StampaQuotidiana ,
La
conclusione
dell
'
articolo
precedente
,
in
cui
parlo
di
un
«
doppio
Stato
»
a
proposito
dello
Stato
neocorporativo
,
è
manifestamente
forzata
.
Nella
realtà
,
e
senza
forzature
,
un
doppio
Stato
esiste
davvero
in
Italia
,
ma
non
è
quello
neocorporativo
:
è
lo
Stato
che
deriva
dalla
sopravvivenza
e
dalla
robusta
consistenza
di
un
potere
invisibile
accanto
a
quello
visibile
.
Alcuni
anni
or
sono
uno
studioso
americano
in
un
libro
tradotto
anche
in
italiano
,
I
confini
della
legittimazione
(
De
Donato
,
Roma
)
,
per
sottolineare
l
'
estensione
del
potere
occulto
negli
Stati
Uniti
negli
anni
di
Nixon
,
ha
usato
l
'
espressione
«
the
duali
State
»
che
corrisponde
esattamente
al
nostro
«
doppio
Stato
»
.
Dei
due
presunti
Stati
di
una
società
neocorporativa
dicevo
che
erano
entrambi
compatibili
coi
principi
fondamentali
della
democrazia
.
La
stessa
cosa
non
vale
quando
dei
due
Stati
l
'
uno
è
lo
Stato
visibile
,
l
'
altro
quello
invisibile
.
Lo
Stato
invisibile
è
l
'
antitesi
radicale
della
democrazia
.
Si
può
definire
la
democrazia
(
ed
è
stata
di
fatto
definita
)
nei
modi
più
diversi
.
Ma
non
vi
è
definizione
in
cui
possa
mancare
l
'
elemento
caratterizzante
della
visibilità
o
della
trasparenza
del
potere
.
Governo
democratico
è
quello
che
svolge
la
propria
attività
in
pubblico
,
sotto
gli
occhi
di
tutti
.
E
deve
svolgere
la
propria
attività
sotto
gli
occhi
di
tutti
perché
ogni
cittadino
ha
il
diritto
di
essere
posto
in
grado
di
formarsi
una
libera
opinione
sulle
decisioni
che
vengono
prese
in
suo
nome
.
Altrimenti
,
per
quale
ragione
dovrebbe
essere
chiamato
a
recarsi
periodicamente
alle
urne
,
e
su
quali
basi
potrebbe
esprimere
il
proprio
voto
di
approvazione
e
di
condanna
?
Che
il
potere
tenda
a
mettersi
la
maschera
per
non
farsi
riconoscere
e
per
poter
svolgere
la
propria
azione
lontano
da
sguardi
indiscreti
,
è
una
vecchia
storia
.
Questa
vecchia
storia
ha
anche
un
celebre
nome
che
al
solo
pronunciarlo
mette
i
brividi
nella
schiena
:
arcana
imperii
.
Nella
sua
analisi
magistrale
del
potere
Elias
Canetti
ha
scritto
:
«
Il
segreto
sta
nel
nucleo
più
interno
del
potere
»
(
Massa
e
potere
,
Adelphi
,
Milano
1981
)
.
I
padri
fondatori
della
democrazia
pretesero
di
dar
vita
a
una
forma
di
governo
che
non
avesse
più
maschera
,
in
cui
gli
arcani
del
dominio
fossero
definitivamente
aboliti
e
questo
«
nucleo
interno
»
distrutto
.
Molte
sono
le
promesse
non
mantenute
della
democrazia
reale
rispetto
alla
democrazia
ideale
.
E
la
graduale
sostituzione
della
rappresentanza
degl
'
interessi
alla
rappresentanza
politica
di
cui
mi
sono
occupato
nell
'
articolo
precedente
è
una
di
queste
.
Ma
rientra
,
insieme
con
altre
,
nel
capitolo
generale
delle
cosiddette
«
trasformazioni
»
della
democrazia
.
Il
potere
occulto
,
no
.
Non
trasforma
la
democrazia
,
la
perverte
.
Non
la
colpisce
più
o
meno
gravemente
in
uno
dei
suoi
organi
vitali
,
la
uccide
.
Di
tutte
le
promesse
non
mantenute
,
è
quella
che
maggiormente
ne
offende
lo
spirito
,
ne
devia
il
corso
naturale
,
ne
vanifica
lo
scopo
.
Grazie
ai
risultati
ormai
noti
della
Commissione
parlamentare
d
'
inchiesta
presieduta
dall
'
on.
Tina
Anselmi
,
ai
numerosi
documenti
resi
pubblici
,
alle
dichiarazioni
di
parlamentari
e
di
personaggi
variamente
autorevoli
,
alle
inchieste
giornalistiche
,
sappiamo
ormai
sulla
loggia
segreta
di
Licio
Gelli
molto
di
più
di
quello
che
si
venne
a
sapere
in
seguito
alle
perquisizioni
nella
villa
di
Arezzo
e
nell
'
ufficio
di
Castiglion
Fibocchi
del
marzo
1981
.
Ma
prima
di
allora
io
stesso
avevo
cominciato
a
parlare
,
se
pure
con
una
espressione
che
era
apparsa
eccessiva
,
di
«
criptogoverno
»
(
in
un
articolo
sulla
«
Stampa
»
del
23
novembre
1980
)
.
Ho
ora
sott
'
occhio
la
voluminosa
e
documentata
relazione
di
minoranza
dell
'
on.
Massimo
Teodori
,
del
partito
radicale
,
sulla
medesima
inchiesta
.
La
tesi
principale
ivi
sostenuta
,
secondo
cui
la
loggia
P2
sarebbe
stata
parte
integrante
del
sistema
dei
partiti
e
pertanto
debba
essere
considerata
come
un
effetto
diretto
della
degenerazione
partitocratica
della
democrazia
italiana
,
dalla
quale
sarebbe
derivata
una
vera
e
propria
dislocazione
del
potere
fuori
dalle
sedi
costituzionalmente
riconosciute
,
si
può
anche
discutere
e
non
accettare
integralmente
.
Ma
è
da
ritenere
fuori
discussione
che
la
loggia
P2
,
come
rileva
giustamente
Teodori
,
abbia
esercitato
in
alcuni
momenti
della
nostra
vita
nazionale
una
influenza
ben
più
ampia
,
profonda
,
determinante
,
che
una
semplice
lobby
e
abbia
costituito
,
per
l
'
appartenenza
degli
affiliati
alle
più
alte
gerarchie
dello
Stato
e
ai
più
elevati
strati
della
società
,
alti
funzionari
,
diplomatici
,
generali
,
giornalisti
,
e
quel
che
è
ancora
più
scandaloso
,
uomini
politici
di
quella
che
si
chiama
-
oh
,
ironia
dei
nomi
!
-
l
'
area
democratica
del
nostro
sistema
politico
,
una
compiuta
organizzazione
di
potere
occulto
presso
,
dietro
,
sotto
(
o
sopra
?
)
lo
Stato
.
Indipendentemente
dalle
conseguenze
direttamente
politiche
,
che
forse
non
sono
da
sopravvalutare
,
la
formazione
di
una
simile
rete
di
potere
sotterraneo
è
di
per
se
stessa
una
vergogna
nazionale
dalla
quale
dobbiamo
redimerci
per
poter
diventare
pienamente
credibili
come
soggetti
di
un
regime
democratico
nel
consesso
internazionale
.
Senza
pregiudizi
,
s
'
intende
,
verso
le
persone
,
giacché
non
tutte
sono
egualmente
responsabili
,
ma
anche
senza
indulgenze
.
Non
possiamo
però
fingere
di
non
accorgerci
che
sin
d
'
ora
ciò
che
è
emerso
dalla
documentazione
è
una
prova
avvilente
della
mediocrità
intellettuale
e
morale
di
una
parte
non
piccola
della
nostra
classe
dirigente
.
Le
rivelazioni
sulla
vita
di
Gelli
sono
tali
da
farci
restare
allibiti
(
e
inorriditi
)
alla
scoperta
che
la
maggior
parte
di
coloro
che
sono
entrati
volontariamente
nella
sua
cerchia
per
sottomettersi
alla
protezione
di
un
uomo
che
non
aveva
altro
scopo
che
quello
di
estendere
il
proprio
potere
con
qualsiasi
mezzo
,
rendendo
in
cambio
della
protezione
servigi
presuntivamente
illeciti
per
la
loro
stessa
segretezza
,
siano
personaggi
quasi
tutti
di
altissimo
rango
,
e
nessuno
di
essi
abbia
avuto
in
anni
di
commerci
sospetti
con
il
fondatore
della
loggia
un
moto
di
ribellione
,
e
abbia
compiuto
un
atto
di
resipiscenza
.
Sono
considerato
uno
che
vede
sempre
nero
,
un
pessimista
cronico
.
Eppure
confesso
che
non
avrei
mai
immaginato
che
la
vita
italiana
fosse
stata
inquinata
sino
a
questo
punto
,
sino
al
punto
in
cui
non
sai
se
più
indignarti
della
bassa
qualità
dell
'
intrigo
o
del
grande
numero
delle
persone
che
vi
hanno
preso
parte
,
per
la
spudoratezza
di
chi
ha
guidato
il
gioco
o
per
la
insensibilità
di
coloro
che
l
'
hanno
accettato
,
e
dei
quali
molti
vengono
chiamati
nella
retorica
di
rito
delle
cerimonie
ufficiali
«
servitori
dello
Stato
»
.
La
realtà
ha
superato
questa
volta
la
più
catastrofica
delle
immaginazioni
.
Lo
Stato
democratico
deve
essere
ripristinato
nella
sua
integrità
.
Il
potere
occulto
deve
essere
snidato
ovunque
si
annidi
,
inflessibilmente
.
Non
ci
possono
essere
due
Stati
.
Lo
Stato
italiano
è
uno
solo
,
quello
della
Costituzione
repubblicana
.
Al
di
fuori
non
c
'
è
che
l
'
antistato
che
deve
essere
abbattuto
cominciando
dal
tetto
ed
arrivando
,
se
mai
sarà
possibile
,
alle
fondamenta
.
StampaQuotidiana ,
L
'
Imperatore
,
applaudito
dalla
folla
che
gremiva
la
piazza
antistante
allo
sbarcadero
,
montò
in
vettura
e
con
lo
stesso
ordine
degli
altri
giorni
il
corteo
si
diresse
per
via
Molo
,
piazza
Ucciardone
,
via
Enrico
Albanese
,
via
Libertà
,
piazza
Castelnuovo
,
via
Esposizione
,
via
Lolli
e
piazza
Olivuzza
,
donde
entrò
nella
villa
Florio
.
L
'
imperatore
aveva
fatto
avvertire
fin
da
stamane
Donna
Franca
Florio
che
alle
14
1/2
si
sarebbe
recato
da
lei
,
e
questa
con
il
comm
.
Ignazio
,
il
cav
.
Vincenzo
ed
il
conte
di
San
Martino
,
attendeva
nella
casina
medievale
che
sorge
nel
centro
della
deliziosa
villa
.
L
'
imperatore
,
baciata
la
mano
a
Donna
Franca
,
le
porse
il
braccio
ed
entrò
nel
salone
ove
era
preparata
una
table
a
thè
.
Preso
un
bicchiere
di
champagne
,
S.M.
dando
sempre
il
braccio
a
Donna
Franca
,
tornò
nella
villa
di
cui
fece
il
giro
,
esprimendo
la
sua
ammirazione
per
l
'
artistica
disposizione
dei
viali
e
delle
piante
.
L
'
imperatore
,
che
era
informato
dei
recenti
asprissimi
dolori
di
cui
la
buona
signora
ed
il
comm
.
Ignazio
sono
stati
provati
per
la
morte
di
due
loro
figliuoli
,
ebbe
calde
parole
di
conforto
e
disse
come
Egli
,
che
ha
cuore
di
padre
,
comprendesse
il
loro
cordoglio
.
Parlando
poi
dei
suoi
figliuoli
,
ricordò
la
più
piccola
delle
sue
bambine
,
la
quale
,
sapendo
di
essere
la
prediletta
,
osa
financo
recarsi
da
lui
mentre
Egli
parla
con
qualche
ministro
.
Alle
ore
15
l
'
imperatore
prese
commiato
,
ricordando
a
Donna
Franca
che
alle
17
l
'
attendeva
a
bordo
dello
Hohenzollern
,
e
ringraziandola
nuovamente
del
magnifico
mazzo
di
orchidee
che
ella
gli
aveva
offerto
.
Presso
l
'
ingresso
del
palazzo
si
era
raccolta
una
grande
folla
che
salutò
il
Sovrano
con
un
lungo
applauso
.
StampaQuotidiana ,
I
telegrafo
ci
ha
informati
che
il
27
agosto
il
maresciallo
Lyautey
s
'
imbarcava
a
Casablanca
per
la
Francia
e
che
,
fra
poco
sarebbe
tornato
nel
Marrocco
.
Può
darsi
che
ciò
avvenga
,
perché
non
è
facile
trovare
un
uomo
che
,
come
Lyautey
,
conosca
il
Marrocco
e
sopra
tutto
i
marocchini
,
ma
può
anche
darsi
che
la
sua
partenza
sia
definitiva
,
perché
in
Francia
molti
sono
oggi
coloro
che
criticano
l
'
opera
dell
'
uomo
che
era
riuscito
nella
difficilissima
sorpresa
di
conquistare
un
paese
musulmano
,
assi
più
ricco
e
popoloso
di
quanto
fosse
l
'
Algeria
nel
1830
,
in
un
tempo
assai
più
breve
e
con
uno
sforzo
di
molto
inferiore
a
quello
che
per
sottomettere
completamente
l
'
Algeria
era
stato
necessario
.
Difatti
dopo
che
i
francesi
si
furono
impadroniti
di
Algeri
nel
1830
,
Costantina
la
città
principale
dell
'
Algeria
orientale
,
dopo
un
vano
tentativo
terminato
con
un
quasi
disastro
,
era
stata
presa
solo
nel
1837
,
e
nell
'
Algeria
centrale
ed
occidentale
,
negli
attuali
dipartimenti
di
Algeri
e
di
Orano
,
Abd
-
el
-
Kader
,
il
vero
predecessore
di
Ab
-
el
-
Krim
,
avea
tenuto
testa
agli
invasori
fino
al
1947
.
Fino
al
1853
la
gran
Kabilia
,
paese
montagnoso
posto
nel
cuore
dell
'
Algeria
,
restava
completamente
indipendente
,
e
solo
dopo
repressa
l
'
insurrezione
del
1870
gli
altipiani
dell
'
interno
e
la
zona
predesertica
,
che
stendesi
a
mezzogiorno
di
essi
,
venivano
ridotti
sotto
l
'
effettiva
dominazione
francese
.
Sicché
non
è
esagerato
l
'
affermare
che
la
Francia
ha
dovuto
impiegare
mezzo
secolo
per
conquistare
l
'
Algeria
.
Nel
Marrocco
invece
,
dopo
il
primo
sbarco
avvenuto
a
Casablanca
nel
1907
e
l
'
entrata
dei
francesi
a
Fez
,
chiamati
dallo
stesso
sultano
,
nel
1911
,
seguita
a
pochi
mesi
di
distanza
dall
'
occupazione
di
Marrakesch
,
non
vi
erano
state
né
insurrezioni
di
grande
importanza
né
grosse
guerre
.
Proclamato
il
protettorato
francese
i
paesi
soliti
a
subire
il
governo
del
Sultano
,
cioè
,
oltre
alle
città
,
quelli
della
bassa
vallata
del
Sebù
e
gli
altri
più
importanti
che
costituiscono
la
grande
pianura
,
posta
fra
il
gruppo
montagnoso
del
grande
Atlante
e
l
'
Oceano
,
aveano
quasi
senza
resistenza
subito
le
volontà
che
il
governatore
generale
francese
trasmetteva
loro
per
mezzo
del
sultano
protetto
.
Restavano
indipendenti
soltanto
i
paesi
nei
quali
l
'
autorità
del
sultano
non
si
era
mai
effettivamente
esercitata
.
Cioè
la
regione
predesertica
posta
a
mezzogiorno
di
Marrakesch
e
i
due
grandi
sistemi
montuosi
,
quello
del
grande
Atlante
,
le
cui
cime
tra
Fez
e
Marrakesch
superano
i
quattromila
metri
sul
livello
del
mare
e
quello
del
Riff
,
ossia
della
catena
che
,
staccandosi
dallo
stretto
di
Gibilterra
,
si
prolunga
parallela
al
Mediterraneo
per
circa
duecento
chilometri
con
un
'
altezza
che
tocca
quasi
tremila
metri
.
Nella
zona
predesertica
,
quando
i
francesi
entrarono
a
Fez
,
si
agitava
El
-
Hiba
figlio
del
marabutto
Ma
-
el
-
Ainin
,
che
aveva
fondato
una
nuova
confraternita
religiosa
.
I
suoi
seguaci
,
che
per
un
momento
avevano
minacciato
Marrakesch
,
erano
stati
facilmente
battuti
e
respinti
nel
deserto
grazie
all
'
appoggio
dei
grandi
Kaid
,
cioè
di
quattro
o
cinque
grossi
feudatari
che
avevano
ed
hanno
tutto
l
'
interesse
di
restare
attaccati
alla
Francia
,
che
garantisce
i
loro
possedimenti
e
lascia
loro
una
quasi
completa
autonomia
.
Nel
grande
nodo
montuoso
posto
fra
Marrakesch
e
Fez
,
Lyautey
aveva
cinto
le
tribù
indipendenti
con
una
catena
di
posti
fortificati
che
ogni
anno
si
andava
lentamente
restringendo
,
avendo
cura
però
di
attaccare
volta
per
volta
una
sola
tribù
.
Nel
Riff
i
posti
fortificati
francesi
venivano
posti
là
dove
si
doveva
fissare
il
confine
tra
la
Francia
e
la
Spagna
ed
a
questa
era
lasciato
il
difficilissimo
compito
di
sottomettere
le
indomabili
tribù
riffane
.
Sarebbe
puerile
negare
che
Lyautey
non
abbia
compreso
benissimo
la
situazione
politica
e
le
condizioni
sociali
del
Marocco
.
Egli
perciò
sapeva
perfettamente
che
ciò
che
in
Europa
oggi
appellasi
la
quistione
sociale
,
l
'
eterna
rivalità
fra
proprietari
e
proletari
,
ricchi
e
poveri
nei
paesi
maomettani
prende
spesso
l
'
aspetto
di
una
riforma
religiosa
o
quanto
meno
di
un
risveglio
del
fanatismo
religioso
,
e
sapeva
pure
che
questa
lotta
,
nel
Marocco
specialmente
,
si
è
sempre
esplicata
mercé
un
cambiamento
delle
dinastie
regnanti
e
delle
classi
dirigenti
,
cambiamento
che
le
tribù
povere
e
guerriere
della
regione
predesertica
e
delle
montagne
hanno
imposto
a
quelle
più
pacifiche
e
relativamente
agiate
delle
città
e
della
pianura
.
Dal
deserto
erano
venuti
nell
'
undicesimo
secolo
gli
Almoravidi
di
Jusef
-
ben
-
Taschfin
che
aveva
sottomesso
il
Marocco
,
la
Spagna
musulmana
e
parte
dell
'
Algeria
e
dal
nodo
montuario
del
grande
Atlante
erano
discesi
nel
secolo
successivo
gli
Almoadi
,
che
,
con
a
capo
Abd
-
el
-
Mumen
,
si
erano
dappertutto
sostituiti
agli
Almoravidi
ed
avevano
inoltre
tolto
Tunisi
e
Mehedia
ai
siciliani
che
già
l
'
occupavano
.
Volendo
conservare
la
pace
nel
Marocco
la
politica
francese
non
poteva
perciò
essere
che
nettamente
conservatrice
e
tale
fu
quella
costantemente
seguita
dal
maresciallo
Lyautey
.
Egli
conservò
quindi
anzitutto
la
vecchia
dinastia
,
conservo
antichi
grandi
Kaid
del
sud
,
lasciando
ad
essi
la
autonomia
quasi
completa
della
quale
godevano
,
conservò
,
quanto
poté
dell
'
antica
burocrazia
marocchina
,
cercò
chi
attirare
a
sé
tutti
i
musulmani
e
gli
ebrei
danarosi
,
incoraggiando
l
'
associazione
dei
loro
capitali
con
quelli
degli
speculatori
europei
,
nello
stesso
tempo
costruì
strade
,
ferrovie
e
porti
,
fece
sorgere
quasi
d
'
incanto
la
nuova
città
di
Casablanca
,
procacciò
nuova
ricchezza
ai
ricchi
e
lavora
ben
rimunerato
alle
plebi
,
in
poche
parole
costituì
tutta
una
rete
di
interessi
materiali
a
difesa
della
nuova
dominazione
francese
.
Il
risultato
più
ammirevole
della
politica
di
Lyautey
si
vide
nel
1914
quando
scoppiò
la
grande
guerra
europea
.
Si
sa
che
allora
il
Governo
francese
ordinò
al
governatore
generale
di
mandare
in
Francia
una
parte
delle
sue
forze
e
di
far
ripiegare
le
altre
in
alcuni
punti
fortificati
della
costa
;
ciò
si
stimava
necessario
perché
i
destini
della
Francia
si
sarebbero
decisi
sulla
sua
frontiera
orientale
e
non
nel
Marocco
,
che
,
a
tempo
ed
a
luogo
,
si
poteva
riconquistare
.
Lyautey
non
obbedì
che
a
metà
:
mandò
in
Francia
una
trentina
di
battaglioni
ed
alcune
batterie
;
ma
,
invece
di
ritirarsi
sulla
costa
,
ordinò
che
le
avanguardie
francesi
restassero
dove
erano
,
non
abbandonò
un
palmo
di
terreno
,
e
le
truppe
che
mandò
le
tolse
appunto
dalla
costa
e
dalle
retrovie
.
Militarmente
il
provvedimento
era
arrischiato
e
forse
anche
censurabile
;
politicamente
si
dimostrò
geniale
,
perché
il
governatore
generale
francese
sapeva
bene
che
tutto
il
territorio
abbandonato
sarebbe
subito
insorto
,
e
che
le
colonne
in
ritirata
sarebbero
state
aspramente
taglieggiate
e
forse
anche
distrutte
;
essendo
costume
dei
marocchini
,
montanari
e
pianigiani
,
ricchi
e
poveri
,
di
mettersi
sempre
dalla
parte
del
più
forte
e
di
giudicare
sempre
come
più
debole
colui
che
si
ritira
,
e
ritirandosi
li
priva
della
sua
protezione
.
In
seguito
ricevette
un
rinforzo
di
battaglioni
senegalesi
e
di
territoriali
francesi
;
ma
,
in
ricambio
,
organizzò
e
spedì
in
Francia
numerosi
battaglioni
marocchini
,
sicché
poté
conservare
il
Marocco
senza
indebolire
le
risorse
della
Francia
in
Europa
.
Me
l
'
opera
di
Lyautey
aveva
necessariamente
due
punti
deboli
che
,
presto
o
tardi
,
si
dovevano
manifestare
.
Il
primo
era
ed
è
che
essa
si
appoggiava
quasi
esclusivamente
sugli
interessi
materiali
,
che
non
si
possono
mai
contentare
tutti
e
dei
quali
l
'
appoggio
viene
meno
ogni
volta
che
l
'
interesse
vacilla
.
Egli
infatti
ha
potuto
far
sì
che
le
classi
agiate
del
Marocco
ed
anche
le
plebi
delle
città
trovassero
il
loro
tornaconto
nella
dominazione
francese
,
ma
non
ha
potuto
mutare
i
loro
sentimenti
,
non
ha
potuto
,
come
si
dice
,
conquistare
le
anime
.
Il
loro
modo
di
pensare
e
di
sentire
è
necessariamente
rimasto
musulmano
,
e
si
sa
che
un
buon
musulmano
potrà
servire
e
sfruttare
l
'
infedele
,
se
ciò
ritrae
un
materiale
vantaggio
,
ma
in
fondo
all
'
anima
lo
odierà
e
lo
disprezzerà
sempre
.
Ed
il
secondo
era
il
Riff
,
dove
la
Spagna
venne
meno
al
suo
compito
,
non
riuscendo
a
conquistare
il
paese
che
le
era
stato
assegnato
,
per
una
serie
di
ragioni
,
ma
sopra
tutto
perché
nel
Riff
si
manifestò
un
uomo
superiore
per
intelligenza
e
forza
di
volontà
,
Abd
-
el
-
Krim
.
Il
quale
,
come
Abd
-
el
-
Kader
aveva
saputo
riunire
in
un
unico
fascio
tutte
le
tribù
di
metà
dell
'
Algeria
,
è
riuscito
a
coordinare
sotto
la
direzione
le
forze
di
tutte
le
tribù
riffane
,
avendo
per
giunta
sul
suo
predecessore
il
vantaggio
di
conoscere
le
debolezze
dei
popoli
di
civiltà
europea
,
delle
quali
le
maggiori
sarebbero
le
rivalità
fra
le
varie
potenze
e
l
'
ostacolo
che
ormai
in
quasi
tutte
le
nazioni
europee
trovano
le
guerre
coloniali
nell
'
azione
dei
partiti
ultra
democratici
.
Non
si
può
né
affermare
né
negare
in
modo
assoluto
che
la
Francia
e
che
sopra
tutto
il
maresciallo
Lyautey
abbiano
visto
di
buon
occhio
i
ripetuti
successi
di
Abd
-
el
-
Krim
contro
gli
spagnoli
.
Pare
certo
ad
ogni
modo
che
non
abbiano
fatto
nulla
di
efficace
per
impedirli
e
che
quindi
non
abbiano
intraveduto
il
pericolo
che
corrono
tutte
le
potenze
europee
che
hanno
sudditi
musulmani
quando
in
un
paese
musulmano
,
e
sopra
tutto
in
un
paese
confinante
con
una
propria
colonia
,
sorge
un
uomo
che
dimostra
di
saper
vincere
gli
invasori
cristiani
e
che
può
quindi
rappresentare
la
parte
di
colui
che
i
seguaci
dell
'
Islam
chiamano
l
'
«
uomo
dell
'
ora
»
;
l
'
uomo
cioè
predestinato
da
Dio
,
che
,
rinnovando
le
gesta
di
Saladino
,
dovrà
un
giorno
o
l
'
altro
liberare
tutto
il
Dar
-
el
-
Islam
,
cioè
il
paese
abitato
dai
seguaci
del
Corano
,
dall
'
impuro
dominio
dei
miscredenti
.
Ed
è
perciò
che
oggi
in
tutti
i
paesi
musulmani
si
seguono
con
ansietà
mal
dissimulata
le
gesta
di
Abd
-
el
Krim
e
che
,
fino
a
quando
una
sconfitta
definitiva
ed
irreparabile
non
avrà
distrutto
interamente
il
suo
prestigio
,
egli
potrà
sempre
spingere
alla
rivolta
le
tribù
berbere
della
montagna
ed
anche
della
pianura
marocchina
e
che
potrà
sempre
attirarsi
le
simpatie
perfino
degli
abitanti
delle
città
del
Marocco
,
i
quali
molto
avrebbero
da
temere
da
lui
e
sopra
tutto
dai
suoi
.
È
cosa
difficile
la
politica
coloniale
nei
paesi
di
antica
civiltà
maomettana
che
un
solo
errore
di
omissione
è
bastato
per
mettere
in
pericolo
nel
Marocco
i
risultati
di
quasi
un
ventennio
di
un
'
azione
politica
accortissima
sussidiata
da
un
'
azione
militare
misurata
,
prudente
ed
efficace
.
Oggi
certamente
il
distruggere
la
potenza
di
Abd
-
el
-
Krim
non
è
impresa
superiore
alle
forze
della
Francia
,
ma
sarebbe
un
'
illusione
il
credere
che
a
ciò
possano
bastare
una
campagna
di
pochi
mesi
e
pochi
combattimenti
fortunati
;
occorreranno
invece
del
tempo
,
della
costanza
e
sopra
tutto
l
'
impiego
di
un
esercizio
coloniale
molto
numeroso
e
bene
organizzato
.
Ma
non
perciò
può
dirsi
che
l
'
opera
del
maresciallo
Lyautey
sia
stata
annullata
e
che
tutto
sia
oggi
nel
Marocco
da
rifare
.
Ho
già
accennato
che
si
dovette
quasi
esclusivamente
alla
sua
intuizione
geniale
se
,
durante
la
grande
guerra
europea
,
la
Francia
ebbe
,
mercé
il
suo
nuovo
possedimento
africano
piuttosto
un
aumento
che
una
diminuzione
delle
forze
combattenti
in
Europa
.
Aggiungerò
ora
che
si
deve
principalmente
alla
politica
del
vecchio
maresciallo
se
la
crisi
attuale
,
che
forse
un
giorno
o
l
'
altro
inevitabile
,
è
stata
tanto
ritardata
.
Ciò
che
ha
fatto
sì
che
essa
sia
scoppiata
quando
la
dominazione
francese
aveva
messo
già
salde
radici
nel
Marocco
e
si
erano
potuti
costruire
i
porti
,
le
ferrovie
e
le
strade
che
sono
gli
strumenti
principali
mercé
i
quali
potrà
essere
superata
.
StampaQuotidiana ,
Se
questi
tre
atti
di
Vitaliano
Brancati
fossero
stati
rappresentati
nel
1932
o
giù
di
lì
,
cioè
quando
apparvero
sul
«
Convegno
»
di
Enzo
Ferrieri
,
si
sarebbero
forse
accese
discussioni
sulle
interessanti
prospettive
che
il
teatro
degli
scrittori
giovani
andava
aprendo
nel
logoro
panorama
della
scena
nazionale
.
Ma
,
in
Italia
,
le
cose
che
devono
accadere
,
ecco
qua
,
accadono
sempre
con
un
minimo
di
venticinque
anni
di
ritardo
.
Ed
ecco
che
la
riesumazione
di
questo
dramma
giovanile
dello
scrittore
scomparso
,
intitolato
Il
viaggiatore
dello
sleeping
n
.
7
era
forse
Dio
?
appare
oggi
destituito
di
quasi
tutti
quei
motivi
di
interesse
che
avrebbe
avuto
una
volta
.
Perché
?
Ma
perché
risulta
tutto
tremendamente
legato
a
quel
tempo
allusivo
,
a
quella
stagione
in
cui
,
anche
una
virgola
,
messa
in
un
certo
modo
,
assumeva
un
valore
spropositato
,
una
eco
che
probabilmente
era
soltanto
nelle
intenzioni
,
se
non
nei
desideri
,
di
chi
leggeva
.
Così
,
la
storia
di
questo
vecchio
signore
siciliano
,
malato
di
cuore
,
che
sul
vagone
-
letto
Siracusa
-
Roma
(
si
reca
nella
capitale
per
sottoporsi
alle
visite
di
importanti
specialisti
)
incontra
uno
sconosciuto
che
,
per
burla
,
gli
si
spaccia
per
cardiologo
e
,
facendo
finta
di
visitarlo
,
lo
rassicura
sullo
stato
della
sua
salute
,
tanto
da
ridargli
fiducia
e
speranza
nella
vita
;
questa
storia
scopre
troppo
presto
la
corda
del
suo
simbolismo
.
Chi
è
lo
sconosciuto
viaggiatore
dello
«
sleeping
»
?
Per
il
vecchio
uomo
malato
è
un
'
incarnazione
di
Dio
,
una
proiezione
,
in
forma
umana
,
della
sua
immagine
,
un
modo
escogitato
per
mandargli
,
da
una
regione
misteriosa
,
un
messaggio
che
lo
aiuti
a
vivere
.
Accanto
a
questa
storia
,
poi
,
se
ne
sviluppa
un
'
altra
:
quella
della
figlia
dell
'
anziano
uomo
,
bella
e
perversa
,
che
dice
di
no
a
un
suo
patetico
innamorato
e
se
ne
scappa
con
un
giovanotto
sufficientemente
imbecille
e
prestante
,
oltre
che
sbrigativo
e
di
pochi
scrupoli
.
Il
tutto
accade
nella
«
hall
»
di
un
albergo
di
Roma
,
una
Roma
molto
1930
,
in
cui
circola
l
'
aria
dei
primi
racconti
di
Moravia
e
balena
,
a
tratti
un
po
'
di
realismo
magico
alla
Bontempelli
.
Il
vecchio
signore
muore
,
come
viene
la
sua
ora
,
senza
sapere
che
nel
frattempo
in
una
stanza
di
quello
stesso
albergo
,
dunque
a
pochi
passi
da
lui
,
si
trova
lo
sconosciuto
del
vagone
-
letto
,
l
'
uomo
che
egli
aveva
inutilmente
cercato
,
in
tutto
quel
tempo
,
e
al
quale
aveva
attribuito
una
così
misteriosa
funzione
.
Tocca
a
questo
personaggio
di
concludere
la
commedia
;
è
un
uomo
assolutamente
comune
,
che
viaggia
per
affari
(
quando
l
'
abbiamo
conosciuto
,
sul
vagone
-
letto
,
ci
è
stato
presentato
come
commerciante
d
'
arance
)
ma
,
non
appena
gli
viene
raccontata
la
singolare
storia
,
egli
la
inquadra
nei
suoi
termini
,
diciamo
filosofici
:
tutto
è
inspiegabile
,
egli
dice
,
tutto
è
mistero
.
Ma
accade
talvolta
che
la
nostra
volontà
coincida
con
quella
di
Dio
.
È
allora
l
'
atto
che
compiamo
e
l
'
inconsapevole
bene
che
ne
deriva
non
ci
appartengono
più
,
diventano
un
«
avvenimento
del
mondo
»
.
Eccoci
dunque
davanti
a
un
Brancati
che
fa
del
patetico
e
lirico
panteismo
ed
è
immerso
per
di
più
in
una
atmosfera
vagamente
crepuscolare
,
con
un
valzer
sullo
sfondo
e
un
monotono
scroscio
di
pioggia
sui
vecchi
tetti
di
Roma
.
Si
sentono
in
questi
tre
atti
un
'
infinità
di
influssi
,
da
Pirandello
al
singhiozzante
Fausto
Maria
Martini
.
È
un
'
opera
ancora
incerta
,
confusa
,
con
qualche
grazia
,
esclusivamente
letteraria
,
nel
dialogo
(
e
nelle
lunghe
didascalie
)
;
con
due
personaggi
persino
un
tantino
ridicoli
,
nella
loro
sentimentale
convenzione
:
quello
della
ragazza
perversa
e
quello
dell
'
innamorato
ardente
e
umiliato
.
Sono
insomma
tre
atti
legati
a
quegli
anni
irrecuperabili
,
a
una
provincia
letteraria
definita
e
remota
.
Perché
,
dunque
,
riesumarli
?
Non
si
è
reso
un
buon
servizio
a
Vitaliano
Brancati
,
del
quale
ci
interessano
altre
cose
,
in
teatro
e
in
narrativa
.
E
poi
,
per
presentarli
così
,
tanto
valeva
lasciar
dormire
questi
tre
atti
fra
le
pagine
della
vecchia
rivista
che
li
pubblicò
nel
lontano
1932
.
Legata
com
'
è
al
suo
tempo
,
una
commedia
del
genere
andava
messa
in
scena
preoccupandosi
di
dare
soprattutto
l
'
aroma
e
il
colore
di
quegli
anni
.
Niente
.
E
quanto
all
'
interpretazione
,
salvo
Raffaele
Giangrande
,
che
è
riuscito
a
dare
plausibilità
al
personaggio
del
protagonista
,
salvo
qualche
anziano
attore
come
Pier
Paolo
Porta
,
per
il
resto
,
nebbia
.
Il
teatro
,
uno
studioso
come
Enzo
Ferrieri
dovrebbe
saperlo
,
non
si
può
fare
coi
ragazzi
.
Quando
poi
,
come
nel
caso
del
«
Convegno
»
,
non
è
un
teatro
di
esperimento
e
di
ricerca
,
ma
si
parte
con
Steinbeck
e
Montherlant
e
si
arriva
a
una
«
novità
»
italiana
che
ha
ventisette
anni
sulle
spalle
.
L
'
esito
della
serata
è
stato
buono
,
numerosi
gli
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Per
giudicare
della
bontà
di
una
causa
,
nulla
è
meglio
che
vagliare
la
maggiore
o
minore
forza
degli
argomenti
che
entrambe
le
parti
impiegano
per
difenderla
e
dei
controargomenti
di
cui
si
servono
per
combattere
gli
argomenti
dell
'
avversario
.
Sgombero
subito
il
campo
da
un
falso
argomento
addotto
ripetutamente
dai
fautori
del
«
sí
»
:
l
'
appello
al
principio
«
la
legge
è
eguale
per
tutti
»
.
Che
la
legge
debba
essere
eguale
per
tutti
non
significa
affatto
che
tutti
debbano
essere
trattati
in
modo
eguale
.
Sarebbe
un
'
insensatezza
.
L
'
unico
significato
certo
attribuibile
alla
massima
,
che
si
vede
scritta
sui
frontoni
di
tutti
i
tribunali
,
è
che
la
legge
,
qualsiasi
legge
,
deve
essere
applicata
imparzialmente
a
tutti
,
ricchi
e
poveri
,
nobili
e
plebei
.
Ciò
che
la
cosiddetta
«
regola
di
giustizia
»
richiede
è
che
siano
trattati
egualmente
gli
eguali
e
disegualmente
i
diseguali
.
Sono
forse
i
giudici
eguali
agli
altri
cittadini
rispetto
all
'
estensione
della
responsabilità
civile
?
Anche
i
fautori
del
«
sí
»
riconoscono
che
non
lo
sono
:
qualunque
sia
l
'
esito
del
voto
,
la
responsabilità
dei
giudici
sarà
ad
ogni
modo
diversa
da
quella
dei
singoli
cittadini
.
Nell
'
attuale
disputa
la
massima
non
c
'
entra
assolutamente
nulla
.
L
'
invocarla
come
una
buona
ragione
per
indurre
a
votare
«
sí
»
è
uno
sproposito
.
Atteniamoci
dunque
agli
argomenti
razionali
,
vale
a
dire
alle
ragioni
pro
o
contro
,
addotte
sulla
base
di
giudizi
di
fatto
controllabili
,
sia
rispetto
alle
premesse
sia
rispetto
alle
conseguenze
.
Nonostante
il
profluvio
di
parole
che
si
è
rovesciato
in
questi
giorni
sui
giornali
,
questi
argomenti
sono
sempre
gli
stessi
.
Chi
vada
a
leggere
ciò
che
si
scrisse
nella
primavera
del
1986
quando
ebbe
inizio
la
campagna
per
la
raccolta
delle
firme
,
si
renderà
conto
facilmente
di
quel
che
sto
dicendo
,
anche
se
possono
essere
cambiati
alcuni
interlocutori
,
e
identici
interlocutori
possono
oggi
sostenere
tesi
diverse
da
quelle
di
ieri
.
A
ragion
veduta
si
può
dire
che
gli
argomenti
addotti
da
una
parte
e
dall
'
altra
ruotano
intorno
a
due
temi
fondamentali
:
i
)
se
il
quesito
posto
sia
conforme
allo
scopo
,
che
sarebbe
per
i
promotori
una
giustizia
più
giusta
;
2
)
ammesso
che
il
quesito
sia
conforme
allo
scopo
,
se
a
sua
volta
sia
conforme
allo
scopo
lo
strumento
adottato
per
risolverlo
,
il
referendum
.
I
fautori
del
«
no
»
sostengono
che
ci
troviamo
di
fronte
a
un
caso
davvero
singolare
di
un
metodo
sbagliato
usato
per
risolvere
una
questione
mal
posta
.
Sul
primo
punto
alle
persone
di
buon
senso
è
parso
sin
dall
'
inizio
incomprensibile
perché
dal
gran
mazzo
di
problemi
insoluti
relativi
alla
giustizia
si
sia
estratto
il
problema
della
responsabilità
civile
.
Tanto
più
che
due
dei
proponenti
facevano
parte
del
governo
,
e
di
governi
che
non
erano
mai
stati
troppo
zelanti
nel
cercare
di
risolvere
gli
altri
problemi
.
Sinora
i
fautori
del
«
sí
»
non
hanno
fatto
nulla
per
aiutarci
a
capire
.
Attribuire
la
responsabilità
dei
malanni
della
giustizia
ai
giudici
,
sarebbe
come
far
ricadere
i
malanni
della
scuola
sui
professori
,
della
sanità
sui
medici
e
,
perché
no
?
,
tutti
i
guai
del
paese
soltanto
sulla
classe
politica
.
Che
sia
utile
ridiscutere
il
problema
della
responsabilità
civile
dei
giudici
,
non
è
ancora
un
buon
argomento
per
considerarlo
il
problema
principale
,
da
risolvere
prima
di
tutti
gli
altri
.
Si
capisce
come
sia
potuto
nascere
il
sospetto
che
la
funzione
del
referendum
fosse
unicamente
quella
di
dare
una
lezione
ai
giudici
troppo
inframettenti
.
Non
è
il
caso
di
fare
il
processo
alle
intenzioni
.
Ma
siamo
proprio
sicuri
che
non
gli
attribuiscano
questa
funzione
la
maggior
parte
dei
cittadini
che
voteranno
«
sí
»
?
Giorni
fa
un
tassista
,
che
si
accalorava
parlandomi
di
una
lite
scoppiata
tra
gruppi
rivali
di
conduttori
,
mi
disse
che
il
Tar
aveva
dato
loro
ragione
ma
gli
altri
erano
ricorsi
al
Consiglio
di
Stato
.
Però
,
aggiunse
,
siccome
la
sentenza
sarà
emanata
dopo
il
referendum
,
«
se
ci
danno
torto
gliela
faremo
pagare
»
.
Un
cittadino
,
non
sprovveduto
,
riteneva
dunque
in
buona
fede
che
dopo
la
«
valanga
»
dei
«
sí
»
,
chi
ha
torto
potrà
d
'
ora
innanzi
procedere
non
per
far
rivedere
la
sentenza
ma
per
punire
il
giudice
.
Rinunciamo
pure
a
fare
il
processo
alle
intenzioni
dei
promotori
.
Ma
non
siamo
del
tutto
tranquilli
sulle
intenzioni
dei
bravi
cittadini
che
risponderanno
all
'
appello
del
«
sí
»
.
Se
ne
rendono
conto
coloro
che
hanno
variamente
contribuito
a
costruire
questa
macchina
di
guerra
contro
la
magistratura
italiana
?
E
rendendosene
conto
,
che
cosa
rispondono
?
Quanto
al
secondo
punto
,
l
'
idoneità
del
referendum
come
strumento
,
l
'
argomento
contrario
è
fortissimo
.
All
'
argomento
secondo
cui
il
problema
della
responsabilità
civile
del
giudice
non
può
essere
risolto
con
un
«
sí
»
e
con
un
«
no
»
,
non
può
essere
data
nessuna
risposta
convincente
,
tanto
è
vero
che
neppure
i
fautori
del
«
sí
»
cercano
di
darla
.
Dopo
l
'
abrogazione
tutti
sanno
che
bisognerà
ricominciare
da
capo
.
Il
solo
argomento
addotto
dai
promotori
è
stato
che
lo
scopo
del
referendum
non
era
quello
di
decidere
ciò
che
un
referendum
non
può
decidere
ma
quello
di
«
stimolare
»
il
legislatore
a
decidere
.
Che
il
nostro
Parlamento
abbia
bisogno
di
stimoli
per
agire
,
come
un
individuo
in
stato
di
depressione
permanente
,
è
desolante
.
Ma
lasciamo
andare
.
Ora
che
lo
stimolo
sembra
abbia
prodotto
il
suo
effetto
,
e
più
o
meno
tutti
,
compresa
la
maggior
parte
dei
magistrati
,
sono
d
'
accordo
sulla
riforma
,
tanto
che
nella
passata
legislatura
pareva
che
il
«
vuoto
»
stesse
per
essere
colmato
prima
che
si
formasse
,
che
necessità
c
'
è
che
la
stimolazione
continui
?
Anche
a
questa
domanda
non
sono
riuscito
a
trovare
che
risposte
vaghe
,
forse
sarebbe
meglio
dire
nessuna
risposta
.
Il
referendum
da
strumento
diventa
fine
a
se
stesso
.
Il
referendum
per
il
referendum
.
Ovvero
:
perché
il
referendum
?
Perché
sì
.
Concludendo
:
chi
ritiene
non
sia
stata
sufficientemente
giustificata
la
scelta
del
quesito
,
dovrebbe
rispondere
«
no
»
.
Chi
invece
ritiene
non
sia
stata
sufficientemente
giustificata
la
scelta
del
mezzo
per
risolverlo
dovrebbe
non
andare
a
votare
.
Chi
ritiene
che
non
siano
state
sufficientemente
giustificate
entrambe
può
scegliere
di
votare
«
no
»
o
di
non
votare
.
StampaQuotidiana ,
Firenze
,
30
marzo
.
Di
notte
,
all
'
Osservatorio
,
d
'
Arcetri
,
sopra
Firenze
.
Chi
ha
mai
cantato
in
questo
secolo
ansioso
e
sapiente
le
lodi
dell
'
ignoranza
,
e
quanto
essa
giovi
alla
felicità
?
E
quanto
alla
poesia
,
cioè
alla
maraviglia
?
Non
dico
dell
'
ignoranza
che
ignora
anche
sé
stessa
;
ma
di
quella
che
dobbiamo
dentro
noi
curare
e
custodire
come
una
riserva
di
giovinezza
,
anzi
d
'
infanzia
,
per
sovvenire
l
'
età
matura
.
Amore
,
fede
,
coraggio
,
speranza
,
le
più
belle
qualità
dell
'
uomo
,
hanno
bisogno
d
'
un
tanto
d
'
ignoranza
come
l
'
oro
si
fa
più
resistente
al
conio
con
un
poco
di
lega
.
Sto
seduto
in
una
stanza
di
legno
rotonda
,
accanto
a
una
lampada
velata
;
e
poiché
niente
capisco
di
quello
che
mi
circonda
,
mi
conforto
con
questi
pensieri
.
A
un
passo
da
me
un
vecchino
canuto
muove
una
lucida
ruota
che
ha
il
mozzo
confitto
nella
parete
,
e
una
cupola
scorre
giro
giro
sopra
i
muri
della
stanza
con
tutte
le
sue
persiane
,
scalette
e
ballatoi
,
così
dolcemente
volubile
che
il
moto
dei
suoi
congegni
dà
appena
il
suono
d
'
un
sospiro
.
Un
giovane
astronomo
,
biondo
,
ilare
e
magro
,
il
professore
Giorgio
Abetti
,
curvo
sopra
una
tavola
,
guardando
un
libro
brulicante
di
cifre
e
con
la
matita
segnando
su
una
scheda
altri
numeri
,
dà
brevi
comandi
all
'
uomo
della
ruota
come
il
capitano
d
'
una
nave
al
suo
timoniere
.
Navigano
nel
firmamento
.
In
mezzo
alla
stanza
il
telescopio
ha
l
'
aria
sorniona
d
'
un
«
grosso
calibro
»
infrascato
sulla
sua
piazzola
.
Nella
penombra
lo
seguo
con
l
'
occhio
fino
alla
bocca
e
m
'
accorgo
che
la
cupola
,
quant
'
è
larga
,
è
tagliata
da
un
'
apertura
nera
palpitante
di
stelle
;
sembra
la
bocca
d
'
un
cetaceo
schiusa
ad
afferrare
tra
le
due
mandibole
quel
che
le
càpiti
nel
mar
delle
tenebre
.
Subito
parteggio
per
le
stelle
contro
il
mostro
:
pel
mistero
,
contro
la
scienza
accoccolata
qui
a
spiare
l
'
infinito
da
questa
fessura
.
Se
l
'
astronomo
adesso
m
'
annunciasse
:
Il
cielo
s
'
è
rannuvolato
,
stanotte
non
si
vede
niente
,
confesso
che
sorriderei
come
a
uno
dei
tanti
scherzi
che
il
cielo
fa
all
'
uomo
e
ai
suoi
saldi
propositi
.
Ma
,
fermata
la
cupola
,
Giorgio
Abetti
ha
ormai
con
una
manovella
puntato
il
suo
cannocchiale
,
ha
spento
un
'
altra
lampada
,
è
salito
su
per
una
ripida
scaletta
,
ha
messo
l
'
occhio
all
'
oculare
,
e
dall
'
alto
mi
chiama
.
Quando
gli
sono
vicino
e
m
'
appoggio
a
lui
,
scorgo
nella
sua
pupilla
un
punto
bianco
tanto
splendente
che
mi
pare
debba
forargliela
e
abbacinarlo
.
Guardi
Orione
,
mi
dice
,
e
mi
lascia
solo
su
quella
cima
.
Lancio
un
ultimo
sguardo
all
'
arco
di
firmamento
che
s
'
incurva
sulla
mia
testa
,
alle
tante
stelle
che
rabbrividiscono
in
quel
fosco
gorgo
,
e
metto
l
'
occhio
alla
lente
.
La
prima
impressione
è
che
il
cielo
sia
vuoto
.
Su
quel
fondo
di
velluto
nero
i
diamanti
delle
stelle
sono
più
grandi
,
è
vero
,
e
d
'
una
luce
più
pura
ed
immobile
,
ma
sono
più
radi
.
Ne
vedo
quattro
come
agli
angoli
d
'
un
trapezio
,
e
altri
tre
a
sinistra
.
Più
fisso
quel
vuoto
,
più
esso
mi
si
fa
lontano
profondo
e
pauroso
.
Il
suo
mistero
che
già
m
'
era
divino
,
m
'
appare
nullo
,
gelido
e
disperato
.
E
quel
tanto
d
'
umanità
con
cui
religioni
,
superstizioni
e
astrologie
hanno
da
decine
e
decine
di
secoli
cercato
di
legare
il
cielo
alla
terra
chiamando
a
nome
gli
astri
come
se
potessero
udirci
,
legando
il
destino
di
noi
lunatici
,
marziali
o
gioviali
ai
presunti
comandi
di
quelli
,
ecco
,
mi
si
disperde
in
un
infinito
indifferente
e
vacuo
,
in
una
notte
stupida
e
senza
fondo
,
così
che
penso
d
'
afferrarmi
a
queste
leve
e
manubri
per
non
precipitarvi
a
capofitto
dal
trampolino
della
mia
scaletta
.
Intanto
m
'
afferro
alle
immagini
e
ai
paragoni
.
E
poiché
fissando
così
la
costellazione
d
'
Orione
comincio
a
vederle
attorno
un
chiarore
confuso
,
una
nubecola
triangolare
che
ha
la
forma
d
'
un
'
Affrica
messa
lassù
per
traverso
,
mi
sembra
che
quelle
stelle
s
'
affatichino
a
districarsi
come
da
una
rete
per
venirmi
incontro
.
Giochi
.
Davanti
a
quei
grossi
lontani
irraggiungibili
diamanti
posati
a
caso
su
quel
fiocco
d
'
ovatta
,
il
vecchio
trucco
di
prestar
l
'
anima
nostra
a
tutto
quello
che
ci
circonda
,
perfino
a
stelle
e
a
pianeti
,
diventa
vano
e
puerile
come
lanciar
sassi
al
sole
.
Che
vede
?
Vedo
dietro
sette
stelle
una
nuvola
.
La
nebulosa
d
'
Orione
.
La
distinguerà
meglio
sulle
fotografie
.
Le
stelle
le
vede
chiare
?
Chiare
.
Sono
stelle
giovani
e
caldissime
.
Provo
ancóra
su
questi
due
umani
aggettivi
a
ricontemplarle
e
a
godermele
.
Niente
.
Discendo
.
Adesso
metterò
l
'
apparecchio
sulla
luna
.
La
cupola
ricomincia
a
girare
,
il
telescopio
continua
a
seguirne
la
fenditura
mediana
.
Io
metto
le
mie
speranze
nell
'
amica
luna
,
tanto
vicina
,
docile
e
nostra
.
Quando
l
'
apparecchio
è
al
punto
,
torno
lassù
.
Prima
la
guardo
con
un
cannocchiale
più
piccolo
:
è
al
primo
quarto
,
una
calottina
d
'
argento
mal
fuso
,
con
le
bave
ancóra
e
le
bolle
e
le
schiume
.
Metto
l
'
occhio
al
cannocchiale
più
potente
:
vedo
solo
un
gran
disco
di
gesso
illuminato
come
da
una
lampada
elettrica
troppo
forte
.
La
luce
radente
sottolinea
con
ombre
nette
i
cigli
dei
cento
crateri
,
e
un
ricordo
di
guerra
mi
vien
su
dal
cuore
:
da
un
osservatorio
d
'
inverno
,
sul
Pasubio
un
pianoro
nevoso
tutto
sforacchiato
dai
proiettili
nemici
.
Rivedo
le
pareti
di
larice
dell
'
osservatorio
,
la
tavola
rozza
,
i
binoccoli
,
il
telefono
,
i
bicchierini
di
Strega
,
il
fondello
che
fa
da
portacenere
,
il
cane
barbone
che
ha
imparato
ad
alzarsi
in
piedi
quando
arriva
il
colonnello
;
rivedo
i
compagni
che
mi
narrano
il
bombardamento
notturno
e
m
'
indicano
laggiù
gli
ultimi
reticolati
ridotti
dalla
neve
gelata
a
un
candido
muretto
uguale
uguale
che
ha
l
'
ombra
segnata
col
tiralinee
;
i
compagni
che
mi
descrivono
l
'
uscita
d
'
una
pattuglia
vestita
di
bianco
,
sotto
la
luce
della
luna
,
per
raccogliere
un
ferito
austriaco
e
lo
avevano
invece
trovato
morto
assiderato
,
dentro
una
mano
rattrappita
la
fotografia
d
'
una
donna
(
Ma
che
fotografia
!
Una
cartolina
illustrata
col
ritratto
di
una
canzonettista
scollata
fin
qui
....
)
e
l
'
avevano
sepolto
così
in
una
cassa
tant
'
alta
perché
non
avevano
più
potuto
distenderne
le
membra
rattratte
;
e
fanno
a
gara
,
i
compagni
,
a
magnificarmi
le
fattezze
di
lei
,
certo
viva
di
là
,
e
nessuno
pensa
più
alle
fattezze
di
lui
povero
morto
....
La
luna
e
la
guerra
.
Ora
che
le
sono
così
vicino
,
mi
riassale
come
un
odio
per
lei
che
riconduceva
a
data
fissa
sugli
accampamenti
,
sui
villaggi
,
sulle
città
,
aeroplani
,
dirigibili
,
bombe
,
urli
,
rovine
;
e
riodo
i
tre
urli
della
sirena
e
il
tiro
degli
antiaerei
e
quello
delle
mitragliatrici
e
il
rombo
dei
motori
e
lo
scroscio
delle
bombe
sulla
città
pallida
e
vuota
che
pareva
morta
,
che
faceva
il
possibile
per
assomigliare
a
lei
,
voglio
dire
a
questa
luna
maledetta
,
perché
lei
ne
avesse
pietà
.
Vede
bene
?
Benissimo
.
Quelle
tre
conche
si
chiamano
Teofilo
,
Cirillo
e
Caterina
.
Quella
distesa
è
il
Mare
Tranquillitatis
.
Quella
più
in
alto
....
giri
il
manubrio
a
destra
....
è
il
Mare
Serenitatis
.
E
poi
il
Mare
Nectaris
....
Lassù
,
quei
nomi
da
manifesto
per
stagione
balneare
;
e
noi
quaggiù
dovevamo
correre
,
acquattarci
,
sparare
,
dopo
secoli
e
secoli
che
l
'
umana
imbecillità
aveva
adorato
e
invocato
in
tutte
le
lingue
e
in
tutte
le
metriche
il
suo
tranquillo
astro
d
'
argento
.
Adesso
,
a
guardare
quei
crateri
spenti
e
sgonfiati
,
con
quel
cocuzzolo
o
con
quella
buca
nel
centro
,
m
'
immagino
che
siano
tante
mammelle
smunte
dai
mille
e
mille
poeti
dei
secoli
che
furono
.
E
sono
contento
di
vederla
così
,
senza
una
stilla
d
'
acqua
o
un
respiro
di
vapore
,
arida
,
calcinata
e
finita
.
Scusi
,
professore
;
a
memoria
d
'
astronomo
,
si
è
mai
notato
alcun
mutamento
in
questo
rudere
d
'
un
mondo
?
Mai
.
Da
Galileo
ad
oggi
,
sempre
la
stessa
.
Sono
soddisfatto
e
rallegrato
.
Giorgio
Abetti
è
paziente
con
me
.
Mi
mostra
Saturno
che
è
una
perlina
col
suo
anelluccio
di
smalto
bianco
molto
grazioso
,
poco
costoso
,
come
ve
n
'
è
cento
nelle
botteghe
di
Ponte
Vecchio
.
Mi
mostra
Giove
che
s
'
alza
adesso
,
circonfuso
ancóra
dal
fiato
d
'
uno
sbadiglio
,
tinto
di
bianco
rosso
e
verde
,
secondo
è
,
per
fortuna
,
la
moda
.
Andiamo
via
,
ché
è
quasi
mezzanotte
.
Dal
panico
del
vuoto
infinito
,
ecco
sono
ridisceso
a
ridere
,
che
è
la
povera
vecchia
difesa
donataci
dalla
Provvidenza
contro
i
pensieri
troppo
grandi
.
La
mia
guida
mi
conduce
a
vedere
le
sale
terrene
dell
'
Osservatorio
,
la
biblioteca
,
l
'
archivio
,
le
fotografie
.
Astronomo
figlio
d
'
astronomo
,
giovane
com
'
è
,
ha
viaggiato
mezza
terra
per
veder
le
sue
stelle
.
Dall
'
osservatorio
di
Mount
Wilson
in
California
,
da
quello
Yerkes
presso
Chicago
all
'
osservatorio
di
Greenwich
accanto
a
Londra
e
a
quello
di
Potsdam
accanto
a
Berlino
,
egli
ha
veduto
,
studiato
,
confrontato
tutto
;
e
quando
mi
nomina
questo
o
quell
'
astronomo
celebre
,
mi
sembra
che
pel
mondo
egli
sia
andato
cercando
tutti
gli
uomini
che
tengono
la
faccia
volta
all
'
insù
.
Ma
l
'
idea
è
sbagliata
perché
adesso
gli
astronomi
coi
loro
grandi
specchi
prendono
le
stelle
e
se
le
portano
tremanti
sul
loro
tavolino
,
senza
nemmeno
soffrir
l
'
incomodo
che
abbiamo
noi
di
torcere
il
collo
per
interrogarle
.
L
'
astronomo
insomma
della
vecchia
leggenda
che
per
guardar
le
stelle
cadeva
nel
pozzo
,
è
d
'
una
razza
perduta
da
molti
anni
.
Ora
all
'
Osservatorio
d
'
Arcetri
verrà
non
so
che
gran
lente
dalla
Germania
«
in
conto
riparazioni
»
;
e
la
Fondazione
William
Hale
nordamericana
aiuta
coi
suoi
dollari
l
'
Abetti
a
costruirsi
una
Torre
solare
per
sorvegliare
,
d
'
accordo
con
Mount
Wilson
,
il
sole
anche
di
qui
.
L
'
America
,
l
'
America
torna
ogni
minuto
nella
conversazione
,
qui
sulla
collina
di
Galileo
,
come
nelle
conferenze
politiche
di
Londra
,
Parigi
o
Losanna
.
Le
grandi
fotografie
del
cielo
,
venute
anch
'
essi
d
'
oltreoceano
,
mi
riafferrano
con
lo
stesso
fascino
dello
spettacolo
al
telescopio
.
A
guardare
quella
su
cui
la
nebulosa
d
'
Orione
appare
sconvolta
e
stracciata
da
gorghi
e
vortici
di
luce
e
d
'
ombra
sembra
d
'
udire
l
'
urlo
d
'
un
gran
vento
che
in
quelli
eccelsi
faccia
stormire
le
stelle
.
Da
un
lato
,
contro
il
nero
stellato
,
la
nebulosa
si
delinea
con
un
netto
profilo
da
cui
avanza
una
testa
di
mostro
simile
a
una
garguglia
sul
fianco
d
'
una
cattedrale
gotica
;
e
tutto
quel
profilo
è
segnalo
da
un
ciglio
candido
,
luce
d
'
altri
astri
,
d
'
altri
mondi
,
d
'
altri
soli
,
d
'
altri
iddii
,
che
l
'
uomo
non
vedrà
mai
se
non
nell
'
estasi
d
'
un
'
adorazione
.
E
molte
altre
fotografie
vedo
del
sole
,
con
folti
intrichi
di
riccioli
come
d
'
un
vello
leonino
,
tagliati
qua
e
là
dai
labbri
sinuosi
di
ferite
profonde
.
La
terra
in
proporzione
quant
'
è
grande
?
L
'
astronomo
ha
in
mano
una
matita
.
La
mette
perpendicolare
sulla
fotografia
così
da
segnare
un
punto
largo
quanto
la
punta
della
matita
:
Questa
sarebbe
la
terra
.
Basta
.
Sento
che
l
'
impensabile
torna
a
stordirmi
ed
esco
all
'
aperto
.
Ecco
Firenze
,
Firenze
segnata
anch
'
essa
soltanto
dai
suoi
lumi
,
ma
tutta
nostra
,
tutta
nota
,
tutta
bella
,
tutta
umana
.
Il
ciglio
alberato
del
colle
sta
davanti
alla
città
,
come
una
gran
ribalta
.
Lassù
a
destra
,
tra
due
cipressi
,
si
gonfia
la
collina
di
Settignano
,
con
la
piramide
dei
suoi
lumi
che
l
'
assomiglia
a
un
altare
coi
ceri
accesi
.
A
sinistra
laggiù
,
da
una
massa
bruna
alta
e
nuda
pendono
due
o
tre
lunghe
collane
d
'
oro
,
quasi
da
un
vascello
le
catene
che
lo
tengono
all
'
àncora
in
questo
golfo
di
tenebre
.
E
la
chiesa
di
Santa
Maria
Novella
,
sono
i
fanali
lungo
i
binarii
della
stazione
.
Di
fronte
a
noi
,
su
dall
'
alone
di
due
sciami
di
luci
,
là
un
fuso
bianco
,
qua
un
fuso
nero
s
'
alzano
e
si
perdono
nel
cielo
,
come
due
pigre
fumate
,
il
campanile
di
Giotto
,
la
torre
d
'
Arnolfo
.
Pian
piano
ritroviamo
la
città
,
le
sue
strade
,
i
suoi
monumenti
,
il
luogo
delle
nostre
case
:
amabili
come
mai
.
Addio
,
povere
stelle
.
StampaQuotidiana ,
Il
fascino
del
personaggio
di
Mercadet
,
nella
commedia
di
Balzac
presentata
ieri
sera
dal
Piccolo
Teatro
di
Milano
,
sta
nel
suo
nucleo
autobiografico
.
Mercadet
è
Balzac
per
lo
meno
nelle
sue
apparenze
esterne
,
quelle
consegnateci
dalla
tradizione
:
il
grand
'
uomo
al
centro
del
turbine
di
cambiali
in
scadenza
,
la
fantasia
eccitata
dalle
stesse
difficoltà
in
cui
si
dibatte
.
Che
poi
il
personaggio
sia
la
rappresentazione
d
'
un
certo
tipo
di
borghesia
francese
che
andava
affermando
i
suoi
concreti
ideali
di
denaro
e
di
potenza
negli
anni
che
seguirono
la
Rivoluzione
di
luglio
,
questo
è
talmente
palese
da
sembrare
persino
ovvio
.
Se
esistette
mai
uno
scrittore
il
cui
esclusivo
campo
di
indagine
fu
proprio
la
società
del
suo
tempo
,
questi
è
proprio
da
identificarsi
nel
creatore
della
Comédie
humaine
.
È
chiaro
perciò
che
il
teatro
dovette
esercitare
una
forte
suggestione
su
Balzac
,
essere
una
continua
tentazione
della
sua
fantasia
.
I
biografi
,
Théophile
Gautier
in
testa
,
dicono
che
,
in
realtà
,
nel
teatro
egli
vedeva
una
comoda
e
copiosa
fonte
di
guadagno
,
da
sfruttare
sull
'
esempio
di
certi
mediocri
e
fortunati
commediografi
dell
'
epoca
.
Ma
un
po
'
di
scetticismo
,
su
questi
suoi
pittoreschi
atteggiamenti
(
buttava
giù
,
scrivono
,
un
dramma
in
una
notte
,
con
la
collaborazione
di
quattro
o
cinque
amici
,
convocati
all
'
ultimo
momento
;
così
sarebbe
nata
la
versione
teatrale
del
Vautrin
)
,
è
necessario
.
Mercadet
l
'
affarista
,
(
titolo
originale
Le
Faiseur
)
è
,
secondo
la
maggioranza
degli
studiosi
,
la
prima
in
ordine
di
tempo
,
delle
sei
commedie
firmate
da
Balzac
;
secondo
altri
,
l
'
ultima
.
È
senza
dubbio
la
migliore
,
la
più
completa
e
realizzata
.
Perché
anche
Le
Faiseur
,
nella
riduzione
del
De
Ennery
(
l
'
autore
de
Le
due
orfanelle
!
)
,
venne
rappresentata
postuma
,
un
anno
dopo
la
morte
di
Balzac
,
nel
1851
.
E
si
dovette
arrivare
,
verso
il
1934
,
alla
riesumazione
che
ne
fece
Dullin
,
perché
l
'
opera
fosse
rivalutata
.
Le
Faiseur
è
la
rappresentazione
d
'
un
grande
personaggio
,
un
vero
e
proprio
«
carattere
»
al
centro
di
un
'
immensa
burla
finanziaria
,
un
'
accesa
parodia
dei
giochi
di
borsa
,
delle
speculazioni
,
delle
avventure
economiche
insieme
fantasiose
e
concrete
cui
cominciava
ad
abbandonarsi
la
borghesia
del
tempo
di
Luigi
Filippo
.
Mercadet
è
assediato
dai
creditori
,
ha
l
'
acqua
alla
gola
;
angosciate
gli
sono
accanto
la
moglie
e
la
figlia
;
infidi
,
pettegoli
e
non
pagati
,
i
servi
lo
sorvegliano
.
Con
tutto
ciò
,
dal
disastro
imminente
,
come
dal
fondo
d
'
un
cappello
di
prestigiatore
,
egli
trae
gli
estri
della
sua
fantasia
di
grande
avventuriero
dei
titoli
non
riscuotibili
,
delle
cambiali
protestate
,
dei
sequestri
giudiziari
.
Chimeriche
imprese
,
con
tutte
le
vele
spiegate
al
vento
delle
illusioni
,
navigano
nell
'
atmosfera
eccitata
di
quella
sua
casa
-
trabocchetto
da
grande
uomo
d
'
affari
senza
uno
spicciolo
in
tasca
.
Ha
però
i
suoi
assi
nella
manica
:
il
matrimonio
della
figlia
con
un
giovane
che
egli
crede
ricchissimo
(
ed
è
invece
uno
spiantato
,
carico
di
debiti
e
di
iniziative
truffaldine
)
e
il
ritorno
di
Godeau
,
il
socio
in
affari
che
,
vent
'
anni
prima
,
egli
racconta
,
se
ne
fuggì
con
la
cassa
.
Gli
va
fallito
il
colpo
del
matrimonio
della
figlia
(
che
si
sposerà
con
un
giovanotto
fra
sentimentale
e
prudentemente
calcolatore
,
cui
alla
fine
è
affidata
la
funzione
di
Deus
ex
machina
dello
scioglimento
)
,
e
starebbe
per
andargli
a
vuoto
anche
la
fantastica
trovata
del
grande
ritorno
di
Godeau
,
da
lui
organizzato
con
truffaldina
genialità
,
se
il
socio
fantasma
,
poi
,
a
conclusione
della
favola
,
non
tornasse
per
davvero
,
dalle
Indie
,
carico
d
'
oro
,
a
sistemare
tutto
.
Tutto
ciò
sarebbe
sulla
linea
d
'
un
macchinoso
vaudeville
,
alla
Scribe
,
o
addirittura
alla
Labiche
,
se
non
ci
fosse
quel
grosso
personaggio
centrale
,
quel
Mercadet
,
ipotesi
che
Balzac
sembra
prospettarsi
di
se
stesso
(
e
in
tal
senso
si
è
detto
sopra
che
il
fascino
di
questo
protagonista
ha
i
bagliori
d
'
una
delle
biografie
più
poetiche
dell
'
Ottocento
)
.
Manca
però
a
Mercadet
un
antagonista
che
lo
condizioni
.
Allora
,
questa
sarebbe
davvero
una
grande
commedia
.
Gli
altri
personaggi
,
infatti
,
sono
tutti
convenzionali
o
non
escono
,
al
più
,
dai
limiti
della
macchietta
.
Un
certo
rilievo
psicologico
hanno
la
moglie
e
la
figlia
del
protagonista
,
con
la
loro
misura
umana
,
piccolo
-
borghese
;
ma
si
tratta
di
figure
che
restano
approssimative
.
La
vera
scoperta
è
lui
,
Mercadet
;
la
cui
presenza
determina
un
paio
di
scene
per
cui
è
senz
'
altro
esagerato
citare
Molière
,
ma
che
sono
indubbiamente
belle
.
Aggiungi
il
gusto
dell
'
aforisma
,
la
viva
parodia
scenica
delle
opinioni
politiche
e
morali
del
tempo
.
È
destino
che
non
ascolteremo
mai
la
commedia
di
Balzac
nella
sua
stesura
originale
(
si
tratta
d
'
altronde
di
cinque
atti
lunghissimi
e
piuttosto
mal
calibrati
per
il
gusto
di
uno
spettatore
moderno
)
.
Della
riduzione
presentata
dal
Piccolo
si
è
incaricato
Carlo
Terron
,
che
ha
forse
abbondato
,
seppure
con
gusto
,
nelle
modifiche
e
nei
ritocchi
.
Ha
tra
l
'
altro
leggermente
alterato
il
personaggio
della
moglie
di
Mercadet
,
per
fare
di
quel
suo
spicciolo
moralismo
un
contrappeso
teatralmente
efficace
al
cinismo
avventuroso
del
marito
;
e
ha
cambiato
il
finale
,
spiritoso
arbitrio
per
cui
dovrà
intendersela
direttamente
con
l
'
ombra
di
Balzac
;
ma
in
complesso
la
riduzione
è
efficace
e
finisce
con
giovare
al
testo
.
A
differenza
di
quanto
fece
Jean
Vilar
quando
,
due
anni
fa
,
mise
in
scena
e
recitò
Le
Fausier
,
tenendosi
a
metà
tra
i
ritmi
della
commedia
seria
e
di
quella
giocosa
,
Virginio
Puecher
,
regista
dello
spettacolo
,
ha
puntato
sull
'
interpretazione
satirica
del
testo
,
cavandone
quindi
effetti
grotteschi
e
momenti
di
tensione
drammatica
e
giocando
in
chiave
ironica
sull
'
attesa
del
mitico
Godeau
.
Se
c
'
è
un
difetto
,
sta
nell
'
andatura
un
po
'
lenta
,
specialmente
nella
seconda
parte
.
Uno
spettacolo
,
comunque
,
approfondito
e
,
a
tratti
,
rivelatore
.
Al
centro
della
serata
,
Tino
Buazzelli
,
che
s
'
era
combinata
un
'
efficacissima
faccia
alla
Balzac
e
che
ha
recitato
,
ha
riso
,
pianto
,
si
è
mosso
,
con
una
corposa
evidenza
,
una
versatilità
di
toni
e
di
mimica
notevolissima
;
Mercadet
sembra
cucito
sulle
sue
spalle
;
accanto
a
lui
,
brillante
quantunque
un
po
'
manierato
,
Aldo
Giuffré
,
Gabriella
Giacobbe
,
che
ha
dato
una
patetica
misura
alla
figura
della
moglie
,
Giulia
Lazzarini
,
che
era
la
malinconica
figlia
da
maritare
,
il
comicamente
violento
Tarascio
e
tutti
gli
altri
,
da
Gastone
Moschin
ad
Andrea
Matteuzzi
,
assai
efficaci
.
Una
festosa
scena
di
Damiani
,
musiche
di
Carpi
.
Molti
applausi
,
alla
fine
delle
due
parti
.
StampaQuotidiana ,
Nessuno
si
stupisca
della
soddisfazione
comunista
per
il
voto
sul
Concordato
alla
Camera
.
Longo
,
che
pure
non
è
un
amante
delle
sfumature
,
ha
superato
Togliatti
nel
giuoco
delle
allusioni
e
degli
ammiccamenti
filocattolici
.
Nelle
file
comuniste
,
a
differenza
di
tutte
le
forze
di
sinistra
,
non
c
'
è
stata
una
voce
,
una
sola
voce
,
che
si
sia
schierata
per
l
'
abrogazione
del
Concordato
:
la
disciplina
di
partito
ha
funzionato
ferreamente
e
gli
eventuali
dubbi
o
casi
di
coscienza
hanno
ceduto
alla
«
ragion
di
Stato
»
del
Pci
,
e
oggi
come
ai
tempi
dell
'
articolo
7
,
come
ai
tempi
della
canonizzazione
costituzionale
dei
Patti
lateranensi
,
ventiquattro
anni
or
sono
,
in
sede
di
assemblea
costituente
.
E
si
spiega
.
I
comunisti
hanno
tutto
l
'
interesse
a
salvaguardare
il
«
modello
concordatario
»
per
l
'
Italia
.
Parliamo
del
modello
concordatario
:
non
di
tutte
le
disposizioni
del
Concordato
sottoscritto
da
Mussolini
con
Pio
XI
,
evidentemente
indifendibili
anche
per
i
seguaci
del
più
spregiudicato
tatticismo
o
mimetismo
rivoluzionario
.
Preservando
in
Italia
il
Concordato
,
cioè
un
certo
tipo
di
regime
speciale
e
preferenziale
fra
Chiesa
e
Stato
,
i
nostri
comunisti
-
che
vedono
lontano
molto
più
di
tanti
loro
avversari
-
ipotizzano
una
somiglianza
sempre
maggiore
del
nostro
paese
con
quegli
Stati
dell
'
Europa
orientale
,
in
primis
la
Polonia
,
che
elaborano
faticosamente
nuove
formule
concordatarie
per
superare
i
tanti
ostacoli
di
una
possibile
convivenza
,
diciamolo
pure
armistiziale
,
fra
Chiesa
e
comunismo
.
È
la
stessa
ragione
per
cui
la
diplomazia
vaticana
più
aperta
a
sinistra
sostiene
ad
oltranza
la
salvaguardia
del
Concordato
italiano
,
pur
dichiarandosi
,
ed
essendo
,
disponibile
alle
più
larghe
e
accomodanti
revisioni
sui
singoli
articoli
(
si
ricordino
le
dichiarazioni
,
smentite
solo
a
metà
,
di
monsignor
Casaroli
:
un
nome
che
da
solo
è
un
programma
)
.
Anche
larghi
gruppi
dirigenti
della
Chiesa
cattolica
considerano
la
difesa
degli
assetti
concordatari
italiani
essenziale
e
imprescindibile
al
fine
di
realizzare
,
a
Varsavia
oggi
e
domani
a
Praga
e
a
Budapest
(
l
'
operazione
con
Belgrado
è
già
in
atto
:
lo
abbiamo
visto
con
la
visita
di
Tito
al
Papa
)
,
determinate
forme
di
compromesso
o
di
accomodamento
concordatario
,
che
restaurino
le
condizioni
elementari
e
primordiali
di
quel
proselitismo
religioso
che
subì
tante
sanguinose
umiliazioni
e
tante
feroci
ingiurie
ai
tempi
di
Stalin
.
C
'
è
in
tutto
questo
una
logica
profonda
:
che
sfugge
solo
agli
spiriti
superficiali
.
I
Concordati
si
sono
sempre
imposti
alla
Chiesa
per
difendere
l
'
esercizio
del
ministero
pastorale
dalle
esorbitanze
o
dalle
prevaricazioni
del
potere
politico
:
così
fu
con
Napoleone
e
con
Hitler
,
con
risultati
,
in
entrambi
i
casi
,
assai
deludenti
.
Nei
paesi
dove
la
libertà
religiosa
è
un
dato
della
vita
di
ogni
giorno
,
una
conquista
acquisita
e
irretrattabile
,
non
si
impongono
,
e
neppure
si
consigliano
,
le
scorciatoie
concordatarie
.
Il
caso
italiano
è
reso
,
a
sua
volta
,
infinitamente
più
complesso
e
controverso
e
difficile
dalla
contemporaneità
della
soluzione
della
questione
romana
e
della
instaurazione
del
regime
concordatario
,
coi
patti
,
appunto
,
del
1929
nell
'
Italia
del
fascismo
e
di
Papa
Ratti
,
i
patti
che
crearono
,
in
un
nesso
difficile
a
rivedere
o
a
separare
,
lo
Stato
della
Città
del
Vaticano
,
al
posto
del
defunto
potere
temporale
,
e
il
nuovo
tipo
di
relazioni
fra
le
due
rive
del
Tevere
.
Relazioni
concordatarie
,
anziché
separatiste
,
come
nel
sessantennio
delle
Guarentigie
.
Il
complesso
dei
Patti
lateranensi
,
com
'
è
noto
,
fu
recepito
nella
Costituzione
repubblicana
e
ne
diventò
in
certo
modo
parte
integrante
:
contro
il
parere
di
Croce
e
di
Nenni
ma
con
l
'
appoggio
determinante
del
partito
di
Togliatti
,
un
partito
per
cui
«
Parigi
vale
sempre
una
messa
»
.
Nella
situazione
italiana
di
adesso
,
sarebbe
del
tutto
irrealistico
pensare
ad
una
abrogazione
del
Concordato
,
che
finirebbe
per
rimettere
in
discussione
lo
stesso
Trattato
(
ma
come
potrà
sopravvivere
,
anche
nella
sola
revisione
concordataria
,
l
'
articolo
primo
del
Trattato
,
quello
che
definisce
la
religione
cattolica
religione
dello
Stato
?
)
.
Il
voto
della
Camera
,
sulle
responsabili
ed
equilibrate
dichiarazioni
del
presidente
Colombo
,
ha
rispecchiato
in
questo
senso
una
situazione
obbligata
,
un
equilibrio
delle
forze
politiche
che
non
è
nell
'
interesse
di
nessuno
turbare
o
sconvolgere
.
Per
una
larga
revisione
delle
norme
concordatarie
,
per
un
loro
necessario
adeguamento
allo
spirito
e
alla
lettera
della
Costituzione
,
più
che
mai
indifferibile
dopo
le
recenti
sentenze
della
Corte
,
si
sono
schierate
,
quasi
senza
riserve
,
tutte
le
correnti
di
quella
grande
confederazione
di
forze
che
è
la
democrazia
cristiana
non
meno
dei
nuclei
più
rappresentativi
della
tradizione
laica
e
risorgimentale
,
senza
neppure
l
'
eccezione
dei
liberali
di
Malagodi
che
,
pur
astenendosi
sul
documento
governativo
,
hanno
riconosciuto
il
valore
del
principio
revisionistico
.
Ora
c
'
è
da
augurarsi
che
i
negoziati
bilaterali
fra
Italia
e
Santa
Sede
procedano
in
uno
spirito
di
larga
comprensione
,
senza
impennate
di
intransigenza
o
brividi
di
guerra
religiosa
:
nel
solco
delineato
,
con
eccellente
lavoro
di
scavo
,
dalla
commissione
Gonella
,
una
commissione
di
cui
faceva
parte
un
uomo
come
Jemolo
.
Oggi
più
ancora
che
ai
tempi
del
governo
Moro
del
'67
,
benemerito
artefice
del
primo
passo
revisionista
,
esiste
un
larghissimo
schieramento
parlamentare
in
favore
dell
'
ammodernamento
delle
norme
concordatarie
.
Sarebbe
grave
e
imperdonabile
che
tale
capitale
di
disponibilità
,
un
po
'
sincera
e
un
po
'
strumentale
,
del
mondo
laico
verso
la
Chiesa
e
verso
i
cattolici
fosse
messo
a
repentaglio
o
in
pericolo
da
un
ritorno
di
fiamma
dell
'
integralismo
confessionale
sui
due
punti
-
chiave
suscettibili
dei
confronti
più
delicati
,
la
revisione
dell
'
art.
34
in
tema
di
legislazione
matrimoniale
e
la
revisione
dell
'
art.
36
sull
'
insegnamento
religioso
nelle
scuole
.
Occorre
,
da
parte
di
entrambi
i
contraenti
,
un
grande
senso
di
responsabilità
e
di
equilibrio
.
Molto
più
dello
scudo
concordatario
,
sempre
labile
ed
effimero
e
precario
,
servirà
alla
Chiesa
cattolica
post
-
conciliare
il
soffio
della
libertà
religiosa
,
una
libertà
che
viene
sempre
offesa
o
diminuita
dal
laccio
di
un
privilegio
o
dal
dono
di
un
'
esenzione
.
Una
delegazione
della
Santa
Sede
,
che
interpretasse
veramente
lo
spirito
del
concilio
vaticano
secondo
,
dovrebbe
far
getto
di
talune
norme
concordatarie
con
maggior
fretta
,
e
diciamolo
pure
con
maggiore
facilità
,
degli
interlocutori
laici
.
La
pace
dei
cuori
vale
più
di
tutte
le
concessioni
o
garanzie
concordatarie
.
Un
'
eventuale
campagna
per
il
referendum
abrogativo
della
legge
sui
casi
di
divorzio
non
contribuirebbe
certo
né
alla
pace
dei
cuori
né
alla
revisione
del
Concordato
.
Rischierebbe
,
anzi
,
di
compromettere
la
prima
e
di
paralizzare
la
seconda
.
A
vantaggio
di
quelli
che
rimangono
,
oggi
come
ieri
,
i
comuni
avversari
dello
spirito
di
religione
e
dello
spirito
di
libertà
.
StampaQuotidiana ,
4
aprile
.
È
morto
a
Rapallo
il
principe
Federico
Giovanni
Carlo
Alessandro
Adamo
Egon
Maria
di
Hohenlohe
Waldenburg
Schillingfurst
,
Altezza
Serenissima
,
più
brevemente
chiamato
dai
suoi
amici
veneziani
Fritz
Hohenlohe
.
La
Casetta
Rossa
sul
Canal
Grande
che
durante
la
guerra
fu
presa
in
affitto
da
Gabriele
d
'
Annunzio
,
la
casa
insomma
del
«
Notturno
»
,
era
di
Fritz
Hohenlohe
,
il
quale
,
principe
austriaco
,
se
n
'
era
allora
dovuto
andare
,
col
cuore
gonfio
,
a
vivere
in
Isvizzera
.
La
presenza
del
nostro
poeta
in
quella
sua
casa
,
alla
sua
mensa
,
nel
suo
letto
,
mentre
i
suoi
connazionali
venivano
a
bombardare
dal
cielo
Venezia
,
fu
il
suo
conforto
nell
'
esilio
:
assoluzione
dall
'
involontario
delitto
d
'
essere
austriaco
sebbene
nato
a
Venezia
.
Quella
bomboniera
o
casetta
che
dir
si
voglia
,
era
il
suo
orgoglio
e
la
sua
beatitudine
:
tutta
settecento
dal
campanello
sulla
porta
alla
gabbia
del
canarino
laccata
e
dorata
.
Fritz
Hohenlohe
adorava
il
settecento
:
il
settecento
del
Casanova
e
del
Longhi
,
del
Goldoni
e
del
teatro
San
Luca
,
del
Glück
e
del
Burg
-
Theater
e
(
questo
non
guastava
)
di
Maria
Teresa
e
di
Giuseppe
secondo
;
il
settecento
in
cui
Venezia
e
Vienna
vivevano
ancora
in
pace
;
il
settecento
,
insomma
,
prima
di
Campoformio
e
di
Austerlitz
,
e
dell
'
infame
Napoleone
.
Solo
nei
romanzi
di
Henri
de
Régnier
che
fu
anch
'
egli
un
assiduo
della
Casetta
Rossa
sebbene
,
lungo
com
'
è
,
quasi
toccasse
col
cranio
il
soffitto
di
quelle
stanzette
profumate
di
sandalo
,
si
possono
incontrare
innamorati
di
quel
secolo
altrettanto
fanatici
e
appassionali
e
anche
,
come
i
fantasmi
,
altrettanto
sospirosi
e
discreti
.
Col
suo
passo
saltellante
,
il
suo
cappellino
minuscolo
,
il
volto
paffuto
appuntito
da
una
barbetta
ormai
grigia
,
il
biondo
e
buon
Fritz
,
quando
dopo
le
undici
appariva
al
sole
in
piazza
San
Marco
,
per
primo
saluto
agli
amici
annunciava
sempre
la
scoperta
di
qualcosa
di
settecentesco
:
un
libro
,
una
legatura
,
una
miniatura
,
un
palmo
di
merletto
,
due
palmi
di
specchio
,
una
bambola
,
un
mazzo
di
tarocchi
,
un
orologino
che
non
camminava
più
.
Conosceva
Venezia
meglio
di
molti
veneziani
;
ma
da
San
Marco
ai
Frari
,
tutto
quello
che
non
era
settecento
,
lo
tollerava
,
non
lo
amava
.
Tutt
'
al
più
gli
piaceva
come
una
bella
e
rara
cornice
per
la
bambola
,
la
miniatura
,
il
disegnino
,
il
vero
Longhi
o
il
falso
Guardi
che
egli
aveva
scoperto
un
'
ora
prima
;
e
sopra
tutto
,
come
una
cornice
per
la
sua
Casetta
Rossa
,
cioè
pel
suo
cuore
.
Perché
il
gran
settecento
di
Giambattista
Tiepolo
e
di
Benedetto
Marcello
,
con
le
sue
vòlte
turbinose
d
'
angeli
e
di
sante
,
coi
suoi
pieni
d
'
organo
,
coi
suoi
avventurieri
trascorrenti
dalla
Russia
alla
Spagna
,
coi
suoi
filosofi
rinnovatori
dal
Vico
al
Rousseau
,
dal
Beccaria
al
Montesquieu
,
Fritz
Hohenlohe
lo
vedeva
in
piccolo
,
ridotto
a
gingilli
da
star
tutti
nella
calotta
d
'
un
tricorno
,
ridotto
a
cavatine
e
cabalette
da
cantarsi
su
una
spinetta
dipinta
:
ridotto
insomma
alla
misura
della
sua
casa
tanto
piccina
che
a
uscirne
in
fretta
si
credeva
di
portarsela
in
spalla
.
Dei
tanti
poeti
che
vi
sono
passati
,
solo
la
contessa
di
Noailles
e
Gabriele
d
'
Annunzio
vi
si
trovavano
come
a
casa
loro
,
cioè
in
proporzione
.
Ma
quando
entrava
nel
salotto
Mariano
Fortuny
con
la
sua
bella
pancia
,
le
spalle
quadre
e
il
faccione
sorridente
tra
tanto
pelo
,
veniva
voglia
d
'
aprir
la
porticina
a
vetri
sul
giardinetto
e
sul
Canalazzo
per
respirare
.
Fortuny
lo
sapeva
ed
entrava
congiungendo
le
due
mani
sullo
stomaco
,
stringendo
i
gomiti
sui
fianchi
e
camminando
a
passi
brevi
dopo
aver
guardato
in
terra
se
tra
le
gambe
d
'
un
tavolino
,
il
bracciolo
d
'
una
poltrona
e
i
piedi
di
un
invitato
poteva
trovare
posto
anche
per
un
piede
suo
.
Più
pericoloso
era
il
pittore
Marius
de
Maria
,
specie
quando
discuteva
e
per
discutere
s
'
alzava
e
gestiva
.
Portava
egli
allora
un
paio
d
'
occhiali
con
una
lente
sola
e
,
sull
'
altr
'
occhio
,
il
cerchio
vuoto
per
la
lente
che
non
c
'
era
più
;
e
di
questo
cerchio
vuoto
e
arrugginito
si
serviva
come
d
'
un
manico
per
fissare
meglio
gli
occhiali
sul
naso
,
così
che
pian
piano
il
cerchio
vuoto
era
salito
a
incorniciare
un
poco
del
sopracciglio
.
Tra
l
'
alzare
le
braccia
al
cielo
nel
calor
della
disputa
e
quel
continuo
soccorrere
gli
occhiali
e
rimetterli
in
punto
,
era
un
continuo
urtare
il
candeliere
o
il
bruciaprofumi
,
la
cornice
o
il
vasetto
di
viole
,
la
chicchera
del
caffè
o
la
boccia
del
rosolio
.
E
tutti
,
con
prudenti
gesti
,
ad
accorrere
;
ed
egli
a
interrompersi
e
a
riprendere
con
più
veemenza
;
e
noi
ad
ascoltarlo
e
a
dargli
ragione
per
evitare
i
cocci
;
ed
egli
a
spiegarci
che
non
avevamo
capito
.
V
'
erano
,
come
sempre
nei
salotti
veneziani
,
molti
ufficiali
di
marina
,
cominciando
dall
'
ammiraglio
Presbitero
e
dall
'
ammiraglio
Cusani
.
Abituati
alle
cabine
di
bordo
,
usciti
magari
un
'
ora
prima
dal
quadratino
d
'
una
torpediniera
o
dalla
cella
d
'
un
sottomarino
,
erano
in
quelle
strettezze
i
più
composti
e
i
più
agili
.
Ma
l
'
ospitalità
era
cordiale
per
tutti
,
uguale
a
distanza
di
mesi
e
d
'
anni
.
Eppure
una
sera
credetti
di
sentirmi
cadere
addosso
quel
teatrino
dorato
.
La
sera
del
4
settembre
1916
pranzavo
lì
con
Gabriele
d
'
Annunzio
quando
cominciò
l
'
incursione
.
Sirene
,
antiaerei
,
mitragliatrici
,
fucileria
,
rombi
,
sibili
,
scrosci
:
pranzo
con
concerto
viennese
.
Eravamo
al
dolce
,
con
una
certa
cotognata
offerta
da
un
ammiratore
al
poeta
in
tanta
copia
che
da
Cervignano
a
Udine
,
da
Monfalcone
a
Gradisca
,
non
v
'
era
mensa
di
ufficiali
che
ormai
non
ne
avesse
gustato
.
Ed
ecco
uno
scoppio
fragoroso
assordarci
,
le
sottili
pareti
oscillare
,
i
bracci
e
le
gocce
del
lampadario
di
vetro
tinnire
,
e
dalla
vetriata
dietro
le
tende
di
seta
verde
,
giù
vetri
,
l
'
uno
dopo
l
'
altro
,
che
non
finivano
più
.
Una
bomba
era
caduta
sui
gradini
di
approdo
del
palazzo
della
Prefettura
,
a
venti
metri
dalla
Casetta
Rossa
.
In
coro
,
tutti
e
due
esclamammo
:
Povero
Fritz
,
se
fosse
qui
....
E
mi
sembra
che
a
ricordar
oggi
quelle
parole
gli
si
faccia
la
necrologia
che
,
se
egli
potesse
leggerla
,
gli
sarebbe
più
cara
.
Quella
notte
una
bomba
incendiaria
cadde
anche
a
due
metri
dalla
maggior
porta
di
San
Marco
.
Ma
chi
se
ne
ricorda
più
?
Certo
nemmeno
chi
la
lanciò
.
StampaQuotidiana ,
Ieri
sera
il
pubblico
,
raccolto
nella
conchiglia
del
Gerolamo
-
platea
e
palchi
gremiti
-
ha
salutato
,
cori
fittissimi
applausi
,
la
nascita
di
un
nuovo
interprete
,
nella
difficile
specializzazione
del
teatro
parodistico
-
satirico
.
Chi
è
il
giovanissimo
Giancarlo
Cobelli
,
unico
protagonista
di
Cabaret
'59
,
lo
spettacolo
andato
in
scena
nel
minuscolo
teatro
su
testi
di
Giancarlo
Fusco
,
dello
stesso
interprete
e
di
Quinto
Parmeggiani
e
con
le
musiche
di
Fiorenzo
Carpi
,
Gino
Negri
e
Jacqueline
Perrotin
?
È
un
mimo
,
si
potrebbe
dire
,
poiché
la
sua
vocazione
al
teatro
affonda
le
radici
,
prevalentemente
,
nella
tecnica
e
nell
'
arte
del
mimo
;
ma
è
anche
un
attore
,
bisogna
subito
aggiungere
,
poiché
dell
'
attore
,
e
dell
'
attore
comico
in
particolare
,
sono
quei
suoi
toni
violentemente
caratterizzati
,
che
superano
la
stretta
misura
,
di
solito
soltanto
allusiva
,
dei
«
diseurs
»
,
da
una
parte
,
dei
macchiettisti
tradizionali
dall
'
altra
.
Egli
riesce
in
realtà
ad
evocare
veri
e
propri
personaggi
,
naturalmente
sintetizzandoli
,
trasformandoli
in
simboli
con
un
crudo
segno
espressionistico
.
Aggiungete
le
possibilità
,
che
egli
possiede
,
di
cantare
e
danzare
,
e
avrete
l
'
immagine
di
questa
specie
di
elettrico
«
clown
»
recitante
;
né
vi
meraviglierete
che
egli
possa
,
sulle
giovani
spalle
,
sostenere
l
'
intero
peso
di
uno
spettacolo
che
dura
due
ore
buone
.
Naturalmente
,
come
la
maggior
parte
degli
spettacoli
di
questo
genere
,
anche
Cabaret
'59
è
basato
soprattutto
sugli
spunti
di
attualità
,
un
'
attualità
guardata
attraverso
il
prisma
deformante
dell
'
ironia
.
Così
,
dal
primo
quadro
,
che
si
intitola
Ciampino
,
cinturino
e
Rugantino
,
all
'
ultimo
,
Valzer
d
'
addio
,
sono
gli
aspetti
del
costume
italiano
contemporaneo
che
vengono
presi
di
mira
:
il
cinema
,
gli
interpreti
di
canzonette
,
quei
singolari
,
morbidi
,
apparentemente
svaniti
,
in
realtà
attentissimi
divi
del
tempo
nostro
che
sono
i
grandi
creatori
della
moda
femminile
,
il
giornalismo
,
i
«
teddy
-
boys
»
,
le
televisive
anime
gemelle
,
gli
eroi
del
pugilato
e
così
via
.
Ma
bisogna
dire
che
,
salvo
un
paio
di
notazioni
,
che
appaiono
strettamente
per
iniziati
(
l
'
esilarante
parodia
di
Paolo
Grassi
,
per
esempio
)
,
tutto
il
resto
è
su
una
chiave
di
comicità
largamente
accessibile
,
elegante
ma
popolare
.
Si
veda
per
esempio
la
parodia
del
grande
balletto
scaligero
,
in
cui
il
Cobelli
,
con
nervoso
fregolismo
(
per
usare
una
definizione
tradizionale
,
ma
efficace
)
si
trasforma
in
una
serie
di
personaggi
(
mimi
e
ballerini
)
imitati
con
una
sorta
di
comica
,
affettuosa
crudeltà
.
Giancarlo
Fusco
,
cui
si
devono
la
maggior
parte
dei
testi
,
ha
accompagnato
col
«
pizzicato
»
pungente
del
suo
umorismo
,
le
felici
evoluzioni
interpretative
del
Cobelli
;
fra
i
suoi
sketches
,
tutti
spiritosi
e
mordenti
,
ci
sono
particolarmente
piaciuti
quelli
dedicati
al
giornalismo
,
al
grande
sarto
e
al
funerale
,
con
rassegna
di
buone
azioni
,
trasformate
in
ottimi
affari
,
del
grosso
imprenditore
.
Ma
tutto
lo
spettacolo
è
vivo
.
Nella
seconda
parte
,
accanto
a
qualche
momento
di
stanchezza
,
ci
sono
però
anche
le
cose
migliori
,
le
più
inedite
.
Mario
Missiroli
,
un
altro
giovane
,
ha
curato
la
regia
dei
due
tempi
;
le
musiche
sono
apparse
tutte
diversamente
efficaci
.
Insomma
,
è
stato
un
successo
,
con
moltissimi
applausi
,
come
s
'
è
detto
,
all
'
interprete
unico
,
che
alla
fine
appariva
un
po
'
provato
.
Bisogna
capirlo
:
due
ore
sulla
corda
.