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GLI INDIFFERENTI ( - , 1934 )
StampaQuotidiana ,
Con tale titolo , ebbe qualche fortuna editoriale alcuni anni fa un romanzo italiano . Non si tratta di ciò . Gli « indifferenti » , nella espressione più integrale della parola , sono i compagni socialisti italiani del sud - est della Francia , i quali se ne fregano del loro partito nella più fascistica delle maniere . Il Comitato direttivo ha un bel lanciare degli appelli periodici ; questi cadono completamente nel vuoto , cioè fra individui sordi come una campana , muti come pesci , addormentati come marmotte . Leggete e commovetevi se ne siete ancora capaci , in questi tempi duri per tutti , ma catastrofici per quel po ' di « pus » che è rimasto in circolazione oltre le patrie frontiere . La circolare « riservata » è in data 1° novembre u . s . : « I due appelli dell ' Esecutivo Federale e della Direzione del Partito in merito alla « Quindicina della Tessera e quella della Stampa » non hanno avuto eco alcuna fra le Sezioni ed i compagni nostri . Lo assenteismo il più completo e l ' indifferenza la più assoluta hanno fatto riscontro al nostro richiamo . « Mentre precedentemente la Segreteria Federale era affollata di richieste per assemblee , e riunioni di propaganda ; ed ammirabile ne era l ' attività dei compagni in ogni località ; per la quindicina della tessera e della stampa , nessuna sezione , ad eccezione di Marsiglia , ha sentito il dovere di adunarsi in assemblea o di convocare riunioni di propaganda . « A quanto pare fra i compagni si è fatta strada l ' idea della inutilità della propaganda del partito , o del dovere di dare forza attiva all ' azione singola delle Sezioni o Gruppi nostri . « La Segreteria è pure a conoscenza che raramente il Bollettino Federale viene portato a conoscenza dei compagni ; per cui si domanda se vale ancora la pena di farne la pubblicazione ; come pure domanda ai compagni se credono veramente di avere compiuto interamente il loro dovere di socialisti e di rivoluzionari , disinteressandosi , come essi fanno , dell ' azione nostra di Partito » . Dopo queste constatazioni ultrafallimentari si potrebbe chiudere decentemente la bottega , se non ci fosse il solito gruppo dei professionali che ci vive sopra .
IL MIRACOLO LO FA VISCONTI ( De Monticelli Roberto , 1959 )
StampaQuotidiana ,
« Mettete un bel Padre Nostro in fondo a una commedia , poi tirate subito il sipario e avrete un subisso di applausi » potrebbe essere la prima norma di un decalogo dedicato da Diego Fabbri ai giovani commediografi italiani . È avrebbe ragione , visto l ' esito che ha avuto , ieri sera , Figli d ' arte a Milano . Figli d ' arte è un copione che Luchino Visconti ha preso a pretesto per uno spettacolo . Lo spettacolo è vario , vivo , ha il fascino delle immagini riprodotte da una lanterna magica : un po ' di maniera , per chi se ne intenda , ma rivelatrici , per la maggioranza , d ' un mondo sempre affascinante , quello del palcoscenico . La commedia , invece , è irrimediabilmente mancata . Anzi , più che mancata diremmo inconsistente , un ' enorme macchina , un grosso mulino a vento , le cui grandi pale s ' allargano come le braccia di una croce nel cielo del solito spiritualismo di maniera ; e macinano il consueto aneddoto culminante in una conclusione miracolosa e un paio di ideuzze di mistica interpretativa fra Pirandello e Stanislavskij . Riprendendo un tema che gli è evidentemente caro , il Fabbri ha voluto di nuovo raccontare la redenzione di un adultero attraverso la fede . Più che di adultero si tratta , questa volta , di un libertino , ché tale è l ' Osvaldo di questa commedia , capocomico - mattatore d ' una compagnia di prosa che si prepara a presentare ( e le prove si svolgono nel teatro di Cesena , e si finge che sia quello stesso in cui accadde il famoso episodio del Passatore ) il testo di un autore defunto . Costui ha scritto tre atti che si richiamano , secondo modi parodistico - grotteschi , al mito di Don Giovanni ; il protagonista della commedia in prova è infatti un barbiere di paese che , di successo in successo sulla strada della galanteria , arriva a compromettere la moglie di un ambasciatore , ed è costretto a rifugiarsi in un convento dove incontra , suora conversa , una sua antica fidanzata . Il dilemma , per il regista e gli attori che stanno provando , è qui : il perfido Don Giovanni deve uscire dalla commedia con una piroetta blasfema o un miracolo veramente accade e il seduttore se ne andrà convertito ? Nel primo caso , secondo il regista , avremmo un « grottesco » sacrilego , nel secondo un dramma « spirituale » , proprio alla maniera di Diego Fabbri . Il miracolo accade anche sul palcoscenico di quel teatro di provincia dove , intorno al mattatore libertino , ruotano la moglie , da cui vive separato , illustre e patetica attrice , l ' ex - amante , un ' attricetta parigina del « boulevard » , e una ragazzina uscita fresca da una scuola d ' arte drammatica e pronta a lasciare aperta , all ' importante seduttore , la porta della sua camera d ' albergo . Il miracolo avviene , favorito dall ' intervento della madre del capocomico , ostinata visitatrice di santuari ; e dal Pater Noster finale . A furia di impuntarsi sui miracoli , Diego Fabbri s ' è precluso l ' unico miracolo che per un artista conti , quello dell ' ispirazione . In questa commedia tutto è falso , o , per lo meno , convenzionale : il trombonesco libertinaggio del protagonista , il fiducioso attendismo di quella sua moglie pallida e scocciatrice , l ' isterico sentimentalismo della francese , il titubante sperimentalismo del regista . E tutto questo meccanismo , poi , tutto questo artificio complicato , questo spaccare in quattro il capello delle teorie interpretative ( e Stanislavskij e Pirandello e via citando ) , per arrivare a che ? A far cambiare d ' albergo , riportandolo quindi nel talamo legittimo , al protagonista . Sappiamo benissimo che le intenzioni del Fabbri erano diverse e assai più ambiziose : arrivare all ' identificazione del miracolo scenico col miracolo religioso , dimostrare che , non potendo l ' attore veramente incarnarsi col personaggio se non partecipando della sua vita interna , per interpretare un dramma di fede occorre un atto di fede . Ma dietro quale traliccio di approssimazione , di sotterfugi e di ingenuità sentimentali , queste intenzioni si nascondono . Il miracolo vero lo ha fatto , con la sua regia , Visconti , che ha inoltre amplificato le risonanze del testo dando , con acuta sensibilità , le suggestioni di quella vita di palcoscenico , il senso della favola che sempre si rinnova ; e sottolineando gli effettismi comici , le cose migliori della commedia . Aggiungi l ' interpretazione impeccabile , un Paolo Stoppa che , nei toni del grande gigionismo teatrale , fa una felice parodia di tutta una tradizione , la sempre sincera e sensibile Rina Morelli , anche in un personaggio così falso , la bella e ardente Françoise Spira ( che a un certo punto rimane in « dessous » , un po ' di spogliarello non fa male anche in un dramma cattolico ) , la fresca e decisamente maturatasi Ilaria Occhini , Teresa Franchini , Sergio Fantoni , attendibilissimo come giovane regista . Bella la scena di Garbuglia . Dell ' esito , s ' è detto . È comparso anche l ' autore .
Come i polli nella stia ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Il problema dei rapporti fra intellettuali e potere è un tema ricorrente . In questi giorni si è svolto un convegno su questo tema , in occasione della pubblicazione del quarto volume degli « Annali della storia d ' Italia » einaudiana , intitolato appunto Intellettuali e potere . Nell ' ultima riunione del Comitato centrale Aldo Tortorella , responsabile dell ' organizzazione culturale del pci , ha svolto un ' ampia relazione in cui ripropone il tema del « ruolo delle istituzioni culturali per il rinnovamento e la trasformazione della società e dello Stato » . Si sta svolgendo a Roma un convegno promosso da intellettuali del psi , che dovrebbe concludersi , nientemeno , con « un manifesto per la cultura italiana » . Non sono passati molti giorni dalla conclusione dell ' Assemblea nazionale della dc , provocata o ispirata da uomini di cultura cattolici preoccupati del venir meno della tensione ideale nella lotta politica in Italia , il cui protagonista è da più di trent ' anni un partito che si chiama cristiano . Il tema è ricorrente , perché i rapporti fra politica e cultura sono difficili . All ' atteggiamento di diffidenza del politico per l ' intellettuale corrisponde un analogo atteggiamento di diffidenza dell ' intellettuale per il politico . Alcuni anni fa è stata pubblicata la traduzione italiana del libro di R . Hofstadter , Società e intellettuali in America ( Einaudi , Torino 1968 ) , che , pur riferendosi agli Stati Uniti degli anni del maccartismo , presenta un ' ampia documentazione storica sul tema del conflitto permanente fra l ' uomo politico che ha o crede di avere i piedi per terra e l ' idealista nelle nuvole , accusato di inventare progetti bellissimi ma irrealizzabili . Una versione recentissima e casalinga di questa antica avversione ho colto in un ' intervista pubblicata una settimana fa , in cui il ministro Marcora , volendo tirare le orecchie agli ottimisti , dice a un certo punto : « Sono un uomo pratico , io . Sono un vecchio lombardo , sto in politica da trent ' anni , non sono un intellettuale . Guardo al sodo » . Non ci vuole molta fantasia a immaginare una battuta diametralmente opposta in bocca a un intellettuale : « Sono un uomo che cerca di capire come vanno le cose . Non improvviso , ci penso su . Non sono un politico . Guardo nel fondo » . Proprio perché questi rapporti sono difficili , e sono difficili perché l ' intellettuale e il politico hanno vocazioni , ambizioni , progetti di vita , capacità diverse , e non c ' è gioco di prestigio dialettico che valga a mediare o a superare queste differenze , il problema non si risolve con alternative drastiche come questa : « L ' intellettuale è un seminatore di dubbi » ( così Rosellina Balbi sulla « Repubblica » ) . « No , è un raccoglitore di certezze » ( così , almeno sembra , Sanguineti sull ' « Unità » ) . Per quanto il problema dei rapporti fra intellettuali e potere sia un tema ricorrente , o forse proprio per questo , non è un problema cui si possa dare una soluzione netta una volta per sempre . E non si può almeno per due ragioni . Prima di tutto perché questa benedetta categoria degl ' intellettuali è vasta , varia , divisa , e ogni volta che se ne parla bisogna intendersi bene di che cosa si vuol parlare . In secondo luogo , perché , dato per ammesso che i rapporti tra gli intellettuali ( ma quali intellettuali ? ) e il potere siano difficili , non è affatto detto siano sempre della stessa natura . Alcuni anni fa mi è accaduto di distinguere gl ' intellettuali che ho chiamato « esperti » , da quelli che ho chiamato « ideologi » . Vedo che la distinzione è stata ripresa da Corrado Vivanti , se pure con qualche riserva , nella prefazione al volume degli annali einaudiani dianzi citato . Mi sono accorto dopo che nel notissimo rapporto della Commissione trilaterale sulla crisi della democrazia si distinguono gli intellettuali tecnocrati da quelli « orientati verso i valori » ( « value - oriented » ) : distinzione analoga alla mia , se pure caricata di un giudizio di valore , positivo per i primi , negativo per i secondi , lontanissimo dalle mie intenzioni . La distinzione è rilevante , a mio parere , perché il rapporto fra intellettuali e potere cambia secondo che ci si riferisca agli esperti o agli ideologi . I primi offrono ai politici conoscenze , informazioni , dati elaborati ; i secondi principi , direttive , prospettive di azione . Nella irrequietezza degl ' intellettuali che hanno agitato le acque stagnanti della democrazia cristiana vedo lo stato d ' animo tipico dell ' intellettuale che fa appello ai valori , chiede il ritorno ai principi primi , e inalbera la questione morale ; al contrario , nel rivolgersi , del resto non per la prima volta , del partito comunista agli uomini di cultura , vedo soprattutto l ' interesse che ha questo partito , depositario dei principi che lo hanno fatto nascere e ai quali non può abdicare ( pur potendoli aggiornare ) senza venir meno alla propria funzione di partito - guida , nell ' attrarre a sé uomini esperti nei diversi campi del sapere scientifico . In questi due percorsi contrari dell ' uomo di principi verso un partito prammatico e del partito di principi verso gli esperti , si possono cogliere , da due parti diverse , anzi opposte , i due vizi principali della nostra vita politica : senza alti ideali per quel che riguarda il partito maggiore e di maggior governo ; senza gli strumenti conoscitivi necessari per la trasformazione di uno Stato diventato anacronistico , per quel che riguarda i partiti e i movimenti della sinistra ( che non possono pretendere di trasformare il mondo , secondo il vecchio detto di Marx , se non dopo averlo compreso ) . L ' altra ragione per cui il rapporto fra intellettuali e potere suscita tante discussioni dipende dal fatto che non si tratta di un rapporto a senso unico . Molte inutili discussioni nascono dallo scambiare l ' analisi di questo rapporto a molte direzioni con il desiderio che il rapporto sia quello che ciascuno di noi ritiene giusto . Questo rapporto cambia secondo l ' idea che i singoli intellettuali hanno della loro funzione nella società ( idea dietro la quale ci può essere addirittura una visione globale del mondo ) , e secondo le circostanze storiche . C ' è chi esalta la vita contemplativa in paragone a quella attiva e dispregia coloro che si perdono nelle cure del mondo . C ' è per contrasto chi ritiene che l ' uomo di cultura abbia il dovere di impegnarsi nell ' azione politica , perché al di fuori della comunità ordinata al bene comune non c ' è salvezza . Chi ha ragione e chi ha torto ? Ci sono coloro che adoperano le armi proprie dell ' intelligenza ( le idee , le opinioni , le credenze , le dottrine , gl ' ideali ) per combattere il potere costituito e naturalmente per costituirne un altro che ritengono migliore . E ci sono per contrasto coloro che esercitano la loro influenza per consolidare il governo del loro paese ( sono i cosiddetti « organizzatori del consenso » ) . Ancora una volta , chi ha ragione e chi ha torto ? Ma si può mai comparare chi promuove il consenso per salvare uno Stato democratico minacciato dalla violenza eversiva da destra e da sinistra , uno Stato che ammette il dissenso , con chi si piega a sollecitare consensi a uno Stato totalitario dove i dissenzienti sono puniti o soppressi ? Sono domande retoriche , ma valgono a far capire che il problema del rapporto fra intellettuali e potere ha molti aspetti e non può avere una sola risposta , e di conseguenza la domanda così frequentemente e fastidiosamente ripetuta quale debba essere la politica degl ' intellettuali verso i partiti o dei partiti verso gli intellettuali , è completamente priva di senso , se non si specifica quali intellettuali , in quale contesto , e per quali obiettivi . Una cosa è certa ( anche il « seminatore di dubbi » può permettersi talora di avere qualche certezza ) : alla crisi politica generale che è sotto gli occhi di tutti - basti pensare che il problema dei rapporti Est - Ovest è ben lontano dall ' essere risolto , e già si pone con forza il problema dei rapporti Nord - Sud , la cui soluzione dipende dalla soluzione del primo - , corrisponde una crisi delle idee , anzi , com ' è stato detto più volte , una crisi delle idee per risolvere la crisi . Di fronte alla quale noi ci teniamo le nostre piccole e domestiche crisi di governo che , paragonate alla tragicità dei conflitti che agitano la fine di questo nostro tragico secolo , ci appaiono come zuffe di polli in una stia .
FIUME E WILSON ( - , 1919 )
StampaQuotidiana ,
La maggiore trepidazione dell ' anima italiana , in questi giorni di sospeso destino , è per Fiume . In questo nome si placano tutte le discordie e convergono tutte le speranze . Che Fiume sia città in maggioranza italiana e irremovibilmente risoluta a non tollerare usurpazione straniera è un dato di fatto cui debbono ormai tutti , e in parte anche i jugoslavi , inchinarsi . Le statistiche comunali di dicembre 1918 migliorano , ma non rovesciano le risultanze della statistica magiara di otto anni or sono , secondo la quale a 24.000 italiani non potevano opporsi che circa 14.000 fra serbo - croati e sloveni . Perfino l ' inclusione di Sussak , se per Sussak s ' intende non già il vasto comune croato di Sussak - Tersatto ma il sobborgo fiumano di Oltreponte , lascerebbe gl ' italiani in maggioranza di circa 6000 . Ma più ancora del numero conta l ' ardore di questi italiani , lo slancio irrefrenabile con cui fin dal 30 ottobre invocarono la patria che li aveva sacrificati a non sappiamo quale necessità politica e ancora oggi la invocano , decisi ad ottenerla contro qualsiasi violenza di padroni o illecita intrusione di terzi . Ma non occorre insistere . La conoscenza della volontà di Fiume è ormai così vittoriosamente diffusa che più nessuno pensa di soggiogare questa città alla Croazia , contro la quale essa combatté tutte le sue lotte storiche . Perché dunque si tarda a consacrarne il diritto di autodecisione ? perché si coltivano espedienti intermedii e si propone d ' istituire Fiume col suo angusto territorio in Stato neutro e sovrano , staccato dalla Jugoslavia e dall ' Italia ? Tale proposito si attribuisce sopra tutto all ' Inghilterra e all ' America , a Lloyd George ed a Wilson . Anche a Wilson , a colui che con incomparabile eloquenza sostenne il diritto dei popoli di disporre della loro sorte . Le malignità di retroscena che si narrarono per spiegare alcune inesplicabili opposizioni al diritto di Fiume non possono toccare quest ' uomo . Se ancora egli crede che la libertà di Fiume debba essere manomessa , che il principio generale di cui egli si fece mallevadore debba subire un ' infrazione forse più grave di ogni altra , perché ferirebbe in pari tempo un piccolo popolo uscito di schiavitù e un grande popolo vincitore , diviene necessario pensare che questa impressionante infedeltà debba giustificarsi con alti e imperiosi motivi . Ma a tale presunzione logica non sa dare risposta soddisfacente nessuna analisi dei fatti . Riconosciuto che la maggioranza di Fiume è italiana e d ' italiano volere , solo tre generi di ostacoli possono intralciare l ' adempimento delle deduzioni logiche e morali che discendono dalle premesse . Si può obbiettare in primo luogo che l ' Italia ufficiale non chiese Fiume nel trattato concluso a Londra in aprile 1915 . È l ' obbiezione diplomatica . Si può obbiettare in secondo luogo che occorre ai jugoslavi e agli altri popoli dell ' interno un libero sbocco adriatico . E l ' obbiezione economica . Si può obbiettare in terzo e ultimo luogo che per la solidità della pace futura è necessario giungere a un compromesso fra italiani e jugoslavi , sicché né gli uni né gli altri realizzino integralmente il programma massimo nazionale , e , pur essendo , com ' è giusto , favorita l ' Italia , sia data in qualche punto soddisfazione alla tracotante rivale . È l ' obbiezione politica . Non spenderemo parole sull ' obbiezione diplomatica . È superfluo dire al Presidente Wilson , non sospetto di ortodossia diplomatica e di bigotto ossequio pei trattati segreti , che il documento di Londra , qualunque cosa esso valga , val meno della volontà di Fiume e dell ' Italia e che sarebbe cosa da Antico Testamento punire il popolo italiano e il popolo fiumano perché quattr ' anni or sono alcuni diplomatici italiani e russi , inglesi e francesi , per motivi che ora è inutile ricercare , non iscrissero quella partita nel libro del nostro credito nazionale . Più seria può sembrare l ' obbiezione economica . E non staremo a ripetere ciò che ormai da tutti si conosce sulla compartecipazione relativamente scarsa della Jugoslavia al traffico di Fiume . Non ritorneremo sulla dimostrazione incontestabile che porta naturale dell ' Austria , della Boemia , della Slovenia è Trieste meglio che Fiume . Non enumereremo ancora una volta i sei , o nove , o dodici sbocchi adriatici che rimarranno ai jugoslavi anche senza Fiume . E per comodità di discussione ammetteremo senz ' altro che Fiume , già collegata col sistema ferroviario medieuropeo ed egregiamente attrezzata , sia in condizione di privilegio : che del suo porto abbiano necessità i jugoslavi e tutti gli altri . Ma forse l ' Italia nega ai jugoslavi ed agli altri il porto di Fiume ? forse essa si batte per il monopolio dei docks anzi che per la libertà dei cittadini ? aspira a intascare trenta danari o non piuttosto a salvare trentamila anime di suoi fratelli ? Se v ' è coscienza nazionale non annerita dal ferro e dal carbone né ingiallita dall ' oro , questa è la coscienza nazionale italiana . Nessuno ha ancora dimostrato che non sia possibile dar Fiume all ' Italia , impegnando l ' Italia a rispettare tutte le servitù di transito che si riterranno necessarie e a considerare quel porto come bene comune , a tener quella porta spalancata per tutti i popoli . Nessuno ha ancora dimostrato che l ' idealismo wilsoniano non andrebbe in malora se ai criteri strategici degli antichi imperialismi militareschi e sciabolatori si sostituissero i criteri economici e portuali dei nuovi imperialismi plutocratici e accaparratori . Se è iniquo che i popoli seguano le sorti delle linee offensive e difensive e delle teste di ponte , non è meno iniquo che siano spartiti secondo le ubicazioni dei giacimenti minerari e gli assi dei sistemi ferroviari e fluviali . Il porto di Fiume sia di tutti ; ma l ' anima di Fiume non può essere che nostra . L ' obbiezione politica è la più importante . Se non che , maturamente esaminata , si volge proprio contro quelli che vorrebbero giovarsene per imporre una soluzione ibrida del problema di Fiume . Si vuole un compromesso per far sì che gradatamente , nella convinzione del reciproco sacrificio , s ' attenuino i rancori fra italiani e jugoslavi e divenga possibile una pacifica convivenza sul comune mare . Ma in nessun luogo un compromesso è più difficile , in nessun luogo un mezzo termine è più pericoloso che a Fiume . Si pensi a questo misero e soffocato staterello neutro fra Italia e Jugoslavia , a questo minuscolo vaso di coccio fra i due vasi di bronzo . Forse che col non risolvere il quesito lo si cancella ? forse che , dichiarata Fiume città sovrana , cesseranno di vivere e di lottare entro le sue mura italiani e slavi ? Gli uni e gli altri sentiranno la precarietà del provvedimento ; gli uni e gli altri cercheranno di assicurare la loro piccola patria alla loro grande patria . Le lotte ch ' erano già aspre diverranno crudeli . Probabilmente il primo e ultimo atto del Parlamento fiumano consisterebbe in una formale deliberazione di annessione all ' Italia . Se la città è sovrana , nessuno può impedirle di esercitare la sovranità abdicando . Se il territorio italiano sarà confinante con quello di Fiume , quale forza umana potrà radicare i pali dell ' arbitrario confine ? quale Società delle Nazioni potrà accollarsi un compito da Santa Alleanza e consacrare col sangue lo statu quo ? Ovvero supponiamo che l ' Italia giunga soltanto all ' Arsa o al Monte Maggiore o ai Caldiera , che una striscia di territorio jugoslavo sia , come una spada , tra Fiume e l ' Italia . E questo il modo di metter pace fra l ' Italia e Jugoslavia ? si farà la conciliazione col filo della spada ? O supponiamo infine che questo futile e grottesco statu quo , simile a quelli che il concerto europeo decretava nei Balcani , si prolunghi per mesi e per anni . Ma l ' Italia farà quanto è in lei per attrarre le merci e gli uomini verso Trieste e cercherà amici dovunque ; e dovunque cercherà amici la Jugoslavia perché la prosperità di Fiume soffochi Trieste . Mentre le cittadinanze che vivranno in vista di queste e di quelle banchine si tenderanno le braccia , la rivalità fra i due porti diverrà spietata e feroce , poiché la prosperità di Trieste rinfocolerebbe l ' irredentismo italiano di Fiume , mentre la vittoria del porto di Fiume avviverebbe l ' irredentismo sloveno nell ' Istria italiana . E questa la pace giusta ? è questa la pace duratura ? Noi ricordiamo il fervore , che anche all ' ospite parve favoloso , con cui Wilson fu accolto in Italia . In quel delirio quasi idolatrico v ' era gratitudine pel suo intervento di guerra e fede nel suo intervento di pace . Ancora una volta , in quest ' appassionata vigilia , ci rivolgiamo a lui perché egli ricordi che una giusta e saggia soluzione del problema di Fiume è una insostituibile pietra angolare della pace e che Fiume città libera e neutra , s ' egli voglia un istante riflettere su questi nostri ragionamenti , è una soluzione senza giustizia e senza saggezza . Anzi , non è affatto una soluzione . E un fiacco espediente dilatorio destinato a perpetuare la discordia .
SPALLA E VIRGILIO. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Milano , 20 maggio . Nell ' Arena , al sole . Su in cielo stanno in gara una nuvola fosca e il biondo flemmatico sole . Chi vincerà ? La nuvola s ' avvicina . Ecco , ghermisce il sole . Un minuto : il sole la dirompe e la nuvola si ferma , pallida , in brandelli . Poi si raccoglie di nuovo , più piccola e leggera . Si riaccosta all ' avversario . Tre o quattro raggi la feriscono , la lacerano , la sgominano . Alla nuvola , se avesse saputo vincere Apollo , credo che i centomila spettatori riconoscenti avrebbero applaudito quanto a Spalla . Ho detto Apollo perché sono venuto qui con animo , alla meglio , romano ; e vedo Spalla e Van der Veer come i legittimi discendenti dei pugili Entello e Darete che da tanti anni , davanti agli scolari di liceo , si battono nel libro quinto dell ' Eneide , arbitro lo stesso Enea . Guardate la buona faccia di Bisschop l ' antagonista di Bosisio , tutta rughe , calli e soprossi . È descritta da venti secoli in un epigramma di Lucilio : « Questo bravo olimpionico aveva una volta orecchie , palpebre , naso e mento . Ma da quando professa il pugilato , ha perduto queste parti del suo volto e più non raccoglierà l ' eredità paterna . Il magistrato lo ha confrontato col ritratto di lui che suo fratello ha offerto al tribunale , non vi ha veduto alcuna somiglianza , e ha dichiarato straniero l 'atleta.» Sì , adesso abbiamo le tre corde intorno al palco ravvolte di bianco , di rosso e di verde , e ritte sui trampoli le torrette per le macchine fotografiche e cinematografiche ; e abbiamo il presidente Mussolini che fa core a Spalla , invece dell ' imperatore Tito che proteggeva Melancomas ; e invece della tromba abbiamo il tantàn , e gli articoli di Petroselli invece delle orazioni di Dione Crisostomo , e il guantone imbottito invece del cesto a strisce di cuoio e a lamelle di bronzo , e il dialetto milanese invece del latino , e il « break » del signor Collard invece del « cede deo » del pio Enea . Novità trascurabili . Il sole è sempre quello , e gli uomini , da quei due lassù rosei , lustri e bisunti a noi quaggiù intenti ed ansiosi , sono , con altri nomi e vesti , i medesimi . E questo solo , in questo mondo , conta . Viva Erminio ! Forza , Erminio ! Così detto , spogliossi ; e sì com ' era Delle braccia , degli omeri e del collo E di tutte le membra e d ' ossa immane , Quasi un pilastro in su l ' arena stette . L ' accappatoio che Erminio Spalla ha gittato lungi da sé è di stil floreale , verde e viola . Ne vorrei , per amor di Virgilio , uno più classico e unito . Nemmeno le gambe di Erminio mi piacciono ; non s ' addicono a quelle cosce . Se il corpo umano , secondo i petrarchisti del Rinascimento , s ' ha da assomigliare a un sonetto di cui titolo e dedica sono la testa , le quartine il torace e l ' addome , e le terzine sono le cosce e le gambe , le gambe di Erminio Spalla mancano d ' una sillaba . Piet Van der Veer , se avesse il collo meno massiccio e perdesse un poco della sua pinguedine rubensiana tra spalle e sterno , sarebbe lui un atleta da statua . Ma quel che qui seduce , è il riso della gran bocca di Spalla sotto il nasetto camuso . Il volto dell ' olandese è impassibile : non dice più di quel che dicano il suo ginocchio o lo sterno . Vi si nota solo un ' ombra di pena quando per un istante la stanchezza lo soffoca . Il volto invece del nostro , dalle rughe orizzontali della fronte ai solchi verticali tra narici e labbra , annuncia le speranze e le delusioni a colpi di chiaroscuro netti come i segnali di un semaforo . Che la sua testa sgusci sotto il pugno di Piet , s ' incastri sul petto e contro l ' ascella di Piet , appena si libera e riappare , ti dice tutto in un lampo . Sanguina da un sopracciglio , il sangue gli cola giù dallo zigomo , il sopracciglio s ' è gonfiato ; con l ' altr ' occhio , con la bocca , con la fronte , Spalla sa d ' un tratto rassicurarci . Eccolo al riposo , buttato in forma di X contro le corde , gambe e braccia spalancate ; uno gli stropiccia inginocchiato le gambe ; il fratello , di dietro , gli asciuga il sangue sull ' occhio , gli unge di vasellina il cavo del naso , alla fine gli versa sul petto una bottiglia di spumante ; davanti , un altro lo ventila con l ' asciugamano . Anche in quella sosta , che tu riesca a scorgere tra le dieci braccia dei suoi aiuti il suo volto , gli vedi l ' anima , siano benedette le facce italiane . Dal volto la mobilità sembra fluirgli giù per tutto il corpo , s ' egli si mette a saltellare davanti al suo Piet . Lo so , è il suo gioco , di bersaglio instabile ; ma quando da quell ' immagine spezzata e un po ' comica balena la saetta diritta d ' un pugno , tutt ' una retta dal tallone alla mano , si applaude anche perché s ' è contenti d ' aver capito il doppio senso di quel balletto burlevole . Ciaf , ciaf . Non sapevo che l ' uomo fosse un tamburo tanto sonoro . Cadean le pugna a nembi , e ver le tempie Miravan la più parte : e s ' eran vote , Rombi facean per l ' aria e fischi e vento . In questo duello in cui ogni attimo è calcolato pel respiro , pel riposo , per la finta , per lo scatto , l ' attimo che più commuove , è quello in cui , dato dal curvo arbitro il comando di « break » , i due colossi restano appoggiati l ' uno all ' altro , immobili come due tronchi che senza quel reciproco sostegno dopo la bufera stramazzerebbero . Sì , alla ripresa torneranno l ' impeto e i colpi , e negli spettatori le grida e la passione : Picca , Erminio ! L ' è bell ' e finìi l ' omm ! Dai , Erminio , l ' è inciocchíi ! Ma in quel centesimo di secondo d ' involontaria fraternità discerni col cuore il fondo della vita : che anche chi t ' odia e ti vorrebbe morto , è necessario alla vita tua , e tu alla sua : l ' atomo all ' atomo , l ' uomo all ' uomo , la stella alla stella . Poi ricomincia la grandine dei pugni , sotto l ' indifferentissimo sole .
SORPRENDENTE PREMESSA AI QUATTRO CAPOLAVORI ( De Monticelli Roberto , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Presentando , con un titolo che assomiglia a quelli di alcuni drammi di Gorki ( per esempio , Egor Buly ? ev e altri ) , quest ' opera giovanile di ? echov , Giorgio Strehler , autore di una non dimenticata regia del Giardino dei ciliegi , e il Piccolo Teatro hanno voluto evidentemente rivalutare , con rigore critico , un testo rimasto per molti anni sconosciuto e poi presentato ai pubblici occidentali in versioni e riduzioni più o meno arbitrarie . Questo dramma , infatti , « apre » in modo impressionante su quelli che saranno i quattro capolavori del teatro cecoviano ; al punto di assomigliare , per certe particolarità dell ' ambiente e certe volute della trama , a uno d ' essi , forse il più alto , Il giardino dei ciliegi . L ' azione di questo Platonov e altri è ambientata in un villaggio della provincia russa , dove il protagonista figura come maestro di scuola . È uno di quei tipici intellettuali di ? echov , falliti a trent ' anni , prosciugati da una vita mediocre , con improvvise rivolte velleitarie cui seguono stati di prostrazione inerte , di deriva . Egli ha però dalla sua una specie di grazia decadente e misteriosa che gli fa crollare ai piedi tutte le donne . Sposato con una ragazza candida e ottusa , ecco che gli sono tutte intorno , le donne di quella provincia grigia e perduta , Anna Petrovna , la ancora attraente vedova d ' un generale , proprietaria d ' una tenuta sommersa dalle ipoteche e dalle cambiali ( personaggio che ha più d ' un punto di contatto , appunto , con la Ljubov ' Andreevna del Giardino dei ciliegi ) ; la moglie del figliastro di costei , Sof ' ja ; Marija Grekova , un ' altra possidente del circondario . Non è da credere , però , che si tratti d ' una commedia di intrecci e di capricci amorosi . È la commedia di un ' alienazione . Come il protagonista di Uomo e Superuomo di Shaw , Platonov non va in cerca dell ' avventura amorosa ma è catturato dalle donne . Questo lasciarsi prendere compiaciuto e inerte gli serve però a crearsi degli « altrove » , delle possibilità fantastiche in cui evadere dalla consapevolezza del proprio fallimento intellettuale e morale ; gli « altrove » erotici si alternano agli « altrove » provocati dal bere e in questo vagheggiamento fra l ' incoscienza dei sogni e una fin troppo consapevole autoironia , il personaggio percorre l ' arco dei cinque atti finché si imbatte nel colpo di rivoltella esploso da Sof ' ja , colei cui aveva promesso la grande fuga romantica ( lei era stata , d ' altronde , un suo amore di gioventù e ora l ' ha ritrovata , moglie d ' un patetico sciocco ) . In realtà , questa vicenda non è che il punto focale di ciò che giustamente , in una nota di regia , Strehler ha definito un « grottesco balletto » . Da quel Trileckij , cognato di Platonov , medico del villaggio , idealista ferito e sognatore deluso , che fa il pagliaccio ubriaco per non pensare , anch ' egli si rifugia in un « altrove » ; a quel Porfirij Glagòlev , vecchio riccone che si accorge di non aver mai vissuto ; a quel Vojnicev , marito tradito e proprietario in dissesto ; è un girotondo di personaggi che ruota intorno a Platonov e ognuno d ' essi può , nel fallimento di costui , rispecchiare il proprio . Una società in crisi vien colta nel suo momento più delicato ( ecco la vendita della proprietà , come nel Giardino ( lei ciliegi ) e in uno dei suoi personaggi più pittoreschi e patetici , la grande donna non più giovanissima , raffinata , indolente , voluttuoso , evoluta e frustrata nelle sue ambizioni , piena di fascino e di desideri , inutilmente innamorata : quella Anna Petrovna , che è forse l ' immagine più riuscita di quest ' opera sconcertante e ineguale , ma già così autentica , già così precisa nei suoi obbiettivi ultimi . Ciò che vi è , infatti , di sorprendente in questo dramma giovanile dello scrittore , nell ' edizione presentata ieri sera dal Piccolo Teatro , è la consapevolezza di quel che fin da allora egli voleva ottenere col teatro : non il dramma indirizzato al pensiero razionale , come nota l ' americano Fergusson , il più moderno indagatore dei modi di Cechov , ma alla sensibilità poetica e istrionica . Cioè : anche qui , come nei grandi dramma dell ' età matura , gli avvenimenti , le battute , il progredire delle scene sembrano casuali . Invece , tutto è calcolato al millimetro ma secondo un ritmo che non è più quello del teatro naturalistico ( o ideologico alla Ibsen ) di fine secolo . Ci si incomincia ad affrancare dalla schiavitù convenzionale dell ' intrigo , il realismo di ? echov inserisce le sue note sommesse , il suo istrionismo delicato . È logico , poi , che , a traduttori e riduttori , la commedia sia parsa soprattutto comica ; o , almeno , parodistica . Perché , pur coi loro difetti , le loro intemperanze , certe sovrabbondanze , qualche squilibrio , questi cinque atti sono del più puro e tipico teatro cecoviano ; teatro cioè di « mutamenti patetici » , con inevitabili risvolti comici , lampi grotteschi , persino insinuazioni satiriche . Giorgio Strehler ha dato un ' alta prova di sé , con questa regia . Egli ha montato lo spettacolo come una grande antologia cecoviana , una specie di ricapitolazione dei motivi ricorrenti nello scrittore , dalla disperazione alla noia all ' inutilità della vita . Le scene di Luciano Damiani rievocano con poetica immediatezza quella provincia fra le betulle . Lo spazio è avaro , per i bravissimi interpreti . Va citata per prima Sarah Ferrati , un ' Anna Petrovna carica d ' un vitalismo assetato e insieme deluso , una morbida figura crepuscolare ; poi Tino Carraro , che , dopo qualche rigidezza iniziale ha ben descritto la sfuggente indeterminatezza del protagonista ; lo splendido , pittoresco e tristissimo Buazzelli ; una patetica Valentina Cortese , alle prese con le velleità sentimentali e l ' isterismo di Sof ' ja ; la perfetta caratterizzazione di Olindo Cristina , l ' ansia roca e canuta di Augusto Mastrantoni . E poi tutti gli altri , dalla Giulia Lazzarini a Cesare Polacco , al Moschin , al Bentivegna , al Dettori , alla Giacobbe , perfettamente fusi in un grande spettacolo che ha avuto un vibrante e meritato successo ; e il torto di finire - esagerati - alle due di notte .
Le gocce d'acqua ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Sulla caduta di tensione ideale nella lotta politica in Italia in questi ultimi anni ritengo non si possa non essere d ' accordo con quanto ha detto l ' on. Berlinguer nella nota intervista sulla « Repubblica » del 28 luglio . L ' argomento è stato opportunamente ripreso , fra gli altri , da Antonio Giolitti , il 5 agosto . Ma tanto Berlinguer quanto Giolitti , attribuendo ogni colpa ai partiti , o a certi partiti , sembrano volerne scagionare gli italiani confrontando il voto dato nei referendum con quello delle normali elezioni politiche e amministrative . Per il primo , col voto « libero da ogni condizionamento dei partiti » , che hanno espresso in occasione dei referendum sul divorzio nel 1974 e sull ' aborto nel 1981 , gli italiani avrebbero fornito « l ' immagine di un paese liberissimo e moderno » e avrebbero dato « un voto di progresso » ; il secondo si domanda : « Come mai i governati , di fronte a un referendum , mostrano di volere e sapere scegliere , e non altrettanto di fronte a elezioni in cui competono i partiti ? » L ' argomento non mi convince , almeno per due ragioni : anzitutto , perché nei vari referendum che si sono svolti sinora il risultato è stato la conservazione delle leggi approvate in Parlamento , e quindi dai partiti ; in secondo luogo , specie per quel che riguarda l ' ultima tornata , il voto favorevole alla liberalizzazione dell ' aborto non è stato un voto di progresso ma semplicemente di comodo ( in fondo l ' aborto libero rende meno responsabile la coppia nel rapporto sessuale , specie l ' uomo , e una legge che libera il cittadino da una responsabilità non è mai una legge progressiva ) , per non parlare della schiacciante maggioranza in favore dell ' ergastolo , di cui non mi sento di lodare né la sorprendente modernità né l ' audace spirito progressivo . Se gli italiani siano migliori o peggiori della classe politica che li rappresenta , e li rappresenta perché essi stessi la scelgono , è una domanda cui è difficile dare una risposta . Ma non vedo come si possa scartare del tutto l ' ipotesi che gli uni e l ' altra si assomiglino come due gocce d ' acqua . Dopo più d ' un secolo di democrazia rappresentativa siamo troppo smaliziati per conservare l ' illusione dei primi fautori del sistema parlamentare , che le elezioni dei governanti siano la procedura più adatta per la scelta dei migliori . Anche se non è detto che sempre siano proprio i peggiori a essere scelti . In un regime democratico il potere si misura a voti . Più voti significa più potere . Con questo non voglio dire che bastino i voti , perché il potere dipende anche dal posto che un partito occupa nello schieramento dei partiti e nelle coalizioni di maggioranza , e sino ad ora è indubbio che i partiti alleati della democrazia cristiana hanno avuto un potere superiore alla loro forza elettorale . Ma i voti sono necessari . Ora , se la maggior parte dei partiti vanno a caccia di voti , e li ottengono , e addirittura li aumentano , senza sbandierare la questione morale , anzi facendo finta di niente e parlandone il meno possibile ( e considerando con un certo altezzoso fastidio coloro che ne parlano ) , senza proclamare ai quattro venti i loro ideali ( posto che ne abbiano ) , ma promettendo posti , miglioramenti economici , erogazioni pubbliche per faccende private , e amministrando saggiamente la paura del peggio , è segno che conoscono bene con chi hanno da fare . Del resto , si sa quali sono stati i principi ideali che hanno presieduto sin dall ' origine alla formazione di un partito dei cattolici : la difesa di alcuni valori cristiani minacciati dall ' inarrestabile e forse inevitabile processo di secolarizzazione che accompagna lo sviluppo delle società industriali . Strano , ma le sole due volte che la democrazia cristiana ha difeso con fermezza questi principi ideali , in occasione dei due referendum sul divorzio e sull ' aborto , è rimasta in minoranza . Le uniche due grandi battaglie perdute dal partito dei cattolici sono quelle in cui ha messo in gioco la sua grande forza elettorale in difesa di principi . Quale miglior prova che i principi non rendono ? Ma si può sapere perché non rendono ? In fondo mi pare che anche per il partito comunista si possa fare lo stesso ragionamento . Il grande balzo in avanti è avvenuto nel 1975 e nel 1976 , quando il partito continuava a considerarsi un partito non solo marxista ma anche leninista . Più di un terzo degli italiani erano diventati marxisti e leninisti ? Non vorrei sbagliare , ma mi parrebbe lecito affermare che per la maggior parte di coloro che hanno votato il partito comunista i grandi ideali del marxismo abbiano avuto la stessa forza di attrazione che i principi evangelici per la democrazia cristiana . Si grida agli scandali . Ma gli scandali non sono una prerogativa della classe politica . Abbiamo già dimenticato i casi clamorosi di corruzione nello sport nazionale , il calcio ? E non abbiamo assistito in questa circostanza allo stesso fenomeno di fedeltà al proprio gruppo che fa dire ( ahimè , con orgoglio ) : « Torto o ragione , è la mia patria » ? Torto o ragione , è la mia squadra , torto o ragione , è il mio partito . E che dire degli scandali di cui sono state protagoniste talune istituzioni bancarie , scandali che hanno gettato il discredito su istituzioni che dovrebbero fondare il loro potere e il loro prestigio sulla loro credibilità ? Naturalmente , per l ' onore di una nazione è offesa meno grave , più sopportabile , un calciatore corrotto che un politico corrotto o sospettato di corruzione . Ma la gente ci è abituata . Una vecchia diffidenza per la politica e per chi fa della politica il proprio mestiere , dà per ammesso e scontato che il politico sia più un profittatore che un idealista . Sono riflessioni amare , lo so , che qualcuno potrebbe considerare anche ingiuste . Ma è meglio guardarsi in faccia e vedere la questione da tutti i lati , dall ' alto e dal basso , dal diritto e dal rovescio . Non già che l ' Italia sia un paese , com ' è stato spesso rappresentato , soltanto di cinici o di conformisti . Ci sono grandi energie morali , di cui ci rendiamo conto nella nostra vita di tutti i giorni . Ma nella vita politica stentano a farsi luce . Certo , sarebbe compito di una classe politica degna di questo nome risvegliarle là dove sono assopite , suscitarle là dove si sono spente , aiutarle a esprimersi , a riconoscersi , ad acquistare coscienza della propria funzione non solo nella vita privata ma anche nella pubblica . Fare emergere le nostre virtù anziché blandire i nostri difetti . Ma forse chiediamo troppo . Eppure abbiamo la convinzione profonda che una democrazia può essere uccisa dalla violenza esterna , ma muore anche per interna consunzione .
UN MESE DOPO ( - , 1919 )
StampaQuotidiana ,
La simpatia cordiale , sebbene non esente di preoccupazioni , con cui la massima parte del paese ha assistito finora all ' impresa fiumana è dovuta sopra tutto a una causa d ' ordine positivo e ad una d ' ordine negativo . Positivamente , la rivendicazione di Fiume è tra quelle sui cui gl ' Italiani hanno un animo solo e una sola volontà : non potevano dunque mostrarsi sentimentalmente severi verso quei figlioli prodighi che tradirono la disciplina formale per asserire una disciplina d ' amore . Negativamente , divenne chiaro dopo i primi giorni d ' ansietà che i liberatori di Fiume sapevano destramente mantenere un difficile equilibrio sull ' orlo precipitoso in cui erano costretti a muoversi . Non provocarono conflitti cruenti nella città occupata , non salparono verso la Dalmazia né valicarono la linea d ' armistizio , non aggredirono gli Alleati , non mossero verso nessun Isonzo e nessun Rubicone , non dichiararono guerra agli Slavi , ma anzi edotti da un più vicino esame della realtà e saggiamente immemori degli oltraggi sanguinosi che usavano scagliare contro i popoli vicini pronunciarono quell ' augurio alla « fraternità italo - croata » che ai « rinunciatari » era rinfacciato come un tradimento . Le loro parole furono spesso , nei proclami e nei discorsi , smisurate , ma le azioni rimasero sostanzialmente misurate e sobrie . Sicché gl ' Italiani che vogliono l ' unità della patria e desiderano l ' annessione di Fiume , mentre non vogliono né nuove guerre esterne né guerre civili e non desiderano che Fiume annetta l ' Italia , vedendo coincidere la passione dei volontari con quella dell ' intero popolo e non contrastare troppo tragicamente i loro atti coi postulati della pace e dell ' ordine , preferirono considerare il lento svolgersi di quel fatto con un cauto ottimismo che non escludeva e non esclude le soluzioni concilianti e benefiche a tutte le parti in causa . Senonché s ' è compiuto già il mese , ed ancora non si scioglie il nodo . La crisi morale che travaglia gli spedizionari di Fiume e i loro più intimi amici nell ' interno del Regno , provoca , come non era difficile prevedere , una recrudescenza di non meditate parole . Un mese , quando l ' equilibrio è così paradossalmente instabile , è già un lungo lasso di tempo , né qui si tratta di quelle provvisorietà che possono adagiarsi nel definitivo . Passare all ' attacco oltre le linee d ' armistizio i volontari non possono , anche perché sentono che l ' unanimità del paese non li seguirebbe di là da Fiume ; cedere alla voce della coscienza che impone la subordinazione alla legge non vogliono . Stretti fra l ' uscio dell ' inazione forzosa e il muro dell ' intransigente puntiglio personale , i più accesi si sfogano in fantasie che dal colpo di mano salterebbero al colpo di Stato . Alcuni episodi profondamente deplorevoli sembrano rinfocolare queste folli propagande . Non v ' è nessuna giustificazione per quelli che hanno sbarcato a Fiume , ove , come il Comando stesso confessava , non mancavano armi e munizioni per una difesa contro improbabili attacchi slavi , il carico del Persia destinato all ' Estremo Oriente . Non v ' è nessuna giustificazione per il generale Ceccherini che , trascurando i doveri del grado e osando perfino giustificare l ' arbitrio con l ' altro arbitrio di una lettera al Re , ha portato l ' esempio di una nefasta insubordinazione in una città ove formicolavano già gli ufficiali autodecisionari e non v ' era bisogno di nuove reclute altolocate . Questi nuovi incidenti farebbero pensare a mire e ad ubbie che ben poco han da vedere con Fiume . A buon conto , il condottiero dei Fasci adunati a congresso ha detto a Firenze ed ha stampato a Milano queste testuali parole : « Dobbiamo occuparci delle elezioni perché qualunque cosa si faccia è sempre buona regola di stringersi insieme , di non bruciare i vascelli dietro di sé . Può essere che in questo mese di ottobre le cose precipitino in un ritmo così frenetico da rendere quasi superfluo il fatto elettorale . Può essere , invece , che le elezioni si svolgano . Dobbiamo essere pronti anche a questa seconda eventualità » . E ’ vero che lo stesso oratore , nello stesso discorso , aveva definito la dittatura militare uno spauracchio d ' invenzione governativa ; ma ciò non toglie che le sue parole , se avessero un senso , significherebbero l ' augurio della dittatura e di una manomissione militare dell ' Italia . Non prendiamo tragicamente queste manifestazioni , che ascriviamo a irruenta foga oratoria , sapendo bene che tra il dire e il fare c ' è di mezzo il mare . Tuttavia anche le parole sono , a modo loro , azioni ; e né parole di questo calibro né atti come quelli del Persia e del generale Ceccherini giovano all ' educazione del paese ed alla valutazione della nostra maturità politica nel mondo . Gli spiriti assennati e previdenti dovrebbero por mente al troppo contrabbando che , a loro insaputa , vorrebbe passare sotto la bandiera tricolore spiegata da mani quasi sempre inconsapevoli e pure su mercanzie non sempre pure . Molti , fuori d ' Italia , compiacendosi del grido : Fiume ! Fiume ! , pensano invece alla Germania da vendicare , al Baltico da conquistare pel pangermanismo risorgente , ai trattati da stracciare , al disordine da propagare altrove in servizio dei vinti ora che la repubblica dei Soviet pare agonizzante , alla rivoluzione da sobillare in Italia perché strozzi in fasce la vittoria giacché non fu possibile deprecarne la nascita con le convulsioni del '17 e con le manovre abortive del ‘18 . Altri poi , confondendo il loro grido con quello di chi mosse verso il Quarnaro per un impeto di candido amore , chiedono , chiedendo Fiume , la testa di un ministero o di un ministro ; e v ' è chi pensa con malcelata amarezza alla smobilitazione come alla fine di prebende acquisite cui non è agevole la rinunzia : chi a volontà elettorali da soffocare sapendo che dacché furono convocati i Comizi le suggestioni anarcoidi hanno i giorni contati ; chi finalmente alle fortune da trafugare intatte profittando di un parapiglia che renda irriti e nulli prestito forzoso e riforma tributaria . Non è credibile che uomini come Gabriele D ' Annunzio e i suoi amici , anche se non ben provvisti di freni inibitori nelle pubbliche manifestazioni , non si sentano scorati da questo tanfo . In un mese la spedizione di Fiume , raggiunto pienamente il suo scopo dimostrativo , s ' è andata svuotando di significato internazionale . L ' Italia tutta ad una voce reclama Fiume , ma tutta ad una voce , e con l ' esplicito consenso di quelli che parteggiano pei volontari , respinge una soluzione violenta che metterebbe l ' Italia fuori della Conferenza e della Società delle Nazioni ove essa siede fra gli arbitri . Tutto il mondo è ormai d ' accordo nel ritenere che la questione di Fiume debba essere risoluta con soddisfazione dell ' Italia , salva restando la suscettibilità personale di Wilson . Ma Wilson e le sue suscettibilità passano ; Fiume e l ' Italia e la loro volontà restano . In queste condizioni la persistenza dei volontari non giova a Fiume ma la compromette , non giova all ' Italia ma la espone alle cortesi minacce che l ' Inghilterra , con l ' aria di smentirle , pienamente conferma . Al fondo dell ' atto appassionato di un mese fa , esaurito il suo senso internazionale , può finire per restare nient ' altro che un fondo limaccioso di politica interna . Noi crediamo nel patriottismo di Gabriele D ' Annunzio e dei suoi amici . Fummo con D ' Annunzio nella crisi dell ' intervento e ammirammo le sue gesta stupende di guerra come sempre avevamo ammirato lo splendore di cui egli accrebbe le patrie lettere . Perciò gli parliamo a cuore aperto . Vivendo in un ' atmosfera esaltata ed ardente egli non percepisce la voce accorata , sebbene ancora sommessa , con cui tutto ciò che v ' è di più nobile e di più consapevolmente responsabile nella coscienza del paese lo invita a non approfondire la ferita ch ' egli ha inferta alla compagine dell ' esercito , all ' organismo più essenziale della nostra potenza e della nostra resistenza . Ma non dovrebbe rimaner sordo all ' ammonimento che gli giunse dal vincitore di Vittorio Veneto , dal generale Caviglia ; dovrebbero impressionarlo le disapprovazioni , tacite o esplicite , di altri fra quelli che più potentemente contribuirono al trionfo delle armi italiane . Crediamo nella sete di gloria del soldato - poeta e nel suo raffinato senso estetico che lo deve rendere ansioso di evitare il pericolo che l ' impresa di settembre perda ogni sua bellezza e degeneri nella scura turbolenza del litigio personale e fazioso . Crediamo anche nel buon senso che raramente si scompagna dall ' altezza d ' ingegno . Se qualcuno davvero fosse così stolto da susurrare all ' orecchio di D ' Annunzio il nome del Rubicone , egli non potrebbe che sorridere alla vana lusinga . L ' indifferenza del paese verso consimili minacce è fatta d ' incredulità . Se il proposito si delineasse , il popolo balzerebbe come un solo uomo . Chi farneticasse oggi , in Italia , di violenze liberticide non conseguirebbe certo la grandezza di Cesare . Condannato al supplizio del ridicolo , non si alzerebbe nemmeno sino alla gloria infame di Catilina .
SETA ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
14 gennaio . ROMA , nell ' arena del Circo Massimo alla mostra degli antichi tessuti italiani , che qui sono tutti di seta : un passato , sembra , tutto di gran signori , accompagnato sempre dal luccichio e dal fruscio di strascichi , di sboffi e di mantelli : velluti , broccati , damaschi foderati di seta , di raso o d ' ermisino ; passato remoto , perché oramai bisogna aspettare l ' entrata dei cardinali nella Cappella papale se si vuol godere uno spettacolo altrettanto lucente e fastoso . Dietro queste sale e vetrine abbaglianti s ' alzano sopra il versante del Palatino i ruderi gialli e rossi del Settizonio , i cipressi verdi e il cielo turchino , lontano come soltanto a Roma il cielo sa essere lontano e sovrano . L ' ampia mostra del Tessile , quasi direi del tessibile , dove di padiglione in padiglione con maniera piacevole e piana ci si fa vedere a che sieno giunte la scienza , l ' esperienza e l ' inventiva degl ' Italiani , pare fatta apposta pel trionfo ideale di queste antiche sete e ricami , come i vestiti e i cappotti bruni , bigi , neri , tutti uguali , di noi visitatori paiono indossati per dare spicco al tanto e diverso sfarzo degli altri secoli . ( Ma di fatto con questa uguaglianza di fogge e monotonia di tinte adesso l ' intelligenza e il carattere si leggono soltanto sul volto , che da nessun sarto si può comprare . ) L ' uomo dunque il quale oggi ammiri la seta , la vera seta , la seta di filugello , la seta animale , quella che quando brucia dà odor di capelli bruciati tanto è ancor viva , la ammira disinteressatamente , come può ammirar la bellezza dipinta : la bellezza , ad esempio , di questa Venere di Botticelli la quale , nuda com ' è , è stata scomodata a venire da Firenze in questa calca soltanto perché il manto che le porgono per coprire la sua lisciata e navigata nudità è , tessuto a fiori , un bel modello di stoffa . Ma nella mostra di tanti dipinti non s ' è pensato che i disegni per le vesti delle loro figure gli artisti per lo più se li inventavano , non li copiavano ? In Europa , quest ' arte della seta è stata per secoli tutta nostra ; e ancora i nomi dei tessuti , a cominciare dal velluto e dal broccato , e i termini del mestiere , dal filugello alla bavella , dal cascame alla matassa , sanno di latino e di primo medievo , con incroci di greco e d ' arabo rapidamente spianati all ' italiana , così che pare di vedervi le tracce dei viaggi dei mercanti tra Sorìa e Sicilia , tra Bisanzio e Calabria . Sarà vera la leggenda dei due monaci che dalla Cina recarono all ' imperatore Giustiniano il seme dei bachi da seta nascondendolo dentro i lunghi bastoni di pellegrini ? E da noi dove è stato prima coltivato il gelso pel nutrimento del baco e filata e tessuta la prima seta ? A Catanzaro colonia bisantina , o in Sicilia coi normanni ? Certo è che sete o velluti , lisci o ricamati , appena ci si avvicina al vetro che li difende , lo stupore per la loro bellezza è raddoppiato dallo stupore per la loro sopravvivenza . Taluni escono addirittura dai sepolcri , perché avvolgevano le spoglie d ' un santo , come la seta purpurea tratta a Rimini dalla tomba di san Giuliano , o il cadavere d ' un gran principe , come il broccato verde a palmette d ' oro tra figure di pesci e uccelli , lepri e leoni , ch ' era nell ' arca di Cangrande della Scala a Verona . I corpi rigidi e gelidi lentamente si disfecero in sanie e in polvere . Non restarono che poche ossa grige e ciuffi di capelli stinti . Di morbido , di tepido , di vivo non vi è rimasto più là dentro che questo poco di seta o di broccato , risplendente di rosso , di verde , di turchino , d ' oro e d ' argento , come se i fetidi orrori che l ' hanno toccato sieno stati soltanto un incubo sopra quel lettuccio soffocato . Altri tessuti prima di diventare arredi sacri , sono stati vesti , sottane , guarnacche , giornee , cioppe , mantelli di dame ; e Milano ne ha mandato qui l ' esempio più sgargiante col paliotto di velluto rosso del museo Poldi Pezzoli , che prima d ' andar su un altare fu « la veste de broccato d ' oro de le columbine » indossata da Beatrice d ' Este a Venezia quando nel 1493 Ludovico il Moro ve la mandò in missione . La sposina non aveva ancora dieciott ' anni ; ma era bella , fresca , briosa , di franca parola e di gusto sicuro , sempre tra musici e artisti , tanto elegante che più d ' ogni lode questa la faceva contenta , d ' essere chiamata novarum vestium inventrix , inventrice di mode nuove . In ciascuno dei rosoni d ' oro su quel rosso denso sta come nel caldo nido una colomba e reca nel becco un polizzino col motto sforzesco « a bon droit » . In quelli anni a Milano lavoravano a tessere velluti quindicimila operai . Vorrei che fosse di Beatrice , donatole dalla Serenissima , anche il mantelletto femminile di broccato d ' oro , tessuto negli stessi anni e mandato qui dalla Ca ' d ' Oro . Di grazia e di statura le andrebbe a pennello . Una volta , quando Gino Fogolari ordinava quel museo , l ' ho avuto tra mano : è leggero nonostante il tanto oro che v ' è contesto , e a guardarne da presso il biondo luccichio vi si scopre un minuto disegno di foglie e di fiori che a ogni piega scompare e riappare : un tessuto di sole . Lo imitasse oggi un gran setaiolo , sarebbe un trionfo ; e davvero italiano . Già prima dei ricami sono da ammirare questi tessuti figurati . Ogni monaca diligente può ritoccare un ricamo ; e anche i più belli e famosi sono restaurati e racconciati da cento rimendi e rappezzi . Che è originale in un ricamo giuntoci da secoli e secoli ? Si diffida d ' ogni filo . Ma in un tessuto , di seta liscia o di velluto operato , ogni rimendo si scorge a prima vista . La seta bisantina , forse di avanti il mille , della càsula detta del vescovo Ermanno , a grandi aquile ritte , nere sul fondo violetto , mandata dal museo di Bressanone ; quella coeva che dicevo pocanzi e che viene dal museo di Ravenna , tratta dal sepolcro di san Giuliano ; quelle tante di fabbrica lucchese , l ' una più rara dell ' altra , dugentesche , trecentesche , quattrocentesche , da chiese , da musei e dalle raccolte Sangiorgi di Roma , Abegg di Torino , Loewi di Venezia , con disegni che sanno di bisantino , di persiano , di cinese , ma dove i viticci , le rame , le palmette , le frutta e gli animali perdono nell ' aria toscana l ' astrazione araldica , s ' avvicinano al vero , prendono succo e sangue , vigore e palpito , come nel piviale diasprino del Museo industriale romano , come nella seta violetta cogli angeli broccati in oro del museo fiorentino del Bargello , come nelle cinque càsule prestate da Danzica ( il solo contributo straniero alla mostra ) , appena sono bucate o ragnate , chi le ripara ? Ne restano quei pochi palmi dal guardingo raccoglitore tesi tra due vetri , come l ' ala d ' una farfalla strappata dal turbine del tempo , schiacciata lì senza più speranza di giocar con la luce . Appena spunta la primavera del Rinascimento , s ' arriva a tessere figure e scene e a gareggiare , se non con la pittura , con la silografia che la riproduce . V ' è un fregio di paliotto dalla raccolta Sangiorgi , in oro a basso liccio su fondo rosa , con la scena ripetuta del Noli me tangere dove Cristo e Maddalena stanno su un prato verde fiorito e dietro a essi s ' apre un cielo stellato . V ' è , tessuta in oro su fondo rosso , la copia del bronzo del Verrocchio in Orsanmichele , con l ' Incredulità di san Tommaso . La difficoltà di rendere solo con l ' ordito e la trama scene siffatte dà ad esse una semplicità quasi di stampa popolare ; ma la finezza della materia e la delicatezza dei toni aggiungono come un profumo di fiori a tanta semplicità . S ' intende che nella gara con la pittura l ' ago facilmente trionfa sulla spola ; e in questa mostra si sono , anche in fatto di ricami , raccolti tesori . Se non sbaglio , il più antico è quello del pallio bisantino di Castell ' Arquato con la Consacrazione del pane e la Consacrazione del vino nell ' Ultima Cena . Sulla seta d ' un rosso di porpora figure , edifici , iscrizioni sono ricamate in bianco , in celeste , in oro , in argento ; e l ' oro in nove o dieci secoli s ' è come bruciato e l ' argento è come cenere . Nella composizione simmetrica e maestosa basta che una delle alte figure si volga appena o faccia un passo , e tutta la scena diventa drammatica . Le scritte greche sul cielo pallido sembrano comandi del Pantocrator . Nei volti dove il ricamo è logoro , la porpora della seta riappare come il sangue che circola sotto la pelle . Al confronto di tanto sobria e sacra solennità la stessa dalmatica detta di Carlomagno , che è bisantina del decimoterzo secolo e che è stata prestata dalla Basilica di San Pietro , sembra , forse pei tanti rifacimenti e rammendi , troppo folta e pesante , quasi trapunta . Di colore , sul fondo di turchino notturno dove le cento croci fanno da stelle , è sempre una meraviglia , e basta guardare nel dorso della dalmatica il vermiglio dei dodici raggi che escono dal bianco Cristo trionfante per riaffermare che il vero gusto non è fatto solo di discrezione ma anche di ardire . Il difficile è sapere , nello stesso ardire , mantenere la misura . Una delle bellezze quattrocentesche che m ' hanno più innamorato è il pallio delle colombe mandato dal duomo di San Gimignano : un velluto vermiglio ricamato in oro nel 1449 dalle suore della Santissima Annunziata , con tante colombelle raggianti ; e ogni colombella ha il capo dentro un ' aureola , e nell ' aureola è una crocetta rossa . Volano in ogni senso , a distanze uguali . Una sera ero chino a guardarlo da presso perché la luce s ' era fatta fioca . D ' un colpo si sono accese le lampade elettriche , e le colombe risplendenti per un attimo è sembrato che battessero le ali per volare via . Paliotto , pianete , càsule , dalmatiche , piviali : su dieci oggetti , otto sono di chiesa . E la folla domenicale procede in silenzio o parla sottovoce come in chiesa .
UN DOSTOEVSKIJ RIDOTTO PROPRIO ALL'OSSO ( De Monticelli Roberto , 1959 )
StampaQuotidiana ,
La riduzione scenica di I demoni ( ovvero Gli ossessi ) di Dostoevskij , fatta da Alberto Camus e rappresentata questa sera alla Fenice dal gruppo del Théâtre Antoine , è un grande spettacolo e una scarnificazione del tempestoso romanzo all ' osso dei fatti . Questo , della diminuzione quasi a termini didascalici , a quadri illustrativi , è un destino comune alle riduzioni teatrali delle grandi opere di narrativa . Figuriamoci poi nel caso di Dostoevskij , scrittore quant ' altri mai legato agli ardori e ai geli , agli ideologici inferni e paradisi delle sue pagine . Già la riduzione fatta da Gaston Baty di Delitto e castigo rischiava di ridurre il grande romanzo alle dimensioni di un dramma poliziesco ; e quando Copeau e Croué si misero a rimaneggiare per le scene I fratelli Karamazov si videro costretti a brutalizzare Dostoevskij , a fargli pronunciare , come essi un poco ingenuamente scrissero , le parole estreme , quelle che nel romanzo aveva detto , per il semplice motivo che il loro significato usciva da tutto il contesto . Gli ossessi definito da Gide libro straordinario , « il più potente » del grande romanziere , non è certamente riassumibile . In esso Dostoevskij svolge alcuni dei suoi temi preferiti , il tema dell ' umiltà e dell ' orgoglio , il tema del superuomo , il tema dell ' ateismo , e conseguentemente del suicidio , come manifestazione di libertà , il tema del Cristianesimo più puramente evangelico , staccato da qualsiasi chiesa . Tutti questi motivi vengono inseriti in una sarcastica satira sui rivoluzionari che , intorno al 1871 , caratterizzavano la scena politica russa , quella società colta e inconcludente , orientata verso il liberalismo e il radicalismo , che Dostoevskij aveva già in parte simboleggiato nel Raskolnikov di Delitto e castigo . Ma più che le grandi asserzioni ideologiche e morali contano , come in ogni opera d ' arte realizzata , il gioco , nello scrittore russo quasi sempre terribile , delle passioni e la concreta rappresentazione dei personaggi ; per cui alla satira e alla discussione metafisica s ' aggiunge il dramma . E abbiamo così la figura di Stavrogin , certamente una delle più sconcertanti di Dostoevskij , col suo titanismo , la sua irrequieta disponibilità morale , il suo splendore romantico , la sua dolente lucidità intellettuale ; l ' ambiguo Verchovenskij , l ' « anima nera » dei « nichilisti » ; Kirillov , l ' apostolo dell ' ateismo puro e del suicidio come atto gratuito ; Š atov , il personaggio nel quale è celata la figura storica dello studente Ivanov , che fu veramente assassinato dagli aderenti a un ' associazione segreta . Abbiamo insomma le varie figurazioni degli Ossessi ; cui sono da aggiungere quella patetica e grottesca incarnazione dell ' eloquenza e della viltà che è Stepan Trofimovi ? , l ' inutilmente imperiosa Varvara Petrovna , l ' allucinata inferma Maria Labjadkin . Camus afferma che portare sulla scena questi personaggi era un suo sogno vecchio di vent ' anni . Camus è lo scrittore de Lo straniero , La peste , Il malinteso , Il mito di Sisifo ; di opere cioè in cui i terni del nichilismo e dell ' assurdo , i temi della non - speranza , tipici di alcune filosofie del nostro tempo , sono trattati con una lucidità che tiene forse più del saggista che del poeta . Davanti a Dostoevskij s ' è trovato , come fu giustamente scritto in Francia , davanti al suo mondo intellettuale realizzato fantasticamente ; davanti a qualcuno insomma che lo ha grandiosamente preceduto . Da ciò , forse , diversamente da quanto gli era accaduto con Faulkner ( ricordate Requiem per una monaca ) nasce il rispetto di Camus riduttore davanti al romanziere Dostoevskij . Egli dà l ' impressione di non osare . Sta , nei confronti dell ' opera originale , religiosamente alla lettera . Ma di Dostoevskij mancano l ' ambiguità , la complicità coi personaggi , quel sudore di sangue , quel madore preagonico che pare spremersi dalle pagine . Era inevitabile . Come s ' è detto in principio . Tanto più che il Cristianesimo di Dostoevskij lascia aperto uno spiraglio che non si intravede nell ' esistenzialismo di Camus . Lo spettacolo è perfetto . La serie , dal sapore vagamente didascalico , dei numerosi quadri su cui la riduzione si articola , si svolge con un bel ritmo narrativo sullo sfondo delle ottime scene di Mayo . E poi c ' è un « cast » formidabile di attori , che la regia di Camus , presente allo spettacolo , ha guidato con mano sicura . Basterebbe ricordare la poetica , struggente caratterizzazione di Pierre Blanchar nella parte di Stepan Trofimovi ? ; la figurazione fra elegante e tenebrosa di Pierre Vaneck , che era Stavrogin ; la beffarda lucidità di Michel Bouquet nel personaggio di Verchovenskij ; la bravissima , drammatica Katherine Sellers ( quella di Requiem per una monaca ) che ha accettato la breve parte della sciancata Maria Labjadkin ; e poi , Michel Maurette , il narratore , Roger Blin , che vedemmo l ' anno scorso qui a Venezia in Fin de partie di Beckett , Tania Balachova , Alain Mottet , Marc Eyraud , Nadine Basile , Janine Patrich e tutti gli altri . Lo spettacolo , che è lunghissimo ( è finito , nel caldo soffocante della Fenice , oltre l ' una di notte ) , ha raccolto molti applausi . Camus camminava intanto nervosamente su e giù in Campo San Fantin , davanti all ' ingresso del Teatro .