Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaQuotidiana"
Il potere in maschera ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
La conclusione dell ' articolo precedente , in cui parlo di un « doppio Stato » a proposito dello Stato neocorporativo , è manifestamente forzata . Nella realtà , e senza forzature , un doppio Stato esiste davvero in Italia , ma non è quello neocorporativo : è lo Stato che deriva dalla sopravvivenza e dalla robusta consistenza di un potere invisibile accanto a quello visibile . Alcuni anni or sono uno studioso americano in un libro tradotto anche in italiano , I confini della legittimazione ( De Donato , Roma ) , per sottolineare l ' estensione del potere occulto negli Stati Uniti negli anni di Nixon , ha usato l ' espressione « the duali State » che corrisponde esattamente al nostro « doppio Stato » . Dei due presunti Stati di una società neocorporativa dicevo che erano entrambi compatibili coi principi fondamentali della democrazia . La stessa cosa non vale quando dei due Stati l ' uno è lo Stato visibile , l ' altro quello invisibile . Lo Stato invisibile è l ' antitesi radicale della democrazia . Si può definire la democrazia ( ed è stata di fatto definita ) nei modi più diversi . Ma non vi è definizione in cui possa mancare l ' elemento caratterizzante della visibilità o della trasparenza del potere . Governo democratico è quello che svolge la propria attività in pubblico , sotto gli occhi di tutti . E deve svolgere la propria attività sotto gli occhi di tutti perché ogni cittadino ha il diritto di essere posto in grado di formarsi una libera opinione sulle decisioni che vengono prese in suo nome . Altrimenti , per quale ragione dovrebbe essere chiamato a recarsi periodicamente alle urne , e su quali basi potrebbe esprimere il proprio voto di approvazione e di condanna ? Che il potere tenda a mettersi la maschera per non farsi riconoscere e per poter svolgere la propria azione lontano da sguardi indiscreti , è una vecchia storia . Questa vecchia storia ha anche un celebre nome che al solo pronunciarlo mette i brividi nella schiena : arcana imperii . Nella sua analisi magistrale del potere Elias Canetti ha scritto : « Il segreto sta nel nucleo più interno del potere » ( Massa e potere , Adelphi , Milano 1981 ) . I padri fondatori della democrazia pretesero di dar vita a una forma di governo che non avesse più maschera , in cui gli arcani del dominio fossero definitivamente aboliti e questo « nucleo interno » distrutto . Molte sono le promesse non mantenute della democrazia reale rispetto alla democrazia ideale . E la graduale sostituzione della rappresentanza degl ' interessi alla rappresentanza politica di cui mi sono occupato nell ' articolo precedente è una di queste . Ma rientra , insieme con altre , nel capitolo generale delle cosiddette « trasformazioni » della democrazia . Il potere occulto , no . Non trasforma la democrazia , la perverte . Non la colpisce più o meno gravemente in uno dei suoi organi vitali , la uccide . Di tutte le promesse non mantenute , è quella che maggiormente ne offende lo spirito , ne devia il corso naturale , ne vanifica lo scopo . Grazie ai risultati ormai noti della Commissione parlamentare d ' inchiesta presieduta dall ' on. Tina Anselmi , ai numerosi documenti resi pubblici , alle dichiarazioni di parlamentari e di personaggi variamente autorevoli , alle inchieste giornalistiche , sappiamo ormai sulla loggia segreta di Licio Gelli molto di più di quello che si venne a sapere in seguito alle perquisizioni nella villa di Arezzo e nell ' ufficio di Castiglion Fibocchi del marzo 1981 . Ma prima di allora io stesso avevo cominciato a parlare , se pure con una espressione che era apparsa eccessiva , di « criptogoverno » ( in un articolo sulla « Stampa » del 23 novembre 1980 ) . Ho ora sott ' occhio la voluminosa e documentata relazione di minoranza dell ' on. Massimo Teodori , del partito radicale , sulla medesima inchiesta . La tesi principale ivi sostenuta , secondo cui la loggia P2 sarebbe stata parte integrante del sistema dei partiti e pertanto debba essere considerata come un effetto diretto della degenerazione partitocratica della democrazia italiana , dalla quale sarebbe derivata una vera e propria dislocazione del potere fuori dalle sedi costituzionalmente riconosciute , si può anche discutere e non accettare integralmente . Ma è da ritenere fuori discussione che la loggia P2 , come rileva giustamente Teodori , abbia esercitato in alcuni momenti della nostra vita nazionale una influenza ben più ampia , profonda , determinante , che una semplice lobby e abbia costituito , per l ' appartenenza degli affiliati alle più alte gerarchie dello Stato e ai più elevati strati della società , alti funzionari , diplomatici , generali , giornalisti , e quel che è ancora più scandaloso , uomini politici di quella che si chiama - oh , ironia dei nomi ! - l ' area democratica del nostro sistema politico , una compiuta organizzazione di potere occulto presso , dietro , sotto ( o sopra ? ) lo Stato . Indipendentemente dalle conseguenze direttamente politiche , che forse non sono da sopravvalutare , la formazione di una simile rete di potere sotterraneo è di per se stessa una vergogna nazionale dalla quale dobbiamo redimerci per poter diventare pienamente credibili come soggetti di un regime democratico nel consesso internazionale . Senza pregiudizi , s ' intende , verso le persone , giacché non tutte sono egualmente responsabili , ma anche senza indulgenze . Non possiamo però fingere di non accorgerci che sin d ' ora ciò che è emerso dalla documentazione è una prova avvilente della mediocrità intellettuale e morale di una parte non piccola della nostra classe dirigente . Le rivelazioni sulla vita di Gelli sono tali da farci restare allibiti ( e inorriditi ) alla scoperta che la maggior parte di coloro che sono entrati volontariamente nella sua cerchia per sottomettersi alla protezione di un uomo che non aveva altro scopo che quello di estendere il proprio potere con qualsiasi mezzo , rendendo in cambio della protezione servigi presuntivamente illeciti per la loro stessa segretezza , siano personaggi quasi tutti di altissimo rango , e nessuno di essi abbia avuto in anni di commerci sospetti con il fondatore della loggia un moto di ribellione , e abbia compiuto un atto di resipiscenza . Sono considerato uno che vede sempre nero , un pessimista cronico . Eppure confesso che non avrei mai immaginato che la vita italiana fosse stata inquinata sino a questo punto , sino al punto in cui non sai se più indignarti della bassa qualità dell ' intrigo o del grande numero delle persone che vi hanno preso parte , per la spudoratezza di chi ha guidato il gioco o per la insensibilità di coloro che l ' hanno accettato , e dei quali molti vengono chiamati nella retorica di rito delle cerimonie ufficiali « servitori dello Stato » . La realtà ha superato questa volta la più catastrofica delle immaginazioni . Lo Stato democratico deve essere ripristinato nella sua integrità . Il potere occulto deve essere snidato ovunque si annidi , inflessibilmente . Non ci possono essere due Stati . Lo Stato italiano è uno solo , quello della Costituzione repubblicana . Al di fuori non c ' è che l ' antistato che deve essere abbattuto cominciando dal tetto ed arrivando , se mai sarà possibile , alle fondamenta .
StampaQuotidiana ,
L ' Imperatore , applaudito dalla folla che gremiva la piazza antistante allo sbarcadero , montò in vettura e con lo stesso ordine degli altri giorni il corteo si diresse per via Molo , piazza Ucciardone , via Enrico Albanese , via Libertà , piazza Castelnuovo , via Esposizione , via Lolli e piazza Olivuzza , donde entrò nella villa Florio . L ' imperatore aveva fatto avvertire fin da stamane Donna Franca Florio che alle 14 1/2 si sarebbe recato da lei , e questa con il comm . Ignazio , il cav . Vincenzo ed il conte di San Martino , attendeva nella casina medievale che sorge nel centro della deliziosa villa . L ' imperatore , baciata la mano a Donna Franca , le porse il braccio ed entrò nel salone ove era preparata una table a thè . Preso un bicchiere di champagne , S.M. dando sempre il braccio a Donna Franca , tornò nella villa di cui fece il giro , esprimendo la sua ammirazione per l ' artistica disposizione dei viali e delle piante . L ' imperatore , che era informato dei recenti asprissimi dolori di cui la buona signora ed il comm . Ignazio sono stati provati per la morte di due loro figliuoli , ebbe calde parole di conforto e disse come Egli , che ha cuore di padre , comprendesse il loro cordoglio . Parlando poi dei suoi figliuoli , ricordò la più piccola delle sue bambine , la quale , sapendo di essere la prediletta , osa financo recarsi da lui mentre Egli parla con qualche ministro . Alle ore 15 l ' imperatore prese commiato , ricordando a Donna Franca che alle 17 l ' attendeva a bordo dello Hohenzollern , e ringraziandola nuovamente del magnifico mazzo di orchidee che ella gli aveva offerto . Presso l ' ingresso del palazzo si era raccolta una grande folla che salutò il Sovrano con un lungo applauso .
L'OPERA DEL MARESCIALLO LYAUTEY ( MOSCA GAETANO , 1925 )
StampaQuotidiana ,
I telegrafo ci ha informati che il 27 agosto il maresciallo Lyautey s ' imbarcava a Casablanca per la Francia e che , fra poco sarebbe tornato nel Marrocco . Può darsi che ciò avvenga , perché non è facile trovare un uomo che , come Lyautey , conosca il Marrocco e sopra tutto i marocchini , ma può anche darsi che la sua partenza sia definitiva , perché in Francia molti sono oggi coloro che criticano l ' opera dell ' uomo che era riuscito nella difficilissima sorpresa di conquistare un paese musulmano , assi più ricco e popoloso di quanto fosse l ' Algeria nel 1830 , in un tempo assai più breve e con uno sforzo di molto inferiore a quello che per sottomettere completamente l ' Algeria era stato necessario . Difatti dopo che i francesi si furono impadroniti di Algeri nel 1830 , Costantina la città principale dell ' Algeria orientale , dopo un vano tentativo terminato con un quasi disastro , era stata presa solo nel 1837 , e nell ' Algeria centrale ed occidentale , negli attuali dipartimenti di Algeri e di Orano , Abd - el - Kader , il vero predecessore di Ab - el - Krim , avea tenuto testa agli invasori fino al 1947 . Fino al 1853 la gran Kabilia , paese montagnoso posto nel cuore dell ' Algeria , restava completamente indipendente , e solo dopo repressa l ' insurrezione del 1870 gli altipiani dell ' interno e la zona predesertica , che stendesi a mezzogiorno di essi , venivano ridotti sotto l ' effettiva dominazione francese . Sicché non è esagerato l ' affermare che la Francia ha dovuto impiegare mezzo secolo per conquistare l ' Algeria . Nel Marrocco invece , dopo il primo sbarco avvenuto a Casablanca nel 1907 e l ' entrata dei francesi a Fez , chiamati dallo stesso sultano , nel 1911 , seguita a pochi mesi di distanza dall ' occupazione di Marrakesch , non vi erano state né insurrezioni di grande importanza né grosse guerre . Proclamato il protettorato francese i paesi soliti a subire il governo del Sultano , cioè , oltre alle città , quelli della bassa vallata del Sebù e gli altri più importanti che costituiscono la grande pianura , posta fra il gruppo montagnoso del grande Atlante e l ' Oceano , aveano quasi senza resistenza subito le volontà che il governatore generale francese trasmetteva loro per mezzo del sultano protetto . Restavano indipendenti soltanto i paesi nei quali l ' autorità del sultano non si era mai effettivamente esercitata . Cioè la regione predesertica posta a mezzogiorno di Marrakesch e i due grandi sistemi montuosi , quello del grande Atlante , le cui cime tra Fez e Marrakesch superano i quattromila metri sul livello del mare e quello del Riff , ossia della catena che , staccandosi dallo stretto di Gibilterra , si prolunga parallela al Mediterraneo per circa duecento chilometri con un ' altezza che tocca quasi tremila metri . Nella zona predesertica , quando i francesi entrarono a Fez , si agitava El - Hiba figlio del marabutto Ma - el - Ainin , che aveva fondato una nuova confraternita religiosa . I suoi seguaci , che per un momento avevano minacciato Marrakesch , erano stati facilmente battuti e respinti nel deserto grazie all ' appoggio dei grandi Kaid , cioè di quattro o cinque grossi feudatari che avevano ed hanno tutto l ' interesse di restare attaccati alla Francia , che garantisce i loro possedimenti e lascia loro una quasi completa autonomia . Nel grande nodo montuoso posto fra Marrakesch e Fez , Lyautey aveva cinto le tribù indipendenti con una catena di posti fortificati che ogni anno si andava lentamente restringendo , avendo cura però di attaccare volta per volta una sola tribù . Nel Riff i posti fortificati francesi venivano posti là dove si doveva fissare il confine tra la Francia e la Spagna ed a questa era lasciato il difficilissimo compito di sottomettere le indomabili tribù riffane . Sarebbe puerile negare che Lyautey non abbia compreso benissimo la situazione politica e le condizioni sociali del Marocco . Egli perciò sapeva perfettamente che ciò che in Europa oggi appellasi la quistione sociale , l ' eterna rivalità fra proprietari e proletari , ricchi e poveri nei paesi maomettani prende spesso l ' aspetto di una riforma religiosa o quanto meno di un risveglio del fanatismo religioso , e sapeva pure che questa lotta , nel Marocco specialmente , si è sempre esplicata mercé un cambiamento delle dinastie regnanti e delle classi dirigenti , cambiamento che le tribù povere e guerriere della regione predesertica e delle montagne hanno imposto a quelle più pacifiche e relativamente agiate delle città e della pianura . Dal deserto erano venuti nell ' undicesimo secolo gli Almoravidi di Jusef - ben - Taschfin che aveva sottomesso il Marocco , la Spagna musulmana e parte dell ' Algeria e dal nodo montuario del grande Atlante erano discesi nel secolo successivo gli Almoadi , che , con a capo Abd - el - Mumen , si erano dappertutto sostituiti agli Almoravidi ed avevano inoltre tolto Tunisi e Mehedia ai siciliani che già l ' occupavano . Volendo conservare la pace nel Marocco la politica francese non poteva perciò essere che nettamente conservatrice e tale fu quella costantemente seguita dal maresciallo Lyautey . Egli conservò quindi anzitutto la vecchia dinastia , conservo antichi grandi Kaid del sud , lasciando ad essi la autonomia quasi completa della quale godevano , conservò , quanto poté dell ' antica burocrazia marocchina , cercò chi attirare a sé tutti i musulmani e gli ebrei danarosi , incoraggiando l ' associazione dei loro capitali con quelli degli speculatori europei , nello stesso tempo costruì strade , ferrovie e porti , fece sorgere quasi d ' incanto la nuova città di Casablanca , procacciò nuova ricchezza ai ricchi e lavora ben rimunerato alle plebi , in poche parole costituì tutta una rete di interessi materiali a difesa della nuova dominazione francese . Il risultato più ammirevole della politica di Lyautey si vide nel 1914 quando scoppiò la grande guerra europea . Si sa che allora il Governo francese ordinò al governatore generale di mandare in Francia una parte delle sue forze e di far ripiegare le altre in alcuni punti fortificati della costa ; ciò si stimava necessario perché i destini della Francia si sarebbero decisi sulla sua frontiera orientale e non nel Marocco , che , a tempo ed a luogo , si poteva riconquistare . Lyautey non obbedì che a metà : mandò in Francia una trentina di battaglioni ed alcune batterie ; ma , invece di ritirarsi sulla costa , ordinò che le avanguardie francesi restassero dove erano , non abbandonò un palmo di terreno , e le truppe che mandò le tolse appunto dalla costa e dalle retrovie . Militarmente il provvedimento era arrischiato e forse anche censurabile ; politicamente si dimostrò geniale , perché il governatore generale francese sapeva bene che tutto il territorio abbandonato sarebbe subito insorto , e che le colonne in ritirata sarebbero state aspramente taglieggiate e forse anche distrutte ; essendo costume dei marocchini , montanari e pianigiani , ricchi e poveri , di mettersi sempre dalla parte del più forte e di giudicare sempre come più debole colui che si ritira , e ritirandosi li priva della sua protezione . In seguito ricevette un rinforzo di battaglioni senegalesi e di territoriali francesi ; ma , in ricambio , organizzò e spedì in Francia numerosi battaglioni marocchini , sicché poté conservare il Marocco senza indebolire le risorse della Francia in Europa . Me l ' opera di Lyautey aveva necessariamente due punti deboli che , presto o tardi , si dovevano manifestare . Il primo era ed è che essa si appoggiava quasi esclusivamente sugli interessi materiali , che non si possono mai contentare tutti e dei quali l ' appoggio viene meno ogni volta che l ' interesse vacilla . Egli infatti ha potuto far sì che le classi agiate del Marocco ed anche le plebi delle città trovassero il loro tornaconto nella dominazione francese , ma non ha potuto mutare i loro sentimenti , non ha potuto , come si dice , conquistare le anime . Il loro modo di pensare e di sentire è necessariamente rimasto musulmano , e si sa che un buon musulmano potrà servire e sfruttare l ' infedele , se ciò ritrae un materiale vantaggio , ma in fondo all ' anima lo odierà e lo disprezzerà sempre . Ed il secondo era il Riff , dove la Spagna venne meno al suo compito , non riuscendo a conquistare il paese che le era stato assegnato , per una serie di ragioni , ma sopra tutto perché nel Riff si manifestò un uomo superiore per intelligenza e forza di volontà , Abd - el - Krim . Il quale , come Abd - el - Kader aveva saputo riunire in un unico fascio tutte le tribù di metà dell ' Algeria , è riuscito a coordinare sotto la direzione le forze di tutte le tribù riffane , avendo per giunta sul suo predecessore il vantaggio di conoscere le debolezze dei popoli di civiltà europea , delle quali le maggiori sarebbero le rivalità fra le varie potenze e l ' ostacolo che ormai in quasi tutte le nazioni europee trovano le guerre coloniali nell ' azione dei partiti ultra democratici . Non si può né affermare né negare in modo assoluto che la Francia e che sopra tutto il maresciallo Lyautey abbiano visto di buon occhio i ripetuti successi di Abd - el - Krim contro gli spagnoli . Pare certo ad ogni modo che non abbiano fatto nulla di efficace per impedirli e che quindi non abbiano intraveduto il pericolo che corrono tutte le potenze europee che hanno sudditi musulmani quando in un paese musulmano , e sopra tutto in un paese confinante con una propria colonia , sorge un uomo che dimostra di saper vincere gli invasori cristiani e che può quindi rappresentare la parte di colui che i seguaci dell ' Islam chiamano l ' « uomo dell ' ora » ; l ' uomo cioè predestinato da Dio , che , rinnovando le gesta di Saladino , dovrà un giorno o l ' altro liberare tutto il Dar - el - Islam , cioè il paese abitato dai seguaci del Corano , dall ' impuro dominio dei miscredenti . Ed è perciò che oggi in tutti i paesi musulmani si seguono con ansietà mal dissimulata le gesta di Abd - el Krim e che , fino a quando una sconfitta definitiva ed irreparabile non avrà distrutto interamente il suo prestigio , egli potrà sempre spingere alla rivolta le tribù berbere della montagna ed anche della pianura marocchina e che potrà sempre attirarsi le simpatie perfino degli abitanti delle città del Marocco , i quali molto avrebbero da temere da lui e sopra tutto dai suoi . È cosa difficile la politica coloniale nei paesi di antica civiltà maomettana che un solo errore di omissione è bastato per mettere in pericolo nel Marocco i risultati di quasi un ventennio di un ' azione politica accortissima sussidiata da un ' azione militare misurata , prudente ed efficace . Oggi certamente il distruggere la potenza di Abd - el - Krim non è impresa superiore alle forze della Francia , ma sarebbe un ' illusione il credere che a ciò possano bastare una campagna di pochi mesi e pochi combattimenti fortunati ; occorreranno invece del tempo , della costanza e sopra tutto l ' impiego di un esercizio coloniale molto numeroso e bene organizzato . Ma non perciò può dirsi che l ' opera del maresciallo Lyautey sia stata annullata e che tutto sia oggi nel Marocco da rifare . Ho già accennato che si dovette quasi esclusivamente alla sua intuizione geniale se , durante la grande guerra europea , la Francia ebbe , mercé il suo nuovo possedimento africano piuttosto un aumento che una diminuzione delle forze combattenti in Europa . Aggiungerò ora che si deve principalmente alla politica del vecchio maresciallo se la crisi attuale , che forse un giorno o l ' altro inevitabile , è stata tanto ritardata . Ciò che ha fatto sì che essa sia scoppiata quando la dominazione francese aveva messo già salde radici nel Marocco e si erano potuti costruire i porti , le ferrovie e le strade che sono gli strumenti principali mercé i quali potrà essere superata .
HA VENTISETTE ANNI LA NOVITÀ DI BRANCATI ( De Monticelli Roberto , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Se questi tre atti di Vitaliano Brancati fossero stati rappresentati nel 1932 o giù di lì , cioè quando apparvero sul « Convegno » di Enzo Ferrieri , si sarebbero forse accese discussioni sulle interessanti prospettive che il teatro degli scrittori giovani andava aprendo nel logoro panorama della scena nazionale . Ma , in Italia , le cose che devono accadere , ecco qua , accadono sempre con un minimo di venticinque anni di ritardo . Ed ecco che la riesumazione di questo dramma giovanile dello scrittore scomparso , intitolato Il viaggiatore dello sleeping n . 7 era forse Dio ? appare oggi destituito di quasi tutti quei motivi di interesse che avrebbe avuto una volta . Perché ? Ma perché risulta tutto tremendamente legato a quel tempo allusivo , a quella stagione in cui , anche una virgola , messa in un certo modo , assumeva un valore spropositato , una eco che probabilmente era soltanto nelle intenzioni , se non nei desideri , di chi leggeva . Così , la storia di questo vecchio signore siciliano , malato di cuore , che sul vagone - letto Siracusa - Roma ( si reca nella capitale per sottoporsi alle visite di importanti specialisti ) incontra uno sconosciuto che , per burla , gli si spaccia per cardiologo e , facendo finta di visitarlo , lo rassicura sullo stato della sua salute , tanto da ridargli fiducia e speranza nella vita ; questa storia scopre troppo presto la corda del suo simbolismo . Chi è lo sconosciuto viaggiatore dello « sleeping » ? Per il vecchio uomo malato è un ' incarnazione di Dio , una proiezione , in forma umana , della sua immagine , un modo escogitato per mandargli , da una regione misteriosa , un messaggio che lo aiuti a vivere . Accanto a questa storia , poi , se ne sviluppa un ' altra : quella della figlia dell ' anziano uomo , bella e perversa , che dice di no a un suo patetico innamorato e se ne scappa con un giovanotto sufficientemente imbecille e prestante , oltre che sbrigativo e di pochi scrupoli . Il tutto accade nella « hall » di un albergo di Roma , una Roma molto 1930 , in cui circola l ' aria dei primi racconti di Moravia e balena , a tratti un po ' di realismo magico alla Bontempelli . Il vecchio signore muore , come viene la sua ora , senza sapere che nel frattempo in una stanza di quello stesso albergo , dunque a pochi passi da lui , si trova lo sconosciuto del vagone - letto , l ' uomo che egli aveva inutilmente cercato , in tutto quel tempo , e al quale aveva attribuito una così misteriosa funzione . Tocca a questo personaggio di concludere la commedia ; è un uomo assolutamente comune , che viaggia per affari ( quando l ' abbiamo conosciuto , sul vagone - letto , ci è stato presentato come commerciante d ' arance ) ma , non appena gli viene raccontata la singolare storia , egli la inquadra nei suoi termini , diciamo filosofici : tutto è inspiegabile , egli dice , tutto è mistero . Ma accade talvolta che la nostra volontà coincida con quella di Dio . È allora l ' atto che compiamo e l ' inconsapevole bene che ne deriva non ci appartengono più , diventano un « avvenimento del mondo » . Eccoci dunque davanti a un Brancati che fa del patetico e lirico panteismo ed è immerso per di più in una atmosfera vagamente crepuscolare , con un valzer sullo sfondo e un monotono scroscio di pioggia sui vecchi tetti di Roma . Si sentono in questi tre atti un ' infinità di influssi , da Pirandello al singhiozzante Fausto Maria Martini . È un ' opera ancora incerta , confusa , con qualche grazia , esclusivamente letteraria , nel dialogo ( e nelle lunghe didascalie ) ; con due personaggi persino un tantino ridicoli , nella loro sentimentale convenzione : quello della ragazza perversa e quello dell ' innamorato ardente e umiliato . Sono insomma tre atti legati a quegli anni irrecuperabili , a una provincia letteraria definita e remota . Perché , dunque , riesumarli ? Non si è reso un buon servizio a Vitaliano Brancati , del quale ci interessano altre cose , in teatro e in narrativa . E poi , per presentarli così , tanto valeva lasciar dormire questi tre atti fra le pagine della vecchia rivista che li pubblicò nel lontano 1932 . Legata com ' è al suo tempo , una commedia del genere andava messa in scena preoccupandosi di dare soprattutto l ' aroma e il colore di quegli anni . Niente . E quanto all ' interpretazione , salvo Raffaele Giangrande , che è riuscito a dare plausibilità al personaggio del protagonista , salvo qualche anziano attore come Pier Paolo Porta , per il resto , nebbia . Il teatro , uno studioso come Enzo Ferrieri dovrebbe saperlo , non si può fare coi ragazzi . Quando poi , come nel caso del « Convegno » , non è un teatro di esperimento e di ricerca , ma si parte con Steinbeck e Montherlant e si arriva a una « novità » italiana che ha ventisette anni sulle spalle . L ' esito della serata è stato buono , numerosi gli applausi .
Perché mai il referendum? ( Bobbio Norberto , 198 )
StampaQuotidiana ,
Per giudicare della bontà di una causa , nulla è meglio che vagliare la maggiore o minore forza degli argomenti che entrambe le parti impiegano per difenderla e dei controargomenti di cui si servono per combattere gli argomenti dell ' avversario . Sgombero subito il campo da un falso argomento addotto ripetutamente dai fautori del « sí » : l ' appello al principio « la legge è eguale per tutti » . Che la legge debba essere eguale per tutti non significa affatto che tutti debbano essere trattati in modo eguale . Sarebbe un ' insensatezza . L ' unico significato certo attribuibile alla massima , che si vede scritta sui frontoni di tutti i tribunali , è che la legge , qualsiasi legge , deve essere applicata imparzialmente a tutti , ricchi e poveri , nobili e plebei . Ciò che la cosiddetta « regola di giustizia » richiede è che siano trattati egualmente gli eguali e disegualmente i diseguali . Sono forse i giudici eguali agli altri cittadini rispetto all ' estensione della responsabilità civile ? Anche i fautori del « sí » riconoscono che non lo sono : qualunque sia l ' esito del voto , la responsabilità dei giudici sarà ad ogni modo diversa da quella dei singoli cittadini . Nell ' attuale disputa la massima non c ' entra assolutamente nulla . L ' invocarla come una buona ragione per indurre a votare « sí » è uno sproposito . Atteniamoci dunque agli argomenti razionali , vale a dire alle ragioni pro o contro , addotte sulla base di giudizi di fatto controllabili , sia rispetto alle premesse sia rispetto alle conseguenze . Nonostante il profluvio di parole che si è rovesciato in questi giorni sui giornali , questi argomenti sono sempre gli stessi . Chi vada a leggere ciò che si scrisse nella primavera del 1986 quando ebbe inizio la campagna per la raccolta delle firme , si renderà conto facilmente di quel che sto dicendo , anche se possono essere cambiati alcuni interlocutori , e identici interlocutori possono oggi sostenere tesi diverse da quelle di ieri . A ragion veduta si può dire che gli argomenti addotti da una parte e dall ' altra ruotano intorno a due temi fondamentali : i ) se il quesito posto sia conforme allo scopo , che sarebbe per i promotori una giustizia più giusta ; 2 ) ammesso che il quesito sia conforme allo scopo , se a sua volta sia conforme allo scopo lo strumento adottato per risolverlo , il referendum . I fautori del « no » sostengono che ci troviamo di fronte a un caso davvero singolare di un metodo sbagliato usato per risolvere una questione mal posta . Sul primo punto alle persone di buon senso è parso sin dall ' inizio incomprensibile perché dal gran mazzo di problemi insoluti relativi alla giustizia si sia estratto il problema della responsabilità civile . Tanto più che due dei proponenti facevano parte del governo , e di governi che non erano mai stati troppo zelanti nel cercare di risolvere gli altri problemi . Sinora i fautori del « sí » non hanno fatto nulla per aiutarci a capire . Attribuire la responsabilità dei malanni della giustizia ai giudici , sarebbe come far ricadere i malanni della scuola sui professori , della sanità sui medici e , perché no ? , tutti i guai del paese soltanto sulla classe politica . Che sia utile ridiscutere il problema della responsabilità civile dei giudici , non è ancora un buon argomento per considerarlo il problema principale , da risolvere prima di tutti gli altri . Si capisce come sia potuto nascere il sospetto che la funzione del referendum fosse unicamente quella di dare una lezione ai giudici troppo inframettenti . Non è il caso di fare il processo alle intenzioni . Ma siamo proprio sicuri che non gli attribuiscano questa funzione la maggior parte dei cittadini che voteranno « sí » ? Giorni fa un tassista , che si accalorava parlandomi di una lite scoppiata tra gruppi rivali di conduttori , mi disse che il Tar aveva dato loro ragione ma gli altri erano ricorsi al Consiglio di Stato . Però , aggiunse , siccome la sentenza sarà emanata dopo il referendum , « se ci danno torto gliela faremo pagare » . Un cittadino , non sprovveduto , riteneva dunque in buona fede che dopo la « valanga » dei « sí » , chi ha torto potrà d ' ora innanzi procedere non per far rivedere la sentenza ma per punire il giudice . Rinunciamo pure a fare il processo alle intenzioni dei promotori . Ma non siamo del tutto tranquilli sulle intenzioni dei bravi cittadini che risponderanno all ' appello del « sí » . Se ne rendono conto coloro che hanno variamente contribuito a costruire questa macchina di guerra contro la magistratura italiana ? E rendendosene conto , che cosa rispondono ? Quanto al secondo punto , l ' idoneità del referendum come strumento , l ' argomento contrario è fortissimo . All ' argomento secondo cui il problema della responsabilità civile del giudice non può essere risolto con un « sí » e con un « no » , non può essere data nessuna risposta convincente , tanto è vero che neppure i fautori del « sí » cercano di darla . Dopo l ' abrogazione tutti sanno che bisognerà ricominciare da capo . Il solo argomento addotto dai promotori è stato che lo scopo del referendum non era quello di decidere ciò che un referendum non può decidere ma quello di « stimolare » il legislatore a decidere . Che il nostro Parlamento abbia bisogno di stimoli per agire , come un individuo in stato di depressione permanente , è desolante . Ma lasciamo andare . Ora che lo stimolo sembra abbia prodotto il suo effetto , e più o meno tutti , compresa la maggior parte dei magistrati , sono d ' accordo sulla riforma , tanto che nella passata legislatura pareva che il « vuoto » stesse per essere colmato prima che si formasse , che necessità c ' è che la stimolazione continui ? Anche a questa domanda non sono riuscito a trovare che risposte vaghe , forse sarebbe meglio dire nessuna risposta . Il referendum da strumento diventa fine a se stesso . Il referendum per il referendum . Ovvero : perché il referendum ? Perché sì . Concludendo : chi ritiene non sia stata sufficientemente giustificata la scelta del quesito , dovrebbe rispondere « no » . Chi invece ritiene non sia stata sufficientemente giustificata la scelta del mezzo per risolverlo dovrebbe non andare a votare . Chi ritiene che non siano state sufficientemente giustificate entrambe può scegliere di votare « no » o di non votare .
LA LUNA E LE STELLE. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Firenze , 30 marzo . Di notte , all ' Osservatorio , d ' Arcetri , sopra Firenze . Chi ha mai cantato in questo secolo ansioso e sapiente le lodi dell ' ignoranza , e quanto essa giovi alla felicità ? E quanto alla poesia , cioè alla maraviglia ? Non dico dell ' ignoranza che ignora anche sé stessa ; ma di quella che dobbiamo dentro noi curare e custodire come una riserva di giovinezza , anzi d ' infanzia , per sovvenire l ' età matura . Amore , fede , coraggio , speranza , le più belle qualità dell ' uomo , hanno bisogno d ' un tanto d ' ignoranza come l ' oro si fa più resistente al conio con un poco di lega . Sto seduto in una stanza di legno rotonda , accanto a una lampada velata ; e poiché niente capisco di quello che mi circonda , mi conforto con questi pensieri . A un passo da me un vecchino canuto muove una lucida ruota che ha il mozzo confitto nella parete , e una cupola scorre giro giro sopra i muri della stanza con tutte le sue persiane , scalette e ballatoi , così dolcemente volubile che il moto dei suoi congegni dà appena il suono d ' un sospiro . Un giovane astronomo , biondo , ilare e magro , il professore Giorgio Abetti , curvo sopra una tavola , guardando un libro brulicante di cifre e con la matita segnando su una scheda altri numeri , dà brevi comandi all ' uomo della ruota come il capitano d ' una nave al suo timoniere . Navigano nel firmamento . In mezzo alla stanza il telescopio ha l ' aria sorniona d ' un « grosso calibro » infrascato sulla sua piazzola . Nella penombra lo seguo con l ' occhio fino alla bocca e m ' accorgo che la cupola , quant ' è larga , è tagliata da un ' apertura nera palpitante di stelle ; sembra la bocca d ' un cetaceo schiusa ad afferrare tra le due mandibole quel che le càpiti nel mar delle tenebre . Subito parteggio per le stelle contro il mostro : pel mistero , contro la scienza accoccolata qui a spiare l ' infinito da questa fessura . Se l ' astronomo adesso m ' annunciasse : Il cielo s ' è rannuvolato , stanotte non si vede niente , confesso che sorriderei come a uno dei tanti scherzi che il cielo fa all ' uomo e ai suoi saldi propositi . Ma , fermata la cupola , Giorgio Abetti ha ormai con una manovella puntato il suo cannocchiale , ha spento un ' altra lampada , è salito su per una ripida scaletta , ha messo l ' occhio all ' oculare , e dall ' alto mi chiama . Quando gli sono vicino e m ' appoggio a lui , scorgo nella sua pupilla un punto bianco tanto splendente che mi pare debba forargliela e abbacinarlo . Guardi Orione , mi dice , e mi lascia solo su quella cima . Lancio un ultimo sguardo all ' arco di firmamento che s ' incurva sulla mia testa , alle tante stelle che rabbrividiscono in quel fosco gorgo , e metto l ' occhio alla lente . La prima impressione è che il cielo sia vuoto . Su quel fondo di velluto nero i diamanti delle stelle sono più grandi , è vero , e d ' una luce più pura ed immobile , ma sono più radi . Ne vedo quattro come agli angoli d ' un trapezio , e altri tre a sinistra . Più fisso quel vuoto , più esso mi si fa lontano profondo e pauroso . Il suo mistero che già m ' era divino , m ' appare nullo , gelido e disperato . E quel tanto d ' umanità con cui religioni , superstizioni e astrologie hanno da decine e decine di secoli cercato di legare il cielo alla terra chiamando a nome gli astri come se potessero udirci , legando il destino di noi lunatici , marziali o gioviali ai presunti comandi di quelli , ecco , mi si disperde in un infinito indifferente e vacuo , in una notte stupida e senza fondo , così che penso d ' afferrarmi a queste leve e manubri per non precipitarvi a capofitto dal trampolino della mia scaletta . Intanto m ' afferro alle immagini e ai paragoni . E poiché fissando così la costellazione d ' Orione comincio a vederle attorno un chiarore confuso , una nubecola triangolare che ha la forma d ' un ' Affrica messa lassù per traverso , mi sembra che quelle stelle s ' affatichino a districarsi come da una rete per venirmi incontro . Giochi . Davanti a quei grossi lontani irraggiungibili diamanti posati a caso su quel fiocco d ' ovatta , il vecchio trucco di prestar l ' anima nostra a tutto quello che ci circonda , perfino a stelle e a pianeti , diventa vano e puerile come lanciar sassi al sole . Che vede ? Vedo dietro sette stelle una nuvola . La nebulosa d ' Orione . La distinguerà meglio sulle fotografie . Le stelle le vede chiare ? Chiare . Sono stelle giovani e caldissime . Provo ancóra su questi due umani aggettivi a ricontemplarle e a godermele . Niente . Discendo . Adesso metterò l ' apparecchio sulla luna . La cupola ricomincia a girare , il telescopio continua a seguirne la fenditura mediana . Io metto le mie speranze nell ' amica luna , tanto vicina , docile e nostra . Quando l ' apparecchio è al punto , torno lassù . Prima la guardo con un cannocchiale più piccolo : è al primo quarto , una calottina d ' argento mal fuso , con le bave ancóra e le bolle e le schiume . Metto l ' occhio al cannocchiale più potente : vedo solo un gran disco di gesso illuminato come da una lampada elettrica troppo forte . La luce radente sottolinea con ombre nette i cigli dei cento crateri , e un ricordo di guerra mi vien su dal cuore : da un osservatorio d ' inverno , sul Pasubio un pianoro nevoso tutto sforacchiato dai proiettili nemici . Rivedo le pareti di larice dell ' osservatorio , la tavola rozza , i binoccoli , il telefono , i bicchierini di Strega , il fondello che fa da portacenere , il cane barbone che ha imparato ad alzarsi in piedi quando arriva il colonnello ; rivedo i compagni che mi narrano il bombardamento notturno e m ' indicano laggiù gli ultimi reticolati ridotti dalla neve gelata a un candido muretto uguale uguale che ha l ' ombra segnata col tiralinee ; i compagni che mi descrivono l ' uscita d ' una pattuglia vestita di bianco , sotto la luce della luna , per raccogliere un ferito austriaco e lo avevano invece trovato morto assiderato , dentro una mano rattrappita la fotografia d ' una donna ( Ma che fotografia ! Una cartolina illustrata col ritratto di una canzonettista scollata fin qui .... ) e l ' avevano sepolto così in una cassa tant ' alta perché non avevano più potuto distenderne le membra rattratte ; e fanno a gara , i compagni , a magnificarmi le fattezze di lei , certo viva di là , e nessuno pensa più alle fattezze di lui povero morto .... La luna e la guerra . Ora che le sono così vicino , mi riassale come un odio per lei che riconduceva a data fissa sugli accampamenti , sui villaggi , sulle città , aeroplani , dirigibili , bombe , urli , rovine ; e riodo i tre urli della sirena e il tiro degli antiaerei e quello delle mitragliatrici e il rombo dei motori e lo scroscio delle bombe sulla città pallida e vuota che pareva morta , che faceva il possibile per assomigliare a lei , voglio dire a questa luna maledetta , perché lei ne avesse pietà . Vede bene ? Benissimo . Quelle tre conche si chiamano Teofilo , Cirillo e Caterina . Quella distesa è il Mare Tranquillitatis . Quella più in alto .... giri il manubrio a destra .... è il Mare Serenitatis . E poi il Mare Nectaris .... Lassù , quei nomi da manifesto per stagione balneare ; e noi quaggiù dovevamo correre , acquattarci , sparare , dopo secoli e secoli che l ' umana imbecillità aveva adorato e invocato in tutte le lingue e in tutte le metriche il suo tranquillo astro d ' argento . Adesso , a guardare quei crateri spenti e sgonfiati , con quel cocuzzolo o con quella buca nel centro , m ' immagino che siano tante mammelle smunte dai mille e mille poeti dei secoli che furono . E sono contento di vederla così , senza una stilla d ' acqua o un respiro di vapore , arida , calcinata e finita . Scusi , professore ; a memoria d ' astronomo , si è mai notato alcun mutamento in questo rudere d ' un mondo ? Mai . Da Galileo ad oggi , sempre la stessa . Sono soddisfatto e rallegrato . Giorgio Abetti è paziente con me . Mi mostra Saturno che è una perlina col suo anelluccio di smalto bianco molto grazioso , poco costoso , come ve n ' è cento nelle botteghe di Ponte Vecchio . Mi mostra Giove che s ' alza adesso , circonfuso ancóra dal fiato d ' uno sbadiglio , tinto di bianco rosso e verde , secondo è , per fortuna , la moda . Andiamo via , ché è quasi mezzanotte . Dal panico del vuoto infinito , ecco sono ridisceso a ridere , che è la povera vecchia difesa donataci dalla Provvidenza contro i pensieri troppo grandi . La mia guida mi conduce a vedere le sale terrene dell ' Osservatorio , la biblioteca , l ' archivio , le fotografie . Astronomo figlio d ' astronomo , giovane com ' è , ha viaggiato mezza terra per veder le sue stelle . Dall ' osservatorio di Mount Wilson in California , da quello Yerkes presso Chicago all ' osservatorio di Greenwich accanto a Londra e a quello di Potsdam accanto a Berlino , egli ha veduto , studiato , confrontato tutto ; e quando mi nomina questo o quell ' astronomo celebre , mi sembra che pel mondo egli sia andato cercando tutti gli uomini che tengono la faccia volta all ' insù . Ma l ' idea è sbagliata perché adesso gli astronomi coi loro grandi specchi prendono le stelle e se le portano tremanti sul loro tavolino , senza nemmeno soffrir l ' incomodo che abbiamo noi di torcere il collo per interrogarle . L ' astronomo insomma della vecchia leggenda che per guardar le stelle cadeva nel pozzo , è d ' una razza perduta da molti anni . Ora all ' Osservatorio d ' Arcetri verrà non so che gran lente dalla Germania « in conto riparazioni » ; e la Fondazione William Hale nordamericana aiuta coi suoi dollari l ' Abetti a costruirsi una Torre solare per sorvegliare , d ' accordo con Mount Wilson , il sole anche di qui . L ' America , l ' America torna ogni minuto nella conversazione , qui sulla collina di Galileo , come nelle conferenze politiche di Londra , Parigi o Losanna . Le grandi fotografie del cielo , venute anch ' essi d ' oltreoceano , mi riafferrano con lo stesso fascino dello spettacolo al telescopio . A guardare quella su cui la nebulosa d ' Orione appare sconvolta e stracciata da gorghi e vortici di luce e d ' ombra sembra d ' udire l ' urlo d ' un gran vento che in quelli eccelsi faccia stormire le stelle . Da un lato , contro il nero stellato , la nebulosa si delinea con un netto profilo da cui avanza una testa di mostro simile a una garguglia sul fianco d ' una cattedrale gotica ; e tutto quel profilo è segnalo da un ciglio candido , luce d ' altri astri , d ' altri mondi , d ' altri soli , d ' altri iddii , che l ' uomo non vedrà mai se non nell ' estasi d ' un ' adorazione . E molte altre fotografie vedo del sole , con folti intrichi di riccioli come d ' un vello leonino , tagliati qua e là dai labbri sinuosi di ferite profonde . La terra in proporzione quant ' è grande ? L ' astronomo ha in mano una matita . La mette perpendicolare sulla fotografia così da segnare un punto largo quanto la punta della matita : Questa sarebbe la terra . Basta . Sento che l ' impensabile torna a stordirmi ed esco all ' aperto . Ecco Firenze , Firenze segnata anch ' essa soltanto dai suoi lumi , ma tutta nostra , tutta nota , tutta bella , tutta umana . Il ciglio alberato del colle sta davanti alla città , come una gran ribalta . Lassù a destra , tra due cipressi , si gonfia la collina di Settignano , con la piramide dei suoi lumi che l ' assomiglia a un altare coi ceri accesi . A sinistra laggiù , da una massa bruna alta e nuda pendono due o tre lunghe collane d ' oro , quasi da un vascello le catene che lo tengono all ' àncora in questo golfo di tenebre . E la chiesa di Santa Maria Novella , sono i fanali lungo i binarii della stazione . Di fronte a noi , su dall ' alone di due sciami di luci , là un fuso bianco , qua un fuso nero s ' alzano e si perdono nel cielo , come due pigre fumate , il campanile di Giotto , la torre d ' Arnolfo . Pian piano ritroviamo la città , le sue strade , i suoi monumenti , il luogo delle nostre case : amabili come mai . Addio , povere stelle .
StampaQuotidiana ,
Il fascino del personaggio di Mercadet , nella commedia di Balzac presentata ieri sera dal Piccolo Teatro di Milano , sta nel suo nucleo autobiografico . Mercadet è Balzac per lo meno nelle sue apparenze esterne , quelle consegnateci dalla tradizione : il grand ' uomo al centro del turbine di cambiali in scadenza , la fantasia eccitata dalle stesse difficoltà in cui si dibatte . Che poi il personaggio sia la rappresentazione d ' un certo tipo di borghesia francese che andava affermando i suoi concreti ideali di denaro e di potenza negli anni che seguirono la Rivoluzione di luglio , questo è talmente palese da sembrare persino ovvio . Se esistette mai uno scrittore il cui esclusivo campo di indagine fu proprio la società del suo tempo , questi è proprio da identificarsi nel creatore della Comédie humaine . È chiaro perciò che il teatro dovette esercitare una forte suggestione su Balzac , essere una continua tentazione della sua fantasia . I biografi , Théophile Gautier in testa , dicono che , in realtà , nel teatro egli vedeva una comoda e copiosa fonte di guadagno , da sfruttare sull ' esempio di certi mediocri e fortunati commediografi dell ' epoca . Ma un po ' di scetticismo , su questi suoi pittoreschi atteggiamenti ( buttava giù , scrivono , un dramma in una notte , con la collaborazione di quattro o cinque amici , convocati all ' ultimo momento ; così sarebbe nata la versione teatrale del Vautrin ) , è necessario . Mercadet l ' affarista , ( titolo originale Le Faiseur ) è , secondo la maggioranza degli studiosi , la prima in ordine di tempo , delle sei commedie firmate da Balzac ; secondo altri , l ' ultima . È senza dubbio la migliore , la più completa e realizzata . Perché anche Le Faiseur , nella riduzione del De Ennery ( l ' autore de Le due orfanelle ! ) , venne rappresentata postuma , un anno dopo la morte di Balzac , nel 1851 . E si dovette arrivare , verso il 1934 , alla riesumazione che ne fece Dullin , perché l ' opera fosse rivalutata . Le Faiseur è la rappresentazione d ' un grande personaggio , un vero e proprio « carattere » al centro di un ' immensa burla finanziaria , un ' accesa parodia dei giochi di borsa , delle speculazioni , delle avventure economiche insieme fantasiose e concrete cui cominciava ad abbandonarsi la borghesia del tempo di Luigi Filippo . Mercadet è assediato dai creditori , ha l ' acqua alla gola ; angosciate gli sono accanto la moglie e la figlia ; infidi , pettegoli e non pagati , i servi lo sorvegliano . Con tutto ciò , dal disastro imminente , come dal fondo d ' un cappello di prestigiatore , egli trae gli estri della sua fantasia di grande avventuriero dei titoli non riscuotibili , delle cambiali protestate , dei sequestri giudiziari . Chimeriche imprese , con tutte le vele spiegate al vento delle illusioni , navigano nell ' atmosfera eccitata di quella sua casa - trabocchetto da grande uomo d ' affari senza uno spicciolo in tasca . Ha però i suoi assi nella manica : il matrimonio della figlia con un giovane che egli crede ricchissimo ( ed è invece uno spiantato , carico di debiti e di iniziative truffaldine ) e il ritorno di Godeau , il socio in affari che , vent ' anni prima , egli racconta , se ne fuggì con la cassa . Gli va fallito il colpo del matrimonio della figlia ( che si sposerà con un giovanotto fra sentimentale e prudentemente calcolatore , cui alla fine è affidata la funzione di Deus ex machina dello scioglimento ) , e starebbe per andargli a vuoto anche la fantastica trovata del grande ritorno di Godeau , da lui organizzato con truffaldina genialità , se il socio fantasma , poi , a conclusione della favola , non tornasse per davvero , dalle Indie , carico d ' oro , a sistemare tutto . Tutto ciò sarebbe sulla linea d ' un macchinoso vaudeville , alla Scribe , o addirittura alla Labiche , se non ci fosse quel grosso personaggio centrale , quel Mercadet , ipotesi che Balzac sembra prospettarsi di se stesso ( e in tal senso si è detto sopra che il fascino di questo protagonista ha i bagliori d ' una delle biografie più poetiche dell ' Ottocento ) . Manca però a Mercadet un antagonista che lo condizioni . Allora , questa sarebbe davvero una grande commedia . Gli altri personaggi , infatti , sono tutti convenzionali o non escono , al più , dai limiti della macchietta . Un certo rilievo psicologico hanno la moglie e la figlia del protagonista , con la loro misura umana , piccolo - borghese ; ma si tratta di figure che restano approssimative . La vera scoperta è lui , Mercadet ; la cui presenza determina un paio di scene per cui è senz ' altro esagerato citare Molière , ma che sono indubbiamente belle . Aggiungi il gusto dell ' aforisma , la viva parodia scenica delle opinioni politiche e morali del tempo . È destino che non ascolteremo mai la commedia di Balzac nella sua stesura originale ( si tratta d ' altronde di cinque atti lunghissimi e piuttosto mal calibrati per il gusto di uno spettatore moderno ) . Della riduzione presentata dal Piccolo si è incaricato Carlo Terron , che ha forse abbondato , seppure con gusto , nelle modifiche e nei ritocchi . Ha tra l ' altro leggermente alterato il personaggio della moglie di Mercadet , per fare di quel suo spicciolo moralismo un contrappeso teatralmente efficace al cinismo avventuroso del marito ; e ha cambiato il finale , spiritoso arbitrio per cui dovrà intendersela direttamente con l ' ombra di Balzac ; ma in complesso la riduzione è efficace e finisce con giovare al testo . A differenza di quanto fece Jean Vilar quando , due anni fa , mise in scena e recitò Le Fausier , tenendosi a metà tra i ritmi della commedia seria e di quella giocosa , Virginio Puecher , regista dello spettacolo , ha puntato sull ' interpretazione satirica del testo , cavandone quindi effetti grotteschi e momenti di tensione drammatica e giocando in chiave ironica sull ' attesa del mitico Godeau . Se c ' è un difetto , sta nell ' andatura un po ' lenta , specialmente nella seconda parte . Uno spettacolo , comunque , approfondito e , a tratti , rivelatore . Al centro della serata , Tino Buazzelli , che s ' era combinata un ' efficacissima faccia alla Balzac e che ha recitato , ha riso , pianto , si è mosso , con una corposa evidenza , una versatilità di toni e di mimica notevolissima ; Mercadet sembra cucito sulle sue spalle ; accanto a lui , brillante quantunque un po ' manierato , Aldo Giuffré , Gabriella Giacobbe , che ha dato una patetica misura alla figura della moglie , Giulia Lazzarini , che era la malinconica figlia da maritare , il comicamente violento Tarascio e tutti gli altri , da Gastone Moschin ad Andrea Matteuzzi , assai efficaci . Una festosa scena di Damiani , musiche di Carpi . Molti applausi , alla fine delle due parti .
CONCORDATO E LIBERTÀ ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
Nessuno si stupisca della soddisfazione comunista per il voto sul Concordato alla Camera . Longo , che pure non è un amante delle sfumature , ha superato Togliatti nel giuoco delle allusioni e degli ammiccamenti filocattolici . Nelle file comuniste , a differenza di tutte le forze di sinistra , non c ' è stata una voce , una sola voce , che si sia schierata per l ' abrogazione del Concordato : la disciplina di partito ha funzionato ferreamente e gli eventuali dubbi o casi di coscienza hanno ceduto alla « ragion di Stato » del Pci , e oggi come ai tempi dell ' articolo 7 , come ai tempi della canonizzazione costituzionale dei Patti lateranensi , ventiquattro anni or sono , in sede di assemblea costituente . E si spiega . I comunisti hanno tutto l ' interesse a salvaguardare il « modello concordatario » per l ' Italia . Parliamo del modello concordatario : non di tutte le disposizioni del Concordato sottoscritto da Mussolini con Pio XI , evidentemente indifendibili anche per i seguaci del più spregiudicato tatticismo o mimetismo rivoluzionario . Preservando in Italia il Concordato , cioè un certo tipo di regime speciale e preferenziale fra Chiesa e Stato , i nostri comunisti - che vedono lontano molto più di tanti loro avversari - ipotizzano una somiglianza sempre maggiore del nostro paese con quegli Stati dell ' Europa orientale , in primis la Polonia , che elaborano faticosamente nuove formule concordatarie per superare i tanti ostacoli di una possibile convivenza , diciamolo pure armistiziale , fra Chiesa e comunismo . È la stessa ragione per cui la diplomazia vaticana più aperta a sinistra sostiene ad oltranza la salvaguardia del Concordato italiano , pur dichiarandosi , ed essendo , disponibile alle più larghe e accomodanti revisioni sui singoli articoli ( si ricordino le dichiarazioni , smentite solo a metà , di monsignor Casaroli : un nome che da solo è un programma ) . Anche larghi gruppi dirigenti della Chiesa cattolica considerano la difesa degli assetti concordatari italiani essenziale e imprescindibile al fine di realizzare , a Varsavia oggi e domani a Praga e a Budapest ( l ' operazione con Belgrado è già in atto : lo abbiamo visto con la visita di Tito al Papa ) , determinate forme di compromesso o di accomodamento concordatario , che restaurino le condizioni elementari e primordiali di quel proselitismo religioso che subì tante sanguinose umiliazioni e tante feroci ingiurie ai tempi di Stalin . C ' è in tutto questo una logica profonda : che sfugge solo agli spiriti superficiali . I Concordati si sono sempre imposti alla Chiesa per difendere l ' esercizio del ministero pastorale dalle esorbitanze o dalle prevaricazioni del potere politico : così fu con Napoleone e con Hitler , con risultati , in entrambi i casi , assai deludenti . Nei paesi dove la libertà religiosa è un dato della vita di ogni giorno , una conquista acquisita e irretrattabile , non si impongono , e neppure si consigliano , le scorciatoie concordatarie . Il caso italiano è reso , a sua volta , infinitamente più complesso e controverso e difficile dalla contemporaneità della soluzione della questione romana e della instaurazione del regime concordatario , coi patti , appunto , del 1929 nell ' Italia del fascismo e di Papa Ratti , i patti che crearono , in un nesso difficile a rivedere o a separare , lo Stato della Città del Vaticano , al posto del defunto potere temporale , e il nuovo tipo di relazioni fra le due rive del Tevere . Relazioni concordatarie , anziché separatiste , come nel sessantennio delle Guarentigie . Il complesso dei Patti lateranensi , com ' è noto , fu recepito nella Costituzione repubblicana e ne diventò in certo modo parte integrante : contro il parere di Croce e di Nenni ma con l ' appoggio determinante del partito di Togliatti , un partito per cui « Parigi vale sempre una messa » . Nella situazione italiana di adesso , sarebbe del tutto irrealistico pensare ad una abrogazione del Concordato , che finirebbe per rimettere in discussione lo stesso Trattato ( ma come potrà sopravvivere , anche nella sola revisione concordataria , l ' articolo primo del Trattato , quello che definisce la religione cattolica religione dello Stato ? ) . Il voto della Camera , sulle responsabili ed equilibrate dichiarazioni del presidente Colombo , ha rispecchiato in questo senso una situazione obbligata , un equilibrio delle forze politiche che non è nell ' interesse di nessuno turbare o sconvolgere . Per una larga revisione delle norme concordatarie , per un loro necessario adeguamento allo spirito e alla lettera della Costituzione , più che mai indifferibile dopo le recenti sentenze della Corte , si sono schierate , quasi senza riserve , tutte le correnti di quella grande confederazione di forze che è la democrazia cristiana non meno dei nuclei più rappresentativi della tradizione laica e risorgimentale , senza neppure l ' eccezione dei liberali di Malagodi che , pur astenendosi sul documento governativo , hanno riconosciuto il valore del principio revisionistico . Ora c ' è da augurarsi che i negoziati bilaterali fra Italia e Santa Sede procedano in uno spirito di larga comprensione , senza impennate di intransigenza o brividi di guerra religiosa : nel solco delineato , con eccellente lavoro di scavo , dalla commissione Gonella , una commissione di cui faceva parte un uomo come Jemolo . Oggi più ancora che ai tempi del governo Moro del '67 , benemerito artefice del primo passo revisionista , esiste un larghissimo schieramento parlamentare in favore dell ' ammodernamento delle norme concordatarie . Sarebbe grave e imperdonabile che tale capitale di disponibilità , un po ' sincera e un po ' strumentale , del mondo laico verso la Chiesa e verso i cattolici fosse messo a repentaglio o in pericolo da un ritorno di fiamma dell ' integralismo confessionale sui due punti - chiave suscettibili dei confronti più delicati , la revisione dell ' art. 34 in tema di legislazione matrimoniale e la revisione dell ' art. 36 sull ' insegnamento religioso nelle scuole . Occorre , da parte di entrambi i contraenti , un grande senso di responsabilità e di equilibrio . Molto più dello scudo concordatario , sempre labile ed effimero e precario , servirà alla Chiesa cattolica post - conciliare il soffio della libertà religiosa , una libertà che viene sempre offesa o diminuita dal laccio di un privilegio o dal dono di un ' esenzione . Una delegazione della Santa Sede , che interpretasse veramente lo spirito del concilio vaticano secondo , dovrebbe far getto di talune norme concordatarie con maggior fretta , e diciamolo pure con maggiore facilità , degli interlocutori laici . La pace dei cuori vale più di tutte le concessioni o garanzie concordatarie . Un ' eventuale campagna per il referendum abrogativo della legge sui casi di divorzio non contribuirebbe certo né alla pace dei cuori né alla revisione del Concordato . Rischierebbe , anzi , di compromettere la prima e di paralizzare la seconda . A vantaggio di quelli che rimangono , oggi come ieri , i comuni avversari dello spirito di religione e dello spirito di libertà .
FRITZ HOHENLOHE. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
4 aprile . È morto a Rapallo il principe Federico Giovanni Carlo Alessandro Adamo Egon Maria di Hohenlohe Waldenburg Schillingfurst , Altezza Serenissima , più brevemente chiamato dai suoi amici veneziani Fritz Hohenlohe . La Casetta Rossa sul Canal Grande che durante la guerra fu presa in affitto da Gabriele d ' Annunzio , la casa insomma del « Notturno » , era di Fritz Hohenlohe , il quale , principe austriaco , se n ' era allora dovuto andare , col cuore gonfio , a vivere in Isvizzera . La presenza del nostro poeta in quella sua casa , alla sua mensa , nel suo letto , mentre i suoi connazionali venivano a bombardare dal cielo Venezia , fu il suo conforto nell ' esilio : assoluzione dall ' involontario delitto d ' essere austriaco sebbene nato a Venezia . Quella bomboniera o casetta che dir si voglia , era il suo orgoglio e la sua beatitudine : tutta settecento dal campanello sulla porta alla gabbia del canarino laccata e dorata . Fritz Hohenlohe adorava il settecento : il settecento del Casanova e del Longhi , del Goldoni e del teatro San Luca , del Glück e del Burg - Theater e ( questo non guastava ) di Maria Teresa e di Giuseppe secondo ; il settecento in cui Venezia e Vienna vivevano ancora in pace ; il settecento , insomma , prima di Campoformio e di Austerlitz , e dell ' infame Napoleone . Solo nei romanzi di Henri de Régnier che fu anch ' egli un assiduo della Casetta Rossa sebbene , lungo com ' è , quasi toccasse col cranio il soffitto di quelle stanzette profumate di sandalo , si possono incontrare innamorati di quel secolo altrettanto fanatici e appassionali e anche , come i fantasmi , altrettanto sospirosi e discreti . Col suo passo saltellante , il suo cappellino minuscolo , il volto paffuto appuntito da una barbetta ormai grigia , il biondo e buon Fritz , quando dopo le undici appariva al sole in piazza San Marco , per primo saluto agli amici annunciava sempre la scoperta di qualcosa di settecentesco : un libro , una legatura , una miniatura , un palmo di merletto , due palmi di specchio , una bambola , un mazzo di tarocchi , un orologino che non camminava più . Conosceva Venezia meglio di molti veneziani ; ma da San Marco ai Frari , tutto quello che non era settecento , lo tollerava , non lo amava . Tutt ' al più gli piaceva come una bella e rara cornice per la bambola , la miniatura , il disegnino , il vero Longhi o il falso Guardi che egli aveva scoperto un ' ora prima ; e sopra tutto , come una cornice per la sua Casetta Rossa , cioè pel suo cuore . Perché il gran settecento di Giambattista Tiepolo e di Benedetto Marcello , con le sue vòlte turbinose d ' angeli e di sante , coi suoi pieni d ' organo , coi suoi avventurieri trascorrenti dalla Russia alla Spagna , coi suoi filosofi rinnovatori dal Vico al Rousseau , dal Beccaria al Montesquieu , Fritz Hohenlohe lo vedeva in piccolo , ridotto a gingilli da star tutti nella calotta d ' un tricorno , ridotto a cavatine e cabalette da cantarsi su una spinetta dipinta : ridotto insomma alla misura della sua casa tanto piccina che a uscirne in fretta si credeva di portarsela in spalla . Dei tanti poeti che vi sono passati , solo la contessa di Noailles e Gabriele d ' Annunzio vi si trovavano come a casa loro , cioè in proporzione . Ma quando entrava nel salotto Mariano Fortuny con la sua bella pancia , le spalle quadre e il faccione sorridente tra tanto pelo , veniva voglia d ' aprir la porticina a vetri sul giardinetto e sul Canalazzo per respirare . Fortuny lo sapeva ed entrava congiungendo le due mani sullo stomaco , stringendo i gomiti sui fianchi e camminando a passi brevi dopo aver guardato in terra se tra le gambe d ' un tavolino , il bracciolo d ' una poltrona e i piedi di un invitato poteva trovare posto anche per un piede suo . Più pericoloso era il pittore Marius de Maria , specie quando discuteva e per discutere s ' alzava e gestiva . Portava egli allora un paio d ' occhiali con una lente sola e , sull ' altr ' occhio , il cerchio vuoto per la lente che non c ' era più ; e di questo cerchio vuoto e arrugginito si serviva come d ' un manico per fissare meglio gli occhiali sul naso , così che pian piano il cerchio vuoto era salito a incorniciare un poco del sopracciglio . Tra l ' alzare le braccia al cielo nel calor della disputa e quel continuo soccorrere gli occhiali e rimetterli in punto , era un continuo urtare il candeliere o il bruciaprofumi , la cornice o il vasetto di viole , la chicchera del caffè o la boccia del rosolio . E tutti , con prudenti gesti , ad accorrere ; ed egli a interrompersi e a riprendere con più veemenza ; e noi ad ascoltarlo e a dargli ragione per evitare i cocci ; ed egli a spiegarci che non avevamo capito . V ' erano , come sempre nei salotti veneziani , molti ufficiali di marina , cominciando dall ' ammiraglio Presbitero e dall ' ammiraglio Cusani . Abituati alle cabine di bordo , usciti magari un ' ora prima dal quadratino d ' una torpediniera o dalla cella d ' un sottomarino , erano in quelle strettezze i più composti e i più agili . Ma l ' ospitalità era cordiale per tutti , uguale a distanza di mesi e d ' anni . Eppure una sera credetti di sentirmi cadere addosso quel teatrino dorato . La sera del 4 settembre 1916 pranzavo lì con Gabriele d ' Annunzio quando cominciò l ' incursione . Sirene , antiaerei , mitragliatrici , fucileria , rombi , sibili , scrosci : pranzo con concerto viennese . Eravamo al dolce , con una certa cotognata offerta da un ammiratore al poeta in tanta copia che da Cervignano a Udine , da Monfalcone a Gradisca , non v ' era mensa di ufficiali che ormai non ne avesse gustato . Ed ecco uno scoppio fragoroso assordarci , le sottili pareti oscillare , i bracci e le gocce del lampadario di vetro tinnire , e dalla vetriata dietro le tende di seta verde , giù vetri , l ' uno dopo l ' altro , che non finivano più . Una bomba era caduta sui gradini di approdo del palazzo della Prefettura , a venti metri dalla Casetta Rossa . In coro , tutti e due esclamammo : Povero Fritz , se fosse qui .... E mi sembra che a ricordar oggi quelle parole gli si faccia la necrologia che , se egli potesse leggerla , gli sarebbe più cara . Quella notte una bomba incendiaria cadde anche a due metri dalla maggior porta di San Marco . Ma chi se ne ricorda più ? Certo nemmeno chi la lanciò .
IL «CABARET» DI COBELLI RIVELA UN INTERPRETE ( De Monticelli Roberto , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Ieri sera il pubblico , raccolto nella conchiglia del Gerolamo - platea e palchi gremiti - ha salutato , cori fittissimi applausi , la nascita di un nuovo interprete , nella difficile specializzazione del teatro parodistico - satirico . Chi è il giovanissimo Giancarlo Cobelli , unico protagonista di Cabaret '59 , lo spettacolo andato in scena nel minuscolo teatro su testi di Giancarlo Fusco , dello stesso interprete e di Quinto Parmeggiani e con le musiche di Fiorenzo Carpi , Gino Negri e Jacqueline Perrotin ? È un mimo , si potrebbe dire , poiché la sua vocazione al teatro affonda le radici , prevalentemente , nella tecnica e nell ' arte del mimo ; ma è anche un attore , bisogna subito aggiungere , poiché dell ' attore , e dell ' attore comico in particolare , sono quei suoi toni violentemente caratterizzati , che superano la stretta misura , di solito soltanto allusiva , dei « diseurs » , da una parte , dei macchiettisti tradizionali dall ' altra . Egli riesce in realtà ad evocare veri e propri personaggi , naturalmente sintetizzandoli , trasformandoli in simboli con un crudo segno espressionistico . Aggiungete le possibilità , che egli possiede , di cantare e danzare , e avrete l ' immagine di questa specie di elettrico « clown » recitante ; né vi meraviglierete che egli possa , sulle giovani spalle , sostenere l ' intero peso di uno spettacolo che dura due ore buone . Naturalmente , come la maggior parte degli spettacoli di questo genere , anche Cabaret '59 è basato soprattutto sugli spunti di attualità , un ' attualità guardata attraverso il prisma deformante dell ' ironia . Così , dal primo quadro , che si intitola Ciampino , cinturino e Rugantino , all ' ultimo , Valzer d ' addio , sono gli aspetti del costume italiano contemporaneo che vengono presi di mira : il cinema , gli interpreti di canzonette , quei singolari , morbidi , apparentemente svaniti , in realtà attentissimi divi del tempo nostro che sono i grandi creatori della moda femminile , il giornalismo , i « teddy - boys » , le televisive anime gemelle , gli eroi del pugilato e così via . Ma bisogna dire che , salvo un paio di notazioni , che appaiono strettamente per iniziati ( l ' esilarante parodia di Paolo Grassi , per esempio ) , tutto il resto è su una chiave di comicità largamente accessibile , elegante ma popolare . Si veda per esempio la parodia del grande balletto scaligero , in cui il Cobelli , con nervoso fregolismo ( per usare una definizione tradizionale , ma efficace ) si trasforma in una serie di personaggi ( mimi e ballerini ) imitati con una sorta di comica , affettuosa crudeltà . Giancarlo Fusco , cui si devono la maggior parte dei testi , ha accompagnato col « pizzicato » pungente del suo umorismo , le felici evoluzioni interpretative del Cobelli ; fra i suoi sketches , tutti spiritosi e mordenti , ci sono particolarmente piaciuti quelli dedicati al giornalismo , al grande sarto e al funerale , con rassegna di buone azioni , trasformate in ottimi affari , del grosso imprenditore . Ma tutto lo spettacolo è vivo . Nella seconda parte , accanto a qualche momento di stanchezza , ci sono però anche le cose migliori , le più inedite . Mario Missiroli , un altro giovane , ha curato la regia dei due tempi ; le musiche sono apparse tutte diversamente efficaci . Insomma , è stato un successo , con moltissimi applausi , come s ' è detto , all ' interprete unico , che alla fine appariva un po ' provato . Bisogna capirlo : due ore sulla corda .