StampaQuotidiana ,
Con
tale
titolo
,
ebbe
qualche
fortuna
editoriale
alcuni
anni
fa
un
romanzo
italiano
.
Non
si
tratta
di
ciò
.
Gli
«
indifferenti
»
,
nella
espressione
più
integrale
della
parola
,
sono
i
compagni
socialisti
italiani
del
sud
-
est
della
Francia
,
i
quali
se
ne
fregano
del
loro
partito
nella
più
fascistica
delle
maniere
.
Il
Comitato
direttivo
ha
un
bel
lanciare
degli
appelli
periodici
;
questi
cadono
completamente
nel
vuoto
,
cioè
fra
individui
sordi
come
una
campana
,
muti
come
pesci
,
addormentati
come
marmotte
.
Leggete
e
commovetevi
se
ne
siete
ancora
capaci
,
in
questi
tempi
duri
per
tutti
,
ma
catastrofici
per
quel
po
'
di
«
pus
»
che
è
rimasto
in
circolazione
oltre
le
patrie
frontiere
.
La
circolare
«
riservata
»
è
in
data
1°
novembre
u
.
s
.
:
«
I
due
appelli
dell
'
Esecutivo
Federale
e
della
Direzione
del
Partito
in
merito
alla
«
Quindicina
della
Tessera
e
quella
della
Stampa
»
non
hanno
avuto
eco
alcuna
fra
le
Sezioni
ed
i
compagni
nostri
.
Lo
assenteismo
il
più
completo
e
l
'
indifferenza
la
più
assoluta
hanno
fatto
riscontro
al
nostro
richiamo
.
«
Mentre
precedentemente
la
Segreteria
Federale
era
affollata
di
richieste
per
assemblee
,
e
riunioni
di
propaganda
;
ed
ammirabile
ne
era
l
'
attività
dei
compagni
in
ogni
località
;
per
la
quindicina
della
tessera
e
della
stampa
,
nessuna
sezione
,
ad
eccezione
di
Marsiglia
,
ha
sentito
il
dovere
di
adunarsi
in
assemblea
o
di
convocare
riunioni
di
propaganda
.
«
A
quanto
pare
fra
i
compagni
si
è
fatta
strada
l
'
idea
della
inutilità
della
propaganda
del
partito
,
o
del
dovere
di
dare
forza
attiva
all
'
azione
singola
delle
Sezioni
o
Gruppi
nostri
.
«
La
Segreteria
è
pure
a
conoscenza
che
raramente
il
Bollettino
Federale
viene
portato
a
conoscenza
dei
compagni
;
per
cui
si
domanda
se
vale
ancora
la
pena
di
farne
la
pubblicazione
;
come
pure
domanda
ai
compagni
se
credono
veramente
di
avere
compiuto
interamente
il
loro
dovere
di
socialisti
e
di
rivoluzionari
,
disinteressandosi
,
come
essi
fanno
,
dell
'
azione
nostra
di
Partito
»
.
Dopo
queste
constatazioni
ultrafallimentari
si
potrebbe
chiudere
decentemente
la
bottega
,
se
non
ci
fosse
il
solito
gruppo
dei
professionali
che
ci
vive
sopra
.
StampaQuotidiana ,
«
Mettete
un
bel
Padre
Nostro
in
fondo
a
una
commedia
,
poi
tirate
subito
il
sipario
e
avrete
un
subisso
di
applausi
»
potrebbe
essere
la
prima
norma
di
un
decalogo
dedicato
da
Diego
Fabbri
ai
giovani
commediografi
italiani
.
È
avrebbe
ragione
,
visto
l
'
esito
che
ha
avuto
,
ieri
sera
,
Figli
d
'
arte
a
Milano
.
Figli
d
'
arte
è
un
copione
che
Luchino
Visconti
ha
preso
a
pretesto
per
uno
spettacolo
.
Lo
spettacolo
è
vario
,
vivo
,
ha
il
fascino
delle
immagini
riprodotte
da
una
lanterna
magica
:
un
po
'
di
maniera
,
per
chi
se
ne
intenda
,
ma
rivelatrici
,
per
la
maggioranza
,
d
'
un
mondo
sempre
affascinante
,
quello
del
palcoscenico
.
La
commedia
,
invece
,
è
irrimediabilmente
mancata
.
Anzi
,
più
che
mancata
diremmo
inconsistente
,
un
'
enorme
macchina
,
un
grosso
mulino
a
vento
,
le
cui
grandi
pale
s
'
allargano
come
le
braccia
di
una
croce
nel
cielo
del
solito
spiritualismo
di
maniera
;
e
macinano
il
consueto
aneddoto
culminante
in
una
conclusione
miracolosa
e
un
paio
di
ideuzze
di
mistica
interpretativa
fra
Pirandello
e
Stanislavskij
.
Riprendendo
un
tema
che
gli
è
evidentemente
caro
,
il
Fabbri
ha
voluto
di
nuovo
raccontare
la
redenzione
di
un
adultero
attraverso
la
fede
.
Più
che
di
adultero
si
tratta
,
questa
volta
,
di
un
libertino
,
ché
tale
è
l
'
Osvaldo
di
questa
commedia
,
capocomico
-
mattatore
d
'
una
compagnia
di
prosa
che
si
prepara
a
presentare
(
e
le
prove
si
svolgono
nel
teatro
di
Cesena
,
e
si
finge
che
sia
quello
stesso
in
cui
accadde
il
famoso
episodio
del
Passatore
)
il
testo
di
un
autore
defunto
.
Costui
ha
scritto
tre
atti
che
si
richiamano
,
secondo
modi
parodistico
-
grotteschi
,
al
mito
di
Don
Giovanni
;
il
protagonista
della
commedia
in
prova
è
infatti
un
barbiere
di
paese
che
,
di
successo
in
successo
sulla
strada
della
galanteria
,
arriva
a
compromettere
la
moglie
di
un
ambasciatore
,
ed
è
costretto
a
rifugiarsi
in
un
convento
dove
incontra
,
suora
conversa
,
una
sua
antica
fidanzata
.
Il
dilemma
,
per
il
regista
e
gli
attori
che
stanno
provando
,
è
qui
:
il
perfido
Don
Giovanni
deve
uscire
dalla
commedia
con
una
piroetta
blasfema
o
un
miracolo
veramente
accade
e
il
seduttore
se
ne
andrà
convertito
?
Nel
primo
caso
,
secondo
il
regista
,
avremmo
un
«
grottesco
»
sacrilego
,
nel
secondo
un
dramma
«
spirituale
»
,
proprio
alla
maniera
di
Diego
Fabbri
.
Il
miracolo
accade
anche
sul
palcoscenico
di
quel
teatro
di
provincia
dove
,
intorno
al
mattatore
libertino
,
ruotano
la
moglie
,
da
cui
vive
separato
,
illustre
e
patetica
attrice
,
l
'
ex
-
amante
,
un
'
attricetta
parigina
del
«
boulevard
»
,
e
una
ragazzina
uscita
fresca
da
una
scuola
d
'
arte
drammatica
e
pronta
a
lasciare
aperta
,
all
'
importante
seduttore
,
la
porta
della
sua
camera
d
'
albergo
.
Il
miracolo
avviene
,
favorito
dall
'
intervento
della
madre
del
capocomico
,
ostinata
visitatrice
di
santuari
;
e
dal
Pater
Noster
finale
.
A
furia
di
impuntarsi
sui
miracoli
,
Diego
Fabbri
s
'
è
precluso
l
'
unico
miracolo
che
per
un
artista
conti
,
quello
dell
'
ispirazione
.
In
questa
commedia
tutto
è
falso
,
o
,
per
lo
meno
,
convenzionale
:
il
trombonesco
libertinaggio
del
protagonista
,
il
fiducioso
attendismo
di
quella
sua
moglie
pallida
e
scocciatrice
,
l
'
isterico
sentimentalismo
della
francese
,
il
titubante
sperimentalismo
del
regista
.
E
tutto
questo
meccanismo
,
poi
,
tutto
questo
artificio
complicato
,
questo
spaccare
in
quattro
il
capello
delle
teorie
interpretative
(
e
Stanislavskij
e
Pirandello
e
via
citando
)
,
per
arrivare
a
che
?
A
far
cambiare
d
'
albergo
,
riportandolo
quindi
nel
talamo
legittimo
,
al
protagonista
.
Sappiamo
benissimo
che
le
intenzioni
del
Fabbri
erano
diverse
e
assai
più
ambiziose
:
arrivare
all
'
identificazione
del
miracolo
scenico
col
miracolo
religioso
,
dimostrare
che
,
non
potendo
l
'
attore
veramente
incarnarsi
col
personaggio
se
non
partecipando
della
sua
vita
interna
,
per
interpretare
un
dramma
di
fede
occorre
un
atto
di
fede
.
Ma
dietro
quale
traliccio
di
approssimazione
,
di
sotterfugi
e
di
ingenuità
sentimentali
,
queste
intenzioni
si
nascondono
.
Il
miracolo
vero
lo
ha
fatto
,
con
la
sua
regia
,
Visconti
,
che
ha
inoltre
amplificato
le
risonanze
del
testo
dando
,
con
acuta
sensibilità
,
le
suggestioni
di
quella
vita
di
palcoscenico
,
il
senso
della
favola
che
sempre
si
rinnova
;
e
sottolineando
gli
effettismi
comici
,
le
cose
migliori
della
commedia
.
Aggiungi
l
'
interpretazione
impeccabile
,
un
Paolo
Stoppa
che
,
nei
toni
del
grande
gigionismo
teatrale
,
fa
una
felice
parodia
di
tutta
una
tradizione
,
la
sempre
sincera
e
sensibile
Rina
Morelli
,
anche
in
un
personaggio
così
falso
,
la
bella
e
ardente
Françoise
Spira
(
che
a
un
certo
punto
rimane
in
«
dessous
»
,
un
po
'
di
spogliarello
non
fa
male
anche
in
un
dramma
cattolico
)
,
la
fresca
e
decisamente
maturatasi
Ilaria
Occhini
,
Teresa
Franchini
,
Sergio
Fantoni
,
attendibilissimo
come
giovane
regista
.
Bella
la
scena
di
Garbuglia
.
Dell
'
esito
,
s
'
è
detto
.
È
comparso
anche
l
'
autore
.
StampaQuotidiana ,
Il
problema
dei
rapporti
fra
intellettuali
e
potere
è
un
tema
ricorrente
.
In
questi
giorni
si
è
svolto
un
convegno
su
questo
tema
,
in
occasione
della
pubblicazione
del
quarto
volume
degli
«
Annali
della
storia
d
'
Italia
»
einaudiana
,
intitolato
appunto
Intellettuali
e
potere
.
Nell
'
ultima
riunione
del
Comitato
centrale
Aldo
Tortorella
,
responsabile
dell
'
organizzazione
culturale
del
pci
,
ha
svolto
un
'
ampia
relazione
in
cui
ripropone
il
tema
del
«
ruolo
delle
istituzioni
culturali
per
il
rinnovamento
e
la
trasformazione
della
società
e
dello
Stato
»
.
Si
sta
svolgendo
a
Roma
un
convegno
promosso
da
intellettuali
del
psi
,
che
dovrebbe
concludersi
,
nientemeno
,
con
«
un
manifesto
per
la
cultura
italiana
»
.
Non
sono
passati
molti
giorni
dalla
conclusione
dell
'
Assemblea
nazionale
della
dc
,
provocata
o
ispirata
da
uomini
di
cultura
cattolici
preoccupati
del
venir
meno
della
tensione
ideale
nella
lotta
politica
in
Italia
,
il
cui
protagonista
è
da
più
di
trent
'
anni
un
partito
che
si
chiama
cristiano
.
Il
tema
è
ricorrente
,
perché
i
rapporti
fra
politica
e
cultura
sono
difficili
.
All
'
atteggiamento
di
diffidenza
del
politico
per
l
'
intellettuale
corrisponde
un
analogo
atteggiamento
di
diffidenza
dell
'
intellettuale
per
il
politico
.
Alcuni
anni
fa
è
stata
pubblicata
la
traduzione
italiana
del
libro
di
R
.
Hofstadter
,
Società
e
intellettuali
in
America
(
Einaudi
,
Torino
1968
)
,
che
,
pur
riferendosi
agli
Stati
Uniti
degli
anni
del
maccartismo
,
presenta
un
'
ampia
documentazione
storica
sul
tema
del
conflitto
permanente
fra
l
'
uomo
politico
che
ha
o
crede
di
avere
i
piedi
per
terra
e
l
'
idealista
nelle
nuvole
,
accusato
di
inventare
progetti
bellissimi
ma
irrealizzabili
.
Una
versione
recentissima
e
casalinga
di
questa
antica
avversione
ho
colto
in
un
'
intervista
pubblicata
una
settimana
fa
,
in
cui
il
ministro
Marcora
,
volendo
tirare
le
orecchie
agli
ottimisti
,
dice
a
un
certo
punto
:
«
Sono
un
uomo
pratico
,
io
.
Sono
un
vecchio
lombardo
,
sto
in
politica
da
trent
'
anni
,
non
sono
un
intellettuale
.
Guardo
al
sodo
»
.
Non
ci
vuole
molta
fantasia
a
immaginare
una
battuta
diametralmente
opposta
in
bocca
a
un
intellettuale
:
«
Sono
un
uomo
che
cerca
di
capire
come
vanno
le
cose
.
Non
improvviso
,
ci
penso
su
.
Non
sono
un
politico
.
Guardo
nel
fondo
»
.
Proprio
perché
questi
rapporti
sono
difficili
,
e
sono
difficili
perché
l
'
intellettuale
e
il
politico
hanno
vocazioni
,
ambizioni
,
progetti
di
vita
,
capacità
diverse
,
e
non
c
'
è
gioco
di
prestigio
dialettico
che
valga
a
mediare
o
a
superare
queste
differenze
,
il
problema
non
si
risolve
con
alternative
drastiche
come
questa
:
«
L
'
intellettuale
è
un
seminatore
di
dubbi
»
(
così
Rosellina
Balbi
sulla
«
Repubblica
»
)
.
«
No
,
è
un
raccoglitore
di
certezze
»
(
così
,
almeno
sembra
,
Sanguineti
sull
'
«
Unità
»
)
.
Per
quanto
il
problema
dei
rapporti
fra
intellettuali
e
potere
sia
un
tema
ricorrente
,
o
forse
proprio
per
questo
,
non
è
un
problema
cui
si
possa
dare
una
soluzione
netta
una
volta
per
sempre
.
E
non
si
può
almeno
per
due
ragioni
.
Prima
di
tutto
perché
questa
benedetta
categoria
degl
'
intellettuali
è
vasta
,
varia
,
divisa
,
e
ogni
volta
che
se
ne
parla
bisogna
intendersi
bene
di
che
cosa
si
vuol
parlare
.
In
secondo
luogo
,
perché
,
dato
per
ammesso
che
i
rapporti
tra
gli
intellettuali
(
ma
quali
intellettuali
?
)
e
il
potere
siano
difficili
,
non
è
affatto
detto
siano
sempre
della
stessa
natura
.
Alcuni
anni
fa
mi
è
accaduto
di
distinguere
gl
'
intellettuali
che
ho
chiamato
«
esperti
»
,
da
quelli
che
ho
chiamato
«
ideologi
»
.
Vedo
che
la
distinzione
è
stata
ripresa
da
Corrado
Vivanti
,
se
pure
con
qualche
riserva
,
nella
prefazione
al
volume
degli
annali
einaudiani
dianzi
citato
.
Mi
sono
accorto
dopo
che
nel
notissimo
rapporto
della
Commissione
trilaterale
sulla
crisi
della
democrazia
si
distinguono
gli
intellettuali
tecnocrati
da
quelli
«
orientati
verso
i
valori
»
(
«
value
-
oriented
»
)
:
distinzione
analoga
alla
mia
,
se
pure
caricata
di
un
giudizio
di
valore
,
positivo
per
i
primi
,
negativo
per
i
secondi
,
lontanissimo
dalle
mie
intenzioni
.
La
distinzione
è
rilevante
,
a
mio
parere
,
perché
il
rapporto
fra
intellettuali
e
potere
cambia
secondo
che
ci
si
riferisca
agli
esperti
o
agli
ideologi
.
I
primi
offrono
ai
politici
conoscenze
,
informazioni
,
dati
elaborati
;
i
secondi
principi
,
direttive
,
prospettive
di
azione
.
Nella
irrequietezza
degl
'
intellettuali
che
hanno
agitato
le
acque
stagnanti
della
democrazia
cristiana
vedo
lo
stato
d
'
animo
tipico
dell
'
intellettuale
che
fa
appello
ai
valori
,
chiede
il
ritorno
ai
principi
primi
,
e
inalbera
la
questione
morale
;
al
contrario
,
nel
rivolgersi
,
del
resto
non
per
la
prima
volta
,
del
partito
comunista
agli
uomini
di
cultura
,
vedo
soprattutto
l
'
interesse
che
ha
questo
partito
,
depositario
dei
principi
che
lo
hanno
fatto
nascere
e
ai
quali
non
può
abdicare
(
pur
potendoli
aggiornare
)
senza
venir
meno
alla
propria
funzione
di
partito
-
guida
,
nell
'
attrarre
a
sé
uomini
esperti
nei
diversi
campi
del
sapere
scientifico
.
In
questi
due
percorsi
contrari
dell
'
uomo
di
principi
verso
un
partito
prammatico
e
del
partito
di
principi
verso
gli
esperti
,
si
possono
cogliere
,
da
due
parti
diverse
,
anzi
opposte
,
i
due
vizi
principali
della
nostra
vita
politica
:
senza
alti
ideali
per
quel
che
riguarda
il
partito
maggiore
e
di
maggior
governo
;
senza
gli
strumenti
conoscitivi
necessari
per
la
trasformazione
di
uno
Stato
diventato
anacronistico
,
per
quel
che
riguarda
i
partiti
e
i
movimenti
della
sinistra
(
che
non
possono
pretendere
di
trasformare
il
mondo
,
secondo
il
vecchio
detto
di
Marx
,
se
non
dopo
averlo
compreso
)
.
L
'
altra
ragione
per
cui
il
rapporto
fra
intellettuali
e
potere
suscita
tante
discussioni
dipende
dal
fatto
che
non
si
tratta
di
un
rapporto
a
senso
unico
.
Molte
inutili
discussioni
nascono
dallo
scambiare
l
'
analisi
di
questo
rapporto
a
molte
direzioni
con
il
desiderio
che
il
rapporto
sia
quello
che
ciascuno
di
noi
ritiene
giusto
.
Questo
rapporto
cambia
secondo
l
'
idea
che
i
singoli
intellettuali
hanno
della
loro
funzione
nella
società
(
idea
dietro
la
quale
ci
può
essere
addirittura
una
visione
globale
del
mondo
)
,
e
secondo
le
circostanze
storiche
.
C
'
è
chi
esalta
la
vita
contemplativa
in
paragone
a
quella
attiva
e
dispregia
coloro
che
si
perdono
nelle
cure
del
mondo
.
C
'
è
per
contrasto
chi
ritiene
che
l
'
uomo
di
cultura
abbia
il
dovere
di
impegnarsi
nell
'
azione
politica
,
perché
al
di
fuori
della
comunità
ordinata
al
bene
comune
non
c
'
è
salvezza
.
Chi
ha
ragione
e
chi
ha
torto
?
Ci
sono
coloro
che
adoperano
le
armi
proprie
dell
'
intelligenza
(
le
idee
,
le
opinioni
,
le
credenze
,
le
dottrine
,
gl
'
ideali
)
per
combattere
il
potere
costituito
e
naturalmente
per
costituirne
un
altro
che
ritengono
migliore
.
E
ci
sono
per
contrasto
coloro
che
esercitano
la
loro
influenza
per
consolidare
il
governo
del
loro
paese
(
sono
i
cosiddetti
«
organizzatori
del
consenso
»
)
.
Ancora
una
volta
,
chi
ha
ragione
e
chi
ha
torto
?
Ma
si
può
mai
comparare
chi
promuove
il
consenso
per
salvare
uno
Stato
democratico
minacciato
dalla
violenza
eversiva
da
destra
e
da
sinistra
,
uno
Stato
che
ammette
il
dissenso
,
con
chi
si
piega
a
sollecitare
consensi
a
uno
Stato
totalitario
dove
i
dissenzienti
sono
puniti
o
soppressi
?
Sono
domande
retoriche
,
ma
valgono
a
far
capire
che
il
problema
del
rapporto
fra
intellettuali
e
potere
ha
molti
aspetti
e
non
può
avere
una
sola
risposta
,
e
di
conseguenza
la
domanda
così
frequentemente
e
fastidiosamente
ripetuta
quale
debba
essere
la
politica
degl
'
intellettuali
verso
i
partiti
o
dei
partiti
verso
gli
intellettuali
,
è
completamente
priva
di
senso
,
se
non
si
specifica
quali
intellettuali
,
in
quale
contesto
,
e
per
quali
obiettivi
.
Una
cosa
è
certa
(
anche
il
«
seminatore
di
dubbi
»
può
permettersi
talora
di
avere
qualche
certezza
)
:
alla
crisi
politica
generale
che
è
sotto
gli
occhi
di
tutti
-
basti
pensare
che
il
problema
dei
rapporti
Est
-
Ovest
è
ben
lontano
dall
'
essere
risolto
,
e
già
si
pone
con
forza
il
problema
dei
rapporti
Nord
-
Sud
,
la
cui
soluzione
dipende
dalla
soluzione
del
primo
-
,
corrisponde
una
crisi
delle
idee
,
anzi
,
com
'
è
stato
detto
più
volte
,
una
crisi
delle
idee
per
risolvere
la
crisi
.
Di
fronte
alla
quale
noi
ci
teniamo
le
nostre
piccole
e
domestiche
crisi
di
governo
che
,
paragonate
alla
tragicità
dei
conflitti
che
agitano
la
fine
di
questo
nostro
tragico
secolo
,
ci
appaiono
come
zuffe
di
polli
in
una
stia
.
StampaQuotidiana ,
La
maggiore
trepidazione
dell
'
anima
italiana
,
in
questi
giorni
di
sospeso
destino
,
è
per
Fiume
.
In
questo
nome
si
placano
tutte
le
discordie
e
convergono
tutte
le
speranze
.
Che
Fiume
sia
città
in
maggioranza
italiana
e
irremovibilmente
risoluta
a
non
tollerare
usurpazione
straniera
è
un
dato
di
fatto
cui
debbono
ormai
tutti
,
e
in
parte
anche
i
jugoslavi
,
inchinarsi
.
Le
statistiche
comunali
di
dicembre
1918
migliorano
,
ma
non
rovesciano
le
risultanze
della
statistica
magiara
di
otto
anni
or
sono
,
secondo
la
quale
a
24.000
italiani
non
potevano
opporsi
che
circa
14.000
fra
serbo
-
croati
e
sloveni
.
Perfino
l
'
inclusione
di
Sussak
,
se
per
Sussak
s
'
intende
non
già
il
vasto
comune
croato
di
Sussak
-
Tersatto
ma
il
sobborgo
fiumano
di
Oltreponte
,
lascerebbe
gl
'
italiani
in
maggioranza
di
circa
6000
.
Ma
più
ancora
del
numero
conta
l
'
ardore
di
questi
italiani
,
lo
slancio
irrefrenabile
con
cui
fin
dal
30
ottobre
invocarono
la
patria
che
li
aveva
sacrificati
a
non
sappiamo
quale
necessità
politica
e
ancora
oggi
la
invocano
,
decisi
ad
ottenerla
contro
qualsiasi
violenza
di
padroni
o
illecita
intrusione
di
terzi
.
Ma
non
occorre
insistere
.
La
conoscenza
della
volontà
di
Fiume
è
ormai
così
vittoriosamente
diffusa
che
più
nessuno
pensa
di
soggiogare
questa
città
alla
Croazia
,
contro
la
quale
essa
combatté
tutte
le
sue
lotte
storiche
.
Perché
dunque
si
tarda
a
consacrarne
il
diritto
di
autodecisione
?
perché
si
coltivano
espedienti
intermedii
e
si
propone
d
'
istituire
Fiume
col
suo
angusto
territorio
in
Stato
neutro
e
sovrano
,
staccato
dalla
Jugoslavia
e
dall
'
Italia
?
Tale
proposito
si
attribuisce
sopra
tutto
all
'
Inghilterra
e
all
'
America
,
a
Lloyd
George
ed
a
Wilson
.
Anche
a
Wilson
,
a
colui
che
con
incomparabile
eloquenza
sostenne
il
diritto
dei
popoli
di
disporre
della
loro
sorte
.
Le
malignità
di
retroscena
che
si
narrarono
per
spiegare
alcune
inesplicabili
opposizioni
al
diritto
di
Fiume
non
possono
toccare
quest
'
uomo
.
Se
ancora
egli
crede
che
la
libertà
di
Fiume
debba
essere
manomessa
,
che
il
principio
generale
di
cui
egli
si
fece
mallevadore
debba
subire
un
'
infrazione
forse
più
grave
di
ogni
altra
,
perché
ferirebbe
in
pari
tempo
un
piccolo
popolo
uscito
di
schiavitù
e
un
grande
popolo
vincitore
,
diviene
necessario
pensare
che
questa
impressionante
infedeltà
debba
giustificarsi
con
alti
e
imperiosi
motivi
.
Ma
a
tale
presunzione
logica
non
sa
dare
risposta
soddisfacente
nessuna
analisi
dei
fatti
.
Riconosciuto
che
la
maggioranza
di
Fiume
è
italiana
e
d
'
italiano
volere
,
solo
tre
generi
di
ostacoli
possono
intralciare
l
'
adempimento
delle
deduzioni
logiche
e
morali
che
discendono
dalle
premesse
.
Si
può
obbiettare
in
primo
luogo
che
l
'
Italia
ufficiale
non
chiese
Fiume
nel
trattato
concluso
a
Londra
in
aprile
1915
.
È
l
'
obbiezione
diplomatica
.
Si
può
obbiettare
in
secondo
luogo
che
occorre
ai
jugoslavi
e
agli
altri
popoli
dell
'
interno
un
libero
sbocco
adriatico
.
E
l
'
obbiezione
economica
.
Si
può
obbiettare
in
terzo
e
ultimo
luogo
che
per
la
solidità
della
pace
futura
è
necessario
giungere
a
un
compromesso
fra
italiani
e
jugoslavi
,
sicché
né
gli
uni
né
gli
altri
realizzino
integralmente
il
programma
massimo
nazionale
,
e
,
pur
essendo
,
com
'
è
giusto
,
favorita
l
'
Italia
,
sia
data
in
qualche
punto
soddisfazione
alla
tracotante
rivale
.
È
l
'
obbiezione
politica
.
Non
spenderemo
parole
sull
'
obbiezione
diplomatica
.
È
superfluo
dire
al
Presidente
Wilson
,
non
sospetto
di
ortodossia
diplomatica
e
di
bigotto
ossequio
pei
trattati
segreti
,
che
il
documento
di
Londra
,
qualunque
cosa
esso
valga
,
val
meno
della
volontà
di
Fiume
e
dell
'
Italia
e
che
sarebbe
cosa
da
Antico
Testamento
punire
il
popolo
italiano
e
il
popolo
fiumano
perché
quattr
'
anni
or
sono
alcuni
diplomatici
italiani
e
russi
,
inglesi
e
francesi
,
per
motivi
che
ora
è
inutile
ricercare
,
non
iscrissero
quella
partita
nel
libro
del
nostro
credito
nazionale
.
Più
seria
può
sembrare
l
'
obbiezione
economica
.
E
non
staremo
a
ripetere
ciò
che
ormai
da
tutti
si
conosce
sulla
compartecipazione
relativamente
scarsa
della
Jugoslavia
al
traffico
di
Fiume
.
Non
ritorneremo
sulla
dimostrazione
incontestabile
che
porta
naturale
dell
'
Austria
,
della
Boemia
,
della
Slovenia
è
Trieste
meglio
che
Fiume
.
Non
enumereremo
ancora
una
volta
i
sei
,
o
nove
,
o
dodici
sbocchi
adriatici
che
rimarranno
ai
jugoslavi
anche
senza
Fiume
.
E
per
comodità
di
discussione
ammetteremo
senz
'
altro
che
Fiume
,
già
collegata
col
sistema
ferroviario
medieuropeo
ed
egregiamente
attrezzata
,
sia
in
condizione
di
privilegio
:
che
del
suo
porto
abbiano
necessità
i
jugoslavi
e
tutti
gli
altri
.
Ma
forse
l
'
Italia
nega
ai
jugoslavi
ed
agli
altri
il
porto
di
Fiume
?
forse
essa
si
batte
per
il
monopolio
dei
docks
anzi
che
per
la
libertà
dei
cittadini
?
aspira
a
intascare
trenta
danari
o
non
piuttosto
a
salvare
trentamila
anime
di
suoi
fratelli
?
Se
v
'
è
coscienza
nazionale
non
annerita
dal
ferro
e
dal
carbone
né
ingiallita
dall
'
oro
,
questa
è
la
coscienza
nazionale
italiana
.
Nessuno
ha
ancora
dimostrato
che
non
sia
possibile
dar
Fiume
all
'
Italia
,
impegnando
l
'
Italia
a
rispettare
tutte
le
servitù
di
transito
che
si
riterranno
necessarie
e
a
considerare
quel
porto
come
bene
comune
,
a
tener
quella
porta
spalancata
per
tutti
i
popoli
.
Nessuno
ha
ancora
dimostrato
che
l
'
idealismo
wilsoniano
non
andrebbe
in
malora
se
ai
criteri
strategici
degli
antichi
imperialismi
militareschi
e
sciabolatori
si
sostituissero
i
criteri
economici
e
portuali
dei
nuovi
imperialismi
plutocratici
e
accaparratori
.
Se
è
iniquo
che
i
popoli
seguano
le
sorti
delle
linee
offensive
e
difensive
e
delle
teste
di
ponte
,
non
è
meno
iniquo
che
siano
spartiti
secondo
le
ubicazioni
dei
giacimenti
minerari
e
gli
assi
dei
sistemi
ferroviari
e
fluviali
.
Il
porto
di
Fiume
sia
di
tutti
;
ma
l
'
anima
di
Fiume
non
può
essere
che
nostra
.
L
'
obbiezione
politica
è
la
più
importante
.
Se
non
che
,
maturamente
esaminata
,
si
volge
proprio
contro
quelli
che
vorrebbero
giovarsene
per
imporre
una
soluzione
ibrida
del
problema
di
Fiume
.
Si
vuole
un
compromesso
per
far
sì
che
gradatamente
,
nella
convinzione
del
reciproco
sacrificio
,
s
'
attenuino
i
rancori
fra
italiani
e
jugoslavi
e
divenga
possibile
una
pacifica
convivenza
sul
comune
mare
.
Ma
in
nessun
luogo
un
compromesso
è
più
difficile
,
in
nessun
luogo
un
mezzo
termine
è
più
pericoloso
che
a
Fiume
.
Si
pensi
a
questo
misero
e
soffocato
staterello
neutro
fra
Italia
e
Jugoslavia
,
a
questo
minuscolo
vaso
di
coccio
fra
i
due
vasi
di
bronzo
.
Forse
che
col
non
risolvere
il
quesito
lo
si
cancella
?
forse
che
,
dichiarata
Fiume
città
sovrana
,
cesseranno
di
vivere
e
di
lottare
entro
le
sue
mura
italiani
e
slavi
?
Gli
uni
e
gli
altri
sentiranno
la
precarietà
del
provvedimento
;
gli
uni
e
gli
altri
cercheranno
di
assicurare
la
loro
piccola
patria
alla
loro
grande
patria
.
Le
lotte
ch
'
erano
già
aspre
diverranno
crudeli
.
Probabilmente
il
primo
e
ultimo
atto
del
Parlamento
fiumano
consisterebbe
in
una
formale
deliberazione
di
annessione
all
'
Italia
.
Se
la
città
è
sovrana
,
nessuno
può
impedirle
di
esercitare
la
sovranità
abdicando
.
Se
il
territorio
italiano
sarà
confinante
con
quello
di
Fiume
,
quale
forza
umana
potrà
radicare
i
pali
dell
'
arbitrario
confine
?
quale
Società
delle
Nazioni
potrà
accollarsi
un
compito
da
Santa
Alleanza
e
consacrare
col
sangue
lo
statu
quo
?
Ovvero
supponiamo
che
l
'
Italia
giunga
soltanto
all
'
Arsa
o
al
Monte
Maggiore
o
ai
Caldiera
,
che
una
striscia
di
territorio
jugoslavo
sia
,
come
una
spada
,
tra
Fiume
e
l
'
Italia
.
E
questo
il
modo
di
metter
pace
fra
l
'
Italia
e
Jugoslavia
?
si
farà
la
conciliazione
col
filo
della
spada
?
O
supponiamo
infine
che
questo
futile
e
grottesco
statu
quo
,
simile
a
quelli
che
il
concerto
europeo
decretava
nei
Balcani
,
si
prolunghi
per
mesi
e
per
anni
.
Ma
l
'
Italia
farà
quanto
è
in
lei
per
attrarre
le
merci
e
gli
uomini
verso
Trieste
e
cercherà
amici
dovunque
;
e
dovunque
cercherà
amici
la
Jugoslavia
perché
la
prosperità
di
Fiume
soffochi
Trieste
.
Mentre
le
cittadinanze
che
vivranno
in
vista
di
queste
e
di
quelle
banchine
si
tenderanno
le
braccia
,
la
rivalità
fra
i
due
porti
diverrà
spietata
e
feroce
,
poiché
la
prosperità
di
Trieste
rinfocolerebbe
l
'
irredentismo
italiano
di
Fiume
,
mentre
la
vittoria
del
porto
di
Fiume
avviverebbe
l
'
irredentismo
sloveno
nell
'
Istria
italiana
.
E
questa
la
pace
giusta
?
è
questa
la
pace
duratura
?
Noi
ricordiamo
il
fervore
,
che
anche
all
'
ospite
parve
favoloso
,
con
cui
Wilson
fu
accolto
in
Italia
.
In
quel
delirio
quasi
idolatrico
v
'
era
gratitudine
pel
suo
intervento
di
guerra
e
fede
nel
suo
intervento
di
pace
.
Ancora
una
volta
,
in
quest
'
appassionata
vigilia
,
ci
rivolgiamo
a
lui
perché
egli
ricordi
che
una
giusta
e
saggia
soluzione
del
problema
di
Fiume
è
una
insostituibile
pietra
angolare
della
pace
e
che
Fiume
città
libera
e
neutra
,
s
'
egli
voglia
un
istante
riflettere
su
questi
nostri
ragionamenti
,
è
una
soluzione
senza
giustizia
e
senza
saggezza
.
Anzi
,
non
è
affatto
una
soluzione
.
E
un
fiacco
espediente
dilatorio
destinato
a
perpetuare
la
discordia
.
StampaQuotidiana ,
Milano
,
20
maggio
.
Nell
'
Arena
,
al
sole
.
Su
in
cielo
stanno
in
gara
una
nuvola
fosca
e
il
biondo
flemmatico
sole
.
Chi
vincerà
?
La
nuvola
s
'
avvicina
.
Ecco
,
ghermisce
il
sole
.
Un
minuto
:
il
sole
la
dirompe
e
la
nuvola
si
ferma
,
pallida
,
in
brandelli
.
Poi
si
raccoglie
di
nuovo
,
più
piccola
e
leggera
.
Si
riaccosta
all
'
avversario
.
Tre
o
quattro
raggi
la
feriscono
,
la
lacerano
,
la
sgominano
.
Alla
nuvola
,
se
avesse
saputo
vincere
Apollo
,
credo
che
i
centomila
spettatori
riconoscenti
avrebbero
applaudito
quanto
a
Spalla
.
Ho
detto
Apollo
perché
sono
venuto
qui
con
animo
,
alla
meglio
,
romano
;
e
vedo
Spalla
e
Van
der
Veer
come
i
legittimi
discendenti
dei
pugili
Entello
e
Darete
che
da
tanti
anni
,
davanti
agli
scolari
di
liceo
,
si
battono
nel
libro
quinto
dell
'
Eneide
,
arbitro
lo
stesso
Enea
.
Guardate
la
buona
faccia
di
Bisschop
l
'
antagonista
di
Bosisio
,
tutta
rughe
,
calli
e
soprossi
.
È
descritta
da
venti
secoli
in
un
epigramma
di
Lucilio
:
«
Questo
bravo
olimpionico
aveva
una
volta
orecchie
,
palpebre
,
naso
e
mento
.
Ma
da
quando
professa
il
pugilato
,
ha
perduto
queste
parti
del
suo
volto
e
più
non
raccoglierà
l
'
eredità
paterna
.
Il
magistrato
lo
ha
confrontato
col
ritratto
di
lui
che
suo
fratello
ha
offerto
al
tribunale
,
non
vi
ha
veduto
alcuna
somiglianza
,
e
ha
dichiarato
straniero
l
'atleta.»
Sì
,
adesso
abbiamo
le
tre
corde
intorno
al
palco
ravvolte
di
bianco
,
di
rosso
e
di
verde
,
e
ritte
sui
trampoli
le
torrette
per
le
macchine
fotografiche
e
cinematografiche
;
e
abbiamo
il
presidente
Mussolini
che
fa
core
a
Spalla
,
invece
dell
'
imperatore
Tito
che
proteggeva
Melancomas
;
e
invece
della
tromba
abbiamo
il
tantàn
,
e
gli
articoli
di
Petroselli
invece
delle
orazioni
di
Dione
Crisostomo
,
e
il
guantone
imbottito
invece
del
cesto
a
strisce
di
cuoio
e
a
lamelle
di
bronzo
,
e
il
dialetto
milanese
invece
del
latino
,
e
il
«
break
»
del
signor
Collard
invece
del
«
cede
deo
»
del
pio
Enea
.
Novità
trascurabili
.
Il
sole
è
sempre
quello
,
e
gli
uomini
,
da
quei
due
lassù
rosei
,
lustri
e
bisunti
a
noi
quaggiù
intenti
ed
ansiosi
,
sono
,
con
altri
nomi
e
vesti
,
i
medesimi
.
E
questo
solo
,
in
questo
mondo
,
conta
.
Viva
Erminio
!
Forza
,
Erminio
!
Così
detto
,
spogliossi
;
e
sì
com
'
era
Delle
braccia
,
degli
omeri
e
del
collo
E
di
tutte
le
membra
e
d
'
ossa
immane
,
Quasi
un
pilastro
in
su
l
'
arena
stette
.
L
'
accappatoio
che
Erminio
Spalla
ha
gittato
lungi
da
sé
è
di
stil
floreale
,
verde
e
viola
.
Ne
vorrei
,
per
amor
di
Virgilio
,
uno
più
classico
e
unito
.
Nemmeno
le
gambe
di
Erminio
mi
piacciono
;
non
s
'
addicono
a
quelle
cosce
.
Se
il
corpo
umano
,
secondo
i
petrarchisti
del
Rinascimento
,
s
'
ha
da
assomigliare
a
un
sonetto
di
cui
titolo
e
dedica
sono
la
testa
,
le
quartine
il
torace
e
l
'
addome
,
e
le
terzine
sono
le
cosce
e
le
gambe
,
le
gambe
di
Erminio
Spalla
mancano
d
'
una
sillaba
.
Piet
Van
der
Veer
,
se
avesse
il
collo
meno
massiccio
e
perdesse
un
poco
della
sua
pinguedine
rubensiana
tra
spalle
e
sterno
,
sarebbe
lui
un
atleta
da
statua
.
Ma
quel
che
qui
seduce
,
è
il
riso
della
gran
bocca
di
Spalla
sotto
il
nasetto
camuso
.
Il
volto
dell
'
olandese
è
impassibile
:
non
dice
più
di
quel
che
dicano
il
suo
ginocchio
o
lo
sterno
.
Vi
si
nota
solo
un
'
ombra
di
pena
quando
per
un
istante
la
stanchezza
lo
soffoca
.
Il
volto
invece
del
nostro
,
dalle
rughe
orizzontali
della
fronte
ai
solchi
verticali
tra
narici
e
labbra
,
annuncia
le
speranze
e
le
delusioni
a
colpi
di
chiaroscuro
netti
come
i
segnali
di
un
semaforo
.
Che
la
sua
testa
sgusci
sotto
il
pugno
di
Piet
,
s
'
incastri
sul
petto
e
contro
l
'
ascella
di
Piet
,
appena
si
libera
e
riappare
,
ti
dice
tutto
in
un
lampo
.
Sanguina
da
un
sopracciglio
,
il
sangue
gli
cola
giù
dallo
zigomo
,
il
sopracciglio
s
'
è
gonfiato
;
con
l
'
altr
'
occhio
,
con
la
bocca
,
con
la
fronte
,
Spalla
sa
d
'
un
tratto
rassicurarci
.
Eccolo
al
riposo
,
buttato
in
forma
di
X
contro
le
corde
,
gambe
e
braccia
spalancate
;
uno
gli
stropiccia
inginocchiato
le
gambe
;
il
fratello
,
di
dietro
,
gli
asciuga
il
sangue
sull
'
occhio
,
gli
unge
di
vasellina
il
cavo
del
naso
,
alla
fine
gli
versa
sul
petto
una
bottiglia
di
spumante
;
davanti
,
un
altro
lo
ventila
con
l
'
asciugamano
.
Anche
in
quella
sosta
,
che
tu
riesca
a
scorgere
tra
le
dieci
braccia
dei
suoi
aiuti
il
suo
volto
,
gli
vedi
l
'
anima
,
siano
benedette
le
facce
italiane
.
Dal
volto
la
mobilità
sembra
fluirgli
giù
per
tutto
il
corpo
,
s
'
egli
si
mette
a
saltellare
davanti
al
suo
Piet
.
Lo
so
,
è
il
suo
gioco
,
di
bersaglio
instabile
;
ma
quando
da
quell
'
immagine
spezzata
e
un
po
'
comica
balena
la
saetta
diritta
d
'
un
pugno
,
tutt
'
una
retta
dal
tallone
alla
mano
,
si
applaude
anche
perché
s
'
è
contenti
d
'
aver
capito
il
doppio
senso
di
quel
balletto
burlevole
.
Ciaf
,
ciaf
.
Non
sapevo
che
l
'
uomo
fosse
un
tamburo
tanto
sonoro
.
Cadean
le
pugna
a
nembi
,
e
ver
le
tempie
Miravan
la
più
parte
:
e
s
'
eran
vote
,
Rombi
facean
per
l
'
aria
e
fischi
e
vento
.
In
questo
duello
in
cui
ogni
attimo
è
calcolato
pel
respiro
,
pel
riposo
,
per
la
finta
,
per
lo
scatto
,
l
'
attimo
che
più
commuove
,
è
quello
in
cui
,
dato
dal
curvo
arbitro
il
comando
di
«
break
»
,
i
due
colossi
restano
appoggiati
l
'
uno
all
'
altro
,
immobili
come
due
tronchi
che
senza
quel
reciproco
sostegno
dopo
la
bufera
stramazzerebbero
.
Sì
,
alla
ripresa
torneranno
l
'
impeto
e
i
colpi
,
e
negli
spettatori
le
grida
e
la
passione
:
Picca
,
Erminio
!
L
'
è
bell
'
e
finìi
l
'
omm
!
Dai
,
Erminio
,
l
'
è
inciocchíi
!
Ma
in
quel
centesimo
di
secondo
d
'
involontaria
fraternità
discerni
col
cuore
il
fondo
della
vita
:
che
anche
chi
t
'
odia
e
ti
vorrebbe
morto
,
è
necessario
alla
vita
tua
,
e
tu
alla
sua
:
l
'
atomo
all
'
atomo
,
l
'
uomo
all
'
uomo
,
la
stella
alla
stella
.
Poi
ricomincia
la
grandine
dei
pugni
,
sotto
l
'
indifferentissimo
sole
.
StampaQuotidiana ,
Presentando
,
con
un
titolo
che
assomiglia
a
quelli
di
alcuni
drammi
di
Gorki
(
per
esempio
,
Egor
Buly
?
ev
e
altri
)
,
quest
'
opera
giovanile
di
?
echov
,
Giorgio
Strehler
,
autore
di
una
non
dimenticata
regia
del
Giardino
dei
ciliegi
,
e
il
Piccolo
Teatro
hanno
voluto
evidentemente
rivalutare
,
con
rigore
critico
,
un
testo
rimasto
per
molti
anni
sconosciuto
e
poi
presentato
ai
pubblici
occidentali
in
versioni
e
riduzioni
più
o
meno
arbitrarie
.
Questo
dramma
,
infatti
,
«
apre
»
in
modo
impressionante
su
quelli
che
saranno
i
quattro
capolavori
del
teatro
cecoviano
;
al
punto
di
assomigliare
,
per
certe
particolarità
dell
'
ambiente
e
certe
volute
della
trama
,
a
uno
d
'
essi
,
forse
il
più
alto
,
Il
giardino
dei
ciliegi
.
L
'
azione
di
questo
Platonov
e
altri
è
ambientata
in
un
villaggio
della
provincia
russa
,
dove
il
protagonista
figura
come
maestro
di
scuola
.
È
uno
di
quei
tipici
intellettuali
di
?
echov
,
falliti
a
trent
'
anni
,
prosciugati
da
una
vita
mediocre
,
con
improvvise
rivolte
velleitarie
cui
seguono
stati
di
prostrazione
inerte
,
di
deriva
.
Egli
ha
però
dalla
sua
una
specie
di
grazia
decadente
e
misteriosa
che
gli
fa
crollare
ai
piedi
tutte
le
donne
.
Sposato
con
una
ragazza
candida
e
ottusa
,
ecco
che
gli
sono
tutte
intorno
,
le
donne
di
quella
provincia
grigia
e
perduta
,
Anna
Petrovna
,
la
ancora
attraente
vedova
d
'
un
generale
,
proprietaria
d
'
una
tenuta
sommersa
dalle
ipoteche
e
dalle
cambiali
(
personaggio
che
ha
più
d
'
un
punto
di
contatto
,
appunto
,
con
la
Ljubov
'
Andreevna
del
Giardino
dei
ciliegi
)
;
la
moglie
del
figliastro
di
costei
,
Sof
'
ja
;
Marija
Grekova
,
un
'
altra
possidente
del
circondario
.
Non
è
da
credere
,
però
,
che
si
tratti
d
'
una
commedia
di
intrecci
e
di
capricci
amorosi
.
È
la
commedia
di
un
'
alienazione
.
Come
il
protagonista
di
Uomo
e
Superuomo
di
Shaw
,
Platonov
non
va
in
cerca
dell
'
avventura
amorosa
ma
è
catturato
dalle
donne
.
Questo
lasciarsi
prendere
compiaciuto
e
inerte
gli
serve
però
a
crearsi
degli
«
altrove
»
,
delle
possibilità
fantastiche
in
cui
evadere
dalla
consapevolezza
del
proprio
fallimento
intellettuale
e
morale
;
gli
«
altrove
»
erotici
si
alternano
agli
«
altrove
»
provocati
dal
bere
e
in
questo
vagheggiamento
fra
l
'
incoscienza
dei
sogni
e
una
fin
troppo
consapevole
autoironia
,
il
personaggio
percorre
l
'
arco
dei
cinque
atti
finché
si
imbatte
nel
colpo
di
rivoltella
esploso
da
Sof
'
ja
,
colei
cui
aveva
promesso
la
grande
fuga
romantica
(
lei
era
stata
,
d
'
altronde
,
un
suo
amore
di
gioventù
e
ora
l
'
ha
ritrovata
,
moglie
d
'
un
patetico
sciocco
)
.
In
realtà
,
questa
vicenda
non
è
che
il
punto
focale
di
ciò
che
giustamente
,
in
una
nota
di
regia
,
Strehler
ha
definito
un
«
grottesco
balletto
»
.
Da
quel
Trileckij
,
cognato
di
Platonov
,
medico
del
villaggio
,
idealista
ferito
e
sognatore
deluso
,
che
fa
il
pagliaccio
ubriaco
per
non
pensare
,
anch
'
egli
si
rifugia
in
un
«
altrove
»
;
a
quel
Porfirij
Glagòlev
,
vecchio
riccone
che
si
accorge
di
non
aver
mai
vissuto
;
a
quel
Vojnicev
,
marito
tradito
e
proprietario
in
dissesto
;
è
un
girotondo
di
personaggi
che
ruota
intorno
a
Platonov
e
ognuno
d
'
essi
può
,
nel
fallimento
di
costui
,
rispecchiare
il
proprio
.
Una
società
in
crisi
vien
colta
nel
suo
momento
più
delicato
(
ecco
la
vendita
della
proprietà
,
come
nel
Giardino
(
lei
ciliegi
)
e
in
uno
dei
suoi
personaggi
più
pittoreschi
e
patetici
,
la
grande
donna
non
più
giovanissima
,
raffinata
,
indolente
,
voluttuoso
,
evoluta
e
frustrata
nelle
sue
ambizioni
,
piena
di
fascino
e
di
desideri
,
inutilmente
innamorata
:
quella
Anna
Petrovna
,
che
è
forse
l
'
immagine
più
riuscita
di
quest
'
opera
sconcertante
e
ineguale
,
ma
già
così
autentica
,
già
così
precisa
nei
suoi
obbiettivi
ultimi
.
Ciò
che
vi
è
,
infatti
,
di
sorprendente
in
questo
dramma
giovanile
dello
scrittore
,
nell
'
edizione
presentata
ieri
sera
dal
Piccolo
Teatro
,
è
la
consapevolezza
di
quel
che
fin
da
allora
egli
voleva
ottenere
col
teatro
:
non
il
dramma
indirizzato
al
pensiero
razionale
,
come
nota
l
'
americano
Fergusson
,
il
più
moderno
indagatore
dei
modi
di
Cechov
,
ma
alla
sensibilità
poetica
e
istrionica
.
Cioè
:
anche
qui
,
come
nei
grandi
dramma
dell
'
età
matura
,
gli
avvenimenti
,
le
battute
,
il
progredire
delle
scene
sembrano
casuali
.
Invece
,
tutto
è
calcolato
al
millimetro
ma
secondo
un
ritmo
che
non
è
più
quello
del
teatro
naturalistico
(
o
ideologico
alla
Ibsen
)
di
fine
secolo
.
Ci
si
incomincia
ad
affrancare
dalla
schiavitù
convenzionale
dell
'
intrigo
,
il
realismo
di
?
echov
inserisce
le
sue
note
sommesse
,
il
suo
istrionismo
delicato
.
È
logico
,
poi
,
che
,
a
traduttori
e
riduttori
,
la
commedia
sia
parsa
soprattutto
comica
;
o
,
almeno
,
parodistica
.
Perché
,
pur
coi
loro
difetti
,
le
loro
intemperanze
,
certe
sovrabbondanze
,
qualche
squilibrio
,
questi
cinque
atti
sono
del
più
puro
e
tipico
teatro
cecoviano
;
teatro
cioè
di
«
mutamenti
patetici
»
,
con
inevitabili
risvolti
comici
,
lampi
grotteschi
,
persino
insinuazioni
satiriche
.
Giorgio
Strehler
ha
dato
un
'
alta
prova
di
sé
,
con
questa
regia
.
Egli
ha
montato
lo
spettacolo
come
una
grande
antologia
cecoviana
,
una
specie
di
ricapitolazione
dei
motivi
ricorrenti
nello
scrittore
,
dalla
disperazione
alla
noia
all
'
inutilità
della
vita
.
Le
scene
di
Luciano
Damiani
rievocano
con
poetica
immediatezza
quella
provincia
fra
le
betulle
.
Lo
spazio
è
avaro
,
per
i
bravissimi
interpreti
.
Va
citata
per
prima
Sarah
Ferrati
,
un
'
Anna
Petrovna
carica
d
'
un
vitalismo
assetato
e
insieme
deluso
,
una
morbida
figura
crepuscolare
;
poi
Tino
Carraro
,
che
,
dopo
qualche
rigidezza
iniziale
ha
ben
descritto
la
sfuggente
indeterminatezza
del
protagonista
;
lo
splendido
,
pittoresco
e
tristissimo
Buazzelli
;
una
patetica
Valentina
Cortese
,
alle
prese
con
le
velleità
sentimentali
e
l
'
isterismo
di
Sof
'
ja
;
la
perfetta
caratterizzazione
di
Olindo
Cristina
,
l
'
ansia
roca
e
canuta
di
Augusto
Mastrantoni
.
E
poi
tutti
gli
altri
,
dalla
Giulia
Lazzarini
a
Cesare
Polacco
,
al
Moschin
,
al
Bentivegna
,
al
Dettori
,
alla
Giacobbe
,
perfettamente
fusi
in
un
grande
spettacolo
che
ha
avuto
un
vibrante
e
meritato
successo
;
e
il
torto
di
finire
-
esagerati
-
alle
due
di
notte
.
StampaQuotidiana ,
Sulla
caduta
di
tensione
ideale
nella
lotta
politica
in
Italia
in
questi
ultimi
anni
ritengo
non
si
possa
non
essere
d
'
accordo
con
quanto
ha
detto
l
'
on.
Berlinguer
nella
nota
intervista
sulla
«
Repubblica
»
del
28
luglio
.
L
'
argomento
è
stato
opportunamente
ripreso
,
fra
gli
altri
,
da
Antonio
Giolitti
,
il
5
agosto
.
Ma
tanto
Berlinguer
quanto
Giolitti
,
attribuendo
ogni
colpa
ai
partiti
,
o
a
certi
partiti
,
sembrano
volerne
scagionare
gli
italiani
confrontando
il
voto
dato
nei
referendum
con
quello
delle
normali
elezioni
politiche
e
amministrative
.
Per
il
primo
,
col
voto
«
libero
da
ogni
condizionamento
dei
partiti
»
,
che
hanno
espresso
in
occasione
dei
referendum
sul
divorzio
nel
1974
e
sull
'
aborto
nel
1981
,
gli
italiani
avrebbero
fornito
«
l
'
immagine
di
un
paese
liberissimo
e
moderno
»
e
avrebbero
dato
«
un
voto
di
progresso
»
;
il
secondo
si
domanda
:
«
Come
mai
i
governati
,
di
fronte
a
un
referendum
,
mostrano
di
volere
e
sapere
scegliere
,
e
non
altrettanto
di
fronte
a
elezioni
in
cui
competono
i
partiti
?
»
L
'
argomento
non
mi
convince
,
almeno
per
due
ragioni
:
anzitutto
,
perché
nei
vari
referendum
che
si
sono
svolti
sinora
il
risultato
è
stato
la
conservazione
delle
leggi
approvate
in
Parlamento
,
e
quindi
dai
partiti
;
in
secondo
luogo
,
specie
per
quel
che
riguarda
l
'
ultima
tornata
,
il
voto
favorevole
alla
liberalizzazione
dell
'
aborto
non
è
stato
un
voto
di
progresso
ma
semplicemente
di
comodo
(
in
fondo
l
'
aborto
libero
rende
meno
responsabile
la
coppia
nel
rapporto
sessuale
,
specie
l
'
uomo
,
e
una
legge
che
libera
il
cittadino
da
una
responsabilità
non
è
mai
una
legge
progressiva
)
,
per
non
parlare
della
schiacciante
maggioranza
in
favore
dell
'
ergastolo
,
di
cui
non
mi
sento
di
lodare
né
la
sorprendente
modernità
né
l
'
audace
spirito
progressivo
.
Se
gli
italiani
siano
migliori
o
peggiori
della
classe
politica
che
li
rappresenta
,
e
li
rappresenta
perché
essi
stessi
la
scelgono
,
è
una
domanda
cui
è
difficile
dare
una
risposta
.
Ma
non
vedo
come
si
possa
scartare
del
tutto
l
'
ipotesi
che
gli
uni
e
l
'
altra
si
assomiglino
come
due
gocce
d
'
acqua
.
Dopo
più
d
'
un
secolo
di
democrazia
rappresentativa
siamo
troppo
smaliziati
per
conservare
l
'
illusione
dei
primi
fautori
del
sistema
parlamentare
,
che
le
elezioni
dei
governanti
siano
la
procedura
più
adatta
per
la
scelta
dei
migliori
.
Anche
se
non
è
detto
che
sempre
siano
proprio
i
peggiori
a
essere
scelti
.
In
un
regime
democratico
il
potere
si
misura
a
voti
.
Più
voti
significa
più
potere
.
Con
questo
non
voglio
dire
che
bastino
i
voti
,
perché
il
potere
dipende
anche
dal
posto
che
un
partito
occupa
nello
schieramento
dei
partiti
e
nelle
coalizioni
di
maggioranza
,
e
sino
ad
ora
è
indubbio
che
i
partiti
alleati
della
democrazia
cristiana
hanno
avuto
un
potere
superiore
alla
loro
forza
elettorale
.
Ma
i
voti
sono
necessari
.
Ora
,
se
la
maggior
parte
dei
partiti
vanno
a
caccia
di
voti
,
e
li
ottengono
,
e
addirittura
li
aumentano
,
senza
sbandierare
la
questione
morale
,
anzi
facendo
finta
di
niente
e
parlandone
il
meno
possibile
(
e
considerando
con
un
certo
altezzoso
fastidio
coloro
che
ne
parlano
)
,
senza
proclamare
ai
quattro
venti
i
loro
ideali
(
posto
che
ne
abbiano
)
,
ma
promettendo
posti
,
miglioramenti
economici
,
erogazioni
pubbliche
per
faccende
private
,
e
amministrando
saggiamente
la
paura
del
peggio
,
è
segno
che
conoscono
bene
con
chi
hanno
da
fare
.
Del
resto
,
si
sa
quali
sono
stati
i
principi
ideali
che
hanno
presieduto
sin
dall
'
origine
alla
formazione
di
un
partito
dei
cattolici
:
la
difesa
di
alcuni
valori
cristiani
minacciati
dall
'
inarrestabile
e
forse
inevitabile
processo
di
secolarizzazione
che
accompagna
lo
sviluppo
delle
società
industriali
.
Strano
,
ma
le
sole
due
volte
che
la
democrazia
cristiana
ha
difeso
con
fermezza
questi
principi
ideali
,
in
occasione
dei
due
referendum
sul
divorzio
e
sull
'
aborto
,
è
rimasta
in
minoranza
.
Le
uniche
due
grandi
battaglie
perdute
dal
partito
dei
cattolici
sono
quelle
in
cui
ha
messo
in
gioco
la
sua
grande
forza
elettorale
in
difesa
di
principi
.
Quale
miglior
prova
che
i
principi
non
rendono
?
Ma
si
può
sapere
perché
non
rendono
?
In
fondo
mi
pare
che
anche
per
il
partito
comunista
si
possa
fare
lo
stesso
ragionamento
.
Il
grande
balzo
in
avanti
è
avvenuto
nel
1975
e
nel
1976
,
quando
il
partito
continuava
a
considerarsi
un
partito
non
solo
marxista
ma
anche
leninista
.
Più
di
un
terzo
degli
italiani
erano
diventati
marxisti
e
leninisti
?
Non
vorrei
sbagliare
,
ma
mi
parrebbe
lecito
affermare
che
per
la
maggior
parte
di
coloro
che
hanno
votato
il
partito
comunista
i
grandi
ideali
del
marxismo
abbiano
avuto
la
stessa
forza
di
attrazione
che
i
principi
evangelici
per
la
democrazia
cristiana
.
Si
grida
agli
scandali
.
Ma
gli
scandali
non
sono
una
prerogativa
della
classe
politica
.
Abbiamo
già
dimenticato
i
casi
clamorosi
di
corruzione
nello
sport
nazionale
,
il
calcio
?
E
non
abbiamo
assistito
in
questa
circostanza
allo
stesso
fenomeno
di
fedeltà
al
proprio
gruppo
che
fa
dire
(
ahimè
,
con
orgoglio
)
:
«
Torto
o
ragione
,
è
la
mia
patria
»
?
Torto
o
ragione
,
è
la
mia
squadra
,
torto
o
ragione
,
è
il
mio
partito
.
E
che
dire
degli
scandali
di
cui
sono
state
protagoniste
talune
istituzioni
bancarie
,
scandali
che
hanno
gettato
il
discredito
su
istituzioni
che
dovrebbero
fondare
il
loro
potere
e
il
loro
prestigio
sulla
loro
credibilità
?
Naturalmente
,
per
l
'
onore
di
una
nazione
è
offesa
meno
grave
,
più
sopportabile
,
un
calciatore
corrotto
che
un
politico
corrotto
o
sospettato
di
corruzione
.
Ma
la
gente
ci
è
abituata
.
Una
vecchia
diffidenza
per
la
politica
e
per
chi
fa
della
politica
il
proprio
mestiere
,
dà
per
ammesso
e
scontato
che
il
politico
sia
più
un
profittatore
che
un
idealista
.
Sono
riflessioni
amare
,
lo
so
,
che
qualcuno
potrebbe
considerare
anche
ingiuste
.
Ma
è
meglio
guardarsi
in
faccia
e
vedere
la
questione
da
tutti
i
lati
,
dall
'
alto
e
dal
basso
,
dal
diritto
e
dal
rovescio
.
Non
già
che
l
'
Italia
sia
un
paese
,
com
'
è
stato
spesso
rappresentato
,
soltanto
di
cinici
o
di
conformisti
.
Ci
sono
grandi
energie
morali
,
di
cui
ci
rendiamo
conto
nella
nostra
vita
di
tutti
i
giorni
.
Ma
nella
vita
politica
stentano
a
farsi
luce
.
Certo
,
sarebbe
compito
di
una
classe
politica
degna
di
questo
nome
risvegliarle
là
dove
sono
assopite
,
suscitarle
là
dove
si
sono
spente
,
aiutarle
a
esprimersi
,
a
riconoscersi
,
ad
acquistare
coscienza
della
propria
funzione
non
solo
nella
vita
privata
ma
anche
nella
pubblica
.
Fare
emergere
le
nostre
virtù
anziché
blandire
i
nostri
difetti
.
Ma
forse
chiediamo
troppo
.
Eppure
abbiamo
la
convinzione
profonda
che
una
democrazia
può
essere
uccisa
dalla
violenza
esterna
,
ma
muore
anche
per
interna
consunzione
.
StampaQuotidiana ,
La
simpatia
cordiale
,
sebbene
non
esente
di
preoccupazioni
,
con
cui
la
massima
parte
del
paese
ha
assistito
finora
all
'
impresa
fiumana
è
dovuta
sopra
tutto
a
una
causa
d
'
ordine
positivo
e
ad
una
d
'
ordine
negativo
.
Positivamente
,
la
rivendicazione
di
Fiume
è
tra
quelle
sui
cui
gl
'
Italiani
hanno
un
animo
solo
e
una
sola
volontà
:
non
potevano
dunque
mostrarsi
sentimentalmente
severi
verso
quei
figlioli
prodighi
che
tradirono
la
disciplina
formale
per
asserire
una
disciplina
d
'
amore
.
Negativamente
,
divenne
chiaro
dopo
i
primi
giorni
d
'
ansietà
che
i
liberatori
di
Fiume
sapevano
destramente
mantenere
un
difficile
equilibrio
sull
'
orlo
precipitoso
in
cui
erano
costretti
a
muoversi
.
Non
provocarono
conflitti
cruenti
nella
città
occupata
,
non
salparono
verso
la
Dalmazia
né
valicarono
la
linea
d
'
armistizio
,
non
aggredirono
gli
Alleati
,
non
mossero
verso
nessun
Isonzo
e
nessun
Rubicone
,
non
dichiararono
guerra
agli
Slavi
,
ma
anzi
edotti
da
un
più
vicino
esame
della
realtà
e
saggiamente
immemori
degli
oltraggi
sanguinosi
che
usavano
scagliare
contro
i
popoli
vicini
pronunciarono
quell
'
augurio
alla
«
fraternità
italo
-
croata
»
che
ai
«
rinunciatari
»
era
rinfacciato
come
un
tradimento
.
Le
loro
parole
furono
spesso
,
nei
proclami
e
nei
discorsi
,
smisurate
,
ma
le
azioni
rimasero
sostanzialmente
misurate
e
sobrie
.
Sicché
gl
'
Italiani
che
vogliono
l
'
unità
della
patria
e
desiderano
l
'
annessione
di
Fiume
,
mentre
non
vogliono
né
nuove
guerre
esterne
né
guerre
civili
e
non
desiderano
che
Fiume
annetta
l
'
Italia
,
vedendo
coincidere
la
passione
dei
volontari
con
quella
dell
'
intero
popolo
e
non
contrastare
troppo
tragicamente
i
loro
atti
coi
postulati
della
pace
e
dell
'
ordine
,
preferirono
considerare
il
lento
svolgersi
di
quel
fatto
con
un
cauto
ottimismo
che
non
escludeva
e
non
esclude
le
soluzioni
concilianti
e
benefiche
a
tutte
le
parti
in
causa
.
Senonché
s
'
è
compiuto
già
il
mese
,
ed
ancora
non
si
scioglie
il
nodo
.
La
crisi
morale
che
travaglia
gli
spedizionari
di
Fiume
e
i
loro
più
intimi
amici
nell
'
interno
del
Regno
,
provoca
,
come
non
era
difficile
prevedere
,
una
recrudescenza
di
non
meditate
parole
.
Un
mese
,
quando
l
'
equilibrio
è
così
paradossalmente
instabile
,
è
già
un
lungo
lasso
di
tempo
,
né
qui
si
tratta
di
quelle
provvisorietà
che
possono
adagiarsi
nel
definitivo
.
Passare
all
'
attacco
oltre
le
linee
d
'
armistizio
i
volontari
non
possono
,
anche
perché
sentono
che
l
'
unanimità
del
paese
non
li
seguirebbe
di
là
da
Fiume
;
cedere
alla
voce
della
coscienza
che
impone
la
subordinazione
alla
legge
non
vogliono
.
Stretti
fra
l
'
uscio
dell
'
inazione
forzosa
e
il
muro
dell
'
intransigente
puntiglio
personale
,
i
più
accesi
si
sfogano
in
fantasie
che
dal
colpo
di
mano
salterebbero
al
colpo
di
Stato
.
Alcuni
episodi
profondamente
deplorevoli
sembrano
rinfocolare
queste
folli
propagande
.
Non
v
'
è
nessuna
giustificazione
per
quelli
che
hanno
sbarcato
a
Fiume
,
ove
,
come
il
Comando
stesso
confessava
,
non
mancavano
armi
e
munizioni
per
una
difesa
contro
improbabili
attacchi
slavi
,
il
carico
del
Persia
destinato
all
'
Estremo
Oriente
.
Non
v
'
è
nessuna
giustificazione
per
il
generale
Ceccherini
che
,
trascurando
i
doveri
del
grado
e
osando
perfino
giustificare
l
'
arbitrio
con
l
'
altro
arbitrio
di
una
lettera
al
Re
,
ha
portato
l
'
esempio
di
una
nefasta
insubordinazione
in
una
città
ove
formicolavano
già
gli
ufficiali
autodecisionari
e
non
v
'
era
bisogno
di
nuove
reclute
altolocate
.
Questi
nuovi
incidenti
farebbero
pensare
a
mire
e
ad
ubbie
che
ben
poco
han
da
vedere
con
Fiume
.
A
buon
conto
,
il
condottiero
dei
Fasci
adunati
a
congresso
ha
detto
a
Firenze
ed
ha
stampato
a
Milano
queste
testuali
parole
:
«
Dobbiamo
occuparci
delle
elezioni
perché
qualunque
cosa
si
faccia
è
sempre
buona
regola
di
stringersi
insieme
,
di
non
bruciare
i
vascelli
dietro
di
sé
.
Può
essere
che
in
questo
mese
di
ottobre
le
cose
precipitino
in
un
ritmo
così
frenetico
da
rendere
quasi
superfluo
il
fatto
elettorale
.
Può
essere
,
invece
,
che
le
elezioni
si
svolgano
.
Dobbiamo
essere
pronti
anche
a
questa
seconda
eventualità
»
.
E
vero
che
lo
stesso
oratore
,
nello
stesso
discorso
,
aveva
definito
la
dittatura
militare
uno
spauracchio
d
'
invenzione
governativa
;
ma
ciò
non
toglie
che
le
sue
parole
,
se
avessero
un
senso
,
significherebbero
l
'
augurio
della
dittatura
e
di
una
manomissione
militare
dell
'
Italia
.
Non
prendiamo
tragicamente
queste
manifestazioni
,
che
ascriviamo
a
irruenta
foga
oratoria
,
sapendo
bene
che
tra
il
dire
e
il
fare
c
'
è
di
mezzo
il
mare
.
Tuttavia
anche
le
parole
sono
,
a
modo
loro
,
azioni
;
e
né
parole
di
questo
calibro
né
atti
come
quelli
del
Persia
e
del
generale
Ceccherini
giovano
all
'
educazione
del
paese
ed
alla
valutazione
della
nostra
maturità
politica
nel
mondo
.
Gli
spiriti
assennati
e
previdenti
dovrebbero
por
mente
al
troppo
contrabbando
che
,
a
loro
insaputa
,
vorrebbe
passare
sotto
la
bandiera
tricolore
spiegata
da
mani
quasi
sempre
inconsapevoli
e
pure
su
mercanzie
non
sempre
pure
.
Molti
,
fuori
d
'
Italia
,
compiacendosi
del
grido
:
Fiume
!
Fiume
!
,
pensano
invece
alla
Germania
da
vendicare
,
al
Baltico
da
conquistare
pel
pangermanismo
risorgente
,
ai
trattati
da
stracciare
,
al
disordine
da
propagare
altrove
in
servizio
dei
vinti
ora
che
la
repubblica
dei
Soviet
pare
agonizzante
,
alla
rivoluzione
da
sobillare
in
Italia
perché
strozzi
in
fasce
la
vittoria
giacché
non
fu
possibile
deprecarne
la
nascita
con
le
convulsioni
del
'17
e
con
le
manovre
abortive
del
18
.
Altri
poi
,
confondendo
il
loro
grido
con
quello
di
chi
mosse
verso
il
Quarnaro
per
un
impeto
di
candido
amore
,
chiedono
,
chiedendo
Fiume
,
la
testa
di
un
ministero
o
di
un
ministro
;
e
v
'
è
chi
pensa
con
malcelata
amarezza
alla
smobilitazione
come
alla
fine
di
prebende
acquisite
cui
non
è
agevole
la
rinunzia
:
chi
a
volontà
elettorali
da
soffocare
sapendo
che
dacché
furono
convocati
i
Comizi
le
suggestioni
anarcoidi
hanno
i
giorni
contati
;
chi
finalmente
alle
fortune
da
trafugare
intatte
profittando
di
un
parapiglia
che
renda
irriti
e
nulli
prestito
forzoso
e
riforma
tributaria
.
Non
è
credibile
che
uomini
come
Gabriele
D
'
Annunzio
e
i
suoi
amici
,
anche
se
non
ben
provvisti
di
freni
inibitori
nelle
pubbliche
manifestazioni
,
non
si
sentano
scorati
da
questo
tanfo
.
In
un
mese
la
spedizione
di
Fiume
,
raggiunto
pienamente
il
suo
scopo
dimostrativo
,
s
'
è
andata
svuotando
di
significato
internazionale
.
L
'
Italia
tutta
ad
una
voce
reclama
Fiume
,
ma
tutta
ad
una
voce
,
e
con
l
'
esplicito
consenso
di
quelli
che
parteggiano
pei
volontari
,
respinge
una
soluzione
violenta
che
metterebbe
l
'
Italia
fuori
della
Conferenza
e
della
Società
delle
Nazioni
ove
essa
siede
fra
gli
arbitri
.
Tutto
il
mondo
è
ormai
d
'
accordo
nel
ritenere
che
la
questione
di
Fiume
debba
essere
risoluta
con
soddisfazione
dell
'
Italia
,
salva
restando
la
suscettibilità
personale
di
Wilson
.
Ma
Wilson
e
le
sue
suscettibilità
passano
;
Fiume
e
l
'
Italia
e
la
loro
volontà
restano
.
In
queste
condizioni
la
persistenza
dei
volontari
non
giova
a
Fiume
ma
la
compromette
,
non
giova
all
'
Italia
ma
la
espone
alle
cortesi
minacce
che
l
'
Inghilterra
,
con
l
'
aria
di
smentirle
,
pienamente
conferma
.
Al
fondo
dell
'
atto
appassionato
di
un
mese
fa
,
esaurito
il
suo
senso
internazionale
,
può
finire
per
restare
nient
'
altro
che
un
fondo
limaccioso
di
politica
interna
.
Noi
crediamo
nel
patriottismo
di
Gabriele
D
'
Annunzio
e
dei
suoi
amici
.
Fummo
con
D
'
Annunzio
nella
crisi
dell
'
intervento
e
ammirammo
le
sue
gesta
stupende
di
guerra
come
sempre
avevamo
ammirato
lo
splendore
di
cui
egli
accrebbe
le
patrie
lettere
.
Perciò
gli
parliamo
a
cuore
aperto
.
Vivendo
in
un
'
atmosfera
esaltata
ed
ardente
egli
non
percepisce
la
voce
accorata
,
sebbene
ancora
sommessa
,
con
cui
tutto
ciò
che
v
'
è
di
più
nobile
e
di
più
consapevolmente
responsabile
nella
coscienza
del
paese
lo
invita
a
non
approfondire
la
ferita
ch
'
egli
ha
inferta
alla
compagine
dell
'
esercito
,
all
'
organismo
più
essenziale
della
nostra
potenza
e
della
nostra
resistenza
.
Ma
non
dovrebbe
rimaner
sordo
all
'
ammonimento
che
gli
giunse
dal
vincitore
di
Vittorio
Veneto
,
dal
generale
Caviglia
;
dovrebbero
impressionarlo
le
disapprovazioni
,
tacite
o
esplicite
,
di
altri
fra
quelli
che
più
potentemente
contribuirono
al
trionfo
delle
armi
italiane
.
Crediamo
nella
sete
di
gloria
del
soldato
-
poeta
e
nel
suo
raffinato
senso
estetico
che
lo
deve
rendere
ansioso
di
evitare
il
pericolo
che
l
'
impresa
di
settembre
perda
ogni
sua
bellezza
e
degeneri
nella
scura
turbolenza
del
litigio
personale
e
fazioso
.
Crediamo
anche
nel
buon
senso
che
raramente
si
scompagna
dall
'
altezza
d
'
ingegno
.
Se
qualcuno
davvero
fosse
così
stolto
da
susurrare
all
'
orecchio
di
D
'
Annunzio
il
nome
del
Rubicone
,
egli
non
potrebbe
che
sorridere
alla
vana
lusinga
.
L
'
indifferenza
del
paese
verso
consimili
minacce
è
fatta
d
'
incredulità
.
Se
il
proposito
si
delineasse
,
il
popolo
balzerebbe
come
un
solo
uomo
.
Chi
farneticasse
oggi
,
in
Italia
,
di
violenze
liberticide
non
conseguirebbe
certo
la
grandezza
di
Cesare
.
Condannato
al
supplizio
del
ridicolo
,
non
si
alzerebbe
nemmeno
sino
alla
gloria
infame
di
Catilina
.
SETA ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
14
gennaio
.
ROMA
,
nell
'
arena
del
Circo
Massimo
alla
mostra
degli
antichi
tessuti
italiani
,
che
qui
sono
tutti
di
seta
:
un
passato
,
sembra
,
tutto
di
gran
signori
,
accompagnato
sempre
dal
luccichio
e
dal
fruscio
di
strascichi
,
di
sboffi
e
di
mantelli
:
velluti
,
broccati
,
damaschi
foderati
di
seta
,
di
raso
o
d
'
ermisino
;
passato
remoto
,
perché
oramai
bisogna
aspettare
l
'
entrata
dei
cardinali
nella
Cappella
papale
se
si
vuol
godere
uno
spettacolo
altrettanto
lucente
e
fastoso
.
Dietro
queste
sale
e
vetrine
abbaglianti
s
'
alzano
sopra
il
versante
del
Palatino
i
ruderi
gialli
e
rossi
del
Settizonio
,
i
cipressi
verdi
e
il
cielo
turchino
,
lontano
come
soltanto
a
Roma
il
cielo
sa
essere
lontano
e
sovrano
.
L
'
ampia
mostra
del
Tessile
,
quasi
direi
del
tessibile
,
dove
di
padiglione
in
padiglione
con
maniera
piacevole
e
piana
ci
si
fa
vedere
a
che
sieno
giunte
la
scienza
,
l
'
esperienza
e
l
'
inventiva
degl
'
Italiani
,
pare
fatta
apposta
pel
trionfo
ideale
di
queste
antiche
sete
e
ricami
,
come
i
vestiti
e
i
cappotti
bruni
,
bigi
,
neri
,
tutti
uguali
,
di
noi
visitatori
paiono
indossati
per
dare
spicco
al
tanto
e
diverso
sfarzo
degli
altri
secoli
.
(
Ma
di
fatto
con
questa
uguaglianza
di
fogge
e
monotonia
di
tinte
adesso
l
'
intelligenza
e
il
carattere
si
leggono
soltanto
sul
volto
,
che
da
nessun
sarto
si
può
comprare
.
)
L
'
uomo
dunque
il
quale
oggi
ammiri
la
seta
,
la
vera
seta
,
la
seta
di
filugello
,
la
seta
animale
,
quella
che
quando
brucia
dà
odor
di
capelli
bruciati
tanto
è
ancor
viva
,
la
ammira
disinteressatamente
,
come
può
ammirar
la
bellezza
dipinta
:
la
bellezza
,
ad
esempio
,
di
questa
Venere
di
Botticelli
la
quale
,
nuda
com
'
è
,
è
stata
scomodata
a
venire
da
Firenze
in
questa
calca
soltanto
perché
il
manto
che
le
porgono
per
coprire
la
sua
lisciata
e
navigata
nudità
è
,
tessuto
a
fiori
,
un
bel
modello
di
stoffa
.
Ma
nella
mostra
di
tanti
dipinti
non
s
'
è
pensato
che
i
disegni
per
le
vesti
delle
loro
figure
gli
artisti
per
lo
più
se
li
inventavano
,
non
li
copiavano
?
In
Europa
,
quest
'
arte
della
seta
è
stata
per
secoli
tutta
nostra
;
e
ancora
i
nomi
dei
tessuti
,
a
cominciare
dal
velluto
e
dal
broccato
,
e
i
termini
del
mestiere
,
dal
filugello
alla
bavella
,
dal
cascame
alla
matassa
,
sanno
di
latino
e
di
primo
medievo
,
con
incroci
di
greco
e
d
'
arabo
rapidamente
spianati
all
'
italiana
,
così
che
pare
di
vedervi
le
tracce
dei
viaggi
dei
mercanti
tra
Sorìa
e
Sicilia
,
tra
Bisanzio
e
Calabria
.
Sarà
vera
la
leggenda
dei
due
monaci
che
dalla
Cina
recarono
all
'
imperatore
Giustiniano
il
seme
dei
bachi
da
seta
nascondendolo
dentro
i
lunghi
bastoni
di
pellegrini
?
E
da
noi
dove
è
stato
prima
coltivato
il
gelso
pel
nutrimento
del
baco
e
filata
e
tessuta
la
prima
seta
?
A
Catanzaro
colonia
bisantina
,
o
in
Sicilia
coi
normanni
?
Certo
è
che
sete
o
velluti
,
lisci
o
ricamati
,
appena
ci
si
avvicina
al
vetro
che
li
difende
,
lo
stupore
per
la
loro
bellezza
è
raddoppiato
dallo
stupore
per
la
loro
sopravvivenza
.
Taluni
escono
addirittura
dai
sepolcri
,
perché
avvolgevano
le
spoglie
d
'
un
santo
,
come
la
seta
purpurea
tratta
a
Rimini
dalla
tomba
di
san
Giuliano
,
o
il
cadavere
d
'
un
gran
principe
,
come
il
broccato
verde
a
palmette
d
'
oro
tra
figure
di
pesci
e
uccelli
,
lepri
e
leoni
,
ch
'
era
nell
'
arca
di
Cangrande
della
Scala
a
Verona
.
I
corpi
rigidi
e
gelidi
lentamente
si
disfecero
in
sanie
e
in
polvere
.
Non
restarono
che
poche
ossa
grige
e
ciuffi
di
capelli
stinti
.
Di
morbido
,
di
tepido
,
di
vivo
non
vi
è
rimasto
più
là
dentro
che
questo
poco
di
seta
o
di
broccato
,
risplendente
di
rosso
,
di
verde
,
di
turchino
,
d
'
oro
e
d
'
argento
,
come
se
i
fetidi
orrori
che
l
'
hanno
toccato
sieno
stati
soltanto
un
incubo
sopra
quel
lettuccio
soffocato
.
Altri
tessuti
prima
di
diventare
arredi
sacri
,
sono
stati
vesti
,
sottane
,
guarnacche
,
giornee
,
cioppe
,
mantelli
di
dame
;
e
Milano
ne
ha
mandato
qui
l
'
esempio
più
sgargiante
col
paliotto
di
velluto
rosso
del
museo
Poldi
Pezzoli
,
che
prima
d
'
andar
su
un
altare
fu
«
la
veste
de
broccato
d
'
oro
de
le
columbine
»
indossata
da
Beatrice
d
'
Este
a
Venezia
quando
nel
1493
Ludovico
il
Moro
ve
la
mandò
in
missione
.
La
sposina
non
aveva
ancora
dieciott
'
anni
;
ma
era
bella
,
fresca
,
briosa
,
di
franca
parola
e
di
gusto
sicuro
,
sempre
tra
musici
e
artisti
,
tanto
elegante
che
più
d
'
ogni
lode
questa
la
faceva
contenta
,
d
'
essere
chiamata
novarum
vestium
inventrix
,
inventrice
di
mode
nuove
.
In
ciascuno
dei
rosoni
d
'
oro
su
quel
rosso
denso
sta
come
nel
caldo
nido
una
colomba
e
reca
nel
becco
un
polizzino
col
motto
sforzesco
«
a
bon
droit
»
.
In
quelli
anni
a
Milano
lavoravano
a
tessere
velluti
quindicimila
operai
.
Vorrei
che
fosse
di
Beatrice
,
donatole
dalla
Serenissima
,
anche
il
mantelletto
femminile
di
broccato
d
'
oro
,
tessuto
negli
stessi
anni
e
mandato
qui
dalla
Ca
'
d
'
Oro
.
Di
grazia
e
di
statura
le
andrebbe
a
pennello
.
Una
volta
,
quando
Gino
Fogolari
ordinava
quel
museo
,
l
'
ho
avuto
tra
mano
:
è
leggero
nonostante
il
tanto
oro
che
v
'
è
contesto
,
e
a
guardarne
da
presso
il
biondo
luccichio
vi
si
scopre
un
minuto
disegno
di
foglie
e
di
fiori
che
a
ogni
piega
scompare
e
riappare
:
un
tessuto
di
sole
.
Lo
imitasse
oggi
un
gran
setaiolo
,
sarebbe
un
trionfo
;
e
davvero
italiano
.
Già
prima
dei
ricami
sono
da
ammirare
questi
tessuti
figurati
.
Ogni
monaca
diligente
può
ritoccare
un
ricamo
;
e
anche
i
più
belli
e
famosi
sono
restaurati
e
racconciati
da
cento
rimendi
e
rappezzi
.
Che
è
originale
in
un
ricamo
giuntoci
da
secoli
e
secoli
?
Si
diffida
d
'
ogni
filo
.
Ma
in
un
tessuto
,
di
seta
liscia
o
di
velluto
operato
,
ogni
rimendo
si
scorge
a
prima
vista
.
La
seta
bisantina
,
forse
di
avanti
il
mille
,
della
càsula
detta
del
vescovo
Ermanno
,
a
grandi
aquile
ritte
,
nere
sul
fondo
violetto
,
mandata
dal
museo
di
Bressanone
;
quella
coeva
che
dicevo
pocanzi
e
che
viene
dal
museo
di
Ravenna
,
tratta
dal
sepolcro
di
san
Giuliano
;
quelle
tante
di
fabbrica
lucchese
,
l
'
una
più
rara
dell
'
altra
,
dugentesche
,
trecentesche
,
quattrocentesche
,
da
chiese
,
da
musei
e
dalle
raccolte
Sangiorgi
di
Roma
,
Abegg
di
Torino
,
Loewi
di
Venezia
,
con
disegni
che
sanno
di
bisantino
,
di
persiano
,
di
cinese
,
ma
dove
i
viticci
,
le
rame
,
le
palmette
,
le
frutta
e
gli
animali
perdono
nell
'
aria
toscana
l
'
astrazione
araldica
,
s
'
avvicinano
al
vero
,
prendono
succo
e
sangue
,
vigore
e
palpito
,
come
nel
piviale
diasprino
del
Museo
industriale
romano
,
come
nella
seta
violetta
cogli
angeli
broccati
in
oro
del
museo
fiorentino
del
Bargello
,
come
nelle
cinque
càsule
prestate
da
Danzica
(
il
solo
contributo
straniero
alla
mostra
)
,
appena
sono
bucate
o
ragnate
,
chi
le
ripara
?
Ne
restano
quei
pochi
palmi
dal
guardingo
raccoglitore
tesi
tra
due
vetri
,
come
l
'
ala
d
'
una
farfalla
strappata
dal
turbine
del
tempo
,
schiacciata
lì
senza
più
speranza
di
giocar
con
la
luce
.
Appena
spunta
la
primavera
del
Rinascimento
,
s
'
arriva
a
tessere
figure
e
scene
e
a
gareggiare
,
se
non
con
la
pittura
,
con
la
silografia
che
la
riproduce
.
V
'
è
un
fregio
di
paliotto
dalla
raccolta
Sangiorgi
,
in
oro
a
basso
liccio
su
fondo
rosa
,
con
la
scena
ripetuta
del
Noli
me
tangere
dove
Cristo
e
Maddalena
stanno
su
un
prato
verde
fiorito
e
dietro
a
essi
s
'
apre
un
cielo
stellato
.
V
'
è
,
tessuta
in
oro
su
fondo
rosso
,
la
copia
del
bronzo
del
Verrocchio
in
Orsanmichele
,
con
l
'
Incredulità
di
san
Tommaso
.
La
difficoltà
di
rendere
solo
con
l
'
ordito
e
la
trama
scene
siffatte
dà
ad
esse
una
semplicità
quasi
di
stampa
popolare
;
ma
la
finezza
della
materia
e
la
delicatezza
dei
toni
aggiungono
come
un
profumo
di
fiori
a
tanta
semplicità
.
S
'
intende
che
nella
gara
con
la
pittura
l
'
ago
facilmente
trionfa
sulla
spola
;
e
in
questa
mostra
si
sono
,
anche
in
fatto
di
ricami
,
raccolti
tesori
.
Se
non
sbaglio
,
il
più
antico
è
quello
del
pallio
bisantino
di
Castell
'
Arquato
con
la
Consacrazione
del
pane
e
la
Consacrazione
del
vino
nell
'
Ultima
Cena
.
Sulla
seta
d
'
un
rosso
di
porpora
figure
,
edifici
,
iscrizioni
sono
ricamate
in
bianco
,
in
celeste
,
in
oro
,
in
argento
;
e
l
'
oro
in
nove
o
dieci
secoli
s
'
è
come
bruciato
e
l
'
argento
è
come
cenere
.
Nella
composizione
simmetrica
e
maestosa
basta
che
una
delle
alte
figure
si
volga
appena
o
faccia
un
passo
,
e
tutta
la
scena
diventa
drammatica
.
Le
scritte
greche
sul
cielo
pallido
sembrano
comandi
del
Pantocrator
.
Nei
volti
dove
il
ricamo
è
logoro
,
la
porpora
della
seta
riappare
come
il
sangue
che
circola
sotto
la
pelle
.
Al
confronto
di
tanto
sobria
e
sacra
solennità
la
stessa
dalmatica
detta
di
Carlomagno
,
che
è
bisantina
del
decimoterzo
secolo
e
che
è
stata
prestata
dalla
Basilica
di
San
Pietro
,
sembra
,
forse
pei
tanti
rifacimenti
e
rammendi
,
troppo
folta
e
pesante
,
quasi
trapunta
.
Di
colore
,
sul
fondo
di
turchino
notturno
dove
le
cento
croci
fanno
da
stelle
,
è
sempre
una
meraviglia
,
e
basta
guardare
nel
dorso
della
dalmatica
il
vermiglio
dei
dodici
raggi
che
escono
dal
bianco
Cristo
trionfante
per
riaffermare
che
il
vero
gusto
non
è
fatto
solo
di
discrezione
ma
anche
di
ardire
.
Il
difficile
è
sapere
,
nello
stesso
ardire
,
mantenere
la
misura
.
Una
delle
bellezze
quattrocentesche
che
m
'
hanno
più
innamorato
è
il
pallio
delle
colombe
mandato
dal
duomo
di
San
Gimignano
:
un
velluto
vermiglio
ricamato
in
oro
nel
1449
dalle
suore
della
Santissima
Annunziata
,
con
tante
colombelle
raggianti
;
e
ogni
colombella
ha
il
capo
dentro
un
'
aureola
,
e
nell
'
aureola
è
una
crocetta
rossa
.
Volano
in
ogni
senso
,
a
distanze
uguali
.
Una
sera
ero
chino
a
guardarlo
da
presso
perché
la
luce
s
'
era
fatta
fioca
.
D
'
un
colpo
si
sono
accese
le
lampade
elettriche
,
e
le
colombe
risplendenti
per
un
attimo
è
sembrato
che
battessero
le
ali
per
volare
via
.
Paliotto
,
pianete
,
càsule
,
dalmatiche
,
piviali
:
su
dieci
oggetti
,
otto
sono
di
chiesa
.
E
la
folla
domenicale
procede
in
silenzio
o
parla
sottovoce
come
in
chiesa
.
StampaQuotidiana ,
La
riduzione
scenica
di
I
demoni
(
ovvero
Gli
ossessi
)
di
Dostoevskij
,
fatta
da
Alberto
Camus
e
rappresentata
questa
sera
alla
Fenice
dal
gruppo
del
Théâtre
Antoine
,
è
un
grande
spettacolo
e
una
scarnificazione
del
tempestoso
romanzo
all
'
osso
dei
fatti
.
Questo
,
della
diminuzione
quasi
a
termini
didascalici
,
a
quadri
illustrativi
,
è
un
destino
comune
alle
riduzioni
teatrali
delle
grandi
opere
di
narrativa
.
Figuriamoci
poi
nel
caso
di
Dostoevskij
,
scrittore
quant
'
altri
mai
legato
agli
ardori
e
ai
geli
,
agli
ideologici
inferni
e
paradisi
delle
sue
pagine
.
Già
la
riduzione
fatta
da
Gaston
Baty
di
Delitto
e
castigo
rischiava
di
ridurre
il
grande
romanzo
alle
dimensioni
di
un
dramma
poliziesco
;
e
quando
Copeau
e
Croué
si
misero
a
rimaneggiare
per
le
scene
I
fratelli
Karamazov
si
videro
costretti
a
brutalizzare
Dostoevskij
,
a
fargli
pronunciare
,
come
essi
un
poco
ingenuamente
scrissero
,
le
parole
estreme
,
quelle
che
nel
romanzo
aveva
detto
,
per
il
semplice
motivo
che
il
loro
significato
usciva
da
tutto
il
contesto
.
Gli
ossessi
definito
da
Gide
libro
straordinario
,
«
il
più
potente
»
del
grande
romanziere
,
non
è
certamente
riassumibile
.
In
esso
Dostoevskij
svolge
alcuni
dei
suoi
temi
preferiti
,
il
tema
dell
'
umiltà
e
dell
'
orgoglio
,
il
tema
del
superuomo
,
il
tema
dell
'
ateismo
,
e
conseguentemente
del
suicidio
,
come
manifestazione
di
libertà
,
il
tema
del
Cristianesimo
più
puramente
evangelico
,
staccato
da
qualsiasi
chiesa
.
Tutti
questi
motivi
vengono
inseriti
in
una
sarcastica
satira
sui
rivoluzionari
che
,
intorno
al
1871
,
caratterizzavano
la
scena
politica
russa
,
quella
società
colta
e
inconcludente
,
orientata
verso
il
liberalismo
e
il
radicalismo
,
che
Dostoevskij
aveva
già
in
parte
simboleggiato
nel
Raskolnikov
di
Delitto
e
castigo
.
Ma
più
che
le
grandi
asserzioni
ideologiche
e
morali
contano
,
come
in
ogni
opera
d
'
arte
realizzata
,
il
gioco
,
nello
scrittore
russo
quasi
sempre
terribile
,
delle
passioni
e
la
concreta
rappresentazione
dei
personaggi
;
per
cui
alla
satira
e
alla
discussione
metafisica
s
'
aggiunge
il
dramma
.
E
abbiamo
così
la
figura
di
Stavrogin
,
certamente
una
delle
più
sconcertanti
di
Dostoevskij
,
col
suo
titanismo
,
la
sua
irrequieta
disponibilità
morale
,
il
suo
splendore
romantico
,
la
sua
dolente
lucidità
intellettuale
;
l
'
ambiguo
Verchovenskij
,
l
'
«
anima
nera
»
dei
«
nichilisti
»
;
Kirillov
,
l
'
apostolo
dell
'
ateismo
puro
e
del
suicidio
come
atto
gratuito
;
atov
,
il
personaggio
nel
quale
è
celata
la
figura
storica
dello
studente
Ivanov
,
che
fu
veramente
assassinato
dagli
aderenti
a
un
'
associazione
segreta
.
Abbiamo
insomma
le
varie
figurazioni
degli
Ossessi
;
cui
sono
da
aggiungere
quella
patetica
e
grottesca
incarnazione
dell
'
eloquenza
e
della
viltà
che
è
Stepan
Trofimovi
?
,
l
'
inutilmente
imperiosa
Varvara
Petrovna
,
l
'
allucinata
inferma
Maria
Labjadkin
.
Camus
afferma
che
portare
sulla
scena
questi
personaggi
era
un
suo
sogno
vecchio
di
vent
'
anni
.
Camus
è
lo
scrittore
de
Lo
straniero
,
La
peste
,
Il
malinteso
,
Il
mito
di
Sisifo
;
di
opere
cioè
in
cui
i
terni
del
nichilismo
e
dell
'
assurdo
,
i
temi
della
non
-
speranza
,
tipici
di
alcune
filosofie
del
nostro
tempo
,
sono
trattati
con
una
lucidità
che
tiene
forse
più
del
saggista
che
del
poeta
.
Davanti
a
Dostoevskij
s
'
è
trovato
,
come
fu
giustamente
scritto
in
Francia
,
davanti
al
suo
mondo
intellettuale
realizzato
fantasticamente
;
davanti
a
qualcuno
insomma
che
lo
ha
grandiosamente
preceduto
.
Da
ciò
,
forse
,
diversamente
da
quanto
gli
era
accaduto
con
Faulkner
(
ricordate
Requiem
per
una
monaca
)
nasce
il
rispetto
di
Camus
riduttore
davanti
al
romanziere
Dostoevskij
.
Egli
dà
l
'
impressione
di
non
osare
.
Sta
,
nei
confronti
dell
'
opera
originale
,
religiosamente
alla
lettera
.
Ma
di
Dostoevskij
mancano
l
'
ambiguità
,
la
complicità
coi
personaggi
,
quel
sudore
di
sangue
,
quel
madore
preagonico
che
pare
spremersi
dalle
pagine
.
Era
inevitabile
.
Come
s
'
è
detto
in
principio
.
Tanto
più
che
il
Cristianesimo
di
Dostoevskij
lascia
aperto
uno
spiraglio
che
non
si
intravede
nell
'
esistenzialismo
di
Camus
.
Lo
spettacolo
è
perfetto
.
La
serie
,
dal
sapore
vagamente
didascalico
,
dei
numerosi
quadri
su
cui
la
riduzione
si
articola
,
si
svolge
con
un
bel
ritmo
narrativo
sullo
sfondo
delle
ottime
scene
di
Mayo
.
E
poi
c
'
è
un
«
cast
»
formidabile
di
attori
,
che
la
regia
di
Camus
,
presente
allo
spettacolo
,
ha
guidato
con
mano
sicura
.
Basterebbe
ricordare
la
poetica
,
struggente
caratterizzazione
di
Pierre
Blanchar
nella
parte
di
Stepan
Trofimovi
?
;
la
figurazione
fra
elegante
e
tenebrosa
di
Pierre
Vaneck
,
che
era
Stavrogin
;
la
beffarda
lucidità
di
Michel
Bouquet
nel
personaggio
di
Verchovenskij
;
la
bravissima
,
drammatica
Katherine
Sellers
(
quella
di
Requiem
per
una
monaca
)
che
ha
accettato
la
breve
parte
della
sciancata
Maria
Labjadkin
;
e
poi
,
Michel
Maurette
,
il
narratore
,
Roger
Blin
,
che
vedemmo
l
'
anno
scorso
qui
a
Venezia
in
Fin
de
partie
di
Beckett
,
Tania
Balachova
,
Alain
Mottet
,
Marc
Eyraud
,
Nadine
Basile
,
Janine
Patrich
e
tutti
gli
altri
.
Lo
spettacolo
,
che
è
lunghissimo
(
è
finito
,
nel
caldo
soffocante
della
Fenice
,
oltre
l
'
una
di
notte
)
,
ha
raccolto
molti
applausi
.
Camus
camminava
intanto
nervosamente
su
e
giù
in
Campo
San
Fantin
,
davanti
all
'
ingresso
del
Teatro
.