sull ' indipendenza entro tre anni ( capitolo 8 , punto 3 ) . Non c ' è traccia di ciò nel documento del G8 , per dare qualche soddisfazione ai russi . Ma se ai kosovari può bastare una forte presenza Nato anche solo nella loro provincia , certamente non rinunceranno al referendum . Prima di immaginare la ricostruzione del Kosovo e dell ' intera regione bisognerà insomma aver trovato un accordo esplicito - anzitutto fra noi occidentali , e quindi fra noi e i russi - sulla nuova carta geopolitica dei Balcani , nella quale una Serbia si spera emancipata dal suo fallimentare regime dovrà comunque avere un ruolo centrale . A questo dovrebbe anzitutto servire la Conferenza internazionale proposta da Prodi . Altrimenti costruiremo castelli di sabbia e getteremo al vento i soldi del contribuente . Sono alte le vette da scalare , se vogliamo che questa del Kosovo sia l ' ultima delle guerre di successione jugoslava e non il prologo dell ' ennesimo massacro annunciato ( in Macedonia , in Montenegro , nel Sangiaccato ? ) . Alla prova del fuoco l ' Italia si è rivelata più matura di quanto potessimo temere . Abbiamo saggiamente cercato di evitare la guerra , prima , e abbiamo altrettanto saggiamente evitato di disertare il nostro campo , durante . Abbiamo anzi indicato per primi la strada verso la pace , che non poteva non passare per la Russia e per la rianimazione del fantasma delle Nazioni Unite . Ci attende ora l ' esame più difficile , quello del dopo . Se lo passeremo , renderemo meno insensate le tragedie di questi mesi e conquisteremo sul campo quel ruolo di pilastro dell ' Unione europea che i più scettici fra i nostri partner continuano a negarci .
Quei tristi dopoguerra nei Balcani ( Rumiz Paolo , 1999 )
StampaQuotidiana ,
" Quando lo ammazzi , il maiale scalcia dappertutto " . Ljubomir , 53 anni , profugo serbo in Ungheria , risponde senza pensarci un attimo alla domanda se davvero arriverà la pace . Tramonta il sole sul Danubio e , per rendere l ' idea , l ' uomo mima l ' agonia dell ' animale tirando all ' aria pugni e calci tremendi . Il maiale come metafora è molto usato nei Balcani , con varianti sinistre . A Srebrenica , nel '95 , per spiegare ai Caschi blu olandesi che la città era presa , il generale Ratko Mladic - prima di dedicarsi alla liquidazione di ottomila musulmani - fece scannare un porco e lo appese a un albero come ammonizione . Ai nostri dubbi sul futuro dell ' area , i balcanici rispondono spesso con saggezza contadina . Ljubo è membro attivo dell ' opposizione democratica e il suo concetto è tagliente . Primo : il sacrificio s ' ha da fare , o non se ne esce . Secondo : il sangue schizzerà intorno , toccherà i Paesi vicini . Spiega : " La vostra civiltà delle bombe intelligenti deve ancora capire che non ci sono guerre etiche , che ci sono lavori in cui è impossibile restare puliti " . Poi torna al maiale : " L ' agonia - dice - è il momento più pericoloso " . Pochi anni fa , uno scrittore serbo già ammoniva : per uccidere il vampiro puoi solo piantargli un paletto nello sterno . Ma non dimenticare che reagirà con vitalità inattesa . Se pensasse solo al sacrificio del Capo supremo , Milosevic , Ljubo non parlerebbe di maiali ma di capri espiatori . Lui pensa a ciò che sta dietro al Capo , ai privilegiati del feudalesimo comunista che hanno trascinato al suicidio una nazione intera solo per conservare il potere . Sa che oltre ai veleni , la propaganda , i trucchi , i silenzi e i camaleontismi del Boss c ' è un sistema malato capace di tutto . È ciò che resta della " Nuova classe " identificata già negli anni Sessanta da Milovan Djilaa , il delfino di Tito : quella dei burocrati - ladri . Ecco allora i maiali , gli stessi di Orwell ne " La fattoria degli animali " . Per spazzarli via , il lavoro sarà lungo e difficile . Quanto durerà ? " Due anni , forse più " . Il serbo gela senza esitazioni le speranze dell ' Europa . " Quelli faranno di tutto per restare . I più furbi si trasformeranno in democratici . I peggiori , invece , incendieranno uno alla volta il Montenegro , la Vojvodina , il Sangiaccato . E alla fine , quando non ci sarà più niente da buttare all ' aria , metteranno i serbi contro i serbi . Non so se l ' Occidente saprà gestire questo casino e imporre una democrazia reale . Forse lascerà che la Serbia scompaia dalla carta geografica . Per questo me ne vado e non torno più " . Il nome Ljubomir significa : " Colui che ama la pace " . Un ' intera generazione di jugoslavi ebbe nomi simili dopo il '45 . Branimir , " Il difensore della pace " ; Zivomir , " Viva la pace " ; Mirna , " La pacifica " ; Miroslava , " Colei che celebra la pace " . A giudicare dai battesimi , nessun popolo europeo ha bramato la pace come gli jugoslavi nel dopoguerra . Eppure , proprio in quel dopoguerra si gettarono le basi del conflitto di oggi . La retorica esistenziale della fratellanza e unità sommerse tutto : ieri impedì il riesame critico delle stragi etniche tra jugoslavi e oggi ha consentito ai nazionalisti di riempire di veleni il grande vuoto di quella rimozione . Anche i nomi propri della pace nascono da una grande rimozione ? Forse , essi non erano solo auspicio e scaramanzia , ma anche il segno di una paura inconfessata : quella che gli slavi hanno di se medesimi , della parte buia della loro anima . Nessuno teme i balcanici come i balcanici stessi . Scrive il romeno Emil Cioran : in noi c ' è " il gusto della devastazione , del disordine interno , di un universo simile a un bordello in fiamme " . Senza contare " quella prospettiva sardonica sui cataclismi avvenuti o imminenti , quell ' asprezza , quel far niente da insonne o da assassino ... " . E il serbo - ungherese Danilo Kis intravvide nel Paese profondo un nucleo minoritario - ma devastante e inestirpabile - di aggressività . Scrisse : " È vero , siamo primitivi , ma essi sono selvaggi ; se noi ci ubriachiamo , essi sono alcolizzati ; se noi uccidiamo , essi sono tagliagole " . " Oggi - racconta Ljubo - comunque vada a finire , i miei nipoti non avranno quei nomi . In Bosnia ho visto troppi assassini chiamati come angeli " . E poi , si chiede il serbo , come può esserci pace se non c ' è mai stata una guerra ? Nelle guerre vere gli eserciti si scontrano in battaglie campali . Dopo la catarsi finale - ha scritto l ' albanese Kadaré - esse emettono misteriosamente un " bang " di energia positiva , da cui nasce la ricostruzione . Nei Balcani , stavolta , non andrà così . C ' è stato solo un latrocinio infinito , un pauroso accumulo di energia negativa . Una miscela esplosiva fatta di stanchezza , disillusione , avvilimento e paura . E nelle scuole i libri di storia già inoculano nei bambini letali pregiudizi etnici forieri di nuove instabilità . " La guerra è niente - taglia corto l ' uomo - il peggio comincia dopo . Vedrete " . A Sarajevo , nell ' ora viola in cui le rondini si calano dal monte Trebevic e fanno ressa attorno ai minareti , Jasna , quarantacinquenne professoressa di matematica senza lavoro , non esce più con le amiche al caffè . Non è solo perché non ha più soldi per pagarselo . È anche perché non sopporta i nuovi avventori . I ristoranti sono pieni sempre della stessa gente . Solo stranieri : soldati americani imbottiti di valuta , spocchiosi e superpagati funzionari di organizzazioni internazionali , operatori umanitari governativi col loro carico di elemosine , diplomatici con le loro corti , retroguardie di giornalisti - guardoni . Niente sarajevesi nell ' allegra brigata ; tranne la solita corte di belle ragazze in cerca di dollari e compagnia . Jasna sa che in Bosnia non si spara da quasi quattro anni , ma sa anche che questa pace le fa schifo . È peggiore della guerra . A Sarajevo , la guerra di resistenza aveva esaltato , per un po ' , almeno l ' identità del luogo . Mai essa aveva umiliato la città come questa pace paradossale fra separati in casa che trasforma la Bosnia in una colonia e i bosniaci in zulù . " Sono situazioni - dice - che eccitano i fondamentalismi più delle bombe " . Il piano Marshall non è mai arrivato e Jasna ha perso il lavoro ; parla sei lingue , ma farebbe carte false per pelar patate per il battaglione francese o per la guarnigione italiana . Decine di professionisti alla fame rispondono ogni giorno alle inserzioni di chiunque prometta un visto e improbabili lavori all ' estero , raccontando al telefono la loro miseria personale . Mi dice : " Non è difficile , da Sarajevo , capire come sarà la pace a Belgrado . Con o senza Milosevic al potere , con o senza le bombe della Nato , il prossimo inverno i serbi moriranno . Il fiato della Sava se li porterà via come mosche , senza che i giornalisti scrivano un rigo . Finita la guerra , finirà anche l ' interesse " . Osserva : cosa può fare un Paese senza soldi , senza energia , senza vie di comunicazione , senza infrastrutture , senza classe dirigente ? Le chiedo : e i profughi albanesi quando torneranno ? Risponde : " In Bosnia non è tornato quasi nessuno . Anzi , l ' esodo continua . Il Kosovo è ancora peggio : resterà a lungo terra desolata , luogo di bande armate . Ci vorranno dieci anni almeno per rifare quello che è stato distrutto in tre mesi " . Torneranno gli albanesi ? Lentamente , ma torneranno . " Il tempo è dalla nostra " disse già dieci anni fa un mite " mullah " di Pristina , mentre la polizia di Milosevic bastonava selvaggiamente donne e bambini in corteo . Non disse che gli albanesi avevano dalla loro anche il numero , la demografia ; non disse che il " genocidio " denunciato dai serbi era l ' amplificazione politica una reale soppressione biologica . " Vinceremo col pene ! " gridavano già allora i più estremi degli studenti kosovari , annunciando che avrebbero cacciato i serbi solo facendo figli , senza imbracciare le armi . È finita in tragedia . Ma oggi gli albanesi hanno dalla loro altre armi in più : l ' appoggio della Nato , un piccolo esercito e l ' incrollabile determinazione a tornare in una terra che considerano , ormai , soltanto loro . I pochi serbi rimasti in Kosovo lo sanno bene , e la loro fuga è già cominciata . Sanno che arriverà la resa dei conti , che nessuna forza internazionale potrà proteggerli dalle rappresaglie e da un nazionalismo - quello albanese - sì meno esplicito , meno truculento e visibile , ma certamente non meno implacabile di quello di Belgrado . Così , oggi , dopo essere stati gonfiati di mitologia , ubriacati di politica , affiancati da bande criminali e trascinati in uno scontro suicida , gli uomini che invocarono il nuovo salvatore del popolo serbo si preparano come sei secoli fa a un altro tradimento , a una nuova fuga dal Kosovo , forse definitiva . Dove andranno nessuno sa , visto che il loro Paese non può mantenerli . Saranno , probabilmente , il prossimo problema dell ' Europa . Si avvicina intanto una data fatale : il 28 giugno , anniversario della sconfitta di Kosovo Polje ( 1389 ) e di tante disgrazie serbe . Dieci anni fa , su quel campo di battaglia Milosevic annunciava a un milione di uomini che l ' ora della riscossa era tornata . Ha mantenuto la promessa a metà : la Terra dei merli è vuota di albanesi , ma non c ' è nessuna riscossa da celebrare perché anche i serbi se ne vanno . Chi conosce Milosevic sa che guarda alle ricorrenze in modo superstizioso e maniacale . E sa che , non potendo vivere un trionfo , potrebbe usare il 28 giugno anche per santificare un esodo , drammatizzare una sconfitta solo per farla entrare nel mito come quella del 1389 . Slobo , figlio di genitori suicidi , potrebbe anche scegliere quel giorno per sigillare a suo modo un suicidio nazionale durato dieci anni .
Trattare con l'imputato Milosevic ( Rodotà Stefano , 1999 )
StampaQuotidiana ,
È accettabile una conclusione " non etica " di una guerra " etica " ? Questo interrogativo era già nell ' aria dal momento in cui s ' era definito Milosevic come l ' Hitler dei Balcani . Ed era divenuto più stringente dopo la sua incriminazione per crimini di guerra e contro l ' umanità : si temeva proprio che questo fatto avrebbe reso più difficile , o addirittura impossibile , una conclusione negoziata del conflitto . Si può , infatti trattare con un criminale ? La trattativa sembrava così impigliarsi in un vincolo etico e in un ostacolo giuridico . Ma poi la politica ha fatto sentire forte la sua voce , e la desiderata pace sembra ormai a portata di mano . Tutto semplice , dunque , con la politica che riafferma la sua autonomia dalla morale e la sua superiorità sul diritto ? Anche questa volta bisogna diffidare dalle semplificazioni , dalla voglia di voltare in fretta una pagina sgradevole . La guerra serba lascia sul terreno morti e distruzioni , ma pure problemi aperti , domande in cerca di risposta , che condizioneranno negli anni a venire le forme organizzative del mondo , il destino dei diritti , le sorti della guerra e della pace . Ritorniamo al modo in cui la guerra venne avviata , nel quale si potrebbe essere indotti a ritrovare una logica opposta a quella che sta portando alla sua conclusione . Allora l ' esigenza etica di reagire alla pulizia etnica e l ' affermazione del diritto di ingerenza umanitaria presentavano la politica non nella sua orgogliosa autonomia , ma nelle sembianze dell ' ancella della morale e del diritto . Prima ancora d ' una necessità politica , era l ' imperativo etico e giuridico ad imporre il ricorso alle armi . Subito , però , divennero evidenti le contraddizioni e i limiti dell ' argomento etico e di quello giuridico . Può l ' etica accettare il sacrificio dei civili innocenti ? Può il diritto tramutarsi in indifferenza rispetto al modo in cui i poteri vengono esercitati ? L ' etica impone anche misura , proporzione : più i giorni passavano , più si coglieva lo scarto tra l ' azione bellica e i sacrifici imposti a popolazioni incolpevoli , gli stessi serbi e i kosovari più di prima perseguitati e scacciati . Il diritto è regola , stabilita in anticipo : il " diritto d ' ingerenza umanitaria " che si stava faticosamente costruendo , esige una precisa e preventiva individuazione di chi può esercitarlo , non può mai essere inteso come una sorta di delega in bianco rilasciata a Stati o alleanze perché intervengano dove e quando gli piaccia . Così , dietro lo schermo etico e giuridico ricomparivano , nude , la forza e la spietatezza della politica . Proprio per ricostruire un ' accettabile condizione etica e giuridica , allora , diveniva indispensabile giungere alla conclusione della guerra . Di una superiorità morale della pace hanno parlato tutti i filosofi che si sono cimentati nell ' impresa ardua di dare ad essa una fondazione che potesse farla divenire " perpetua " . Ma , al di là dell ' intima forza di questo principio , vi è un ' urgenza nelle cose che impone di non legare alla vicenda personale di un governante l ' umana sorte di milioni di persone , già destinate e vivere per un tempo non breve in condizioni difficili , in territori devastati e con un ' economia distrutta . Un ' implacabile intransigenza morale avrebbe di nuovo portato a quella mancanza di misura e di proporzionalità che mina la forza dell ' argomento etico . Negare ogni legittimità alla trattativa con Milosevic avrebbe portato ad una situazione nella quale l ' unica via d ' uscita sarebbe stata l ' uccisione del tiranno . Ma trattare non significa assolvere o condonare . Non sto postulando l ' indifferenza della politica rispetto alle regole del diritto ed alle esigenze della morale . Voglio più semplicemente dire che bisogna ritrovare lucidità nel ridefinire le relazioni tra queste diverse sfere , oscurate dalla strumentalità e dall ' approssimazione con cui sono state analizzate in questo drammatico periodo . l ' interlocutore Milosevic rimane l ' imputato Milosevic davanti al Tribunale penale internazionale . Comprendo la difficoltà di accettare questa distinzione , e anche il rischio che ad essa venga rivolta una critica di scarso realismo . Ma queste sono le difficoltà obiettive di una situazione in cui le nuove dimensioni del mondo sfidano le logiche tradizionali , mostrano l ' inadeguatezza di vecchie istituzioni e di vecchi concetti , e la fatica con la quale si cerca di costruire un quadro istituzionale adeguato . Al Tribunale penale internazionale spetta ora il difficile compito di agire con imparzialità , di scrollarsi di dosso il sospetto d ' essere il troppo docile strumento d ' una parte politica . Non è un tribunale dei vincitori , davanti al quale vengono trascinati in catene gli sconfitti . Agisce nel fuoco dei conflitti , e quindi è destinato a fare i conti con le difficoltà di svolgere i processi e soprattutto di far eseguire le condanne , per ragioni che sono tutte dipendenti dalla politica . Si può imprigionare un capo di Stato ? Stiamo così ridefinendo , insieme , le modalità della politica , le regole del diritto , lo spazio dell ' etica . Non ci aggiriamo , soltanto , smarriti , lungo gli incerti confini tra diritto e morale . è pure alla politica , a lungo invocata durante il conflitto serbo come unica alternativa alle armi , che bisogna attribuire un ruolo adeguato , non essendo ormai sufficiente fermarsi all ' affermazione della sua autonomia come irrinunciabile lascito della modernità . Dobbiamo sicuramente guardarci da una politica sottomessa all ' etica in modo da farne puro strumento per imporre valori non condivisi , opprimendo così minoranze e dissenzienti . Ma dobbiamo pure guardarci da una politica ridotta a ragion di Stato , per la quale ogni regola giuridica è impaccio , di cui è legittimo liberarsi . l ' esigenza di legalità è ineliminabile , a livello nazionale e sovranazionale . La guerra in Serbia ha mostrato la debolezza delle istituzioni esistenti , ma non ha smentito , anzi ha reso più urgente e drammatica , la ricerca di una nuova " forma costituzionale " del mondo . Si tratta ora di definire come debba svolgersi questo processo , e chi debba esserne protagonista . Tra le molte definizioni di quest ' ultima guerra , una mi è sembrata particolarmente felice , e inquietante . Si è parlato di guerra " costituente " , così sottolineando come il potere di delineare l ' assetto futuro della comunità internazionale sia sfuggito ai luoghi della democrazia e si sia concentrato in quelli della forza . Proprio a questa deriva bisogna sottrarsi , partendo anche dalla constatazione realistica della debolezza delle istituzioni esistenti , di un ' Onu che sembra al tramonto e di un ' Europa che fatica a manifestarsi . Al tempo stesso , però , non ci si può rifugiare negli schemi che hanno accompagnato altri tempi e altri mondi . Proprio nel momento in cui con violenza tornano a manifestarsi i nazionalismi , non bisogna pensare che di nuovo si sia vincolati dalle logiche della sovranità nazionale . La parabola di questo concetto , così lucidamente investigata da Hans Kelsen già al tempo della prima guerra mondiale , sembra avviarsi verso la sua conclusione . Le dimensioni del mondo non possono più essere chiuse in confini nazionali , anche se continueranno ad essere insidiate da ricorrenti " tribalizzazioni " . Questo vuol dire che a nessuno Stato - nazione può essere attribuito un diritto di vita o di morte sui destini di chiunque . Ma vuol dire anche che dobbiamo contrastare le pretese tribali ed etniche , quando vestono impropriamente i panni di uno dei nuovi diritti collettivi , quello all ' autodeterminazione dei popoli . Si negherebbe , altrimenti , il pluralismo , ritenuto ormai un valore irrinunciabile . Come all ' interno delle comunità nazionali , così nella dimensione internazionale , dobbiamo rifiutare la logica dei ghetti , che produce separazione e distanza dall ' altro , e dunque è terribile matrice di nuovi conflitti .
StampaQuotidiana ,
Sarà stata l ' euforia , certo è che avant ' ieri , all ' annuncio degli accordi di Belgrado , i governanti europei sembravano aver perso la memoria . Solo Gerhard Schroeder s ' è infatti ricordato che quegli accordi erano il frutto di una mediazione , e che a mediare erano stati i russi : " Il merito è di Eltsin " , ha detto il Cancelliere tedesco , " senza il quale sarebbe stato impossibile giungere a questo risultato " . Riconoscere l ' utilità della missione che il 15 aprile Eltsin affidò a Cernomyrdin , era in effetti , da parte dell ' Europa , un atto dovuto . Perché è vero che la guerra balcanica sarebbe comunque - a un certo punto - finita , con l ' esaurirsi delle capacità di resistenza dei serbi : ma quando e come si sarebbe arrivati a quel " certo punto " : tra un mese , due , tre , oppure soltanto con l ' intervento delle truppe di terra ? A questo servono , nel quadro d ' un conflitto , le mediazioni . Ad accorciare lo scontro armato , a limitarne i danni . La missione Cernomyrdin è stata quindi , da questo punto di vista , un successo . Specie se pensiamo agli ostacoli che ha incontrato . Prima il terremoto moscovita di metà maggio ( il licenziamento di Evghenij Primakov , la procedura di " impeachment " nei confronti di Eltsin , l ' ennesima sbandata delle istituzioni russe ) , che sembrava dover azzoppare il mediatore . Bruciarne la credibilità . Poi le bombe sull ' ambasciata cinese a Belgrado , che avevano inceppato per vari giorni i congegni della trattativa . Infine la posizione presa dagli anglo - americani , nelle ultime due settimane sempre più marcata , che mirava non tanto a un cedimento di Milosevic quanto alla sua uscita di scena . quest ' ultimo ostacolo ha rischiato di vanificare gli sforzi di Viktor Cernomyrdin : perché il compito del mediatore era di far raggiungere alle parti in conflitto un compromesso , e non certo quello di portare su un piatto d ' argento , al comando Nato di Bruxelles , la testa di Slobodan Milosevic . E fortuna che a trattare con Cernomyrdin ci fosse il sottosegretario di Stato Strobe Talbott , un uomo che conosce molto bene la situazione russa e si rendeva conto dei vantaggi che non soltanto Eltsin , ma anche l ' Occidente , avrebbero ricavato da un successo d ' immagine della povera Russia . Perché la pretesa di continuare le operazioni belliche sinché Milosevic non fosse , in un modo o nell ' altro , caduto , minacciava di far durare la guerra chi sa quanto ancora . Se la mediazione russa ha potuto superare tanti e difficili intralci , è perché era l ' unica disponibile . Cernomyrdin sarà stato certamente all ' altezza del compito , e molto hanno contato anche l ' aiuto di Talbott e l ' esperienza del presidente finlandese . Ma le ragioni sostanziali della riuscita stanno nel fatto che sul tappeto della crisi balcanica non c ' era altro se non il tentativo russo . Ed è nella cornice di quel tentativo che s ' inserivano da un mese e mezzo tutte le attese , le richieste , le pressioni dei governi europei più preoccupati della brutta piega che la guerra aveva preso : vale a dire i governi di Germania , Italia , Francia . Non ci fosse stata una mediazione russa da incoraggiare e sostenere di fronte allo scetticismo di Washington e Londra , le inquietudini degli europei si sarebbero scaricate all ' interno dell ' Alleanza , e forse ne avrebbero danneggiato la compattezza . Si capisce così che il significato del successo russo oltrepassa di molto la cornice della guerra balcanica . Esso s ' avvertirà infatti su altri due versanti : sulla scena politica russa , e nei rapporti tra Russia e Occidente . Per quel che riguarda quest ' ultimo versante , la prima cosa da dire è che Mosca è stata più vicina agli occidentali che all ' alleato storico , la Serbia slava e ortodossa . Se all ' inizio , infatti , s ' era potuto pensare che Cernomyrdin si sarebbe posto a metà strada tra i contendenti , lavorando ad un compromesso di tipo classico - tale cioè da non scontentare nessuno - , più tardi s ' è visto che egli ha lavorato per giungere alla resa di Slobodan Milosevic . È la resa di Milosevic , infatti , il risultato della mediazione russa . Il risultato cioè che serviva alla Nato , all ' Occidente . Che i russi avessero una maggiore comprensione delle ragioni europee ed americane che non delle ragioni di Milosevic , fu chiaro alla riunione del G8 a Bonn . Lo schema d ' accordo elaborato quel 6 maggio riprendeva quasi totalmente ( anche se restava vago su alcuni punti sostanziali ) le richieste degli alleati . Da quel momento , la Russia aveva già fatto le sue scelte . Aveva capito che la Nato non poteva perdere la partita , e che il mediatore doveva soltanto provarsi a rendere meno severa , disastrosa , la resa dei serbi . Ma nell ' avvicinamento alle posizioni dell ' Alleanza , non c ' era soltanto il desiderio di condurre in porto un ' iniziativa capace di ridare un qualche prestigio alla Russia . C ' era , ormai , una scelta di campo . Su questo conviene essere chiari . Cernomyrdin , e con lui Boris Eltsin , prendevano dei rischi . Sapevano perfettamente che a Mosca la canea dei nazionalcomunisti si sarebbe scatenata contro il " tradimento " ai danni della Serbia , contro Cernomyrdin " lacchè degli americani " , puntando ad elettrizzare gli umori anti - occidentali che pervadono la Russia della crisi permanente . Di questo erano consapevoli , e tuttavia sono sempre rimasti - dopo la scelta compiuta a Bonn - dalla parte degli europei e degli americani . Né avrebbe senso ipotizzare che la linea Eltsin - Cernomyrdin sia venuta soltanto dal bisogno di procurarsi , in cambio d ' una mediazione così sbilanciata , così favorevole agli occidentali , i prestiti del Fondo monetario . Questo ha contato , certo , ma la scelta aveva poi altri significati : non rompere con l ' Occidente , mantenere la Russia all ' interno degli interessi europei , contrastare il nazionalismo isolazionista e rancoroso di tanta parte della società russa . E qui va rammentata l ' atmosfera in cui la Russia ha vissuto l ' inizio dell ' offensiva aerea della Nato . Davvero , come dice Evtushenko , sembrava che " lo scheletro della guerra fredda " fosse uscito dalla tomba . Perché l ' attacco contro la Federazione jugoslava aveva aggravato le frustrazioni della potenza decaduta , rianimato i rottami della tradizione panslavista , messo a fuoco la debolezza e marginalità del ruolo russo in Europa e nel mondo . E se non ci fosse stato Eltsin , il suo tentativo di mantenere l ' aggancio con l ' Occidente così da salvare il salvabile dei suoi ondeggianti , accidentali e spesso disastrosi anni di governo , il gioco era fatto . La lacerazione tra Russia ed Europa si sarebbe compiuta . Le due campagne elettorali che s ' avvicinano ( legislative in dicembre , presidenziali a giugno dell ' anno venturo ) , avrebbero avuto come tema dominante lo spettro d ' una Russia umiliata dall ' Occidente , assediata , in pericolo . Beninteso , il successo della mediazione Cernomyrdin non eviterà che per qualche giorno , dai banchi della Duma , i nazionalcomunisti facciano un gran chiasso contro " il servizio reso all ' imperialismo americano " . Ma quando il polverone si sarà dissolto , i russi che hanno occhi per vedere s ' accorgeranno che la conclusione della guerra balcanica ha consentito al paese un ritorno insperato sulla grande scena internazionale . Ha mostrato che la Russia non è , in ambito politico e diplomatico , il cadavere che tante volte negli ultimi mesi era sembrato . E ha posto le premesse per un rilancio di quell ' integrazione russa con i paesi occidentali , che è la sola strada da percorrere per poter ancora sperare in una rinascita della nazione . Dinanzi a questo tornante dei rapporti tra Russia e Occidente , l ' Europa e l ' America non dovranno permettersi distrazioni . Più volte , nell ' ultimo anno , il disastro russo era parso così ampio e irrimediabile da indurre molti uomini di governo occidentali a pensare che non ci fosse altra soluzione se non tenersi a debita distanza da Mosca . Distanza politica , distanza economica . Ma oggi quest ' atteggiamento non avrebbe senso . Nella più difficile congiuntura che l ' Europa abbia conosciuto dalla fine della Seconda guerra mondiale , il ruolo della Russia è risultato decisivo . E di questo bisognerà tener conto , evitando sinché è possibile che si producano nuove e pericolose divaricazioni tra gli interessi russi e quelli occidentali . La guerra contro Milosevic è costata non poco a Mosca . Essa vedrà nei prossimi giorni forze armate degli Stati Uniti nel cuore dei Balcani , una regione che era stata un tempo d ' influenza russa , poi " grigia " , ma mai marcata da una presenza americana . Essa sa che Bulgaria e Romania , concedendo alla Nato una serie di facilitazioni durante i due mesi di guerra , si sono già molto avvicinate al loro ingresso nell ' Alleanza : ciò che porterà ancora più a ridosso delle frontiere russe un ' organizzazione politico - militare di cui la Russia non fa parte . Nonostante abbiano dovuto pagare questo prezzo , i russi che credono all ' importanza dei legami con l ' Occidente hanno operato perché la guerra finisse con la resa jugoslava . Dimenticarlo sarebbe non solo ingeneroso , ma anche imprudente .
StampaQuotidiana ,
La pace ha un passo zoppo e congedato . Niente fanfare . Era abusivo il nome di guerra , per questa devastazione condotta dall ' alto in basso . Né vera azione di polizia , com ' era necessario , né vera guerra . Un temporale in cui l ' impotenza e l ' onnipotenza si sono date la mano . Dunque si potrà chiamare col nome di pace la sua conclusione , oggi finalmente annunciata ? Le guerre hanno smesso da tanto di essere cavalleresche , tant ' è vero che a morirne sono i civili . Ma finché erano guerre ammettevano anche lo scoppio della pace . Una notizia che correva da uno all ' altro , soldati che risorgevano dal grembo macabro delle trincee buttando via il moschetto e correndo ad abbracciarsi , folla assiepata ai bordi delle strade a sventolare fazzoletti e bandierine , balli e baci regalati dalle belle ragazze . Non so se questa volta ci sarà un momento per dichiarare la pace , e farle festa . Temo di no . Le belle ragazze sono ora le vittime predilette , e le scampate sono le più riluttanti a tornare . Qualcuno firmerà fogli in televisione : spero che non ci sia Milosevic , e che almeno manchi la corrente , ai televisori dei profughi . Guerre e paci moderne sono travestite e ambigue . Non fanno festa , né fraternizzazioni . La pace perde anche lei la sua maiuscola . E stenta , dubbia , amara : si chiede perché la pazzia sia appena avvenuta , e se un ' altra pazzia non sia in agguato . Niente balli nelle strade : tuttavia è la pace . E la fine degli agguati , degli stupri , delle botte , delle fughe , degli sputi . Il ritorno dei cacciati . Lo sgombero delle macerie . Il pellegrinaggio alla ricerca degli scomparsi , delle fosse . I cimiteri ricomposti . Le rovine frugate a trovare le reliquie del mondo di prima , una fotografia , un cucchiaio , un giocattolo . Qualcuno ci sarà che , per orrore e offesa , non vorrà più tornare . Sarà questo , la pace . Lo stupore per un vicino dell ' altra nazione che , a differenza dagli altri , non va via , e l ' incertezza fra l ' odio e il saluto restituito a occhi bassi . L ' incontro con qualche vecchio animale inselvatichito e scampato alla tempesta , una gallina , una gatta restata fedele alla rovina . L ' abitudine da fare a blindati e jeep e persone straniere a serbi e albanesi , arroganti nella carrozzeria intatta e nelle uniformi stirate e nella corsa perpetua , come se stessero precipitandosi a un salvataggio fatale , e invece girano rapidi e a vuoto , come ogni truppa di occupazione , anche la più benvenuta . La voglia di raccontare ciascuno la propria odissea , in cambio di una piccola pazienza per ascoltare il racconto degli altri . La coda a uno sportello di fortuna che restituisca una carta d ' identità . La pace . Non il tempo nuovo , la rinascita , il fervore : semplicemente , la fine , cauta , della paura e dell ' orrore . Non è poco . Vidi l ' arrivo della pace a Sarajevo . Non arrivò . Niente feste . Anzi , dopo crebbero di colpo i suicidi . Però era finita . Finita con le granate , coi cecchini , con le deportazioni , con le taniche d ' acqua trascinate dai vecchi fino all ' ultimo piano , con le candele di falsa cera , col freddo . Si è insieme sollevati , e più offesi , quando è finita . Avranno fatto festa , ieri , a Kukes , o nei boschi intorno a Pec , o a Kragujevac e nella Novi Sad vedova di ponti ? Tutti quegli uomini maschi che abbiamo visto piangere senza controllo , da due mesi . Forse hanno pianto , ancora più che gli altri giorni , ma in un modo diverso . Solo la fine , speriamo non effimera , della " guerra " . Non è poco . Cambieranno cielo e terra . Il cielo era stato confiscato da una migrazione quotidiana di macchine magnifiche e lontane , gloria in excelsis : apparecchi da castigo , con gli occhi bendati . E la terra . E pace in terra . La guerra ormai è affare dei cieli , la terra è invasa dagli assalitori razzisti , scavata di fosse comuni , corsa dai fuggiaschi . La pace riguarda la terra . Dobbiamo avere a cuore le creature umane , uccise , violate , sofferenti . Bisognava soccorrerle , in Kosovo , e bisogna altrove . Il loro ritorno protetto non risarcirà la tempesta furibonda dei due mesi trascorsi , ma almeno non l ' avrà resa solo un ' inutile esibizione . Un popolo destituito , spinto a coprirsi sotto un telo di plastica , vergognandosi di sé ai nostri occhi di spettatori commossi o cinici , si ricostruirà un tetto rosso di tegole : i suoi bambini si riabitueranno un po ' alla volta a disegnare case col fumo che esce dal comignolo , invece che dal rogo dei ripulitori . l ' inverno non li farà tremare . La pace è fatta per gli umani , e poi per le loro case : è domestica . Ma è fatta anche per la terra . Mi piace l ' espressione : torneranno alle loro case - benché bruciate e profanate . Ma non vorrei dire : alla loro terra . La terra merita di essere di tutti - no , neanche : anche in questo c ' è un ' usurpazione . La terra merita di essere di nessuno . Non so per quale inversione di senso , in latino si diceva res nullius , cosa di nessuno , per designare ciò che fosse a disposizione di tutti : come la selvaggina cacciabile . Il punto estremo cui sapevamo arrivare era di dichiarare qualcosa senza padrone - in modo che chiunque di noi umani ne fosse padrone . Con la stessa formula , terra di nessuno , no man ' s land , abbiamo chiamato quelle strisce disboscate che come cicatrici commemorano le nostre guerre e separano le nostre risse : luogo scelto dagli innamorati senza etnia e senza segnaletica , come i due ragazzi di Sarajevo che vi si avviarono mano nella mano . Terra di nessuno , dunque libera ? No : è il punto in cui vi sparano addosso da tutti i lati , con un ' autorizzazione universale . Come sui ponti , e su tutto ciò che congiunge e traduce e traghetta . ( I disgraziati che hanno assassinato d ' Antona non hanno trovato di meglio , per spiegare la loro impresa , che definirlo come una cerniera fra qualcosa e qualcos ' altro ) . La terra non dovrebbe essere di nessuno , neanche di tutti noi , se non reciprocamente . In questi due mesi sarebbe sembrato un lusso e uno scandalo protestare per conto della terra colpita e ferita , con tanto dolore umano : tuttavia bisogna farlo , e augurare pace alla terra . Non dico degli avvelenamenti di terre e acque , che la guerra moderna moltiplica ma la pace provoca anche lei . Dico proprio delle ferite alla terra : della semina di mine , dei crateri di bombe e di schegge , delle sepolture occultate , dei campi e dei boschi distrutti . Fuori dalle città , a sminare la Bosnia provvedono , a vanvera , animali selvatici sopravvissuti o capre slegate . Gli uomini colpiscono la terra e la rendono sterile e inabitabile . Bestemmiano . E anche quando hanno una ragione migliore dalla propria parte , non sanno trovare un modo migliore per perseguirla . La nostra parte , che aveva dalla sua la ragione , è sembrata accanirsi a colpire la terra : come il satrapo persiano che , per superbia , ordinò di fustigare il mare indocile . La terra è docile , accogliente , materna : purché non la recintiamo di filo spinato e non la innaffiamo di sangue . Noi ci stiamo disaffezionando alla terra , dopo averla tanto maltrattata e imbruttita . La bruciamo , le togliamo l ' aria . Lo facciamo alla leggera , in tempo e luogo di pace ; o anche con furia , guerrescamente , con mine a forma di farfalla e proiettili all ' uranio impoverito . Guerra è la storia , pace è la terra . La terra del Kosovo è ancora antica , e antichi gli odii e le vendette di sangue che sembra imporre ai suoi abitatori : campo dei merli , campi di teschi dissepolti . Lì la nostra schiacciante modernità è stata convocata , e ha fatto figura un po ' di cavaliere un po ' di maramaldo . Intanto si rifiniva la costruzione della piattaforma spaziale permanente , grande come uno stadio di calcio , che segnerà una tappa essenziale nel nostro trasloco da un pianeta esaurito . Piattaforme orbitanti , gommoni rattoppati da Valona : è il nostro mondo . Uno dei bambini che hanno già visto Prizren e Blace e Comiso e Narvik forse ora potrà completare gli studi alla Libera università di Pristina , e poi si imbarcherà per Marte . C ' è stato , di nuovo come da dieci anni , l ' orrore di una " pulizia etnica " in Europa : sembrava impensabile . C ' è stato , finalmente , l ' impiego di una forza internazionale a difesa delle vittime e del diritto . un ' azione di polizia internazionale . Dopo la prima sera , il nostro capo del governo pensava che potesse bastare . Non aveva capito , né lui , né noi , né i generali della Nato . è continuato , per suo conto , per inerzia . Poteva davvero venirne una guerra mondiale , forse un impiego dell ' atomica . In fondo , di tutte le grandi conquiste dell ' Uomo , l ' atomica è l ' unica che , usata una volta - a Hiroshima e Nagasaki - è stata tenuta in magazzino . A noi piace usare le nostre scoperte . Ora lo faremo con la genetica : a giocare con le atomiche resteranno i poveracci rifatti , l ' India e il Pakistan . Poteva andare malissimo . Invece , pare , è arrivata la pace . Messaggeri un uomo d ' affari russo , un po ' tozzo , che dice " il diavolo si annida nei dettagli " , e i cronisti pensano che sia un ' idea sua , e un uomo di stato finlandese , vistosamente zoppicante . Va bene così . Era ora che quel bel paese del nord si riscattasse dall ' immeritata categoria che gli era stata cucita addosso : finlandizzazione . Magari ci finlandizzassimo : e invece ci balcanizziamo . Quanto al passo zoppo , sia benedetto , dopo tanto gorgheggiare pro e contro l ' intervento di terra : è così , con quel passo zoppo e congedato , che arriva la pace .