StampaQuotidiana ,
Nel
nostro
caprocronaca
di
ieri
abbiamo
illustrato
un
apparecchio
,
già
in
uso
a
Bonn
,
che
consente
la
gradazione
della
molestia
dei
suoni
,
indicando
quindi
inequivocabilmente
ai
vigili
urbani
i
casi
da
colpire
per
la
difesa
dei
timpani
e
del
sistema
nervoso
dei
cittadini
.
Nella
stessa
giornata
di
ieri
abbiamo
appreso
dal
Vice
Sindaco
on.
Ardizzone
,
nella
sua
qualità
di
Assessore
alla
Polizia
Urbana
,
che
con
provvedimento
in
data
tre
agosto
,
reso
esecutivo
in
data
18
agosto
,
è
stato
disposto
l
'
acquisto
di
due
fonometri
e
la
relativa
ordinazione
è
già
stata
fatta
.
Non
possiamo
che
dare
atto
all
'
Assessore
della
solerzia
con
la
quale
egli
segue
i
progressi
della
tecnica
nel
settore
di
sua
competenza
e
speriamo
che
presto
i
buoni
risultati
pratici
degli
apparecchi
ne
consiglino
l
'
adozione
per
la
maggiore
tranquillità
e
serenità
dei
palermitani
.
StampaQuotidiana ,
[
Mosca
,
L
'
Italia
in
120
vignette
,
Rizzoli
,
pp.
145
,
lire
2.000
]
.
«
Perdonatemi
il
disegno
.
Io
so
fare
soltanto
un
uomo
,
una
donna
,
un
bambino
,
un
cavallo
,
un
elefante
.
Non
troverete
nemmeno
il
cavallo
e
l
'
elefante
.
Soltanto
l
'
uomo
,
la
donna
e
il
bambino
,
riuniti
e
moltiplicati
in
varie
combinazioni
.
Se
le
mie
vignette
valgono
qualcosa
,
è
per
la
battuta
»
.
Così
Mosca
presenta
(
anzi
,
presentava
:
il
libro
è
ormai
in
circolazione
da
mesi
)
una
scelta
del
singolare
diario
illustrato
che
tiene
da
anni
sul
«
Corriere
d
'
Informazione
»
.
Singolare
proprio
perché
il
gusto
della
battuta
gli
fa
compiere
giorno
per
giorno
i
più
singolari
«
salti
della
quaglia
»
ideologico
-
politici
.
È
di
destra
?
Eccovi
la
battuta
sul
ministro
che
«
non
si
dà
delle
arie
,
ma
delle
aree
»
.
È
di
sinistra
?
Eccovi
la
battuta
antisovietica
,
anticomunista
,
la
frecciata
a
Moravia
,
al
cinema
realista
.
È
cattolico
?
Eccovi
,
a
proposito
di
un
cardinale
che
si
occupa
di
donne
in
pantaloni
:
«
Ma
non
ha
argomenti
più
siri
?
»
.
Qualunquismo
,
allora
?
È
l
'
accusa
che
facciamo
a
Mosca
nei
giorni
in
cui
la
sua
vignetta
non
è
di
nostro
gusto
.
La
satira
non
è
gran
che
tenuta
alla
coerenza
,
non
ha
gli
stessi
doveri
della
propaganda
.
Se
esprime
umori
autentici
-
individuali
o
pubblici
-
il
lettore
saggio
dovrebbe
riuscire
a
gustarla
anche
quando
essa
,
in
qualche
modo
,
lo
colpisce
.
L
'
umorista
,
a
un
certo
punto
,
ha
un
solo
dovere
:
quello
di
non
vietarsi
la
battuta
,
se
è
bella
,
neanche
quando
essa
(
pesata
su
una
bilancia
privata
)
può
fargli
perdere
un
amico
.
Di
recente
Mosca
ha
dedicato
una
vignetta
ai
frati
di
Mazzarino
.
Ci
si
vede
un
confessore
che
congeda
il
penitente
con
la
formula
:
«
Io
ti
ricatto
nel
nome
del
Padre
ecc
.
,
ecc
.
»
.
Probabilmente
Mosca
va
a
Messa
tutte
le
domeniche
,
e
di
questa
vignetta
,
a
suo
tempo
,
dovrà
accusarsi
in
confessione
.
Però
l
'
ha
fatta
.
A
sfogliarlo
senza
pregiudizi
di
parte
,
il
suo
album
di
vignette
contiene
certo
qualcuna
delle
tessere
che
domani
,
ai
signori
posteri
,
serviranno
a
ricostruire
il
mosaico
dell
'
Italia
d
'
oggi
.
StampaQuotidiana ,
[
Piero
Ottone
,
Fanfani
,
Longanesi
,
pp.
194
,
lire
400;
Adele
Cambria
,
Maria
José
,
Longancsi
,
pp.
158
,
lire
400
]
.
Maria
José
e
Fanfani
,
rispettivamente
per
opera
di
Adele
Cambria
e
di
Piero
Ottone
,
forniscono
il
terzo
e
il
quarto
volume
della
collana
«
Gente
famosa
»
dell
'
editore
Longanesi
(
numero
uno
Sofia
Loren
,
numero
due
Umberto
)
.
L
'
accostamento
tra
«
l
'
unico
uomo
di
Casa
Savoia
»
e
il
nostro
attuale
ministro
degli
esteri
è
puramente
casuale
,
s
'
intende
.
Tra
l
'
altro
,
le
strade
dei
due
personaggi
non
si
sono
mai
incrociate
,
nemmeno
durante
il
fascismo
,
quando
Fanfani
era
un
professorino
in
bilico
tra
il
Vangelo
e
le
corporazioni
ed
elogiava
Mussolini
per
la
conquista
dell
'
Etiopia
e
Maria
José
,
principessa
di
Piemonte
,
pur
essendosi
«
lasciata
tentare
dalla
vanità
dell
'
Impero
»
,
come
tanti
altri
,
continuava
a
ricevere
Umberto
Zanotti
Bianco
e
a
proteggere
la
sua
Associazione
per
il
Mezzogiorno
.
Ambizioni
parallele
.
A
voler
giocare
con
i
paralleli
,
si
potrebbero
mettere
a
confronto
certe
ambizioni
e
il
loro
fallimento
:
di
Maria
José
,
la
velleità
di
diventare
un
polo
d
'
opposizione
al
regime
;
.
di
l
'
anfani
,
il
tentativo
di
presentarsi
come
unico
erede
di
De
Gasperi
;
aspetti
decisivi
della
storia
personale
dell
'
uno
e
dell
'
altra
.
Ma
chi
teorizzasse
su
elementi
tanto
labili
sarebbe
un
ben
debole
teorico
.
Proprio
come
Fanfani
quando
teorizza
sull
'
alternanza
al
potere
di
longilinei
e
di
brevilinei
.
Meglio
lasciar
parlare
i
fatti
,
ciò
che
i
due
autori
fanno
egregiamente
,
la
Cambria
forse
con
uno
zinzino
di
partecipazione
femminile
al
personaggio
e
con
un
'
assenza
di
malignità
in
lei
assolutamente
inattesa
ma
,
nel
caso
,
lodevole
;
Piero
Ottone
con
maggiore
distacco
e
spesso
con
una
calcolata
ironia
.
Il
ritratto
di
Maria
José
è
quello
di
una
principessa
assai
ricca
e
passabilmente
moderna
(
si
vantava
di
avere
un
padre
socialista
)
,
finita
,
grazie
o
per
colpa
di
un
matrimonio
quasi
fatale
,
combinato
un
po
'
da
tutti
quando
i
due
sposi
erano
ancora
bambini
,
nell
'
ambiente
gretto
e
quasi
dialettale
dei
Savoia
;
di
una
straniera
innamorata
dell
'
Italia
che
viene
a
contatto
cori
l
'
Italia
peggiore
,
quella
del
fascismo
,
in
cui
lo
spirito
è
sospetto
;
di
una
moglie
delusa
che
,
conquistata
con
l
'
esilio
«
la
libertà
di
essere
se
stessa
»
,
ha
saputo
contare
per
i
figli
più
del
padre
,
mero
manichino
di
convenzioni
.
Questi
quattro
figli
sono
famosi
per
incidenti
di
macchina
,
spogliarelli
e
amori
contrastati
:
ma
le
loro
abitudini
«
si
inseriscono
nella
norma
dell
'
ambiente
a
cui
oggi
appartengono
:
l
'
international
set
,
o
come
si
vuole
chiamarlo
»
.
(
Quando
il
libro
è
stato
scritto
,
il
giovane
Vittorio
Emanuele
non
aveva
ancora
compiuto
il
raid
su
Napoli
che
ha
fatto
drizzare
le
vertebre
ai
monarchici
italiani
e
ridere
il
resto
del
mondo
)
.
Il
libro
è
ricco
di
testimonianze
dirette
,
citazioni
del
diario
di
Maria
José
,
aneddoti
.
Come
un
leit
-
motiv
ricorre
insistente
,
ad
ogni
proposito
,
il
richiamo
della
distinzione
che
Maria
José
ha
sempre
tenuto
a
fare
tra
sé
e
i
Savoia
:
atteggiamento
che
finisce
per
parere
,
e
forse
è
,
semplicemente
snobistico
.
E
,
poi
,
come
se
Maria
José
non
volesse
ammettere
di
avere
perso
anche
personalmente
la
partita
.
Ma
non
è
lei
che
va
scrivendo
i
libri
sugli
antenati
di
Umberto
?
Ecco
,
forse
avrebbe
voluto
che
Umberto
avesse
la
stoffa
di
un
Emanuele
Filiberto
.
Il
suo
interesse
per
quelle
vecchie
storie
ha
della
fantasticheria
nostalgica
.
Una
vita
fallita
cerca
il
suo
compenso
il
più
lontano
possibile
dal
nostro
tempo
,
in
un
mondo
puro
e
ideale
,
o
in
un
sogno
da
giovinetta
che
non
vuol
rassegnarsi
al
tramonto
inglorioso
del
suo
principe
azzurro
.
Il
Fanfani
di
Piero
Ottone
è
un
ornino
attivissimo
,
di
scarsi
e
deboli
principi
(
a
parte
l
'
indiscussa
onestà
personale
)
e
di
grandi
ambizioni
,
una
su
tutte
:
quella
di
trattare
da
pari
a
pari
con
i
potenti
della
terra
.
Nel
suo
bagaglio
ha
un
po
'
di
dilettantismo
,
un
bel
po
'
di
tatticismo
,
il
gusto
del
potere
:
per
quel
che
riguarda
il
petrolio
,
l
'
energia
elettrica
e
la
politica
estera
,
più
avventurismo
che
buon
senso
.
Un
uomo
di
cui
il
paese
diffida
.
Un
leader
travolto
dalle
risse
interne
della
Democrazia
Cristiana
.
Dentro
questo
schema
piuttosto
facile
,
o
addirittura
banale
,
cronaca
,
storia
e
pettegolezzo
si
muovono
con
notevole
eleganza
.
Sono
colti
felicemente
i
saggi
linguistici
rivelatori
di
taluni
tipici
difetti
fanfaniani
,
per
esempio
l
'
ampollosità
:
«
Non
drizzeremo
mai
la
nostra
prora
verso
il
mare
di
Moscovia
,
né
verso
bracci
più
o
meno
noti
che
in
esso
possono
in
definitiva
sboccare
»
.
Fanfani
scrittore
fa
anche
di
peggio
:
per
dire
(
nella
«
Pieve
d
'
Italia
»
)
che
era
faticoso
camminare
in
discesa
,
scrive
che
«
le
proprie
gambe
...
in
verità
dovevano
impegnarsi
seriamente
,
più
che
nell
'
azione
di
moto
,
in
quella
di
freno
del
moto
»
.
Conclusioni
ragionevoli
Rendono
miglior
giustizia
a
Fanfani
le
ultime
pagine
del
libro
in
cui
,
abbandonata
ogni
pretesa
di
liquidare
il
personaggio
mostrando
solo
i
suoi
punti
deboli
o
i
suoi
errori
(
alcuni
dei
quali
,
inoltre
,
sono
errori
per
Ottone
e
per
una
certa
parte
politica
e
meriteranno
un
'
analisi
più
serena
)
,
gli
si
riconosce
il
merito
di
essere
stato
,
da
giovane
,
«
l
'
esponente
nella
democrazia
cristiana
di
una
sinistra
moderata
,
che
si
ispirava
in
parte
a
Keynes
,
in
parte
a
San
Francesco
»
;
di
non
aver
voluto
«
diventare
il
portavoce
degli
interessi
costituiti
»
;
di
aver
propugnato
in
anticipo
sugli
altri
la
politica
di
centro
-
sinistra
,
eccetera
.
«
Può
darsi
infine
-
scrive
l
'
Ottone
-
che
l
'
avvenire
ci
tenga
in
serbo
il
Fanfani
migliore
»
.
Insomma
,
un
libro
divertente
,
in
parte
ingiusto
e
in
parte
,
com
'
è
inevitabile
,
dominato
dalle
convinzioni
politiche
dello
scrittore
.
StampaQuotidiana ,
Napoli
,
luglio
.
-
Giorni
fa
sono
state
celebrate
le
nozze
di
Laura
Lauro
,
figlia
del
noto
armatore
,
col
dott.
Dufour
,
di
altrettanto
nota
famiglia
d
'
industriali
genovesi
.
La
cerimonia
si
è
svolta
con
grande
sfarzo
nella
basilica
di
San
Francesco
di
Paola
,
di
fronte
all
'
ex
Palazzo
Reale
,
e
si
è
conclusa
con
un
ricevimento
a
Villa
Lauro
,
cui
hanno
partecipato
trecento
persone
,
«
il
più
eletto
e
rappresentativo
nostro
mondo
»
,
dichiaravano
l
'
indomani
i
giornali
locali
.
Villa
Lauro
,
celebre
per
i
suoi
saloni
come
per
gli
arazzi
di
Beauvais
che
fanno
parte
della
raccolta
Lauro
,
si
trova
in
via
Crispi
,
una
delle
più
belle
e
nitide
strade
di
Napoli
,
intramezzata
da
numerosi
giardini
guardati
da
cani
lupo
potenti
,
che
spesso
,
la
notte
,
si
avventano
contro
i
cancelli
,
invasi
dal
timore
che
qualcuno
possa
attentare
ai
legittimi
beni
dei
proprietari
.
Ma
gli
stessi
cani
hanno
mugolato
l
'
altro
ieri
di
gioia
al
passaggio
degli
sposi
,
che
attraversavano
il
giardino
per
raggiungere
la
macchina
che
li
avrebbe
condotti
al
porto
,
e
hanno
trovato
che
,
sotto
il
dolce
e
sfolgorante
cielo
estivo
,
e
vestiti
così
squisitamente
,
gli
uomini
sono
veramente
un
'
altra
cosa
,
e
,
come
annunzia
la
stampa
napoletana
,
meritano
il
nome
di
«
eletti
»
.
Cara
stampa
napoletana
!
Questa
parola
è
la
sua
prediletta
,
e
non
osiamo
pensare
cosa
accadrebbe
dei
compilatori
delle
liete
cronache
locali
,
se
improvvisamente
dovessero
farne
a
meno
!
Comunque
,
eletti
sposi
ed
eletto
parentado
sono
stati
fotografati
perfettamente
,
e
al
mio
ritorno
a
Napoli
ho
potuto
ammirarli
sulla
terza
pagina
di
un
quotidiano
che
un
operaio
seduto
nella
direttissima
davanti
a
me
,
teneva
aperto
fra
due
mani
dalle
unghie
spezzate
:
«
Gli
sposi
partiranno
per
Capri
,
prima
tappa
della
loro
luna
di
miele
...
»
.
Questa
Capri
rimane
davvero
l
'
ultimo
grido
in
fatto
di
divertimenti
europei
,
se
si
pensa
che
ci
si
va
persino
da
Napoli
,
di
gente
come
i
Lauro
che
ci
sarà
stata
mille
volte
,
d
'
inverno
come
d
'
estate
.
Capivo
il
silenzio
profondo
e
pieno
di
chissà
che
lenti
pensieri
dell
'
operaio
.
Qui
,
a
Napoli
,
Capri
come
il
mare
e
le
altre
isole
,
sono
distribuite
solo
in
dose
minima
alla
popolazione
.
Un
impiegatuccio
del
Demanio
sarà
stato
a
Capri
,
per
esempio
,
tre
volte
nello
spazio
dei
suoi
quarant
'
anni
.
L
'
impiegata
del
4°
sportello
dell
'
Ufficio
Raccomandate
della
Posta
Centrale
,
una
volta
sola
,
da
bambina
,
e
ora
conta
56
anni
.
In
quanto
al
mare
,
un
vero
esercito
di
bambini
,
la
leva
napoletana
del
'40
,
ne
ha
solamente
sentito
parlare
.
Sono
i
bambini
della
vecchia
Napoli
,
quella
bassa
,
tra
il
Reclusorio
e
i
vicoli
di
Toledo
,
che
si
rinnovano
come
gli
scarafaggi
e
hanno
tutti
i
diritti
della
polvere
.
Di
solito
,
vanno
al
mare
quando
hanno
raggiunto
i
quindici
anni
;
scappano
con
un
compagno
,
prendono
una
barca
.
Qualche
volta
affogano
,
altre
si
ammalano
di
tifo
,
perché
non
si
convinceranno
mai
che
certe
zone
marine
ricevono
i
rifiuti
della
città
.
Quello
che
racconta
qualcuno
,
che
il
mare
non
bagna
Napoli
,
è
esatto
.
Queste
onde
famose
sono
inaccessibili
,
salvo
che
per
alcune
categorie
di
persone
;
per
le
altre
,
diletto
e
rischio
,
o
almeno
una
enorme
stanchezza
,
sono
indivisibili
.
Costa
,
costa
molto
fare
i
bagni
a
chi
vive
in
via
Tribunali
o
a
Forcella
,
e
non
dispone
che
di
duecento
lire
giornaliere
per
i
suoi
vizi
.
E
,
di
solito
,
non
ci
si
va
,
le
duecento
lire
vengono
impiegate
in
altro
uso
:
fiorilli
,
paste
cresciute
,
un
caffè
,
qualche
nazionale
...
da
consumare
in
piedi
nella
friggitoria
affocata
...
da
bere
appoggiandosi
al
banco
nella
rosticceria
ronzante
di
mosche
...
da
accendere
all
'
ombra
dei
cornicioni
e
dei
bucati
,
nelle
stradine
fitte
di
popolo
che
dorme
,
che
mangia
,
che
vende
,
che
sogna
...
Mille
apparecchi
radio
sono
in
agguato
dentro
ciascun
basso
di
una
via
,
altrettanti
grammofoni
lavorano
con
una
intensità
che
ha
del
febbrile
a
ribadire
nella
testa
della
povera
gente
il
concetto
:
«
Napule
e
niente
cchiù
»
oppure
:
«
chistu
mare
a
Margellina
»
...
Ho
domandato
al
facchino
che
mi
ha
preso
la
valigia
alla
stazioncina
di
Bagnoli
come
fosse
finita
la
storia
dell
'
Ilva
:
«
Finita
?
»
mi
ha
chiesto
a
sua
volta
.
«
È
finito
il
lavoro
,
questo
sì
»
.
«
E
i
forni
?
»
«
Per
ora
stanno
accesi
.
Gli
operai
rimasti
stanno
vicino
ai
forni
,
e
li
tengono
accesi
.
Questo
fanno
.
Gli
altri
,
a
casa
,
passano
il
tempo
a
ricordare
i
fatti
dell
'Ilva.»
È
un
pianto
,
per
Bagnoli
,
lo
so
,
lo
sapevo
prima
di
partire
,
ma
credevo
che
al
mio
ritorno
qualche
cosa
sarebbe
mutata
.
«
Niente
è
mutato
»
mi
dice
il
vecchio
posando
un
momento
la
valigia
per
asciugarsi
la
fronte
.
«
A
Napoli
non
muta
mai
niente
.
Volevano
diminuire
le
paghe
,
questo
io
penso
,
perciò
hanno
licenziato
.
Poco
alla
volta
intorno
all
'
Ilva
crescerà
l
'erba.»
Con
un
fazzoletto
rosso
e
blu
,
dove
sono
stampati
per
lo
meno
dieci
Vesuvi
color
viola
,
si
asciuga
la
fronte
.
«
Questa
è
Napoli
nostra
»
dice
.
«
Tutto
può
avvenire
.
La
gente
è
come
se
fosse
morta
.
È
tutta
schiacciata
.
Niente
le
può
fare
più
male
.
E
poi
ha
i
Santi
,
le
canzoni
...
»
Mentre
parlava
,
un
Santo
veniva
infatti
avanti
,
sulla
via
di
Bagnoli
,
preceduto
da
una
piccola
banda
e
seguito
da
una
frotta
di
ragazzi
.
Era
Antonio
di
Padova
,
in
cartone
,
con
un
'
aureola
lucente
intorno
alla
testa
e
un
manto
stranissimo
sulle
spalle
;
che
si
muoveva
lentamente
,
con
un
lieve
riflesso
azzurro
e
rosato
,
nel
vento
di
mare
.
Ci
fermammo
ed
aspettammo
che
passasse
:
quel
manto
era
composto
di
biglietti
da
cinquecento
e
da
mille
,
rattoppati
o
fiammanti
,
e
anche
da
carte
da
dieci
,
da
cinque
,
fra
cui
qualche
am
-
lira
.
Una
meraviglia
.
«
Il
mese
di
giugno
è
tutto
dedicato
a
sant
'
Antonio
»
mi
spiegò
il
facchino
seguitando
ad
asciugarsi
il
sudore
col
suo
fazzoletto
pieno
di
Vesuvi
.
«
Il
mese
di
maggio
fu
per
la
Madonna
.
In
luglio
avremo
sant
'
Anna
...
poi
san
Gennaro
.
Fanno
un
sacco
di
soldi
,
e
perdonano
tutti
i
peccati
.
»
Pensavo
alle
coltellate
di
cui
è
piena
la
cronaca
dei
quattro
o
cinque
quotidiani
cittadini
,
le
amanti
con
la
gola
tagliata
dalle
contadine
di
Agerola
o
Barra
;
quei
corpi
insanguinati
,
gli
urli
nei
vichi
,
i
«
Maronna
!
»
e
gli
«
Aiutatemi
!
»
,
e
la
gente
che
accorre
senza
intervenire
e
commenta
estasiata
;
poi
il
tassì
,
il
corpo
di
guardia
dei
Pellegrini
,
il
viso
annoiato
del
sanitario
di
turno
:
«
recisione
della
carotide
»
;
pensavo
al
disoccupato
per
vocazione
o
per
forza
,
che
continua
a
mettere
il
disco
Mappatella
,
lassù
al
terzo
piano
,
e
aggiunge
un
'
altra
voce
alla
enorme
confusione
della
città
.
Pensavo
alle
impiegate
della
Centrale
,
curve
,
tutte
pallide
e
spettinate
,
sui
fasci
di
bollette
,
sui
registri
,
sui
timbri
dietro
gli
sportelli
delle
Raccomandate
.
Pensavo
anche
a
Laura
Lauro
,
chissà
perché
,
e
a
queste
nostre
cronache
mondane
brulicanti
di
elette
signore
,
fitte
di
elenchi
interminabili
di
principi
,
di
diplomatici
e
di
industriali
che
scendono
al
Vesuvio
o
s
'
imbarcano
per
Capri
e
all
'
opinione
espressa
da
un
avvocato
romano
sul
pullman
azzurro
diretto
a
Roma
,
mentre
la
radio
trasmetteva
la
cronaca
letteraria
:
«
A
Napoli
,
col
turismo
,
voi
non
ci
sapete
fare
.
Uno
dei
provvedimenti
più
urgenti
consisterebbe
nell
'
istituire
subito
un
servizio
di
polizia
speciale
per
la
tutela
delle
vie
Caracciolo
e
Partenope
.
I
vostri
mendicanti
non
debbono
farsi
vedere
per
quelle
strade
,
se
volete
riavere
degli
stranieri
»
.
E
io
che
rispondevo
gentilmente
:
«
Ha
perfettamente
ragione
:
DDT
o
galera
»
.
La
sera
stessa
sono
andata
a
trovare
il
mio
amico
C
.
Era
seduto
al
solito
posto
sul
divano
rotto
nella
sua
casa
di
via
Mergellina
,
e
guardandosi
le
mani
simili
a
rametti
spogli
pensava
all
'
artrite
.
Speravo
che
avesse
dei
soldi
,
così
avremmo
bevuto
del
vino
,
ma
non
ne
aveva
.
«
Sono
appena
le
nove
e
mezza
»
mi
ha
detto
,
«
abbiamo
fiducia
,
aspettiamo
;
può
darsi
che
arrivino
gli
amici
.
»
Questi
amici
,
gruppo
di
appena
tre
o
quattro
persone
,
fra
cui
due
impiegati
,
un
operaio
e
un
maestro
elementare
,
di
solito
possiede
somme
superiori
alle
cinquanta
lire
,
ma
questa
volta
niente
.
Una
volta
entrati
,
hanno
chinato
il
viso
davanti
all
'
amara
delusione
espressa
da
tutto
il
magrissimo
volto
di
C
.
;
poi
,
in
silenzio
,
uno
per
uno
,
sono
usciti
nel
giardinetto
che
fronteggia
la
via
,
e
si
sono
seduti
sugli
scalini
.
Li
abbiamo
seguiti
,
il
buon
C
.
ed
io
,
e
anche
noi
ci
siamo
seduti
sugli
scalini
,
e
guardavamo
una
enorme
luna
rosea
,
sospesa
come
un
palloncino
di
gomma
sul
mare
nero
di
Mergellina
,
quando
a
un
tratto
,
sotto
quella
luna
,
chi
vediamo
?
Preceduto
dall
'
improvviso
scoppio
di
una
banda
,
ripassava
quel
sant
'
Antonio
,
o
un
suo
fratello
,
che
avevo
incontrato
la
mattina
a
Bagnoli
.
La
sua
testa
e
il
Bambino
che
reggeva
in
braccio
facevano
"
ma
sì
,
ma
sì
"
,
sotto
la
lampada
stranissima
della
luna
.
Il
mantello
di
biglietti
di
banca
da
cinquecento
e
mille
lire
si
muoveva
dolcissimamente
,
come
una
crosta
enorme
,
alle
spalle
della
statua
.
Avanti
veniva
la
banda
,
ululando
santi
inni
.
Poi
la
statua
.
Dietro
la
statua
un
po
'
di
preti
con
una
mantellina
nera
piena
di
stelline
di
carta
dorata
,
e
dei
giovanottini
in
tonaca
rossa
,
uno
con
un
asciugamano
al
collo
,
sostenendo
qualche
stendardo
e
badando
a
riappiccicare
,
di
tanto
in
tanto
,
i
biglietti
più
piccoli
che
sembravano
male
appuntati
.
Tutti
davanti
al
cancello
,
in
piedi
,
cercavamo
di
distrarre
C
.
,
il
cui
volto
si
era
fatto
improvvisamente
avido
,
ispirato
,
pieno
di
una
suggestione
terribile
,
fissando
il
meraviglioso
mantello
.
E
avevamo
ragione
di
temere
perché
nell
'
attimo
che
il
corteo
è
passato
davanti
al
giardinetto
,
un
braccio
lunghissimo
,
il
braccio
sospetto
di
artrite
del
nostro
amico
,
si
è
allungato
a
un
tratto
fra
le
sbarre
,
nel
gesto
di
chi
desidera
afferrare
.
Dieci
braccia
hanno
fatto
abbassare
quello
di
C
.
Erano
tutti
intorno
a
lui
,
gli
amici
teneri
,
preoccupati
,
con
una
punta
di
rimprovero
,
oltretutto
si
vergognavano
.
E
di
colpo
C
.
è
scoppiato
a
ridere
e
diceva
:
«
Ma
sì
,
ma
sì
»
anche
lui
,
«
facevo
solo
per
scherzare
,
s
'
intende
.
Non
avrei
toccato
neppure
una
lira
»
.
Ma
i
suoi
bellissimi
occhi
erano
diventati
ormai
irrimediabilmente
tristi
,
lucidi
,
come
per
febbre
;
e
per
tutto
il
resto
della
sera
è
rimasto
chiuso
in
un
infantile
crucciato
silenzio
.
Così
sono
passate
le
prime
ore
del
mio
soggiorno
napoletano
.
Più
tardi
,
mentre
la
luna
tramontava
,
sono
scoppiati
non
si
sa
da
che
parte
,
se
dal
Vomero
o
da
Posillipo
,
i
primi
colpi
e
le
luci
colorate
dei
fuochi
di
artificio
.
Sembrava
la
guerra
,
e
sembrava
anche
la
pace
,
íl
triste
sonno
in
cui
dorme
Napoli
.
StampaQuotidiana ,
La
morte
di
massa
ha
un
tanfo
dolciastro
,
quasi
speziato
,
di
terra
,
sudore
,
pelli
e
fiori
che
fermentano
.
Era
fatale
che
ci
prendesse
alla
gola
dopo
tre
mesi
di
guerra
"
pulita
"
,
stellare
,
televisiva
.
Ora
,
è
importante
che
quell
'
odore
ci
si
stampi
nelle
narici
.
È
la
sola
cosa
capace
di
perforare
la
nostra
incredulità
,
la
rimozione
,
il
rifiuto
;
l
'
unica
breccia
nella
nostra
memoria
corta
.
In
mezzo
a
troppi
fotogrammi
,
è
l
'
unico
messaggio
dei
sensi
ancora
capace
di
dirci
che
è
tutto
vero
.
Ci
venne
addosso
per
la
prima
volta
a
Vukovar
,
nel
novembre
di
otto
anni
fa
.
Ci
aggredì
all
'
indomani
della
prima
ecatombe
europea
dopo
il
1945
.
E
richiamò
sul
Danubio
tutti
i
corvi
della
pianura
.
La
morte
ci
insegue
da
allora
,
sempre
con
gli
stessi
miasmi
.
Eppure
,
da
allora
a
ogni
fossa
che
si
riapre
,
abbiamo
sempre
bisogno
di
chiedere
se
davvero
è
accaduto
,
di
sentirci
dire
che
è
un
brutto
sogno
.
Forse
,
nel
momento
in
cui
si
gettano
i
fondamenti
della
Nuova
Europa
,
abbiamo
paura
di
riconoscere
in
quelle
fosse
un
po
'
di
noi
stessi
,
i
buchi
neri
di
un
passato
ancestrale
che
le
nostre
raffinate
diplomazie
si
ostinano
a
ritenere
sepolto
.
Dimentichiamo
che
le
tombe
di
massa
fanno
parte
della
nostra
memoria
profonda
,
dell
'
immaginario
e
persino
del
paesaggio
di
questo
nostro
continente
.
L
'
Europa
cammina
,
senza
saperlo
,
su
montagne
di
cadaveri
.
A
Verdun
o
in
altri
luoghi
del
fronte
occidentale
,
impercettibili
rigonfiamenti
indicano
ancora
i
tumuli
di
caduti
senza
nome
.
In
Polonia
e
dintorni
,
spesso
gli
unici
dislivelli
sono
segni
di
morte
.
Simon
Shama
,
professore
di
storia
alla
Columbia
University
e
autore
del
libro
"
Paesaggio
e
memoria
"
,
racconta
dei
"
Kopicc
"
,
montagnole
erbose
panoramiche
,
le
uniche
a
sollevarsi
sopra
la
cupa
muraglia
della
più
antica
foresta
d
'
Europa
,
sopra
i
fiumi
,
le
cicogne
,
le
radure
e
i
comignoli
.
Dalla
Vistola
allo
Yemen
,
punteggiano
la
pianura
fino
al
lontano
orizzonte
.
Gli
innamorati
che
vi
si
baciano
non
sanno
che
sono
tumuli
anch
'
esse
,
terra
portata
da
lontano
a
ricordo
dei
Caduti
.
In
Lituania
la
topografia
della
morte
di
massa
è
segnata
da
una
miriade
di
avvallamenti
sparsi
nei
boschi
.
Dislivelli
di
pochi
centimetri
,
un
metro
al
massimo
.
Segnano
una
delle
pagine
più
dimenticate
della
"
Shoah
"
.
Sotto
,
sono
sepolti
migliaia
di
ebrei
.
Per
anni
,
raccontano
,
la
terra
ha
continuato
a
gonfiarsi
,
a
sfiatare
,
persino
a
illuminare
la
notte
di
pallidi
fuochi
.
Poi
i
corpi
han
trovato
pace
e
la
terra
ha
cominciato
a
cedere
,
disegnando
il
perimetro
della
mattanza
con
impressionante
fedeltà
.
"
Sono
luoghi
terribili
perché
inseriti
in
una
campagna
dolcissima
"
racconta
lo
scrittore
Livio
Sirovich
che
li
ha
percorsi
alla
ricerca
della
famiglia
materna
.
Dice
:
"
Senti
come
quelle
morti
,
lontane
da
un
contesto
cimiteriale
,
abbiano
violentato
un
equilibrio
naturale
vecchio
di
millenni
"
.
Viaggi
verso
Sud
e
ti
accorgi
che
la
dolce
Mitteleuropa
,
con
la
sua
propaggine
balcanica
,
continua
instancabilmente
a
vomitare
morte
,
a
rivelare
fosse
comuni
e
a
delineare
,
con
esse
,
la
geografia
di
un
mondo
multinazionale
destinato
a
implodere
all
'
infinito
,
devastato
com
'
è
dai
nazionalismi
e
dalla
sua
incapacità
di
approdo
a
un
senso
moderno
della
cittadinanza
.
"
Le
fosse
comuni
,
le
stragi
di
oggi
,
emergono
da
questo
retroterra
,
sono
figlie
della
logica
del
sangue
e
del
suolo
applicata
a
un
mondo
dove
ogni
confine
diventa
ingiustizia
"
,
conviene
lo
storico
Giampaolo
Valdevit
,
specialista
della
Questione
Orientale
.
Una
storia
infinita
,
il
segno
di
una
maledizione
dove
il
tempo
sembra
non
avere
più
senso
.
In
queste
stesse
ore
in
cui
si
svelano
gli
orrori
del
Kosovo
,
si
spalancano
in
Slovenia
fosse
comuni
del
1945
,
si
scoprono
presso
Maribor
i
corpi
di
quindicimila
paramilitari
anticomunisti
jugoslavi
in
fuga
da
Tito
e
a
Tito
ignominiosamente
riconsegnati
dagli
inglesi
.
In
Bosnia
,
sulla
riva
sinistra
della
Drina
,
le
fosse
comuni
non
ancora
richiuse
continuano
a
sbadigliare
i
loro
miasmi
come
enormi
,
selvagge
sale
anatomiche
a
cielo
aperto
.
E
mentre
nei
sotterranei
di
Tuzla
migliaia
di
corpi
senza
nome
stanno
lì
da
due
anni
,
allineati
dentro
sacchi
bianchi
,
nell
'
attesa
inutile
che
qualcuno
li
riconosca
e
li
possa
seppellire
,
gli
abissi
delle
foibe
-
a
cinquant
'
anni
di
distanza
dagli
eccidi
-
dividono
ancora
le
memorie
di
sloveni
,
croati
e
italiani
,
permanendo
esse
il
simbolo
dell
'
insulto
estremo
verso
la
morte
dell
'
"
altro
"
,
ridotto
a
spazzatura
,
immondizia
da
discarica
.
In
una
guerra
costruita
sulla
rievocazione
dei
morti
delle
guerre
precedenti
,
è
fatale
che
i
morti
di
oggi
tornino
e
diventino
a
loro
volta
atto
d
'
accusa
e
rivalsa
.
Come
i
corpi
delle
vittime
dei
croati
motivarono
dopo
mezzo
secolo
la
rivolta
serba
del
'91
contro
Zagabria
,
così
oggi
i
corpi
albanesi
disseppelliti
in
Kosovo
sembrano
togliere
ai
serbi
ogni
possibilità
di
ritorno
nella
terra
dei
loro
antenati
.
Quelle
fosse
comuni
dicono
che
a
Belgrado
il
Campo
dei
Merli
rischia
di
essere
perduto
per
sempre
,
che
la
Gerusalemme
serba
potrebbe
restare
in
mano
straniera
in
modo
assai
più
definitivo
che
dopo
la
sconfitta
patita
sei
secoli
fa
per
mano
ottomana
.
E
allora
ci
si
chiede
:
che
senso
ha
avuto
consegnare
alla
comunità
internazionale
prove
così
schiaccianti
dell
'
abominio
?
Cosa
c
'
è
dietro
la
scelta
di
questo
suicidio
di
un
'
intera
reputazione
nazionale
?
Quale
senso
della
realtà
esiste
in
un
apparato
politico
che
tenta
di
spacciare
al
suo
popolo
l
'
illusione
di
una
folgorante
vittoria
al
punto
da
negare
persino
l
'
esistenza
dei
propri
caduti
?
Forse
,
Milosevic
sperava
che
il
Mondo
-
grato
del
suo
ritiro
dalle
terre
del
Sud
-
fingesse
di
non
vedere
,
come
dopo
la
strage
di
Srebrenica
in
Bosnia
,
vigilia
della
pace
di
Dayton
.
Ma
questo
non
spiega
come
mai
Belgrado
oggi
occulti
i
propri
morti
-
che
sono
sicuramente
migliaia
-
proprio
nel
momento
in
cui
si
scoprono
le
tombe
del
"
nemico
"
.
Perché
i
soldati
serbi
caduti
sul
campo
,
contro
l
'
Uck
o
sotto
le
bombe
Nato
,
sono
stati
sepolti
quasi
di
nascosto
?
Quale
rapporto
con
la
morte
scatta
nella
testa
di
un
Capo
che
ha
fondato
tutto
il
suo
potere
sulla
mitologia
di
una
sconfitta
,
quella
del
Principe
Lazar
,
ucciso
secoli
fa
dai
Turchi
appunto
in
Kosovo
?
I
corpi
che
escono
in
queste
ore
dalla
terra
dei
Balcani
pongono
l
'
ultima
domanda
:
quale
delirio
,
quale
smania
di
autodissoluzione
può
avere
spinto
la
Serbia
in
quest
'
avventura
senza
ritorno
?
StampaQuotidiana ,
Confessiamolo
:
avremmo
tutti
una
gran
voglia
di
archiviare
questa
guerra
e
tornare
alle
nostre
domestiche
occupazioni
.
L
'
entusiasmo
un
po
'
troppo
esibito
con
cui
i
leader
europei
hanno
salutato
l
'
accordo
di
pace
tradiva
questa
umanissima
pulsione
.
Ora
,
dopo
la
firma
di
Kumanovo
,
si
spera
di
aver
finalmente
sbrogliato
la
matassa
della
crisi
.
Secondo
il
copione
,
nei
prossimi
giorni
dovremmo
vedere
il
ritorno
sotto
robusta
scorta
atlantica
di
qualche
migliaio
di
profughi
nelle
loro
terre
devastate
.
A
quel
punto
festeggeremo
la
vittoria
.
Poi
i
riflettori
potranno
spegnersi
.
E
ciascuno
tornerà
a
occuparsi
delle
faccende
di
casa
sua
.
E
chi
la
casa
non
ce
l
'
ha
più
?
Chi
ha
perso
tutto
,
anche
la
speranza
,
e
non
ha
i
soldi
per
scapparsene
nel
ricco
Occidente
?
Chi
ha
creduto
nel
nostro
slancio
umanitario
,
nella
nostra
simpatia
per
gli
umiliati
e
gli
offesi
d
'
Oltre
Adriatico
?
Abbiamo
posto
molto
alta
l
'
asticella
degli
obiettivi
bellici
.
Abbiamo
preso
un
impegno
morale
con
gli
albanesi
del
Kosovo
,
salvo
poi
lasciare
che
venissero
deportati
.
Abbiamo
spiegato
ai
serbi
che
non
ce
l
'
avevamo
con
loro
,
ma
con
il
criminale
di
guerra
che
li
ha
mandati
al
macello
,
salvo
poi
seppellirli
sotto
bombe
non
sempre
intelligenti
e
fare
la
pace
con
Milosevic
.
No
,
non
è
il
momento
di
voltare
pagina
.
E
se
proprio
non
riusciamo
a
essere
all
'
altezza
delle
nostre
proclamazioni
morali
,
cerchiamo
almeno
di
non
tradire
i
nostri
interessi
.
Che
sono
molto
chiari
:
o
riusciremo
a
europeizzare
i
Balcani
,
o
ne
saremo
balcanizzati
.
Dopo
tante
insensatezze
,
tanti
orrori
,
osiamo
sperare
che
la
guerra
sia
riuscita
a
risvegliare
nella
nostra
Europa
quel
sano
istinto
di
conservazione
che
ci
dovrebbe
spingere
a
impegnare
ogni
risorsa
a
disposizione
per
ricostruire
i
Balcani
.
Un
'
impresa
quasi
impossibile
ma
senza
alternative
.
Il
vulcano
della
guerra
ha
eruttato
dalle
viscere
di
quella
terra
malata
il
peggio
del
suo
peggio
.
Davanti
alle
nostre
coste
è
affiorato
un
Mezzogiorno
esterno
,
molto
più
povero
e
disperato
del
nostro
.
Questo
nuovo
Sud
penderà
inevitabilmente
verso
di
noi
.
Per
gli
albanesi
,
ma
anche
per
i
serbi
,
i
montenegrini
,
i
macedoni
e
gli
altri
popoli
ex
jugoslavi
,
noi
italiani
siamo
sempre
più
"
Lamerica
"
.
L
'
America
,
quella
vera
,
non
ha
nessuna
intenzione
di
imbarcarsi
in
un
nuovo
Piano
Marshall
.
Troppo
lontani
i
Balcani
per
il
contribuente
di
Cleveland
o
Seattle
,
troppo
forte
il
risentimento
verso
noi
europei
che
ogni
volta
chiamiamo
il
pompiere
americano
a
spegnere
(
?
)
gli
incendi
di
casa
nostra
.
Resta
l
'
Europa
,
certo
.
Vogliamo
credere
che
il
piano
di
ricostruzione
dei
Balcani
sia
più
di
una
lista
della
spesa
,
che
sia
orientato
a
una
visione
regionale
,
che
non
si
riduca
alla
mera
emergenza
.
Vogliamo
anche
sperare
che
i
nostri
partner
dell
'
Europa
centro
-
settentrionale
capiscano
di
aver
sbagliato
quando
ci
lasciarono
quasi
soli
ai
tempi
dell
'
Operazione
Alba
(
in
fondo
,
la
guerra
del
Kosovo
è
anche
frutto
dell
'
insensibilità
europea
per
la
questione
albanese
)
.
E
contiamo
su
Romano
Prodi
,
che
ha
dimostrato
di
essere
perfettamente
consapevole
dei
termini
del
problema
.
Senza
la
Conferenza
per
i
Balcani
,
da
lui
proposta
,
non
ci
sarà
nessuna
soluzione
stabile
per
il
Kosovo
né
per
gli
altri
focolai
di
crisi
nella
regione
.
Europa
o
non
Europa
,
l
'
Italia
resterà
comunque
in
prima
linea
.
Dovremo
fronteggiare
le
conseguenze
dell
'
ennesimo
conflitto
balcanico
,
ci
piaccia
o
meno
.
Chi
pensa
di
poter
nascondere
la
testa
nella
sabbia
,
italicamente
aspettando
che
trascorra
la
nottata
,
avrà
presto
un
risveglio
molto
brusco
.
Perché
questo
Mezzogiorno
esterno
è
destinato
a
saldarsi
con
il
nostro
Mezzogiorno
,
con
l
'
intera
penisola
.
In
senso
positivo
o
in
senso
distruttivo
.
Positivo
,
se
l
'
Italia
e
l
'
Europa
sapranno
proiettarsi
nei
Balcani
per
guidarne
la
lenta
,
dolorosissima
ricostruzione
.
Distruttivo
,
se
ce
ne
laveremo
la
mani
e
ci
lasceremo
travolgere
dai
drammi
balcanici
,
cominciando
dall
'
inevitabile
massiccio
flusso
di
profughi
e
dal
consolidarsi
dei
vincoli
criminali
fra
mafie
nostrane
e
mafie
balcaniche
.
La
trasformazione
del
Kosovo
in
protettorato
internazionale
,
conseguenza
inevitabile
della
guerra
e
degli
accordi
di
pace
faticosamente
negoziati
,
è
condizione
necessaria
ma
tutt
'
altro
che
sufficiente
per
stabilizzare
i
Balcani
.
Per
molti
anni
Oltre
Adriatico
regneranno
ancora
miseria
,
soprusi
,
oppressione
,
con
le
truppe
americane
,
europee
e
russe
nella
parte
degli
sceriffi
,
ciascuno
a
suo
modo
,
nel
Far
West
balcanico
.
In
uno
stringato
inventario
delle
ferite
da
ricucire
,
al
primo
posto
vengono
i
profughi
.
Questa
guerra
ha
aggiunto
al
milione
e
mezzo
di
disperati
,
tra
cui
cinquecentomila
serbi
,
che
ancora
non
sono
rientrati
a
casa
dopo
i
massacri
in
Croazia
e
in
Bosnia
,
un
altro
milione
e
quattrocentomila
di
kosovari
fra
profughi
(
quasi
800
mila
,
sistemati
provvisoriamente
nei
campi
di
Macedonia
,
Albania
e
Montenegro
)
,
emigrati
all
'
estero
(
già
72
mila
)
e
sfollati
interni
,
che
si
aggirano
per
i
boschi
e
i
villaggi
distrutti
(
530
mila
)
.
Agli
albanesi
si
aggiungono
centomila
dei
duecentomila
serbi
del
Kosovo
,
costretti
ad
abbandonare
le
loro
case
.
Molti
seguiranno
,
specialmente
chi
si
è
arruolato
nelle
squadracce
paramilitari
e
vuole
sfuggire
alle
vendette
.
Quanto
agli
albanesi
,
si
presume
che
solo
il
15%
dei
profughi
sarà
in
grado
di
rientrare
in
Kosovo
prima
dell
'
inverno
.
Nel
frattempo
,
le
organizzazioni
umanitarie
sono
alla
caccia
di
30
mila
container
mobili
in
cui
far
svernare
le
vittime
della
pulizia
etnica
.
Le
mafie
locali
hanno
già
studiato
astuti
stratagemmi
per
lucrare
sugli
aiuti
,
per
cui
sarà
necessaria
la
massima
fermezza
per
stroncare
le
speculazioni
sulla
pelle
dei
rifugiati
.
Peraltro
la
guerra
,
oltre
ad
aggravare
la
crisi
umanitaria
che
avrebbe
dovuto
risolvere
,
lascia
completamente
impregiudicata
la
posta
in
gioco
geopolitica
.
Davvero
speriamo
che
l
'
Uck
si
faccia
disarmare
?
Davvero
immaginiamo
che
i
serbi
si
rassegnino
ad
abbandonare
il
Kosovo
ai
loro
arcinemici
albanesi
?
Davvero
crediamo
a
un
Kosovo
"
autonomo
"
,
dunque
a
suo
modo
integrato
nel
sistema
jugoslavo
,
magari
con
gli
albanesi
che
un
giorno
voteranno
per
il
successore
di
Milosevic
?
Favole
.
Gli
albanesi
non
accetteranno
mai
nulla
meno
dell
'
indipendenza
e
gli
estremisti
serbi
-
ancora
più
inveleniti
dalla
guerra
-
ricorreranno
al
terrorismo
pur
di
impedirlo
.
A
Parigi
Milosevic
aveva
respinto
l
'
accordo
per
due
ragioni
:
perché
dava
alla
Nato
il
permesso
di
agire
in
tutta
la
Jugoslavia
(
appendice
B
,
punto
8
)
,
trasformandola
di
fatto
in
protettorato
,
e
perché
prometteva
ambiguamente
ai
kosovari
un
referendum
sull
'
indipendenza
entro
tre
anni
(
capitolo
8
,
punto
3
)
.
Non
c
'
è
traccia
di
ciò
nel
documento
del
G8
,
per
dare
qualche
soddisfazione
ai
russi
.
Ma
se
ai
kosovari
può
bastare
una
forte
presenza
Nato
anche
solo
nella
loro
provincia
,
certamente
non
rinunceranno
al
referendum
.
Prima
di
immaginare
la
ricostruzione
del
Kosovo
e
dell
'
intera
regione
bisognerà
insomma
aver
trovato
un
accordo
esplicito
-
anzitutto
fra
noi
occidentali
,
e
quindi
fra
noi
e
i
russi
-
sulla
nuova
carta
geopolitica
dei
Balcani
,
nella
quale
una
Serbia
si
spera
emancipata
dal
suo
fallimentare
regime
dovrà
comunque
avere
un
ruolo
centrale
.
A
questo
dovrebbe
anzitutto
servire
la
Conferenza
internazionale
proposta
da
Prodi
.
Altrimenti
costruiremo
castelli
di
sabbia
e
getteremo
al
vento
i
soldi
del
contribuente
.
Sono
alte
le
vette
da
scalare
,
se
vogliamo
che
questa
del
Kosovo
sia
l
'
ultima
delle
guerre
di
successione
jugoslava
e
non
il
prologo
dell
'
ennesimo
massacro
annunciato
(
in
Macedonia
,
in
Montenegro
,
nel
Sangiaccato
?
)
.
Alla
prova
del
fuoco
l
'
Italia
si
è
rivelata
più
matura
di
quanto
potessimo
temere
.
Abbiamo
saggiamente
cercato
di
evitare
la
guerra
,
prima
,
e
abbiamo
altrettanto
saggiamente
evitato
di
disertare
il
nostro
campo
,
durante
.
Abbiamo
anzi
indicato
per
primi
la
strada
verso
la
pace
,
che
non
poteva
non
passare
per
la
Russia
e
per
la
rianimazione
del
fantasma
delle
Nazioni
Unite
.
Ci
attende
ora
l
'
esame
più
difficile
,
quello
del
dopo
.
Se
lo
passeremo
,
renderemo
meno
insensate
le
tragedie
di
questi
mesi
e
conquisteremo
sul
campo
quel
ruolo
di
pilastro
dell
'
Unione
europea
che
i
più
scettici
fra
i
nostri
partner
continuano
a
negarci
.
StampaQuotidiana ,
"
Quando
lo
ammazzi
,
il
maiale
scalcia
dappertutto
"
.
Ljubomir
,
53
anni
,
profugo
serbo
in
Ungheria
,
risponde
senza
pensarci
un
attimo
alla
domanda
se
davvero
arriverà
la
pace
.
Tramonta
il
sole
sul
Danubio
e
,
per
rendere
l
'
idea
,
l
'
uomo
mima
l
'
agonia
dell
'
animale
tirando
all
'
aria
pugni
e
calci
tremendi
.
Il
maiale
come
metafora
è
molto
usato
nei
Balcani
,
con
varianti
sinistre
.
A
Srebrenica
,
nel
'95
,
per
spiegare
ai
Caschi
blu
olandesi
che
la
città
era
presa
,
il
generale
Ratko
Mladic
-
prima
di
dedicarsi
alla
liquidazione
di
ottomila
musulmani
-
fece
scannare
un
porco
e
lo
appese
a
un
albero
come
ammonizione
.
Ai
nostri
dubbi
sul
futuro
dell
'
area
,
i
balcanici
rispondono
spesso
con
saggezza
contadina
.
Ljubo
è
membro
attivo
dell
'
opposizione
democratica
e
il
suo
concetto
è
tagliente
.
Primo
:
il
sacrificio
s
'
ha
da
fare
,
o
non
se
ne
esce
.
Secondo
:
il
sangue
schizzerà
intorno
,
toccherà
i
Paesi
vicini
.
Spiega
:
"
La
vostra
civiltà
delle
bombe
intelligenti
deve
ancora
capire
che
non
ci
sono
guerre
etiche
,
che
ci
sono
lavori
in
cui
è
impossibile
restare
puliti
"
.
Poi
torna
al
maiale
:
"
L
'
agonia
-
dice
-
è
il
momento
più
pericoloso
"
.
Pochi
anni
fa
,
uno
scrittore
serbo
già
ammoniva
:
per
uccidere
il
vampiro
puoi
solo
piantargli
un
paletto
nello
sterno
.
Ma
non
dimenticare
che
reagirà
con
vitalità
inattesa
.
Se
pensasse
solo
al
sacrificio
del
Capo
supremo
,
Milosevic
,
Ljubo
non
parlerebbe
di
maiali
ma
di
capri
espiatori
.
Lui
pensa
a
ciò
che
sta
dietro
al
Capo
,
ai
privilegiati
del
feudalesimo
comunista
che
hanno
trascinato
al
suicidio
una
nazione
intera
solo
per
conservare
il
potere
.
Sa
che
oltre
ai
veleni
,
la
propaganda
,
i
trucchi
,
i
silenzi
e
i
camaleontismi
del
Boss
c
'
è
un
sistema
malato
capace
di
tutto
.
È
ciò
che
resta
della
"
Nuova
classe
"
identificata
già
negli
anni
Sessanta
da
Milovan
Djilaa
,
il
delfino
di
Tito
:
quella
dei
burocrati
-
ladri
.
Ecco
allora
i
maiali
,
gli
stessi
di
Orwell
ne
"
La
fattoria
degli
animali
"
.
Per
spazzarli
via
,
il
lavoro
sarà
lungo
e
difficile
.
Quanto
durerà
?
"
Due
anni
,
forse
più
"
.
Il
serbo
gela
senza
esitazioni
le
speranze
dell
'
Europa
.
"
Quelli
faranno
di
tutto
per
restare
.
I
più
furbi
si
trasformeranno
in
democratici
.
I
peggiori
,
invece
,
incendieranno
uno
alla
volta
il
Montenegro
,
la
Vojvodina
,
il
Sangiaccato
.
E
alla
fine
,
quando
non
ci
sarà
più
niente
da
buttare
all
'
aria
,
metteranno
i
serbi
contro
i
serbi
.
Non
so
se
l
'
Occidente
saprà
gestire
questo
casino
e
imporre
una
democrazia
reale
.
Forse
lascerà
che
la
Serbia
scompaia
dalla
carta
geografica
.
Per
questo
me
ne
vado
e
non
torno
più
"
.
Il
nome
Ljubomir
significa
:
"
Colui
che
ama
la
pace
"
.
Un
'
intera
generazione
di
jugoslavi
ebbe
nomi
simili
dopo
il
'45
.
Branimir
,
"
Il
difensore
della
pace
"
;
Zivomir
,
"
Viva
la
pace
"
;
Mirna
,
"
La
pacifica
"
;
Miroslava
,
"
Colei
che
celebra
la
pace
"
.
A
giudicare
dai
battesimi
,
nessun
popolo
europeo
ha
bramato
la
pace
come
gli
jugoslavi
nel
dopoguerra
.
Eppure
,
proprio
in
quel
dopoguerra
si
gettarono
le
basi
del
conflitto
di
oggi
.
La
retorica
esistenziale
della
fratellanza
e
unità
sommerse
tutto
:
ieri
impedì
il
riesame
critico
delle
stragi
etniche
tra
jugoslavi
e
oggi
ha
consentito
ai
nazionalisti
di
riempire
di
veleni
il
grande
vuoto
di
quella
rimozione
.
Anche
i
nomi
propri
della
pace
nascono
da
una
grande
rimozione
?
Forse
,
essi
non
erano
solo
auspicio
e
scaramanzia
,
ma
anche
il
segno
di
una
paura
inconfessata
:
quella
che
gli
slavi
hanno
di
se
medesimi
,
della
parte
buia
della
loro
anima
.
Nessuno
teme
i
balcanici
come
i
balcanici
stessi
.
Scrive
il
romeno
Emil
Cioran
:
in
noi
c
'
è
"
il
gusto
della
devastazione
,
del
disordine
interno
,
di
un
universo
simile
a
un
bordello
in
fiamme
"
.
Senza
contare
"
quella
prospettiva
sardonica
sui
cataclismi
avvenuti
o
imminenti
,
quell
'
asprezza
,
quel
far
niente
da
insonne
o
da
assassino
...
"
.
E
il
serbo
-
ungherese
Danilo
Kis
intravvide
nel
Paese
profondo
un
nucleo
minoritario
-
ma
devastante
e
inestirpabile
-
di
aggressività
.
Scrisse
:
"
È
vero
,
siamo
primitivi
,
ma
essi
sono
selvaggi
;
se
noi
ci
ubriachiamo
,
essi
sono
alcolizzati
;
se
noi
uccidiamo
,
essi
sono
tagliagole
"
.
"
Oggi
-
racconta
Ljubo
-
comunque
vada
a
finire
,
i
miei
nipoti
non
avranno
quei
nomi
.
In
Bosnia
ho
visto
troppi
assassini
chiamati
come
angeli
"
.
E
poi
,
si
chiede
il
serbo
,
come
può
esserci
pace
se
non
c
'
è
mai
stata
una
guerra
?
Nelle
guerre
vere
gli
eserciti
si
scontrano
in
battaglie
campali
.
Dopo
la
catarsi
finale
-
ha
scritto
l
'
albanese
Kadaré
-
esse
emettono
misteriosamente
un
"
bang
"
di
energia
positiva
,
da
cui
nasce
la
ricostruzione
.
Nei
Balcani
,
stavolta
,
non
andrà
così
.
C
'
è
stato
solo
un
latrocinio
infinito
,
un
pauroso
accumulo
di
energia
negativa
.
Una
miscela
esplosiva
fatta
di
stanchezza
,
disillusione
,
avvilimento
e
paura
.
E
nelle
scuole
i
libri
di
storia
già
inoculano
nei
bambini
letali
pregiudizi
etnici
forieri
di
nuove
instabilità
.
"
La
guerra
è
niente
-
taglia
corto
l
'
uomo
-
il
peggio
comincia
dopo
.
Vedrete
"
.
A
Sarajevo
,
nell
'
ora
viola
in
cui
le
rondini
si
calano
dal
monte
Trebevic
e
fanno
ressa
attorno
ai
minareti
,
Jasna
,
quarantacinquenne
professoressa
di
matematica
senza
lavoro
,
non
esce
più
con
le
amiche
al
caffè
.
Non
è
solo
perché
non
ha
più
soldi
per
pagarselo
.
È
anche
perché
non
sopporta
i
nuovi
avventori
.
I
ristoranti
sono
pieni
sempre
della
stessa
gente
.
Solo
stranieri
:
soldati
americani
imbottiti
di
valuta
,
spocchiosi
e
superpagati
funzionari
di
organizzazioni
internazionali
,
operatori
umanitari
governativi
col
loro
carico
di
elemosine
,
diplomatici
con
le
loro
corti
,
retroguardie
di
giornalisti
-
guardoni
.
Niente
sarajevesi
nell
'
allegra
brigata
;
tranne
la
solita
corte
di
belle
ragazze
in
cerca
di
dollari
e
compagnia
.
Jasna
sa
che
in
Bosnia
non
si
spara
da
quasi
quattro
anni
,
ma
sa
anche
che
questa
pace
le
fa
schifo
.
È
peggiore
della
guerra
.
A
Sarajevo
,
la
guerra
di
resistenza
aveva
esaltato
,
per
un
po
'
,
almeno
l
'
identità
del
luogo
.
Mai
essa
aveva
umiliato
la
città
come
questa
pace
paradossale
fra
separati
in
casa
che
trasforma
la
Bosnia
in
una
colonia
e
i
bosniaci
in
zulù
.
"
Sono
situazioni
-
dice
-
che
eccitano
i
fondamentalismi
più
delle
bombe
"
.
Il
piano
Marshall
non
è
mai
arrivato
e
Jasna
ha
perso
il
lavoro
;
parla
sei
lingue
,
ma
farebbe
carte
false
per
pelar
patate
per
il
battaglione
francese
o
per
la
guarnigione
italiana
.
Decine
di
professionisti
alla
fame
rispondono
ogni
giorno
alle
inserzioni
di
chiunque
prometta
un
visto
e
improbabili
lavori
all
'
estero
,
raccontando
al
telefono
la
loro
miseria
personale
.
Mi
dice
:
"
Non
è
difficile
,
da
Sarajevo
,
capire
come
sarà
la
pace
a
Belgrado
.
Con
o
senza
Milosevic
al
potere
,
con
o
senza
le
bombe
della
Nato
,
il
prossimo
inverno
i
serbi
moriranno
.
Il
fiato
della
Sava
se
li
porterà
via
come
mosche
,
senza
che
i
giornalisti
scrivano
un
rigo
.
Finita
la
guerra
,
finirà
anche
l
'
interesse
"
.
Osserva
:
cosa
può
fare
un
Paese
senza
soldi
,
senza
energia
,
senza
vie
di
comunicazione
,
senza
infrastrutture
,
senza
classe
dirigente
?
Le
chiedo
:
e
i
profughi
albanesi
quando
torneranno
?
Risponde
:
"
In
Bosnia
non
è
tornato
quasi
nessuno
.
Anzi
,
l
'
esodo
continua
.
Il
Kosovo
è
ancora
peggio
:
resterà
a
lungo
terra
desolata
,
luogo
di
bande
armate
.
Ci
vorranno
dieci
anni
almeno
per
rifare
quello
che
è
stato
distrutto
in
tre
mesi
"
.
Torneranno
gli
albanesi
?
Lentamente
,
ma
torneranno
.
"
Il
tempo
è
dalla
nostra
"
disse
già
dieci
anni
fa
un
mite
"
mullah
"
di
Pristina
,
mentre
la
polizia
di
Milosevic
bastonava
selvaggiamente
donne
e
bambini
in
corteo
.
Non
disse
che
gli
albanesi
avevano
dalla
loro
anche
il
numero
,
la
demografia
;
non
disse
che
il
"
genocidio
"
denunciato
dai
serbi
era
l
'
amplificazione
politica
una
reale
soppressione
biologica
.
"
Vinceremo
col
pene
!
"
gridavano
già
allora
i
più
estremi
degli
studenti
kosovari
,
annunciando
che
avrebbero
cacciato
i
serbi
solo
facendo
figli
,
senza
imbracciare
le
armi
.
È
finita
in
tragedia
.
Ma
oggi
gli
albanesi
hanno
dalla
loro
altre
armi
in
più
:
l
'
appoggio
della
Nato
,
un
piccolo
esercito
e
l
'
incrollabile
determinazione
a
tornare
in
una
terra
che
considerano
,
ormai
,
soltanto
loro
.
I
pochi
serbi
rimasti
in
Kosovo
lo
sanno
bene
,
e
la
loro
fuga
è
già
cominciata
.
Sanno
che
arriverà
la
resa
dei
conti
,
che
nessuna
forza
internazionale
potrà
proteggerli
dalle
rappresaglie
e
da
un
nazionalismo
-
quello
albanese
-
sì
meno
esplicito
,
meno
truculento
e
visibile
,
ma
certamente
non
meno
implacabile
di
quello
di
Belgrado
.
Così
,
oggi
,
dopo
essere
stati
gonfiati
di
mitologia
,
ubriacati
di
politica
,
affiancati
da
bande
criminali
e
trascinati
in
uno
scontro
suicida
,
gli
uomini
che
invocarono
il
nuovo
salvatore
del
popolo
serbo
si
preparano
come
sei
secoli
fa
a
un
altro
tradimento
,
a
una
nuova
fuga
dal
Kosovo
,
forse
definitiva
.
Dove
andranno
nessuno
sa
,
visto
che
il
loro
Paese
non
può
mantenerli
.
Saranno
,
probabilmente
,
il
prossimo
problema
dell
'
Europa
.
Si
avvicina
intanto
una
data
fatale
:
il
28
giugno
,
anniversario
della
sconfitta
di
Kosovo
Polje
(
1389
)
e
di
tante
disgrazie
serbe
.
Dieci
anni
fa
,
su
quel
campo
di
battaglia
Milosevic
annunciava
a
un
milione
di
uomini
che
l
'
ora
della
riscossa
era
tornata
.
Ha
mantenuto
la
promessa
a
metà
:
la
Terra
dei
merli
è
vuota
di
albanesi
,
ma
non
c
'
è
nessuna
riscossa
da
celebrare
perché
anche
i
serbi
se
ne
vanno
.
Chi
conosce
Milosevic
sa
che
guarda
alle
ricorrenze
in
modo
superstizioso
e
maniacale
.
E
sa
che
,
non
potendo
vivere
un
trionfo
,
potrebbe
usare
il
28
giugno
anche
per
santificare
un
esodo
,
drammatizzare
una
sconfitta
solo
per
farla
entrare
nel
mito
come
quella
del
1389
.
Slobo
,
figlio
di
genitori
suicidi
,
potrebbe
anche
scegliere
quel
giorno
per
sigillare
a
suo
modo
un
suicidio
nazionale
durato
dieci
anni
.
StampaQuotidiana ,
È
accettabile
una
conclusione
"
non
etica
"
di
una
guerra
"
etica
"
?
Questo
interrogativo
era
già
nell
'
aria
dal
momento
in
cui
s
'
era
definito
Milosevic
come
l
'
Hitler
dei
Balcani
.
Ed
era
divenuto
più
stringente
dopo
la
sua
incriminazione
per
crimini
di
guerra
e
contro
l
'
umanità
:
si
temeva
proprio
che
questo
fatto
avrebbe
reso
più
difficile
,
o
addirittura
impossibile
,
una
conclusione
negoziata
del
conflitto
.
Si
può
,
infatti
trattare
con
un
criminale
?
La
trattativa
sembrava
così
impigliarsi
in
un
vincolo
etico
e
in
un
ostacolo
giuridico
.
Ma
poi
la
politica
ha
fatto
sentire
forte
la
sua
voce
,
e
la
desiderata
pace
sembra
ormai
a
portata
di
mano
.
Tutto
semplice
,
dunque
,
con
la
politica
che
riafferma
la
sua
autonomia
dalla
morale
e
la
sua
superiorità
sul
diritto
?
Anche
questa
volta
bisogna
diffidare
dalle
semplificazioni
,
dalla
voglia
di
voltare
in
fretta
una
pagina
sgradevole
.
La
guerra
serba
lascia
sul
terreno
morti
e
distruzioni
,
ma
pure
problemi
aperti
,
domande
in
cerca
di
risposta
,
che
condizioneranno
negli
anni
a
venire
le
forme
organizzative
del
mondo
,
il
destino
dei
diritti
,
le
sorti
della
guerra
e
della
pace
.
Ritorniamo
al
modo
in
cui
la
guerra
venne
avviata
,
nel
quale
si
potrebbe
essere
indotti
a
ritrovare
una
logica
opposta
a
quella
che
sta
portando
alla
sua
conclusione
.
Allora
l
'
esigenza
etica
di
reagire
alla
pulizia
etnica
e
l
'
affermazione
del
diritto
di
ingerenza
umanitaria
presentavano
la
politica
non
nella
sua
orgogliosa
autonomia
,
ma
nelle
sembianze
dell
'
ancella
della
morale
e
del
diritto
.
Prima
ancora
d
'
una
necessità
politica
,
era
l
'
imperativo
etico
e
giuridico
ad
imporre
il
ricorso
alle
armi
.
Subito
,
però
,
divennero
evidenti
le
contraddizioni
e
i
limiti
dell
'
argomento
etico
e
di
quello
giuridico
.
Può
l
'
etica
accettare
il
sacrificio
dei
civili
innocenti
?
Può
il
diritto
tramutarsi
in
indifferenza
rispetto
al
modo
in
cui
i
poteri
vengono
esercitati
?
L
'
etica
impone
anche
misura
,
proporzione
:
più
i
giorni
passavano
,
più
si
coglieva
lo
scarto
tra
l
'
azione
bellica
e
i
sacrifici
imposti
a
popolazioni
incolpevoli
,
gli
stessi
serbi
e
i
kosovari
più
di
prima
perseguitati
e
scacciati
.
Il
diritto
è
regola
,
stabilita
in
anticipo
:
il
"
diritto
d
'
ingerenza
umanitaria
"
che
si
stava
faticosamente
costruendo
,
esige
una
precisa
e
preventiva
individuazione
di
chi
può
esercitarlo
,
non
può
mai
essere
inteso
come
una
sorta
di
delega
in
bianco
rilasciata
a
Stati
o
alleanze
perché
intervengano
dove
e
quando
gli
piaccia
.
Così
,
dietro
lo
schermo
etico
e
giuridico
ricomparivano
,
nude
,
la
forza
e
la
spietatezza
della
politica
.
Proprio
per
ricostruire
un
'
accettabile
condizione
etica
e
giuridica
,
allora
,
diveniva
indispensabile
giungere
alla
conclusione
della
guerra
.
Di
una
superiorità
morale
della
pace
hanno
parlato
tutti
i
filosofi
che
si
sono
cimentati
nell
'
impresa
ardua
di
dare
ad
essa
una
fondazione
che
potesse
farla
divenire
"
perpetua
"
.
Ma
,
al
di
là
dell
'
intima
forza
di
questo
principio
,
vi
è
un
'
urgenza
nelle
cose
che
impone
di
non
legare
alla
vicenda
personale
di
un
governante
l
'
umana
sorte
di
milioni
di
persone
,
già
destinate
e
vivere
per
un
tempo
non
breve
in
condizioni
difficili
,
in
territori
devastati
e
con
un
'
economia
distrutta
.
Un
'
implacabile
intransigenza
morale
avrebbe
di
nuovo
portato
a
quella
mancanza
di
misura
e
di
proporzionalità
che
mina
la
forza
dell
'
argomento
etico
.
Negare
ogni
legittimità
alla
trattativa
con
Milosevic
avrebbe
portato
ad
una
situazione
nella
quale
l
'
unica
via
d
'
uscita
sarebbe
stata
l
'
uccisione
del
tiranno
.
Ma
trattare
non
significa
assolvere
o
condonare
.
Non
sto
postulando
l
'
indifferenza
della
politica
rispetto
alle
regole
del
diritto
ed
alle
esigenze
della
morale
.
Voglio
più
semplicemente
dire
che
bisogna
ritrovare
lucidità
nel
ridefinire
le
relazioni
tra
queste
diverse
sfere
,
oscurate
dalla
strumentalità
e
dall
'
approssimazione
con
cui
sono
state
analizzate
in
questo
drammatico
periodo
.
l
'
interlocutore
Milosevic
rimane
l
'
imputato
Milosevic
davanti
al
Tribunale
penale
internazionale
.
Comprendo
la
difficoltà
di
accettare
questa
distinzione
,
e
anche
il
rischio
che
ad
essa
venga
rivolta
una
critica
di
scarso
realismo
.
Ma
queste
sono
le
difficoltà
obiettive
di
una
situazione
in
cui
le
nuove
dimensioni
del
mondo
sfidano
le
logiche
tradizionali
,
mostrano
l
'
inadeguatezza
di
vecchie
istituzioni
e
di
vecchi
concetti
,
e
la
fatica
con
la
quale
si
cerca
di
costruire
un
quadro
istituzionale
adeguato
.
Al
Tribunale
penale
internazionale
spetta
ora
il
difficile
compito
di
agire
con
imparzialità
,
di
scrollarsi
di
dosso
il
sospetto
d
'
essere
il
troppo
docile
strumento
d
'
una
parte
politica
.
Non
è
un
tribunale
dei
vincitori
,
davanti
al
quale
vengono
trascinati
in
catene
gli
sconfitti
.
Agisce
nel
fuoco
dei
conflitti
,
e
quindi
è
destinato
a
fare
i
conti
con
le
difficoltà
di
svolgere
i
processi
e
soprattutto
di
far
eseguire
le
condanne
,
per
ragioni
che
sono
tutte
dipendenti
dalla
politica
.
Si
può
imprigionare
un
capo
di
Stato
?
Stiamo
così
ridefinendo
,
insieme
,
le
modalità
della
politica
,
le
regole
del
diritto
,
lo
spazio
dell
'
etica
.
Non
ci
aggiriamo
,
soltanto
,
smarriti
,
lungo
gli
incerti
confini
tra
diritto
e
morale
.
è
pure
alla
politica
,
a
lungo
invocata
durante
il
conflitto
serbo
come
unica
alternativa
alle
armi
,
che
bisogna
attribuire
un
ruolo
adeguato
,
non
essendo
ormai
sufficiente
fermarsi
all
'
affermazione
della
sua
autonomia
come
irrinunciabile
lascito
della
modernità
.
Dobbiamo
sicuramente
guardarci
da
una
politica
sottomessa
all
'
etica
in
modo
da
farne
puro
strumento
per
imporre
valori
non
condivisi
,
opprimendo
così
minoranze
e
dissenzienti
.
Ma
dobbiamo
pure
guardarci
da
una
politica
ridotta
a
ragion
di
Stato
,
per
la
quale
ogni
regola
giuridica
è
impaccio
,
di
cui
è
legittimo
liberarsi
.
l
'
esigenza
di
legalità
è
ineliminabile
,
a
livello
nazionale
e
sovranazionale
.
La
guerra
in
Serbia
ha
mostrato
la
debolezza
delle
istituzioni
esistenti
,
ma
non
ha
smentito
,
anzi
ha
reso
più
urgente
e
drammatica
,
la
ricerca
di
una
nuova
"
forma
costituzionale
"
del
mondo
.
Si
tratta
ora
di
definire
come
debba
svolgersi
questo
processo
,
e
chi
debba
esserne
protagonista
.
Tra
le
molte
definizioni
di
quest
'
ultima
guerra
,
una
mi
è
sembrata
particolarmente
felice
,
e
inquietante
.
Si
è
parlato
di
guerra
"
costituente
"
,
così
sottolineando
come
il
potere
di
delineare
l
'
assetto
futuro
della
comunità
internazionale
sia
sfuggito
ai
luoghi
della
democrazia
e
si
sia
concentrato
in
quelli
della
forza
.
Proprio
a
questa
deriva
bisogna
sottrarsi
,
partendo
anche
dalla
constatazione
realistica
della
debolezza
delle
istituzioni
esistenti
,
di
un
'
Onu
che
sembra
al
tramonto
e
di
un
'
Europa
che
fatica
a
manifestarsi
.
Al
tempo
stesso
,
però
,
non
ci
si
può
rifugiare
negli
schemi
che
hanno
accompagnato
altri
tempi
e
altri
mondi
.
Proprio
nel
momento
in
cui
con
violenza
tornano
a
manifestarsi
i
nazionalismi
,
non
bisogna
pensare
che
di
nuovo
si
sia
vincolati
dalle
logiche
della
sovranità
nazionale
.
La
parabola
di
questo
concetto
,
così
lucidamente
investigata
da
Hans
Kelsen
già
al
tempo
della
prima
guerra
mondiale
,
sembra
avviarsi
verso
la
sua
conclusione
.
Le
dimensioni
del
mondo
non
possono
più
essere
chiuse
in
confini
nazionali
,
anche
se
continueranno
ad
essere
insidiate
da
ricorrenti
"
tribalizzazioni
"
.
Questo
vuol
dire
che
a
nessuno
Stato
-
nazione
può
essere
attribuito
un
diritto
di
vita
o
di
morte
sui
destini
di
chiunque
.
Ma
vuol
dire
anche
che
dobbiamo
contrastare
le
pretese
tribali
ed
etniche
,
quando
vestono
impropriamente
i
panni
di
uno
dei
nuovi
diritti
collettivi
,
quello
all
'
autodeterminazione
dei
popoli
.
Si
negherebbe
,
altrimenti
,
il
pluralismo
,
ritenuto
ormai
un
valore
irrinunciabile
.
Come
all
'
interno
delle
comunità
nazionali
,
così
nella
dimensione
internazionale
,
dobbiamo
rifiutare
la
logica
dei
ghetti
,
che
produce
separazione
e
distanza
dall
'
altro
,
e
dunque
è
terribile
matrice
di
nuovi
conflitti
.
StampaQuotidiana ,
Sarà
stata
l
'
euforia
,
certo
è
che
avant
'
ieri
,
all
'
annuncio
degli
accordi
di
Belgrado
,
i
governanti
europei
sembravano
aver
perso
la
memoria
.
Solo
Gerhard
Schroeder
s
'
è
infatti
ricordato
che
quegli
accordi
erano
il
frutto
di
una
mediazione
,
e
che
a
mediare
erano
stati
i
russi
:
"
Il
merito
è
di
Eltsin
"
,
ha
detto
il
Cancelliere
tedesco
,
"
senza
il
quale
sarebbe
stato
impossibile
giungere
a
questo
risultato
"
.
Riconoscere
l
'
utilità
della
missione
che
il
15
aprile
Eltsin
affidò
a
Cernomyrdin
,
era
in
effetti
,
da
parte
dell
'
Europa
,
un
atto
dovuto
.
Perché
è
vero
che
la
guerra
balcanica
sarebbe
comunque
-
a
un
certo
punto
-
finita
,
con
l
'
esaurirsi
delle
capacità
di
resistenza
dei
serbi
:
ma
quando
e
come
si
sarebbe
arrivati
a
quel
"
certo
punto
"
:
tra
un
mese
,
due
,
tre
,
oppure
soltanto
con
l
'
intervento
delle
truppe
di
terra
?
A
questo
servono
,
nel
quadro
d
'
un
conflitto
,
le
mediazioni
.
Ad
accorciare
lo
scontro
armato
,
a
limitarne
i
danni
.
La
missione
Cernomyrdin
è
stata
quindi
,
da
questo
punto
di
vista
,
un
successo
.
Specie
se
pensiamo
agli
ostacoli
che
ha
incontrato
.
Prima
il
terremoto
moscovita
di
metà
maggio
(
il
licenziamento
di
Evghenij
Primakov
,
la
procedura
di
"
impeachment
"
nei
confronti
di
Eltsin
,
l
'
ennesima
sbandata
delle
istituzioni
russe
)
,
che
sembrava
dover
azzoppare
il
mediatore
.
Bruciarne
la
credibilità
.
Poi
le
bombe
sull
'
ambasciata
cinese
a
Belgrado
,
che
avevano
inceppato
per
vari
giorni
i
congegni
della
trattativa
.
Infine
la
posizione
presa
dagli
anglo
-
americani
,
nelle
ultime
due
settimane
sempre
più
marcata
,
che
mirava
non
tanto
a
un
cedimento
di
Milosevic
quanto
alla
sua
uscita
di
scena
.
quest
'
ultimo
ostacolo
ha
rischiato
di
vanificare
gli
sforzi
di
Viktor
Cernomyrdin
:
perché
il
compito
del
mediatore
era
di
far
raggiungere
alle
parti
in
conflitto
un
compromesso
,
e
non
certo
quello
di
portare
su
un
piatto
d
'
argento
,
al
comando
Nato
di
Bruxelles
,
la
testa
di
Slobodan
Milosevic
.
E
fortuna
che
a
trattare
con
Cernomyrdin
ci
fosse
il
sottosegretario
di
Stato
Strobe
Talbott
,
un
uomo
che
conosce
molto
bene
la
situazione
russa
e
si
rendeva
conto
dei
vantaggi
che
non
soltanto
Eltsin
,
ma
anche
l
'
Occidente
,
avrebbero
ricavato
da
un
successo
d
'
immagine
della
povera
Russia
.
Perché
la
pretesa
di
continuare
le
operazioni
belliche
sinché
Milosevic
non
fosse
,
in
un
modo
o
nell
'
altro
,
caduto
,
minacciava
di
far
durare
la
guerra
chi
sa
quanto
ancora
.
Se
la
mediazione
russa
ha
potuto
superare
tanti
e
difficili
intralci
,
è
perché
era
l
'
unica
disponibile
.
Cernomyrdin
sarà
stato
certamente
all
'
altezza
del
compito
,
e
molto
hanno
contato
anche
l
'
aiuto
di
Talbott
e
l
'
esperienza
del
presidente
finlandese
.
Ma
le
ragioni
sostanziali
della
riuscita
stanno
nel
fatto
che
sul
tappeto
della
crisi
balcanica
non
c
'
era
altro
se
non
il
tentativo
russo
.
Ed
è
nella
cornice
di
quel
tentativo
che
s
'
inserivano
da
un
mese
e
mezzo
tutte
le
attese
,
le
richieste
,
le
pressioni
dei
governi
europei
più
preoccupati
della
brutta
piega
che
la
guerra
aveva
preso
:
vale
a
dire
i
governi
di
Germania
,
Italia
,
Francia
.
Non
ci
fosse
stata
una
mediazione
russa
da
incoraggiare
e
sostenere
di
fronte
allo
scetticismo
di
Washington
e
Londra
,
le
inquietudini
degli
europei
si
sarebbero
scaricate
all
'
interno
dell
'
Alleanza
,
e
forse
ne
avrebbero
danneggiato
la
compattezza
.
Si
capisce
così
che
il
significato
del
successo
russo
oltrepassa
di
molto
la
cornice
della
guerra
balcanica
.
Esso
s
'
avvertirà
infatti
su
altri
due
versanti
:
sulla
scena
politica
russa
,
e
nei
rapporti
tra
Russia
e
Occidente
.
Per
quel
che
riguarda
quest
'
ultimo
versante
,
la
prima
cosa
da
dire
è
che
Mosca
è
stata
più
vicina
agli
occidentali
che
all
'
alleato
storico
,
la
Serbia
slava
e
ortodossa
.
Se
all
'
inizio
,
infatti
,
s
'
era
potuto
pensare
che
Cernomyrdin
si
sarebbe
posto
a
metà
strada
tra
i
contendenti
,
lavorando
ad
un
compromesso
di
tipo
classico
-
tale
cioè
da
non
scontentare
nessuno
-
,
più
tardi
s
'
è
visto
che
egli
ha
lavorato
per
giungere
alla
resa
di
Slobodan
Milosevic
.
È
la
resa
di
Milosevic
,
infatti
,
il
risultato
della
mediazione
russa
.
Il
risultato
cioè
che
serviva
alla
Nato
,
all
'
Occidente
.
Che
i
russi
avessero
una
maggiore
comprensione
delle
ragioni
europee
ed
americane
che
non
delle
ragioni
di
Milosevic
,
fu
chiaro
alla
riunione
del
G8
a
Bonn
.
Lo
schema
d
'
accordo
elaborato
quel
6
maggio
riprendeva
quasi
totalmente
(
anche
se
restava
vago
su
alcuni
punti
sostanziali
)
le
richieste
degli
alleati
.
Da
quel
momento
,
la
Russia
aveva
già
fatto
le
sue
scelte
.
Aveva
capito
che
la
Nato
non
poteva
perdere
la
partita
,
e
che
il
mediatore
doveva
soltanto
provarsi
a
rendere
meno
severa
,
disastrosa
,
la
resa
dei
serbi
.
Ma
nell
'
avvicinamento
alle
posizioni
dell
'
Alleanza
,
non
c
'
era
soltanto
il
desiderio
di
condurre
in
porto
un
'
iniziativa
capace
di
ridare
un
qualche
prestigio
alla
Russia
.
C
'
era
,
ormai
,
una
scelta
di
campo
.
Su
questo
conviene
essere
chiari
.
Cernomyrdin
,
e
con
lui
Boris
Eltsin
,
prendevano
dei
rischi
.
Sapevano
perfettamente
che
a
Mosca
la
canea
dei
nazionalcomunisti
si
sarebbe
scatenata
contro
il
"
tradimento
"
ai
danni
della
Serbia
,
contro
Cernomyrdin
"
lacchè
degli
americani
"
,
puntando
ad
elettrizzare
gli
umori
anti
-
occidentali
che
pervadono
la
Russia
della
crisi
permanente
.
Di
questo
erano
consapevoli
,
e
tuttavia
sono
sempre
rimasti
-
dopo
la
scelta
compiuta
a
Bonn
-
dalla
parte
degli
europei
e
degli
americani
.
Né
avrebbe
senso
ipotizzare
che
la
linea
Eltsin
-
Cernomyrdin
sia
venuta
soltanto
dal
bisogno
di
procurarsi
,
in
cambio
d
'
una
mediazione
così
sbilanciata
,
così
favorevole
agli
occidentali
,
i
prestiti
del
Fondo
monetario
.
Questo
ha
contato
,
certo
,
ma
la
scelta
aveva
poi
altri
significati
:
non
rompere
con
l
'
Occidente
,
mantenere
la
Russia
all
'
interno
degli
interessi
europei
,
contrastare
il
nazionalismo
isolazionista
e
rancoroso
di
tanta
parte
della
società
russa
.
E
qui
va
rammentata
l
'
atmosfera
in
cui
la
Russia
ha
vissuto
l
'
inizio
dell
'
offensiva
aerea
della
Nato
.
Davvero
,
come
dice
Evtushenko
,
sembrava
che
"
lo
scheletro
della
guerra
fredda
"
fosse
uscito
dalla
tomba
.
Perché
l
'
attacco
contro
la
Federazione
jugoslava
aveva
aggravato
le
frustrazioni
della
potenza
decaduta
,
rianimato
i
rottami
della
tradizione
panslavista
,
messo
a
fuoco
la
debolezza
e
marginalità
del
ruolo
russo
in
Europa
e
nel
mondo
.
E
se
non
ci
fosse
stato
Eltsin
,
il
suo
tentativo
di
mantenere
l
'
aggancio
con
l
'
Occidente
così
da
salvare
il
salvabile
dei
suoi
ondeggianti
,
accidentali
e
spesso
disastrosi
anni
di
governo
,
il
gioco
era
fatto
.
La
lacerazione
tra
Russia
ed
Europa
si
sarebbe
compiuta
.
Le
due
campagne
elettorali
che
s
'
avvicinano
(
legislative
in
dicembre
,
presidenziali
a
giugno
dell
'
anno
venturo
)
,
avrebbero
avuto
come
tema
dominante
lo
spettro
d
'
una
Russia
umiliata
dall
'
Occidente
,
assediata
,
in
pericolo
.
Beninteso
,
il
successo
della
mediazione
Cernomyrdin
non
eviterà
che
per
qualche
giorno
,
dai
banchi
della
Duma
,
i
nazionalcomunisti
facciano
un
gran
chiasso
contro
"
il
servizio
reso
all
'
imperialismo
americano
"
.
Ma
quando
il
polverone
si
sarà
dissolto
,
i
russi
che
hanno
occhi
per
vedere
s
'
accorgeranno
che
la
conclusione
della
guerra
balcanica
ha
consentito
al
paese
un
ritorno
insperato
sulla
grande
scena
internazionale
.
Ha
mostrato
che
la
Russia
non
è
,
in
ambito
politico
e
diplomatico
,
il
cadavere
che
tante
volte
negli
ultimi
mesi
era
sembrato
.
E
ha
posto
le
premesse
per
un
rilancio
di
quell
'
integrazione
russa
con
i
paesi
occidentali
,
che
è
la
sola
strada
da
percorrere
per
poter
ancora
sperare
in
una
rinascita
della
nazione
.
Dinanzi
a
questo
tornante
dei
rapporti
tra
Russia
e
Occidente
,
l
'
Europa
e
l
'
America
non
dovranno
permettersi
distrazioni
.
Più
volte
,
nell
'
ultimo
anno
,
il
disastro
russo
era
parso
così
ampio
e
irrimediabile
da
indurre
molti
uomini
di
governo
occidentali
a
pensare
che
non
ci
fosse
altra
soluzione
se
non
tenersi
a
debita
distanza
da
Mosca
.
Distanza
politica
,
distanza
economica
.
Ma
oggi
quest
'
atteggiamento
non
avrebbe
senso
.
Nella
più
difficile
congiuntura
che
l
'
Europa
abbia
conosciuto
dalla
fine
della
Seconda
guerra
mondiale
,
il
ruolo
della
Russia
è
risultato
decisivo
.
E
di
questo
bisognerà
tener
conto
,
evitando
sinché
è
possibile
che
si
producano
nuove
e
pericolose
divaricazioni
tra
gli
interessi
russi
e
quelli
occidentali
.
La
guerra
contro
Milosevic
è
costata
non
poco
a
Mosca
.
Essa
vedrà
nei
prossimi
giorni
forze
armate
degli
Stati
Uniti
nel
cuore
dei
Balcani
,
una
regione
che
era
stata
un
tempo
d
'
influenza
russa
,
poi
"
grigia
"
,
ma
mai
marcata
da
una
presenza
americana
.
Essa
sa
che
Bulgaria
e
Romania
,
concedendo
alla
Nato
una
serie
di
facilitazioni
durante
i
due
mesi
di
guerra
,
si
sono
già
molto
avvicinate
al
loro
ingresso
nell
'
Alleanza
:
ciò
che
porterà
ancora
più
a
ridosso
delle
frontiere
russe
un
'
organizzazione
politico
-
militare
di
cui
la
Russia
non
fa
parte
.
Nonostante
abbiano
dovuto
pagare
questo
prezzo
,
i
russi
che
credono
all
'
importanza
dei
legami
con
l
'
Occidente
hanno
operato
perché
la
guerra
finisse
con
la
resa
jugoslava
.
Dimenticarlo
sarebbe
non
solo
ingeneroso
,
ma
anche
imprudente
.
StampaQuotidiana ,
La
pace
ha
un
passo
zoppo
e
congedato
.
Niente
fanfare
.
Era
abusivo
il
nome
di
guerra
,
per
questa
devastazione
condotta
dall
'
alto
in
basso
.
Né
vera
azione
di
polizia
,
com
'
era
necessario
,
né
vera
guerra
.
Un
temporale
in
cui
l
'
impotenza
e
l
'
onnipotenza
si
sono
date
la
mano
.
Dunque
si
potrà
chiamare
col
nome
di
pace
la
sua
conclusione
,
oggi
finalmente
annunciata
?
Le
guerre
hanno
smesso
da
tanto
di
essere
cavalleresche
,
tant
'
è
vero
che
a
morirne
sono
i
civili
.
Ma
finché
erano
guerre
ammettevano
anche
lo
scoppio
della
pace
.
Una
notizia
che
correva
da
uno
all
'
altro
,
soldati
che
risorgevano
dal
grembo
macabro
delle
trincee
buttando
via
il
moschetto
e
correndo
ad
abbracciarsi
,
folla
assiepata
ai
bordi
delle
strade
a
sventolare
fazzoletti
e
bandierine
,
balli
e
baci
regalati
dalle
belle
ragazze
.
Non
so
se
questa
volta
ci
sarà
un
momento
per
dichiarare
la
pace
,
e
farle
festa
.
Temo
di
no
.
Le
belle
ragazze
sono
ora
le
vittime
predilette
,
e
le
scampate
sono
le
più
riluttanti
a
tornare
.
Qualcuno
firmerà
fogli
in
televisione
:
spero
che
non
ci
sia
Milosevic
,
e
che
almeno
manchi
la
corrente
,
ai
televisori
dei
profughi
.
Guerre
e
paci
moderne
sono
travestite
e
ambigue
.
Non
fanno
festa
,
né
fraternizzazioni
.
La
pace
perde
anche
lei
la
sua
maiuscola
.
E
stenta
,
dubbia
,
amara
:
si
chiede
perché
la
pazzia
sia
appena
avvenuta
,
e
se
un
'
altra
pazzia
non
sia
in
agguato
.
Niente
balli
nelle
strade
:
tuttavia
è
la
pace
.
E
la
fine
degli
agguati
,
degli
stupri
,
delle
botte
,
delle
fughe
,
degli
sputi
.
Il
ritorno
dei
cacciati
.
Lo
sgombero
delle
macerie
.
Il
pellegrinaggio
alla
ricerca
degli
scomparsi
,
delle
fosse
.
I
cimiteri
ricomposti
.
Le
rovine
frugate
a
trovare
le
reliquie
del
mondo
di
prima
,
una
fotografia
,
un
cucchiaio
,
un
giocattolo
.
Qualcuno
ci
sarà
che
,
per
orrore
e
offesa
,
non
vorrà
più
tornare
.
Sarà
questo
,
la
pace
.
Lo
stupore
per
un
vicino
dell
'
altra
nazione
che
,
a
differenza
dagli
altri
,
non
va
via
,
e
l
'
incertezza
fra
l
'
odio
e
il
saluto
restituito
a
occhi
bassi
.
L
'
incontro
con
qualche
vecchio
animale
inselvatichito
e
scampato
alla
tempesta
,
una
gallina
,
una
gatta
restata
fedele
alla
rovina
.
L
'
abitudine
da
fare
a
blindati
e
jeep
e
persone
straniere
a
serbi
e
albanesi
,
arroganti
nella
carrozzeria
intatta
e
nelle
uniformi
stirate
e
nella
corsa
perpetua
,
come
se
stessero
precipitandosi
a
un
salvataggio
fatale
,
e
invece
girano
rapidi
e
a
vuoto
,
come
ogni
truppa
di
occupazione
,
anche
la
più
benvenuta
.
La
voglia
di
raccontare
ciascuno
la
propria
odissea
,
in
cambio
di
una
piccola
pazienza
per
ascoltare
il
racconto
degli
altri
.
La
coda
a
uno
sportello
di
fortuna
che
restituisca
una
carta
d
'
identità
.
La
pace
.
Non
il
tempo
nuovo
,
la
rinascita
,
il
fervore
:
semplicemente
,
la
fine
,
cauta
,
della
paura
e
dell
'
orrore
.
Non
è
poco
.
Vidi
l
'
arrivo
della
pace
a
Sarajevo
.
Non
arrivò
.
Niente
feste
.
Anzi
,
dopo
crebbero
di
colpo
i
suicidi
.
Però
era
finita
.
Finita
con
le
granate
,
coi
cecchini
,
con
le
deportazioni
,
con
le
taniche
d
'
acqua
trascinate
dai
vecchi
fino
all
'
ultimo
piano
,
con
le
candele
di
falsa
cera
,
col
freddo
.
Si
è
insieme
sollevati
,
e
più
offesi
,
quando
è
finita
.
Avranno
fatto
festa
,
ieri
,
a
Kukes
,
o
nei
boschi
intorno
a
Pec
,
o
a
Kragujevac
e
nella
Novi
Sad
vedova
di
ponti
?
Tutti
quegli
uomini
maschi
che
abbiamo
visto
piangere
senza
controllo
,
da
due
mesi
.
Forse
hanno
pianto
,
ancora
più
che
gli
altri
giorni
,
ma
in
un
modo
diverso
.
Solo
la
fine
,
speriamo
non
effimera
,
della
"
guerra
"
.
Non
è
poco
.
Cambieranno
cielo
e
terra
.
Il
cielo
era
stato
confiscato
da
una
migrazione
quotidiana
di
macchine
magnifiche
e
lontane
,
gloria
in
excelsis
:
apparecchi
da
castigo
,
con
gli
occhi
bendati
.
E
la
terra
.
E
pace
in
terra
.
La
guerra
ormai
è
affare
dei
cieli
,
la
terra
è
invasa
dagli
assalitori
razzisti
,
scavata
di
fosse
comuni
,
corsa
dai
fuggiaschi
.
La
pace
riguarda
la
terra
.
Dobbiamo
avere
a
cuore
le
creature
umane
,
uccise
,
violate
,
sofferenti
.
Bisognava
soccorrerle
,
in
Kosovo
,
e
bisogna
altrove
.
Il
loro
ritorno
protetto
non
risarcirà
la
tempesta
furibonda
dei
due
mesi
trascorsi
,
ma
almeno
non
l
'
avrà
resa
solo
un
'
inutile
esibizione
.
Un
popolo
destituito
,
spinto
a
coprirsi
sotto
un
telo
di
plastica
,
vergognandosi
di
sé
ai
nostri
occhi
di
spettatori
commossi
o
cinici
,
si
ricostruirà
un
tetto
rosso
di
tegole
:
i
suoi
bambini
si
riabitueranno
un
po
'
alla
volta
a
disegnare
case
col
fumo
che
esce
dal
comignolo
,
invece
che
dal
rogo
dei
ripulitori
.
l
'
inverno
non
li
farà
tremare
.
La
pace
è
fatta
per
gli
umani
,
e
poi
per
le
loro
case
:
è
domestica
.
Ma
è
fatta
anche
per
la
terra
.
Mi
piace
l
'
espressione
:
torneranno
alle
loro
case
-
benché
bruciate
e
profanate
.
Ma
non
vorrei
dire
:
alla
loro
terra
.
La
terra
merita
di
essere
di
tutti
-
no
,
neanche
:
anche
in
questo
c
'
è
un
'
usurpazione
.
La
terra
merita
di
essere
di
nessuno
.
Non
so
per
quale
inversione
di
senso
,
in
latino
si
diceva
res
nullius
,
cosa
di
nessuno
,
per
designare
ciò
che
fosse
a
disposizione
di
tutti
:
come
la
selvaggina
cacciabile
.
Il
punto
estremo
cui
sapevamo
arrivare
era
di
dichiarare
qualcosa
senza
padrone
-
in
modo
che
chiunque
di
noi
umani
ne
fosse
padrone
.
Con
la
stessa
formula
,
terra
di
nessuno
,
no
man
'
s
land
,
abbiamo
chiamato
quelle
strisce
disboscate
che
come
cicatrici
commemorano
le
nostre
guerre
e
separano
le
nostre
risse
:
luogo
scelto
dagli
innamorati
senza
etnia
e
senza
segnaletica
,
come
i
due
ragazzi
di
Sarajevo
che
vi
si
avviarono
mano
nella
mano
.
Terra
di
nessuno
,
dunque
libera
?
No
:
è
il
punto
in
cui
vi
sparano
addosso
da
tutti
i
lati
,
con
un
'
autorizzazione
universale
.
Come
sui
ponti
,
e
su
tutto
ciò
che
congiunge
e
traduce
e
traghetta
.
(
I
disgraziati
che
hanno
assassinato
d
'
Antona
non
hanno
trovato
di
meglio
,
per
spiegare
la
loro
impresa
,
che
definirlo
come
una
cerniera
fra
qualcosa
e
qualcos
'
altro
)
.
La
terra
non
dovrebbe
essere
di
nessuno
,
neanche
di
tutti
noi
,
se
non
reciprocamente
.
In
questi
due
mesi
sarebbe
sembrato
un
lusso
e
uno
scandalo
protestare
per
conto
della
terra
colpita
e
ferita
,
con
tanto
dolore
umano
:
tuttavia
bisogna
farlo
,
e
augurare
pace
alla
terra
.
Non
dico
degli
avvelenamenti
di
terre
e
acque
,
che
la
guerra
moderna
moltiplica
ma
la
pace
provoca
anche
lei
.
Dico
proprio
delle
ferite
alla
terra
:
della
semina
di
mine
,
dei
crateri
di
bombe
e
di
schegge
,
delle
sepolture
occultate
,
dei
campi
e
dei
boschi
distrutti
.
Fuori
dalle
città
,
a
sminare
la
Bosnia
provvedono
,
a
vanvera
,
animali
selvatici
sopravvissuti
o
capre
slegate
.
Gli
uomini
colpiscono
la
terra
e
la
rendono
sterile
e
inabitabile
.
Bestemmiano
.
E
anche
quando
hanno
una
ragione
migliore
dalla
propria
parte
,
non
sanno
trovare
un
modo
migliore
per
perseguirla
.
La
nostra
parte
,
che
aveva
dalla
sua
la
ragione
,
è
sembrata
accanirsi
a
colpire
la
terra
:
come
il
satrapo
persiano
che
,
per
superbia
,
ordinò
di
fustigare
il
mare
indocile
.
La
terra
è
docile
,
accogliente
,
materna
:
purché
non
la
recintiamo
di
filo
spinato
e
non
la
innaffiamo
di
sangue
.
Noi
ci
stiamo
disaffezionando
alla
terra
,
dopo
averla
tanto
maltrattata
e
imbruttita
.
La
bruciamo
,
le
togliamo
l
'
aria
.
Lo
facciamo
alla
leggera
,
in
tempo
e
luogo
di
pace
;
o
anche
con
furia
,
guerrescamente
,
con
mine
a
forma
di
farfalla
e
proiettili
all
'
uranio
impoverito
.
Guerra
è
la
storia
,
pace
è
la
terra
.
La
terra
del
Kosovo
è
ancora
antica
,
e
antichi
gli
odii
e
le
vendette
di
sangue
che
sembra
imporre
ai
suoi
abitatori
:
campo
dei
merli
,
campi
di
teschi
dissepolti
.
Lì
la
nostra
schiacciante
modernità
è
stata
convocata
,
e
ha
fatto
figura
un
po
'
di
cavaliere
un
po
'
di
maramaldo
.
Intanto
si
rifiniva
la
costruzione
della
piattaforma
spaziale
permanente
,
grande
come
uno
stadio
di
calcio
,
che
segnerà
una
tappa
essenziale
nel
nostro
trasloco
da
un
pianeta
esaurito
.
Piattaforme
orbitanti
,
gommoni
rattoppati
da
Valona
:
è
il
nostro
mondo
.
Uno
dei
bambini
che
hanno
già
visto
Prizren
e
Blace
e
Comiso
e
Narvik
forse
ora
potrà
completare
gli
studi
alla
Libera
università
di
Pristina
,
e
poi
si
imbarcherà
per
Marte
.
C
'
è
stato
,
di
nuovo
come
da
dieci
anni
,
l
'
orrore
di
una
"
pulizia
etnica
"
in
Europa
:
sembrava
impensabile
.
C
'
è
stato
,
finalmente
,
l
'
impiego
di
una
forza
internazionale
a
difesa
delle
vittime
e
del
diritto
.
un
'
azione
di
polizia
internazionale
.
Dopo
la
prima
sera
,
il
nostro
capo
del
governo
pensava
che
potesse
bastare
.
Non
aveva
capito
,
né
lui
,
né
noi
,
né
i
generali
della
Nato
.
è
continuato
,
per
suo
conto
,
per
inerzia
.
Poteva
davvero
venirne
una
guerra
mondiale
,
forse
un
impiego
dell
'
atomica
.
In
fondo
,
di
tutte
le
grandi
conquiste
dell
'
Uomo
,
l
'
atomica
è
l
'
unica
che
,
usata
una
volta
-
a
Hiroshima
e
Nagasaki
-
è
stata
tenuta
in
magazzino
.
A
noi
piace
usare
le
nostre
scoperte
.
Ora
lo
faremo
con
la
genetica
:
a
giocare
con
le
atomiche
resteranno
i
poveracci
rifatti
,
l
'
India
e
il
Pakistan
.
Poteva
andare
malissimo
.
Invece
,
pare
,
è
arrivata
la
pace
.
Messaggeri
un
uomo
d
'
affari
russo
,
un
po
'
tozzo
,
che
dice
"
il
diavolo
si
annida
nei
dettagli
"
,
e
i
cronisti
pensano
che
sia
un
'
idea
sua
,
e
un
uomo
di
stato
finlandese
,
vistosamente
zoppicante
.
Va
bene
così
.
Era
ora
che
quel
bel
paese
del
nord
si
riscattasse
dall
'
immeritata
categoria
che
gli
era
stata
cucita
addosso
:
finlandizzazione
.
Magari
ci
finlandizzassimo
:
e
invece
ci
balcanizziamo
.
Quanto
al
passo
zoppo
,
sia
benedetto
,
dopo
tanto
gorgheggiare
pro
e
contro
l
'
intervento
di
terra
:
è
così
,
con
quel
passo
zoppo
e
congedato
,
che
arriva
la
pace
.